L'archeologia del Vicino Oriente: Mesopotamia
Tra la storia della Mesopotamia e la nostra cultura non vi fu interruzione. I nomi di Ninive e di Babilonia non furono cancellati dalla memoria e le vicende che legarono gli Ebrei ad Assiri e Babilonesi ne mantennero vivo il ricordo. Lo splendore della civiltà mesopotamica continuò a vivere anche nella tradizione classica, per la continuata lettura delle Storie di Erodoto se non dei Babyloniakà di Beroso. Ma furono una vita tutta letteraria e una fortuna priva del conforto di esperienze concrete: mancarono quella continuità di conoscenza diretta del dato artistico e architettonico e quella familiarità con il rudere archeologico che in Occidente caratterizzarono il rapporto, sia degli uomini di cultura sia degli illetterati, con la civiltà classica. Mentre a Roma e ad Atene la vita di tutti i giorni si confrontava con la memoria del passato, i resti della civiltà mesopotamica furono riassorbiti dal terreno anche dove ci fu continuità di vita, nascosti all'interno di tell e tepe, che si sapevano collegare alla storia del paese, ma senza disporre di una chiave di lettura e di comprensione. L'Oriente stesso doveva riscoprire le città, l'arte e l'architettura sotto i miti e le leggende cresciute sulla memoria evanescente di fatti storici confusi, benché dai grandi geografi arabi si potessero conoscere, con i nomi, i siti di Nuniya e di Babil. L'Occidente mosse i primi passi verso una conoscenza critica e sul cammino della riscoperta della civiltà mesopotamica con i viaggiatori del Medioevo, partendo dai dati topografici. Ma l'attesa fu lunga e Rabbi Beniamino di Tudela, che nel suo viaggio (1160-73) fu a Babilonia e menzionò i resti del palazzo di Nabucodonosor e della biblica Torre, non ebbe conseguenze immediate. La sua relazione fu pubblicata solo nel 1543, in ebraico, ed ebbe diffusione solo con la traduzione che ne seguì in latino e in altre lingue, quando altri viaggiatori già avevano preso a frequentare con una certa regolarità la Mesopotamia per motivi commerciali, diplomatici o altri. Dal tardo Rinascimento il sito dell'antica Ninive fu indicato di fronte a Mossul da tutti coloro che visitarono questa città e pubblicarono relazioni di viaggio. Fu menzionata Babilonia, ma fu più raramente visitata, discosta com'era dai principali itinerari dell'epoca. Anzi, la relativa confusione che caratterizza le fonti classiche e quelle bibliche su Babilonesi, Assiri e Achemenidi, da un lato, e dall'altro la denominazione di Baghdad come Babilonia, comune fino al Seicento, furono fuorvianti proprio nell'identificazione del monumento più famoso di Babilonia. I resti della Torre di Babele, o di Nembrot, non furono cercati nella città, ma in località separata e variamente identificati: attribuzioni erronee, ma comprensibilmente basate sulle rarissime strutture emergenti dal suolo e vagamente leggibili. I primi viaggiatori ‒ e tra questi i gioiellieri veneziani C. Federici (1564) e G. Balbi (1580), il medico L. Rauwolff di Augsburg (1574), i commercianti inglesi J. Eldred (1583) e R. Fitch (1583) ‒ identificarono la Torre con la ziqqurrat di Aqar Quf, nei pressi della strada diretta Aleppo-Baghdad/Babilonia. Ma già J.-B. Tavernier (1644) non riconosceva alcun fondamento oggettivo all'identificazione. Né ebbe fortuna quella di P. Della Valle con il Tell Babil (1616) che, se oggi sappiamo essere il palazzo d'estate di Nabucodonosor, è almeno nella località corretta. I segni di una grande conflagrazione appoggiavano soprattutto la candidatura, già avanzata da Beniamino di Tudela, di un altro monumento fuori mano: Birs Nimrud, in realtà la ziqqurrat di Borsippa; anche dopo che, con C. Niebuhr (1765), la riscoperta della Mesopotamia entrò nella sua fase critica e la localizzazione della città di Babilonia proposta da P. Della Valle fu definitivamente accettata. Ancora nel 1811 C.J. Rich, che pur conosceva il sito della città, ne dilatava l'estensione fino a Birs Nimrud. I problemi sollevati dal raffronto tra le fonti letterarie e i dati del terreno stentavano a trovare una soluzione. D'altronde risorgeranno dubbi perfino su Ninive, pur da sempre fissata tra Kuyungik e Tell Nebi Yunus, poiché sia Khorsabad sia Nimrud saranno ritenute dai rispettivi scavatori parte di una Ninive di gigantesca estensione. La ricerca archeologica nasce dunque dalle esperienze di viaggio e non da studi a tavolino. Ma, per quanto affascinanti, le visite di viaggiatori di passaggio non potevano rispondere a domande più precise e le speculazioni sul passato restarono nelle mani di religiosi e letterati. Neppure Della Valle, la cui figura si leva ben al di sopra della schiera dei primi visitatori, suscitò ricerche approfondite. Egli non viaggiava per necessità, ma seguendo l'impulso dei propri interessi culturali e si accostò al passato mesopotamico con una profonda formazione umanistica, uno spirito di seria, critica "curiosità" e un atteggiamento ormai scientifico. A Selman Pak nel 1616 per primo collegò a Seleucia e a Ctesifonte quello che gli informatori locali attribuivano a Daniele e a Nabucodonosor; e per primo descrisse Babil con cura, appoggiandone l'identificazione con Babilonia alla continuità del nome e alla collocazione sull'Eufrate. Non solo, saggiò le rovine con il piccone per capirne la natura e osservarne la struttura, realizzando la prima operazione di scavo registrata in Mesopotamia. Mosso da puro desiderio di conoscenza, da passione di antiquario e naturalista insieme, non dalla speranza di trarne oggetti preziosi, supera in certo modo anche i primi grandi scavatori ottocenteschi, presso i quali ebbe un ruolo fondamentale la volontà di recuperare oggetti d'arte da esporre in museo. In luogo di opere d'arte, Della Valle raccolse a Babilonia e a Ur (1624) umili campioni di materiali edilizi: mattoni crudi, bitume e caratteristiche cannucce e mattoni cotti con un bollo di "lettere incognite", che pur non ricollegava ai "caratteri piramidali" copiati a Persepoli nel 1621, dei quali per primo pubblicò in Europa una illustrazione. Con le mummie acquistate in Egitto, portò tutto a Roma; furono queste le prime testimonianze originali del passato mesopotamico fatte conoscere in Europa. Questo spirito, che unisce l'interesse per la storia, per l'arte e per le scienze naturali, è quello stesso che guidò il padre gesuita A. Kircher nell'ordinare le collezioni del suo museo al Collegio Romano, illustrato nel 1678 da un monumentale volume. Le testimonianze raccolte da Della Valle non fecero però scalpore: i viaggiatori erano più attratti dai ben altrimenti godibili resti monumentali di Persepoli e le condizioni politiche non favorivano il progresso dei primi contatti con la remota provincia ottomana. Solo nella seconda metà del Settecento la Mesopotamia tornerà alla ribalta, quando soggiorni prolungati di uomini di cultura accresceranno le possibilità di conoscenza. È un tempo di grande fervore: in ambito classico nasce la ricerca archeologica moderna, segnata dalla pubblicazione nel 1764 della storia dell'arte di J.J. Winckelmann, che dà un corso nuovo allo studio della civiltà greco-romana; mentre in Oriente si fanno copie precise di quelle iscrizioni achemenidi che danno un impulso determinante alla speculazione storica e pongono le basi per le prime esplorazioni sistematiche. Non molto prima che Napoleone inizi quella campagna d'Egitto che darà avvio all'egittologia, J. de Beauchamp, vicario apostolico a Baghdad, rilegge sul terreno i testi sacri e quelli classici. Nel 1784 la collocazione di Babilonia presso Hilla è assodata e vi si apre perfino un piccolo scavo. L'abate raccoglie mattoni con bollo cuneiforme e visita Ctesifonte, da dove sembra provenire il kudurru che, portato a Parigi proprio allora da A. Michaux, eccita la curiosità dell'Europa colta con i suoi segni e le sue figure. L'East India Company non resta indietro: nel 1801 il residente a Bassora invia a Londra mattoni bollati e altre antichità, che saranno in seguito accolte dal British Museum insieme con quelle del residente a Baghdad, C.J. Rich. Sono queste le premesse delle grandi esplorazioni ottocentesche finalizzate alla scoperta dei siti più appariscenti. Nei primi decenni dell'Ottocento gli esploratori sono soprattutto inglesi: l'Inghilterra è vigile in funzione antinapoleonica e decisa a controllare la via per l'India. C.J. Rich e J.S. Buckingham, in particolare, stabiliscono solidi punti di partenza per la conoscenza di Babilonia, Borsippa, Ukhaimir (Kish), Aqar Quf, Nimrud e Ninive, mentre nel 1834-36 J.B. Fraser, J. Ross e ‒ al seguito della spedizione Chesney di navigazione sull'Eufrate ‒ W.F. Ainsworth lasciano le vie più battute per spingersi all'interno di Sumer (1834- 35) e visitare Jokha (Umma), Senkere (Larsa), Warka (Uruk) e Tell el-Muqayyar (Ur). Si giunge presto all'apertura dei primi scavi nei tell più promettenti, svolta indispensabile al progresso delle conoscenze. A lungo il fine sarà il ritrovamento di documenti epigrafici e artistici, mentre tra Francia e Inghilterra sembra quasi sorgere una gara per l'allestimento di grandiose sale assire al Louvre e al British Museum. Le nuove ricerche storiche, filologiche, antiquarie e archeologiche si intrecciano infatti strettamente con le mosse politiche delle grandi potenze alla ricerca di nuovo prestigio e di nuovi modi di espressione di potere. Ai viaggiatori del passato succedono ora consoli e diplomatici, tutti in vario modo guidati da una sentita passione per la conoscenza storica e forti di una concreta posizione politica; le grandi istituzioni culturali interverranno solo più tardi. La ricerca archeologica non è ancora una scienza, ma se ne incominciano a definire i fondamenti, gli ambiti di azione e le tecniche, in particolare nella ricognizione topografica e nello scavo, e si instaura una stretta relazione con la filologia e con gli studi biblici. I primi grandi scavi procedono di pari passo con la decifrazione del cuneiforme assiro ad opera di E. Hincks e H.C. Rawlinson, coronati da successo intorno alla metà del secolo. La lettura delle iscrizioni permette di dare un nome a città e sovrani e di collocare storicamente i reperti. Questo stabilisce subito un rapporto privilegiato con il mondo della Bibbia e gli stessi straordinari rilievi assiri interessano dapprima per il soggetto e come documenti storici, più che come opere d'arte. P.-É. Botta e A.H. Layard furono i fondatori dell'archeologia mesopotamica; Khorsabad (Dur-Sharrukin: 1843-44), Nimrud (Kalkhu:1845-47) e Kuyungik (Ninive:1849-51) i cantieri che ne videro la nascita. Principi, metodi e tecniche, tutto doveva essere inventato per riportare alla luce le strutture in crudo dei palazzi assiri. Simili furono gli intenti e il successo, ma diverso il carattere delle due operazioni. Meno fortemente influenzati dall'affanno della scoperta dei grandi rilievi, gli scavi di Botta, i primi in assoluto, rivelano un atteggiamento sorprendentemente moderno nella preoccupazione per la precisione del rilievo e per la completezza e la sistematicità della documentazione. Obiettivi strettamente scientifici contrappongono la pubblicazione dell'uno alle relazioni dell'altro, stese nel genere tradizionale delle avventure ed esperienze di viaggio. Ma la strategia di Layard, uomo di grande intuito e di acuti giudizi, ebbe effetti più incisivi e duraturi, grazie all'attività di collaboratori quali H. Rassam. Nella seconda metà dell'Ottocento V. Place, H. Rassam e G. Smith arricchirono le testimonianze assire ad Assur e Balawat, oltre che nelle località note; e si iniziò l'esplorazione del Sud, che pur non sembrò a tutta prima corrispondere alle aspettative. Le ricerche intraprese a Babilonia nel 1852 da F. Fresnel e J. Oppert furono interrotte nello stesso anno; gli scavi di W.K. Loftus a Uruk e Larsa (1854) produssero sì tavolette, ma soprattutto corredi di tombe partiche; i documenti raccolti a Ur ed Eridu da J.E. Taylor (1854-55) non furono giudicati eccezionali. A confermare il potenziale della regione furono gli scavi di Abu Habba (Sippar), Tello (Girsu) e Nuffar (Nippur). Il bottino di tavolette trovate da Rassam, allora attivo anche a Babilonia e a Borsippa, nel tempio di Shamash di Sippar (1879-82) fu ingente. Tello rivelò una fase della civiltà mesopotamica più antica di quella assira: E. de Sarzec vi fece i primi grandi scavi del Sud (1877-1900) ‒ ripresi poi da G. Cros (1903-1909), H. de Genouillac e A. Parrot (1929-33) ‒ e con un gran numero di tavolette portò alla luce i capolavori della scultura sumerica. La storia della Mesopotamia fu allora proiettata indietro fino al III millennio a.C., mentre a Nippur la missione americana (1889-1900), spingendo al terreno vergine i sondaggi, confermava la complessità della storia della regione. Ma obiettivo principale degli scavi rimanevano i reperti, in particolare tavolette, qui come a Bismaya (Adab) (E.J. Banks, 1903-1904) e a Kish (Ukhaimir) (H. de Genouillac, 1912-14). Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento la fortuna delle scoperte aveva enormemente accresciuto le conoscenze sulle fasi della civiltà mesopotamica, ma la metodologia e la tecnica di scavo non avevano fatto sensibili progressi su quella dei pionieri. Le indagini, tuttora condizionate dal desiderio di trovare documenti scritti o opere d'arte, trascuravano il contesto generale di scavo per privilegiare semmai il rapporto con la Bibbia e nelle tecniche documentarie seguivano pratiche empiriche. R. Koldewey pose fine a questo stato di cose e a Babilonia (1899-1917) aprì una nuova era, quella dell'archeologia come scienza. Da allora le operazioni non sarebbero state più nelle mani di diplomatici e amatori appassionati, ma in quelle di tecnici preparati e scienziati professionisti. R. Koldewey era architetto e già aveva alle spalle esperienze professionali importanti nel Mediterraneo e in Oriente. I nuovi scavi, sostenuti dai mezzi e dall'apparato organizzativo senza precedenti della Deutsche Orient-Gesellschaft, segnarono l'ingresso trionfale della Germania nel campo e formarono una vera e propria scuola, che diede un'impronta inconfondibile alla ricerca tedesca nel settore e produsse una lunga serie di nomi illustri di architetti-archeologi. Koldewey per primo introdusse principi e metodi nella ricerca, definì tecniche di scavo e di documentazione. Le strutture architettoniche, i muri, la loro struttura, i loro rapporti diventarono l'elemento guida nello scavo, che fu essenzialmente uno scavo in estensione, poiché una falda d'acqua impedì di investigare i livelli più profondi. Alle strutture minuziosamente descritte, misurate, rilevate con grande precisione e studiate nelle loro vicissitudini, venne riferito tutto il resto al fine di ricostruire la storia del sito. L'attenzione per le relazioni strutturali fu trasferita dal singolo cantiere all'intera località e per la prima volta fu permesso disegnare il profilo di un'intera città e tracciarne il carattere in un determinato periodo. Quanto non fu possibile a Koldewey in Babilonia, lo fu a W. Andrae ad Assur (1903-14), dove i principi dello scavo babilonese furono adattati alla diversa situazione e fu effettuato il primo scavo rigorosamente stratigrafico. Andrae stabilì le regole fondamentali della tecnica operativa e, superando brillantemente le difficoltà poste da una complessità tutta nuova della situazione archeologica, mise a punto un'interpretazione storica dei dati che ancora oggi costituisce un cardine delle nostre conoscenze sull'Assiria. Grazie all'abilità tecnica, al rigore metodologico e alle grandi capacità di analisi e di sintesi nell'interpretazione dei dati ottenuti, Andrae poté ricostruire, per la prima volta, le tappe fondamentali della storia di una metropoli e illustrarle con una serie di efficaci ricostruzioni grafiche. Alla sospensione della grande guerra seguì un notevole sviluppo degli scavi e degli studi connessi. Non vi furono novità metodologiche sostanziali, al di là della messa a punto da parte di M.E.L. Mallowan dei primi metodi e tecniche di ricognizione di superficie sul territorio per l'acquisizione di dati prima o indipendentemente dallo scavo (valli del Khabur e del Balikh, 1934-37). L'accertamento della stratigrafia e la cura della documentazione ai fini della ricostruzione storica furono tra le principali preoccupazioni delle missioni. Fu un periodo di accrescimento decisivo delle conoscenze e di sistemazione dei dati e permise di definire meglio gli obiettivi e i programmi delle singole imprese. I risultati furono eccellenti, nuove fasi della civiltà mesopotamica furono riconosciute e di quelle note si illustrarono con maggior precisione le tappe di sviluppo. Riprese la ricerca nei grandi centri assiri: a Ninive (R.C. Thompson, 1927-32), Khorsabad (G. Loud, 1929-35), Gerwan (Th. Jacobsen, S. Lloyd) e nelle capitali provinciali di Arslan Tash (F. Thureau-Dangin, 1928) e Tel Ahmar (Til Barsip) (M. Dunand, 1929-31). Ma centro delle ricerche fu il Sud, dove l'evento principale fu la scoperta delle più antiche fasi della civiltà mesopotamica. Nel 1918-19 R.C. Thompson e H.R. Hall scavano ad Abu Shahrein (Eridu); nel 1926-33 una missione anglo-americana porta alla luce le grandi architetture palaziali protodinastiche di Kish, tracciando le principali linee dello sviluppo del periodo, e a Gemdet Nasr (1925-28) rivela i primi complessi dati sulla protostoria. L'interesse per le origini porta per la prima volta alla luce testimonianze apprezzabili delle culture preistoriche a Tell Halaf (M. Oppenheim, 1911-14, 1927-29), Samarra (E. Herzfeld, 1912-14), Tell al-Ubaid (H.R. Hall e Ch.L. Woolley, 1919, 1923-24), Tell Arpaciya (M.E.L. Mallowan, 1933), Tell Billa e Tepe Gaura (E. Speiser, 1930-38). Ma per la conoscenza dei Sumeri sono determinanti gli scavi che Ch.L. Woolley condusse a Ur dal 1922 al 1934. Tutta la città fu sottoposta a ricerche accurate, che ne rivelarono lo sviluppo dalla preistoria agli Achemenidi, mediante lo scavo completo di specifici edifici e l'effettuazione di enormi, profondi saggi stratigrafici. I meriti scientifici dell'indagine furono addirittura oscurati dalla sensazione prodotta dalla scoperta delle tombe reali, che da sole gettarono una luce del tutto nuova sulla qualità dell'arte e dell'artigianato, sulle concezioni religiose e sull'ideologia regale del periodo protodinastico. Altrettanto fondamentali furono gli scavi tedeschi a Uruk, iniziati nel 1912-13 da J. Jordan, ripresi nel 1928 e continuati anche nel dopoguerra con i metodi eccellenti della tecnica di scavo propria della scuola tedesca. In nessun'altra località è possibile seguire con tanta evidenza la nascita e i primi sviluppi della civiltà sumerica tra la seconda metà del IV e la prima del III millennio a.C. La maturità progettuale dell'architettura monumentale protostorica, la fantasia delle forme decorative e le straordinarie sperimentazioni della tecnica edilizia furono scoperte non meno sensazionali dei corredi di Ur. La creazione delle norme che regolano l'arte mesopotamica anche nei successivi sviluppi e i primi documenti della scrittura allargarono enormemente gli orizzonti della civiltà mesopotamica. E all'estremo cronologico opposto, la sua vitalità risplende tuttora nelle ricostruzioni seleucidi dei grandi santuari cittadini. Di pari efficacia fu l'attività dell'Oriental Institute dell'Università di Chicago sotto la guida di H. Frankfort nei siti maggiori della regione del fiume Diyala (1930-36), terminati di indagare nel 1937-38 dall'University Museum e dall'American School of Oriental Research. Grazie alla ricchezza dei reperti rinvenuti in strato a Khafagia, Tell Asmar (Eshnunna), Tell Agrab e Ishchali, la successione stratigrafica qui riconosciuta ha potuto trovare conferme tanto ampie e sicure da poter essere estesa al resto della Mesopotamia. La periodizzazione definita sulla base di questa stratigrafia e la relativa terminologia sono ancora oggi di universale impiego per il III millennio a.C. Gli scavi di A. Parrot a Mari, sul medio corso dell'Eufrate (1933-39, ripresi dopo la guerra), completano le conoscenze della cultura sumerica, delle sue caratteristiche architettoniche e artistiche, della sua estensione, dei suoi rapporti con la Siria. Ma l'ultima grande fioritura della città tra la fine del III e i primi secoli del II millennio a.C. porta in primo piano anche altri problemi e rivela la grandezza delle manifestazioni e l'ampiezza degli orizzonti culturali dell'età paleobabilonese, tuttora ignota nella rivale Babilonia. Se le ricerche si erano fissate sull'età sumerica, appare in luce sempre più chiara la grandezza di altri periodi, meno conosciuti. L'edificio di Naram-Sin a Tell Brak (M.E.L. Mallowan, 1937-39) è ancora oggi l'unico impianto noto fondato da un re di quella dinastia accadica, la cui capitale resta ancora da trovare; mentre nel Nord scavi americani a Nuzi (1925-31) hanno rivelato il significato della cultura dell'impero mitannico. In questo periodo iniziano anche ricerche sulla storia più recente della Mesopotamia, successiva alla fioritura babilonese e assira, sulle fasi dominate dai rapporti con la civiltà classica da un lato e con la classe dominante iranica dall'altro. La continuità della vita in molti dei grandi centri aveva portato alla luce documenti dei periodi seleucide, partico e sasanide fin dall'inizio delle esplorazioni. Ma gli obiettivi erano allora altri ed è ora che si riconosce, oltre all'interesse storico, la grandezza intrinseca delle manifestazioni culturali di questi periodi. Una missione americana è attiva a Seleucia (Michigan University, 1927-37), dove gli scavi sono stati ripresi dalla missione di Torino nel dopoguerra; una tedesca a Ctesifonte (1928- 32) e soprattutto una franco-americana, animata da F. Cumont e da M. Rostovtzeff, nel centro straordinariamente ben conservato di Dura-Europos sul medio Eufrate (1922-23, 1928- 37); mentre la Samarra dei califfi era già stata investigata nel 1912-14 da F. Sarre e E. Herzfeld. Neppure la seconda guerra mondiale interrompe il fervore delle ricerche, anzi si sviluppa ora l'attività indipendente del Dipartimento delle Antichità dell'Iraq, creato da G. Bell dopo che l'Iraq era divenuto mandato britannico. Esso acquista piena maturità con gli scavi a Tell Uqair (1940-41) e nella capitale cassita di Dur Kurigalzu (Aqar Quf ) (1945). Nel dopoguerra sarà attivo in centri quali Eridu, Hatra, Babilonia, fino ad assumere in anni recenti l'iniziativa di lanciare grandi, impegnativi programmi di cooperazione internazionale per il salvataggio archeologico di vaste aree in occasione della costruzione di dighe sul Diyala, sul Tigri e sull'Eufrate. L'attività archeologica dell'ultimo dopoguerra non è ancora storia, ma vita contemporanea. Lo scavo riprende in molte delle località più importanti della Mesopotamia, sede delle grandi ricerche del passato, da Uruk a Nippur, da Larsa a Nimrud, da Hatra a Seleucia. Muta però la fisionomia delle missioni, grandi non più per numero di operai ed estensione delle aree scavate, ma nella diversificazione delle competenze dei loro membri, nella loro finalizzazione a obiettivi specialistici, nell'approfondimento delle problematiche di ricerca, nel raffinamento di tecniche e metodi di indagine. Tra le novità fondamentali sarà doveroso ricordare almeno l'estensione della ricerca ai dati bioarcheologici come contributo fondamentale alla valutazione storica; l'interesse per la ricostruzione delle caratteristiche dell'ambiente in cui si è sviluppata la civiltà mesopotamica; l'introduzione di modelli teorici nell'analisi interpretativa; il ricorso a metodi di prospezione sul terreno con salde basi teoriche; lo sviluppo di tecniche di raccolta e di elaborazione della documentazione mutuati dalle scienze fisiche e matematiche; lo sviluppo di sistemi di ricognizione in superficie in sostituzione o a integrazione di attività di scavo.
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