L'archeologia del Vicino Oriente. La Mesopotamia seleucide, partica e sasanide
di Roberta Venco Ricciardi
La conquista dell'Oriente da parte di Alessandro il Macedone, dopo la vittoria sugli Achemenidi nel 331 a.C., segnò una svolta fondamentale nella storia del Medio Oriente, ponendo fine al grande impero persiano e alle antiche culture locali e immettendo in questa immensa area un'impronta ellenistica che cambiò in modo sostanziale le varie realtà culturali. Gli elementi antico-orientali e greci si fusero strettamente, creando una nuova koinè culturale che rimase vitale, con progressivi mutamenti, come motivo conduttore di tutta la cultura successiva. Alla morte di Alessandro, la lotta tra i suoi generali portò alla divisione del grande territorio. I possedimenti asiatici di Alessandro furono riuniti in un solo impero dall'India al Mediterraneo, che uguagliava per vastità il grande impero achemenide, e la Mesopotamia ne fu il centro economico; Seleuco I, che se ne impadronì nel 312 a.C., fondò la propria capitale Seleucia sul Tigri alla fine del IV sec. a.C., non lontano da Babilonia.
In Mesopotamia erano ancora vive città di antica tradizione che avevano avuto una grande fioritura culturale nei periodi precedenti; la posizione politica e culturale di Alessandro e dei suoi successori fu improntata a un sostanziale rispetto e alla continuazione delle realtà culturali locali, non disgiunti da un intento di legittimazione del nuovo sovrano come continuatore dell'attività edilizia dei suoi predecessori. In questo quadro si inseriscono il restauro dell'Esagila di Babilonia, ricordato dalle fonti, la sopravvivenza dell'Ebabbar di Larsa, i restauri e le nuove costruzioni di edifici cultuali a Uruk. Lo stesso culto reale seleucide, inoltre, sembra fosse celebrato nei templi tradizionali (Babilonia, Uruk). Tale politica generale era unita a una burocrazia fortemente centralizzata, ben testimoniata dai sigilli delle bullae e dalle tavolette in cuneiforme (Uruk, Seleucia).
A Babilonia, che anche dopo la fondazione di Seleucia sembra rimanere un centro importante e non esclusivamente religioso, fu costruito uno dei più tipici edifici della cultura greca, il teatro. Scarse sono le testimonianze per altri grandi siti antichi della Mesopotamia centro-meridionale: Larsa, Ur, Nippur, Borsippa. Presenta invece una vera e propria fioritura Uruk, centro principale della Mesopotamia meridionale, all'epoca esteso per circa 300 ha, dove furono costruiti grandi santuari del tutto tradizionali, che non mostrano alcun apporto seleucide, né cultuale né architettonico. Le fasi d'insediamento della regione non sono sempre identificabili con sicurezza, poiché la ceramica del periodo seleucide spesso non è distinguibile da quella partica. Nella Mesopotamia settentrionale le testimonianze sono sporadiche: Assur sembra essere caduta nell'oblio, a Nimrud un villaggio di IV-II sec. a.C. si insediò sull'acropoli ormai in disuso, a Ninive materiali di superficie suggeriscono una probabile occupazione nel III-II sec. a.C. e alcune testimonianze epigrafiche sembrano indicare un'organizzazione del governo della città secondo schemi ellenistici. All'inizio dell'età seleucide, accanto ai siti antichi, furono fondate nuove città, la principale delle quali era Seleucia sul Tigri. Nel suo enorme insediamento, la conoscenza della facies seleucide è affidata in primo luogo all'archivio delle bullae, alla piazza relativa, al possibile teatro. Ci sfugge sostanzialmente il progetto di Seleuco per questa città, pensata non solo come la capitale del regno ma anche come la grande metropoli seleucide per antonomasia. Nella Mesopotamia nord-occidentale, in posizione strategica sulla sponda occidentale dell'Eufrate, fu fondata la colonia di Dura-Europos, con una pianta ippodamea, ben testimoniata per le sue costruzioni civili (mura urbiche, cittadella, strategeion, agorà) e meno per quelle cultuali. L'elemento macedone della popolazione rimarrà preminente, come appare dalle iscrizioni, anche in età partica, quando la città assumerà gradualmente caratteri più orientali.
L'arte figurativa di periodo seleucide e partico nell'area centro-meridionale della Mesopotamia è in gran parte rappresentata dalla coroplastica. La statuaria di grandi dimensioni non ci è pervenuta, anche se è verosimile che almeno Seleucia fosse sede di botteghe per la lavorazione di grandi statue di metallo. È stata attribuita a questa scuola, alla fine del II - prima metà del I sec. a.C., una statua di bronzo di Eracle con iscrizioni in greco e aramaico, ritrovata fuori contesto a Seleucia. La documentazione delle bullae negli esemplari figurati di Seleucia offre un ampio quadro delle tematiche e dei problemi dell'arte seleucide in Mesopotamia, con ritratti reali e tipologie ellenistiche trattati con uno stile prettamente greco, accanto a più rari temi babilonesi. La coroplastica di età seleucide è invece quasi inesistente: il materiale di una bottega di Seleucia, attribuibile a questo periodo o a quello antico-partico, testimonia tipi iconograficamente e stilisticamente propriamente greci, come le maschere teatrali.
Le sepolture attribuibili all'età seleucide non sono molto numerose. Le pratiche funerarie non mostrano differenze da quelle precedenti, eccetto casi eccezionali come i tumuli di Uruk (attribuiti alla seconda metà del III sec. a.C.), che presentano alcuni elementi insoliti in Mesopotamia, come la pratica dell'incinerazione e parte del ricco corredo. Le tombe appartenenti alla popolazione comune sono del tutto tradizionali (Uruk, Nippur, Tell ed-Der): a fossa, a sarcofago, in giara, costruite con mattoni cotti (con copertura a cappuccina). I corredi sono piuttosto poveri e consistono principalmente in recipienti di ceramica, pochi ornamenti personali, raramente delle monete.
La ceramica seleucide è caratterizzata dall'impatto dell'ellenismo sulla cultura mesopotamica, con introduzione di forme del IV-III sec. a.C. (anfora, oinochoe, fish-plate ovvero piatto a bordo sporgente in basso) nel corpus ceramico tradizionale, forme che con innumerevoli varianti e successivi adattamenti rimarranno nel repertorio mesopotamico anche nei periodi seguenti.
Il trasferimento della capitale seleucide nella nuova fondazione di Antiochia sull'Oronte in Siria (ca. 300 a.C.), in posizione eccentrica rispetto al territorio seleucide, ebbe come conseguenza un minor controllo sulle zone orientali, di cui approfittarono la Partia e la Battriana, che si resero indipendenti alla metà del III sec. a.C. I Parti estesero progressivamente il loro potere fino a conquistare la Mesopotamia nel 141 a.C., sotto la guida del re arsacide Mitridate I.
Nonostante le guerre quasi continue con i Romani e le lotte interne che caratterizzarono tutto il periodo, la regione appare particolarmente prospera, con la fondazione di numerosi nuovi insediamenti. Crocevia cruciale per il commercio internazionale tra l'Oriente (India, Cina) e il grande mercato del Mediterraneo e del mondo romano, di cui i Parti e in seguito i Sasanidi furono gli intermediari, la Mesopotamia era fondamentale nell'economia e nella politica dello Stato. Seleucia non solo mantenne la sua importanza e una certa autonomia amministrativa, ma ricevette dai re partici il privilegio di battere moneta di argento e di bronzo, la cui grande abbondanza e circolazione, non solo locale, sono indici di una vivace vita commerciale. La città rimase legata in modo particolare alla cultura ellenistica soprattutto nell'arte figurativa, mentre nell'architettura si può meglio seguire una progressiva evoluzione.
Ctesifonte, sulla riva opposta del fiume, fu scelta come prima residenza invernale dei re arsacidi e poi come capitale almeno dal I sec. d.C., ma la sua posizione non è ancora stata localizzata con certezza. Non essendo stati indagati i grandi centri regali, con l'eccezione di Nisa in Asia Centrale (II sec. a.C.), le testimonianze dell'arte ufficiale arsacide sono scarse a parte le monete, che offrono solo indizi di carattere generale sull'iconografia e su uno sviluppo stilistico da un'arte più naturalistica a una più stilizzata con caratteri orientali. La nostra conoscenza della cultura partica è affidata ai siti periferici, particolarmente fiorenti in un'organizzazione statale poco centralizzata quale era quella dell'impero partico. Le province, mantenendo peculiarità proprie, conferirono alla cultura del periodo un carattere molto sfaccettato, pur all'interno di un quadro generale contraddistinto da un connubio originale di forti tradizioni locali e di elementi occidentali.
In età partica le antiche città ebbero destini molto diversi. A Babilonia, Nippur e Uruk le aree dei grandi templi in disuso furono utilizzate con funzioni diverse. Mentre a Babilonia il teatro venne ingrandito, indicando una comunità fiorente, l'insediamento di Uruk specialmente nel I-III sec. d.C. si restrinse rispetto al periodo precedente. In quest'epoca fu costruito, in un'area decentrata per opera di un gruppo probabilmente allogeno, il tempio di Gareus datato da un'iscrizione in greco al 111 d.C., che mostra una commistione di elementi diversi tipica della cultura partica. Accanto a tale sincretismo, tipologie originali come l'īwān (ambiente rettangolare completamente aperto su un lato breve, che si affaccia su un cortile) caratterizzano l'architettura "partica" in Mesopotamia nei primi secoli dopo Cristo. La Mesopotamia settentrionale ne mostra la documentazione più abbondante e più completa, in quanto ad Assur e ad Hatra edifici cultuali e civili del I e II sec. d.C. hanno conservato le facciate degli īwān riccamente decorate. Assur presenta in questo periodo una nuova grande fioritura con ricche testimonianze architettoniche (templi, palazzo), in cui compaiono i principali caratteri costitutivi dell'architettura partica: la pianta templare di tradizione babilonese, l'īwān, la decorazione architettonica di origine occidentale. Analoghi elementi compaiono anche ad Hatra nel II sec. d.C.
Questa importanza della facciata sembra obbedire allo stesso gusto per la frontalità che compare nell'arte figurativa e l'elemento occidentale ‒ colonne, capitelli, modanature ‒ costituisce solo una decorazione superficiale che, pur facendo parte integrante dell'architettura partica, non incide profondamente nella sostanza. Nella regione centro-meridionale della Mesopotamia gli edifici a īwān sono conservati invece solo a livello planimetrico. A Nippur, nella fortificazione sulla ziqqurrat di Enlil, furono costruiti, nella sua ultima fase (II sec. d.C.), ambienti monumentali con pianta tipicamente partica: un grande īwān circondato da un corridoio, che si rivelava in facciata con due aperture minori a fianco di quella maggiore dell'īwān, secondo uno schema ampiamente diffuso nel periodo. Un chiaro esempio di questa tipologia si vede anche ad Abu Qubur (Mesopotamia centrale) verso il 100 d.C., in questo caso coperto in piano. Nello stesso periodo l'īwān compare anche a Seleucia; non è testimoniato, invece, a Dura-Europos nonostante la città sia stata a lungo sotto il dominio partico, come se l'Eufrate avesse svolto la funzione di confine tra due aree architettoniche diverse. Qui la facies architettonica partica, che si mantenne anche durante il dominio romano, riprese e sviluppò la pianta templare babilonese, che trova parziale confronto con i templi minori di Hatra.
L'alta produzione locale di figurine, anche in età partica, appare contrassegnata in grandissima maggioranza da iconografie e trattamenti stilistici di tipo occidentale; più rari sono i tipi di tradizione mesopotamica. Negli altri siti le tipologie sono meno varie e spesso le opere sono più grossolane. L'arte figurativa più caratteristica del periodo partico è rappresentata, però, non tanto dalla produzione di figurine di terracotta della Mesopotamia centro-meridionale, quanto dalla pittura e dalla scultura dei primi secoli dopo Cristo nelle regioni nord-occidentali, che sono accomunate da una medesima impostazione figurativa (Dura-Europos, Hatra). Questi documenti sono caratterizzati da elementi peculiari, riconosciuti da M. Rostovzev come caratterizzanti l'"arte partica" (frontalità, linearismo, ieraticità, verismo). Le figure sono rappresentate in una rigida frontalità, disposte paratatticamente su un unico piano con lo sguardo rivolto allo spettatore, senza alcun approfondimento dello spazio. I personaggi non mostrano un rapporto tra loro, ma è lo spettatore stesso che interviene a ricomporre i fattori della rappresentazione. La scena è astratta, formata da tipi ideali, non caratterizzati da particolari fisionomici ma chiaramente identificabili per la descrizione minuta degli attributi e dell'abbigliamento, che ne sottolinea il carattere divino o il rango sociale. All'impressione di lusso e di opulenza contribuiscono non solo la rappresentazione dei gioielli, di cui si ritrovano nella Mesopotamia partica alcuni esemplari corrispondenti, ma anche ‒ specialmente nelle sculture di Hatra ‒ quella di abiti maschili di foggia partica, riccamente decorati anche con elementi metallici applicati, il cui uso è testimoniato dai reperti di una ricca tomba da Ninive datata al II sec. d.C. La rappresentazione sostanzialmente antinaturalistica doveva essere il riflesso di un'arte elaborata alla corte di Ctesifonte, ma è possibile che il nuovo stile sia da mettere in connessione con la progressiva perdita di importanza dell'Ellenismo e con il fenomeno del "neoiranismo", di cui un elemento sintomatico è l'apparire, dal I sec. d.C., di lettere aramaiche sulle monete, mentre le scritte in greco divengono quasi incomprensibili.
Le pratiche funerarie partiche sono ampiamente documentate. L'ubicazione delle tombe, che mostra continuità nelle usanze della popolazione autoctona della Mesopotamia partica, è spesso all'interno del perimetro urbano, sia in case di abitazione in uso al momento delle sepolture sia sopra edifici più antichi in disuso, ma non mancano necropoli al di fuori dell'abitato. Anche la forma delle tombe risale al periodo precedente; la novità è rappresentata dall'introduzione dell'invetriatura e della decorazione figurata in rilievo sui sarcofagi a vasca. Caratteristica del periodo tardopartico e dell'area centro-meridionale della Mesopotamia è una forma particolare di sarcofago, cosiddetto "a pantofola", aperto solo nella parte di testa con un'ampia bocca ovale, spesso invetriato e decorato a rilievo da figure umane stilizzate o disegni geometrici. Ipogei con inumazioni multiple costruiti con mattoni cotti, a camera coperta a volta, con loculi lungo le pareti, sono diffusi nell'area centrale e settentrionale, in particolare a Seleucia. Molto meno diffusi sono gli ipogei scavati nel terreno, con ambiente centrale e cubicoli laterali, caratteristici della zona dell'Eufrate. Nella Mesopotamia settentrionale, invece, sono realizzati fuori terra edifici funerari a più ambienti, spesso a due o tre piani, con loculi costruiti a cassa o scavati nello spessore dei muri. I corredi comprendono generalmente balsamari di vetro e recipienti di ceramica, oggetti e gioielli personali, una moneta e, nelle inumazioni più ricche, copriocchi, copribocca, diadema e maschera d'oro, spesso frammentari.
I Parti, indeboliti dalle conquiste romane della Mesopotamia e della capitale Ctesifonte oltre che da seri problemi interni, nel 224 d.C. furono vinti e sostituiti nel comando dell'immenso territorio dalla dinastia iranica dei Sasanidi, in una situazione simile di relazioni problematiche sia con l'Occidente sia con l'Oriente. A differenza del periodo partico, con i Sasanidi si assiste a un forte accentramento del potere a livello statale e della religione. Dalla seconda metà del III sec. d.C. il mazdaismo diventò religione di stato; dal IV sec. d.C. prese forma la nuova organizzazione burocratica, perfezionata nel VI sec. d.C. con la riforma dell'esercito e del sistema di tassazione. In tale progressiva centralizzazione scomparve gran parte delle città indipendenti e il principale centro commerciale con l'Occidente diventò Nisibis, nell'Alta Mesopotamia, secondo accordi a livello statale tra l'impero bizantino e quello sasanide. La Mesopotamia rimase il cuore economico dell'impero e furono arricchite come non mai le sue capacità agricole, con costruzioni intensive di canali.
Le prospezioni archeologiche di superficie indicano un aumento straordinario dei siti pur continuando, nelle linee generali, il quadro territoriale precedente. La zona di Seleucia e Ctesifonte appare fittamente abitata. In questo periodo, la Mesopotamia era contraddistinta da una eterogeneità di minoranze religiose, di cui danno testimonianza le fonti ebraiche e siriache cristiane e, indirettamente, le coppe magiche e le iconografie dei sigilli. Nell'ultimo secolo del potere sasanide, in particolare, sembra che vi sia stato un grande incremento dei cristiani, nestoriani e monofisiti, favorito anche da interventi politici (espulsioni, deportazioni). Alterne vicende belliche con Bisanzio caratterizzarono l'ultimo grande periodo dell'impero sasanide, ma le sconfitte subite da Khusraw II (622-627 d.C.) da parte dei Bizantini, pur indebolendo la potenza sasanide, non determinarono la caduta della dinastia. Questa venne definitivamente vinta, invece, da una nuova potenza, gli Arabi islamizzati, i quali avanzando dalla penisola invasero la Bassa Mesopotamia (636 d.C.) e, in breve, tutto l'impero.
La Mesopotamia sasanide è meno documentata di quella partica dagli scavi archeologici, concentrati specialmente nell'area centro-meridionale della regione. Nelle antiche città gli insediamenti sasanidi appaiono spesso di minori dimensioni rispetto all'età precedente. L'area centrale rimase il cuore dell'impero, con la sede reale di Ctesifonte sulla riva orientale del Tigri che, secondo le fonti, era munita di poderose fortificazioni, come anche, sulla riva opposta del fiume, era Veh Ardashir, identificata attualmente con una città circolare (Ctesifonte secondo gli studiosi tedeschi), con mura e torri a ferro di cavallo di mattone crudo. L'architettura religiosa è testimoniata da edifici cristiani, generalmente di periodo tardosasanide, che si concentrano nella Mesopotamia settentrionale e in quella meridionale. Nella zona centrale, a Veh Ardashir è stata identificata solo una chiesa di piccole dimensioni, Qasr Bint el-Qadi (VI sec. d.C.). A Hira, nella Mesopotamia meridionale, due altre chiese datate allo stesso periodo presentano caratteri analoghi, che trovano confronti nell'architettura ecclesiastica del Nord della Mesopotamia: aula rettangolare con pilastri, presbiterio rettangolare tripartito, accessi situati sui lati lunghi. La regione settentrionale in età sasanide è poco conosciuta ed è testimoniata da evidenze sporadiche, che coprono però gran parte del territorio. Scompaiono le grandi città provinciali partiche, mentre Ninive, in posizione strategica sul Tigri, si rivela un sito importante per abbondanza e ricchezza dei ritrovamenti, anche se non stratificati, che indicano un'occupazione per tutto il periodo.
Per il periodo sasanide l'arte figurativa, che comprendeva in origine anche la pittura e i mosaici, è rappresentata essenzialmente dalla produzione in stucco, generalmente dipinto, di figure ad altorilievo, come il personaggio maschile panneggiato, incompleto, proveniente dalla chiesa di Qasr Bint el-Qadi, forse il santo dedicatario. Sempre ad altorilievo sono realizzate grandi scene di cacce a più figure, di cui rimangono scarsi frammenti, animali fantastici (area di Ctesifonte) e busti di sovrani o di figure femminili (Kish). In realtà, la grande maggioranza della produzione appare strettamente connessa con la decorazione architettonica, testimoniata dai ritrovamenti negli edifici dell'area di Ctesifonte (VI sec. d.C.) e di Kish (V - prima metà del VI sec. d.C.), che mostrano una sostanziale analogia nel modo di utilizzo: oltre a coprire alcuni elementi architettonici, la decorazione di stucco si estende come un disegno tessuto sulle volte e sulle pareti, con formelle, spesso giustapposte, fatte a stampo con rappresentazioni umane, animali, vegetali, simboliche.
I sigilli a stampo, privati e ufficiali, prodotti tra i più caratteristici dell'impero sasanide, provengono per la maggioranza dal mercato antiquario. A parte quelli puramente epigrafici, che forniscono dati preziosi sull'organizzazione dello Stato sasanide, la maggior parte dei sigilli reca motivi iconografici straordinariamente vari, spesso accompagnati da iscrizioni: figure umane, maschili o femminili, animali, simboli religiosi, monogrammi. La toreutica, che in età sasanide è rappresentata da una produzione straordinaria di vasellame di argento, spesso dorato, con immagini regali e soggetti che attingono a un repertorio epico e religioso, in Mesopotamia non è finora testimoniata da alcun reperto. Si possono però attribuire a questa produzione le matrici di gesso ritrovate in una bottega a Veh Ardashir (IV sec. d.C.) che, accanto a esemplari di parti di oggetti, rappresentano un viso maschile barbuto, una danzatrice, un grifone, soggetti comuni nel repertorio iconografico sasanide e che probabilmente dovevano essere applicati sulle pareti del vasellame di metallo.
Le sepolture sasanidi sono poco documentate; generalmente radunate in necropoli, spesso appartengono al periodo più antico e continuano le pratiche funerarie precedenti: nella Mesopotamia settentrionale sono note Tell Mahuz (III-IV sec. d.C.) e Tell Mohammed Arab (forse IV sec. d.C.); in quella centrale Babilonia e Sippar; nel Sud, vicino a Hira, Umm Keshem e Abu Shkeir, datate tra il periodo tardopartico e il V-VI sec. d.C. I corredi sono costituiti da ceramica, vetri, monete, piccoli gioielli e qualche sigillo. Le ceramiche seleucide, partica (Uruk, Seleucia, Hatra, Nimrud) e sasanide (Kish, Veh Ardashir) sono strettamente legate tra loro e rappresentano ognuna lo sviluppo di quella precedente, mostrando però caratteri individuali, specialmente nella piena maturità di ogni singolo periodo. Le produzioni del vetro di età partica e sasanide, a differenza della ceramica, non sono strettamente connesse. Il vetro partico di uso comune, non molto diffuso, derivava dall'ambito ellenistico-romano (Uruk, Seleucia, Assur, Hatra, Dura-Europos), mentre quello sasanide ebbe carattere innovativo con forme specifiche di ampia diffusione: coppe apode con costole rilavorate oppure tortili, una vasta gamma di bicchieri, spesso decorati a linee e faccette abrase, boccette globulari di vetro spesso, frequentemente costolate.
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v. ASSUR in L'archeologia del Vicino Oriente antico. La Mesopotamia
v. BABILONIA in L'archeologia del Vicino Oriente antico. La Mesopotamia
di Antonio Invernizzi
Località della Babilonia sul Tigri, circa 35 km a valle di Baghdad (Iraq), un tempo capitale dell'impero partico e poi di quello sasanide. Dopo la conquista della Mesopotamia, nella seconda metà del II sec. a.C., i sovrani arsacidi non fissarono la propria sede nella metropoli, ma nel piccolo villaggio che sorgeva nei pressi e che si sviluppò fino a divenire una delle città reali più importanti, anche in relazione alle vicende storiche che videro i due imperi spesso affrontati a Roma e Bisanzio.
Nell'area sono stati effettuati scavi a opera di una missione archeologica tedesca, poi della missione del Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l'Asia; infine scavi e lavori di restauro da parte del Dipartimento delle Antichità dell'Iraq. La particolare complessità dell'area metropolitana di Seleucia-Ctesifonte (al-Madain, "le città"), che nelle fonti arabe conta diversi agglomerati urbani con un proprio nome, e la limitata estensione degli scavi non hanno permesso una localizzazione sicura sul terreno della C. partica. Essa è stata infatti variamente collocata: sotto la città circolare ora identificata con la sasanide Veh Ardashir (Kokhe), dove sia la missione tedesca sia quella italiana hanno portato alla luce anche strutture lacunose e soprattutto tombe databili a età partica; oppure, più genericamente, in un'area prossima non investigata. Incomparabilmente più ricche, grazie agli scavi, le informazioni sulla capitale sasanide, che comprende essa stessa una serie di agglomerati distinti. La città circolare erede di Seleucia era situata di fronte alla vecchia metropoli, sulla riva est del Tigri. La serie ininterrotta di livelli nei quartieri artigianali nell'area sud-ovest della città, presso le mura, è saldamente datata a età esclusivamente sasanide da numerose monete, che hanno permesso di proporre un'identificazione della città circolare con la "bella città di Ardashir", fondata dal primo dei re sasanidi.
All'interno delle massicce mura di mattoni crudi, dotate di torri semicircolari disposte a distanza regolare, sono state scavate strutture abitate tra il III e la fine del V sec. d.C. Gli isolati hanno forma irregolare ma sono separati da una grande strada dal percorso relativamente rettilineo, oltre che da vie minori, mentre stretti vicoli consentivano l'accesso alle strutture più interne. Sulle vie si affacciano spesso piccole botteghe, mentre gli appezzamenti maggiori sono occupati da case e da strutture artigianali. Il nucleo edilizio principale delle case più significative è formato ora da un cortile centrale, ora da un grande īwān, completamente aperto su un piccolo cortile rettangolare disposto ortogonalmente. Le strutture murarie sono in generale di mattoni crudi, con raro impiego di quelli cotti. Tra i reperti fa spicco anzitutto l'abbondantissima ceramica (sia comune sia invetriata), che rappresenta la sola sequenza riccamente articolata disponibile nell'impero sasanide e altamente rappresentativa per le province occidentali. Di non minore importanza sono i recipienti di vetro, tra i quali appaiono preponderanti i caratteristici piccoli balsamari dal collo alto e stretto, alla cui fabbricazione erano destinate alcune fornaci. Anche la lavorazione del metallo è ampiamente documentata sia da matrici di gesso per la fusione di svariati oggetti, sia da prodotti finiti, dalle piccole statuette agli spilloni.
Nell'area di Veh Ardashir la vita continuò anche in età successiva. Ancora al periodo sasanide appartiene l'edificio di mattoni cotti interpretato come chiesa. La grande sala rettangolare di cui si compone era dotata di due file di colonne o di pilastri, di tre absidi squadrate e di una decorazione, anche figurata, di stucco. Non distante, circa al centro della città, in località Baruda, è stata invece scavata dalla missione italiana una sequenza di livelli successivi, appartenenti al tardo periodo sasanide e, soprattutto, a età islamica (VIII-IX e XIII-XIV sec. d.C.).
Le maggiori informazioni sull'architettura provengono però dagli scavi sulla riva orientale del Tigri. Cuore della C. sasanide era, qui, il grande palazzo noto come Taq-i Kisra, "l'arco di Khusraw", che risale verosimilmente al regno di Khusraw I (531-578 d.C.). Resta tuttora in piedi metà della sua monumentale facciata, decorata da nicchie e semipilastri circolari di diversa altezza ai lati del monumentale īwān, coperto da una gigantesca volta ad arco parabolico. La sala del trono, un tempo ricca di mosaici, si apriva sul cortile principale della costruzione, che doveva costituire il centro principale della reggia. Nelle sue immediate vicinanze sorgevano altre strutture e, in particolare, oltre al complesso di bagni accertato nel Westhügel ("colle ovest"), un lungo edificio rettangolare terrazzato decorato da stucchi, parzialmente scavato e di incerta interpretazione, denominato Südbau ("edificio sud"). Edifici sasanidi di notevole impegno architettonico, apparentemente a destinazione residenziale, sono stati scavati più a nord in località Umm Zatir e Maridh. Anche in queste costruzioni, appartenenti alle classi sociali più agiate, resta fondamentale l'impianto di un settore monumentale imperniato su un īwān più o meno grande, secondo uno schema che talora si dilata in un grande cortile dominato da un ampio īwān fiancheggiato da īwān minori. Tuttavia sono documentate diverse soluzioni compositive e anche tipologie planimetriche diverse, con sale a pilastri circolari. Questi nuclei di rappresentanza, in particolare l'arco dell'īwān e le sue pareti, erano decorati spesso a profusione da stucchi databili per lo più a tarda età sasanide. Ricchissima la varietà dei motivi geometrici e figurati e degli schemi compositivi degli stucchi, che integrano in un insieme organico stili diversi, di lontane ascendenze ellenistiche o di origini iraniche. Nella decorazione delle pareti non era ignota la pittura.
Nei dintorni dell'area monumentale sono stati portati alla luce anche edifici di notevole impegno architettonico, che continuano tra l'altro la tradizione di una ricca decorazione realizzata in stucco. Motivi e schemi compositivi rinviano però frequentemente a età islamica e dimostrano che la città non fu abbandonata, anche se le fonti mettono l'accento sullo smantellamento sistematico della reggia allo scopo di recuperare mattoni cotti, da reimpiegare nella costruzione della vicina nuova capitale a Baghdad. Le strutture messe in luce nei due tell Ali al-Hiti appartengono per lo più al VII sec. d.C., ma hanno restituito anche materiale che scende a età ilkhanide. A sud dei quartieri monumentali sono stati inoltre localizzati e in parte scavati due recinti di mattoni crudi, il Bustan-i Kisra e Tell Dheheb. Riguardo alle poderose mura turrite del primo recinto, le ricerche sono state troppo limitate per produrre dati a sostegno dell'ipotesi che si tratti di Veh Antiokh-i Xusro, la "bella Antiochia di Khusraw", dove furono stanziati i prigionieri che il sovrano portò dalla sua campagna di Siria. Tell Dheheb è invece il luogo di un agglomerato forse già abitato in età seleuco-partica, ma parzialmente investigato solo nell'ultima fase, sasanide, con alcuni gruppi di ambienti caratterizzati, in genere, da impianti piuttosto irregolari, separati da vicoli che si incrociano ad angoli acuti. In tarda età sasanide l'abitato fu abbandonato e venne racchiuso in un recinto quadrato orientato in modo del tutto indipendente. Gli spessi muri a pilastri aggettanti verso l'interno e le scalinate addossate all'esterno erano evidentemente destinati a contenere un'enorme terrazza, nell'ambito di un progetto che verosimilmente non fu mai portato a termine.
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di Roberta Venco Ricciardi
Grande città (gr. ʹΑτϱα; lat. Hatra; aram. ḥṭr᾿; ar. al-Ḥaḍr) fortificata situata nella regione stepposa della Gezira (Iraq settentrionale), circa 90 km a sud di Mossul e 50 km a ovest di Assur.
La prima ricerca sistematica sul sito si deve alla missione tedesca nella vicina Assur, che documentò le rovine con fotografie e rilievi (1907-11). Solo a partire dal 1951 furono effettuati scavi archeologici nella città, a opera della Direzione delle Antichità Irachene, e poco dopo iniziarono i restauri dei templi principali.
La regione che circonda H. è ancora oggi una steppa abitata dai nomadi arabi. Poiché l'area è favorita da condizioni idrologiche particolari, è probabile che in antico un accampamento di tribù nomadi si sia evoluto in un insediamento stabile. Piccoli sondaggi all'interno del temenos testimoniano uno stanziamento dell'inizio del IV sec. a.C., mentre l'origine in età assira non è finora provata da evidenze archeologiche. La zona era percorsa da numerose vie di comunicazione che collegavano la Siria al Tigri e alla Mesopotamia centrale e la città è raffigurata nella Tabula Peutingeriana. Benché il commercio internazionale non facesse forse parte delle attività principali del centro, è probabile che H. ne traesse vantaggio e fosse una tappa importante su tali vie. Il prestigio e la ricchezza della città sembrano piuttosto risiedere nel suo valore religioso e strategico.
H., ai confini tra l'Impero romano e quello partico, forse nel I sec. d.C. era legata all'Adiabene; nel II secolo, pur restando indipendente, gravitava nell'orbita del regno partico e fu assediata invano da Traiano (116 d.C.) e da Settimio Severo (probabilmente nel 198 e 199 d.C.). La caduta del potere arsacide e l'espansione verso occidente della nuova dinastia sasanide cambiarono la situazione: una guarnigione romana è attestata nella città tra il 235 e il 238 d.C. Ciononostante la città fu conquistata dai Sasanidi nel 240/1 d.C. (codice manicheo di Colonia) e da allora fu progressivamente abbandonata. Il periodo di tali vicende corrisponde a quello testimoniato dalle numerose iscrizioni in aramaico incise sulle strutture e sui basamenti di statue, che costituiscono la base cronologica degli edifici della città. Dal 98 d.C., la più antica data finora attestata, un susseguirsi di epigrafi documenta un grandioso sviluppo edilizio nel II sec. d.C., che si concluse alla fine del secolo con la costruzione del tempio di Allat all'interno del temenos e con il rafforzamento delle mura urbiche. Le ultime iscrizioni risalgono agli anni 235-238 d.C., immediatamente precedenti alla caduta della città. Da quanto si evince dalle epigrafi ritrovate, era a capo di H., oltre a un'assemblea, un "signore", costruttore degli imponenti edifici della città. Nella seconda metà del II sec. d.C. il titolo di "signore" fu sostituito da quello di "re" e, più in particolare, di "re degli Arabi". Lo sviluppo architettonico e la maggiore dignità del titolo denotano un aumento di ricchezza e d'importanza della città come centro politico e religioso e una maggiore indipendenza dal re arsacide. È possibile che anche la zecca di H. sia diventata attiva in questo periodo.
L'area della città più antica, probabilmente quadrangolare, aveva dimensioni molto inferiori rispetto a quella attuale: mura urbiche di mattone crudo su basamento di pietra sono state messe in luce nella parte sud dell'abitato. Una nuova, possente cinta muraria, di forma subcircolare, fu costruita prima della metà del II sec. d.C., circondando una vasta area intorno alla città antica e comprendendo all'interno le necropoli e le fonti d'acqua. Le fortificazioni, costruite con mattoni crudi e pietra con più di 160 torri quadrate cave ‒ rafforzate, in una seconda fase, da torrioni pieni e bastioni di pietra ‒ recingevano un'area di circa 2 km di diametro. Il fossato che le circondava era superato da piccoli ponti in corrispondenza delle quattro porte urbiche, di cui sono state messe in luce solo quelle nord ed est. All'interno, il sistema difensivo era ulteriormente rafforzato da un muro continuo di pietra e mattone crudo, parallelo alla cinta principale.
L'agglomerato urbano, indagato in minima parte, era composto da isolati piuttosto irregolari, di varie dimensioni e orientamento e, probabilmente, di carattere multifunzionale. Le abitazioni erano a cortile centrale su cui si apriva almeno un īwān (ambiente rettangolare, tipicamente partico, con un lato breve quasi completamente aperto). Il Palazzo Nord, costruito secondo uno schema analogo vicino alla porta urbica settentrionale e messo in luce solo parzialmente, fu probabilmente occupato dai Romani per un breve periodo prima della conquista sasanide. Le tombe si trovano all'interno dell'abitato: alti edifici quadrati di pietra a uno o due piani con stanze interne, raggruppate in necropoli o isolate. Lo scavo di una necropoli e di alcuni edifici funerari ha documentato l'uso dell'inumazione e, in pochi casi, della cremazione. Alcune di queste tombe sono certamente precedenti alla cinta muraria della metà del II sec. d.C. e sono state da questa inglobate e riutilizzate nelle fortificazioni.
Fin dal periodo più antico il centro della città era costituito da un grande recinto sacro (437 × 322 m ca.), completamente di pietra, dedicato al dio solare Shamash. Principale centro religioso di H., esso rappresentava l'essenza stessa della città e la ragione del suo nome, come testimonia l'iscrizione aramaica sulle monete ḥṭr᾿ d šmš ("il recinto del Sole"). Esso racchiudeva i templi principali della città, anch'essi di pietra, costruiti con una tecnica di origine romana. Il suo aspetto e le sue dimensioni sono il punto di arrivo di un intenso processo edilizio databile per la maggior parte all'interno del II sec. d.C. Nelle sue fasi più antiche, non ancora ben definibili, è probabile che due strutture murarie, messe in luce a ovest dei Grandi Iwan, una di pietra con torrioni semicircolari e una più antica (I sec. a.C. - I sec. d.C.) di mattone crudo con torrione rettangolare, siano da identificare con antiche recinzioni di un'area sacra precedente a quella attuale. L'entrata principale del temenos era a oriente, come la maggior parte dei templi al suo interno, e immetteva in un vasto spazio pressoché vuoto, probabilmente destinato ad accogliere i pellegrini. Al fondo di quest'area s'innalzava il tempio di Maran (Nostro Signore): considerato il più antico del temenos attuale, ma privo di dati al riguardo, presenta forme di chiara origine occidentale. All'edificio periptero di ordine ionico su alto podio (di origine ellenistico-romana), con cella allungata e scalinata antistante, fu aggiunta, in una seconda fase, una peristasi esterna di ordine composito (anch'esso di origine romana). L'epistilio, riccamente decorato, utilizza elementi occidentali in sola funzione decorativa e, nella cornice, motivi figurativi e apotropaici di varia origine.
Nella zona occidentale, più elevata, del santuario, si erge una serie di templi a triplo īwān, di cui il complesso dei Grandi Iwan rappresenta l'insieme più maestoso, con fronte estesa per 115 m e ampia scalinata. Lo schema architettonico, che si ripete nei successivi templi della Triade e di Allat, consiste in un grande īwān, coperto con volta a botte, affiancato da due īwān minori simmetrici, comunicanti con ambienti di servizio retrostanti. La facciata era riccamente decorata: oltre all'ordine unico di alte semicolonne corinzie e a modanature di origine occidentale, rielaborate in senso ornamentale, vi erano anche rilievi, statue su mensole e conci degli archivolti con divinità, personaggi e animali ad altorilievo. Dall'inizio del II sec. d.C. (Grandi Iwan) alla fine dello stesso secolo (tempio di Allat) lo schema rimase immutato, anche se in quest'ultimo edificio la facciata si arricchì con triplici ordini di colonne e nicchie di diverse dimensioni. Anche la decorazione interna, limitata nei Grandi Iwan a mascheroni e alle porte laterali, nel tempio di Allat diventa più fastosa: nell'īwān meridionale, oltre a un rilievo a figura intera dei sovrani costruttori dell'edificio, compare un vivace fregio con busti di musici ad altorilievo, al centro del quale è rappresentato l'arrivo della dea Allat a dorso di cammello.
Nel territorio della città sono stati finora scavati 14 templi minori, di mattone crudo e pietra, spesso circondati da case o isolati, più raramente al centro di recinti sacri. Lo schema architettonico dei santuari minori è di tradizione mesopotamica, babilonese e assira, con una grande antecella larga e una cella, più frequentemente profonda, che ospita l'altare e l'effigie sacra. Gli dei della tradizione mesopotamica (Nabu, Nergal, Nanay) e siriana (Atargatis, Baal Shamim) hanno qui il loro luogo di culto mentre non compaiono nel temenos centrale, indicando una differenza tra i culti centralizzati, appoggiati dalla casa reale, e le divinità venerate da una particolare tribù. I templi minori solo sporadicamente presentano una ricca decorazione architettonica mentre i ritrovamenti sono molto ricchi, poiché era presente all'interno dei templi una quantità straordinaria di rilievi e statue di varie dimensioni raffiguranti divinità e devoti, accanto a cassette cilindriche per le offerte, piccole colonne, altarini, depositi per oggetti e figurine. Il grande numero di statue dei sovrani e di rilievi che raffigurano le divinità arabe, venerate all'interno del temenos, indica una stretta connessione con il potere regale e con i culti del grande santuario. Secondo le iscrizioni i templi minori erano opera delle tribù arabe, nomadi o stanziate nella città, che afferivano al grande centro sacro e costruivano nella sua area templi e tombe.
La scultura di H., in massima parte di produzione locale e realizzata in materiali teneri, costituisce il più ricco corpus di statuaria partica finora conosciuto. Rilievi e statue, per la maggior parte ritrovati nei templi, raffigurano divinità, sacerdoti e devoti. Alla loro rappresentazione stereotipata, rigidamente frontale, si contrappone la descrizione minuziosa degli abiti e dei gioielli, a sottolineare la ricchezza del personaggio e la necessità di attribuirgli una carica e un'identità, a volte sottolineata da un'iscrizione. Testimonianze numerose ma sporadiche indicano la diffusione della pittura parietale negli edifici domestici; nell'esempio meglio conservato, scene di caccia, di grandi dimensioni, decoravano completamente le pareti di un ambiente di una grande dimora privata.
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