L'archeologia del Subcontinente indiano. La regione dei Vindhya e il Rajasthan
di Julia Shaw
La catena montuosa dei Vindhya interessa l'India peninsulare per quasi tutta la sua ampiezza. Con un'estensione di circa 1050 km, essa copre la maggior parte dell'attuale Madhya Pradesh e i distretti di Allahabad e Mirzapur nell'Uttar Pradesh orientale. A ovest essa costituisce il limite meridionale dell'altipiano di Malwa e comprende la catena dei Satpura, che si estende parallelamente a sud. Il fiume principale è la Narmada, che scorre fra le due catene, mentre l'altopiano di Malwa è bagnato dai fiumi Chambal, Shivna, Betwa e Bes. Le catene dei Vindhya e dei Satpura fungono da linea divisoria, sia fisica sia culturale, tra l'India del Nord e l'altipiano del Deccan a sud. Nella zona orientale i Vindhya comprendono la catena dei Kaimur, bagnata dal sistema Gange-Yamuna e dai maggiori affluenti, quali il Son e il Belan. Le prime ricerche archeologiche in questa regione risalgono al XIX secolo, con le ricognizioni di A. Cunningham (città del primo periodo storico: Ujjain, Vidisha, Eran e centri religiosi come Sanchi e Bharhut). Indagini approfondite sulla preistoria e sulla protostoria vengono effettuate fino dagli anni Trenta del Novecento, ma soprattutto a partire dagli anni 1960-70.
Vi sono due principali aree geo-culturali: l'una di colline di arenaria, ricche di testimonianze preistoriche come i ripari sotto roccia con pitture rupestri e piccole quantità di strumenti litici; l'altra di fertili pianure formate dal cosiddetto black cotton soil (tipo di terreno scuro assai fertile, in particolare utilizzato per la coltivazione del cotone), con tracce di insediamenti agricoli databili dal Calcolitico in poi. Sulle sommità di molte colline vi sono i resti di stūpa e di monasteri buddhisti del primo periodo storico. La maggior parte delle esplorazioni condotte finora sono state di tipo estensivo e non sistematico, a partire dallo studio delle grotte sulle colline di Mahadeo nella valle della Narmada. Più dei tre quarti dei ripari sotto roccia dell'India si trovano sui Vindhya, in particolare nella zona occidentale; finora, tuttavia, ne sono stati scavati solamente due, sebbene assai notevoli per dimensioni e interesse: Adamgarh e Bhimbetka. Nei Vindhya orientali sono noti numerosi ripari con pitture rupestri, soprattutto nei distretti di Mirzapur e Robertsganj. In molti si trovano strumenti litici che vanno dal Paleolitico inferiore al Calcolitico, ma la maggior concentrazione si attesta nel Mesolitico. Quanto alle numerosissime pitture, esse sono state individuate in oltre la metà dei 240 ripari presenti a Bhimbetka. In alcuni di questi ripari (ad es., Bhimbetka e Pangurarhiya) sono testimoniate delle fasi di rioccupazione e di riutilizzo in epoca buddhista da parte dei monaci, come documentato dalle iscrizioni rupestri in brāhmī databili ai secoli III-II a.C. circa.
Oltre ai ripari sotto roccia, un'altra tipologia insediativa attestata è quella dei siti posti sugli alvei fluviali, spesso situati a una certa distanza dalle zone di approvvigionamento dei materiali litici. Generalmente tali siti si presentano come semplici raggruppamenti di strumenti litici in terreni ghiaiosi con stratificazione mista a ciottoli e sabbia, sovrapposti a orizzonti produttivi dell'Acheuleano. Il deposito di löss che copre il livello acheuleano nella valle del Son ha fornito, per il Paleolitico inferiore, una datazione al 103.800±19.800 B.P. Le datazioni al 14C dei depositi e del sito di Bagor I (distretto di Sidhi) oscillano, per il Paleolitico superiore, tra 10.000 e 12.000 B.P. Date ulteriori sono state ottenute da Chandrasal (valle dello Chambal, 36.550±600 B.P e 38.900±750 B.P.), Nagda (31.000 B.P.) e Mehtakheri (41.900 B.P.).
La tipologia dello strumentario litico e le materie prime utilizzate cambiano notevolmente nel corso delle tre fasi del Paleolitico. Ad esempio, nel Paleolitico inferiore predomina la quarzite, mentre nei periodi successivi sono più comuni pietre a grana fine quali il diaspro, la selce, l'agata e il calcedonio. Aumenta anche la varietà dello strumentario: i ritrovamenti riferibili al Paleolitico inferiore sono soprattutto choppers, schegge grossolane, asce a mano, poliedri e sferoidi, la cui produzione è effettuata soprattutto mediante l'uso di percussori di pietra (è assente la tecnica Levallois). Nei livelli successivi dominano invece raschiatoi laterali, punte, lame sottili ottenute da nuclei prismatici e l'utilizzo della tecnica Levallois. Nel corso del Paleolitico medio e superiore si registra inoltre un aumento della densità dei siti, la cui superficie supera spesso diversi ettari, con migliaia di strumenti e scarti di lavorazione. Il Paleolitico superiore segna anche la prima apparizione dell'arte mobiliare, sebbene siano notevolissime le difficoltà interpretative: ad esempio, un oggetto d'osso rinvenuto nella valle del Belan è stato interpretato alternativamente come un'immagine di dea madre o come un arpone. Gli scavi a Bagor I hanno riportato alla luce i resti di quello che sembra essere un santuario del Paleolitico superiore databile al 9000-8000 a.C. circa.
Nella regione dei Vindhya il Mesolitico (10.000-4000 a.C. ca.) vede due tipi di siti: abitazioni in ripari sotto roccia, molte delle quali attestano un'occupazione risalente al Paleolitico, e accampamenti stagionali all'aperto, quali Bagor II e altri nella valle del Gange. Lo strumentario consiste di microlame prodotte in serie con la tecnica a pressione, in luogo della precedente scheggiatura a percussione. Le principali materie prime sono la selce e il calcedonio. Sono stati trovati pochi resti vegetali; tuttavia, la presenza di macine concave a mano a Bhimbetka attesta la presenza di alimenti di origine vegetale. Ad Adamgarh la presenza contemporanea di specie animali selvatiche e domestiche indica la compresenza della caccia-raccolta e dell'allevamento. In alcuni siti, come Sarai Nahar Rai, sono state trovate testimonianze di semplici strutture con buche di palo e focolari. Altri contengono sepolture umane con offerte per i defunti, quali ornamenti d'osso, frammenti di palchi e di ocra.
È possibile che il Neolitico dei Vindhya fosse iniziato già nel 6000 a.C., ma generalmente lo si data tra il 4000 e il 1500 a.C. circa. I maggiori siti della zona orientale sono Koldihawa, Mahagara e Chopani Mando, tutti situati sul fiume Belan. La ceramica di Koldihawa, modellata a mano, è rossa con impressioni a cordicella, oppure grezza nera e rossa. I livelli databili all'inizio del II millennio a.C. hanno restituito semi di frumento, orzo e vari legumi del Sud-Ovest asiatico (piselli, lenticchie, ceci). In questi siti vi è un forte elemento di continuità tra il Neolitico e il Calcolitico (dall'inizio alla metà del II millennio a.C.). I tipi ceramici neolitici persistono e compare la ceramica al tornio: la fine Black-and-Red Ware e la Black Slipped Ware, spesso con decorazioni geometriche. Permane anche l'uso dei microliti. A Kakoria si sono trovati anche tumuli megalitici circolari e tombe a cista databili a prima dell'età del Ferro. Nella zona occidentale la maggior parte dei siti del Neolitico-Calcolitico si trova sulle rive dei fiumi, sul fertile altipiano di Malwa. La fase più arcaica si contraddistingue per la presenza della ceramica Kayatha Ware (2000-1800 a.C. ca.) nel sito omonimo (valle del Chambal), nelle valli della Narmada e della Betwa, e anche a Bhimbetka. La ceramica, con ingobbio marrone scuro e decorazioni lineari rosso scuro, è realizzata al tornio. La struttura più comune è una casa tonda o rettangolare con muri di incannucciata ricoperti di fango, associata ad asce di pietra del Neolitico e a microliti.
La ceramica di Banas (1700-1500 a.C.) segna lo stadio successivo del Calcolitico nell'altopiano del Malwa. Si tratta di una ceramica nera e rossa, lavorata al tornio, con disegni geometrici dipinti in bianco; è associata a un'industria litica della lama. Caratteristica anche la grande quantità di statuette di terracotta, raffiguranti soprattutto tori. La fase seguente vede la comparsa della Malwa Ware (1500-1200 a.C.), rinvenuta a Maheshwar-Navdatoli, a Eran e in numerosi altri siti. Essa presenta un'ingubbiatura color camoscio-arancio con decorazioni nere o marrone scuro e compare in associazione con tracce di capanne di terra tonde e rettangolari, con pareti di bambù rivestite di fango. Vi sono, inoltre, strumenti litici e di rame quali asce, scalpelli, punte di freccia e pugnali. Le più antiche testimonianze di grano nel Madhya Pradesh, sotto forma di semi carbonizzati, si trovano a Navdatoli-Maheshwar (ca. 1660-1440 a.C.) e Kayatha (1380 a.C. ca.). È stato rinvenuto anche del riso, ma in quantità così modeste che non è possibile ipotizzarne un ruolo significativo nella sussistenza. Ossa di animali selvatici e domestici (bovini, maiali, pecore, capre) attestano un'economia basata sia sull'allevamento sia sulla caccia e raccolta.
Vi sono molte incertezze sulla storia dell'urbanesimo nella regione dei Vindhya. In confronto alla valle del Gange, poche sono le informazioni sul periodo di transizione tra il Calcolitico e il primo periodo storico. Mentre le principali città della valle del Gange appartengono alla fase più arcaica dell'urbanesimo antico in India, come indicano la presenza di Painted Grey Ware (PGW) e del ferro, in gran parte dell'India centrale l'urbanesimo si è sviluppato più tardi. Esistono relativamente poche testimonianze di PGW nel Madhya Pradesh, con la più alta concentrazione nelle zone più settentrionali confinanti con il Rajasthan e l'Uttar Pradesh. Fa eccezione Ujjain, capitale dello Stato di Avanti, uno dei 16 mahājanapada elencati negli antichi testi buddhisti; qui sono stati rinvenuti alcuni esemplari di PGW databili al 750-500 a.C., insieme a ceramica nera e rossa. Tuttavia la principale spinta all'urbanesimo in siti quali Besnagar (antica Vidisha), Tripuri, Maheshwar ed Eran si ha nel 500-300 a.C. circa, segnata dall'apparizione della Northern Black Polished Ware, associata alla ceramica nera e rossa dell'epoca precedente e a grandi quantità di monete punzonate e oggetti di ferro.
L'importanza delle città è documentata anche dalle monumentali fortificazioni che la circondano: a Ujjain sono già presenti nel VI secolo, mentre in altri centri quali Besnagar/Vidisha e Tripuri compaiono nel IV-III sec. a.C. All'interno delle città, le costruzioni in mattoni crudi sono affiancate da quelle in mattoni cotti ed è possibile riconoscervi strutture quali pozzi di scarico, cisterne, fornaci per i metalli, edifici religiosi. La produzione artigianale è, soprattutto in alcuni centri (ad es., Ujjain), ricca e diversificata: oggetti d'uso quotidiano di bronzo, rame e ferro, produzione di vaghi di collana in diversi materiali (pietre semipreziose, vetro, metallo, avorio, osso, conchiglia, terracotta e occasionalmente oro), sigilli, sculture di terracotta. La diffusione dell'urbanesimo nei Vindhya coincise in parte con l'espansione dell'impero Maurya da un lato e del buddhismo dall'altro: a circa 7 km a sud di Besnagar si trovano gli importanti siti buddhisti di Sanchi e di Satdhara, fondati nel III sec. a.C. circa, insieme ad altri a Sonari, Andher e Bigan, risalenti al periodo post-Maurya. Altri resti di importanti siti buddhisti sono stati trovati a Ujjain e a Bharhut. A Sanchi, Rupnath (distretto di Jabalpur), Gurjara (distretto di Datia) e Pangurarhiya si trovano gli editti in scrittura brāhmī del sovrano Maurya Ashoka.
L'altra grande tradizione religiosa degli ultimi secoli a.C. è il sistema Pāñcarātra della tradizione Bhāgavata, come indicato dalla colonna di Eliodoro a Besnagar. Databili al tardo II sec. a.C., i materiali di questa zona appartengono a un corpo più ampio di testimonianze archeologiche, epigrafiche e testuali provenienti da diversi siti dell'India settentrionale che si pensa rappresentino la fase più arcaica della religione Bhāgavata. La colonna infatti era parte (assieme ad altre sette) di un tempio di Vasudeva, la cui fase più antica risalirebbe al III sec. a.C. è documentato invece a Udayagiri, sito religioso a pochi chilometri da Besnagar, l'esordio dell'arte Gupta, con il primo gruppo di iconografie Hindu sistematicamente concepito.
A. Cunningham, The Bhilsa Topes, London 1854; Id., The Stūpa of Bharhut, London 1879; J.H. Marshall - A. Foucher - N.G. Majumdar, The Monuments of Sāñchi, Calcutta 1940; H.D. Sankalia - S.B. Deo - Z.D. Ansari, Chalcolithic Navdatoli: the Excavations of Navdatoli, 1957-59, Poona 1971; H.D. Sankalia, The Prehistory and Protohistory of India and Pakistan, Poona 1974; V.S. Wakankar - R.R. Brooks, Stone Age Painting in India, Bombay 1976; J. Jacobson, Investigations of Late Stone Age Cultural Adaptations in the Central Vindhyas, in Man and Environment, 4 (1980), pp. 65-82; G.R. Sharma - J.D. Clark, Palaeoenvironments and Prehistory in the Middle Son Valley, Madhya Pradesh, North-central India, Allahabad 1983; Y. Mathpal, Prehistoric Rock Paintings of Bhimbetka, Central India, New Delhi 1984; R.P. Pandey, Prehistoric Archaeology of Madhya Pradesh, Delhi 1987; A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, Leiden 1990; E. Neumayer, Lines on Stone. The Prehistoric Rock Art of India, New Delhi 1993; D.K. Chakrabarti, India. An Archaeological History, Oxford - New Delhi 1999.
di Jonathan M. Kenoyer
La diversità geografica dell'India occidentale, l'andamento variabile delle precipitazioni e il tracciato delle principali reti fluviali hanno favorito lo sviluppo di culture regionali distinte, le quali hanno peraltro tratti fondamentali comuni nella tecnologia, nelle strategie di sussistenza, ma anche nel livello di complessità sociale. Climaticamente il Rajasthan può essere suddiviso in due macroaree. A ovest dei Monti Aravalli vi è la zona desertica, in gran parte costituita da una pianura alluvionale coperta di dune sabbiose (sebbene numerose aree siano libere dalla sabbia), pressoché priva di acque di superficie e molto scarsa di precipitazioni. Tuttavia i suoli mostrano una buona fertilità che permette alcune coltivazioni durante la stagione umida (miglio, lenticchie) e la crescita di alberi, arbusti e copertura erbacea. Tale ambiente ha favorito l'affermarsi di un'economia di tipo pastorale nomade, integrata dalla caccia e dalla raccolta. A oriente degli Aravalli invece vi sono sistemi fluviali (Chambal, Banas), alcuni dei quali perenni, grazie ai quali sono possibili coltivazioni più varie (canna da zucchero, riso, orzo, malto, cotone) e, nelle zone rocciose, estesi terreni di pascolo per caprovini e cammelli.
Sulla base degli scavi più recenti, il Calcolitico può suddividersi in tre sottoperiodi: antico, maturo e tardo. Nel Rajasthan il Calcolitico antico (3200-2600 a.C.) comprende sia le culture delle fasi antiche di Ahar e Banas (Rajasthan centrale), sia la fase antica della cultura di Ganeshwar-Jodhpura al Nord. Il Calcolitico maturo (2500-2000 a.C.) è ben rappresentato in siti quali Balathal e Gilund, ma include a nord anche il tardo Ganeshwar-Jodhpura, che può aver avuto contatti diretti con la Civiltà dell'Indo attraverso il commercio di strumenti e armi di rame iniziato nella fase Ravi (3900-2800 a.C.) e proseguito nel corso della fase harappana (2600-1900 a.C.). Il Calcolitico tardo (2000-1700 a.C.) corrisponde alle fasi finali del periodo harappano e al tardo Harappano della valle dell'Indo.
La tradizione ceramica di spicco è quella della Painted Black-on-Red Ware, pur con numerose varianti regionali nelle diverse fasi. Lo strumentario litico comprende un'industria su lama (agata, calcedonio, varietà locali di selci), oggetti di pietra levigata quali asce o accette, mortai e pietre da macina. L'uso del rame è limitato e, data l'assenza di fornaci o altre tracce riconducibili a processi produttivi, si ritiene che i manufatti di rame venissero importati da siti degli Aravalli settentrionali (cultura di Ganeshwar) o da siti harappani del Gujarat e del Sind. Le abitazioni di periodo calcolitico, generalmente a pianta rettangolare o circolare, avevano la parte inferiore in conglomerato di fango e pietra, quella superiore di incannicciata intonacata con argilla e coperture di paglia intrecciata.
Nel sito di Balathal, la cui fondazione risale al 3600 a.C. circa, si assiste intorno al 2400 a.C. (momento contemporaneo alla fase harappana) allo sviluppo di un'architettura monumentale; benché alcuni studiosi siano inclini a ritenere che essa sia stata ispirata da contatti con la cultura harappana, le soluzioni architettoniche e le tecniche di costruzione impiegate sono esclusivamente locali. Al centro del sito è un recinto fortificato con un'area interna di circa 500 m2, realizzato sulla sommità di un basamento di argilla e frammenti di mattoni crudi, alto circa 70 cm; i tre piani pavimentali sovrapposti ne suggeriscono un esteso periodo di vita, benché non vi siano tracce di strutture abitative o di immagazzinaggio. Le mura, spesse 4,8 m alla sommità e 6,5 m alla base, appaiono costruite con frammenti di mattoni misti a fango e presentano una cortina (spessa 1,25 m) di pietre legate con malta di fango. Diverse strutture abitative, esterne al recinto fortificato, presentano piccole stanze rettangolari con focolari e magazzini. Una strada attraversa l'insediamento in direzione nord-sud, larga abbastanza da consentire la circolazione dei carri. L'insediamento era probabilmente cinto da un muro fortificato di pietre legate da malta di fango.
Nel sito di Gilund, un vasto ed enigmatico edificio a compartimenti si data al Calcolitico maturo; lo spazio interno è definito da pareti divisorie parallele che originariamente potrebbero avere avuto la funzione di magazzini, ma che successivamente furono riempite di detriti. Alcuni studiosi hanno collegato tale edificio al cosiddetto Granaio di Harappa, ma il confronto appare infondato data la enorme differenza di scala e di assetto degli edifici. Inoltre, la funzione della struttura di Gilund (come quella della stessa struttura di Harappa, nonostante il nome a essa attribuito) resta sconosciuta; in una buca, scavata all'interno dell'edificio durante il Calcolitico tardo, sono state rinvenute diverse cretule d'argilla con impronte di sigilli geometrici, forse indizio di un controllo del commercio da parte di alcune comunità locali; allo stato attuale delle ricerche, tuttavia, non è possibile specificare né l'eventuale natura dei beni né chi fossero le controparti commerciali.
Statuette di terracotta raffiguranti tori, ma anche personaggi maschili e femminili, sono state rinvenute nella maggior parte dei siti; si tratta probabilmente di offerte votive, di un genere molto diffuso in tutta l'area della valle dell'Indo e nel suo versante occidentale. Le sepolture calcolitiche sono alquanto semplici e funzionali. Nessuna di queste comunità si è mai evoluta a livello statale vero e proprio, ma alcuni siti (tra cui Balathal e Gilund) furono probabilmente centri regionali di organizzazioni di tipo chiefdom, come suggerisce la presenza di siti di grandi e piccole dimensioni, indicativi di una gerarchia insediamentale. Stili ceramici ben definiti su base regionale, una marcata specializzazione artigianale e reti regionali di scambio sono indicatori altrettanto importanti di un rimarchevole livello di complessità sociale. Anche l'architettura monumentale, come le fortificazioni o gli edifici a compartimenti di Gilund e Balathal, riflette una precisa gerarchia sociale e la necessità di preservarne l'ordine. Le culture calcolitiche del Rajasthan conoscono un improvviso declino intorno al 1000 a.C., probabilmente in conseguenza di una prolungata siccità.
R.C. Agrawala - V. Kumar, Ganeshwar-Jodhpura Culture: New Traits in Indian Archaeology, in G.L. Possehl (ed.), Harappan Civilization, New Delhi - Oxford 1982, pp. 125-34; V.S. Shinde, Settlement Pattern of the Savalda Culture: the First Farming Community of Maharashtra, in BDeccan, 49 (1990), pp. 417-23; Id., Chalcolithic Phase in Western India (Including Central India and the Deccan Region), in K. Paddayya (ed.), Recent Studies in Indian Archaeology, New Delhi 2002, pp. 157-88.
di Giovanni Verardi
L'interesse per la Civiltà dell'Indo e il periodo che a essa seguì ha portato, soprattutto nell'India occidentale, a un netto declino nell'indagine dei siti di epoca storica. Dopo gli scavi degli anni 1920 e 1930, che furono condotti con criteri non scientifici, non sono stati molti i siti indagati nel Rajasthan, spesso non pubblicati o resi noti in maniera inadeguata. Sono eccezioni gli scavi di Rang Mahal, sito la cui sequenza ricade interamente in epoca storica, e Ahar, il cui deposito più recente è di orizzonte storico. Il quadro che è possibile tracciare è piuttosto generico e la regione non emerge con le caratteristiche specifiche che potremmo attenderci da una vasta area di confine tra la parte più occidentale del Subcontinente, l'India gangetica e l'India centrale.
I siti più antichi, caratterizzati dalla Painted Grey Ware (PGW), sono Noh nel distretto di Bharatpur, non lontano da Mathura, Rairh, Jodhpura, nel distretto di Jaipur, e Rer, nella regione della Ghaggar/Sarasvati. A Noh, a Jodhpura e a Rer alla PGW è ancora associata la Black-and-Red Ware (BRW) della precedente fase calcolitica e a Noh anche punte di freccia di ferro e dischi ceramici smerlati o decorati sul bordo con motivo a triangoli. La Northern Black Polished Ware (NBPW) è presente, in seguito, nei siti più a oriente, mentre solo pochi frammenti sono documentati in siti quali Nagari, a nord di Chitor. Oltre che ad Ahar, dove compare piuttosto tardi, la NBPW è attestata a Bairat e a Noh, dove è associata a ceramica grigia, oggetti di rame e ferro, monete prive di leggenda e strutture parziali di crudo.
Il Rajasthan fu una regione importante in epoca Maurya e nei secoli che seguirono. È ben noto il sito di Bairat, dove oltre a un tempio vi sono anche due iscrizioni di Ashoka. Monete punzonate (IV-II sec. a.C.) provengono da Sambhar (la Sakambhari capitale della dinastia medievale dei Chahamana, distretto di Jaipur); si tratta di un sito di circa 600 × 550 m scavato nel 1884 e di nuovo nel 1936-38, dove sono state rinvenute anche monete indo-greche (presenti anche ad Ahar). Grande interesse per la storia religiosa dell'India antica ha il sito di Nagari sul fiume Berach, identificato con Madhyamika, sede del janapada degli Shibi, di cui sono state rinvenute quattro monete. Nel vicino villaggio di Gosundi fu scoperta un'iscrizione dedicata a Vasudeva e Sankarshana (due dei "cinque eroi" il cui culto confluirà, nella tarda antichità, nel vishnuismo), dovuta a un sovrano che si dichiara bhāgavata, e che ricorda la costruzione di una balaustra intorno al recinto di Narayana. Ascrivibile alla seconda metà del II sec. a.C., è la prima testimonianza che esistevano templi dedicati a Vasudeva e che tra i seguaci del culto vi erano anche brahmani. Gli scavi condotti a Nagari nel 1920 portarono alla luce i muri di fondazione di una struttura ellittica (13 × 7 m), molto probabilmente relativa al culto bhāgavata, simile a quella di Besnagar presso Vidisha. I livelli del II sec. a.C. sono caratterizzati, ad Ahar e soprattutto a Rairh, dai tipici pozzi ad anelli di terracotta (ringwells).
Tra la fine del I sec. a.C. e i primi secoli d.C., non diversamente dal resto dell'India, si assiste in Rajasthan a un grande sviluppo urbano accompagnato da una rinnovata, intensa produzione artigianale e industriale. Il grande sito calcolitico di Balathal, circa 40 km a est di Udaipur, fu parzialmente rioccupato in questo periodo. Si tratta di un centro industriale dove sono state esposte fornaci per la fusione del ferro, circolari e a copertura conica, nei pressi delle quali sorgevano le abitazioni degli artigiani, di pianta quadrata, con silos e giare per granaglie. Le miniere di ferro da cui proveniva la materia prima erano a Isval, 50 km a ovest, e a Bhoyonki Pancholi, 20 km a sud. Grandi quantità di scorie di ferro provengono da Sambhar e Rairh. La scala produttiva indica una specializzazione industriale non occasionale ma continua, destinata a un mercato molto vasto, come già indicavano le centinaia di monete punzonate rinvenute a Rairh. Tra i materiali rinvenuti si segnalano, a Balathal, ornamenti personali di avorio, vetro, terracotta e pietre semipreziose, le usuali immagini votive di terracotta umane e animali, dischi, sfere, pesi, lampade, ecc. A Sambhar sono stati ritrovati alcuni oggetti d'oro, rari in India (un leone alato, una placchetta a forma di cuore, un grano di collana). A Noh, nel II-III sec. d.C. sono state osservate otto fasi strutturali in cui sono comuni i mattoni cotti, canali di scolo coperti e strutture interpretate come altari per oblazioni. È attestata ceramica stampata con triratna e swastika, bene attestata nella Mathura coeva, monete dei Mitra di Mathura, placche con mithuna e una terracotta rappresentante Vasudhara. Affatto particolare è il sito di Rang Mahal, sorto nel III sec. d.C. e caratterizzato da una particolare ceramica decorata che ha indotto a parlare di una particolare "cultura". I siti che le appartengono, tutti situati nella media valle della Sarasvati, sono una trentina, solo in piccola parte scavati.
Dalla Nagari del V sec. d.C. provengono due iscrizioni che ricordano i rituali vedici dell'aśvamedha e del vājapeya; della stessa epoca sono forse le fortificazioni in pietra. I resti di un tempio sono ascrivibili al periodo tardo o post-Gupta (VI sec.). Terrecotte Gupta provengono da Sambhar e, particolarmente celebri e studiate, da Suratgarh, oggi nel Museo di Bikaner. La riduzione o la scomparsa dei centri abitati si accentuano dal VII secolo in poi. Decadenza e povertà del sito sono state documentate a Noh nei livelli del VII-VIII secolo.
Notizie degli scavi in: IndAR 1958-59, p. 74; 1962-63, pp. 19, 31; 1972-73, p. 29; 1993-94, pp. 93-98; 1995-96, p. 70; 1996-97, pp. 98, 100.
In generale:
D.R. Bhandarkar, The Archaeological Remains and Excavations at Nagari, Calcutta 1920; K.P. Jayaswal, The Ghosundi Stone Inscription, in Epigraphia indica, 16 (1921-22), pp. 25-27; H. Goetz, The Art and Architecture of the Bikaner State, Oxford 1950; H. Rydh, Rang Mahal (Acta Archaeologica Lundensia), Lund 1959; H.D. Sankalia - S.B. Deo - Z.D. Ansari, Excavations at Ahar (Tambavati), Poona 1969; A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, I, Leiden 1990, pp. 137-38; II, pp. 186-87, 299, 318-19, 386-87, 375; D.R. Sahni, Archaeological Remains and Excavations at Sambhar, Jaipur s.d.
di Massimo Vidale
Sito archeologico nella parte sud-orientale del Rajasthan, presso l'attuale Udaipur, ai margini della valle del fiume Banas e dei suoi tributari.
Scoperto da R.C. Agrawala nel 1954-55, fu scavato da H.O. Sankalia nel 1961-62. Per il Calcolitico (seconda metà del III - ultimo quarto del II millennio a.C.) A. è considerato il sito-tipo della cosiddetta "cultura del Banas", una delle più importanti dell'India peninsulare. Gli scavi hanno rivelato per circa due terzi strati di età protostorica, caratterizzati dalla presenza di una ceramica tornita dipinta (Black-and-Red Ware, classe tuttavia ancora mal definita e che, nonostante la specificità del termine, non corrisponde a una precisa identità archeologica) e riferiti al periodo I; questo è diviso, sulla base delle variazioni nella ceramica, nelle tre fasi IA-C, che datazioni radiometriche collocano tra il 2600 e il 1500 a.C. circa. I più antichi momenti insediativi, quindi, sarebbero contemporanei al periodo di massima espansione della civiltà harappana.
Oltre alla ceramica rossa e nera, spesso con decorazione dipinta in bianco a linee parallele, cerchi e spirali, A. ha restituito anche altri tipi: con ingubbiatura color crema e decorazione dipinta in nero; con ingubbiatura rossa; grigia con decorazione incisa o applicata. Nei livelli della fase IC compare ceramica rossa con levigatura a lustro (Lustrous Red Ware). Sono stati scavati a vari livelli resti di abitazioni con basamenti in lastre di scisto ed elevato di argilla cruda, forse con supporti lignei intrecciati e intonacati, e tetti piatti ricoperti di bambù e paglia. Ciottoli di quarzo e ghiaia provenienti dal vicino letto fluviale venivano inglobati nelle mura e nei pavimenti delle abitazioni, forse anche con finalità decorative. Le abitazioni accoglievano giare interrate, macine e file di focolari domestici (chulhas) di forma rettangolare. Alcune forme ceramiche, in particolare la coppa su alto piede (bowl on stand), sono state messe in relazione con il repertorio harappano. Ricco il novero degli oggetti di terracotta: figurine, giocattoli, scatole, lampade, fusaiole decorate, crogioli, ornamenti da orecchio (ear-studs), bracciali, tavolette abrasive (skin rubbers) ed elementi di collana (questi ultimi realizzati anche in pietra, conchiglia, faïence e vetro). Malgrado l'esiguità dell'area scavata, A. ha restituito diversi ornamenti e un deposito di quattro asce di rame, nonché frammenti di minerali e scorie, che documentano una metallurgia economicamente rilevante e di elevata qualità. Rari sono invece i manufatti litici e microlitici. Sono attestati, nel periodo I, la coltivazione di riso e miglio, l'allevamento di bovini, pecore, capre e maiali, la caccia (Cervidi) e la pesca. Il periodo II coincide con l'introduzione del ferro (anche se le stratigrafie non sono del tutto chiare e i primi oggetti di ferro potrebbero essere più antichi) e con la comparsa di classi ceramiche di prima età storica. Il periodo IIA è infatti caratterizzato dalla presenza di ceramica NBPW (Northern Black Polished Ware) e sigilli databili al III sec. a.C.; il IIB si associa a ceramiche di età Kushana e a monete indo-greche. Infine, gli strati superiori (periodo IIC) sembrano contenere ceramiche tardomedievali, le più recenti delle quali si datano al XVIII secolo.
H.D. Sankalia - S.B. Deo - Z.D. Ansari, Excavations at Ahar (Tambavati), Poona 1969; H.D. Sankalia, Prehistory and Protohistory of India and Pakistan, Poona 1974, pp. 404-22; D.P. Agrawal, The Archaeology of India, Guildford 1982, pp. 210-14; B. Allchin - R. Allchin, The Rise of Civilization in India and Pakistan, Cambridge 1982, pp. 262-64; R. Hooja, The Ahar Culture and beyond. Settlements and Frontiers of "Mesolithic" and Early Agricultural Sites in South-Eastern Rajasthan c. 3rd-2nd Millennia B.C., Oxford 1988; G.L. Possehl - P. Rissman, The Chronology of Prehistoric India: from Earliest Times to the Iron Age, in R.W. Ehrich (ed.), Chronologies in Old World Archaeology, Chicago - London 19923, pp. 465-74.
di Giuseppe De Marco
Località 66 km a nord di Jaipur (Rajasthan), nota per i resti di un'area sacra buddhista e per due iscrizioni su roccia di Ashoka (272-232 a.C.); il pellegrino cinese Xuan Zang vi notò nel VII sec. d.C. otto monasteri buddhisti in rovina.
Una prima descrizione del sito fu redatta nel 1864-65 da A. Cunningham, che identificò B. con Virata, capitale del territorio tribale dei Matsya. Scavi sistematici del sito intrapresi negli anni Trenta del XX secolo portarono alla luce i resti di un complesso buddhista in muratura su due terrazze della collina nota come Bijiak-ki-pahari ("Collina dell'Iscrizione"): un monastero sulla terrazza superiore, cui si accedeva mediante un'ampia scalinata ora scomparsa, e un santuario a pianta circolare su quella inferiore.
Il santuario, come risulta dagli studi recenti di D. Mitra, era formato da due muri concentrici, il più interno dei quali, composto da pannelli in muratura alternati a 27 (?) pilastri lignei, racchiudeva uno stūpa. Lo spazio tra i due muri costituiva il corridoio per la circumambulazione rituale. La copertura lignea del santuario doveva essere simile a quella rappresentata nella grotta n. 9 di Kondivte e in una grotta di Guntupalle. In un secondo momento l'insieme fu racchiuso entro un muro rettangolare su tre lati (escluso quello a est, dov'era probabilmente una sala per le adunanze), configurandosi così come vero e proprio prototipo dei più tardi ambienti rupestri al cui interno è uno stūpa (caityagṛha).
Santuario e monastero sono attribuiti all'epoca di Ashoka non solo per le due iscrizioni, ma anche per i resti di pilastri nella tipica arenaria di Chunar e per un ombrello (chattra) di stūpa, che mostra la politura ritenuta anch'essa tipica dell'epoca Maurya. La tipologia di alcune figurine di terracotta, un gruppo di monete punzonate e monete indo-greche sembrano confermare questa datazione alta del complesso, che rimase comunque in vita sino al I sec. d.C. La ceramica, recuperata nel corso di un breve, recente scavo, è stata attribuita a quattro periodi e va, con un intervallo corrispondente al periodo indo-greco, dall'ultima fase della Painted Grey Ware, associata alla Northern Black Polished Ware, fino all'epoca medievale.
A. Cunningham, Four Reports Made during the Years 1862-63-64-65, Simla 1871, pp. 242-49; A.C.L. Carlleyle, Report of a Tour in Eastern Rajputana in 1871-72 and 1872-73, Calcutta 1878, pp. 91-103; D.R. Sahni, Archaeological Remains and Excavations at Bairat, Jaipur 1937; D. Mitra, Buddhist Monuments, Calcutta 1971, pp. 42-44, 135; P.K. Andersen, Studies in the Minor Rock Edicts of Aśoka, Freiburg 1990, pp. 25-27.
di Giuseppe De Marco
Località del Madhya Pradesh, identificata con l'antica Vidisha, importante città mercantile sul dakṣiṇāpatha (via meridionale), conosciuta dalle fonti per la sua prosperità.
I resti dell'antica città, individuati nel 1880 da A. Cunningham 3 km a nord-ovest del centro moderno di Vidisha, si estendono su una superficie di 7 km2 e sono racchiusi su tre lati dai fiumi Betwa e Bes, mentre a ovest sono protetti da una fortificazione preceduta da un fossato. B. è però soprattutto nota per un pilastro di arenaria rosa scuro, alto circa 5,4 m, installato in una piattaforma (chabutra) di epoca posteriore; esso fu segnalato da Cunningham insieme a tre capitelli, di cui uno rinvenuto nei suoi pressi. Il pilastro, oggetto di culto da parte di una locale setta shivaita, si presentava così incrostato dalle oblazioni rituali che Cunningham, pur ipotizzando la presenza di un'iscrizione, non poté leggerla, finendo con l'attribuire il monumento al periodo Gupta. Solo nel 1909, nel corso di una breve campagna di scavo da parte di H.H. Lake, l'iscrizione venne messa in luce e l'anno seguente decifrata da J. Marshall e altri. In caratteri brāhmī del II sec. a.C., essa descrive il pilastro come Garuḍa-dhvaja (stendardo di Garuda), fatto erigere in onore di Devadeva Vasudeva da Heliodoros, figlio di un certo Dion di Taxila e ambasciatore del re indo-greco Antialkidas (125-100 a.C. ca.) alla corte del sovrano Kashiputra Bhagabhadra, da molti identificato con Bhadraka della dinastia Shunga (185-75 a.C.).
I primi scavi sistematici del sito furono condotti dal 1913 al 1915 da D.R. Bhandarkar, ma la presenza dell'abitazione dell'officiante della locale comunità religiosa sul luogo dove si riteneva potesse trovarsi un tempio dedicato a Vasudeva si rivelò un ostacolo insormontabile. Il saggio a ridosso del pilastro mostrò comunque il proseguimento di esso al di sotto della piattaforma e altri particolari delle sue fondazioni. Furono anche scoperti i resti di una doppia balaustra non decorata, di cui l'una aperta e l'altra chiusa, costituita da grosse lastre, e di un canale d'irrigazione in muratura (largh. 2 m ca., alt. 1,8 m), che Bhandarkar attribuì al periodo Maurya (324-185 a.C.) o a epoca anteriore. Resti di strutture a cisterna rinvenuti sulla strada di Udayagiri furono identificati come fosse sacrificali (yajñakuṇḍa). Successivi scavi, condotti dal 1963 al 1965 sotto la direzione di M.D. Khare, hanno individuato sei periodi di occupazione: periodo I (A, B), caratterizzato dall'assenza di ceramica e da utensili microlitici; periodo II o Calcolitico (A, B; 1800-900 a.C.), che registra, nella seconda fase (IIB), la presenza di Painted Grey Ware (PGW); periodo III (A, B e C), associato a ceramica nera e rossa, a una piccola quantità di utensili in ferro (IIIA) e alla comparsa di Northern Black Polished Ware (NBPW), di monete punzonate e di terrecotte figurate con la "dea madre" (IIIB). I rapporti di scavo, estremamente sintetici, non offrono un quadro dettagliato dei periodi successivi che, sulla base delle monete, dei sigilli con iscrizioni e di altri ritrovamenti, sono stati così definiti: Shunga-Satavahana (periodo IIIC); Naga-Kushana (periodo IVA); Kshatrapa-Gupta (periodo IVB). Il periodo V è definito "recente" (late historical) senza ulteriori precisazioni, mentre il periodo VI comprende il Medioevo e l'età moderna.
Sulla base d'inferenze più che di veri e propri dati archeologici, nei resti di una struttura ellittica fu identificata la prima fase costruttiva del tempio di Vasudeva (datata al IV-III sec. a.C.), caratterizzata da un plinto in muratura e da una sovrastruttura di legno, paglia e fango. Distrutto dalle inondazioni, esso sarebbe stato ricostruito nel 200 a.C. e racchiuso in muri di contenimento; di questo secondo tempio non si rinvennero tuttavia tracce. Vennero invece alla luce, a est della struttura ellittica, le buche per sette pilastri allineati con quello di Heliodoros e a esso contemporanei. Il fatto che nell'iscrizione Heliodoros si professi seguace della dottrina Bhagavata e che la stessa iscrizione fosse apposta su un pilastro sostenente un capitello con Garuda (l'aquila veicolo di Vishnu), ha indotto a lungo a identificare Vasudeva con Vishnu e, in definitiva, questo culto con una sorta di protovishnuismo. Recentemente, sulla base di confronti con iconografie attestate nella monetazione battriana di epoca indo-greca e nella tradizione figurativa di epoca Kushana e Gupta, H. Härtel ha invece collegato in maniera convincente tali espressioni al culto molto più antico e ampiamente diffuso dei "cinque eroi" (pañcavīra), tra cui, appunto, Vasudeva.
Tra il materiale rinvenuto a B., oltre a numerosi sigilli, figurine di terracotta umane e animali e oggetti minori in metallo, si segnalano soprattutto un'imponente immagine (alt. 3,43 m) di Kubera datata al periodo Shunga (100 a.C. ca.) e conservata nel locale Museo di Vidisha, una raffigurazione della Ganga di epoca Gupta (400-415 d.C.), al Museo di Boston, e un'immagine di mātṛka, al Museo di Gwalior.
A. Cunningham, Report of Tours in Bundelkhand and Malwa in 1874-75 and 1876-77, Calcutta 1880, pp. 36-46; J.Ph. Vogel, The Garuḍa Pillar of Bēsnagar, in ASIAR, 1908-1909, pp. 126-29; H.H. Lake, Besnagar, in Journal of the Bombay Branch of the Royal Asiatic Society, 23 (1909-14), pp. 135-45; D.R. Bhandarkar, Excavations at Besnagar, in ASIAR, 1913-14, pp. 186-226; Id., Excavations at Besnagar, ibid., 1914-15, pp. 66-88; B.C. Law, Vidiśā in Ancient India, in Journal of the Ganganatha Jha Research Institute, 9 (1951), pp. 1-10; D. Khare, Discovery of a Vishṇu Temple near the Heliodoros Pillar, Besnagar, Dist. Vidisha (M.P.), in LalitKala, 13 (1967), pp. 21-27; R.C. Agrawala, Unpublished Yaksha-Yakshī Statues from Besnagar, ibid., 14 (1969), pp. 47-49; J. Irwin, The Heliodoros Pillar: a Fresh Appraisal, in Art and Archaeology Research Papers, 6 (1974), pp. 1-13; H. Härtel, Archaeological Evidence of the Early Vāsudeva Worship, in G. Gnoli - L. Lanciotti (edd.), Orientalia Iosephi Tucci Memoriae Dicata, II, Roma 1987, pp. 573-87; M.D. Khare, s.v. Besnagar, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, p. 62.
di Massimo Vidale
Sito del Madhya Pradesh, posto ai margini settentrionali dei Monti Vindhya, presso il villaggio di Bhiyanpur (distretto di Raisen). B. è il principale di una serie di rilievi affacciati a scarpata sulla valle del fiume Narmada, che qui corre parallelo ai Vindhya; da esso prendono nome le centinaia di siti preistorici qui individuati dopo le prime scoperte di V.S. Wakankar, nel 1957.
L'insediamento umano preistorico vi trovava un ambiente naturale favorevole, caratterizzato (stando all'aspetto odierno) da fonti perenni, da una spessa vegetazione decidua con numerose specie commestibili e da una ricca fauna. La collina è costituita da una formazione di arenaria rosso-giallastra, parzialmente metamorfizzata in quarzite. Sulla cima e sui fianchi nord e ovest della collina sono stati contati non meno di 243 grotte e ripari sotto roccia con tracce di abitazione preistorica, 133 dei quali mostrano evidenze di arte rupestre, datate dalla fine del Paleolitico superiore all'età storica. La sequenza-guida di B. è fornita dal sito denominato IIIF-23, un esteso riparo contenente depositi archeologici dalla profondità massima di 4 m circa, scanditi in otto strati principali. I primi tre (8, 7, 6), datati al Paleolitico inferiore, avevano uno spessore complessivo di 2,6-2,9 m e contenevano superfici di frequentazione associate a un'industria litica tardoacheuleana su scheggia, con amigdale e raschiatoi. Nuclei, schegge e residui indicavano una produzione in loco che utilizzava prevalentemente la locale quarzite giallastra. Lo strato 5 (spess. 40-50 cm), datato al Paleolitico medio, è caratterizzato da un'industria levalloisiana su scheggia e da raschiatoi di tipo musteriano. Lo strato 4 (spess. 15-20 cm), ricco di schegge di quarzite, lame, raschiatoi laterali e frontali, è datato dalla fine del Paleolitico medio al Paleolitico superiore. Il successivo strato 3 (spess. 10-20 cm), in cui compaiono i primi strumenti microlitici, è attribuito a una fase di transizione tra Paleolitico superiore e Mesolitico. Gli strati 2 e 1 (spess. 15-35 cm ca.) sono datati al Mesolitico, anche se i livelli più superficiali hanno restituito frammenti ceramici ed elementi di collana di pietra di periodi più tardi. In questi due ultimi strati l'industria in quarzite viene sostituita da complessi microlitici realizzati con diverse varietà di quarzo criptocristallino, che includono lame e microlame, strumenti semilunati, triangoli e trapezi, oltre a percussori, macinelli e macine levigate di basalto.
Frammenti di ocra con superfici usurate rinvenuti negli strati 2 e 3 permettono di datare dalla fine del Paleolitico superiore (8000 a.C. ca.) al Mesolitico buona parte del vasto corpus di raffigurazioni rupestri individuate. In parte analoghe a quelle realizzate da altre società di cacciatori e raccoglitori in diverse parti del mondo, esse comprendono figure di animali, scene di caccia da parte di singoli e di gruppi, scene di raccolta, che compaiono sulle pareti e sui soffitti dei ripari come in piccole nicchie naturali. Le figure (di numero variabile, poche in alcuni ripari, centinaia in altri) sono realizzate mediante pennelli con pigmenti minerali, soprattutto rosso e bianco, ma anche giallo, arancio, bruno, verde e nero. Lo studio stilistico-stratigrafico ha permesso agli studiosi indiani di suddividerle in tre complessi cronologici successivi. Nelle pitture più antiche, definite "preistoriche" o "mesolitiche", i corpi degli animali sono riempiti con motivi astratti o geometrici; animali selvatici di grande e media taglia, isolati o in branchi, sono raffigurati al pascolo o in fuga dai cacciatori che, a volte mascherati e armati di strumenti microlitici, li spingono entro trappole o giù da dirupi. In una scena non meno di 80 individui, forniti di archi e strumenti musicali, sembrano partecipare a una grande caccia comune. In altre scene appaiono individui che sembrano portare reti o trappole contenenti animali, cinghiali e rinoceronti che attaccano i cacciatori, animali rappresentati con i piccoli o in stato di gravidanza, che suggeriscono un interesse per pratiche di domesticazione. Più rare sono le scene di caccia a specie minori (tartarughe, uccelli), di raccolta (miele, frutta) o di attività rituali o di socializzazione. Nel secondo complesso, che viene fatto risalire a un "periodo di transizione" corrispondente al Calcolitico, sono raffigurati animali domestici, tra cui lo zebù. Il terzo complesso, infine, è datato a età storica (tra il 600 a.C. e il 600 d.C. ca.): vi compaiono figure umane su cavalli e su elefanti, a volte con armi di metallo, forse impegnate in processioni reali.
V.S. Wakankar, Bhimbetka Excavation, in Journal of Indian History, 51 (1973), pp. 23-33; P.K. Thomas, Role of Animals in the Food Economy of the Mesolithic Cultures of Western and Central India, in A.T. Clason (ed.), Archaeozoological Studies, Amsterdam 1975, pp. 322-28; S.K. Pandey, Prehistoricity of Indian Rock Paintings, in U.V. Singh (ed.), The Late Harappan and Other Chalcolithic Cultures of India. Archaeological Congress and Seminar 1972 (Kurukshetra, 19-21 November 1972), Kurukshetra 1976, pp. 122-29; V.S. Wakankar - R.R. Brooks, Stone Age Paintings in India, Bombay 1976; V.N. Misra - Y. Mathpal - M. Nagar, Bhimbetka: Prehistoric Man and its Environment in Central India, Pune 1977; V.N. Misra, The Acheulian Industry of Rock Shelter IIIF-23 at Bhimbetka, Central India, in AustralianA, 8 (1978), pp. 63-106; M. Nagar, Ethnoarchaeology of the Bhimbetka Region, in Man and Environment, 7 (1983), pp. 61-69; E. Neumayer, Prehistoric Indian Rock Painting, Delhi 1983; Y. Mathpal, The Prehistoric Rock Art of Bhimbetka, Central India, New Delhi 1984; V.N. Misra, The Acheulian Succession at Bhimbetka, Central India, in V.N. Misra - P. Bellwood (edd.), Recent Advances in Indo-Pacific Prehistory. Proceedings of the International Symposium (Poona, 19-21 December 1978), New Delhi 1985, pp. 35-48; Vishnu-Mittre, The Uses of Wild Plants and the Processes of Domestication in the Indian Sub-continent, ibid., New Delhi 1985, pp. 281-91; M.S. Alam - V.N. Misra, Quantitative Composition and Functional Aspect of the Paleolithic Assemblages of Rock Shelter III F-23 at Bhimbetka, in Man and Environment, 17 (1992), pp. 21-34.
di Giovanni Verardi
Località indiana (antica Airikiṇa) situata sulla riva sinistra del fiume Bina (Venva), affluente della Betwa, con cui forma uno dei sistemi fluviali più importanti, dal punto di vista storico-archeologico, dell'India centro-settentrionale.
Nell'insediamento urbano sono stati individuati quattro periodi di occupazione. Il primo si fa coincidere con la cultura calcolitica dell'India centrale, caratterizzata da ceramica grigia; verso la fine del periodo si osserva la costruzione di mura urbane di argilla. Nel secondo periodo sono documentati mattoni cotti (ma nessuna struttura è stata individuata e portata alla luce) associati a ceramica rossa e ad alcuni interessanti oggetti, tra cui una pastiglia di cuoio impressa con la leggenda, in caratteri di epoca Maurya, raño Idagutasa, "del re Indragupta". Vanno ricordati a questo proposito i ritrovamenti di monete, tra cui un raro esemplare quadrato del III sec. a.C. recante il nome di un sovrano, Dharmapala. Nei primi secoli della nostra era (periodo III), quando compare la ceramica rossa polita che si associa comunemente alla ceramica romana, vi sono resti strutturali e, tra gli oggetti, numerose monete Naga, Shaka, indo-sasanidi e Gupta. Le mura di pietra ancora visibili risalgono al quarto periodo, tardomedievale.
L'area sacra si trova a meno di 1 km a ovest dell'abitato e consiste dei resti di quattro templi, aperti verso oriente, di epoca Gupta (parzialmente ripresi in epoca medievale), con immagini di Vishnu e di suoi avatāra ("discese") la cui pertinenza alle singole strutture è problematica, di un toraṇa, o portale di accesso, e di un garuḍastaṃbha (colonna con l'aquila di Vishnu). L'impianto del santuario riflette probabilmente un coerente programma cultuale del V sec. d.C., anche se la prima testimonianza archeologica è un'iscrizione su arenaria di Samudragupta (ca. 345-380 d.C.), il massimo sovrano della dinastia Gupta. L'area sacra ha esclusivo carattere vishnuita, in accordo con i presupposti politico-ideologici dei sovrani e feudatari Gupta al cui patrocinio fu dovuta, tesi ad affermare un tipo di egemonia politica coincidente con l'ortodossia neobrahmanica rappresentata sul piano religioso dal vishnuismo.
La scultura più antica del sito risale agli inizi del V secolo ed è quella di Narasimha, avatāra in forma di uomo-leone che dilania il mitico re Hiranyakashipu (shivaita, secondo una tradizione), un'iconografia legata ad ambiente kṣatriya; agli anni 450-480 d.C. è attribuita l'imponente immagine nimbata di Vishnu a quattro braccia, alta più di 4 m, con la tipica, alta corona e lunga ghirlanda (vanamālā); agli anni 470-485 d.C. sembra datare l'immagine antropomorfa di Varaha, una delle più belle sculture indiane, rappresentante il dio che in forma di cinghiale trae dall'abisso la Terra, raffigurata come una giovane donna aggrappata a una delle sue zanne. Questa particolare iconografia, diffusasi in epoca Gupta e post-Gupta a partire dagli anni intorno al 400 d.C. (si consideri il grande rilievo rupestre di Udayagiri presso Vidisha), è strettamente legata alla committenza regale, che fonda un'equivalenza tra mito cosmogonico (il cinghiale che fa emergere la Terra dal caos) e sovranità ortodossa (il sovrano che riporta l'ordine sulla terra già retta da lignaggi e dinastie eterodosse).
La scultura più impressionante di E. è forse quella di Varaha in forma interamente teriomorfa dovuta alla committenza del fratello minore di Dhanyavishnu, scolpita intorno al 490 d.C. secondo alcuni o nel 510 d.C. secondo altri. È la prima immagine di Varaha di questo tipo, il corpo del dio-cinghiale suddiviso in fasce orizzontali fittamente riempite dalle figure dei ṛṣi ("veggenti"), barbati e con le fiaschette rituali per l'acqua, che secondo il mito si afferrano alle sue setole. Tra le zampe del cinghiale si notano le spire di un serpente e due dee-serpenti (nāginī), che alludono alle acque primordiali, mentre alla zanna destra del dio si aggrappa la Terra. Tra il collo e la spalla del cinghiale si trova un'iscrizione datata al I anno di Toramana, sovrano di quegli Eftaliti che corsero l'India nord-occidentale e centrale sul finire dell'epoca Gupta, i quali, nel tentativo di fondare un loro potere politico, provarono a far propria l'ideologia imperiale dei Gupta.
K.D. Bajpai, Excavation at Eran, District Sagar, Madhya Pradesh, in IndAR, 1960-61, pp. 17-18; 1961-62, pp. 24-25; 1962-63, pp. 11-12; 1963-64, pp. 15-16; 1964-65, pp. 16-18; U.V. Singh, Eran. A Chalcolithic Settlement, in Bulletin of Ancient Indian History and Archaeology (University of Saugar/Sagar), 1 (1967), pp. 29-38; J.C. Harle, Gupta Sculpture, Oxford 1974, pp. 11-12, 37-39; B. Chhabra - G.S. Gai (edd.), Corpus Inscriptionum Indicarum, III. Inscriptions of the Early Gupta Kings. Revised by D.R. Bhandarkar, New Delhi 1981, passim; J.G. Williams, The Art of Gupta India. Empire and Province, Princeton 1982, passim; M.W. Meister - M.A. Dhaky - K. Deva (edd.), Encyclopaedia of Indian Temple Architecture. North India. Foundations of North Indian Style c. 250 B.C.-A.D. 1100, Delhi 1988, pp. 33-34.
di Jonathan M. Kenoyer
Sito ubicato sulla sponda meridionale del fiume Narmada, di fronte alla città di Maheshwar, nell'omonimo distretto del Madhya Pradesh; costituito da quattro bassi mounds separati da gole di erosione, si estende su un'area di circa 27 ha.
Gli scavi furono intrapresi dal Deccan College di Poona negli anni 1951-53 e 1957-59. L'occupazione del Calcolitico è stata suddivisa in quattro fasi, che presentano una sostanziale continuità della cultura materiale, ma con leggere differenze nei tipi ceramici. Un terzo della ceramica proveniente dal sito, in tutte e quattro le fasi, è costituito dalla cosiddetta Malwa Ware, attestata anche a Eran e a Nagda, sempre nel Madhya Pradesh, e a Inamgaon nel Maharashtra; essa è caratterizzata da una superficie camoscio o arancio con decorazione dipinta in nero o marrone; l'impasto in genere presenta inclusi vegetali, anche se non manca una produzione più fine, segnatamente a Eran. L'insediamento più antico, databile intorno al 1700 a.C., si imposta sul terreno vergine. Oltre alla Malwa Ware, questa fase di occupazione è contraddistinta dalla presenza di Black-and-Red Ware con decorazione dipinta. Sono documentati anche piccoli contenitori di terracotta ovali o rettangolari, con profondi versatoi a canale, utilizzati come lucerne. La fase II vede l'introduzione della produzione ceramica Cream Slipped, mentre nel corso della fase III compare una ceramica rossa con decorazione dipinta in nero, simile a quella proveniente da Jorwe. Il repertorio decorativo è molto ampio e include più di 600 motivi, geometrici e fitomorfi. Nella fase finale (fase IV) è presente una gamma di contenitori di ceramica grezza, insieme a una produzione ceramica molto simile alla Lustrous Red Ware rinvenuta negli insediamenti postharappani del Gujarat. Le diverse forme includono ciotole con versatoi a canale e orlo svasato, coppe su piede e vasi di forma globulare con alto orlo svasato.
Le abitazioni, a pianta quadrata, rettangolare o circolare, erano realizzate con pali di legno e muri di canna o bambù con intonaco di fango, a volte con intonaco di malta. I pavimenti erano composti da terra pressata, mescolata con argilla e malta, i tetti da travi di legno e frasche. I focolari avevano una o due aperture e un bordo di argilla per il contenimento della cenere. L'insediamento era privo di mura difensive o bastioni e le strutture non seguivano una regolare pianificazione. Le strategie di sussistenza comprendevano la coltivazione di frumento, orzo e riso. Altre piante edibili erano il fagiolo nero e verde, la lenticchia, la cicerchia, i semi di lino e la frutta selvatica come giuggiole (Zizyphus jujuba) e uva spina indiana (Phyllanthus emblica). Gli animali domestici erano probabilmente utilizzati per il traino oltre che come fonte di cibo. Tra gli animali selvatici erano presenti nella dieta cervi, maiali, tartarughe e pesci.
Lo strumentario litico era realizzato principalmente con un calcedonio locale di colore latteo. Lame a margini paralleli e strumenti ritoccati come lame a dorso, microliti geometrici e trapani sono attestati nel corso delle quattro fasi di occupazione e in tutto il sito. Sono state rinvenute diverse pietre ad anello, utilizzate probabilmente come pesi per arnesi da scavo. H.D. Sankalia le interpreta come possibili teste di mazza, usate forse come armi. Un'unica ascia di pietra levigata, rinvenuta in superficie, potrebbe essere attribuita alla fase di occupazione calcolitica. Alcune asce di rame/bronzo con taglio convesso e parte di una lama costolata di spada trovate a N. sono confrontabili con manufatti di rame presenti in ripostigli della regione del Gange. In tutte le fasi di occupazione sono venuti alla luce punte di freccia, scalpelli, piccole lame di rame, bracciali e anelli. Dall'analisi preliminare di uno scalpello, di un'ascia e di un bracciale risulta la presenza di stagno (fino al 3%) e di piombo (2%), mentre non sono state rilevate tracce di arsenico. Come in tutti gli altri siti dell'India centrale, anche a N. mancano indizi di lavorazione del rame; i manufatti di questo metallo dovevano dunque essere prodotti d'importazione, provenienti dai siti più settentrionali dei Monti Aravalli, in Rajasthan.
Tra le produzioni locali si conta quella di vaghi di collana di terracotta e pietre semipreziose. Caratteristica delle fasi III e IV è la produzione di bracciali di conchiglia marina. Numerosi oggetti di osso, principalmente punte e punteruoli, erano utilizzati in tutte le fasi di occupazione di N. Non sono attestate sepolture a N., ma se ne sono trovate in altri siti dalle caratteristiche simili, come Inamgaon. Gli oggetti rituali comprendono figurine femminili di terracotta e ceramica con decorazioni applicate raffiguranti un'immagine femminile e una lucertola. Una grande fossa contenente quattro ceppi carbonizzati posti ai quattro angoli è stata interpretata come un possibile altare del fuoco di tipo vedico.
Bibliografia
H.D. Sankalia - S.B. Deo - Z.D. Ansari, Chalcolithic Navdatoli, Poona 1971; H.D. Sankalia, The Prehistory and Protohistory of India and Pakistan, Poona 1974, pp. 434-71.
di Giovanni Verardi
Località del distretto di Gwalior nell'India centrale, posta alla confluenza del Sindhu, un affluente della Yamuna, con i fiumi Parbati e Madhumati. Si tratta dell'antica Padmavati, che tra il I-II e il IV sec. d.C. costituì il principale insediamento di una delle dinastie Naga, le quali dominarono su alcune regioni dell'India centro-settentrionale tra l'epoca Kushana (I-III sec. d.C.) e Gupta (IV-VI sec. d.C.).
I Naga sono noti dalle loro monete di rame, rinvenute in grande quantità soprattutto a P. dove, tra il 1913 e il 1940, ne vennero raccolte ogni anno a migliaia. Recano simboli shivaiti come il toro, il crescente lunare, il tridente e inducono a pensare che i Naga trovassero appoggio in ambienti shivaiti. Vennero sottomessi, nella seconda metà del IV sec. d.C., da Samudragupta e il loro nome compare nella praśasti o eulogia dell'imperatore a Prayaga/Allahabad.
Le ricerche compiute a P. tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento portarono alla luce il plinto a terrazze, in mattoni cotti, di un tempio di proporzioni molto grandi (ma la cella è perduta) rispetto a qualunque altro tempio indiano della stessa epoca o anche di alcuni secoli più tardi. La terrazza inferiore, forse aggiunta alle due superiori in un secondo tempo e priva di decorazioni, è infatti lunga 44 m. Le terrazze superiori erano decorate con una serie di lesene con ghaṭa (elementi a forma di vaso) sormontate da archetti che formano un motivo noto come candraśālā, simile alle serie di archetti a caitya delle architetture rupestri buddhiste. In una posizione non precisabile, ma di certo posto a segnare l'accesso al tempio, sorgeva un toraṇa (portale) di cui rimangono alcuni frammenti scolpiti con soggetti vishnuiti, attualmente nel museo di Gwalior. Il frammento di architrave rappresenta su un lato, suddiviso in pannelli, il mito di Vishnu che, presentatosi come vāmana o nano al re Bali, si trasforma nell'Essere trascendente che con tre soli passi percorre l'intero Universo (Vishnu Trivikrama), e sull'altro, tra il dio Kumara e la sua consorte Shashthi, il mito delle acque primordiali che prendono forma grazie al serpente Vasuki usato come zangola cosmica. Si è supposto che la struttura fosse in origine una sorta di piramide a due sole terrazze con un liṅga al centro e che fosse dovuta ai Naga. I Gupta conquistatori l'avrebbero trasformata in un tempio vishnuita, aggiungendovi tra l'altro la terrazza inferiore.
Di certo i Gupta, che avevano come referenti l'autorità neobrahmanica e l'ortodossia vishnuita, perseguirono anche a P. quella stessa operazione politico-ideologica che condussero in tutti i territori che unificarono. Non lontano dal tempio venne rinvenuto anche un frammento di capitello con foglie di palma (anch'esso nel museo di Gwalior), che va considerato come l'emblema di Samkarshana, uno dei "cinque eroi" che confluirono nel culto vishnuita. Il periodo del dominio Naga non era di certo connotato in senso neo-ortodosso. Accanto allo shivaismo dell'élite va ricordato il culto degli yakṣa. Va infatti notato che a P. venne rinvenuta la celebre statua dello yakṣa Manibhadra, ora a Gwalior: databile al I-II sec. d.C. venne fatta scolpire, come recita l'iscrizione alla sua base, da una corporazione che si riconosceva come tale in base al culto reso a questa divinità. Il culto degli yakṣa, molto diffuso nella regione, sarà assai meno tollerato ‒ e comunque meno visibile sul piano delle iconografie ‒ dopo la grande unificazione Gupta.
Bibliografia
M.B. Garde, The Site of Padmāvatī, in ASIAR, 1915-16, pp. 101-109; Id., Excavations at Pawāyā, ibid., 1924-25, p. 165; H.V. Trivedi, Catalogue of the Coins of the Nāga Kings of Padmāvatī, Gwalior 1957; J.G. Williams, The Art of Gupta India. Empire and Province, Princeton 1982, passim.
di Giovanni Verardi
Antico abitato posto entro un'ansa del fiume Dhil, un affluente del Banas, a circa 70 km da Jaipur nel Rajasthan.
Il sito è stato indagato tra il 1938 e il 1940 dopo la scoperta di un ripostiglio di 326 monete punzonate d'argento, a cui si aggiunsero altri ripostigli per un totale di oltre 3000 monete. Il sito, occupato nel III-II sec. a.C., visse fino al II sec. d.C., ma vi sono tracce di occupazione parziale fino alla prima epoca Gupta (IV sec.). L'abitato fu abbandonato e rioccupato per tre volte, senza che vi si osservi discontinuità culturale. All'ultima fase sono attribuibili le monete Malava rinvenute in superficie; alla tribù dei Malava si attribuisce la fondazione stessa dell'abitato, in virtù della presenza di una moneta con leggenda in alfabeto brāhmī recante il simbolo della tribù (croce e palle) e toro su podio. Sono state rinvenute anche monete della dinastia Mitra, regnante su Mathura, Kaushambi e Kanauj nel II-I sec. a.C. La ricchezza dell'abitato derivava dal fatto che R. era un centro industriale dove si producevano utensili di ferro (comprese le armi) e, in minor quantità, anche di altri metalli. Grandissimo è il numero delle scorie di ferro, osservate soprattutto nella parte sud-est del sito, oltre il fiume, che in antico scorreva probabilmente più lontano. Vi erano anche officine dove si lavoravano perle di pietra, l'avorio e la steatite. A R. si trovano anche numerose fornaci.
La parte più antica del deposito, non strutturale, è stata poco indagata. La maggior parte delle abitazioni era di legno e argilla, con tetti spioventi, una tipologia attestata anche nei periodi successivi. Sono stati individuati ben 55 pozzi pertinenti al secondo e al terzo periodo di occupazione, quasi tutti ad anelli modulari (ringwells); sono stati interpretati come pozzi di scolo e in parte, più probabilmente, come pozzi per acqua. Destinati allo scolo delle acque erano certamente quelli colmati con giare rovesciate. L'uso del mattone era riservato a fondazioni costituite da serie di muri paralleli molto ravvicinati, costruiti con mattoni di grandi dimensioni e destinati a sostenere strutture di cui non rimane traccia. Gli spazi intermedi erano riempiti di argilla mista a granuli di calcare. Rare sono le abitazioni in mattoni. A R. sono venute alla luce numerose placche votive di terracotta ottenute a stampo rappresentanti una o più divinità femminili o coppie (le cd. dampati plaques), figurine animali, anch'esse votive, riproduzioni in terracotta di specchi d'acqua con tempietti (votive tanks) e modellini di carri di metallo. La ceramica è spesso decorata con impressioni a corda e sono attestati alcuni vasi teriomorfi.
A. Ghosh, s.v. Rairh, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, I, Leiden 1990, p. 358; K.N. Puri, Excavations at Rairh during Samvat Years 1995 & 1996 (1938-39 & 1939-40 A.D.), Jaipur s.d.
di Julia Shaw
S., un complesso archeologico collinare del Madhya Pradesh (distretto di Raisen), è uno dei siti buddhisti meglio conservati e più studiati di tutta l'India. La sequenza stratigrafica è continua, dal III sec. a.C. circa al XII sec. d.C. La fondazione del sito è strettamente legata all'espansione del regno Maurya dalla valle del Gange e al relativo processo di urbanizzazione, ben rappresentato dalla città di Vidisha (ca. 6 km a nord), appartenente al primo periodo storico. J.H. Marshall ha suddiviso la sequenza cronologica di S. in sei periodi principali.
Il periodo I (III-I sec. a.C.), databile all'epoca Maurya, consiste di soli tre monumenti importanti: lo Stupa 1, costruito interamente in mattoni e privo di rivestimento di pietra; la colonna di arenaria polita di Chunar con un'iscrizione di Ashoka, situata immediatamente a sud; un santuario absidato di legno (Tempio 40), ancora più a sud. Lo Stupa 1 è stato datato al 269-232 a.C. circa, sulla base del pavimento che lo circonda, il quale condivide il livello stratigrafico con le fondamenta del pilastro di Ashoka. Il complesso originale si estendeva per un certo tratto verso est, come testimoniato da una sezione del pavimento originale scoperto al di sotto del bastione nord-occidentale dell'Edificio 43, uno dei più tardi di S. La fase più antica del Tempio 40, a sud, è stata anch'essa datata all'epoca Maurya basandosi sulla relazione stratigrafica con la sala colonnata a essa sovrapposta, databile al II sec. a.C.
Durante il periodo II (II-I sec. a.C.) gli edifici esistenti furono rinnovati e molte strutture furono costruite ex novo. Lo Stupa 1 fu rivestito di pietra e ampliato fino a raddoppiarne le dimensioni originali, raggiungendo un diametro di 30 m. Gli fu anche costruito attorno un pavimento che si estendeva verso est. Le strutture aggiunte comprendono una harmikā, un triplo parasole in cima allo stūpa e una balaustra (vedikā) sormontata da una cimasa a sezione emisferica (uṣṇīṣa). I pilastrini non sono decorati, se si escludono le numerose iscrizioni che registrano i nomi di singoli donatori. Una piattaforma (medhi) fu costruita a formare una pradakṣiṇāpatha superiore, raggiungibile tramite una scalinata doppia (sopāna). La scalinata e la piattaforma superiore erano entrambe cinte da pilastrini; quelli superiori sono scolpiti con semplici immagini floreali, animali e motivi figurativi, posti entro medaglioni circolari e semicircolari.
Sculture simili si trovano sui pilastrini inferiori dello Stupa 3, immediatamente a nord-est dello Stupa 1, e su quelli sia inferiori sia superiori dello Stupa 2, nel pendio occidentale della collina. Entrambe queste strutture furono costruite ex novo durante il periodo II, come gli stūpa più piccoli (4, 6) rispettivamente a nord e a sud dello Stupa 1. Diversamente da quest'ultimo, nel quale non sono state finora trovate reliquie, negli altri stūpa (2, 3) ne sono state rinvenute. La datazione del periodo II non è ancora certa. Marshall fa risalire i pilastrini dello Stupa 1 al 150 a.C. circa; altri, basandosi soprattutto su dati epigrafici e storico-artistici, suggeriscono una datazione che va dalla metà del II all'inizio del I sec. a.C. Anche il Tempio 40 fu ricostruito durante il periodo II. L'originaria struttura lignea fu rimpiazzata da un ambiente con colonnato di pietra posto su di un'alta piattaforma e raggiunto da due serie di scale, scolpite nel corpo stesso della struttura. Al periodo II risale anche l'Edificio 8, una piattaforma elevata situata nell'angolo sud-occidentale del muro perimetrale.
Al periodo III (I-III sec. d.C.) sono pertinenti i quattro portali monumentali riccamente scolpiti dello Stupa 1, posti ai quattro punti cardinali; sono stati datati al 25 d.C. circa, in base all'iscrizione Shatakarni che si trova sull'architrave superiore del portale meridionale. La parte finale del periodo III di Marshall è assente da S.: non sono infatti state identificate strutture o sculture prodotte in loco che siano inequivocabilmente databili al periodo Kushana. Dalle camere delle reliquie degli stūpa di epoca post-Gupta a sud dello Stupa 1 è stato recuperato un certo numero di immagini di Buddha e Bodhisattva di epoca Kushana, ma si tratta chiaramente di importazioni provenienti dalla regione di Mathura.
Il periodo IV (IV-VI sec. d.C.) comprende il Tempio 17, immediatamente a sud dello Stupa 1, datato al 400 d.C. circa e conosciuto come una delle più antiche strutture templari riportate alla luce. Il Tempio 9, leggermente più a est, appartiene approssimativamente alla stessa epoca. La scoperta nella zona orientale del sito di un certo numero di colonne Gupta incorporate (o seppellite sotto) a strutture più tarde testimonia la presenza di ulteriori templi di epoca Gupta in quest'area. Appartengono alla tarda epoca Gupta anche gli stūpa 28 e 29, subito a ovest del Tempio 13; un altro raggruppamento (numeri 11, 12, 13, 14 e 18) a sud dello Stupa 1 può risalire fino al VII sec. d.C. Dal punto di vista formale, tuttavia, entrambi i gruppi appartengono a una stessa categoria: sono molto più piccoli degli stūpa del periodo II e sono posti su piattaforme quadrate o circolari (9 × 9 m ca.). Anche il metodo costruttivo è piuttosto diverso: il nucleo consiste di detriti pietrosi e terra, mentre la cortina è composta di corsi serrati di pietra ben tagliata. Sono tutti privi di balaustre. Il ritrovamento di immagini Kushana di Buddha e Bodhisattva importate da Mathura nelle camere delle reliquie degli stūpa 4, 12 e 18 testimonia un cambiamento nella natura dei depositi in questo periodo. Un ulteriore sviluppo consiste nella comparsa di sculture a tutto tondo prodotte localmente, come le quattro immagini di Buddha assisi appartenenti al pradakṣiṇāpatha dello Stupa 1. A questo periodo risalgono anche altre immagini di Buddha e Bodhisattva, assieme a quelle di nāga (divinità ofidiche) e di yakṣa (spiriti della natura).
La fase post-Gupta (periodo V, VII-IX sec. d.C.) vide molte attività di rinnovamento. Al Tempio 40 fu aggiunto un nuovo portico, mentre il Tempio 18 fu trasformato da ambiente absidato a sala colonnata con un'entrata decorata da immagini delle dee Ganga e Yamuna. La maggior parte del Tempio 31, a nord-est dello Stupa 1, risale al X sec. d.C.; tuttavia il plinto, l'immagine del Buddha e alcune delle colonne all'interno appartengono al VII secolo. Anche il gruppo di monasteri a corte centrale nella zona meridionale del complesso di S. è databile al VII sec. d.C.; di esso sopravvivono solamente i corsi inferiori, di pietre grezze e ineguali.
Durante il periodo VI (IX-XI sec. d.C.) il sito è sottoposto a ulteriori interventi di costruzione e restauro, fino al X o XI sec. d.C. Tutti gli edifici di questo periodo si trovano sulla piattaforma orientale, costruita nel X secolo sulle rovine di strutture più antiche. Un muro perimetrale di quest'epoca corre attorno ai pendii orientale e meridionale della collina. La zona è dominata da un grande complesso monastico a corti interconnesse (numeri 46, 47) circondato da alcuni templi di piccole dimensioni (44, 32). A un periodo di poco precedente risale il Tempio 45, posto nel cortile anteriore e abbarbicato al lato più orientale della collina. Studi recenti lo indicano come il risultato di un singolo programma architettonico in stile Pratihara, del tardo IX sec. d.C. La struttura più tarda, databile al X-XI sec. d.C., è l'Edificio 43, posto sul lato ovest della piattaforma di fronte allo Stupa 1. Esso ha pianta cruciforme con bastioni circolari a ciascuno dei quattro angoli; la sua funzione non è chiara, ma può aver costituito la base di uno stūpa o di un santuario.
A. Cunningham, The Bhilsa Topes, London 1854; F.C. Maisey, Sanchi and its Remains, London 1892; J. Burgess, The Great Stûpa at Sanchi-Kânâkhedâ, in JRAS, 1902, pp 29-45; M. Hamid, Excavation at Sanchi, in ASIAR, 1936-37, pp. 85-87; J.H. Marshall - A. Foucher - N.G. Majumdar, The Monuments of Sāñchi, Calcutta 1940; J.G. Williams, The Art of Gupta India. Empire and Province, Princeton 1982; M. Rao, Sanchi Sculptures: an Aesthetic and Cultural Study, New Delhi 1994; M. Taddei, The First Beginnings. Sculptures on Stupa 2, in V. Dehejia, Unseen Presence: the Buddha and Sanchi, Mumbai 1996, pp. 74-91; J. Shaw, Sanchi and its Archaeological Landscape. Buddhist Monasteries, Settlements and Irrigation Works in Central India, in Antiquity, 74 (2000), pp. 775-76; M.D. Willis, Buddhist Reliquaries from Ancient India, London 2000.
di Julia Shaw
S. (distretto di Raisen, Madhya Pradesh) è uno dei quattro siti buddhisti scoperti da A. Cunningham entro 15 km da Sanchi. Il sito si estende sulla sommità di una bassa collina sulla sponda orientale del fiume Bes; a una distanza di circa 15 km a valle sorge l'antica città di Vidisha.
Negli anni Ottanta del Novecento l'area è passata sotto la tutela dell'Archaeological Survey of India, che dall'inizio degli anni Novanta ha intrapreso un intervento di conservazione e di scavo nell'ambito di un progetto giapponese sostenuto dall'UNESCO. Indagini recenti hanno anche fatto chiarezza su aspetti più ampi del panorama archeologico, incluso un consistente numero di siti, insediamenti e sistemi di irrigazione buddhisti. Il sito si sviluppa intorno a uno stūpa principale (diam. 34 m; alt. conservata 12,55 m) circondato da stūpa minori, monasteri, santuari e percorsi lastricati. L'ampia estensione di queste strutture suggerisce una comunità monastica di dimensioni presumibilmente maggiori rispetto a Sanchi. La sequenza cronologica del complesso va dal III sec. a.C. al VII sec. d.C., con la vicina Sanchi come principale cornice di riferimento. La datazione della fase I si fonda dunque sulla stratigrafia relativa tra lo Stupa 1 e la colonna di Ashoka a Sanchi (ca. III sec. a.C.), mentre la fase II, quantunque ancora discussa, può essere posta tra il II e il I sec. a.C.
Lo stūpa principale è simile allo Stupa 1 di Sanchi per dimensioni, cronologia e tecnica costruttiva. Entrambi presentano nuclei di mattoni, ascrivibili alla fase I, con un rivestimento esterno di pietra, una terrazza processionale più in basso e una balaustra decorata a rilievo, aggiunta durante la fase II. Un'ulteriore conferma della presenza di una fase di epoca Maurya a S. è rappresentata dai grandi mattoni del nucleo, dai frammenti di un parasole e da un piccolo capitello zoomorfo con figura di elefante trovato nelle macerie tra il nucleo di mattoni e il rivestimento esterno di pietra. Sebbene scolpito nell'arenaria locale e non nella varietà di Chunar, come si è appurato di recente, la sua elevata levigatura potrebbe essere un'imitazione delle colonne Maurya. Un capitello simile al precedente, sebbene non raffinato e più grande, è stato trovato nell'interfaccia tra le fasi I e II del Tempio 40 di Sanchi. Un tempio absidato (11,5 × 5,6 m), scavato recentemente a est dello stūpa principale, è stato in modo analogo datato all'epoca Maurya sulla base della presenza di Northern Black Polished Ware.
I pilastrini della balaustra sono scolpiti con motivi direttamente confrontabili con quelli di Sanchi, Sonari, Andher e Morel-Khurd. I medaglioni lotiformi ricorrono frequentemente; ci sono anche raffigurazioni di animali e di alberi circondati da una balaustra. Molti rilievi, come anche alcune cornici di pietra e lastre pavimentali, recano iscrizioni di una riga che menzionano le donazioni individuali, documentando l'esistenza di un evergetismo collettivo come quello di Sanchi; tuttavia, l'esecuzione più corsiva e irregolare suggerisce un minore formalismo. Aggiunte successive comprendono cinque proiezioni a base quadrata che aggettano dal corpo dello stūpa, databili al VI o VII sec. d.C., ma anche cornici e pilastrini incorporati in strutture precedenti. Allo stesso periodo appartiene presumibilmente un dipinto di soggetto buddhista raffigurante un Buddha e due stūpa, accompagnato da un'iscrizione, eseguito in un riparo sotto roccia che si affaccia sul fiume. Analoghi ripari sotto roccia sono caratteristici anche di altri siti monastici dell'area. Distribuiti in varie zone del sito ci sono numerosi stūpa piccoli, con nuclei di pietrame e rivestimento di pietra grezza legata con fango; si sono trovate anche tracce di calce. All'interno dello stūpa principale non è stato ritrovato alcun reliquiario, sebbene un contenitore di pietra con coperchio, rinvenuto fra il materiale di riempimento della muratura sul lato sud, potrebbe aver contenuto una reliquia o altro deposito votivo. Reliquari sono stati invece recuperati dagli stūpa 2 e 8; uno di essi, proveniente dallo Stupa 8, reca i nomi di Sariputa e Mahamogalana, i due principali discepoli del Buddha.
Nel corso di recenti scavi condotti nella zona sud-orientale del complesso è stato rinvenuto un altro gruppo di stūpa della fase II. Nelle vicinanze c'è un insieme di strette costruzioni rettangolari, a uno o due ambienti, le cui dimensioni variano da 9,6 × 4 m a 23,4 × 5,1 m, forse semplici strutture di servizio destinate ai monaci più giovani o ai pellegrini. I monaci anziani, invece, potrebbero avere risieduto nei monasteri principali raggruppati intorno allo stūpa maggiore. Di essi restano tre solide piattaforme, una addossata al lato nord, le altre due esterne al muro occidentale del recinto dello stūpa maggiore. Altre due piattaforme sorgono rispettivamente sulla sponda occidentale del fiume e sulla collina circa 1,7 km a sud-est del complesso principale. Tali strutture hanno misure variabili dai 16,8 × 14,6 m ai 30 × 16,8 m e raggiungono un'altezza di oltre 5 m; i frammenti di mattoni e, in alcuni casi, di pilastri di pietra e travi rinvenuti nei crolli danno un'idea della struttura originaria. Piattaforme analoghe si ritrovano a Sanchi e in altri siti buddhisti della zona; molte di esse hanno una scalinata ricavata nel corpo principale e sembra sostenessero monasteri a due o più piani, simili a fortilizi, con una vista dominante tanto sugli stūpa quanto sull'area circostante. Essi rappresentano una "nuova" tipologia di monasteri per l'India centrale, ipoteticamente collegabile ai primi monasteri scavati nella roccia come quello di Pitalkhora, nel Deccan.
A. Cunningham, The Bhilsa Topes, London 1854; J.H. Marshall - A. Foucher - N.G. Majumdar, The Monuments of Sāñchi, Calcutta 1940; R.C. Agrawal, Stūpa and Monasteries: a Recent Discovery from Satdhara, India, in SAA 1995, pp. 403-15; U. Singh, Sanchi: the History of the Patronage of an Ancient Buddhist Establishment, in Indian Economic and Social History Review, 33 (1996), pp. 1-35; J. Shaw, Sanchi and its Archaeological Landscape. Buddhist Monasteries, Settlements and Irrigation Works in Central India, in Antiquity, 74 (2000), pp. 775-76; M.D. Willis, Buddhist Reliquaries from Ancient India, London 2000; J. Shaw - J.V. Sutcliffe, Ancient Irrigation Works in the Sanchi Area: an Archaeological and Hydrological Investigation, in SouthAsSt, 17 (2001), pp. 55-75; J. Shaw, Water Management, Patronage Networks and Religious Change, ibid., 19 (2003), pp. 73-104; Ead., The Archaeological Setting of Buddhist Monasteries in Central India. A Summary of Multi-Phase Survey in the Sanchi Area, 1998-2000, in SAA 2001, in c.s.
di Pia Brancaccio
Sito ubicato al confine tra il Rajasthan e il Gujarat, noto soprattutto per un gruppo di sculture induiste rinvenute nel 1936 in un'area non lontana da Devni Mori. Queste immagini, prive di contesto architettonico e per lo più di epoca Gupta, sono di matrice shivaita, a eccezione di alcune figure di Vishnu Viśvarūpa.
Di rilievo sono le 12 mātṛkā che S. Schastock ha suddiviso in tre gruppi omogenei di Saptamātṛkā. Esse mostrano importanti legami iconografici e stilistici con la scultura Kushana di Mathura e del Nord-Ovest del Subcontinente indiano, con il Rajasthan e con i siti Kalachuri di Elephanta, Ellora e Jogeshvari nel Deccan. Gli scavi archeologici condotti negli anni Sessanta del Novecento hanno rivelato a Sh. l'esistenza di un insediamento caratterizzato da diversi livelli di occupazione che vanno dal I al XIX sec. d.C. La prima fase dell'abitato (I sec. d.C. ca.), scarsamente esplorata, ha restituito tracce di lavorazione del ferro e una struttura di mattoni crudi. Meglio noto è il secondo periodo (Fort Period, I-IV sec. d.C.), caratterizzato dalla presenza di una fortificazione e di altre strutture di mattoni. In questo livello sono stati rinvenuti frammenti di figurine antropomorfe e zoomorfe e recipienti votivi di terracotta, oltre a utensili di metallo tipici di insediamenti coevi nel Nord e Nord-Ovest del Subcontinente. La presenza di anfore nell'orizzonte ceramico di questo periodo permette di collocare il sito lungo un'importante rete di comunicazione che probabilmente collegava i porti del Gujarat sull'Oceano Indiano alle regioni nord-occidentali dell'India. La fondazione del vicino complesso buddhistico di Devni Mori risale probabilmente alla fine di questa fase.
Il secondo livello dell'insediamento (Post-Fort Period, V-IX sec.), che ha inizio dopo la distruzione della fortificazione, è caratterizzato dalla continuità dell'abitato, dei manufatti e delle ceramiche locali. A questo orizzonte corrispondono quei ritrovamenti sporadici di sculture induiste che suggeriscono l'esistenza di un attivo centro di culto shivaita e di un fiorente atelier per la lavorazione della pietra che non ha precedenti nell'area, dominata dall'uso della terracotta. I dati archeologici indicano un abbandono del sito verso la fine di questo periodo. L'insediamento rinasce nel XVI secolo; in questo livello sono stati ritrovati frammenti di ceramica invetriata tipica del periodo islamico, oltre a barrette di ferro e vetro che sembrano qualificare il villaggio come centro attivo nel commercio o nella lavorazione di tali prodotti. Al XVI secolo risale anche la costruzione del tempio vishnuita dedicato a Gadhadara, tuttora al centro del moderno abitato.
U.P. Shah, Sculptures from Samalaji and Roda (North Gujarat) in the Baroda Museum (Bulletin of the Baroda Museum and Picture Gallery, 13), Baroda 1960; R.N. Mehta - A.T. Patel, Excavations at Shamalaji, Baroda 1967; J. Williams, The Art of Gupta India, Princeton 1982, passim; S. Schastock, The Samalaji Sculptures and 6th Century Art in Western India, Leiden 1985; R.N. Mehta, s.v. Shamlaji, in A. Gosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, p. 406.