L'archeologia del Subcontinente indiano. Maharashtra e Gujarat
di Jonathan M. Kenoyer
La diversità geografica dell'India occidentale, l'andamento variabile delle precipitazioni e il tracciato delle principali reti fluviali hanno favorito lo sviluppo di culture regionali distinte, le quali hanno peraltro tratti fondamentali comuni nella tecnologia, nelle strategie di sussistenza, ma anche nel livello di complessità sociale, che si colgono già, e con particolare evidenza, in epoca protostorica.
Estese campagne di scavo in siti quali Inamgaon, Daimabad, Jorwe, Nevasa, Prakash, Nagwada e Loteshwar hanno ampliato gli orizzonti della ricerca; ai vecchi dibattiti sulle sequenze ceramiche si sono oggi sostituiti raggruppamenti di siti principali e sviluppi culturali secondo precise fasi, paragonabili a quelle postulate per la valle dell'Indo.
Il Calcolitico di quest'area è convenzionalmente diviso in antico, maturo e tardo. Nel Gujarat, culture del Calcolitico antico (3700-3600 a.C. ca.), attestate in siti quali Loteshwar e Nagwada, presentano probabili legami con le culture antico-harappane del Sind (fase di Amri e Kot Diji); anche nel Calcolitico maturo (2500-2000 a.C.) non mancano evidenze di questi stretti rapporti. Il Calcolitico tardo (2000-1700 a.C.) corrisponde alle fasi finali del periodo harappano e al tardo Harappano della valle dell'Indo. All'interno di questa suddivisione generale si collocano fasi culturali che rappresentano aspetti "regionali" sia del Gujarat sia degli altopiani del Malwa e del Deccan: la fase Savalda (2200-1800 a.C.), la fase tardoharappana del Gujarat (1800-1600 a.C.), la fase Malwa (1600-1400 a.C.), la fase Jorwe antica (1400-1000 a.C.) e la fase Jorwe tarda (1000-700 a.C.). Quest'ultima si sovrappone alle culture megalitiche dell'età del Ferro (1000 a.C.) e, infine, del primo periodo storico (800-600 a.C.).
La regione è in larga parte costituita dal fertile black cotton soil (regur) che, per la sua straordinaria capacità di assorbenza, consente un'agricoltura basata sul solo approvvigionamento idrico del monsone estivo senza bisogno di irrigazione ulteriore, benché in alcuni siti vi sia traccia di piccole opere di canalizzazione. In alcune aree potrebbe essere stata praticata un'agricoltura itinerante di tipo "taglia e brucia", mentre una forma di sfruttamento opportunistico del suolo potrebbe essere stata praticata nelle zone lagunari e fluviali. L'economia di sussistenza si basava su una combinazione di agricoltura (grano, orzo e miglio) e allevamento di bovini, in misura minore di ovini e caprini, integrato dalla caccia e dalla raccolta. Per quanto riguarda la cultura materiale, l'ampio utilizzo di industrie su lama (selci, agata, calcedonio) e di pietra levigata compensa la rarità degli oggetti di rame i quali, presumibilmente, erano importati dal Gujarat e dal Sind o dagli Aravalli settentrionali, stante la mancanza di strutture atte a produrli. Si fa risalire a questo periodo il tesoro rinvenuto a Daimabad nel 1974, consistente in quattro massicce figure di bronzo: un carro ‒ munito di conducente ‒ aggiogato a una coppia di buoi, un elefante, un bufalo e un rinoceronte. La ceramica in epoca più antica è rossa di tipo tardoharappano, poi seguita dalla caratteristica ceramica camoscio/crema dipinta in nero, meno fine rispetto alla precedente. In seguito essa si diversifica regionalmente dapprima in ceramica rossa lustrata (zona dell'attuale distretto di Dhule) e Malwa Ware dipinta di nero (alta valle della Godavari e della Krishna), quindi nella Jorwe Ware (ceramica fine con ingobbio rosso tenue dipinta di nero con motivi geometrici e, talvolta, motivi antropomorfi, teriomorfi e fitomorfi). Resti di cotone, lino e seta sono stati rinvenuti a Inamgaon; fili di seta, ottenuta dalla varietà selvatica locale tussah, venivano impiegati per infilare perle. La maggior parte dei siti ha rivelato la presenza di statuette di terracotta sia teriomorfe (tori) sia antropomorfe (di entrambi i sessi), da interpretarsi probabilmente come offerte votive.
Le abitazioni calcolitiche, di forma rettangolare o circolare, ponevano su fondamenta di pietra e fango una incannucciata finemente intonacata con argilla; i pavimenti erano talvolta decorati da conchiglie. In alcuni siti, come Kaothe (Maharashtra), compaiono anche abitazioni a fossa, che consistono di fosse circolari (impiegate anche per immagazzinaggio e per l'allevamento del pollame) con pareti e pavimento rivestiti di letame bovino o calce. Sia all'interno sia all'esterno di tali strutture erano presenti focolari.
Le sepolture erano alquanto semplici; nel corso della fase Savalda a Kaothe sia gli adulti sia gli infanti venivano inumati al di sotto o tra le capanne, in posizione supina distesa, in fosse ovali prive di corredo. Una sepoltura di adulto a Daimabad (Maharashtra) appartiene alla fase Gujarat dell'Harappano tardo; il defunto era deposto su un pavimento compatto e ricoperto di mattoni crudi, interi e in frammenti, con una grande pietra all'estremità del tumulo. Nel corso della fase Malwa nei siti di Inamgaon e di Daimabad le tombe, distribuite all'interno delle aree abitative, sono rappresentate soprattutto da sepolture infantili in urne interrate, con un corredo composto da ceramica, ornamenti e strumenti vari. Nella fase Jorwe le sepolture in urna si fanno più comuni, benché siano stati rinvenuti solo alcuni esempi di sepolture di adulti. Durante questa fase sono attestate anche inumazioni in posizione distesa, con orientamento nord-sud, e corredi composti da piccoli recipienti ceramici; il costume di amputare gli arti inferiori degli adulti sotto al ginocchio non trova applicazione in alcune tombe di élite, in cui i defunti sono deposti in bare di argilla su quattro piedi, con corredi composti da recipienti di ceramica.
Sebbene in quest'epoca non si abbiano vere e proprie formazioni statali, è assai probabile che alcuni siti maggiori (come Inamgaon) abbiano potuto fungere da centri regionali all'interno di una rete di insediamenti che, da quanto ci è dato vedere, presentava una evidente gerarchia nonché articolati rapporti di natura commerciale. A Inamgaon un vasto edificio e sepolture dai caratteri non comuni sono probabilmente da riferire a individui con posizioni di comando. Un improvviso declino delle culture calcolitiche dell'India centrale si registra all'inizio del I millennio a.C., forse in conseguenza di una prolungata siccità; a esso è da imputare il generale abbandono dei siti, con l'eccezione di alcuni insediamenti (ad es., Inamgaon) che restano abitati fino al 700 a.C. circa.
D.P. Agrawal - A. Ghosh (edd.), Radiocarbon and Indian Archaeology, Bombay 1973, pp. 138-147; A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, passim; V.S. Shinde, Settlement Pattern of the Savalda Culture: the First Farming Community of Maharashtra, in BDeccan, 49 (1990), pp. 417-23; Id., Chalcolithic Phase in Western India (Including Central India and the Deccan Region), in K. Paddayya (ed.), Recent Studies in Indian Archaeology, New Delhi 2002, pp. 157-88.
di Federica Barba
I due Stati si caratterizzano per la loro posizione centrale e per l'ampio tratto di costa: sulle coste del Gujarat approdavano, già nel III millennio a.C., navi provenienti dai Paesi occidentali, mentre il Maharashtra è proiettato sia verso il Mar Arabico sia verso l'India meridionale. Dopo la fine della Civiltà dell'Indo e un millennio durante il quale sopravvivono piccole comunità di pastori e agricoltori, dal III sec. a.C. la vocazione commerciale della regione riprende vigore e i villaggi iniziano a ingrandirsi, sotto la spinta dell'espansione dei Maurya. Nel Gujarat si sviluppò in particolare l'area del Golfo di Cambay: i siti principali erano Broach e Nagara, nei quali sono stati rinvenuti, oltre alla Black-and-Red Ware (BRW), alcuni frammenti di Northern Black Polished Ware (NBPW) e monete punzonate. Nagara era il punto d'arrivo della via che scendeva dal Rajasthan e Broach di quella proveniente dal Madhya Pradesh (Ujjain), lungo la quale troviamo anche Timbarwa, sulla Narmada. Nel Saurashtra, a Girnar, è stato scoperto un editto su roccia di Ashoka. Anche nel Maharashtra, i principali nuclei insediamentali sorgono lungo le vie che dall'India centrale portano sulla costa e verso sud. Nel Vidarbha troviamo i siti di Pauni, formato da una zona abitativa e da una cultuale (stūpa), e Kaundinyapura: in entrambi sono state rinvenute le ceramiche BRW e NBPW (alcuni frammenti), monete punzonate e di rame. Nel sistema della Godavari, i siti principali sono Paithan, a nord, e Ter, a sud (BRW, NBPW). Sulla costa, Sopara era il punto d'arrivo della via che attraversava il Maharashtra settentrionale: anche in questo sito è stato scoperto un editto su roccia di Ashoka.
Tra il I sec. a.C. e il III sec. d.C. la regione conosce il suo massimo sviluppo, in parte alimentato dal commercio con Roma. Nel Golfo di Cambay troviamo i porti di Broach (fortificato), di Baroda e di Nagara, caratterizzati da una ceramica da mensa di lusso, la Red Polished Ware (RPW), strutture di mattoni, monete della dinastia Kshatrapa (I-III sec. d.C. ca.) che dominava il Gujarat, ornamenti di pietre semipreziose, conchiglia e avorio; inoltre, sono stati rinvenuti frammenti di anfore a Nagara, vassoi di bronzo e sigilli di stile romano a Baroda, sculture a Broach. A nord, lungo la strada che dal Rajasthan meridionale porta nel Gujarat, si trova il centro buddhista di Devnimori, da cui provengono strutture di mattoni, RPW, anfore, bracciali di conchiglie e monete di piombo. Nel Saurashtra è stato recentemente scavato il sito di Amreli (I sec. a.C. - VIII sec. d.C.), al centro della penisola, caratterizzato da RPW, anse a figure nude, monete d'argento e di piombo della dinastia Kshatrapa, figurine di terracotta a doppia matrice e lastre scolpite. Sulla costa del Saurashtra erano presenti due porti: Somnath, fortificato, e Dwarka, ora sommerso. In entrambi sono stati rinvenuti frammenti di RPW e anfore.
Nel Maharashtra l'area a maggiore densità abitativa era quella dell'alto corso della Godavari, zona nota per i suoi monumenti rupestri e i monasteri buddhisti; tra i suoi numerosi centri urbani troviamo la capitale dei Satavahana, Paithan, sito formato da vari mounds (4 km2), con occupazione moderna, nel quale sono stati rinvenuti in vari scavi strutture di mattoni, centinaia di monete (punzonate, Satavahana, di Augusto e di Tiberio), bullae, figurine di terracotta, ornamenti e ceramica risalente al periodo Satavahana, e le città di Nasik, Nevasa e Bhokardan, che hanno restituito le ceramiche principali di questa fase (frammenti di NBPW, BRW, RPW, Russet-Coated Painted Ware e Rouletted Ware, anfore), strutture di mattoni e monete punzonate, di rame non iscritte e della dinastia Satavahana. A Bhokardan sono state trovate anche bullae ornamentali e specchi di avorio con figure femminili. Su un affluente della Godavari, al confine con il Karnataka, la città di Ter viene forse protetta in questo periodo con una fortificazione lignea; il sito è caratterizzato da una forte presenza di elementi occidentali: monete romane, bullae, copie di lucerne, figurine di terracotta di stile mediterraneo e a doppia matrice, figurine di avorio; è stato individuato uno stūpa del II sec. d.C., oltre alla RPW e alle monete. Su un affluente della Krishna viene fondata probabilmente in questa fase la città di Kolhapur (Brahmapuri), dove fu rinvenuto nel 1944 un tesoro di bronzi romani, mentre nel 1945 furono portate alla luce strutture di mattoni cotti, RPW e più di 100 monete Satavahana. Nel Vidarbha i siti principali sono Pauni, Kaundinyapura e Paunar, caratterizzati da strutture di mattoni, Red Slipped Ware, RPW, Black-on-Red Ware, monete Khsatrapa e Satavahana; a Paunar sono stati trovati frammenti di anfore. Risalgono a questa fase anche i megaliti, presenti soprattutto nel Vidarbha, come è attestato dalla ceramica rinvenuta nelle tombe, che corrisponde a quella delle città.
H.D. Sankalia - M.G. Dikshit, Excavations at Brahmapuri (Kolhapur) 1945-46, Pune 1952; R.N. Mehta - H.D. Sankalia, Excavation at Timbarva, Baroda 1955; H.D. Sankalia - S.B. Deo, Report on the Excavations at Nasik and Jorwe 1950-51, Poona 1955; H.D. Sankalia et al., From History to Pre-history at Nevasa (1954-56), Pune 1960; Z.D. Ansari - M.S. Mate, Excavations at Dwarka, Poona 1966; R.N. Mehta - S.N. Chowdhary, Excavations at Devnimori. A Report of the Excavation Conducted from 1960 to 1963, Baroda 1966; R.N. Mehta - A.J. Patel, Excavation at Shamalaji, Baroda 1967; S.B. Deo - M.K. Dhavalikar, Paunar Excavation (1967), Nagpur 1968; M.G. Dikshit, Excavations at Kaundinyapura, Bombay 1968; R.N. Mehta - D.R. Shah, Excavations at Nagara, Baroda 1968; S.B. Deo, Excavations at Takalghat and Khapa (1968-69), Nagpur 1970; S.B. Deo - J.P. Joshi, Pauni Excavation (1969-1970), Nagpur 1972; S.B. Deo, Mahurjhari Excavation (1970-1972), Nagpur 1973; Id., Excavations at Bhokardan (Bhogavaradhana) 1973, Nagpur 1974; F.R. Allchin - K.R. Norman, Guide to the Aśokan Inscriptions, in SouthAsSt, 1 (1985), pp. 43-50; A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, Leiden 1990, passim; V. Begley - R.D. De Puma (edd.), Rome and India. The Ancient Sea Trade, Madison 1991; C. Margabandhu, Satavahana Paithan. A Study of Some Material Artefacts, in A.V.N. Murthy - I.K. Sarma (edd.), Śrī Rāmachandrikā (Professor Oruganti Ramachandraiya Festschrift). Essays on Indian Archaeology, History, Epigraphy, Numismatics, Art and Religion, Delhi 1993, pp. 79-85; R. Allchin (ed.), The Archaeology of Early Historic South Asia. The Emergence of Cities and States, Cambridge 1995; C.F. Herman, Harappan Gujarat. The Archaeology-Chronology Connection, in Paléorient, 22 (1997), pp. 77-112; D.K. Chakrabarti, The Archaeology of Ancient Indian Cities, Delhi 1998; Id., India. An Archaeological History, Oxford 1999.
di Liliana Camarda
Città nell'omonimo distretto del Saurashtra (Gujarat), il cui nome (Amrilika) compare su una lastra di rame donata nel 572 d.C. da Dharasena II, il sovrano Maitraka di Valabhi. A 2 km da A., tra i fiumi Thebi e Vadi, è il sito di Gohilwad Timbo, scavato tra il 1934 e il 1944 da H. Shastri e A.S. Gadre; al gran numero di ritrovamenti effettuati fu fornita una più solida base stratigrafica dagli scavi successivi (1952-53 e 1955) di S.R. Rao.
A. fu un importante centro politico e religioso durante il dominio degli Kshatrapa occidentali, quando la città raggiunse il suo massimo sviluppo, divenendo un centro commerciale di notevoli dimensioni e prosperità come testimoniato dai resti strutturali e dagli oggetti importati. Dopo il declino seguito al crollo degli Kshatrapa e una ripresa sotto i Maitraka, A., ormai ridotta alle dimensioni di un villaggio al tempo dei Solanki, fu infine devastata dagli Arabi nell'VIII sec. d.C. La sua occupazione si divide in due periodi distinti. Il periodo I (dal VII sec. a.C.), rappresentato da un insediamento calcolitico di breve durata sulle rive del fiume Thebi, è caratterizzato da una ceramica rossa opaca lavorata al tornio, a volte dipinta, pochi microliti lavorati grossolanamente (in realtà corte lame dai bordi paralleli e nuclei) e alcuni oggetti di rame. Mancano resti strutturali, ma vi sono sepolture che forniscono indicazioni sulle pratiche funerarie: dopo la cremazione, le ceneri e le ossa carbonizzate erano seppellite, all'interno di urne di ceramica rossa grezza o grigia, in una piccola buca sulla riva del fiume. Forse un trattamento differente era riservato ai bambini, a giudicare dal ritrovamento di ossa non combuste e non associate a cenere: probabilmente i loro corpi venivano esposti e le ossa raccolte nelle urne. Questo insediamento ebbe vita breve e non è possibile datarlo con precisione; confronti ceramici con siti limitrofi indicano tuttavia il VII sec. a.C. come termine ante quem non. Il sito fu abbandonato e rioccupato nel I sec. a.C.
Il periodo II (I sec. a.C. - VIII sec. d.C.) è datato sulla base di ceramica, monete, sigilli, ceramica iscritta, epigrafi. Sono state individuate 5 fasi costruttive, datate tra il I sec. a.C. e il IV d.C. La fase 1 (I sec. a.C.) presenta fondazioni di spesse mura sulla riva dei fiumi Thebi e Vadi, probabilmente costruite a protezione del sito contro l'erosione. I muri delle case erano di argilla e i pavimenti di kaṅkar pressato. La fase 2 (I-II sec. d.C.) vede la comparsa di mattoni cotti, utilizzati per la realizzazione di pavimenti e forse anche di muri. La fase 3 (III sec. d.C.) è testimoniata da una grande attività costruttiva con pavimenti di mattoni cotti o kaṅkar e muri di materiale deperibile. Le case sono più spaziose che nelle fasi precedenti. Nella fase 4 è presente una delle strutture meglio conservate del sito, un'abitazione di mattoni crudi legati da malta (270 d.C.). Il pavimento è costituito da una coltre di kaṅkar su frammenti di ceramica e di mattoni pressati. La fase 5 (IV-V sec. d.C.) è caratterizzata dall'uso di mattoni cotti per le fondamenta e mattoni crudi per gli alzati. Per quanto riguarda la ceramica, negli strati inferiori sono state rinvenute Black Polished Ware e Grey Ware polita che vengono gradualmente sostituite dalla Red Polished Ware (RPW) negli strati superiori, fino a scomparire del tutto nel III sec. d.C. La RPW, presente in quantità minime, scompare nei livelli post-Kshatrapa (dopo il IV sec. d.C.). Associate a esse compaiono una ceramica rossa grezza, una ceramica grigia, sempre grezza, una piccola quantità di Black-and-Red Ware. Le forme della RPW, spesso utilizzata anche per le urne, sono per lo più di uso comune; la ceramica rossa, a volte impressa, era usata per cucinare e per l'immagazzinamento, occasionalmente per scopi funerari e offerte rituali; lo stesso uso era riservato alla ceramica grigia. Sei frammenti di ceramica invetriata provengono da strati Kshatrapa.
Pratiche funerarie sono documentate anche nel periodo II: i defunti erano cremati e le urne contenenti le ceneri erano sepolte per lo più lungo il fiume, in buche sigillate con terra, circondate da un cerchio di piccole pietre; in alcuni casi vi era un secondo cerchio di larghi blocchi di pietra e la struttura era ricoperta come un tumulo (pit-circles). All'interno delle buche furono rinvenuti giare di RPW, ceramica rossa grezza, ceramica grigia, cenere, frammenti di ossa umane carbonizzate, associati a un gran numero di offerte, tra cui piccole armi e ornamenti.
S.R. Rao, Excavations at Amreli. A Kshatrapa-Gupta Town, Baroda 1966; Id., s.v. Amreli, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, p. 19.
di Massimo Vidale
Sito del Maharashtra, sulla sponda sinistra del fiume Pravara, affluente della Godavari, nei pressi di Padhegaon (distretto di Ahmednagar). Il sito misura 1000 × 500 m circa e presenta uno spessore massimo di 5 m.
Venne scoperto nel 1958 e scavato in verticale tra il 1958 e il 1959 dall'archeologo indiano M.N. Deshpande. Nel 1974, il ritrovamento fortuito di un deposito di quattro eccezionali figure bronzee promosse ulteriori indagini: prima nel 1974-75, da parte di S.R. Rao, quindi, dal 1975 al 1979, in forma estensiva da S.A. Sali, che ne ridefinì la sequenza culturale in cinque fasi, datate mediante 14C. La fase I (ultimi due secoli del III millennio a.C. ca.), la più antica, corrisponde a un complesso calcolitico chiamato "cultura di Savalda". Esso è distinto da una ceramica dipinta in rosso ocra, con semplici motivi geometrici (raffigurazioni schematiche di armi e strumenti secondo alcuni) e, occasionalmente, con immagini di cervidi e pesci e qualche rara figura antropomorfa. Sono presenti anche altre varietà di ceramica dipinta, una ceramica grigia brunita e una ceramica grossolana di uso domestico con resti di semplici decorazioni applicate o incise. Le abitazioni, irregolarmente separate da viottoli, avevano pianta quadrangolare e muratura di fango con pali poggiati al suolo; in qualche caso i pavimenti erano decorati da valve di molluschi fluviali. L'economia agricola era basata su cereali e legumi. L'industria della pietra scheggiata annovera semplici strumenti su lama e, in percentuale minore, microliti geometrici, ricavati da noduli di calcedonio. Il repertorio di oggetti di pietra levigata è quello tipico delle antiche comunità agricole del Calcolitico del Maharashtra: macinelli, strumenti sferici, macine. L'uso del rame è attestato dal rinvenimento di due bracciali.
La fase II (2000-1800 a.C. ca.) è caratterizzata, come la precedente fase I, dalla compresenza di diversi tipi di ceramica, tra cui una ceramica foggiata al tornio e dipinta in nero su rosso con motivi astratti, simile ad altre ceramiche tardoharappane della parte nord-occidentale della penisola del Deccan. Questa evidenza, insieme al ritrovamento di alcuni frammenti ceramici con segni incisi e dipinti, forse assimilabili a segni della scrittura harappana (somiglianza, in verità, un po' dubbia), ha fatto considerare la fase II di D. come una manifestazione periferica e tardiva della fase harappana della tradizione culturale dell'Indo. L'insediamento sembra ingrandirsi e avvicinarsi a dimensioni protourbane. Le abitazioni di questa fase erano costruite in fango o mattone crudo ed erano composte di unità rettangolari. Nell'industria litica su lama, al calcedonio si affianca la selce. Presenti ma scarsi gli oggetti di rame, che includono una possibile scoria di fusione; sono presenti diversi tipi di elementi di collana di pietra semipreziosa, conchiglia e oro. Alla fase II viene anche attribuito, non senza dubbi, il famoso ripostiglio di bronzi scoperto nel 1974. Si tratta di un gruppo di quattro sculture bronzee a tutto tondo (peso complessivo superiore a 60 kg), fuse a cera perduta: un carro a due ruote trainato da una coppia di buoi con cocchiere, un elefante su base con innesto per quattro ruote su due assi, un rinoceronte su quattro ruote, un bufalo su di una base, anch'essa a quattro ruote. Il metallo è una lega binaria rame-stagno con percentuali, per quest'ultimo elemento, variabili dall'1% al 6% circa. I quattro bronzi sono un rinvenimento unico che, pur dimostrando un artigianato di alto livello, non trova adeguati confronti.
La fase III (1800-1600 a.C. ca.), che rientra appieno nella cosiddetta "età della Localizzazione" della tradizione culturale dell'Indo, viene interpretata come frutto della sovrapposizione di elementi culturali locali sulle componenti tardoharappane. Scompaiono infatti le ceramiche tornite di affinità tardoharappana e si afferma una nuova varietà color camoscio, con nucleo interno ridotto e motivi geometrici e zoomorfi irregolarmente tracciati in nero ("ceramica di D."). Famosa è una grande giara globulare con due fasce sovrapposte in cui sono dipinte teorie di animali selvatici e una figura umana. La tipologia degli elementi di collana sembra semplificarsi; la materia prima più frequentemente utilizzata è ora la cornalina, anche se compaiono il corallo, l'opale e il basalto. Lo studio dei resti paleobotanici conferma un progressivo arricchimento di specie e pratiche agricole.
La successiva fase IV (1600-1400 a.C. ca.) viene equiparata alla diffusione della cultura del Malwa. È caratterizzata dalla presenza, tra altre varietà, di una ceramica rosso-arancio, cotta in ambienti ossidanti non ben controllati, dipinta in nero con un'ampia varietà di disegni accuratamente eseguiti: geometrici, raffigurazioni di animali, soprattutto cani, qualche complessa scena naturalistica. Sono presenti anche "marchi di vasaio" dipinti o incisi. Il ricco inventario di resti di cereali, legumi e frutti indica la compresenza di cicli agricoli invernali (ḫarīf) ed estivi (rabī῾). L'insediamento si sviluppa su una estensione di 20 ha; sono stati scavati complessi e densi aggregati di ambienti rettangolari, con pareti di terra cruda intonacata e buche di palo, associati a piattaforme rialzate e a numerose strutture da fuoco di tipologia diversa, variamente interpretate come fornaci per attività artigianali o altari per il culto. Alcuni ambienti sono interpretati come residenze di artigiani. A questa fase sono attribuite anche 16 sepolture, sia entro urne di terracotta sia entro fossa. Da queste sepolture vengono centinaia di elementi di collana (soprattutto di steatite e cornalina).
La fase V (1400-1000 a.C. ca.) corrisponde all'affermarsi della cultura di Jorwe, il momento più maturo dell'età della Localizzazione in Maharashtra, e a un'ulteriore fase di sviluppo della vita protourbana. La tradizione ceramica della cultura di Jorwe sembra evolvere a D. da quella della cultura del Malwa. Vi sono vasi foggiati al tornio e ben cotti, decorati con pitture in nero di soggetto geometrico e zoomorfo diverse da quelle della fase precedente. L'agricoltura continua a svilupparsi sulla base dei due cicli stagionali e sulla rotazione dei raccolti. Strutture abitative sono state identificate in cinque orizzonti stratigrafici successivi: case con muratura di fango e pali lignei, o capanne di pali e incannucciata, alcune delle quali circolari. Sono venute alla luce un'unità abitativa destinata alla fabbricazione della calce e una capanna associata a scarichi di ossa con tracce di macellazione. In settori di scavo separati vi sono invece residenze e ambienti di maggiori dimensioni, per alcuni dei quali sono state proposte destinazioni rituali. Nei momenti finali della fase V, l'insediamento venne protetto da un muro di recinzione di terra. La cultura materiale continua a sviluppare e a migliorare le tradizioni delle industrie riscontrate nelle fasi precedenti (pietra scheggiata e levigata, lavorazione della conchiglia marina e dell'osso, produzione di elementi di collana, metallurgia del rame). Particolarmente elaborata la piccola coroplastica, con una figurina antropomorfa composita, immagini femminili, di bovini, di rinoceronti, e un'ampia varietà di piccoli oggetti di terracotta, tra cui un sigillo a cilindro con figure animali e altri segni. Appartengono a quest'ultima fase anche 48 sepolture che testimoniano la continuazione delle tradizioni precedenti, con sepolture in urna e in fossa.
Notizie dello scavo in IndAR, 1958-59, pp. 15-18; 1974-75, pp. 29-31.
In generale:
M.D. Kajale, On the Botanical Findings from Excavations at Daimabad, Chalcolithic Site in Western Maharashtra, India, in Current Science, 46 (1977), pp. 818-19; S.A. Sali, The First Evidence of a Hafted Blade Found at Daimabad, District Ahmednagar, Maharashtra, ibid., p. 818; S.R. Rao, Late Harappan Daimabad, in Illustrated London News, April, 1978, pp. 74-75; S.A. Sali, The Discovery of Daimabad Culture, in Journal of the Asiatic Society of Bombay, 54-55 (1979-80), pp. 128-52; M.K. Dhavalikar, Daimabad Bronzes, in G.L. Possehl (ed.), Harappan Civilization, New Delhi 1982, pp. 361-66; S.A. Sali, The Harappans of Daimabad, ibid., pp. 175-84; Id., Daimabad 1976-79, New Delhi 1986.
di Jonathan M. Kenoyer
Sito localizzato sul fiume Pravara, tributario della Godavari, a est della città di Sangammer (distretto di Ahmednagar).
L'antico mound fu scoperto da S.A. Sali dopo il rinvenimento, da parte degli abitanti locali, di ceramica simile a quella messa in luce nel più settentrionale sito di Nasik. La profondità del deposito era di circa 3 m, ma non è documentata l'estensione totale del sito. Poiché gli scavi condotti in cinque diverse aree rivelarono un singolo periodo di occupazione, il nome del sito è divenuto eponimo di una classe ceramica e della cultura a essa collegata, dette appunto "di Jorwe". Data la sostanziale omogeneità della ceramica, i materiali furono raggruppati nello studio tipologico, senza riferimenti alla provenienza stratigrafica.
Si distinguono tre produzioni ceramiche: ceramica dipinta rossa/cremisi/scarlatta; ceramica rosso/grigia a chiazze; ceramica da stoccaggio grezza e a pareti spesse. La ceramica rossa dipinta costituisce la tipica produzione di J. È realizzata al tornio e ben cotta, con motivi decorativi geometrici e a fasce, dipinti in nero. Le forme più diffuse comprendono ciotole con carenatura concava, vasi con versatoio a orlo svasato e contenitori globulari con collo lungo e stretto e orlo svasato. Forme tipiche della ceramica rosso/grigia a chiazze sono contenitori globulari e grandi urne funerarie, mentre in ceramica grezza erano realizzati grandi vasi a pareti spesse con decorazioni eseguite con impressioni digitali sui bordi.
Oltre alla ceramica fu rinvenuto un gran numero di lame microlitiche di calcedonio, selce e diaspro. Lo strumentario litico comprendeva lame con margini paralleli, scarti di lavorazione (schegge e nuclei), strumenti ritoccati come lame a dorso, lunati, trapani e alcuni bulini. Per quanto concerne i metalli, i rinvenimenti consistono in un bracciale di rame e sei asce di rame/bronzo, di forma rettangolare e a taglio convesso. L'analisi metallografica indica che il bracciale e una delle asce furono prima fusi e in seguito ribattuti e temprati. Il bracciale è interamente di rame, mentre l'ascia ha un contenuto di stagno di 1,78%, una percentuale relativamente bassa per una lega di bronzo, tanto che si è pensato che lo stagno fosse presente nel minerale di origine. Non essendo documentata a J. attività di lavorazione del rame, è ipotizzabile che questi oggetti metallici fossero stati importati da siti più a nord, nel Rajasthan. Nel sito non sono documentati resti di strutture architettoniche. La ceramica e la cultura di J., che numerose datazioni al radiocarbonio collocano tra il 1400 e il 1100 a.C., sono attestate in tutto il Maharashtra; in particolare, il sito di Inamgaon, oggetto del più ampio scavo estensivo dei livelli di occupazione Jorwe, fornisce le informazioni più complete su questa importante cultura del Calcolitico.
Bibliografia
H.D. Sankalia - S.B. Deo, Report on Excavations at Nasik and Jorwe, 1950-1951, Poona 1955.
di Liliana Camarda
Sito archeologico nel distretto di Amaravati, sulla riva occidentale del fiume Wardha, che si ritiene corrisponda alla capitale dell'antico Vidarbha, menzionata nell'epica.
Gli scavi degli anni 1962-64 rivelarono che il sito fu occupato fin dal periodo megalitico (anche se il rinvenimento di strumenti del Paleolitico medio e inferiore è segnalato in IndAR, 1958-59), crebbe in epoca Maurya, attraversò una fase di decadenza dopo il periodo Satavahana, per poi acquistare nuovamente importanza in epoca musulmana, quando divenne un avamposto fortificato. Durante il periodo I è attestato l'uso di Black-and-Red Ware (BRW), generalmente associata alla fase megalitica dell'India del Sud; molto lucente e lavorata al tornio veloce, essa presenta a volte dei graffiti. Tipici di questa fase sono anche i grani di corniola incisi all'acquaforte, soprattutto quelli a placca rettangolare con tratti radiali sui margini. Il ritrovamento di crogiuoli attesta l'estrazione per fusione di metalli quali l'argento e il rame, ma compaiono anche oggetti di ferro. La cronologia del periodo, non definita con precisione all'epoca dello scavo a causa della controversa datazione della BRW megalitica, è stata elaborata da A. Ghosh sulla base di scavi successivi effettuati nel distretto di Nagpur, che suggeriscono una data tra il 750 e il 500 a.C.
La BRW è ancora presente nel periodo II (pre-Maurya), quando gran parte della ceramica continua a essere ottenuta con la tecnica della cottura inversa; alcuni vasi mostrano un rivestimento color cioccolato, mentre compaiono anche una ceramica dipinta di giallo e un gran numero di grani di collana a forma di disco affilato, tipici del Calcolitico. Un'apparente rottura nella continuità del periodo è costituita da uno strato sterile intrusivo, attribuito a una possibile inondazione. La cronologia di questa fase si basa su quella del successivo periodo III (Maurya, 300-100 a.C.), databile, pur con una certa imprecisione, per la comparsa di monete punzonate e la presenza di modeste quantità di Northern Black Polished Ware (NBPW), molto probabilmente d'importazione. Un orizzonte meglio definito è fornito da altri fossili-guida quali grani di collana di cristallo e orecchini a forma di rocchetto in diaspro polito; compaiono anche armi di ferro. Associate alla fondazione di un muro furono rinvenute delle ossa, forse umane. Immediatamente al di sotto del muro vi era una piccola giara vuota, di forma globulare e chiusa da un tappo di pietra, forse contenente un liquido al momento della sepoltura. Un frammento di eye-bead di vetro permette la datazione a epoca Maurya. Sempre a questo periodo appartiene un pozzo di drenaggio costituito da cinque giare molto larghe e senza fondo, poste l'una sull'altra.
Il periodo IV (150 a.C. - 200 d.C.) mostra una continuità con le fasi precedenti per quanto riguarda la ceramica, anche se la tecnica della cottura inversa compare ora solo occasionalmente. Le classi ceramiche comprendono ceramica rossa grezza, Red Polished Ware, Black Painted Ware, ma anche BRW, pur se di un tipo più tardo rispetto a quella del periodo megalitico, dalla quale si differenzia per mancanza di lucentezza e per una minore resistenza della vernice, dovute a processi di cottura meno efficaci. Un frammento di Russet-Coated Andhra Ware testimonierebbe l'importazione di questa classe ceramica fino a K., cioè molto più a nord della sua presunta area di diffusione. Compaiono anche pozzi di drenaggio in mattoni trapezoidali. A datare questo periodo contribuiscono strutture di mattoni, figurine di terracotta, vasche votive, pettini, orecchini di vetro, sigilli di terracotta, monete tipiche dell'epoca Satavahana, uno stampo di terracotta per monete probabilmente Kshatrapa. Il ritrovamento di numerosi grani di collana privi di perforazione sembra indicare un luogo di produzione su piccola scala.
Il periodo V, datato su base stratigrafica al 200-250 d.C., è caratterizzato da un deterioramento della cultura materiale. La ceramica è trattata in gran parte con una verniciatura color cioccolato, mentre una ceramica rossa presenta bande nere concentriche dipinte sul collo di vasi globulari, eseguite al tornio. Compaiono inoltre numerosi grani di collana di agata e corniola, una moneta di rame con leggenda, una macina, vasche votive di terracotta. La brevità del periodo ha fatto supporre che la parte più alta del deposito, di epoca Vakataka, Rashtrakuta e successive, fosse stata rimossa con l'occupazione musulmana, che rappresenta il periodo VI (1300-1600 d.C.) ed è caratterizzata dalla presenza di abitazioni costruite con grandi pietre e pavimenti di limo. La datazione di quest'ultimo periodo si basa su pochi elementi, quali vetro, ceramica grezza con decorazioni incise o impresse, bracciali di vetro, monete. Un frammento ceramico con impressioni di una pannocchia di mais costituisce (oltre al mais preistorico di Java) la sola attestazione precolombiana di questo cereale.
M.G. Dikshit, Excavations at Kaundinyapura, Bombay 1968; M.K. Dhavalikar, s.v. Kaundinyapura, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, p. 211.
di Massimo Vidale
Città indiana del Gujarat, nota in Occidente con il nome di Cambay. È situata all'imboccatura del golfo omonimo, presso la foce del fiume Sabarmati. Le fortune della città sono dipese, in passato, dalla navigabilità dei canali naturali che, dalle basse acque del golfo, davano accesso al corso fluviale.
Almeno a partire dal X sec. d.C. tali canali naturali erano facilmente percorribili da imbarcazioni di medie e grandi dimensioni. La città svolse quindi le funzioni di un importante centro portuale, e come tale è citata nel Milione di Marco Polo.
Il nome di Kh. è strettamente legato alle industrie tradizionali dell'agata e di altre pietre semipreziose. La città si trova infatti circa 150 km a ovest di una delle maggiori aree di estrazione dell'agata del mondo, quella di Rajpipla; il Golfo di Kh., una via d'acqua naturale per la navigazione sia costiera sia transoceanica, ha rappresentato per lungo tempo un conveniente sbocco commerciale per i prodotti indiani in agata. Gli scavi di Lothal, un centro harappano di importanza regionale poco più a nord di Kh., hanno dimostrato che la tradizione della lavorazione dell'agata in Gujarat risale almeno alla metà del III millennio a.C.; inoltre, altri scavi effettuati nella cittadina di Nagara, circa 3 km a nord di Kh., hanno messo in luce possibili tracce di una locale industria dell'agata, di portata limitata, in strati databili approssimativamente dal V al XIV sec. d.C. Si presume che la fortuna della città in periodo medievale fosse direttamente legata allo sviluppo del commercio transoceanico svolto da navigatori e mercanti arabi, soprattutto con le coste orientali dell'Africa; gli artigiani di Kh. certamente lavorarono intensamente per abbellire le corti dei sovrani Moghul con i meravigliosi oggetti di pietra dura che essi prediligevano.
Le tecniche di lavorazione ancor oggi usate a Kh. presentano interessanti convergenze con le tecniche del III millennio a.C. Oggi l'agata e in generale il calcedonio vengono portati a Kh. da Rajpipla per via di terra, su autocarri, sotto forma di grossi ciottoli e noduli grezzi. Giungono in città anche carichi di diaspro, ametista, aventurina e grossi cristalli di quarzo estratti nella più lontana regione mineraria di Aurangabad, nell'entroterra del Deccan. La pietra viene quindi lasciata seccare sotto il cocente sole estivo e poi cotta entro appositi vasi di terracotta allineati in apposite fornaci: questi trattamenti eliminano l'acqua contenuta nella pietra rendendola più facilmente scheggiabile. Inoltre, alcune varietà di calcedonio o agata finemente zonata, di colore bruno-olivastro, con la cottura assumono gradualmente una vivace colorazione rosso-sangue. Viene così ottenuta la cornalina, estremamente popolare nel Subcontinente indiano già a partire del III millennio a.C. Nella fabbricazione degli elementi di collana, i ciottoli di cornalina vengono sagomati con una caratteristica tecnica di scheggiatura, detta "percussione indiretta inversa". L'artigiano colloca il blocchetto di pietra contro la punta di una sbarra di ferro infissa diagonalmente nel terreno e percuote il retro della pietra con un leggero martello ricavato dal corno di bufalo, spingendola contro la punta della sbarra. Tale tecnica, il cui impiego potrebbe risalire al III millennio a.C., consente un controllo estremamente accurato del processo di formatura delle sbozze. La lucidatura viene effettuata su ruote di legno duro; per la trapanazione si usano punte di trapano di acciaio dotate sull'estremità di due microscopiche schegge di diamante, la cui forma complessiva ricorda i trapani usati dagli artigiani della Civiltà dell'Indo. Il colore rosso della cornalina può essere intensificato a ogni passo di questa sequenza e alcuni elementi di collana possono essere cotti anche da 10 a 20 volte.
A.J. Arkell, Cambay and the Bead Trade, in Antiquity, 10 (1936), pp. 292-305; R.K. Trivedi, Agate Industry of Cambay, Delhi 1964; V.A. Janaki, The Commerce of Cambay from the Earliest Period to the Nineteenth Century, Baroda 1980; P.J. Francis, Indian Agate Beads, Lake Placid 1982; J.M. Kenoyer, The Indus Bead Industry. Contributions to Bead Technology, in Ornament, 10, 1 (1986), pp. 18-23; J.M. Kenoyer - M. Vidale - K.K. Bhan, Contemporary Stone Bead Making in Khambhat, India: Patterns of Craft Specialization and Organization of Production as Reflected in the Archaeological Record, in WorldA, 23, 1 (1991), pp. 44-63; Iid., Carnelian Bead Production in Khambhat, India: an Ethnoarchaeological Study, in B. Allchin (ed.), Living Traditions, Oxford 1994, pp. 281-306.
di Federica Barba
Moderna città del Maharashtra meridionale sul fiume Panchaganga, affluente della Krishna.
Nella parte occidentale dell'insediamento, formata dalla collina di Brahmapuri, sono venuti alla luce numerosi reperti: nel 1873 un vaso contenente circa 600 monete; nel 1877 un reliquiario di pietra, oggetti votivi (stūpa, toraṇa, chattra e cakra), monete e ornamenti d'oro. Nel 1944 fu effettuato un primo scavo, in seguito al ritrovamento di ceramica e ornamenti di conchiglia, che portò alla scoperta di un tesoro di statuette di bronzo e altri oggetti di metallo. Nel 1945, allo scopo di chiarire la provenienza dei reperti e di fissare una sequenza culturale per il Deccan, fu eseguito uno scavo stratigrafico, uno dei primi nel Subcontinente, nei pressi del luogo di ritrovamento dei bronzi. Lo scavo, limitato a un'area di 30 × 30 m ricavata tra edifici moderni, rivelò l'esistenza di due fasi: la prima risalente al periodo Satavahana (I-III sec. d.C.), la seconda al Medioevo (XII sec. d.C.).
La prima fase è caratterizzata dagli elementi tipici di un centro urbano ben sviluppato: abitazioni con fondazioni di pietra e mura di mattoni cotti, ceramica di lusso (piatti e coppette in Black Ware; alcuni frammenti di Red Polished Ware) e di imitazione o di importazione (anfore), ampio uso della monetazione, grande varietà di ornamenti prodotti in diversi materiali (corniola incisa, lapislazuli, diaspro, cristallo, faïence, vetro e terracotta) e una produzione figurativa di terracotta e caolino. A questo periodo risale probabilmente il tesoro di bronzi, costituito da statuette e oggetti di uso cultuale (ciotole, olle, asce, lampade, specchi, anelli per aste). Gran parte di questi oggetti è riconducibile all'ambito indiano e probabilmente buddhista: in particolare, una figura di elefante con in groppa quattro passeggeri, un leone con testa d'aquila, un vaso con raffigurazioni di animali fantastici, gli anelli, i modellini di carri e le placchette con vari simboli. Alcuni oggetti sono invece di provenienza occidentale e principalmente riconducibili a miti e culti diffusi tra i navigatori: una statuetta di Poseidone, un disco con Perseo e Andromeda (parte di un piatto o di uno specchio), anse decorate con immagini di satiro, delfino e cupido, un'anfora con ansa plastica a forma di leone. Su base stilistica, la statuetta di Poseidone è stata datata tra il 300 a.C. e il 200 d.C., gli altri oggetti all'età imperiale. La presenza di questo tesoro, probabilmente destinato alla rifusione o alla vendita, insieme a quella di ornamenti di lapislazuli, statuette di caolino e anfore, colloca la città all'interno di un'ampia rete di scambi, che comprendeva sia il resto dell'India sia l'Occidente.
La monetazione evidenzia il forte legame con la dinastia dei Satavahana, che dominava le città di Paithan e Ter, centri di attività artigianali (lavorazione delle pietre semipreziose e dei tessuti). Queste città avevano come principale sbocco sul mare i porti di Broach, nel Gujarat, e Sopara, nel Maharashtra settentrionale. Dal I sec. d.C., a causa della conquista del Gujarat a opera degli Kshatrapa, i Satavahana si orientarono probabilmente anche verso sud ed è a partire da questa fase che si sviluppa la città di Brahmapuri, a metà strada tra Paithan e i porti del Maharashtra meridionale da una parte e le città del bacino della Krishna (Satanikota, Amaravati) dall'altra. K. è citata nella Geografia di Tolemeo con il nome di Hippokoura, capitale del re Baleokouros, identificato con Gotamiputra Vilivayakura, della dinastia dei Kura. Questa dinastia, della quale sono note numerose monete, mantenne probabilmente l'indipendenza dai Satavahana, almeno fino al regno di Yajnashri Satakarni (fine II sec. d.C.). Nel III sec. d.C., con la decadenza dei Satavahana, K. fu abbandonata, forse a causa di un incendio. Risorgerà nel XII sec. d.C., con il regno dei Silahara (edifici di pietra, bracciali di vetro policromi).
H.D. Sankalia - M.G. Dikshit, Excavations at Brahmapuri (Kolhapur) 1945-46, Pune 1952; H.D. Sankalia, Imported Mediterranean Amphorae from Kolhapur, in JRAS, 1957, pp. 207-208; K. Khandalavala, Brahmapuri. A Consideration of the Metal Objects Found in the Kundangar Hoard, in LalitKalā, 7 (1960), pp. 29-75; C. Margabandhu, Trade Contacts between Western India and the Graeco-Roman World in the Early Centuries of the Christian Era. An Archaeological Restatement, in JESHO, 8 (1965), pp. 316-22; R.D. De Puma, The Roman Bronzes from Kolhapur, in V. Begley - R.D. De Puma (edd.), Rome and India. The Ancient Sea Trade, Madison 1991, pp. 82-112; C. Margabandhu, Satavahana Paithan. A Study of Some Material Artefacts, in A.V.N. Murthy - I.K. Sarma (edd.), śrī Rāmachandrikā: Essays on Indian Archaeology, History, Epigraphy, Numismatics, Art and Religion, Delhi 1993, pp. 79-85.
di Daniela De Simone
Ubicato lungo un tributario della Tungabhadra, nel distretto di Raichur in Karnataka, si ritiene che M. fosse l'avamposto meridionale del regno di Ashoka Maurya. Gli scavi di B.K. Thapar hanno dimostrato l'esistenza di tre distinti periodi insediativi e di una fase d'epoca medievale.
Al periodo I (X-III sec. a.C.) risalgono numerose lame e microliti (di selce, agata, corniola e opale) e un unico oggetto in rame (un bastoncino dalla natura incerta). Le molte ossa di bufali, pecore e capre dimostrano l'importanza dell'allevamento, affiancato da un'attività agricola non intensa. Non vi sono tracce di strutture abitative, ma le numerose buche di palo suggeriscono che le abitazioni fossero costruite con materiali deperibili. Da segnalare i molti pottery discs (contatori di terracotta) e l'enorme quantità e varietà di grani di collana di ametista, corniola, agata, calcedonio, corallo e vetro. La ceramica, nella quasi totalità non decorata, si divide in due classi: la Dull Grey Ware e la Pinkish Buff Ware, entrambe di fattura piuttosto grezza. Gran parte del vasellame è lavorato al tornio, trattato con una vernice spessa e grezza e talvolta polito. Pochissimi frammenti recano decorazioni lineari incise o dipinte.
Il periodo II o periodo megalitico (I sec. a.C. - I sec. d.C.) è caratterizzato, oltre che dall'introduzione del ferro e dalla costruzione di strutture megalitiche, da cinque tipi di sepolture: 1) fossa di inumazione rettangolare orientata nord-sud: lo scheletro è adagiato sul fondo, assieme a oggetti di ferro e vasi di terracotta; 2) sepoltura simile alla precedente ma con orientamento est-ovest; 3) fossa di forma non specificata all'interno della quale si trova una grande urna-ossuario, circondata da vasi più piccoli; 4) fossa circolare sul fondo della quale è adagiato lo scheletro, ricoperto da una lastra di pietra sormontata da un vaso funerario: in superficie la fossa è indicata da alcune pietre a circolo; 5) fossa di inumazione circolare in cui lo scheletro è adagiato sul fondo insieme a oggetti di ferro e vasi di terracotta: la sepoltura è indicata in superficie dalla presenza di un tumulo racchiuso da un circolo di pietre.
Anche in questa fase le tracce abitative si limitano alle molte buche di palo. Ricca la presenza di oggetti di ferro - soprattutto punte di freccia, lance e lame di pugnali - sia nelle sepolture sia nei piani abitativi; non s'interrompe l'uso del rame. Non mancano pottery discs e grani di collana di vari materiali, braccialetti di vetro e di conchiglie. Le classi ceramiche presenti (Megalithic Black-and-Red Ware, All-Black Ware e Red Slipped Ware) si presentano di fabbricazione più fine rispetto al periodo precedente, con superfici generalmente polite e talvolta lucidate.
Il ritrovamento di alcune monete e la scarsa presenza di ossa di animali domestici caratterizzano il periodo III (I-III sec. d.C.), in cui si nota un cambiamento nell'economia del sito. Di ciò è indicativa la sofisticata produzione ceramica: Dull Red Ware, Darkish Grey Ware e Russet-Coated Painted Ware. Quest'ultima in particolare presenta una notevole varietà di decorazioni geometriche dipinte di bianco con polvere di caolino; la superficie è inoltre trattata con una vernice ocracea di colore rosso bruno.
La fase medievale è databile all'XI-XVII sec. d.C. Importante il ritrovamento di alcune monete del XIV secolo, fra le quali in particolare una del sultano Qutb al-Din Mubarak Shah Khalji (1316-1320 d.C.). La classe ceramica predominante è la Grey Pottery, caratterizzata da una superficie generalmente polita e decorazioni a stampo o incise poste perlopiù sulla spalla del vaso.
Bibliografia
R.B. Foote, The Foote Collection of Indian Prehistoric and Protohistoric Antiquities, Madras 1916 (rist. 1979), pp. 125-26; B.K. Thapar, Maski 1954: a Chalcolithic Site of the Southern Deccan, in AncInd, 13 (1957), pp. 4-142; Id., s.v. Maski, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, pp. 281-83.
di Federica Barba
Il sito sorge sull'alto corso del fiume Godavari, nel Maharashtra (distretto di Aurangabad). La regione è compresa nell'altopiano del Deccan, formato da rocce basaltiche di origine vulcanica e punteggiato da boschi.
Dopo la fase paleolitica si hanno, nel II e I millennio a.C., numerosi villaggi calcolitici la cui fondazione è connessa all'influenza che la Civiltà dell'Indo esercitò sulle regioni limitrofe e ai movimenti che seguirono alla sua scomparsa. Un nuovo impulso allo sviluppo dell'area proviene, nel III sec. a.C., dall'estendersi dell'impero Maurya lungo le vie che dalla pianura gangetica attraversano il Madhya Pradesh e il Maharashtra settentrionale per arrivare al Mar d'Arabia, come attestato dalle fonti letterarie ed epigrafiche. Nella letteratura buddhista, il sito (Patitthana) è punto terminale della via che partiva da Shravasti (Savatthi), percorsa da monaci e mercanti; negli editti su roccia V e XIII, emanati dal re Ashoka, è scritto che i "Ministri del Dharma" erano impegnati presso vari popoli, tra cui quello dei Pitinika. I dati archeologici confermano l'importanza dell'area: intorno all'alto bacino della Godavari si svilupparono sia nuclei urbani sia centri religiosi. Le indagini archeologiche si sono concentrate soprattutto su questi ultimi, caratterizzati principalmente da monumenti rupestri, mentre i centri urbani hanno ricevuto un'attenzione minore. Oltre a P., le città principali erano Nevasa e Nasik. Rispetto a questi due centri, grandi circa 2 ha, P., che si estende per 1 km lungo la riva del fiume, è il sito di maggiori dimensioni.
Il primo scavo fu effettuato nel 1937: negli strati superiori furono rinvenuti materiali del XV-XIX sec. d.C. Al di sotto, dopo uno strato di terra di 2,5 m, furono scoperti a una profondità di 5 m due templi di mattoni cotti assieme a ornamenti, figure di terracotta e monete di rame. Questo scavo è stato ripreso nel 1996, nel tentativo di identificare le fasi di costruzione delle due strutture e di datarle. In base alle dimensioni dei mattoni e alla tipologia della decorazione architettonica, i due templi sono stati collocati tra il V e l'VIII sec. d.C. Sono state inoltre individuate due fasi precedenti la costruzione degli edifici ed è stato osservato che l'area si trovava probabilmente alla periferia dell'antica città. Sono stati quindi effettuati alcuni sondaggi in altre parti del sito che hanno rivelato resti del II sec. a.C. e del I-II sec. d.C.
Questi dati, insieme ai ritrovamenti casuali di numerosi oggetti (monete punzonate, monete Satavahana, di Augusto e Tiberio, bullae ornamentali, figure di terracotta in caolino) indicano che P. si sviluppò con l'affermarsi dell'impero Satavahana (I sec. a.C. - III sec. d.C.) e ne fu probabilmente la capitale. Grazie alle sua posizione strategica, il sito si prestava infatti a costituire il centro dell'impero. Oltre ad avere il porto di Sopara come naturale sbocco sul mare, P. era ben collegata alle coste del Gujarat e del Maharashtra meridionale. Inoltre, il bacino della Godavari attraversa tutta la penisola indiana, da ovest a est, sfociando nel Golfo del Bengala a nord del fiume Krishna, sulle cui sponde sorgevano importanti città del primo periodo storico (Dharanikota, Nagarjunakonda, Satanikota). Il legame tra queste regioni è attestato principalmente dalla diffusione delle ceramiche di lusso (Red Polished Ware e Russet-Coated Painted Ware), dalle monete della dinastia Satavahana, dalle figure di caolino e dai reperti di origine o imitazione romana (anfore, monete, bullae, Rouletted Ware).
S. Yusuf, Paithan Excavations, in Annual Report of the Archaeological Department of His Exalted Highness The Nizam's Dominions, 1936-37, pp. 39-42; C. Margabandhu, Satavahana Paithan. A Study of Some Material Artefacts, in A.V.N. Murthy - I.K. Sarma (edd.), śrī Rāmachandrikā: Essays on Indian Archaeology, History, Epigraphy, Numismatics, Art and Religion, Delhi 1993, pp. 79-85; IndAR, 1996-97, p. 70; 1997-98, pp. 125-29; 1998-99, pp. 107-12; S. Gupta - D. Williams - D. Peacock, Dressel 2-4 Amphorae and Roman Trade with India: the Evidence from Nevasa, in SouthAsSt, 17 (2001), pp. 7-17; D. Kennet - J.V.P. Rao, Two Early Historic Brick Temples at Paithan in Maharashtra, ibid., 19 (2003), pp. 113-23.
di Daniela De Simone
Il sito si trova 60 km a sud-ovest di Nagpur, nel Maharashtra, sulla riva destra del fiume Dham, un tributario della Vardha; si ritiene che esso sia quanto rimane dell'antica Pravarapura, la capitale del regno di Vidarbha durante la dinastia dei Vakataka, che regnarono tra il III e il VI sec. d.C.
Nel 1967 il sito è stato oggetto di una campagna di scavo intrapresa da S.B. Deo e M.K. Dhavalikar per conto dell'Università di Nagpur. Le indagini hanno rivelato l'esistenza di un insediamento, apparentemente non ininterrotto, a partire dall'XI sec. a.C. fino al XV-XVI sec. d.C. circa, all'interno del quale si possono individuare quattro differenti periodi.
Il periodo I (XI-IX sec. a.C.) è definito da un unico piano di terra battuta dello spessore di circa 10 cm. Non vi sono buche di palo, ma sono state ritrovate tracce di un focolare con numerosi frammenti combusti di ossa animali recanti segni di macellazione. Si è rilevata la presenza di Black-and-Red Ware (BRW), di Red Ware (RW) molto grezza e della particolare ceramica chiamata Painted Black-on-Red Ware, attestata solo nella zona dell'antica regione di Vidarbha in età protostorica. Essa si presenta a corpo rosso, generalmente verniciato con un colore che varia dal rosso all'arancio. Le decorazioni, realizzate con pigmenti neri, si trovano sull'orlo, il collo e la spalla del vaso. I disegni sono abbastanza semplici: di regola si tratta di figure geometriche. La produzione, al tornio o a mano, è piuttosto grezza e sembra che la cottura sia avvenuta a temperature basse. L'unica tipologia di questa classe ceramica è il vaso globulare, usato per conservare alimenti o trasportare acqua.
Il periodo II può essere ulteriormente suddiviso in due fasi: periodo IIA e periodo IIB. Nel periodo IIA (IV-I sec. a.C.) sono stati individuati quattro diversi livelli pavimentali con numerose buche di palo, ma non è stato possibile rilevare alcun allineamento fra le stesse. Dall'assemblaggio ceramico, perlopiù invariato rispetto al periodo precedente, scompare la Painted Black-on-Red Ware, mentre si registrano i primi oggetti di ferro. Le prime tracce di abitazioni di mattoni crudi sono attestate nel periodo IIB (I-III sec. d.C.); da segnalare un pozzo ad anelli (ringwell) del diametro di 60 cm. Nel complesso ceramico si nota una certa decadenza qualitativa nella produzione di BRW; alcuni frammenti sembrerebbero appartenere a un'anfora romana.
Il periodo III (III-VIII sec. d.C.) è la fase di massimo sviluppo di P. Sono venuti alla luce tre differenti piani pavimentali recanti tracce di abitazioni con muri di terra cruda e mattoni cotti, e altri due ringwells. La quantità di ceramica è nettamente superiore rispetto ai periodi precedenti; degni di menzione sono i frammenti di RW decorati con incisioni lineari e pitture a fasce di color ocra. C'è un'abbondanza di oggetti di rame, soprattutto monili (braccialetti, anelli, cavigliere) e bastoncini applicatori per la polvere di antimonio (kajal). Rilevante è anche la presenza di numerosi oggetti di ferro: lame, chiodi e ami. Importante per la datazione è il ritrovamento di placchette votive di terracotta in stile Vakataka, rappresentanti divinità brahmaniche, e monete Vishnukundin.
Il sito di P. subisce un inesorabile declino nel periodo IV (X-XVI sec. d.C.) con la dominazione musulmana; l'area viene fortificata con imponenti mura di pietra, a causa della posizione strategica a ridosso del fiume Dham. La quantità di vasellame è scarsa e la qualità decisamente modesta, esclusi alcuni frammenti di ceramica cinese céladon e di ceramica invetriata Moghul. Una moneta di Muhammad Tughlaq è stata datata al 1331/2.
S.B. Deo - M.K. Dhavalikar, Paunar Excavation (1967), Nagpur 1968; S.B. Deo, s.v. Paunar, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, pp. 337-38.
di Giovanni Verardi
Località del Maharashtra sita 80 km a sud-est di Nagpur, nella regione a sud dei Monti Vindhya nota in antico come Vidarbha.
Nel 1969-70 vennero portati alla luce due grandi stūpa buddhisti, la produzione scultorea del più antico dei quali mostra uno stretto legame con l'arte di Bharhut. L'area sacra e l'insediamento urbano da cui essa dipendeva si trovano lungo il corso della Vainganga (affluente di sinistra della Godavari) a metà percorso tra Bharhut e il bacino inferiore della Krishna, dove sorgevano, attorno alla città di Dharanikota, numerosi insediamenti buddhisti (Amaravati, Vaddamanu, ecc.).
Lo scavo del Jagannātha ṭekrī, disturbato da gravi spoliazioni e dalla costruzione del tempio dedicato a Vishnu Jagannātha, portò alla luce uno stūpa vissuto tra il IV sec. a.C. e il III-IV sec. d.C., le cui vicende costruttive possono fornire per analogia importanti indicazioni su quelle dello stūpa di Bharhut, non più esistente. Nella sua prima fase il monumento, costruito con mattoni cotti di 40 × 30 cm, aveva un diametro di circa 38 m. Un primo ingrandimento, ottenuto costruendo intorno all'aṇḍa una fodera con tecnica ad alveare, è associato a buche di palo del diametro di 16 cm, relative forse a una prima balaustra lignea che delimitava il pradakṣināpatha (cammino processionale). Una seconda fodera portò il diametro dello stūpa a 41,2 m: essa era associata a un anello formato da cinque corsi di mattoni che reggeva una nuova balaustra lignea. Questi livelli sono associati a frammenti di Northern Black Polished Ware (NBPW), vasellame pregiato qui documentato con piatti e ciotole, a ceramica nera e rossa e a quella grigia.
Il pradakṣināpatha fu completamente rinnovato intorno al 100 a.C. per mezzo di una pavimentazione di pietra posata sopra il battuto precedente e la costruzione di due balaustre, esse pure di pietra: interna l'una, accanto all'aṇḍa, esterna l'altra. I pilastrini della balaustra interna, in origine un centinaio, posti alla distanza di 1,1 m l'uno dall'altro, sono a sezione esagonale dallo spiccato in su e uniti in cima da elementi orizzontali bombati. Alcuni di essi sono scolpiti a bassorilievo. La balaustra esterna era invece formata da pilastri ottagonali posti alla distanza di 1 m, fondati per 90 cm e alti 1,35 m dallo spiccato. In taluni casi, tre delle facce interne sono scolpite in bassorilievo con immagini di devoti, la rappresentazione di uno stūpa sormontato da harmikā, il dharmacakra ("Ruota della Legge") all'interno di un sacello (caityagṛha), e così via. I pilastrini erano sormontati da elementi bombati e connessi da traversine (sūcī). Questi elementi architettonici hanno brevi iscrizioni che ricordano ‒ come a Sanchi ‒ i nomi dei donatori: laici e, molto spesso, monaci e monache. Lo scavo ha mostrato che esistevano quattro ingressi al pradakṣināpatha, posti ai quattro punti cardinali e tali da formare, a causa della loro forma a L, uno swastika levogiro che, come già a Bharhut, indicava l'orientazione polare, ovvero il girare del firmamento intorno al polo celeste: l'asse dello stūpa coincideva con l'asse polare.
L'ultima fase dello stūpa risale al periodo Kshatrapa (I-II sec. d.C.). Il monumento non venne ulteriormente ingrandito, ma restaurato di tanto in tanto. Il nuovo materiale scultoreo appare di qualità inferiore a quello del I sec. a.C. La ceramica associata a questa fase è quella rossa dipinta, oltre alla tipica ceramica rossa polita di questo periodo, ben nota a nord dei Vindhya. Intorno al 300 d.C. lo stūpa subì una distruzione violenta.
A 2 km a sud sorge l'altro grande stūpa di P., il Chāṇḍakāpura ṭekrī. Questo secondo monumento fu costruito in epoca Kshatrapa alternando file di grandi mattoni cotti (55 × 37 cm) a file di mattoni di uguali misure, ma crudi; ha le stesse dimensioni dell'altro stūpa (diam. 41,6 m), ma è privo di qualsivoglia decorazione. Un saggio condotto al centro del monumento rivelò la presenza, sotto il corso più basso di mattoni formanti l'aṇḍa, di un vano triangolare con la base in alto (3,8 m) e con l'apice a 1,75 m più in basso. Vi furono rinvenuti i frammenti di un vaso di ceramica rossa a fasce dipinte usato come reliquiario e contenente infatti ossa umane. Venne osservato l'alloggiamento di un'asta lignea che partiva dall'apice della camera triangolare, che costituiva l'asse del monumento (yūpa e yaṣṭī).
Bibliografia
S.B. Deo - J.P. Joshi, Pauni Excavation (1969-70), Nagpur 1972.
di Giovanni Verardi
Sito appartenente al distretto di Junagadh nel Gujarat, lungo la costa sud-occidentale della penisola del Saurashtra, presso la foce del fiume Heran.
Noto per un tempio shivaita saccheggiato da Mahmud di Ghazni nel 1025, nuovamente danneggiato, secondo alcuni, dal sultano di Delhi Ala ad-din Khalji nel 1298 e trasformato in moschea dall'imperatore Moghul Aurangzeb nel 1701; qui si concentrarono i primi scavi, condotti da B.K. Thapar nel 1950. Nell'area vi sono evidenze di tre diversi insediamenti di epoca storica. Il più antico, formato da diverse alture lungo il fiume, corrisponde all'antica città di Prabhasa, abbandonata nel VI sec. d.C., nella cui area gli scavi degli anni Cinquanta e Settanta rivelarono l'esistenza di un precedente insediamento d'età calcolitica, noto in letteratura come Prabhas Patan. In epoca medievale emerse l'abitato di S., a seguito dell'interramento della foce del fiume; quindi si sviluppò il porto di Veraval.
La periodizzazione del sito ha inizio con il periodo I, o "pre-Prabhas", per il quale sono state suggerite le date 2000-1800 a.C. È documentato da frammenti ceramici rinvenuti nello strato alluvionale che ricopre il terreno vergine, trasportati dall'acqua. Seguono i periodi II e III, antico e tardo Prabhas (rispettivamente 1800-1500 e 1500-1200 a.C.) e, dopo un lungo iato nella sequenza, comune ad altri siti del Saurashtra e del Rajasthan meridionale, il periodo IV o primo periodo storico (IV sec. a.C. - I sec. d.C.). Chiude la sequenza il periodo V, o periodo Kshatrapa-Gupta (I-VI sec. d.C.). La parte del deposito meglio indagata è quella relativa ai periodi II e III, per i quali si è parlato di "cultura di Prabhas": gli assemblaggi comprendono ceramica rossa e nera, a ingobbio rosso, e una ceramica rossa dipinta di nero legata alla produzione tardoharappana del Gujarat. Predominano ciotole sferiche e subsferiche d'ogni dimensione e ricorre frequentemente un tipo di giara globulare con orlo estroflesso.
Nel periodo III si affianca a questa produzione una ceramica rossa lustrata e vi sono importanti evidenze strutturali. È stata esposta, in particolare, una complessa struttura costituita da muri ortogonali di pietra calcarea formanti ambienti quadrati (i maggiori misurano 3,5 × 1,5 m), forse appartenenti a un magazzino, in parte obliterata dalla costruzione delle mura della cittadella del periodo IV. Tra i materiali associati si segnalano un sigillo di steatite, una lamina di ossidiana (verosimilmente importata dalla Penisola Anatolica), vaghi di collana di steatite e maiolica e due grandi giare.
Uno strato naturale di circa 30 cm separa il deposito calcolitico da quello di epoca storica. Per la città fortificata è stata suggerita la data del III sec. a.C., forse da abbassare al II. Le mura, larghe 1 m, sono di pietra con bastioni ai punti cardinali; vi è associata una ceramica rossa e nera. La città storica di Prabhasa è connessa alla tribù degli Yadava qui migrati, secondo una tradizione, da Dwarka. Le evidenze dell'ultimo periodo sono state rinvenute solo in alcune aree dello scavo. Si segnalano un'anfora romana del I-II sec. d.C. e alcune terrecotte di età Gupta. Per quanto riguarda il tempio di S., sono state fatte molte ipotesi sull'epoca della sua fondazione e la sua destinazione originaria. L'ipotesi più probabile è che sia sorto nel VII secolo come santuario già dedicato a Somanatha, una forma di Shiva.
Bibliografia
B.K. Thapar, The Temple of Somanatha: History by Excavations, in K.M. Munshi, Somanath, the Shrine Eternal, Bombay 1951, pp. 71-90; J.M. Nanavati - R.N. Mehta - S.N. Chowdhary, Somnath 1956 (Being a Report of Excavations), Baroda 1971; IndAR, 1971-72, pp. 12-13; 1976-77, pp. 17-18; M.A. Dhaky - H.P. Shastri, The Riddle of the Temple of Somanātha, Varanasi 1974; M.K. Dhavalikar, An Early Warehouse on the Western Coast, in Purātattva, 9 (1977-78), pp. 100-103; Id., s.v. Prabhas Patan (Somnath), in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, pp. 348-50; R. Thapar, Somanatha, the Many Voices of History, New Delhi 2004.
di Rosa Maria Cimino
Villaggio situato lungo il fiume Terna, a 6 km dalla moderna Osmanabad, in Maharashtra; sorge sull'antica cittadina di Tagara, di cui parlano l'autore del Periplus Maris Erythraei (51) e Tolemeo (VII, I, 82).
Il sito è conosciuto sin dal 1901, quando J.F. Fleet ne propose l'identificazione con l'importante centro commerciale di epoca Satavahana; poco dopo H. Cousens effettuò una seconda ricognizione descrivendo i monumenti principali: nel sanctum di un tempio dedicato a Trivikrameshvara egli identificò una delle più antiche strutture dalla forma "a caitya" (rettangolo absidato) costruite all'aperto, probabilmente di antica origine buddhista, successivamente adattata a tempio Hindu con l'aggiunta di un maṇḍapa (struttura ipostila) a tetto piatto.
Scavi sistematici iniziarono solo nel 1958 a opera di B.N. Chapekar. Questi, oltre a rilevare sporadici manufatti attribuibili a epoca neolitica, mise in luce un insediamento databile dal III sec. a.C. al III d.C., di cui distinse due fasi successive: la prima è caratterizzata dalla Northern Black Polished Ware (NBPW) e la seconda, di gran lunga la più importante, separata dalla prima da un certo lasso di tempo, è rappresentata dalla caratteristica Red Polished Ware (RPW). In questa fase di ricerca fu confermata l'importanza del sito come centro commerciale "internazionale", dove pervenivano oggetti e prodotti provenienti dal mondo mediterraneo. La successiva campagna di scavo, condotta da M.G. Dikshit nel 1966-67, portò alla luce la base di un grande stūpa di 26 m di diametro, corredato da quattro piattaforme e da pradakṣināpatha, e i resti di un caityagṛha (tempio absidato in mattoni con uno stūpa all'interno), preceduto da un maṇḍapa di legno, databile in base a evidenze epigrafiche e numismatiche al II sec. d.C.
T. dovette essere un centro commerciale di una certa importanza già in epoca Maurya, come mostrano in particolare le monete, ed è probabile che sin da allora fosse collegata, oltre che alle principali città settentrionali e a quelle del Deccan, ai porti lungo le coste occidentali e orientali. L'autore del Periplus (ca. I sec. d.C.) riferisce che la città di Tagara era a 10 giorni di cammino da Pratishthana (capitale dei Satavahana), a sua volta a venti giorni di viaggio dal porto di Barygaza (Broach), importante scalo commerciale alla foce della Narmada. Molti elementi fanno pensare a una presenza in loco di occidentali. Oltre ad alcune monete romane e a copie locali (le cd. bullae), figurano oggetti di importazione o imitazioni di pezzi occidentali simili a quelli trovati anche in altri centri del Deccan: copie di lucerne romane, coppette in terracotta che imitano nella forma esemplari in vetro o in terracotta di area mediterranea, statuine fittili dipendenti da prototipi occidentali.
Allo stesso periodo risalgono alcuni reperti riconducibili ai culti induisti, quali statuette e piccole stele votive di pietra grigia, statuette di terracotta rappresentanti figure femminili nude dalle forme prosperose, altre acefale, accovacciate e a gambe aperte, di solito poste in relazione con il culto della dea madre. Sono stati inoltre rinvenuti collane e monili di osso e conchiglia, grani di collana in lapislazuli di provenienza centroasiatica, piccoli tondi con motivi vegetali e animali eseguiti a stampo, monete locali e altro tipo di ceramica locale. Statue di pietra ed elementi architettonici di epoca Gupta sono indice di una certa vitalità del luogo anche dopo il declino dei Satavahana. Oltre al tempio absidato di Trivikrameshvara (IV sec. d.C.), sono stati identificati un tempio di piccole proporzioni e molto danneggiato, dedicato a Uttareshvara e databile al VI secolo, e il tempio di Tripurantakeshvara, lungo il fiume, di cui però è rimasto solo il liṅgam.
Notizie sugli scavi in IndAR, 1957-58, pp. 23-24; 1966-67, pp. 25-26; 1967-68, p. 35; 1968-69, pp. 17-18; 1974-75, p. 32.
In generale:
H. Cousens, Ter, Tagara, in ASIAR, 1902-1903, pp. 195-204; D. Barrett, Ter, Bombay 1960; B.N. Chapekar, Report on the Excavation at Ter (1958), Puna 1969; S. Gorakshkar, Ter, Kolhapur and the Yavanas, in Dawn of Civilization in Maharashtra (Catalogo della mostra), Bombay 1975, pp. 27-30; H.P. Roy, Monastery and Guild: Commerce under the Śātavāhanas, New Delhi 1986.