L'archeologia del Vicino Oriente antico
di Paolo Matthiae
Le testimonianze della cultura materiale delle grandi civiltà storiche fiorite dalla valle del Nilo alla valle dell'Indo, nei tre millenni tra l'età protourbana e la conquista dell'Oriente a opera di Alessandro Magno, sono andate completamente perdute per la memoria storica tanto dell'Occidente cristiano quanto dell'Oriente islamico del Medioevo a partire dai secoli dell'ellenizzazione dell'Oriente. La stessa sorte, in un naufragio apparentemente totale, subirono tutti i documenti scritti di quelle culture, consegnati a scritture di cui durante i secoli del dominio romano si perse ogni memoria.
A differenza di ciò che avvenne alle testimonianze monumentali del mondo romano ‒ spesso presenti, anche se in stato di crescente degrado, nei centri urbani ormai in decadenza dell'Occidente come anche d'Africa e d'Oriente ‒ e a non poche opere letterarie del mondo classico conservate e trascritte nei monasteri del mondo cristiano, ogni traccia del mondo orientale antico preclassico, materiale e scritta, si perse in maniera pressoché totale: ciò sia per la lontananza geografica rispetto al mondo occidentale, sia per il frequente nuovo dislocarsi dei centri urbani nel mondo orientale islamico, che comportò che i luoghi delle rovine preclassiche rapidamente divenissero, quasi seguendo letteralmente le profezie bibliche, solo irriconoscibili collinette senza forma alcuna, cosparse di cocci. Solo lo straordinario corpus dei testi biblici dell'Antico Testamento, per esser divenuto, con varianti non rilevanti, l'insieme dei libri sacri dell'ebraismo e del cristianesimo, si è conservato integro ed è rimasto familiare, attraverso le versioni greche e latine degli originali ebraici e in assai minor misura aramaici, tanto all'Occidente cristiano quanto all'Oriente islamico, delle cui fedi costituiva il lontano riconosciuto fondamento.
Se molti aspetti delle religiosità, delle ideologie, delle mentalità delle civiltà dell'Oriente antico sono arrivati fino a noi e hanno pervaso i nostri modi di pensare in maniera assai più ampia di quanto noi stessi usualmente riconosciamo, ciò dipende dalla straordinaria familiarità della gente comune, non meno che degli uomini di cultura, dell'Occidente medievale con i libri dell'Antico Testamento, che per gli uomini dell'Occidente appunto, come per quelli dell'Oriente islamico, contenevano le più diffuse, conosciute e amate storie delle origini remote e affascinanti dell'umanità. Queste storie erano tanto più suggestive e veritiere, in quanto non erano, per così dire, storie normali, ma erano "la storia sacra" dell'umanità stessa, della sua origine, dei suoi peccati, della sua salvezza.
Tuttavia, l'Antico Testamento, pur salvaguardando la prospettiva tipica del mondo orientale antico alla memoria storica del Medioevo cristiano e islamico, ha contribuito vigorosamente a creare un'immagine fortemente negativa delle civiltà dell'antico Oriente, in quanto luoghi del paganesimo più abominevole sul piano religioso, del dispotismo più tirannico sul piano ideologico, della dissolutezza più pervicace sul piano morale. Dapprima, le storie dei Patriarchi riguardo alla Mesopotamia babilonese, alla Palestina cananea e all'Egitto faraonico e, quindi, i racconti delle guerre e delle distruzioni operate dai sovrani d'Assiria e di Babilonia nella Palestina dei regni di Israele e di Giuda ‒ usate dal dio degli Ebrei Yahweh come strumento della terribile collera divina contro il popolo di Israele, colpevole di infedeltà verso il suo dio ‒ compongono un quadro fortemente negativo di tutte le civiltà dell'Oriente. Un accanimento particolare si volge contro Assiri e Babilonesi, questi ultimi responsabili della distruzione e del sacco di Gerusalemme, mentre la sola eccezione è rappresentata dagli Achemenidi di Persia, che permisero il ritorno degli Ebrei in Palestina dopo la cattività a Babilonia.
Al tempo stesso, nel mondo classico, le civiltà dell'Oriente antico ‒ mentre voci pur di grande autorità, da Erodoto a Platone, riconoscevano particolarissimi meriti soprattutto all'Egitto come sede di una sapienza antichissima e origine di miti dello stesso mondo ellenico ‒ venivano sentite come i luoghi del dispotismo nella politica, della sfrenatezza nella morale, della irrazionalità nel pensiero. In particolare, per quest'ultimo aspetto, l'astrologia caldea e la sapienza mistica egiziana saranno considerate quasi sintomatiche di una strutturale inferiorità delle civiltà orientali rispetto al mondo ellenico prima e romano poi, così come figure storiche del mondo orientale antico, quale Sardanapalo, in cui certo a ragione si riconosce soprattutto il grande Assurbanipal degli ultimi tempi dell'impero d'Assiria, diverranno l'immagine simbolica del dispotismo, della dissolutezza, della sfrenatezza del potere politico delle civiltà d'Oriente.
Il totale naufragio delle testimonianze di queste civiltà nell'oblio dei secoli, la denigrazione generale a loro riguardo del mondo classico, la severa condanna morale imposta dall'interpretazione biblica non impedirono, tuttavia, al mondo europeo poco prima della metà dell'Ottocento di porre le premesse per uno straordinario recupero, tutto archeologico, dei resti di quella cultura materiale che aveva, peraltro, sempre affascinato i viaggiatori occidentali durante il Medioevo e il Rinascimento. Già nel 1170 lo spagnolo Beniamino di Tudela aveva correttamente riconosciuto nel sistema di collinette alla periferia di Mossul le rovine dell'antica Ninive. Nel 1616 il cavaliere romano Pietro Della Valle identificava nella collina di Babil il luogo storico della mitica Babilonia, si estasiava di fronte alle rovine di Persepoli e nei resti di quella che era la ziqqurrat della sumerica Ur, a Tell Muqaiyir, presentiva l'analogia con la biblica Torre di Babele. Agli inizi dell'Ottocento si moltiplicarono i viaggi di occidentali in Assiria e in Babilonia con deduzioni storico-topografiche sempre più pertinenti.
Così, quando la Francia nel 1842 decise di aprire un consolato a Mossul, nel cuore dell'antica Assiria, il franco-piemontese P.-E. Botta fu incaricato dalle autorità accademiche francesi di trovare i resti della biblica Ninive, la splendida, ricchissima, terribile città definita dai profeti ebraici "la frusta di Yahweh". Il risultato fu il primo scavo in Oriente che portò a Khorsabad alla scoperta dell'antica Dur Sharrukin, la capitale di Sargon II (721-705 a.C.), della sua eccezionale architettura palatina, delle sue innumerevoli sculture parietali, delle sue fondamentali iscrizioni reali; poco più tardi il console inglese a Mossul, A.H. Layard, rinnovava le gesta di Botta riportando alla luce le splendide residenze palatine imperiali assire di Nimrud, l'antica Kalkhu, e di Quyungiq, la cittadella stessa di Ninive. L'afflusso degli eccezionali materiali archeologici d'Assiria a Parigi e a Londra, tra i quali erano le oltre 30.000 tavolette cuneiformi della cosiddetta Biblioteca di Assurbanipal, scoperte nei due maggiori palazzi di Ninive, determinò l'apertura dei dipartimenti delle antichità orientali del Louvre di Parigi e del British Museum di Londra.
Poco più tardi, dal 1877, gli scavi francesi di E. de Sarzec nella Bassa Mesopotamia a Tello, l'antica Girsu, condussero alla riscoperta dell'antichissima civiltà sumerica e liberarono l'archeologia orientale dall'ipoteca e dal condizionamento biblico. Passarono ancora pochissimi decenni e l'intervento dell'impero germanico nell'archeologia orientale, in aperta competizione con la Repubblica Francese e con l'impero britannico, da un lato aprì una fase nuova, più propriamente scientifica, dell'archeologia orientale con gli scavi sistematici di Babilonia a opera di R. Koldewey e di Assur sotto la direzione di W. Andrae e, dall'altro, dilatò gli orizzonti dell'archeologia orientale dalla Mesopotamia a centri di grande rilievo nelle regioni vicine: dapprima, nel 1888, con lo scavo dell'importante centro aramaico di Zincirli nella Siria nord-occidentale e soprattutto più tardi, nel 1906, con l'inizio dell'esplorazione, nell'Anatolia centrale, di Boğazköy, l'antica capitale hittita Khattusha, che diede inizio alla riscoperta della civiltà hittita.
Il recupero delle testimonianze materiali e scritte delle grandi civiltà dell'antico Oriente, iniziato nel 1842 a Quyungiq e a Khorsabad, si accompagnò ad alcune eccezionali imprese di decifrazione delle scritture antiche, tra le quali ebbe un valore fondamentale quella del sistema cuneiforme mesopotamico, il cui merito primo va al tedesco G.F. Grotefend che la intraprese fin dal 1802, e che non si concluse fino al 1857 per l'impegno continuo e serrato di diversi altri studiosi, tra i quali si segnalarono particolarmente H. Hincks, H.C. Rawlinson e J. Oppert. A questa maggiore seguirono diverse altre importanti decifrazioni, tra le quali si devono ricordare soprattutto quella dell'hittita a opera di B. Hrozný nel 1916, quella dell'ugaritico per merito di E. Dhorme, H. Bauer e Ch. Virolleaud nel 1930 e infine quella del geroglifico hittita, ottenuta negli anni prima e dopo la seconda guerra mondiale per il concorso di H.Th. Bossert, Hrozný, E. Forrer, P. Meriggi, I.J. Gelb.
La rinascita delle culture dell'Oriente antico a partire dal 1842 è passata attraverso tre fasi maggiori che segnano la storia dell'archeologia orientale per prospettive, metodi e risultati. La prima fase è quella che può definirsi "dell'archeologia pionieristica", iniziata con lo scavo di Khorsabad nel 1843 e conclusa con l'inizio dell'indagine di Assur nel 1903, che aveva la sua impostazione nell'ispirazione biblica, così come negli stessi decenni un'altra celebre esplorazione ottocentesca, quella di Hissarlik a opera di H. Schliemann, ebbe nei poemi omerici la fonte d'ispirazione primaria: la Mesopotamia fu la protagonista indiscussa di questa fase, ma verso la fine altre regioni, quali l'Iran, la Siria, il Levante e l'Anatolia, cominciarono ad attrarre fortemente l'attenzione. È fin da questa fase che si costituiscono in autonomia la filologia orientale nelle sue varie branche e la storia orientale antica, usando come modelli la filologia e la storia del mondo classico, ripudiando progressivamente l'ispirazione biblica delle ricerche e consentendo la formazione dei grandi musei di antichità orientali, dapprima a Parigi e a Londra, ma poco dopo anche a Berlino, a Istanbul, a Oxford, a Philadelphia e a New York.
La seconda fase, che si apre nel 1903 con lo scavo di Assur e si conclude con le rivoluzionarie innovazioni metodologiche degli inizi della New Archaeology nel 1968, può definirsi quella "dell'archeologia scientifica di impostazione storica": è l'età delle grandi scoperte che permisero, soprattutto per la Mesopotamia e la Palestina, ma anche in forma meno compiuta per l'Anatolia, la Siria e l'Iran, la classificazione scientifica delle classi della cultura materiale e la costruzione delle cronologie archeologiche regionali. In questa fase, che vide, tra l'altro, le scoperte sensazionali degli archivi di Khattusha, di Ugarit, di Mari e le esplorazioni epocali della stessa Khattusha, di Uruk, di Ur e di molti centri palestinesi e anatolici, si formarono le collezioni dei grandi musei nazionali dei paesi del Vicino Oriente, che raggiunsero tutti l'indipendenza politica al più tardi dopo la seconda guerra mondiale, dal museo di Ankara a quelli di Baghdad e di Teheran, da quel-
li di Beirut, di Aleppo e di Damasco a quelli di Gerusalemme e di Amman. Durante questa fase, a opera di due grandi archeologi orientali ‒ K.M. Kenyon, che lavorò in Palestina a Gerico e a Gerusalemme, e sir Mortimer Wheeler, che scavò nella valle dell'Indo a Mohenjo Daro e a Harappa ‒ furono definiti i principi teorici e le procedure pratiche del rivoluzionario metodo dell'archeologia stratigrafica, che pose definitivamente su un piano scientifico la tecnica dello scavo archeologico. L'impostazione sistematica degli scavi dei grandi centri urbani e l'attenzione rigorosa rivolta al territorio attraverso prospezioni di superficie sono due importanti innovazioni di questa fase, che troveranno maturi risultati nell'orizzonte dilatato della fase contemporanea.
In effetti, la terza fase, che è iniziata nel 1968 e si protrae nei nostri giorni, può essere definita "dell'archeologia globale a impostazione integrata", in quanto considera gli insediamenti primariamente nel quadro di uno studio dell'ambiente ecologico, si avvale di ogni supporto delle scienze fisiche nell'analisi dei materiali archeologici, utilizza l'interdisciplinarietà come strumento ermeneutico essenziale, adotta i modelli dell'antropologia, della storia economica, della sociologia, della storia delle religioni e della storia dell'arte per superare il momento, peraltro essenziale, della classificazione, a vantaggio di quello privilegiato dell'interpretazione e della comprensione delle culture. In questa fase, in cui non sono mancate scoperte sensazionali, come quelle degli archivi di Ebla, della biblioteca di Sippar e delle tombe reali di Nimrud, si è completato il quadro delle cronologie regionali in maniera non ancora definitiva ma ormai assai soddisfacente e si è ulteriormente dilatato il quadro geografico soprattutto ad aree periferiche la cui importanza è stata sempre sottovalutata, dalle regioni del Golfo Persico ad aree dell'altopiano iranico ancora mal conosciute, alle regioni meridionali della Penisola Arabica fino alle aree dell'Asia Centrale, essenziale per la comprensione dello sviluppo e delle interrelazioni tra la valle dell'Indo e le culture dell'Iran occidentale e della stessa Mesopotamia.
Benché si tratti di una delle ipoteche più negative sullo sviluppo dell'archeologia orientale, che su di essa ha sempre pesato in maniera grave e indebita, fin dagli esordi al periodo dei mandati coloniali britannici su Iraq e Palestina e francesi su Siria e Libano e agli anni, apparentemente senza fine, del drammatico confronto e conflitto israelo-palestinese, non sono venuti meno, neppure negli anni più recenti, i condizionamenti, pesanti e inopportuni, della politica internazionale sull'archeologia orientale, che stenta ad affermarsi, al di là di ogni dubbio, come sarebbe del tutto naturale se non addirittura ovvio, come disciplina storica obiettiva e neutrale. Privilegiare per motivi politici, come è avvenuto in Palestina prima della seconda guerra mondiale e poi in Israele dopo l'indipendenza, alcuni periodi storici rispetto ad altri per ricercare le testimonianze storiche, peraltro indubitabili e indubitate, della presenza degli antichi Ebrei in Palestina nell'età del Ferro ovvero bloccare per l'embargo internazionale all'Iraq l'archeologia della Mesopotamia per lunghi anni e oggi assistere al saccheggio inaudito del museo di Baghdad e di innumerevoli siti archeologici dell'Iraq, soprattutto meridionale, durante un'occupazione militare straniera sono elementi di grave preoccupazione per il libero sviluppo della ricerca archeologica e storica. Malgrado, dunque, condizionamenti e difficoltà, l'archeologia orientale, dai suoi inizi poco prima della metà dell'Ottocento, ha permesso il recupero di civiltà completamente scomparse, con una massa di documentazione materiale, scritta e artistica di un'ampiezza inimmaginabile, facendo risorgere in un quadro storico sempre più affidabile la ricostruzione di una serie di civiltà urbane che hanno preceduto di millenni lo sviluppo storico del mondo greco-romano e l'ellenizzazione e la romanizzazione dell'Oriente.
È da questa incessante, anche se a tratti sussultoria e disordinata, esplorazione archeologica internazionale delle ampie regioni comprese tra le coste del Levante e la valle dell'Indo e tra l'Asia Centrale e la Penisola Arabica che è emersa e continua a riemergere, con sorprese e approfondimenti di una vastità e di una complessità rare nelle altre archeologie storiche del pianeta, una storia straordinariamente complessa e articolata delle più antiche civiltà urbane del mondo antico, che permette, nell'ambito dell'interpretazione, un continuo rinnovamento del ruolo di queste culture rispetto al mondo classico. Di fronte all'impostazione biblica della metà dell'Ottocento, quando l'archeologia orientale è nata, ma anche rispetto alla prospettiva storica di poche decine di anni fa, quando l'archeologia orientale era già affermata, il mondo delle civiltà preclassiche dell'Oriente, dalla valle del Nilo alla valle dell'Indo, non è più un passato, come a lungo è stato, di civiltà quanto a religione idolatre, quanto a etica negative, quanto a pensiero prelogiche, prive sostanzialmente di storicità, intese come una sorta di preistoria strutturale, in ambito religioso, dei tempi oscuri anteriori alla rivelazione della grazia e, in ambito storico, dei tempi immobili che precedettero la piena storicità dell'epoca classica. L'antico Oriente, oggi, grazie a più di un secolo e mezzo di esplorazioni archeologiche tanto spesso intense e disorganiche, quanto non meno spesso efficaci e fortunate, è il luogo delle prime sperimentazioni, dapprima, della "rivoluzione neolitica" con la formazione dei primi insediamenti stabili e l'addomesticamento delle specie vegetali e animali e, poi, della "rivoluzione urbana" con le prime città, il luogo dello sviluppo delle più antiche civiltà urbane nella storia, il luogo, infine, dove si sono storicamente determinate sia le prime città-stato, nella Babilonia, che il primo Stato territoriale dell'umanità, in Egitto.
Nei tre millenni che separano la definitiva formazione delle prime città nell'alluvio mesopotamico meridionale, verso la metà del IV millennio a.C., dalla conquista di Alessandro Magno dell'Oriente, completata nel 325 a.C., l'antico Oriente è il luogo, dalla metà del IV alla fine del III millennio a.C. fino a tutto il Bronzo Antico, dell'affermazione primaria, ancora enigmatica e dibattuta, delle prime città, della diffusione se non per trasmissione certo per processi sinergici della civiltà urbana in altre aree, delle sue ripetute crisi, spesso regionali, ma talora radicali, che in certi casi dovettero far pensare a veri collassi, delle sue differenziazioni in ambienti ecologici diversi, in cui all'agricoltura intensiva si sostituiva un'agricoltura estensiva e alle risorse puramente agricole si aggiungevano, integrandole, le risorse delle materie prime, dai metalli al legname. Nel corso del tempo, in una storia millenaria in cui la staticità e l'immobilità delle valutazioni tradizionali sono state totalmente rimosse dalle interpretazioni storiche recenti, alle prime città, affermatesi in una sorta di tensione ed equilibrio delicato e complesso, da un lato con il mondo rurale dei villaggi e dall'altro con il mondo pastorale degli allevatori, si sostituiscono, a partire soprattutto dal Bronzo Medio nella prima metà del II millennio a.C., Stati territoriali dotati di un controllo appunto territorialmente esteso, generalmente regionale, che non di rado tendono a costituire pur effimere formazioni di carattere protoimperiale, tali non solo per estensione ma anche per organizzazione se non per ideologia.
Nei tempi più avanzati dei tre millenni di sviluppo della storia dell'antico Oriente, nell'età del Ferro, si costituiscono Stati di carattere nazionale, ideologicamente unitari attorno a valori unificati particolarmente ma non soltanto sul piano religioso, come sarà il caso, per non fare che alcuni esempi più evidenti, dei regni di Aram nella Siria meridionale, di Israele nella Palestina settentrionale, di Giuda nella Palestina meridionale, di Ammon, di Edom e di Moab nella Transgiordania, ma anche dell'Urartu in Armenia e della Frigia in Anatolia. Negli stessi secoli, dopo lo sviluppo e il tracollo dei primi imperi dell'età del Bronzo Tardo nella seconda metà del II millennio a.C., dal regno di Mitanni, a quello di Khatti e a quello di Assur medioassira, il grande impero neoassiro di Kalkhu e di Ninive prima, il più effimero impero caldeo di Babilonia poi e, infine, l'impero achemenide dei Persiani costituiranno forme storicamente impressionanti di unificazione e di omogeneizzazione delle diversità culturali ed etniche, che resteranno, assai più di quanto comunemente non si pensi, esemplari, per vari aspetti, rispetto alle formazioni imperiali dell'antichità, da Roma a Bisanzio, e fino a quelle delle rinascenze medievali.
La ricerca incessante e tenace sul lascito delle civiltà storiche dell'antico Oriente al mondo medievale e moderno è, in estrema sintesi, l'oggetto dell'archeologia orientale. Questo lascito è straordinario e straordinariamente ampio, per non fare che alcuni esempi più evidenti, dalla realtà sociale, economica e istituzionale delle prime città all'ideologia e all'organizzazione dell'impero, dalle riflessioni sul destino dell'umanità dei poemi mesopotamici all'etica dell'istituzione della regalità nella sfera sociale, dalla strutturazione analitica del pensiero scientifico alle osservazioni empiriche dell'astronomia, dalle considerazioni della moralità individuale alle meditazioni della letteratura sapienziale, dalla concezione della comunicazione simbolica arcaica alla trasmissione dell'ideologia imperiale attraverso la grande arte monumentale, dalle forme complesse dei politeismi fondati sulla fertilità ai monoteismi etici e assoluti dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'Islam.
La prospettiva della ricerca contemporanea per individuare, nella specificità della storia, gli aspetti concreti di questi lasciti nelle più varie forme della cultura è, tuttavia, metodologicamente e strutturalmente diversa da come, pur non di rado con ammirazione, la impostarono storici, filosofi, scienziati del mondo greco, quando si volgevano alle civiltà dell'Oriente. In quei casi, di norma, ciò che i dotti del mondo ellenico ed ellenistico cercavano di ritrovare nelle civiltà preclassiche dell'antico Oriente non era che precedenti di forme della cultura del loro proprio mondo classico. Questa impostazione antica, che è stata a lungo ereditata dalla ricerca moderna, vedeva tutto il passato preclassico in funzione del mondo greco e romano, quando negazione di quel mondo in negativo, quando precedente di quel mondo in positivo, e aveva come presupposto, esplicito o celato, che ciò che potesse esser considerato un valore non poteva che corrispondere, magari in forma rudimentale e incompiuta, con valori del mondo classico appunto e che, di conseguenza, ciò che non si trovasse corrispondere a quel mondo non potesse che essere un disvalore. Oggi, la prospettiva dell'archeologia orientale, in chiave storica, non è la ricerca dei precedenti del mondo classico, quanto la ricerca delle originali specificità del mondo orientale antico, indifferentemente dalla relazione e dalla comparazione con i valori del mondo classico, in quanto è una ricerca impostata essenzialmente sull'itinerario dell'alterità positiva, piuttosto che su quello dell'identità obbligata.
di Nicolò Marchetti
La definizione della cronologia attraverso lo studio comparativo della cultura materiale e artistica rappresenta uno degli aspetti centrali nella ricerca archeologica in quanto preliminare a qualsiasi tentativo di interpretazione storica e di ricostruzione culturale. Relativamente al Vicino Oriente antico, l'attuale situazione frammentata e disomogenea degli studi al riguardo si spiega da una parte con la storia delle esplorazioni in quest'immensa area, che prima del XIX secolo era terra incognita sotto il profilo archeologico. Le frontiere politiche contemporanee e le caratteristiche geografiche hanno, d'altro canto, condizionato le ricerche moderne, predisponendone la suddivisione per ambiti regionali spesso svincolati da una prospettiva storica più generale.
Dopo la sua introduzione nel 1836 da parte del danese Ch.J. Thomsen, il sistema di classificazione basato sulle tre ere tecnologiche (cui O. Montelius nel 1885 diede un fondamentale contributo elaborando il metodo tipologico), si diffuse negli studi europei, ma venne applicato solo lentamente in ambito vicino-orientale. Qui, certo a motivo anche della iniziale completa mancanza di dati su intere civiltà, è infatti a lungo rimasto il solo uso di collegare gli sviluppi di una data fase al nome del sito in cui era stato per la prima volta osservato quel particolare complesso di tratti culturali (così, ad es., in Mesopotamia i periodi di Halaf, Ubaid, Uruk, Gemdet Nasr, ecc.). Mancava, quindi, sin dall'inizio, una prospettiva che mirasse a classificare e ordinare in sequenza, secondo un metodo preordinato, le fasi culturali di una data regione cercando di evidenziarne i legami con quelle vicine. L'area palestinese è stata quella che ha conosciuto per prima applicazioni metodologicamente avanzate, sia di scavo sia di classificazione dei materiali, già alla fine del XIX secolo, particolarmente a opera dell'egittologo W.M.F. Petrie. Nell'area siro-mesopotamica prevaleva la logica di scavi estensivi integrati talora da sondaggi, sebbene limitati: nell'area siriana, ad esempio, Samal, Coba Höyük, Karkemish, Tell Halaf e in Mesopotamia centro-meridionale Girsu, Babilonia e Assur, per citare solo alcuni cantieri che hanno fornito i risultati più importanti sotto il profilo cronologico fino al 1914. Ad Assur in particolare, nell'ambito di un progetto iniziato nel 1902 proprio per indagare le "origini" assire, W. Andrae mise a punto un metodo di scavo a fondamento architettonico che per vari decenni sarebbe stato utilizzato nei migliori scavi nel Vicino Oriente fino all'avvento dell'archeologia stratigrafica.
Nel periodo tra le due guerre, l'impegno di scavo dell'Oriental Institute di Chicago coordinato dal suo direttore J.H. Breasted su siti-chiave delle diverse regioni, unitamente alle elaborazioni dei dati ottenuti dai suoi gruppi di ricerca, ebbe un'importanza essenziale nella costruzione di una griglia cronologica per l'intera area. Da Megiddo ai siti dell'Amuq, da Alişar Höyük a Khorsabad, dai siti del Diyala a Persepoli, le sequenze ottenute in questi scavi divennero infatti il punto di riferimento negli studi. Furono in particolare R. e L.S. Braidwood e il gruppo guidato da H. Frankfort a proporre le classificazioni cronologiche, rispettivamente per la Siria interna e per la Mesopotamia meridionale, che sono ancora in uso oggi, sebbene i primi adottassero una periodizzazione locale e il secondo una griglia il cui impianto derivava da considerazioni storiche e da una base di dati soprattutto storico-artistica, ciò che continua a causare incongruenze epistemologiche nel tentativo di applicarla anche alla cultura materiale. Altre sequenze, come, ad esempio, quelle di Tell Beit Mirsim nella regione interna palestinese e di Mersin e Tarso in Cilicia, vennero usate da W.F. Albright e da H. Goldman e M.J. Mellink per elaborare una periodizzazione interna delle rispettive regioni, suddivisa nelle sottofasi delle età del Bronzo e del Ferro, che con alcuni aggiustamenti sono ancora in uso.
Accanto allo scavo di grandi siti storici, quali, ad esempio, Khattusha, Alaca Hüyük e Kanish in Anatolia, Ugarit, Hama, Alalakh, Ebla, Hazor e Arad nell'area siro-palestinese, Uruk, Ninive, Eridu, Dur-Kurigalzu, Kalkhu, Nippur, Isin, Abu Salabikh e Tell ed-Der in Mesopotamia e gli ultimi scavi di Susa nell'Iran sud-occidentale, il rinnovamento e la precisazione più profondi delle conoscenze storiche sono anche venuti da una nuova prolungata fase dell'esplorazione archeologica contemporanea, imposta dai processi di sviluppo delle nazioni del Vicino Oriente. Il progressivo aumento della costruzione di dighe, con la conseguente sommersione di vaste aree, ha infatti comportato una fitta serie di scavi d'emergenza in zone rimaste fino ad allora trascurate da scavi e ricognizioni. È stato questo il caso, dapprima, della costruzione negli anni Sessanta e Settanta del Novecento delle dighe di eth-Thawra (Lago al-Asad) e di Keban sul medio e sull'alto Eufrate rispettivamente, poi di quelle di Malatya, Birecik, Kargamiş e Tishrin sul medio Eufrate, di Saddam, di Assur e di Batman sul medio e sull'alto Tigri, o di numerose dighe minori (quali quella del Khabur) e bacini agricoli. Ampie aree restano ancora assai debolmente esplorate. A seguito delle scoperte di Ebla, negli ultimi trent'anni in Siria e Mesopotamia settentrionali c'è stato un forte incremento di nuovi progetti che hanno fornito dati essenziali su un'area centrale del Vicino Oriente: di recente, nuove cronologie regionali sono state, ad esempio, proposte per il III millennio a.C. dalle missioni archeologiche che operano in Mesopotamia settentrionale e per il IV millennio da un gruppo di studiosi riunitosi a Santa Fe.
La fondamentale unità culturale del Vicino Oriente antico, che ne costituisce uno degli aspetti di maggior fascino e stimolo per la ricerca, è particolarmente ben percepibile nei cambiamenti della cultura materiale, per lo più condivisi su scala assai estesa e contenuti all'interno di differenze temporali mediamente limitate. Questo aspetto potrebbe quindi giustificare l'introduzione di una terminologia unitaria, anche alla luce dei significativi parallelismi storici nelle diverse regioni (si pensi, ad es., ai cicli dell'urbanizzazione). Tuttavia, il rischio di appiattimento che ne risulterebbe e le diverse consolidate tradizioni di studi sembrano consigliare di mantenere terminologie distinte che valorizzino le specificità regionali.
La costruzione di una stratigrafia relativa sempre più dettagliata che leghi ciascuna area a quelle contigue (con ciò facendo emergere gradualmente piuttosto gli elementi di continuità rispetto a quelli di specificità dei vari periodi), dall'Egitto all'Iran, è un compito ineludibile, ma si devono prima tenere presenti alcune premesse essenziali: una periodizzazione storico-artistica non può essere per sua natura sovrapposta a un'evidenza differente, quale la cultura materiale. A. Moortgat e la scuola di Berlino hanno elaborato un sistema cronologico fondato sull'analisi dei documenti visuali, correttamente senza tentare, ma neppure affrontando l'argomento, di applicarlo anche ad altre classi. I seminari promossi da Frankfort a Chicago hanno molto contribuito alla costruzione di stratigrafie relative (il volume curato da R.W. Ehrich ne costituisce un risultato più o meno diretto), ma hanno applicato ai dati archeologici categorie sostanzialmente improprie nel caso della Mesopotamia, ciò che ha, ad esempio, condotto alle revisioni, non del tutto accettabili, di D.P. Hansen sulla cronologia protodinastica (che non propone, però, un valido sistema alternativo). Una soluzione corretta è quella, ad esempio, elaborata da P. Matthiae, che per la Siria ha introdotto due distinte cronologie: una per la documentazione archeologica, fondata sul sistema delle ere tecnologiche (Calcolitico, Bronzo Antico, Medio e Tardo ed età del Ferro), e una storico-artistica, fondata su una terminologia regionale (periodi proto-, paleo-, medio- e neosiriano).
In questa sede, per le ragioni già dette, non è quindi possibile adottare un sistema unitario, neppure solo il sotto profilo formale, per i riferimenti cronologici delle varie aree: di seguito si forniscono solo alcuni cenni generali sulle singole fasi culturali nelle diverse regioni, al fine di evidenziare le loro connessioni storiche, rimandando alle introduzioni delle singole parti per una trattazione analitica.
La fase finale (4) del Calcolitico tardo è contraddistinta da cambiamenti significativi indotti dal nascente fenomeno urbano, percepibili, ad esempio, nel modo di produzione: la ceramica adesso prodotta in massa comporta l'uso di inclusi di paglia negli impasti dei vasi, che ne rendono più rapida la cottura, sebbene la loro superficie meno uniforme comporti un declino delle produzioni dipinte. Nella fase terminale (5) dello stesso periodo all'aumentata complessità socioeconomica si aggiunge anche, archeologicamente, una rilevante attestazione di tipologie mesopotamiche meridionali nelle regioni limitrofe. Ciò indica, tra l'altro, contatti dovuti al commercio a lunga distanza, stimolato e gestito anche tramite colonie della stessa Mesopotamia meridionale, secondo un modello che vede approssimativamente nella stessa epoca la presenza di siti coloniali egiziani delle dinastie 0 e I iniziale nell'area del Wadi Gaza, in Palestina meridionale (Bronzo Antico I finale palestinese).
Il Bronzo Antico I ‒ usualmente considerato una fase di crisi dell'urbanizzazione, sebbene esso sia meglio descrivibile come una riorganizzazione di strutture e processi non più sostenibili come tali ‒ vede una maggior diffusione degli insediamenti, spesso fortificati, nel territorio, la riduzione del peso delle aree pubbliche e lo sviluppo di attività specialistiche (concentrate adesso anche in singoli siti piuttosto che in settori diversi della società), quali la metallurgia e la produzione ceramica, dove tornano a prevalere inclusi minerali negli impasti. La fase di Gemdet Nasr in Mesopotamia mostra un riorientamento degli orizzonti commerciali verso l'area del Golfo. Le culture del Bronzo Antico II, contraddistinte da produzioni ceramiche per lo più decorate (dipinte o incise), proseguono queste linee di sviluppo interno e alla fine del periodo molti siti documentano sviluppi urbani. Nel Protodinastico I in Mesopotamia meridionale si consolidano le strutture socioeconomiche fondamentali, all'interno di un complesso modello di integrazione tra città ‒ verosimilmente sotto la guida di Uruk ‒ già iniziato nella fase di Gemdet Nasr.
Nel Protodinastico II la Mesopotamia meridionale riprende contatti più regolari con le aree vicine, che nel frattempo avevano avuto stretti rapporti culturali da Susa all'Alta Mesopotamia lungo la fascia pedemontana (testimoniati, ad es., dalla diffusione della glittica di tipo appunto Piedmont). L'Egitto delle dinastie II e III riorganizza la propria presenza nel Levante attraverso l'importante sito costiero di Biblo. Archeologicamente la diffusione della ceramica fatta a mano rosso-nera (Khirbet Kerak) in contesti di Bronzo Antico II in Siria e IIIA in Palestina potrebbe indicare una correlazione tra questi due periodi, che sarebbe in accordo con le date al radiocarbonio calibrate di alta precisione. Nel Bronzo Antico III - Protodinastico III il fenomeno urbano è pienamente esteso a tutto il Vicino Oriente: un continuum di città (spesso definite città-stato) da Susa a Ebla a Yarmuth è unito da una fitta rete di relazioni, documentate nella maniera più ampia dagli archivi di tavolette cuneiformi rinvenuti nel palazzo reale di Ebla protosiriana, oltre che, ad esempio, dalla diffusione di elementi iconografici nella glittica quali le scene di lotta animalistica o di banchetto.
Il Bronzo Antico IV rappresenta in generale una fase di crisi parziale dell'urbanizzazione (analogamente all'Egitto del Primo Periodo Intermedio), forse a seguito anche di una fase climatica più secca (come mostrerebbero, secondo H. Weiss, alcuni dati raccolti in Alta Mesopotamia), ma certo anche in congiunzione alle campagne militari dei sovrani accadici in Siria e in Iran. Se la crisi è più accentuata in Palestina con l'abbandono o la drastica riduzione dei principali siti, in Siria essa è rappresentata piuttosto da alcune distruzioni, che non mettono però in crisi la continuità insediamentale, mentre in Anatolia centrale è a questa fase che datano alcune necropoli principesche che documentano il controllo delle élites sul commercio dei metalli (il forte sviluppo della metallurgia è, ad es., attestato dalla presenza di numerosi ripostigli nel Vicino Oriente). L'orizzonte del Bronzo Antico avanzato nell'area del Golfo (dove sono finora mancate periodizzazioni archeologiche regionali di questo tipo) è soprattutto rappresentato dai ritrovamenti occasionali dell'isola di Tarut (che documentano uno dei centri di produzione di vasi di clorite arcaici, esportati in Mesopotamia), dallo strato I di Qalat al-Bahrain, dalla sequenza di Hili in Oman (la Magan delle fonti cuneiformi) e dalle tombe di tipo Umm an-Nar. A Cipro il Bronzo Antico (Cipriota Antico) inizia alquanto più tardi rispetto alle altre regioni del Vicino Oriente, estendendosi dalla metà del III all'inizio del II millennio a.C.
Il Bronzo Medio segna la completa ripresa dell'urbanizzazione, in una fase che vede importanti cambiamenti anche tecnologici, con fornaci e processi produttivi più efficienti, che comportano nel repertorio ceramico impasti e forme più standardizzati (e quindi selezionati) su un'area assai ampia e, parallelamente, il pieno affermarsi della lega di rame e stagno (cioè il bronzo propriamente detto) rispetto a quella di rame e arsenico, prevalente nel Bronzo Antico. In Mesopotamia l'inizio del periodo corrisponde, culturalmente se non anche cronologicamente, alle dinastie di Lagash II (di cui il sovrano più celebre è Gudea) e di Ur III, una fase in cui la cultura materiale, artistica e architettonica è del tutto affine a quelle dei periodi di Isin-Larsa e paleobabilonese. Ampie città fortificate da alti terrapieni, politicamente spesso indipendenti, divengono un tratto caratteristico del paesaggio siro-mesopotamico: esse sono legate tra loro da rapporti militari, diplomatici e commerciali dall'Egeo meridionale all'Egitto delle dinastie XI-XV, fino al mondo paleoelamita e all'area del Golfo.
In Anatolia sono documentati vari fondaci commerciali paleoassiri, di cui l'esempio meglio noto è quello presso l'antica Kanish (il cui orizzonte ceramico con produzioni ingobbiate o vasi plastici è direttamente legato a quello della successiva fase hittita). I celebri archivi di Mari sul medio Eufrate si riferiscono a un breve quanto intenso periodo, definito "dell'equilibrio delle potenze", al termine del quale la supremazia regionale raggiunta da Aleppo e Babilonia sarebbe risultata sul medio termine in una crisi del sistema alla fine del Bronzo Medio II (una fase cui corrisponde la cultura cd. Hyksos nel Basso Egitto). La coroplastica conosce una forte diversificazione tipologica e nella seconda metà del Bronzo Medio si diffondono in Mesopotamia le figurine prodotte a stampo, che si affermeranno poi nel resto del Vicino Oriente durante il Bronzo Tardo, dopo una breve fase transizionale documentata anche in Palestina settentrionale. In Palestina la proposta di Albright di denominare Bronzo Medio I il periodo oggi chiamato Bronzo Antico IV (da K.M. Kenyon detto anche Intermediario Bronzo Antico-Medio) comporta di necessità una suddivisione in Bronzo Medio IIA-C per le fasi successive (sebbene sia stata proposta una assai più convincente suddivisione in Bronzo Medio I-III).
L'inizio del Bronzo Tardo, sebbene segnato da eventi traumatici quali le incursioni dei sovrani paleohittiti nello spazio siro-mesopotamico, avviene in realtà nel segno della continuità, come mostra il graduale sviluppo dell'orizzonte ceramico. Politicamente, in Siria settentrionale e Alta Mesopotamia e in Siria meridionale e in Palestina, il periodo è contrassegnato dalla supremazia rispettivamente del regno di Mitanni, e poi di quelli hittita e medioassiro, e dell'Egitto, che non incidono però in modo significativo sulle strutture insediamentali e produttive. I centri urbani conoscono peraltro un processo di progressiva crisi essenzialmente dovuto a cause interne, seppure accelerato anche da altri eventi. La città diviene sempre più la sede della centralizzazione delle risorse e dei consumi. In Mesopotamia e nell'Elam verso le fasi centrali e finali del periodo si assiste alla fondazione di nuove capitali che portano il nome del sovrano loro costruttore (è il caso di Dur-Kurigalzu, Al-Untash-Napirisha e Kar-Tukulti-Ninurta).
Lo sviluppo del commercio internazionale è documentato, oltre che dai testi, anche dal numero delle importazioni (che forniscono inoltre numerosi sincronismi): la costa levantina, in particolare, costituisce il fulcro dei traffici di tutto il Vicino Oriente. Lo scavo di due relitti presso le coste della Turchia meridionale ha fornito un'immagine vivida di questi traffici, che facevano del Mediterraneo orientale una sorta di koinè: la nave di Uluburun, databile al 1315 a.C. circa e salpata forse dalla costa settentrionale palestinese, trasportava 10 t di rame cipriota in lingotti e 1 t di stagno (quindi nella proporzione canonica di 10:1 del bronzo). Si diffondono le armature formate da piccole placche di bronzo, come conseguenza di armi di offesa più efficienti (la punta di freccia più comune è adesso quella a foglia), mentre la produzione di oggetti di vetro (inventato in Mesopotamia alla fine del Bronzo Medio) riceve un forte impulso e si diffondono sigilli cilindrici per lo più di fritta eseguiti in uno stile "comune".
L'area del Golfo nel Bronzo Medio (i cui inizi vengono associati a Ur III, ma questa fase è appunto già Bronzo Medio) è caratterizzata da una fioritura dell'urbanizzazione, particolarmente nell'isola di Bahrain, antica Dilmun, come documentato dagli insediamenti di Qalat al-Bahrain e di Saar e dal tempio di Barbar. Caratteristici sono i sigilli a stampo "dilmuniti" e i vasi di clorite della serie "recente", la cui produzione si prolunga anche nel Bronzo Tardo, quando il controllo diretto dei re cassiti arriva fino all'isola di Failaka. In Oman le varie sottofasi della cultura detta "del Wadi Suq" coprono l'intero arco del II millennio a.C. A Cipro la piena fase urbana si sviluppa durante le articolate fasi del Cipriota Medio I-III e Cipriota Tardo I-III, che coincidono solo approssimativamente (sembra esservi infatti un costante ritardo cronologico) con le periodizzazioni simili del Levante.
Sotto il profilo archeologico la transizione all'età del Ferro è un processo differenziato nelle varie regioni del Levante, che interessa all'incirca la prima metà del XII sec. a.C. e che è caratterizzato dalla crisi di molti centri urbani e da una nuova geografia delle principali vie di commercio internazionali (che causa, tra l'altro, l'interruzione dell'approvvigionamento dello stagno). La ricostruzione storica più convincente su una rivoluzione tecnologica, che avrebbe rapidamente permesso una diffusione del metallo nelle società antiche in precedenza impossibile, è quella che insiste sulla maggiore economicità di fondo del ferro rispetto al rame e allo stagno. Nei secoli XII e XI a.C. a Cipro e in Palestina si sperimentano varie tecniche per il perfezionamento della lavorazione del ferro, che giunge ad avere prestazioni superiori al bronzo. Tra il 1200 e il 1000 a.C. si assiste a un arricchimento dei tipi di armi e utensili di ferro, mentre è solo dal X sec. a.C. che tali oggetti nell'Egeo e nel Levante superano per quantità quelli di bronzo (in Mesopotamia ciò accade invece dal IX sec. a.C.).
Il Ferro I è contraddistinto nel Levante e in Anatolia da produzioni ceramiche spesso dipinte (tipiche, ad es., la cd. "ceramica filistea" di derivazione cipro-micenea o quella protofrigia), mentre l'inizio del Ferro II viene segnato dalla diffusione di ceramiche con ingobbio rosso. Al periodo pone fine l'ampia serie di distruzioni assire nella seconda metà dell'VIII sec. a.C. Il successivo Ferro III, che giunge fino all'inizio dell'epoca persiana, in molti casi non è ugualmente ben documentato. La cultura materiale del Golfo nell'età del Ferro mostra stretti contatti con quella dell'Iran meridionale. A Cipro la fase iniziale del periodo è detta Cipriota Geometrico I-III, seguita dal Cipriota Arcaico I-II. La fase achemenide è caratterizzata dalla continuità nella maggior parte dei casi, con la diffusione di elementi glittici (sigilli a stampo con iconografie persiane) o tipologie di coroplastica (ad es., i cd. "cavalieri persiani") specifici del periodo. Nell'area di Susa il repertorio ceramico persiano (in cui la ceramica invetriata è particolarmente abbondante) si caratterizza invece per una frattura con quello del periodo neoelamita. La sua origine è da collocarsi negli Zagros: con la conquista meda la ceramica persiana si era diffusa nel Fars (toponimo che deriva da *Pārsva) e poi nel Khuzistan (la regione di Susa) dopo la conquista persiana.
A.L. Perkins, The Comparative Archaeology of Early Mesopotamia, Chicago 19572; D.T. Potts, The Arabian Gulf in Antiquity, I. From Prehistory to the Fall of the Achaemenid Empire, Oxford 1990; R.W. Ehrich (ed.), Chronologies in Old World Archaeology, Chicago - London 19923; N. Marchetti, The Ninevite 5 Glyptic of the Khabur Region and the Chronology of the Piedmont Style Motives, in BaM, 27 (1996), pp. 81-115; Id., Cronologia relativa e significato delle culture del Bronzo Antico I in Alta Mesopotamia, Siria e Anatolia, in CMatAOr, 7 (1997), pp. 140-81; P. Pfälzner, Eine Modifikation der Periodisierung Nordmesopotamiens im 3. Jtsd. v. Chr., in MDOG, 130 (1998), pp. 69-71; M.S. Rothman (ed.), Uruk Mesopotamia & Its Neighbours. Cross-Cultural Interactions in the Era of State Formation, Santa Fe - Oxford 2001; E. Haerinck - B. Overlaet, The Chalcolithic and Early Bronze Age in Pusht-i Kuh, Luristan (West-Iran): Chronology and Mesopotamian Contacts, in Akkadica, 123 (2002), pp. 163-81.
di Nicolò Marchetti
La cronologia assoluta dipende per le fasi protostoriche pressoché esclusivamente dai metodi di datazione chimico-fisica. Tra di essi, la dendrocronologia è stata solo calibrata per l'Anatolia, mentre la termoluminescenza può invece offrire al momento soltanto un complemento di integrazione al metodo di maggiore utilità e precisione nell'archeologia storica, cioè quello basato sulla misurazione di un isotopo radioattivo del carbonio (il 14C). Tuttavia, datazioni radiometriche isolate di campioni stratificati non sono molto utili, stante la necessità di calibrare tali datazioni, ciò che può farsi con sufficiente affidabilità statistica solo in presenza di serie coerenti di campioni da un singolo sito (cioè, ad es., più campioni da contesti diversi di un medesimo strato), inserite poi in un programma regionale di confronto tra campioni da livelli di una stessa fase archeologica di siti diversi. Questo è stato fatto solo per alcuni periodi e alcune regioni e comunque in generale solo di rado per epoche posteriori al Bronzo Antico: una notevole eccezione è, ad esempio, un programma austriaco coordinato da M. Bietak sulla cronologia assoluta del II millennio a.C. nel Mediterraneo orientale. È in ogni caso vero che una cronologia assoluta affidabile per epoche anteriori al I millennio a.C. si potrà solo ottenere in un futuro prossimo tramite una sistematica raccolta di campioni organici da sottoporre a datazioni col radiocarbonio ad "alta precisione".
Programmi metodologicamente corretti sono stati condotti soprattutto da F. Hole e da G.E. Wright relativamente alla fase 5 del Calcolitico tardo (o di Uruk tardo): la cronologia di questa fase cruciale nello sviluppo dell'urbanizzazione è risultata compresa all'interno dell'intervallo 3300-3000 a.C. Le cronologie assolute usate per le fasi del Bronzo Antico vicino-orientale hanno invece un carattere più convenzionale. Sulla base di dati meno sistematici dei precedenti, è possibile che la fase successiva (Bronzo Antico I) dati tra il 3000 e il 2800 a.C. (campioni da Arslantepe VIB2 e Hassek Höyük 4-1, mentre le date da Tell Karrana 3 sembrano troppo alte). A Tell Leilan in Alta Mesopotamia la transizione tra Bronzo Antico II e III viene posta al 2500 a.C. da alcune date calibrate.
Le fasi centrali del Bronzo Antico sono, allo stato attuale, più problematiche. Complicazioni significative nella ricostruzione storica risultano infatti dal carattere convenzionale (ma spesso inavvertito come tale e comunque di uso comune) di molte datazioni "storiche", in cui cioè elementi epigrafici rinvenuti in contesti stratificati o su documenti visuali (da inserire in seriazioni stilistiche) siano alla base di datazioni assolute di complessi archeologici, acriticamente accettate come tali e anzi usate come base per confronti con aree esterne. Ad esempio, mettere in relazione con il Vicino Oriente la cronologia storica assoluta dell'Egitto ‒ che viene percepita come precisa e affidabile, sebbene per la fase finale del IV e per il III millennio a.C. le oscillazioni non siano affatto irrilevanti ‒ è particolarmente insidioso relativamente al Bronzo Antico se ci si fonda solo sulle datazioni assolute, in assenza di sincronismi diretti che si concentrano quasi soltanto in Palestina (soprattutto meridionale), con le eccezioni di Biblo (che manca però di una stratigrafia affidabile) e di Ebla.
Il Bronzo Antico I palestinese viene correlato oggi (ma lo schema risale a W.F. Albright) a Naqada II e alle dinastie 0 e I, il Bronzo Antico II alla I e II Dinastia, mentre il Bronzo Antico III alle dinastie dalla III alla VI iniziale. Relativamente alla Palestina, recenti studi quali, ad esempio, quelli di H. Bruins, stanno configurando ‒ sulla base di serie di datazioni al radiocarbonio ‒ un significativo innalzamento della cronologia del Bronzo Antico I-III (con il Bronzo Antico IIIA che inizierebbe, ad es., nel 2900/2800 a.C.). In Mesopotamia, coloro che accettano la cronologia bassa proposta di recente per Babilonia I e Ur III, come, ad esempio, J.E. Reade, stanno abbassando di conseguenza il Protodinastico III e il periodo accadico (che sarebbe allora iniziato verso il 2200 a.C. o anche più tardi, invece che verso il 2300 a.C. o poco prima, come solitamente ritenuto). I dati oggettivi su cui fondarsi sono però ancora insufficienti per giungere a conclusioni affidabili per il III millennio, essendovi per di più un unico sincronismo indiretto tra Egitto e Mesopotamia, cioè un oggetto iscritto con la titolatura della parte iniziale del lungo regno del faraone Pepi I della VI Dinastia a Ebla in uno strato distrutto con ogni probabilità al tempo di Sargon di Accad, che ebbe anch'egli peraltro un lungo periodo di regno (cinquantasei anni secondo la più tarda Lista Reale sumerica).
Per il II millennio a.C. la situazione è ancora più complessa, disponendosi di numerosi sincronismi tra aree diverse del Vicino Oriente. Come già accennato sopra, gli scavi di Avaris nel Delta egiziano (con il recupero di sequenze stratificate rivelatesi fondamentali nel sincronizzare Egitto e Palestina) e il vasto programma realizzato intorno a essi per la discussione della cronologia assoluta del Bronzo Medio e Tardo hanno permesso di correlare il Bronzo Medio I palestinese (sebbene la sua data di inizio non sia ancora del tutto chiara) con la XII e l'inizio della XIII Dinastia, mentre il Bronzo Medio II-III sarebbe contemporaneo alla tarda XIII e alle successive dinastie (anteriori comunque alla XVIII, che segna l'inizio del Nuovo Regno e del Bronzo Tardo). Alcuni problemi stratigrafici non ancora del tutto risolti e sincronismi con il mondo egeo hanno però di recente creato una discrepanza, dato che dal primo aspetto discenderebbe secondo Bietak una contemporaneità di pitture egee dell'Elladico Tardo IA con la XVIII Dinastia e dal secondo il fatto che i contesti egei di tali pitture vengono datati da numerose analisi al 14C ad "alta precisione" a un'epoca impossibilmente alta (XVII sec. a.C.) per rientrare nella cronologia storica egiziana (fine del XVI sec. a.C.).
In Mesopotamia si dispone di molti dati astronomici, che sono peraltro di dubbia interpretazione (contrariamente a eventi quali la levata eliaca di Sirio registrata nel Medio Regno egiziano): il lungo periodo (poco più di cinquecento anni) tra l'inizio di Ur III e la caduta di Babilonia I può quindi conoscere oscillazioni cronologiche di quasi due secoli. Di recente H. Gasche, J.A. Armstrong, S.W. Cole e V.G. Gurzadyan hanno sostenuto che la conquista hittita di Babilonia sia avvenuta nel 1499 a.C. (cronologia "ultrabassa") anziché nel 1595 a.C. (cronologia media). Allo stato attuale, i risultati degli ultimi studi nel Levante, in Anatolia (come, ad es., l'analisi dendrocronologica condotta da P.I. Kuniholm sui legni carbonizzati di palazzi anatolici contemporanei all'inizio di Babilonia I) e in Mesopotamia sembrerebbero armonizzarsi meglio con una cronologia bassa (Babilonia distrutta nel 1531 a.C.), non tenendo però in conto le risultanze del radiocarbonio di altre aree, che devono invece essere integrate nello schema cronologico generale anche a costo di radicali ridefinizioni di dati considerati acquisiti.
La fine del Bronzo Tardo in Siria-Palestina e in Anatolia non è, come detto, un evento sincrono: nondimeno la serie di distruzioni è sufficientemente coerente da potersi comprendere all'incirca in un cinquantennio, tra il 1220 e il 1170 a.C., con numerosi sincronismi con l'Egitto della tarda XIX e della XX Dinastia (soprattutto in Palestina). La successiva età del Ferro è particolarmente controversa nella definizione della sua prima fase, che in Siria sembra accertato, a seguito degli scavi di Tell Afis, si estenda almeno fino alla fine del X sec. a.C., quando ha inizio la fiorente fase del Ferro II cui pongono fine le distruzioni assire tra Tiglatpileser III e Sargon II nella seconda metà dell'VIII sec. a.C. La cronologia bassa per l'inizio del Ferro II è particolarmente gravida di conseguenze per la Palestina (dove in effetti si è accesa una vivace polemica tra I. Finkelstein, che l'ha proposta, e i suoi oppositori), dato che celebri complessi monumentali, sinora attribuiti al X sec. a.C., con la nuova datazione al IX sec. a.C. si collocherebbero in un contesto storico radicalmente diverso.
Bibliografia
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di Maria Giovanna Biga
Una cronologia assoluta dell'intero Vicino Oriente antico è ben lungi dal poter essere stabilita con certezza soprattutto per il III e il II millennio a.C. Una definizione poi delle cronologie assolute di tutto il mondo antico preclassico, cioè dell'area vicino-orientale raccordata con l'Egitto e l'area egea, rappresenta ancora un problema complesso e molto discusso.
Se per le epoche pre- e protostoriche, data la mancanza di dati testuali, è l'archeologia a fornire la periodizzazione, anche per una buona parte del III millennio a.C. la possibilità di stabilire una cronologia assoluta resta affidata ai dati archeologici; i nomi dati ai periodi come Uruk tardo e Protodinastico si basano su dati archeologici, sia pure confrontati con i dati dei primi testi. Questi ultimi non forniscono elementi interni utili per la datazione e per fissare punti certi cui ancorare una cronologia nemmeno relativa del periodo e quindi la loro datazione si basa ancora su dati archeologici; i criteri paleografici, utilizzati anche come strumento per determinare la cronologia dei testi, non sono ancora applicabili a questi documenti, dal momento che, essendovi stata in questo periodo un'espansione del cuneiforme e delle lingue sumerica e semitica, vi sono stati adattamenti ma anche attardamenti in certe regioni.
A partire invece dall'ultima fase del Protodinastico, detta IIIb (ca. 2450-2340 a.C.), i dati testuali permettono una migliore ricostruzione cronologica e si può cominciare a utilizzare, insieme a una periodizzazione che prende nome dall'archeologia e dalle tecniche di utilizzazione del metallo, una periodizzazione che trae il nome dalla successione storica delle dinastie in Mesopotamia e in Siria. Infatti, nel Protodinastico IIIb, con le prime dinastie di Lagash e di Umma e i regni regionali di Mari e di Ebla in Siria, si possono cominciare a tracciare cronologie relative, ordinando gli avvenimenti dei vari regni. Alcuni testi di Lagash recano alla fine un numero che indica l'anno di regno del re del momento; con qualche certezza si può ricostruire una successione di sovrani di Lagash da Ur-Nanshe a Uruinimgina, per un periodo di circa centoventi anni. I dati dei testi di Ebla e la presenza in essi di una prima forma di computo degli anni (con il nome d'anno) consentono di tracciare una cronologia relativa e una successione di avvenimenti per almeno trentacinque anni di storia del regno; sono possibili anche sincronismi con la contemporanea dinastia di Mari. Maggiori problemi sorgono quando si cerchi di sistemare le dinastie eblaita e mariota nelle vicende della storia mesopotamica e di raccordarle in una cronologia assoluta e con il sorgere della dinastia di Accad in Mesopotamia (ca. 2340 a.C.). Ritrovamenti recenti a Ebla hanno consentito anche sincronismi tra questo periodo della storia di Siria con la V Dinastia egiziana.
Dal Protodinastico in poi è evidente che i popoli del Vicino Oriente antico hanno elaborato vari sistemi per calcolare il tempo, senza però fare ricorso a un avvenimento come punto di partenza, come facciamo noi in seguito all'adozione dell'era cristiana; solo la tradizione letteraria si riferiva al diluvio come punto di inizio di una serie di dinastie. Senza un punto fisso hanno supplito in vari modi. L'unità di misura del tempo per le popolazioni del Vicino Oriente antico era il giorno, che iniziava al tramonto; il giorno era diviso in 12 periodi di 2 ore, calcolate sul cammino che si può compiere in questo tempo. Il mese era un mese lunare fissato di 30 giorni; siccome ogni anno si determinava una differenza di 5 giorni e una frazione di giorno, si aggiungeva allora un mese intercalare di uguale durata e si colmava così il ritardo rispetto all'anno solare. Partendo da queste unità di misura si datavano gli anni con vari procedimenti. L'anno cominciava in primavera, come anche in Europa fino al Rinascimento.
Gli antichi scribi della metà del III millennio idearono un procedimento di computo degli anni classificati in base all'evento principale successo in quell'anno; questo procedimento comincia a intravedersi nei testi degli archivi reali di Ebla (metà del XXIV sec. a.C.) e a svilupparsi più compiutamente con l'avvento di Sargon di Accad poco dopo (ca. 2340 a.C.), per essere poi usato sistematicamente per alcuni secoli. L'avvenimento prescelto per dare nome all'anno era in genere di importanza religiosa (ad es., "anno in cui il re X ha costruito il tempio al dio Y"), oppure militare ("anno in cui il re X ha sconfitto la città di Y"). Ma è stato dimostrato che un anno poteva avere vari nomi da diversi avvenimenti; così, ad esempio, dai testi di Mari, che permettono di conoscere sia la situazione storica e il contesto sia il nome che è stato scelto per quell'anno, emerge che per il regno di Zimri-Lim di Mari sono attestati 32 nomi che corrispondono solo a 14 anni di regno di questo re. Per alcuni periodi della fine del III millennio e dell'inizio del II millennio a.C., ad esempio, per i periodi di Isin-Larsa e gli inizi delle dinastie amorree in Mesopotamia e in Siria, i nomi d'anno sono gli unici strumenti a disposizione in mancanza di altri dati.
In Mesopotamia gli scribi utilizzarono il sistema dei nomi d'anno fino al periodo cassita (XV sec. a.C.) quando, a partire dal regno del re Kadashman-Enlil I, adottarono un sistema di contabilità degli anni di regno dei loro re. Quindi dall'epoca cassita in poi il tempo è stato computato partendo normalmente dall'anno di intronizzazione di un sovrano, senza andare molto indietro nel passato. Si hanno pertanto molte sequenze diverse da città a città, da Stato a Stato, che bisogna mettere in correlazione tra di loro per costruire una griglia cronologica. Gli stessi scribi mesopotamici hanno sistemato questi regni in sequenze creando sistemi diacronici, producendo liste di nomi d'anno e di dinastie che hanno loro permesso di ritrovarsi in un sistema cronologico che pensava per ere molto brevi, ognuna delle quali cominciava con l'avvento di un nuovo re.
Gli scribi antichi hanno quindi elaborato testi cronografici scrivendo liste reali che registravano le dinastie, segnando per ogni dinastia i nomi dei sovrani e la durata dei loro regni; quasi sempre dopo ogni dinastia lo scriba ne ricapitola il numero dei re e il tempo totale della durata. Queste liste sono state utilizzate dagli storici del Vicino Oriente antico per tracciare le linee delle dinastie e la successione dei sovrani, anche se molti problemi vanno tenuti presenti, considerando in primo luogo i motivi che hanno presieduto alla compilazione di queste liste, motivi che non sono tanto storiografici quanto piuttosto politici o a volte religiosi. A Mari, ad esempio, nel XIX sec. a.C. è stata redatta una lista di sovrani (chiamati con il titolo di šakkanakku) che risale fino al III millennio a.C.; non è sicuro che se ne conoscano tutti i nomi. È stato dimostrato che un sovrano di Mari del periodo ha fatto scrivere questa lista per integrarsi alla gloriosa linea di discendenza di sovrani che avevano regnato su Mari. Bisogna chiedersi su quali documenti siano state redatte queste liste, forse per la maggior parte basate su ricordi orali o su dati ricavati da iscrizioni su statue e non su testi di archivi. Per alcune dinastie e per alcuni sovrani si ignorano gli anni di regno.
Un'altra lista, la Lista Reale sumerica, compilata all'epoca della III Dinastia di Ur e completata sotto la dinastia di Isin (XX sec. a.C.), che elenca i re a partire dal periodo prima del diluvio (per i quali annota numeri d'anno inverosimili, nell'ordine delle centinaia), diventa invece molto attendibile e i suoi dati coincidono con i nomi d'anno e con altri elementi cronologici quando si arriva ai sovrani delle dinastie di Accad e di Ur III e poi a quelli di Isin (con i quali la lista si chiude). Essa presenta, però, il grosso problema di elencare come successive dinastie che sono state contemporanee, perché si basa sul principio che la divinità ha donato la regalità a una dinastia alla volta. Inoltre, per motivi che non si conoscono precisamente ma che si intuiscono, sono completamente ignorate le dinastie di Lagash, che sono state lunghe e importanti e sono ben documentate da monumenti e testi. La Lista Reale assira si è dimostrata molto più affidabile ed è stata molto utilizzata come ossatura per un lungo periodo della storia mesopotamica.
A seconda dei periodi si trovano liste più o meno ben conservate e più o meno affidabili, che si possono mettere a confronto con gli avvenimenti narrati nelle cronache. Sono infatti pervenute cronache babilonesi e cronache assire, che raccontano sinteticamente avvenimenti in ordine cronologico; si è constatato che in ciascuna di esse esistono divergenze da testo a testo sul numero dei re e sugli anni di regno. Inoltre, anche per queste cronache c'è il problema che le dinastie sono state scritte in ordine successivo e non sono state considerate contemporanee, come invece è avvenuto in molti casi. Così, ad esempio, fino agli anni Cinquanta del Novecento Hammurabi, il re che è servito di base per stabilire la cronologia media, era ritenuto essere vissuto più di due generazioni prima di Shamshi-Adad d'Assiria, che si è scoperto poi a lui contemporaneo.
I sincronismi tra re di diverse dinastie sono naturalmente molto importanti per la determinazione della cronologia di un periodo. In alcuni documenti i re stessi menzionano la quantità di tempo trascorso dall'ultimo avvenimento degno di nota, dimostrando così di situare certi avvenimenti nel loro passato storico. Così, ad esempio, Nabonedo (556-539 a.C.) ‒ l'ultimo re dell'impero neobabilonese ‒ in certe sue iscrizioni situa il regno di Naram-Sin d'Accad ventisei secoli prima di lui, cioè molto prima di quanto lo situi la cronologia moderna. Infine, gli Assiri e la regione dell'Alta Mesopotamia nel I millennio a.C. hanno datato gli anni per mezzo del nome del funzionario principale, chiamato limu; gli Assiri hanno utilizzato questo sistema fino alla fine del periodo neoassiro (fine del VII sec. a.C.). Una lista di eponimi risale fino al 910 a.C. circa.
Oltre a questi dati, tra la documentazione testuale sono di fondamentale importanza quei testi che fanno riferimento ad avvenimenti astronomici. Siccome è possibile calcolare le date dei ritorni successivi di un fenomeno quale l'eclissi, la levata eliaca, l'occultamento di un pianeta o di una stella, se ne può calcolare la data di comparsa nel passato. Esiste una lista completa di osservazioni astronomiche relative a un certo periodo di regno di Ammi-saduqa, re della I Dinastia di Babilonia (1646-1626 a.C.), quarto successore di Hammurabi. In particolare furono registrati i fenomeni di sparizione del pianeta Venere; si è cercato di datare l'epoca in cui questi avvenimenti sono occorsi. L'astronomo tedesco F.X. Kugler dopo molti calcoli ha determinato la data da assegnare a questo regno; l'astronomo inglese J.K. Fotheringham è giunto a conclusioni differenti. Lo stesso Kugler ha rifatto i calcoli arrivando a soluzioni diverse. Quindi è evidente che esistono incertezze che provengono dalla necessità di operare una scelta tra più date, perché il fenomeno astronomico subisce dei ritorni anche abbastanza frequenti e quindi è possibile stabilire due o tre date successive. Per questo bisogna valutare quale periodo proposto dagli astronomi possa adattarsi meglio alla successione di eventi e di personaggi storici che si ricostruiscono da tutti i testi.
Questo ha dato origine a tre diversi sistemi di datazione, che differiscono l'uno dall'altro di una sessantina di anni. Infatti, sia le liste di re assiri e babilonesi lasciateci dagli scribi mesopotamici sia gli altri dati testuali consentono di risalire, pur con un'approssimazione di una decina d'anni, fino al 1450 a.C. per la cronologia della Babilonia e dell'Assiria. Prima del 1450 c'è una fase in cui i documenti per l'intero Vicino Oriente sono talmente scarsi che non si è ancora potuto chiarire quanto tempo intercorra tra la fine della dinastia di Hammurabi e l'inizio della dinastia cassita in Babilonia. Le diverse cronologie proposte dipendono dalla lunghezza che si attribuisce a questa "epoca oscura" e da quando si fissa la fine della I Dinastia di Babilonia e l'inizio della sovranità cassita.
Una cronologia media (legata ai nomi di S. Smith e di M. Sidersky) fissa la fine della I Dinastia di Babilonia intorno al 1595 a.C. e il regno di Hammurabi al 1792-1750 a.C. Essendo poi le altre dinastie ben correlate si arriverebbe a far risalire l'inizio della dinastia di Accad intorno al 2340 a.C. La cronologia bassa (adottata da W.F. Albright e da F. Cornelius) ha date più basse di sessantaquattro anni circa, cioè di un periodo di Venere. Una cronologia alta, basata sui calcoli dell'astronomo P.J. Huber, data Hammurabi al 1848-1806 a.C., quella bassa lo situa tra il 1728 e il 1686 a.C.
La cronologia più accettata e adottata è stata finora quella media. Recentemente c'è stata una revisione generale della cronologia del II millennio, basata su un nuovo esame di tutti i dati archeologici, testuali e astronomici disponibili, e si è fissata la data della caduta di Babilonia e della sua I Dinastia, che la cronologia media situava nel 1595, intorno al 1500 a.C., quindi quasi un secolo dopo. Restano però molti problemi dovuti sia alla compressione di eventi precedenti sia alla documentazione di epoca cassita, cioè della dinastia che prese il potere in Babilonia dopo la caduta della I Dinastia. Per il II millennio restano quindi oscuri i periodi delle invasioni dei Popoli del Mare del XII e XI sec. a.C. e poi quello dell'inizio della dinastia cassita in Babilonia.
Per il III e il II millennio a.C. la Mesopotamia ha fornito una maggiore quantità di documenti, ma restano difficili i sincronismi con la Siria, con l'Anatolia (cioè con la storia hittita), con l'Egitto e con l'Iran (cioè la storia dei regni elamiti). Gli scribi della Siria del Tardo Bronzo (1500-1200 a.C.) e quelli hittiti non ci hanno lasciato nomi d'anno né liste di re e quindi le loro cronologie restano più difficili da definire. La griglia cronologica della storia hittita si costruisce intorno a poche date. Tra esse la spedizione del re hittita Murshili I a Babilonia che, adottando la cronologia media sarebbe da datare al 1595 e adottando la cronologia bassa sarebbe invece da ascrivere al 1531; la battaglia di Qadesh tra il re degli Hittiti Muwatalli II e il faraone egiziano Ramesse II, avvenuta secondo i testi egiziani nel 5° anno di regno di questo faraone, la cui ascesa al trono gli egittologi collocano nel 1290 o nel 1279. Nelle fonti testuali hittite viene menzionata un'eclisse di sole che fornisce un dato cronologicamente importante; tale evento, avvenuto nel 10° anno di regno del re hittita Murshili II, potrebbe essere datato, su base astronomica, nel 1339 oppure nel 1334 o nel 1311. Inoltre restano incertezze sugli ultimi periodi della storia hittita, anche in presenza di sincronismi con l'Egitto. Un punto di riferimento, che però non è certissimo nella data, è il trattato di pace tra Ramesse II e il re hittita Khattushili III nel 1270 a.C., dopo la battaglia di Qadesh.
La cronologia dell'Egitto è stata ricostruita in un ordine relativamente preciso usando osservazioni astronomiche e le liste dei re fino alla I Dinastia. Vi sono anche per l'Egitto delle discrepanze sull'esatta interpretazione di dati astronomici, sulla lunghezza di certi regni come, ad esempio, il lungo regno di Ramesse II, centrale per i sincronismi con il Vicino Oriente, e anche la reale presenza di sovrapposizioni di regni in periodi di divisioni politiche. Normalmente anche gli egittologi hanno utilizzato una cronologia media, ma in anni recenti molti di loro hanno cominciato a seguire una cronologia più bassa.
Il I millennio a.C. invece ha una solida sequenza cronologica. A partire dal 911 per l'Assiria si dispone di una lista di eponimi confrontabile con molti dati di altri testi e sicura fino al 610. Per il I millennio a.C. si hanno anche le cronache babilonesi e gli annali assiri. Gli scribi assiri hanno anche redatto una storia comparata degli avvenimenti di Assiria, Babilonia e dei paesi vicini, che ci è stata conservata. In epoca ellenistica fu stabilito un sistema di concordanze tra fenomeni astronomici e durata di regni dei re babilonesi conosciuto sotto il nome di Canone di Tolemeo, dall'Egiziano che lo ha elaborato. Grazie al Canone di Tolemeo si conosce in maniera precisa la cronologia dei periodi neobabilonese (626-539 a.C.), achemenide (539-330 a.C.) ed ellenistico (330-126 a.C.) in Babilonia. Alla fine della storia vicino-orientale antica, si stabilisce un inizio per l'"era seleucide" a partire dal 311/310 a.C. e si abbandona il computo per anni di regno dei vari sovrani per un sistema di conto unico dall'accesso al trono di Seleuco I, chiamato anno 1° dell'era seleucide e fissato poi dagli storici al 311 a.C. Una vera cronologia assoluta è possibile quindi solo risalendo fino all'inizio del I millennio a.C. Comunque la cronologia assoluta del mondo vicino-orientale antico si può ricostruire solo grazie a un esame incrociato dei dati testuali e dei dati archeologici.
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