L'archeologia del Vicino Oriente: Penisola Arabica
Il rinnovamento intellettuale dell'Europa del XV secolo, con la passione per le ricerche geografiche e l'interesse per le antichità classiche, portò alle prime esplorazioni anche nella Penisola Arabica, dove, in più, la voglia di conoscere era aumentata dalla fama dell'antica Arabia Felix e dalla presenza dei luoghi santi dell'Oriente musulmano, imperscrutabile simbolo del mondo allora più ostile all'Europa. Un italiano, nato forse a Bologna, Lodovico de Varthema, fu il primo viaggiatore che, partito dall'Italia pochi anni dopo che Vasco de Gama aveva aperto la via delle Indie doppiando in Africa il Capo di Buona Speranza, poté raggiungere la Mecca e lo Yemen (1503). Visitò anche l'Egitto, la Siria, la Persia, l'India e l'Etiopia e il suo Itinerario, pubblicato nel 1511, ebbe grande successo e fu utilizzato dai geografi e dai cartografi per almeno due secoli. Dopo essere riuscito a visitare la tomba di Maometto a Medina e la Kaaba, il Santo dei Santi, nel tempio della Mecca, egli giunse con una nave partita da Gedda nel porto di Aden. Da qui poté visitare le più importanti città dello Yemen, prima Lahiǵ, poi Yarim e Sanaa, con le sue poderose mura di terra, quindi Taizz, Zabid e Dhamar, lasciandoci racconti di viaggio precisi e diligenti. Anche i pochi casi personali, che pure aiutano a comprendere la mentalità e i costumi del paese visitato, sono sempre narrati in funzione della riuscita del suo scopo principale: quello di descrivere in maniera semplice e immediata quanto visse e vide durante i suoi viaggi. Nel XVI secolo i Portoghesi ebbero la supremazia navale assoluta sui mari costieri d'Arabia. Gli accenni all'interno sono tuttavia rari e quel poco che resta di scritto riguarda per lo più la zona costiera del Mar Rosso, come i Commentari di Alfonso di Albuquerque, il Roteiro del navigatore e matematico Joâo de Castro, o i Viaggi di un anonimo marinaio veneziano imbarcato su una nave turca al tempo di una spedizione militare nello Yemen. Unica e importante testimonianza archeologica è quella del missionario P. Paez che, preso prigioniero dagli Arabi davanti alle Isole Kuria Muria e trascinato attraverso il deserto sino ad un luogo chiamato Melchis, vide "le rovine importanti di molti edifici e molte pietre con lettere antiche, che i nativi non sapevano leggere". Si trattava di Marib, la capitale di Saba, e le rovine erano quelle del grande tempio Awwam, che gli Yemeniti chiamano oggi Mahram Bilqis, ossia Santuario di Bilqis, nome arabo della regina di Saba. Sanaa, come sede del pascià turco, fu dall'inizio del XVII secolo meta ripetuta di visite di altri Europei: comandanti di navi o flotte commerciali olandesi e inglesi, che venivano da Aden o da al-Mukha per avere dal pascià il permesso di impiantare empori sulla costa od ottenere diritti di dogana meno pesanti. Le accoglienze furono calorose, spesso fastose, da parte sia dei governatori locali, sia del sovrano di Sanaa. Agenti come J. Jourdain, H. Middleton e P. van den Broecke hanno descritto le esperienze passate ad al-Mukha in attesa della risposta del pascià, le avventure trascorse durante il viaggio attraverso Zabid, Taizz, Ibb e Dhamar e le impressioni del soggiorno nella bella capitale. Nel XVIII secolo la scoperta in Occidente del caffè continuò a sollecitare l'interesse per l'Arabia meridionale. Vennero organizzate apposite spedizioni per l'approvvigionamento diretto della preziosa bacca yemenita ed è interessante vedere come alcuni agenti (ad es. il maggiore de la Grelaudière, che, nel racconto pubblicato nel celebre Voyage de l'Arabie Heureuse [Paris 1716] di J. de La Roque, negli anni tra il 1708 e il 1713 arrivò dal porto di al-Mukha a Sanaa) descrivevano lo Yemen ‒ tornato, dopo la cacciata dei Turchi ottomani, in mano ai sovrani arabi ‒ "freddo e austero". Ma la vera ricerca scientifica in Arabia inizia nel 1761 con la famosa spedizione di C. Niebuhr. Promossa dal re Federico V di Danimarca, su idea del semitista J.D. Michaelis dell'Università di Gottinga, la missione aveva come scopo la raccolta di ogni dato geografico, naturalistico, storico, filologico e archeologico presente in Yemen e in Oman. Dei sei specialisti che componevano la missione soltanto Niebuhr sopravvisse, tutti gli altri morirono di malattia. La visita nello Yemen consentì un'accurata esplorazione della Tihama (al-Mukha, Zabid, Bait al-Faqih) e dell'altopiano (Sanaa, Taizz) e le informazioni che Niebuhr ci dà nel suo Beschreibung von Arabien sono davvero lucide e approfondite. Nonostante il tempo limitato, le visite di luoghi già noti e la cattiva sorte, la spedizione danese poté consegnare all'Europa un ampliamento straordinario di conoscenze. Il volume di Niebuhr fu pubblicato nel 1772 ed ebbe grande successo, soprattutto perché offrì all'Occidente un quadro completo, fedele e nuovo degli Arabi. Nel 1810, sulla scia di Niebuhr, il tedesco U.J. Seetzen ebbe modo di visitare Zafar, antica capitale del regno di Himyar, dove rinvenne e copiò alcune iscrizioni. La sua morte, avvenuta a Taizz un anno dopo, gli impedì purtroppo di redigere un resoconto completo delle sue esplorazioni, ma le lettere da lui scritte in patria permisero all'Europa di conoscere per la prima volta documenti d'epoca preislamica: Seetzen può essere per questo considerato il pioniere dell'epigrafia sudarabica. Dopo il rinvenimento nel 1834 di altre epigrafi nella costa araba ad est di Aden ad opera di alcuni ufficiali del Palinurus, una nave inglese della Compagnia delle Indie Orientali, e la scoperta che essi fecero di Qana, il famoso emporio dove arrivavano per mare dal Dhofar le barche cariche d'incenso e da dove gli aromi partivano per prendere la via delle grandi carovaniere, si arriva alle prime ampie raccolte di iscrizioni dei francesi Th. Arnaud e J. Halévy e dell'austriaco E. Glaser. I tre coraggiosi filologi riuscirono per la prima volta a penetrare negli ostili territori che una volta furono la culla dei regni dei Sabei (Arnaud nel 1843), dei Minei (Halévy nel 1869) e degli Himyariti (Glaser tra il 1882 e il 1894). Il bottino di iscrizioni che essi riportarono fu enorme e fornì il materiale col quale l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres di Parigi pubblicò, a partire dal 1881, un corpus (Corpus Inscriptionum Semiticarum) e, dal 1905, un repertorio (Répertoire d'Épigraphie Sémitique) di tutte le epigrafi rinvenute. Ai testi sudarabici si aggiunsero in quel periodo anche i documenti ritrovati in Arabia settentrionale, come quelli riportati dal grande esploratore inglese Ch. Doughty (1886) e dalla spedizione francese di A. Jaussen e R. Savignac (1907-10), che per la prima volta riuscirono a studiare la zona archeologica di al-Ula (Dedan) e di Madain Salih (Hiǵr). In quest'area nord-occidentale della penisola già Seetzen, prima di approdare in Yemen, aveva invano tentato di compiere ricerche, ma fu lo svizzero J.L. Burckhardt che, tra il 1809 e il 1814, portò a termine con successo alcune esplorazioni in Idumea (scoprendo nel 1809 Petra, capitale dei Nabatei) e nella regione di Medina (1814). Egli fu il primo a capire il carattere dei beduini, spiegando e giustificando in Occidente il loro comportamento, e il suo approccio sarà la chiave che consentirà ad altri viaggiatori di accedere nel mondo difficile e diffidente del Higiaz (M. Tamisier, che nel 1832 giunse sino ad Abha) e dell'Arabia Deserta governata dai sovrani wahhabiti (G.F. Sadlier, che nel 1819 traversò l'Arabia centrale dal Golfo Persico al Mar Rosso; G.A. Wallin, che nel 1845 e nel 1848 visitò Tabuk e Taima; C. Guarmani, che nel 1864 passando per Khaibar arrivò sino al Qassim; W.G. Palgrave, che nel 1862, partito da Maan, fu il primo a vedere Riad e ad arrivare in Oman; L. Pelly, che nel 1871 esplorò la regione compresa tra il Kuwait e Riad). Con l'inizio del XX secolo la conoscenza dell'Arabia, dal punto di vista geografico ed etnologico, ma anche da quello della topografia storica, era enormemente aumentata. I testi riportati dagli esploratori furono oggetto di studio assiduo e sistematico e cominciò a nascere il desiderio di verificare direttamente sul posto le varie ipotesi di ricostruzione storica, soprattutto in Arabia meridionale, che, come si poteva comprendere dalle iscrizioni, vide fiorire in età preislamica le uniche culture statali di tutta la penisola. Nello Yemen, tuttavia, la mentalità chiusa dei sovrani zaiditi non rese facile l'avvio di ricerche archeologiche e soltanto nel 1928 si poté portare a termine un primo breve scavo: quello eseguito in un tempio sabeo tardo a Huqqa, presso Sanaa, dai geologi tedeschi C. Rathjens e H. von Wissmann. Si dovette attendere però il 1938 per avere un vero e proprio scavo specialistico: il merito fu dell'archeologa inglese G. Caton Thompson, che a Huraida (Hadramaut) mise in luce un importante tempio e alcune tombe databili al VI sec. a.C. Lo Yemen del Sud, sotto protettorato inglese, rendeva allora più facili le iniziative e nel 1950 l'americano W. Phillips poté iniziare scavi estensivi nel Wadi Baihan: nella città e nella necropoli di Timna (la capitale del regno di Qataban) e nel sito di Hagiar Bin Humaid, dove si poterono ottenere le prime stratigrafie datate. Nel 1952 la stessa missione iniziò uno scavo a Marib, scoprendo tutto il peristilio d'entrata del grande tempio ovale di Awwam. Gravi controversie sorte tra l'équipe di Phillips e l'imam Ahmad bloccarono però bruscamente i lavori e, anche a causa della guerra civile (1962-70), si dovette attendere l'inizio degli anni Ottanta perché altre ricerche potessero ricominciare nello Yemen del Nord. Nel frattempo, alcune significative esplorazioni completavano il già ricco quadro dei giacimenti archeologici sudarabici. L'inglese H.St.J. Philby, dopo i suoi numerosi e celebri viaggi in Arabia Saudita, compì nel 1936 una spedizione in Yemen, dove scoprì i siti sabei del Wadi Raghwan e, soprattutto, Shabwa, capitale del regno di Hadramaut. L'egiziano A. Fakhri descrisse nel 1947 Marib, con i suoi templi e la grande diga, Sirwa, seconda capitale di Saba, e numerose antiche città del Giauf, tra cui Qarnau, capitale del regno di Main. Il belga G. Ryckmans poté verificare nel 1952 l'estensione verso nord della civiltà sudarabica, scoprendo alcune importanti iscrizioni himyarite nella regione dell'Asir, visitando Naǵran e scoprendo Qaryat al-Fau, capitale del regno di Kinda. Negli anni Ottanta, quindi, è cominciata nello Yemen, anche se con grande ritardo rispetto agli altri Paesi del Vicino Oriente, una vera e propria ricerca archeologica sistematica. In quel decennio si sono aperti almeno quindici scavi nuovi (contro i sei condotti nei decenni precedenti) e si sono inaugurate le attività di missioni archeologiche regolari che, scavando in parallelo, hanno messo a disposizione degli studiosi dati nuovi e sempre più consistenti. Possiamo elencare, così, gli scavi francesi di Shabwa (1976-81) e del tempio di Athtar, presso as-Sauda nel Giauf (1988), quelli americani di Hagiar at-Tamrah e di Hagiar ar-Raihani nella regione di al-Giubah a sud di Marib (1983-84), quelli sovietici di Raibun e di Qana in Hadramaut (dal 1983), quelli tedeschi dei templi di Waddum dhu-Masmaim e di Baran presso Marib (dal 1988) e infine quelli italiani dei siti preistorici del Khaulan at-Tiyal, della Tihama e del Ramlat Sabatain, dei siti protostorici nella regione di al-Arush (dove si è scoperta l'età del Bronzo yemenita, 1983-85), delle necropoli di Waraqah (1985-86) e di al-Makhdarah (1986-87), della città sabea arcaica di Yala (1987) e del tempio mineo di Nakrah a Baraqish (1989-90, 1992).
R.H. Kiernan, L'exploration de l'Arabie, depuis les temps anciens jusqu'à nos jours, Paris 1938; J. Pirenne, À la découverte de l'Arabie. Cinq siècles de science et d'aventure, Paris 1958; R. Bidwell, Travellers in Arabia, London 1976; L. Freeth - H.V.F. Winstone, Explorers of Arabia from the Renaissance to the End of the Victorian Era, New York 1978; A. de Maigret, Arabia Felix. Un viaggio nell'archeologia dello Yemen, Milano 1996.