L'archeologia dell'Asia Centrale. Le steppe euroasiatiche: le civilta dei nomadi
di Ciro Lo Muzio
Soprattutto nell'antichità, il nomadismo pastorale è stata l'unica forma possibile di adattamento dell'uomo a condizioni ambientali e climatiche ingrate, quali quelle che caratterizzano l'estesissima fascia di territorio compresa tra l'Europa orientale e la Mongolia: steppe, semideserti e altipiani aridi. È un'attività estremamente specializzata e la sua efficacia esige il rispetto di norme precise che regolino la traiettoria dei trasferimenti degli armenti (e degli uomini) da un pascolo all'altro e la durata del soggiorno nell'area prescelta, che, se eccessiva, danneggerebbe in modo irreversibile il tappeto erboso. È facile comprendere come il rendimento ottimale di questo sistema produttivo richieda la massima dispersione dei gruppi di allevatori e, di conseguenza, ponga un freno ‒ proprio in virtù di questa segmentazione naturale ‒ alla concentrazione del bestiame, quindi della ricchezza. Ne consegue che l'organizzazione sociale e politica dei nomadi poggia su basi completamente diverse da quelle delle culture stanziali.
Il nomadismo è un fenomeno sui generis anche sul piano archeologico. Nella sua forma più genuina non conosce forme insediative permanenti e le sue testimonianze materiali sono costituite quasi esclusivamente dai kurgan, i tumuli funerari di pietre o terra che, dalla Pannonia alla Mongolia, punteggiano le steppe dell'Eurasia. Fulcro territoriale e simbolico delle antiche comunità nomadiche e generalmente situate in prossimità di fiumi, su pendii montani o su altipiani, le necropoli a kurgan rappresentano per noi la fonte primaria per la conoscenza di questo fenomeno culturale. È evidente, tuttavia, che l'interpretazione dei dati archeologici pone problemi di carattere metodologico, in quanto l'applicazione dei criteri propri dell'archeologia delle civiltà stanziali può produrre risultati fuorvianti. La fluidità territoriale delle comunità nomadiche non permette di fissare, se non con grande approssimazione, i contorni geografici delle singole culture; non è raro, infatti, incontrare tipi di sepolture e di corredi funerari diversi all'interno della medesima necropoli, che evidentemente era utilizzata da gruppi di diversa origine.
Simbolico atto di nascita dell'archeologia delle steppe eurasiatiche è la decisione dello zar Pietro I (1672-1725) di porre sotto tutela i monumenti da cui si diceva provenissero gli splendidi oggetti d'oro lavorati nel cosiddetto "stile animalistico". Di questi la sua consorte Caterina aveva ricevuto in dono una significativa campionatura, poi confluita, insieme con gli altri preziosi oggetti che lo zar riuscì a raccogliere, in quella che è conosciuta come la "collezione siberiana di Pietro il Grande", uno dei vanti del Museo dell'Ermitage, a San Pietroburgo. Da allora non sono mai cessate le instancabili attività degli scavatori clandestini ed esploratori amatoriali, ma la ricerca archeologica ha assunto carattere sistematico e maggiore credibilità scientifica durante il XX secolo e ha rappresentato uno dei più importanti banchi di prova dell'archeologia sovietica. Attualmente la ricerca sul campo prosegue a cura delle istituzioni della Russia, dell'Ucraina e delle repubbliche indipendenti dell'Asia Centrale (in particolare Kazakhstan e Kirghizistan). Al di fuori della sfera territoriale ex sovietica, rientrano nell'areale delle antiche culture nomadiche anche la Mongolia, in parte il Xinjiang Uyghur (Cina) e, all'estremità opposta, il bacino del Danubio.
Uno dei temi maggiormente dibattuti tra gli studiosi del settore è quello della genesi e della data di nascita del nomadismo eurasiatico. Gran parte di essi è ora propensa a collocarne l'avvento intorno agli inizi del I millennio a.C. Non fu una transizione netta, ma la maturazione di un processo già in corso nell'età del Bronzo (II millennio a.C.), rappresentata nelle steppe eurasiatiche da due culture relativamente affini e caratterizzate da una forte componente pastorale: Srubnaja (a ovest) e Andronovo (a est). Entrambe le culture testimoniano un impiego sempre più diffuso del carro da trasporto e una crescente abilità nell'utilizzo del cavallo montato. Cambiamenti climatici e la crescente diffusione del ferro furono gli elementi catalizzanti del definitivo passaggio di ingenti masse di allevatori transumanti al nomadismo.
Gli specialisti sembrano aver abbandonato la ricerca di un unico centro di irradiazione di questo vasto fenomeno culturale, a favore dell'ipotesi di uno sviluppo policentrico, sebbene la scoperta di Aržan, avvenuta negli anni Settanta del Novecento, suggerisca di localizzarne il baricentro evolutivo nel settore asiatico delle steppe. La datazione di Aržan (IX-VIII sec. a.C.) avvalora, inoltre, la tesi della provenienza asiatica degli Sciti, che Erodoto fu il primo a sostenere; le più antiche testimonianze archeologiche della loro presenza sono fornite dai kurgan del Caucaso settentrionale (Kelermes, Mel´gunovskij, Ul´skij), datati al VII-VI sec. a.C.
L'identificazione dei Saka (gli "Sciti asiatici" di Erodoto) sul piano archeologico rimane una questione aperta. L'etnonimo sakā compare per la prima volta nell'iscrizione del re achemenide Dario I (521-485) a Bisutun; successivamente ricorre in altre iscrizioni accompagnato da epiteti diversi: sakā tigrakhaudā ("dal cappello a punta"), haumavargā (forse "adoratori del haoma/soma") o ancora sakā tayai paradraya ("situati al di là del fiume", probabilmente il Sir Darya) e sakā tayai para Sugudam ("situati al di là della Sogdiana"). Diversi studiosi hanno tentato di collocare queste diverse etnie, se come tali le si deve intendere, nella vasta carta archeologica delle steppe asiatiche, trovando sostegno, di volta in volta, nell'analisi delle tipologie sepolcrali, dei corredi (in particolare delle armi) e di altri elementi della cultura materiale; di fatto ogni tentativo di assegnare un etnonimo a una cultura archeologica, quindi di far quadrare le testimonianze materiali con i dati davvero troppo scarni delle fonti scritte, lascia inevitabilmente ampio margine al giudizio personale.
Per concludere questa breve nota introduttiva, ricordiamo che la stessa valutazione globale della civiltà delle steppe è stata a lungo una delle questioni cruciali. Secondo diversi studiosi, tra i primi M. Rostovcev, le culture nomadiche dell'intero territorio eurasiatico sarebbero state unificate da una sostanziale omogeneità che avrebbe la sua prova emblematica nell'amplissima diffusione della "triade scitica", ossia delle tre categorie di manufatti che solitamente troviamo associate tra loro nelle sepolture nomadiche: armi, bardature di cavalli e manufatti lavorati in stile animalistico. A questi tre vi è chi ha ritenuto opportuno aggiungere altri due tipi di reperti ‒ gli specchi di bronzo con impugnatura sul retro e i diffusissimi calderoni emisferici con manici semicircolari sul bordo ‒ postulando, dunque, una "pentade scitica" (N.L. Členova). In effetti questi materiali sono attestati da un capo all'altro dell'Eurasia già nei primi secoli del I millennio a.C. e le affinità formali che li accomunano sono innegabili. Si tratta, tuttavia, di oggetti appartenenti alla sfera dell'ideologia e del rituale e l'omogeneità che essi denunciano attiene essenzialmente ai livelli elitari delle società nomadiche, non certo all'intero complesso della cultura materiale, che invece mostra ‒ com'è ovvio, considerata la vastità del territorio in questione ‒ un panorama molto diversificato, influenzato dalle culture di sostrato (età del Bronzo), dalle diverse condizioni ambientali e dall'azione di fattori esterni, in primo luogo i rapporti con le culture stanziali.
di Ciro Lo Muzio
Il bacino dello Enisej ‒ in particolare il suo medio corso, corrispondente alla conca di Minusinsk ‒ fu uno dei poli culturali più fecondi delle steppe eurasiatiche. La storia di questa parte della Siberia tra il VII sec. a.C. e il V sec. d.C. è oggetto di indagine scientifica sin dagli anni Venti del XX secolo. L'intensificarsi delle ricerche nel corso degli ultimi decenni ha inoltre prodotto una ragguardevole quantità di nuovi materiali, stimolando una revisione delle tesi proposte nella prima metà del Novecento in merito alla cronologia, alla genesi e alla suddivisione interna delle culture del medio Enisej. Benché su alcune questioni, non sempre marginali, le opinioni degli studiosi siano contrastanti, la sequenza culturale della conca di Minusinsk è, nelle sue linee generali, unanimemente accettata.
L'età del Ferro è rappresentata dalla cultura di Tagar, la cui lunghissima durata (VII-II sec. a.C.) viene generalmente suddivisa in tre fasi: VII - inizi del V sec. a.C.; V-III sec. a.C.; II-I sec. a.C. Di origine autoctona, come pensavano S.V. Kiselev e M.P. Grjaznov, o risultato della fusione di componenti culturali diverse, come sostiene N.L. členova, di fatto la cultura di Tagar presenta in tutto il suo territorio (parte meridionale della regione di Krasnojarsk e conca di Minusinsk), per lo meno fino al III sec. a.C., marcate caratteristiche di omogeneità, anche sul piano etnico. Gli insediamenti sono in genere di pianta circolare (diam. massimo 200 m; ad es., Ust´ Erba) e le abitazioni sono seminterrate. In generale, la cultura materiale di questi siti rivela un quadro piuttosto modesto. Accanto a queste testimonianze di una facies stanziale e agricola ‒ componente che nella storia di Minusinsk non venne mai meno ‒ le necropoli a kurgan saldano questa regione al contesto delle pratiche sepolcrali e dell'ideologia dei nomadi, che qui evidentemente rappresentavano l'élite dominante. Le necropoli del VII-VI secolo, in genere ubicate su terrazzi fluviali, comprendevano da 10 a 20 kurgan, che grandi pietre infisse verticalmente nel terreno rendevano visibili a distanza. A partire dal V secolo diminuisce il numero dei tumuli ma si accrescono le loro dimensioni. Sono racchiusi da recinti rettangolari realizzati con filari di lastre di pietra, più numerose che nell'epoca precedente e di dimensioni maggiori agli angoli e al centro di ogni lato. I kurgan ricoprivano da una a tre sepolture ciascuno; nelle tombe più modeste erano invece comuni le inumazioni collettive (da 10 fino a 100 defunti). I 14 tumuli della necropoli di Salbyk sono annoverati tra i "kurgan regali"; uno di essi ‒ il Grande Kurgan ‒ è particolarmente imponente. Alto 25-30 m, di forma piramidale, era racchiuso da un recinto quadrato (70 m di lato) con gigantesche lastre di pietra (23 in tutto) del peso di diverse tonnellate agli angoli e lungo i lati, al di sotto delle quali sono stati rinvenuti scheletri di vittime sacrificali (adulti e infanti). La camera funeraria, in tronchi di legno, conteneva sette salme.
Tra gli aspetti meglio indagati di questa cultura è la metallurgia. Il medio Enisej è straordinariamente ricco di miniere di rame e vi sono stati individuati e studiati miniere, fonderie di rame e interi complessi per la lavorazione di questo metallo. Quelli che convenzionalmente vengono definiti "bronzi" di Minusinsk di fatto non lo sono; nella stragrande maggioranza dei casi si tratta, infatti, di manufatti interamente lavorati in rame, mentre la percentuale di oggetti di lega (rame-stagno, rame-piombo) è bassissima. Altrettanto esigua è la quantità di armi e utensili realizzati in ferro, che negli stessi secoli aveva invece preso il sopravvento nelle altre regioni dell'Eurasia.
La conca di Minusinsk ha rivelato caratteristiche peculiari anche nella produzione artistica, testimoniata da decorazioni su ceramica, manufatti di legno, incisioni su osso, disegni rupestri o su lastre funerarie; soprattutto nel VII-VI sec. a.C. l'arte animalistica di quest'area mostra spiccate preferenze sia nella scelta dei soggetti zoomorfi (cinghiale e stambecco) sia nel modo di rappresentarli, solitamente in posa stante e in atteggiamento pacato; al rilievo si preferisce inoltre la lavorazione a tutto tondo.
Nel II-I sec. a.C. (periodo di Tesin) emergono nuove componenti culturali e, verosimilmente, etniche che si affermeranno pienamente nella successiva cultura di Taštyk (I-V sec. d.C.). Questi cambiamenti, legati all'espansione del potentato Xiongnu verso nord (II-I sec. a.C.), vanno di pari passo con la penetrazione di gruppi di etnia mongoloide e, si suppone, turcofoni. Nonostante l'analisi critica della sua ricca documentazione archeologica (insediamenti, necropoli, disegni rupestri) abbia lasciato aperte diverse questioni, la cultura di Taštyk presenta elementi di grande interesse soprattutto nell'ambito delle pratiche funerarie. Nella prima delle due fasi in cui il suo sviluppo è stato suddiviso (I-II sec. d.C.) si hanno esclusivamente necropoli di tombe a fossa prive di tumulo, contenenti una cassa di tronchi di legno. I defunti erano sottoposti a due diversi tipi di trattamento, a seconda del sesso e dell'età: inumazione previa parziale mummificazione (donne e adolescenti) o incinerazione (uomini). Connessa con il rito della mummificazione era la realizzazione di maschere che riproducevano le sembianze del defunto, ottenute applicando uno strato di gesso direttamente sul suo volto coperto da un panno di seta; tali maschere, soprattutto quelle femminili, venivano poi decorate da disegni (in genere spirali) eseguiti in rosso sulla fronte, sulle guance e sul mento, probabilmente riproduzioni di tatuaggi. Per quanto riguarda gli individui di sesso maschile, i resti dell'incinerazione erano raccolti in un sacchetto di cuoio o di corteccia di betulla che veniva collocato all'interno di un "fantoccio" fatto di pelle e imbottito di erba. Mummie e "fantocci" erano deposti nelle tombe in posizione supina. Nella seconda fase di Taštyk (III-V sec.) si afferma un tipo di struttura funeraria di legno e lastre di pietra, costruita in superficie all'interno di una conca scavata nel terreno. Di pianta quadrata e di dimensioni variabili (da 16 a 90 m2), queste tombe erano utilizzate per periodi prolungati e hanno rivelato da 10 a 100 inumazioni, consistenti, come nel periodo precedente, di mummie e "fantocci", ma anche di semplici sacchetti contenenti le ceneri del defunto. Tipici della tradizione funeraria di Taštyk, della prima come della seconda fase, sono infine i cenotafi, più di frequente costituiti da un pilastro di pietra dinanzi al quale, all'interno di una buca (a volte in una cassetta di pietra) erano deposti cibi e bevande per il defunto. Simili cenotafi sono stati rinvenuti in gruppi di diverse decine ai margini delle necropoli.
Bibliografia
N.L. Členova, Proischoždenie i rannjaja istorija plemën tagarskoj kul´tury [Origini e storia antica delle tribù della cultura di Tagar], Moskva 1967; M.P. Grjaznov et al., Kompleks archeologičeskich pamjatnikov u gory Tepsej na Enisee [Un complesso di monumenti archeologici presso il monte Tepsej sullo Enisej], Novosibirsk 1980; E.B. Vadeckaja, Archeologičeskie pamjatniki v stepjach srednego Eniseja [Monumenti archeologici nelle steppe del medio Enisej], Leningrad 1986; H. Heidenreich, Die sibirische Tagar-Kultur. Ein Forschungsbericht. Ein Beitrag zu den Minusinsk-Bronzen, Marburg 1990; M.G. Moškova (ed.), Stepnaja polosa Aziatskoj časti SSSR v skifo-sarmatskoe vremja [La fascia delle steppe nella parte asiatica dell'URSS in epoca scito-sarmatica], Moskva 1992, v. contributi di N.L. členova, pp. 206-24 (Tagar), M.N. Pšeničyna, pp. 224-35 (Tesin), E.B. Vadeckaja, pp. 236-46 (Taštyk); G.N. Kuročkin, Raskopki skifskogo "carskogo" kurgana na juge Sibiri [Scavi di un kurgan "regale" nella Siberia meridionale], in Archeologičeskie vesti, 2 (1993), pp. 31-43; E.B. Vadeckaja, Taštykskaja epocha v drevnej istorii Sibiri [L'epoca di Taštyk nell'antica storia della Siberia], Moskva 1999.
di Sergej S. Minjaev
A cavallo tra il III e il II sec. a.C., la Transbaikalia (ossia il territorio a est del lago Bajkal), così come altre regioni dell'Asia Centrale, entrò a far parte dei domini dei Xiongnu, noti anche come Unni asiatici.
La più antica fase della storia dei Xiongnu rimane a tutt'oggi poco chiara, tuttavia l'insieme dei dati letterari e archeologici consente di ipotizzare che alla vigilia delle loro campagne di conquista, tra il V e il III sec. a.C., i Xiongnu fossero uno dei gruppi di allevatori che abitavano i territori a nord dei regni cinesi Yan e Zhao (odierne provincie dello Shanxi, a est, del Hebei, a nord, del Liaoning, a ovest, e i distretti sud-orientali della Mongolia interna). Sono probabilmente ascrivibili agli antenati dei Xiongnu alcune sepolture nelle necropoli di Nanshan'gen, Dunnangou, Yuhuanmiao e quelle che tagliano lo strato superiore della stazione preistorica di Xiajiadian. Queste tombe sono caratterizzate da tratti che si trovano successivamente nei monumenti funerari Xiongnu: il defunto giace supino con gli arti distesi, in sarcofagi lignei collocati all'interno di casse di pietra; le sepolture sono a volte segnalate in superficie da una struttura di pietre; tra gli oggetti di accompagno, alcuni, come i bottoni di bronzo, le placchette zoomorfe, i campanellini, le imitazioni di cauri di bronzo, sono del tutto analoghi a quelli attestati più tardi nelle tombe Xiongnu, altri ne possono essere considerati precursori, quali le punte di freccia a tre alette con codolo o piatte e i coltelli con terminazione ad anello; in particolare, la forma e il peso delle punte di freccia di bronzo fa pensare all'uso di un arco di grandi dimensioni, simile a quello dei Xiongnu.
L'ascesa al potere dei Xiongnu, che le fonti scritte pongono in relazione con lo shanyu (il capo militare supremo) Maodun, fu favorita dalle loro capacità belliche, in cui un ruolo determinante ebbero l'ampio utilizzo di armi di ferro, l'adozione dell'arco per il combattimento a distanza e tattiche e strategie militari innovative, perfezionate nel corso dei perenni conflitti con le armate cinesi. Agli inizi del II sec. a.C. il potentato Xiongnu dominava una parte considerevole della fascia delle steppe asiatiche, inclusa la Transbaikalia, abitata, alla vigilia dell'invasione Xiongnu, dalle popolazioni artefici della "cultura delle tombe a lastre di pietra" (VII-III sec. a.C.). Inizialmente i Xiongnu vi esercitarono solo il controllo politico ed economico, ma tra il II e il I sec. a.C., dopo aver perso i loro territori d'origine nella Cina settentrionale a seguito di un lungo conflitto con l'impero Han, essi si trasferirono principalmente in Mongolia e in Transbaikalia, che divennero il fulcro della loro economia nomadica. Le popolazioni locali furono in parte sospinte a nord del Bajkal, in parte assimilate dai nuovi venuti, pur conservando una certa autonomia culturale all'interno del nuovo "impero".
L'invasione Xiongnu provocò un vasto e complesso fenomeno migratorio che coinvolse grandi gruppi di popolazioni, favorendo così contatti e interazioni fra tradizioni diverse e innescando profonde trasformazioni delle caratteristiche antropologiche e culturali delle etnie delle steppe asiatiche. Questo processo giunse a compimento intorno alla fine del II sec. a.C. con la formazione del complesso culturale Xiongnu, i cui tratti fondamentali, pur ampiamente diffusi nei territori dominati da questo potentato, si esprimono con particolare evidenza nei monumenti archeologici della Transbaikalia, oggetto di indagini sistematiche a partire dalla fine del XIX secolo.
Il sito di Ivolga, presso Ulan-Ude, è senz'altro la testimonianza più significativa d'epoca Xiongnu nella regione. Esso include due insediamenti fortificati di diverse dimensioni e una necropoli. La fortezza maggiore era racchiusa da un impianto difensivo costituito da terrapieni e fossati, largo quasi 40 m, che rendeva il villaggio (350 × 200 m) pressoché inespugnabile. Le abitazioni erano raggruppate in alcuni "quartieri"; al centro era la residenza del "governatore". Si tratta di un tipico insediamento di gruppi stanziali, dediti all'agricoltura, all'allevamento, alla pesca, nonché a diverse forme di artigianato. A giudicare dalla bassa percentuale di resti ossei appartenenti ad animali selvatici, la caccia doveva avere un ruolo secondario. Di altro tipo è, invece, l'insediamento presso Dureny, sulle sponde del fiume Čikoj. Qui non vi sono mura di cinta e l'abitato si estende lungo la riva del fiume per alcuni chilometri. Le attività artigianali erano simili a quelle praticate dagli abitanti di Ivolga, tuttavia qui si nota una marcata prevalenza della lavorazione del ferro, testimoniata da un'ingente quantità di scorie ferrose. Tra i reperti si segnala un sigillo di bronzo con rappresentazione di un capride. Gli scavi di Ivolga e di Dureny documentano la rilevanza economica dell'agricoltura presso i Xiongnu; oltre a numerosi attrezzi (vomeri, falci, zappe, macine), sono stati rinvenuti infatti resti dei cereali coltivati (orzo e frumento) e speciali fosse per la loro conservazione.
Nei siti della regione sono diffusamente testimoniate, relativamente a questo periodo, diverse categorie di manufatti di ferro: strumenti da lavoro, elementi di bardature di cavalli, fibbie e, soprattutto, armi (punte di freccia, spade e pugnali) ed elementi di armature (placche di corazze). La presenza negli insediamenti di fornaci per la fusione del ferro, di grandi quantità di scorie ferrose e di scarti di lavorazione evidenziano l'autonomia di questa produzione, ribadita dalle forme originali degli oggetti, molti dei quali non trovano analogie nei territori limitrofi. Un elevato grado di sviluppo è raggiunto anche da altre classi di artigianato: la lavorazione del bronzo (soprattutto nei centri di Ivolga, Čikoj e Džida), l'incisione dell'osso e l'oreficeria. Come dimostrano le analisi chimiche, i bronzi Xiongnu nel cosiddetto "stile animalistico" erano lavorati in una lega a base di rame che sembra sconosciuta ai metallurgi delle aree vicine. Nell'ambito della produzione di monili si segnalano diversi elementi di collane in osso, vaghi di agata, turchese, sardonica, fluorite, pendenti e anelli, di ottima fattura. Scarti di fusione del bronzo e di lavorazione dell'osso, nonché minerali per la realizzazione di ornamenti, sono stati rinvenuti in diverse abitazioni.
Dati di particolare interesse provengono dalle necropoli: delle oltre 20 sin qui individuate sono state oggetto di esplorazione sistematica quelle di Il´movaja pad, Caram, Ivolga e Dyrestuj. Le sepolture riflettono marcate differenziazioni sociali. Le tombe dell'aristocrazia erano sepolcri sontuosi, la cui realizzazione prevedeva, come documentano gli scavi di Caram e Noin-Ula, l'escavazione di una grande fossa (30 × 30 m; prof. 15 m e oltre), accessibile dal lato sud tramite un lungo corridoio in pendenza. Sul fondo della fossa veniva allestita una struttura di tronchi (7-10 file), che conteneva una seconda camera di minori dimensioni; all'interno di questa era adagiata la bara, composta di assi lignee assemblate tramite un sistema di tenoni e incassi. Le pareti e i pavimenti delle camere erano ricoperti da tappeti di lana e stoffe di seta; il defunto era accompagnato da un corredo di composizione variabile. In superficie la tomba era segnalata da una struttura muraria di pietra che sottolineava i contorni della fossa e il corridoio d'accesso.
Le sepolture dei guerrieri erano raggruppate intorno alle tombe dell'aristocrazia, distinguendosi da queste per le dimensioni minori e, in genere, per il carattere più modesto: la fossa era più piccola, priva di corridoio di accesso e con una sola camera funeraria; di minore ricchezza erano anche i corredi funerari. Le sepolture della popolazione comune erano costituite da semplici casse lignee deposte in fosse poco profonde, coperte da bassi cumuli di pietre appena visibili in superficie, con corredi molto esigui, mentre gli individui di condizione più umile erano sepolti in semplici fosse, spesso senza alcun oggetto di accompagno. Gli scavi delle necropoli di Dyrestuj, Caram e altre confermano quanto tramandato dalle fonti scritte, ovvero che le pratiche funerarie Xiongnu prevedevano sacrifici umani.
Bibliografia
Ju.D. Tal´ko-Grincevič, Naselenie drevnich mogil i kladbišč Zabajkal´skich [Le popolazioni delle antiche tombe e necropoli della Transbaikalia], Ulan-Ude 1928; A.V. Davydova, K voprosu o chunnskich chudožestvennych bronzach [I bronzi artistici Xiongnu], in SovA, 1 (1971), pp. 93-105; Ead., K voprosu o roli osedlych poselenij v kočevom obščestve sjunnu [Il ruolo delle popolazioni stanziali nella società nomadica dei Xiongnu], in KraSoobInstA, 154 (1978), pp. 55-59; M.G. Moškova (ed.), Stepnaja polosa Aziatskoj časti SSSR v skifo-sarmatskoe vremja [La fascia delle steppe della parte asiatica dell'URSS in epoca scito-sarmatica], Moskva 1992; S.S. Minjaev - L.M. Sacharovskaja, Soprovoditel´nye zachoronenija "carskogo" kompleksa n° 7 v mogil´nike Caram [Le sepolture secondarie nel complesso "regale" n. 7 della necropoli di Caram], in Archeologičeskie vesti, 9 (2002), pp. 86-118; A.V. Davydova - S.S. Minjaev, Kompleks archeologičeskich pamjatnikov u sela Dureny [Il complesso di monumenti archeologici presso il villaggio di Dureny], Sankt-Peterburg 2003.
di Sergej S. Minjaev
Uno dei più importanti insediamenti Xiongnu, situato su una terrazza sulla riva sinistra del fiume Selenga, 16 km a sud-ovest di Ulan Ude (Federazione Russa, Repubblica di Buriatija). Comprende due siti fortificati e una necropoli.
La fortezza maggiore fu scoperta nel 1927 da G.P. Sosnovskij, che vi condusse i primi scavi nel 1928-29. Le ricerche proseguirono nel 1949-50 sotto la guida di V.P. šilov. In diverse campagne di scavo, condotte tra il 1959 e il 1974, A.V. Davydova indagò un settore di oltre 7000 m2, corrispondente al 20% della superficie totale del sito. La fortezza è a pianta rettangolare irregolare (348 × 194-216 m). Su tre lati (nord, ovest e sud) l'impianto difensivo si articola in tre cinte murarie alternate ad altrettanti fossati, per una larghezza totale di 35-38 m. Le mura sono di terra, compattata e cementata con pietre. Le abitazioni, raggruppate in quartieri separati da fossati rettilinei, erano di pianta pressoché quadrata (le 51 portate alla luce sono mediamente di 5 × 5 m) e con pavimento ribassato. Muri e pavimenti erano rivestiti da un intonaco di argilla. Di regola, nell'angolo nord-orientale era collocato il focolare, in lastre di pietra, dal quale si dipartiva la canna fumaria che, percorrendo le pareti nord e sud, contribuiva a riscaldare l'ambiente. L'ingresso si apriva nel muro sud. Dai resti carbonizzati provenienti da abitazioni distrutte dal fuoco è stato possibile conoscere il sistema di copertura, costituita da una struttura di tronchi ricoperta da intonaco di argilla, zolle erbose e ramoscelli, che offriva un'efficace protezione dal gelo e dall'umidità. Sono stati inoltre individuati pozzi, strutture sotterranee e all'aria aperta connesse alle attività produttive.
La fortezza minore (160 × 130 m) sorge 100 m a sud della prima, ai margini della terrazza, ed è racchiusa da un terrapieno, lungo il cui perimetro interno correva un fossato artificiale. La destinazione della fortezza rimane incerta; non è escluso, tuttavia, che essa sia stata utilizzata per un periodo limitato, forse durante la costruzione dell'insediamento maggiore.
La necropoli si trova 440 m a nord-est dell'abitato, su di un promontorio sabbioso, nel punto in cui il fiume Ivolga si getta nella Selenga. Iniziati nel 1956, sotto la guida di A.V. Davydova, gli scavi hanno esplorato l'intero cimitero, comprendente 216 tombe a fossa rettangolare. Non vi sono gruppi isolati di sepolture; con l'eccezione di cinque tombe contenenti ciascuna un uomo e una donna, le tombe maschili e femminili sono separate. La maggior parte delle sepolture (189) era a inumazione singola; in 26 casi la fossa conteneva i resti di due o tre individui. Le sepolture sono classificabili in due gruppi principali a seconda dell'orientamento della salma, est (le più numerose) o sud. I cadaveri erano deposti in casse di sottili assi lignee o in camere di tronchi (sono queste ultime le sepolture con orientamento della salma a est); in rari casi la camera di tronchi è abbinata al sarcofago, che poteva essere di assi lignee, ricavato da un tronco o di pietra. Gli inumati giacevano supini con gli arti distesi. I corredi funerari femminili comprendevano strumenti da lavoro e ornamenti, quelli maschili armi. Per entrambi i sessi era comune la deposizione di vivande. Tra gli oggetti di accompagno si distinguono le applicazioni di bronzo per cintura decorate nel cosiddetto "stile dell'Ordos" e, reperti assai poco consueti, vaghi di agata. La diversità riscontrata nelle costruzioni funerarie e nei corredi riflette una netta differenziazione sociale e di censo tra gli abitanti dell'insediamento.
Bibliografia
A.V. Davydova, Nekotorye voprosy social´noj istorii naselenija Zabajkal´ja po dannym Ivolginskogo mogil´nika [Alcune questioni di storia sociale delle popolazioni della Transbaikalia in base ai dati della necropoli di Ivolga], in SovA, 1 (1982), pp. 132-43; Ead., Ivolginskij kompleks - pamjatnik chunnu v Zabajkal´e [Il complesso di Ivolga, un monumento Xiongnu in Transbaikalia], Leningrad 1985; V.A. Galibin, Osobennosti sostava stekljannych bus Ivolginskogo mogil´nika xunnu [Caratteristiche della composizione dei vaghi di vetro dalla necropoli Xiongnu di Ivolga], in Drevnee Zabajkal´e i ego kul´turnye svjazi, Novosibirsk 1985, pp. 37-46; A.V. Davydova, Ivolginskij archeologičeskij kompleks, I. Ivolginskoe gorodišče [Il complesso archeologico di Ivolga, I. L'abitato], Sankt-Peterburg 1995; Ead., Ivolginskij archeologičeskij kompleks, II. Ivolginskij mogil´nik [Il complesso archeologico di Ivolga, II. La necropoli], Sankt-Peterburg 1996.
di Sergej S. Minjaev
Necropoli Xiongnu sul monte omonimo, nella Mongolia settentrionale, 100 km a nord di Ulan Bator. Le sepolture, oltre 200, sono distribuite in tre avvallamenti (Gujirte, Zurumte e Sudzukte).
La necropoli fu scoperta nel 1912 dal tecnico minerario E. Ballod, il quale penetrò nella camera funeraria del tumulo (kurgan) più grande e da questa asportò diversi oggetti del corredo, che poi consegnò al museo di Irkutsk. Nel 1924 la spedizione mongolo-tibetana della Società Geografica Russa, diretta da P.K. Kozlov, diede avvio alle indagini nella necropoli; attraverso passaggi aperti dai saccheggiatori, furono esplorate le camere funerarie di alcuni tumuli e recuperati i loro corredi. Nell'autunno del 1924 l'archeologo russo S.A. Teplouchov scavò il Kurgan 24, documentandone alcuni dettagli con disegni e fotografie. Scavi episodici furono ancora condotti negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo da spedizioni mongole e internazionali.
I kurgan di maggiori dimensioni erano segnalati in superficie da tumuli di pianta quadrata (25-30 m di lato, 1,5-2 m di altezza) con i lati orientati secondo i punti cardinali. Un altro stretto tumulo adiacente al lato meridionale indicava l'ingresso alla tomba. Il perimetro del kurgan era delimitato da lastre di pietra. La fossa, profonda 8-10 m, aveva il fondo rivestito da spesse tavole lignee, su cui poggiava una struttura consistente in due camere, l'una all'interno dell'altra, costruite con travi di legno. Nella camera interna era collocato il sarcofago, anch'esso di legno, con rivestimento di lacca decorato da raffigurazioni di uccelli e vari ornamenti. Le pareti di entrambe le camere, i pavimenti e i soffitti erano rivestiti di tappeti e stoffe di seta.
Nei kurgan di N.-U. è stata recuperata un'ingente quantità dei più diversi reperti: oltre ai tappeti e ai tessuti che rivestivano gli ambienti, abiti di seta, piastrine di nefrite, ornamenti di bronzo, elementi di un carro, calderoni di bronzo e vasellame di legno, placche d'argento con raffigurazioni di yak, uno specchio cinese e ciotoline cinesi laccate. Le caratteristiche strutturali delle tombe e le tipologie dei corredi consentono di attribuire la necropoli all'aristocrazia dei Xiongnu, che nel II-I sec. a.C. avevano conquistato la Cina settentrionale, la Mongolia e la Transbaikalia; una parte delle tombe potrebbe essere ascritta ai capi del potentato, gli Shanyu. Particolarmente significativi per la cronologia del sito sono l'iscrizione riportata da una delle ciotoline cinesi laccate dal Kurgan 6, che menziona l'anno di fabbricazione, e l'iscrizione geroglifica di stoffa applicata su una veste di seta dal Kurgan 24. Questi elementi collocano i tumuli di N.-U. tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C.
Bibliografia
C. Trever, Excavation in Northern Mongolia (1924-1925), Leningrad 1932; A.N. Bernštam, Gunnskij mogil´nik Noin-Ula i ego istoriko-archeologičeskoe značenie [La necropoli Xiongnu di Noin-Ula e il suo significato storico-archeologico], in Izvestija Akademii nauk SSSR. Otdelenie obščestvennych nauk, 4 (1937), pp 947-68; S. Umehara, Studies of Noin-Ula Finds in North Mongolia, Tokyo 1960; C. Doržsuren, Raskopki mogil chunnu v gorach Noin-Ula na reke Chuni-Gol [Scavi di tombe Xiongnu nelle montagne di Noin-Ula, sul fiume Huni Gol], in Mongol´skij archeologičeskij sbornik, Moskva 1962, pp. 36-44; S.I. Rudenko, Kul´tura chunnov i noin-ulinskie kurgany [La cultura dei Xiongnu e i kurgan di Noin-Ula], Moskva - Leningrad 1962; S.S. Minjaev, Bronzovye izdelija Noin-Ula (po rezul´tatam spektral´nogo analiza) [I manufatti bronzei da Noin-Ula (in base ai risultati dell'analisi spettrometrica)], in KraSoobInstA, 167 (1980), pp. 39-43.
di Leonid S. Marsadolov
Il periodo compreso tra l'VIII e il III sec. a.C. fu uno dei più vitali nella storia politica, economica e culturale degli antichi nomadi dell'Asia Centrale. La posizione geografica relativamente isolata di questa regione, l'ampia rete di contatti intertribali che legarono le sue popolazioni, ciascuna delle quali ebbe uno specifico sviluppo, determinarono un complesso culturale assolutamente originale. L'impiego di utensili in ferro, in primo luogo le armi, può essere datato in questa parte dell'Asia a partire dal VII sec. a.C. (Aržan-2, Semisart, Tasmola e altre necropoli). Il contributo delle fonti scritte alla conoscenza di questo periodo storico è modesto.
Già nel 1692 l'olandese H. Witsen descrisse una serie di antichità siberiane, destando l'interesse dello zar Pietro I, il quale si appassionò alla raccolta di manufatti di oro dando origine alla nota "collezione siberiana". Tra gli anni Venti e Settanta del XVIII secolo, diverse spedizioni "accademiche" e "fisiche" furono attive in Siberia (D.G. Messerschmidt, G.F. Miller, P.S. Pallas e altri); a queste si deve la raccolta di altri manufatti, la descrizione dei resti delle antiche attività minerarie e metallurgiche e il rinvenimento di disegni rupestri, stele e necropoli a kurgan. Un contributo significativo allo studio dell'archeologia della Siberia meridionale venne nel XIX secolo da amministratori locali (quali P.K. Frolov, G.I. Spasskij e altri), appassionati collezionisti di antichità. Nel 1823 fu fondato il museo di Barnaul. Nel 1829 il noto geografo tedesco A. von Humboldt, dopo una ricognizione negli Altai, avanzò l'ipotesi ‒ successivamente appoggiata da molti studiosi e archeologi ‒ che proprio lì dovessero situarsi gli Arimaspi monocoli e i "grifoni guardiani dell'oro" dei racconti erodotei.
Nel 1865 V.V. Radlov intraprese lo scavo di due grandi kurgan ghiacciati negli Altai, uno a Katanda, l'altro a Berel (lo studio dei quali fu poi completato rispettivamente da A.A. Gavrilova nel 1954 e da S.S. Sorokin nel 1959). Nel 1911 A.V. Adrianov studiò 14 kurgan negli Altai occidentali riportando alla luce un "tesoro" di oggetti d'oro e di bronzo a Majemir; nel 1915-16 scavò un gruppo di kurgan nella Tuva. Negli anni Venti e Trenta del XX secolo si svolsero scavi sistematici sotto la conduzione di S.A. Teplouchov, S.I. Rudenko, G.P. Sosnovskij, M.P. Grjaznov, S.V. Kiselev, L.F. Semenov e altri. Nel 1927 l'équipe di M.P. Grjaznov scavò il grande kurgan di Šibe (Altai); nel 1929 e, successivamente, nel 1947-49 Rudenko riportò alla luce cinque grandi kurgan a Pazyryk, due a Bašadar (1950) e due a Tuekta (1954). Estese campagne di scavo furono effettuate tra il 1940 e il 1960 nel Kazakhstan orientale da S.S. Černikov. Nel 1960 fu scavato il Kurgan 5 di Chilikta, più antico dei tumuli di Tuekta e Pazyryk. Nel Kazakhstan centrale, negli anni Sessanta e Settanta, M.K. Kadyrbaev indagò un gran numero di siti e monumenti archeologici, tra cui i kurgan di Tasmola. Nel 1969-70 a Issyk, non lontano da Alma Ata, in Kazakhstan, la spedizione di K.A. Akišev riportava alla luce la ricca sepoltura di un capo Saka (l'oramai noto Uomo d'Oro), del quale è stato possibile ricostruire integralmente il costume. Indagini archeologiche su vasta scala furono condotte tra il 1950 e il 1990 nella Tuva e negli Altai, in aree destinate alla costruzione di centrali idroelettriche. Interessanti materiali vennero alla luce negli anni Sessanta dagli scavi di A.D. Grač nelle necropoli tuvine di Sagly-Baži-II e Aldy-Bele, rimaste inviolate dalle attività dei saccheggiatori. Nel 1971-74 M.P. Grjaznov e M. Ch. Mannaj-ool diressero gli scavi dell'imponente kurgan di Aržan (Tuva), che ha riaperto il dibattito sulla questione delle origini degli antichi nomadi eurasiatici. Negli anni Settanta e Ottanta le ricerche archeologiche sono proseguite sotto la conduzione di D.G. Savinov, V.D. Kubarev, V.A. Mogil´nikov, A.M. Mandel´štam, L.S. Marsadolov, Ju.S. Chudjakov, A.S. Surazakov, Ju.F. Kirjušin, M.A. Demin, A.A. Tiškin, P.I. Šul´ga e altri. Tra il 1990 e il 1995 N.V. Polos´mak e V.I. Molodin hanno indagato le necropoli di Ak-Alacha, Kuturguntas, Bertek, Verch-Kal´džin, tutte nell'altopiano di Ukok (Altai). Nel 1998-2000 Z.S. Samašev e H.-P. Francfort hanno ripreso le indagini archeologiche dei kurgan di Berel (Kazakhstan). Nel 2000-2003 K.V. Čugunov, H. Parzinger e A. Nagler hanno scavato il grande kurgan di Aržan-2 (Tuva).
L'analisi complessiva dei risultati delle indagini condotte nei singoli monumenti archeologici e dello studio dei reperti più notevoli ha animato un lungo dibattito tra gli archeologi, che, allo stato attuale, concordano su un inquadramento culturale e cronologico delle singole regioni secondo lo schema seguente:
Pur connotate ciascuna da un proprio rituale funerario e da una specifica produzione ceramica, queste culture archeologiche sono tuttavia correlate tra loro da affinità formali evidenti in diverse categorie di materiali, spesso decorati in stile animalistico: bardature di cavalli, armi, utensili vari e calderoni di bronzo. Monumenti d'importanza capitale per l'impalcatura cronologica delle culture del Sajan-Altai e del Kazakhstan sono i tumuli di grandi e medie dimensioni: alla fine del IX sec. a.C. risale il kurgan di Aržan (Tuva); all'VIII Majemir e Chilikta-5 (Kazakhstan); al VII Tasmola (Kazakhstan) e Aržan-2 (Tuva); al VI Tuekta-1, Bašadar-2 (Altai); al V Ak-Alacha, Berel e Pazyryk (Altai); al IV Šibe e Katanda (Altai), Issik (Kazakhstan).
Nella Tuva, negli Altai e in Kazakhstan si constata una cesura culturale tra i monumenti dell'VIII-VII sec. a.C. e quelli del V-III. Importanti cambiamenti sia nella qualità sia nella quantità dei materiali testimoniano significative trasformazioni: nella sfera politica, con l'espansione dei confini territoriali e con l'intensificazione dei contatti con le altre regioni centroasiatiche, nonché con la Cina, l'India e l'Iran; nella struttura sociale, con una più marcata stratificazione, palese nel rito funerario (tumuli di grandi, medie e piccole dimensioni); nell'economia, con il perfezionamento dell'allevamento pastorale nomadico e della produzione artigianale, fattori questi ultimi che determinarono un marcato incremento demografico e la compresenza, nel medesimo territorio, di gruppi antropologici differenti (europoide, mongoloide e misto) e tradizioni culturali diverse. Altrettanto significativo fu l'impatto nella sfera ideologica e culturale: cambiò la visione del mondo, scomparvero le "pietre dei cervi", mentre la perizia nella lavorazione della lana, del cuoio, del legno, dell'argilla e dei metalli raggiunse livelli molto elevati.
Non è escluso che i nomadi delle steppe asiatiche, alleatisi con altre aggregazioni tribali, abbiano contribuito alla caduta del regno dei Zhou Occidentali, in Cina (intorno al 770 a.C.) e di una serie di potentati nell'Asia anteriore (ad es., quello di Frigia). Tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C. nacquero in Asia Minore e nel Vicino Oriente nuove entità politiche sovranazionali, la Media a est e la Lidia a ovest, che soppiantarono l'Assiria e le sue colonie. Tra le preoccupazioni di questi nuovi potentati vi era quella di affrancarsi dalle ingerenze di gruppi tribali nomadi militarizzati, i Cimmeri e gli Sciti, già loro vicini o nemici; è grosso modo in questo periodo che il re della Lidia, Aliatte, "scacciò i Cimmeri dall'Asia" (Hdt., I, 16). Ciò non comportò, tuttavia, l'annientamento di questo popolo. Proprio nel VI sec. a.C. si constata negli Altai un notevole incremento dei tumuli funerari, non soltanto di quelli di dimensioni modeste, ma anche dei grandi kurgan destinati alla sepoltura dei capi e dei membri del loro entourage (Tuekta 1, Bašadar 2 e altri). Dall'Asia occidentale e dalle regioni meridionali dell'Asia Centrale furono introdotti elementi innovativi, quali le brocche di argilla con alto collo, gli incensieri di pietra, i morsi diritti con grandi anelli alle estremità, alcuni tipi di ornamenti e di armi di ferro con rivestimento in oro, gli scudi rettangolari di tipo "assiro", i copricapo a punta di tipo cimmerico e, nel repertorio figurativo, i soggetti zoomorfi (leone, grifone, animali fantastici, ecc.) e il motivo del fiore di loto, tutti precedentemente ignoti negli Altai. È probabile che un gruppo di nomadi provenienti dall'Asia occidentale avesse esteso rapidamente la sua influenza non solo sulla parte centrale, ma anche sui versanti settentrionale e orientale degli Altai. Una parte della popolazione indigena migrò verso nord, nell'area pedemontana, e verso est, ossia nella Tuva e in altre regioni limitrofe.
Nel 530 a.C. il re achemenide Ciro II lanciò una campagna militare contro i Saka, in Asia Centrale, nella quale il sovrano perse la vita. Gli echi di questo evento si avvertirono anche nella regione del Sajan-Altai, che in quell'epoca sembra aver rafforzato i legami sia con le regioni abitate dai Saka e dai Sauromati sia con l'impero achemenide. Durante i due secoli seguenti gli influssi della Persia, a ovest, e della Cina, a est, acquistano ulteriore vigore; i kurgan di Pazyryk ne offrono testimonianze eloquenti. Un nuovo capitolo della storia eurasiatica ebbe inizio con le conquiste di Alessandro il Macedone in Asia Minore e in Asia Centrale; queste ebbero come conseguenza, dopo il 320 a.C. circa, importanti fenomeni migratori che interessarono sia intere popolazioni sia singoli gruppi tribali.
Bibliografia
S.I. Rudenko, Kul´tura naselenija Gornogo Altaja v skifskoe vremja [La cultura della popolazione del Gornyj Altai in epoca scitica], Moskva - Leningrad 1953; Id., Kul´tura naselenija Central´nogo Altaja v skifskoe vremja [La cultura della popolazione dell'Altai centrale in epoca scitica], Moskva - Leningrad 1960; A.D. Grač, Drevnie kočevniki v centre Azii [Gli antichi nomadi nel centro dell'Asia], Moskva 1980; M.G. Moškova (ed.), Stepnaja polosa Aziatskoj časti SSSR v skifo-sarmatskoe vremja [La fascia delle steppe nella parte asiatica dell'URSS in epoca scito-sarmatica], Moskva 1992, pp. 130-48, 161-205; L.S. Marsadolov, Istorija i itogi izučenija archeologičeskich pamjatnikov Altaja VIII-IV vekov do n.e. (ot istokov do načala 80-x godov XX veka) [Storia e risultati dello studio dei monumenti archeologici degli Altai dei secc. VIII-IV a.C. (dalle origini agli anni Ottanta del XX secolo)], Sankt-Peterburg 1996; G. Ligabue - G. Arbore Popescu (edd.), I cavalieri delle steppe. Memoria delle terre del Kazakhstan, Milano 2000; G. Arbore Popescu - A. Alekseev - J. Piotrovskij (edd.) Siberia. Gli uomini dei fiumi ghiacciati (Catalogo della mostra), Milano 2001.
di Karl Jettmar
Necropoli nomadica nella Repubblica autonoma della Tuva (Siberia meridionale, Federazione russa).
Iniziate nel 1971 da M.P. Grjaznov, che mise in luce l'imponente tumulo (kurgan) cui è legata la fama del sito, le indagini archeologiche ad A. sono state condotte, alla fine degli anni Novanta del XX secolo, da una missione russo-tedesca, cui si deve la scoperta e lo scavo di un altro grande tumulo (Aržan-2), di dimensioni inferiori e alquanto più recente del primo. Il kurgan scavato da Grjaznov consisteva in una piattaforma circolare in blocchi di pietra, alta circa 3-4 m, dalla cui parte centrale sgorgava una sorgente di acqua purissima, considerata sacra. Al di sotto dello strato di pietre, già in parte spoliato nel corso di costruzioni stradali, vi era una serie di ambienti formati da una struttura radiale di tronchi d'albero. Una grande camera centrale, con copertura di assi lignee, ne racchiudeva una più piccola, con pareti doppie; nella camera interna sono stati ritrovati due sarcofagi contenenti le salme di un anziano "principe" e della sua consorte, anch'essa deceduta in età matura; in quella esterna erano sette sarcofagi di legno, in cui erano stati inumati i membri del seguito del "principe" e lo scheletro di un cavallo. Fatta eccezione per una piccola parte dei corredi, la tomba appariva completamente depredata. Ulteriori sepolture, soprattutto di uomini in età avanzata accompagnati da ricchi corredi, erano presenti in altre celle, contenenti anch'esse scheletri di cavalli.
Con i suoi 12 sarcofagi lignei e più di 160 scheletri di cavalli, insieme a quello di Ul´skij, nel bacino del Kuban (Caucaso settentrionale), questo è il più grande monumento funerario del mondo scito-siberiano. Intorno a esso sono stati rinvenuti diversi luoghi di sacrificio: oltre ad altri animali, 300 cavalli vi furono immolati per il banchetto funebre al quale si stima presero parte circa 10.000 convitati; un numero così ingente di uomini si spiega verosimilmente con la necessità di ultimare in tempi rapidi la costruzione dell'imponente sepolcro. I dati forniti dal radiocarbonio e dalle analisi dendrocronologiche sembrano avvalorare la datazione proposta da Grjaznov (fine del IX - metà dell'VIII sec. a.C.). A. sarebbe dunque la più antica sepoltura principesca della regione delle steppe. I cavalli, seppelliti in gruppi di 15 o 30, rappresentavano probabilmente l'omaggio delle tribù sottomesse.
Sebbene le caratteristiche dello stile animalistico testimoniate dai pochi oggetti conservatisi non suggeriscano una cronologia così alta (alcuni studiosi propendono per una datazione al VII sec. a.C.), essa trova conferma nei filetti dei morsi dei cavalli, dello stesso tipo in tutti i compartimenti della tomba. I morsi, di osso e di metallo, trovano paralleli nell'Europa orientale prescitica, mentre i filetti, composti da elementi di legno e cuoio abilmente connessi, sembravano inizialmente privi di relazione con i tipi conosciuti, finché gli archeologi cinesi non ne hanno rinvenuti di simili nel Xinjiang. Una serie di datazioni al radiocarbonio da questa regione, prima inesplorata, testimonia che il cavallo vi era impiegato non solo per trainare i carri, ma anche come animale da sella già intorno alla fine del II millennio a.C. Pertanto, tutte le precedenti teorie sull'area di origine delle popolazioni dei cavalieri nomadi devono essere riconsiderate. Inoltre, il rinvenimento del frammento di una "pietra dei cervi" tra le pietre che ricoprivano la tomba invita a un riesame delle questioni concernenti le origini dello stile animalistico. Il kurgan di A. non era soltanto una sepoltura, bensì un centro rituale, una rappresentazione simbolica della città oltremondana, al cui centro era il sovrano che, ispirandosi al modello del dispotismo orientale e con molto anticipo rispetto ai Xiongnu, aveva fondato il primo regno nomadico.
Il tumulo di Aržan-2 ha un diametro di 75 m e un'altezza di 2 m. Gli scavi hanno rivelato la presenza di tombe di epoche diverse (scitica, Xiongnu e turca). Le più antiche (2 e 5), del periodo scitico, risalgono al V sec. a.C.; sono tombe ipogee a camera quadrata rivestite all'interno da assi di legno e non hanno subito saccheggi. La tomba 2 era un cenotafio, la 5 conteneva le salme di un uomo e di una donna, accompagnati da oggetti di corredo (armi e ornamenti) in buona parte laminati in oro.
Bibliografia
M.P. Grjaznov, Aržan. Carskij kurgan ranneskifskogo vremeni [Aržan. Un kurgan regale di epoca antico scitica], Leningrad 1980; K. Jettmar, Die Bedeutung politischer Zentren für die Entstehung der Reiternomaden Zentralasiens, in Die Nomaden in Geschichte und Gegenwart. Beiträge zu einem internationalen Nomadismus-Symposium (Leipzig, 11.-12. December 1975), Berlin 1981, pp. 49-70; Id., Fortified "Ceremonial Centres" of the Indo-Iranians, in M.S. Asimov et al. (edd.), Ethnic Problems of the History of Central Asia in the Early Period (Second Millennium B.C.). Proceedings of the International Symposium on the Ethnic Problems of the Ancient History of Central Asia (II Millennium B.C.), Moscow 1981, pp. 220-29; M.P. Grjaznov, Der Großkurgan von Aržan in Tuwa, Südsibirien, München 1984; K. Čugunov - A. Nagler - H. Parzinger, Issledovanie Kurgana na doroge Aržan-Tarlag v Tuve [Scavo di un kurgan sulla strada Aržan-Tarlag nella Tuva], in Archeologičeskie otrkrytija 1997 goda, 1999, p. 331 ss.; K. Čugunov et al., Aržan: istočnik doline carej [Aržan: una fonte documentaria sulla valle dei re], Sankt-Peterburg 2004.
di Karl Jettmar
Necropoli di tombe a tumulo (kurgan) databile al V sec. a.C. e situata nella regione centrale dei monti Altai, nel bacino del fiume Katun; fu indagata nel 1950 e nel 1954 da S.I. Rudenko, che individuò 37 kurgan e ne scavò due.
Nel primo, sotto al tumulo di pietre, fu scoperta una fossa rettangolare riempita di terra e detriti. A circa 6 m di profondità vi era una camera a struttura lignea, di cui si conservavano le sole travi di copertura, a causa delle condizioni ambientali sfavorevoli (diversamente da altri kurgan altaici, qui non si era formato il ghiaccio perenne); anche i corpi di dieci cavalli inumati nella tomba risultavano notevolmente danneggiati, così come il corpo del defunto, un giovane uomo deposto nel consueto sarcofago ligneo. A causa dei saccheggi, inoltre, poco rimaneva dei corredi.
Più solida era la struttura del secondo grande kurgan: blocchi di pietra all'interno della fossa e alta intelaiatura con membrane intermedie di corteccia di betulla e frasche. Tanto più evidente dunque appariva il pozzo scavato dai saccheggiatori, che avevano danneggiato e spostato i resti dei cavalli (14) e i corpi di una coppia principesca. È stato tuttavia possibile ricostruire l'originale arredo della tomba, con arazzi murali, foderi, gualdrappe, nonché costumi di stoffa, feltro e pelle, decorati in uno stile caratterizzato da una spiccata predilezione per le volute e le spirali semplici e doppie. Che questi motivi avessero le loro radici nella pittura e fossero in relazione con la prima fase dello stile animalistico, definito da M.P. Grjaznov "monumentale", trova conferma nei resti di pittura conservatisi sul coperchio del sarcofago di legno che racchiudeva il corpo della donna.
Il sarcofago dell'uomo presentava su un lato e sulla copertura una decorazione a intaglio che dimostra chiaramente come i motivi animalistici rispondessero a un principio dominante di ornamentazione curvilinea. Sulla parete laterale quattro tigri si dirigono verso destra; sul coperchio le stesse muovono nella direzione opposta, seguite da due alci femmina (prive di corna), tre mufloni e due cinghiali, mentre un altro alce è rappresentato al di sotto dell'ultima tigre della parete del sarcofago, il cui manto è reso mediante un motivo a fiamme. La tigre, soggetto frequentemente raffigurato nei bronzi dell'Ordos e apparentemente "estraneo" in questo contesto, pur avendo il suo habitat nella regione dell'Amur, era presente anche in Asia Centrale ancora fino a epoca recente; probabilmente, essa rappresentava il simbolo genealogico della stirpe del principe. Le affinità con lo stile animalistico a volute rivelato dai nuovi reperti di Alagou (presso Urumqi, Xinjiang) sono stringenti; si potrebbe pensare all'eredità di un gruppo di nomadi, sotto la cui influenza furono create le opere d'arte dei kurgan di Issik.
Bibliografia
S.I. Rudenko, Kul´tura naselenija Gornogo Altaja v skifskoe vremja [La cultura delle popolazioni dell'Altai superiore in epoca scitica], Moskva - Leningrad 1953; Id., Kul´tura naselenija Central´nogo Altaja v skifskoe vremja [La cultura delIe popolazioni dell'Altai centrale in epoca scitica], Moskva - Leningrad 1960; K. Jettmar, Art of the Steppes: the Eurasian Animal Style, London 1967 (trad. ingl.); S.I. Rudenko, Frozen Tombs of Siberia. The Pazyryk Burials of Iron Age Horsemen, Berkeley - Los Angeles 1970.
di Leonid S. Marsadolov
Il nome designa una delle valli più ampie e suggestive degli Altai sud-occidentali (Kazakhstan), situata dinanzi ai valichi innevati che conducono alla sommità del monte Belucha. Presso le sorgenti del fiume Buchtarma, 6 km a valle del punto in cui esso riceve le acque della Belaja Berel, si estende una vasta area funeraria comprendente oltre 40 kurgan di epoche diverse, riuniti in quattro gruppi, due ai margini della piana e due ai piedi del monte.
Nel 1865 V.V. Radlov scavò due tumuli minori (nn. 2 e 3) e il cosiddetto Grande Kurgan, lo studio del quale fu ripreso e ultimato da S.S. Sorokin nel 1959. Negli anni 1998-2003 la spedizione diretta da Z.S. Samašev e H.-P. Francfort ha intrapreso lo scavo di tre kurgan di epoca scitica appartenenti a entrambi i gruppi (nn. 11, 18 e 34), nonché alcuni tumuli d'epoca turca (ancora inediti).
I kurgan di B. appartengono alla cultura altaica di Pazyryk, della quale segnano il punto di massima espansione in direzione sud-ovest; il loro arco cronologico sembrerebbe un po' più ampio di quello dei tumuli di Pazyryk: dalla prima metà del V sec. a.C. (ma alcuni archeologi propendono per il IV) fino al I sec. a.C. Sulla base delle dimensioni, del rituale funerario e dei corredi di accompagno sono state distinte due categorie di tumuli: grandi (il kurgan scavato da Radlov e il n. 11) e piccoli (nn. 2, 3, 18 e 34), interpretati rispettivamente come sepolture di capitribù e dei membri dell'aristocrazia nomadica dell'Altai sud-occidentale. Come negli altri kurgan della cultura di Pazyryk, all'interno di una fossa di misure variabili (4-6 × 5-7 × 5-7 m per i tumuli grandi; 2-3 × 4 × 3,6 m per i piccoli) era allestita una camera funeraria, con struttura di tronchi disposti orizzontalmente e pavimento in assi di legno, in cui il defunto era deposto all'interno di un sarcofago.
Nel Kurgan 11 le salme di un uomo e di una donna erano all'interno di un unico sarcofago, con il capo rivolto a est; 13 cavalli, sacrificati per l'occasione, erano sepolti a nord del sarcofago. Nel kurgan indagato da Radlov, la camera funeraria conteneva la salma di un uomo all'interno di un sarcofago, accanto al quale era stato deposto un cavallo; altri 16 cavalli erano stati inumati nella parte nord della tomba. I finimenti e le selle degli animali conservavano diversi ornamenti in corteccia di betulla e legno, nella maggior parte dei casi rivestiti di oro o di argento. Nel Kurgan 11 due dei cavalli recavano una maschera con corna lignee, a imitazione dello stambecco. Nei kurgan minori venivano seppelliti da tre a cinque cavalli. Il soffitto della camera e le salme dei cavalli erano ricoperti di fogli di corteccia di betulla e la fossa colmata con terra mista a pietre. In superficie veniva quindi eretto un tumulo di pietre, con diametro e altezza variabili (30 × 3-4 m nei kurgan più grandi, 10-15 × 1-1,5 m nei minori).
I ghiacci perenni formatisi nelle sepolture hanno preservato dalla decomposizione le bardature di cavallo e altri manufatti di feltro, stoffa, pelle, legno, corno, argilla, bronzo e ferro. Come a Pazyryk, i morsi, i pettorali e le selle dei cavalli erano decorati da placchette lignee raffiguranti animali reali o fantastici (stambecchi, capre, cervi, pantere, leoni, tigri cornute e grifoni), ma anche fiori di loto. Lo stile delle rappresentazioni animali e di altri motivi ornamentali mostra numerose analogie con i materiali di Tuekta 2 e Pazyryk 2 e 1. Nell'ambito della ceramica si segnalano le brocche con alto collo e con decorazione a triangoli e a file di linee oblique sulla spalla e diversi vasi di forma asimmetrica, uno dei quali (dal Kurgan 18) ricalca la sagoma di un otre di pelle, un tipo di contenitore diffuso presso i nomadi. Sui coperchi dei sarcofagi erano applicate figure di grifone di bronzo o legno; resti di una coperta e di applicazioni in foglia d'oro si sono conservati in quello del Kurgan 11.
Bibliografia
L.S. Marsadolov, O date Bol´šogo Berel´skogo kurgana [La datazione del Grande Kurgan di Berel], in SoobErmit, 53 (1988), pp. 24-26; H.-P. Francfort, Il mausoleo ghiacciato del principe scita, in Ligabue Magazine, 35 (1999), pp. 24-41; Z.S. Samašev - G.A. Bazarbaeva - G.S. žumabekova, I guerrieri di Berel e i nuovi orizzonti della ricerca storica, in G. Ligabue - G. Arbore Popescu (edd.), I cavalieri delle steppe. Memoria delle terre del Kazakhstan, Milano 2000, pp. 154-75; Z.S. Samašev - G.A. Bazarbaeva - G.S. žumabekova, Die "goldhutenden Grife" des Herodot und die archäologische Kultur der frühen Nomaden im kazachischen Altai. Skythenzeitliche Kurgane von Berel und Tar Asu, in Eurasia Antiqua. Zeitschrift für Archäologie Eurasiens, 8 (2002), pp. 237-76.
di Leonid T. Jablonskij
Necropoli a kurgan, 100 km a sud del lago Zaysan, nel Kazakhstan orientale, indagata nel 1960 da una spedizione dell'Istituto di Archeologia dell'Accademia delle Scienze di Leningrado, sotto la guida di S.S. Černikov. La necropoli comprendeva 51 tumuli, misuranti da 20 a 100 m di diametro; il Kurgan 5 (anche noto come "kurgan d'oro") è quello che ha fornito dati di particolare interesse, sia per la struttura sia per i materiali che vi sono stati riportati alla luce.
La tomba consiste in una fossa rettangolare (7,1 × 8,3 m, prof. 1 m) accessibile da est tramite un dromos (lungh. 12 m ca., largh. 2 m). All'interno della fossa era allestita una struttura lignea in grossi tronchi di larice, di pianta quadrata, con pavimento rivestito di spesse tavole piallate e copertura di tronchi (simile copertura anche nel dromos), e orientata secondo i punti cardinali. Una bara poggiata sul pavimento della camera funeraria conteneva gli scheletri di un uomo e di una donna. A inumazione avvenuta, la struttura fu ricoperta da uno strato di pietre di grande formato (spess. 1 m ca.); su questo fu innalzato un tumulo di argilla (diam. 40 m ca.; alt. non meno di 5 m) a sua volta ricoperto da grandi ciottoli grigi.
Sul pavimento della camera funeraria era deposta una bara lignea. Benché saccheggiata in antico, la tomba conservava alcuni oggetti del corredo, tra cui i resti di una faretra di pelle di cervo o di cavallo, contenente 13 punte di freccia bronzee, databili al VII-VI sec. a.C., ossia all'epoca antico-Saka. Sul costume del defunto erano cucite perle e oltre 500 placchette d'oro rettangolari, triangolari e romboidali, con decorazione punzonata, ma anche di forma animale (uccello, felino, cinghiale, aquila). Già in quest'epoca sono testimoniate le tecniche dell'incrostazione e della granulazione. È degna di nota la rappresentazione di un pesce in foglia d'oro, con incrostazioni di turchese su occhi e pinne. Occhi con inserti di turchese caratterizzano anche figurine di cervi di oro, applicate su ambo i lati della faretra, e di aquile. Nell'area della tomba sono stati rinvenuti i resti di due scheletri (un uomo e una donna).
Da un punto di vista tipologico, i kurgan di Ch. sono riconducibili al gruppo meridionale dei monumenti Saka del Kazakhstan orientale e sono da attribuire a un popolo che conduceva vita nomadica. Le tecniche della granulazione e dell'incrostazione (turchese in oro) furono con ogni probabilità assunte dalle culture del Vicino Oriente, dove sono attestate a partire dal VII sec. a.C. Insieme ad altri elementi, questo influsso testimonia l'esistenza di contatti diretti tra i nomadi del Kazakhstan orientale e le popolazioni sedentarie dell'Asia anteriore.
Bibliografia
S.S. Černikov, Zagadka Zolotogo kurgana [L'enigma del kurgan d'oro], Moskva 1965; M.G. Moškova (ed.), Stepnaja polosa Aziatskoj časti SSSR v skifo-sarmatskoe vremja [La fascia delle steppe della parte asiatica dell'URSS in epoca scito-sarmatica], Moskva 1992, pp. 23, 25, 43, 140-42.
di Boris A. Litvinskij
Necropoli dei Saka situata sulla riva destra del fiume omonimo (50 km a est di Alma Ata, in Kazakhstan), comprendente 45 grandi kurgan (diam. dei tumuli 30-90 m; alt. 4-15 m), ciascuno dei quali racchiuso da un recinto di pietre. Tutte le sepolture hanno rivelato segni di saccheggio avvenuto in antico.
Il kurgan che ha dato il nome alla necropoli si trova nella parte sud-occidentale, ha un diametro di 60 m e un'altezza di 6. Scavato nel 1969-70 sotto la guida di K.A. Akišev, è databile al IV sec. a.C. Il tumulo consisteva in strati di ciottoli di fiume e di argilla mista a pietrisco. Gli scavi vi hanno riportato alla luce due sepolture: una centrale, completamente depredata, e una laterale, conservatasi intatta. In quest'ultima era allestita una camera funeraria di pianta rettangolare (misure interne 2,9 × 1,5 m), in tronchi d'albero, con il fondo rivestito di assi di legno. Il defunto, noto come Uomo d'Oro, giaceva con la testa orientata verso sud ed era riccamente abbigliato con capi decorati da placche d'oro (più di 4000 in totale). Presso il corpo furono rinvenuti anche i resti di una spada e un pugnale, di ferro, e frammenti del fusto e la punta d'oro di una freccia. Oltre agli elementi decorativi d'oro e alle armi, la tomba conteneva uno specchio di bronzo, 31 vasi (d'argilla, legno, argento e bronzo), un cucchiaio d'argento, vaghi di collana di sardonica e pasta vitrea. Una coppa d'argento recava un'iscrizione, non ancora decifrata, di 25-26 segni.
È stato possibile ricostruire l'abbigliamento del defunto: su una veste ornata da placchette d'oro, l'uomo indossava un caftano di pelle interamente ricoperto da placchette triangolari d'oro lavorate a giorno, cucite in file orizzontali; catenine di placche quadrate con musi ferini decoravano la parte inferiore, il risvolto, il bordo, l'orlo e l'attaccatura delle maniche. Il caftano era stretto in vita da una elaborata cintura da parata, costituita da una spessa fascia di cuoio su cui erano applicate ventinove placchette d'oro, decorate da teste o da figurine accosciate di cervi. Completavano l'abbigliamento alti stivali, anch'essi adorni di placchette d'oro, una collana rigida (torques) con terminazioni in forma di animali da preda e, degno di speciale menzione, un copricapo di forma conica. Questo aveva alla base una piastrina orizzontale d'oro, terminante con due teste di cavalli cornuti divergenti, tra le quali sono altri due cavalli affrontati. Al di sopra di questa composizione sono quattro figure apparentemente alate e quattro frecce poste verticalmente. Sui lati il copricapo presenta una decorazione a tre zone sovrapposte, in cui al motivo ricorrente della montagna si accompagnano tigri e capre (in basso) e alberi con uccelli appollaiati sui rami (in alto).
I. ha rivelato un sensazionale repertorio di manufatti artistici in stile animalistico: raffigurazioni di cavalli, capre di montagna, tigri. Vi troviamo il tratto caratteristico di quest'arte, costituito dalla resa delle figure animali con la parte posteriore volta verso l'alto. Infine, la decorazione figurata del copricapo offre elementi per la ricostruzione della concezione cosmologica, con la suddivisione del mondo in tre zone sovrapposte.
Bibliografia
K.A. Akišev, Kurgan Issïk. Iskusstvo Sakov Kazachstana [Il kurgan Issik. L'arte dei Saka del Kazakhstan], Moskva 1978; B.A. Litvinskij, "Zolotye ljudi" v drevnich pogrebenijach Central´noj Azii (Opyt istolkovanija v svete istorii religii) [Gli "uomini d'oro" nelle antiche sepolture dell'Asia Centrale (Saggio interpretativo storico-religioso)], in SovA, 4 (1982); K.A. Akišev, Ancient Gold of Kazakhstan, Alma Ata 1983; Id., Iskusstvo i mifologija sakov [Arte e mitologia dei Saka], Alma Ata 1984; G. Arbore Popescu - C. Silvi Antonini (edd.), Altyn Adam - L'Uomo d'Oro (Catalogo della mostra), Roma 1998.
di Leonid S. Marsadolov
Gruppo di kurgan, cinque dei quali di dimensioni imponenti, situato nella località omonima, negli Altai nord-orientali, presso il villaggio di Balyktyjul´, a 1,5 km dal fiume Jan-Ulagan (Russia). Nei cinque tumuli maggiori si ritiene fossero stati inumati i capi delle antiche tribù nomadi degli Altai e i loro congiunti.
Il Kurgan 1 fu scavato nel 1929 da S.I. Rudenko e M.P. Grjaznov. Tra il 1947 e il 1949 la spedizione di Rudenko indagò i kurgan 2, 3, 4 e 5, e tre altri tumuli minori (6, 7 e 8).
Tutti i kurgan di P., così come quelli più antichi di Tuekta 1 e Bašadar 2, seguono lo stesso schema: sul fondo di una fossa, dell'ampiezza di 30-56 m e della profondità di 4-5 m, è una camera di tronchi con pavimento di assi lignee, all'interno della quale, presso la parete meridionale, un sarcofago ligneo ospita le salme di uno o due defunti, precedentemente sottoposti a mummificazione; questo vano funerario, coperto con travi lignee, è racchiuso entro una camera lignea più grande; la metà settentrionale della fossa, fuori delle camere funerarie, accoglie i corpi di cavalli sacrificati (da 7 a 14); la fossa è colmata con pali e grosse pietre e circondata in superficie da un circolo di pietre del diametro di 30-40 m, all'interno del quale si erge un tumulo di pietre che raggiunge un'altezza di 3-4 m; sul lato occidentale di ogni kurgan si dispongono due o tre file di monumenti commemorativi di pietre, a forma di tumulo o di anello.
La formazione di ghiacci perenni all'interno delle sepolture ha consentito la conservazione, in ottimo stato, di numerosissimi manufatti di legno, pelle, feltro, stoffa, osso, corno, bronzo, ferro, che restituiscono un quadro vivido della cultura materiale e delle credenze dei nomadi altaici; agli stessi ghiacci, che hanno preservato le salme dalla decomposizione, dobbiamo la conservazione degli splendidi tatuaggi che decoravano il corpo dell'uomo sepolto nel Kurgan 2, raffiguranti animali reali e fantastici. I copricapo, le vesti, le calzature, il vasellame, gli oggetti di culto e le armi di Pazyryk sono riccamente ornati con motivi tipici del cosiddetto "stile animalistico". Placchette figurate di legno e di corno, ricoperte di lamine d'oro, decoravano i morsi, i pettorali e le selle dei cavalli. I tappeti e le stoffe sono di provenienza vicino-orientale, centroasiatica, cinese e, in parte, di produzione locale. Provengono sicuramente dal Vicino Oriente le gambe con decorazione tornita di un tavolino di legno rinvenuto nel Kurgan 2; esemplari affini provenienti dagli altri kurgan ne testimoniano un'imitazione locale. Tra i reperti più significativi dal Kurgan 5 si segnala un enorme carro di tipo cinese a quattro ruote, smontato prima di essere collocato nel sepolcro.
Analisi dendrocronologiche hanno permesso a I.M. Zamotorin e L.S. Marsadolov di stabilire che il più antico dei tumuli di Pazyryk è il Kurgan 2, cui seguono il Kurgan 1, il 4, il 3 e il 5, a una distanza rispettivamente di 1-2, 7, 30 e 48-49 anni. Gran parte degli archeologi ritiene che la necropoli di Pazyryk appartenga alla seconda metà del V sec. a.C.; alcuni, tuttavia, hanno proposto un arco cronologico più ampio, compreso tra il VI e il II sec. a.C. Non è escluso che la realizzazione di questo insieme di tumuli monumentali abbia avuto termine in coincidenza dell'entrata della Cina in una nuova fase storica, nota come epoca degli Stati Combattenti (403 a.C.). Una parte dei nomadi altaici, insieme con altri gruppi tribali limitrofi, potrebbe essere migrata nella Cina indebolita dalle lotte intestine.
Bibliografia
M.P. Grjaznov, Pervyj Pazyrykskij kurgan [Il Kurgan 1 di Pazyryk], Leningrad 1950; S.I. Rudenko, Kul´tura naselenija Gornogo Altaja v skifskoe vremja [La cultura delle popolazioni del Gornyj Altai in epoca scitica], Moskva - Leningrad 1953; Id., Frozen Tombs of Siberia. The Pazyryk Burials of Iron Age Horsemen, Los Angeles 1970; L.S. Marsadolov, O posledovatel´nosti sooruženija pjati bol´šich kurganov v Pazyryke na Altae [La successione cronologica dei cinque grandi kurgan di Pazyryk nell'Altai], in Archeologičeskij Sbornik Gosudarstvennogo Ermitaža, 25 (1984), pp. 90-98; Id., Dendrochronologija bol´šich kurganov Sajano-Altaja I tysjačeletija do n.e. [Dendrocronologia dei grandi kurgan del Sajan-Altai del I millennio a.C.], ibid., 29 (1988), pp. 65-81.
di Leonid T. Jablonskij
Cultura del Kazakhstan centrale documentata da necropoli risalenti al periodo compreso tra il VII e il III sec. a.C. M.K. Kadyrbaev, l'archeologo che ha maggiormente contribuito allo studio di questa cultura, ne suddivide lo sviluppo in due fasi.
La più antica (VII-V sec. a.C.) è contraddistinta dalla presenza, nei corredi funerari, di determinate tipologie di oggetti: pugnali di bronzo con pomo a barra o fungiforme e guardia di forma ovale; punte di freccia di bronzo a due alette oppure a tre alette con codolo; morsi con terminazioni a staffa associati con psalia a tre anelli, lavorati in bronzo o in corno; specchi di bronzo di forma discoidale, con bordo in forte rilievo e impugnatura a forma di occhiello al centro della faccia posteriore. Tutti questi reperti mostrano strette analogie con materiali provenienti da siti funerari antico-Saka dell'Asia Centrale, soprattutto Tagisken Sud, Uygarak e Sakar Chaga. La decorazione della maggior parte di essi si ispira al repertorio dello stile animalistico; le raffigurazioni zoomorfe sono concise, ma al contempo relativamente realistiche.
Nella seconda fase (V-III sec. a.C.), accanto alle punte di freccia di bronzo a tre alette compaiono punte di bronzo a tre facce con terminazione a torretta, ma anche punte a tre facce con immanicatura. Nel III sec. a.C. si diffondono punte di freccia di ferro a tre alette con codolo e spade lunghe di ferro. Gradualmente il ferro rimpiazza il bronzo nella realizzazione dei dettagli delle bardature dei cavalli. Scompaiono i morsi con terminazioni a staffa, sostituiti da morsi ad anello. Gli specchi di bronzo hanno ora una superficie liscia e una corta impugnatura laterale; restano tuttavia in uso gli specchi caratteristici della fase precedente, ora decorati sul retro da motivi animalistici. Di tutti questi cambiamenti si possono constatare precisi paralleli nelle necropoli d'epoca antico-Saka dell'area a est del Lago d'Aral (Tagisken Sud) e in quelle sauromatiche e antico-sarmatiche nelle steppe a sud degli Urali tra la fine del VI e il V sec. a.C. Nelle decorazioni, una marcata tendenza verso la stilizzazione e le composizioni a più figure trova confronti in necropoli coeve dell'Altai e del Pamir.
Le necropoli della cultura di T. comprendono in genere 10-15 kurgan, benché siano documentati anche tumuli isolati. I kurgan sono in genere di dimensioni relativamente contenute (diam. fino a 10 m; alt. 20-100 cm). Le inumazioni, sempre singole, sono ospitate in tombe a fossa di forma ovale, coperte da lastre di pietra, che in alcuni casi rivestivano anche il fondo e le pareti della fossa. I defunti erano messi a giacere in posizione supina, con la testa orientata a nord o nord-ovest.
Rinvenimenti tipici nelle tombe maschili sono le applicazioni e le fibbie per cintura di bronzo e gli ornamenti delle vesti, costituiti da perline di forme diverse e placchette d'oro decorate in stile animalistico; nelle sepolture femminili sono frequenti i vaghi di collana. Coltelli di ferro e coti di pietra sono reperti tra i più ricorrenti nelle tombe sia maschili sia femminili. Gli uomini erano provvisti anche di una faretra con frecce, sempre collocata a sinistra del defunto; a destra, all'altezza della cintura, figurava talvolta un pugnale. Come nelle altre necropoli attribuite ai Saka, i corredi delle sepolture femminili di questa cultura includevano specchi di bronzo e piccoli altari di pietra (di rado presenti anche in tombe maschili), di frequente collocati vicino alla testa. In alcuni casi è attestato l'uso di collocare sulle gambe dei defunti teste di cavallo bardate o di montone, avvolte in una pelle di cavallo.
Nella parte settentrionale del Kazakhstan centrale sono note necropoli del V-IV sec. a.C. affini a quelle di T., dalle quali tuttavia si distinguono per alcuni elementi del rituale funerario: i tumuli sono circondati da cerchi di pietre e le tombe, a fossa, sono talvolta del tipo con nicchia laterale sul fondo (podboj); a inumazione avvenuta, questa era chiusa con lastre di pietra o con pali di legno, cui poi veniva dato fuoco, secondo un rituale che trova analogie nei monumenti funerari degli antichi nomadi del sud degli Urali.
Diversamente da quanto si riteneva in passato, i "kurgan coi baffi" ‒ tumuli da cui si dipartono due segmenti di recinzione di pietra ad arco, lunghi fino a 200 m ‒ non sono da ascrivere alla cultura di T., bensì, come dimostrato da scavi recenti, a epoca altomedievale.
Bibliografia
M.K. Kadyrbaev, Pamjatniki tasmolinskoj kul´tury [Monumenti della cultura di Tasmola], in A.Ch. Margulan et al. (edd.), Drevnjaja kul´tura Central´nogo Kazachstana, Alma-Ata 1966, pp. 303-433; M.G. Moškova (ed.), Stepnaja polosa Asiatskoj časti SSSR v skifo-sarmatskoe vremja [La fascia delle steppe nella parte asiatica dell'URSS in epoca scito-sarmatica], Moskva 1992, pp. 130-40; C. Silvi Antonini - K. Bajpakov (edd.), Altyn adam. L'uomo d'oro (Catalogo della mostra), Roma 1999, pp. 40-41, 126-33.
di Leonid T. Jablonskij
I dati archeologici collocano la comparsa delle più antiche popolazioni nomadi nella parte asiatica delle steppe eurasiatiche agli inizi del I millennio a.C. La rapidità con cui gli antichi nomadi, abili cavalieri, potevano spostarsi in territori molto vasti, favorì una sempre più stretta interazione tra gruppi etnici di aree diverse e, talvolta, assai distanti tra loro. Le nuove cognizioni nel campo dell'economia e delle attività produttive si diffusero in maniera celere e promossero un reciproco arricchimento culturale delle genti che ebbero parte in questo fenomeno. La transizione alla vita nomade lascia il primo segno tangibile nella cronaca storica con l'entrata di gruppi nomadici nella scena politica del Vicino Oriente. Gli echi di questi accadimenti sono tramandati dalle Storie di Erodoto, che rendono conto delle campagne militari degli Sciti in Asia Minore, della loro conquista della Media e del loro ritorno nelle sedi ancestrali, ossia le steppe a nord del Mar Nero. È tuttavia verosimile che allevatori e nomadi delle steppe asiatiche fossero entrati in contatto con il Vicino Oriente già prima dei loro omologhi europei.
Le prime tracce letterarie dell'esistenza di tribù nomadi centroasiatiche sono contenute nell'Avesta (Yašt XVII, 55-56), dove si fa riferimento ai "turya dai veloci cavalli". È presumibile che alcune delle tribù così denominate fossero in relazione con le popolazioni agricole stanziali dell'Asia Centrale già nella prima metà del VII sec. a.C. Nella lista dei popoli sottomessi dai re achemenidi Dario e Serse si fa per la prima volta esplicita menzione dei Saka (iscrizioni di Bisutun, VI sec. a.C., e Persepoli, V sec. a.C.). La storia dei Saka e del loro conflitto con i Medi ci è tramandata da Diodoro Siculo, il quale precisa anche che i Saka appartenevano alla tribù degli Sciti, che erano allevatori, che vivevano nelle regioni dell'Asia coltivate a cereali e che erano di origine nomade. Da Ctesia sappiamo delle guerre che opposero i Saka al re persiano Ciro II e che era consuetudine delle donne Saka combattere al fianco dei loro uomini. Senofonte conferma che Ciro sconfisse i Saka. Secondo Erodoto l'etnonimo "Saka" designava gli Sciti che si erano stabiliti in Asia. Arriano e Curzio Rufo riferiscono della resistenza che le tribù nomadi Saka opposero ad Alessandro Magno, quando questi cercò di penetrare nelle steppe dell'Asia Centrale. Gli stessi eventi sono menzionati da Pompeo Trogo. In più di un'occasione Strabone afferma che furono i Saka a sconfiggere Ciro, assalendolo a sorpresa e decimandone le truppe. Flavio Giuseppe menziona i Saka nel contesto dei nomadi che attaccarono la Partia. Polieno descrive le operazioni militari dei Saka ai danni del re achemenide Dario. Tolomeo situa i Saka sulle rive dello Iassarte, a ovest della Sogdiana, riferendo che, diversamente dai Sogdiani, essi non avevano insediamenti e vivevano in foreste e grotte. Ammiano Marcellino conferma che i Saka erano vicini dei Sogdiani e li descrive come una popolazione selvaggia, che non conosceva forme insediative e che abitava territori incolti adatti solo all'allevamento. Erodoto tramanda che i Persiani designavano tutti gli Sciti come Saka, ma Plinio precisa che i Saka erano "tribù scitiche" che vivevano sull'altra sponda dello Iassarte.
Nella letteratura scientifica odierna, il termine "Saka" designa i nomadi e, in generale, gli allevatori che abitavano le regioni steppose dell'Asia Centrale e del Turkestan Orientale (Xinjiang) durante il I millennio a.C. I Massageti, cui gli autori classici fanno frequente riferimento, sono considerati una tribù Saka localizzata nelle regioni occidentali dell'Asia Centrale, in particolare l'area prospiciente il Mar Caspio e il Lago d'Aral. I Saka non hanno lasciato una tradizione scritta autoctona, pertanto l'analisi storica si basa sulle notizie frammentarie contenute nelle fonti succitate. Le indagini archeologiche nei siti dell'età del Ferro nella parte occidentale delle steppe eurasiatiche (la regione a nord del Mar Nero) ebbero inizio nel XIX secolo. I sensazionali tesori restituiti dai "kurgan regali" scitici richiamarono l'interesse di un vasto pubblico, guadagnando agli Sciti un'ampia notorietà. Le steppe orientali, al contrario, sono rimaste più a lungo un'ampia lacuna nella carta archeologica dell'Asia. Solo alla fine degli anni Venti del XX secolo furono organizzate le prime spedizioni archeologiche nella parte asiatica della fascia delle steppe. Fu accertato che in queste regioni un'economia basata sull'allevamento si consolidò tra il XIV e l'XI sec. a.C., arco cronologico cui datano i primi esempi di bardature di cavalli. Verso la fine di questo periodo, forse in conseguenza di cambiamenti climatici, un tipo di economia basato sull'allevamento pastorale si diffuse ampiamente nel territorio delle steppe e fecero la loro comparsa i primi manufatti di ferro. È nella stessa epoca che l'etnonimo "Saka" compare nelle fonti scritte.
Gli aspetti cronologici relativi alle fasi formative delle culture archeologiche attribuite ai Saka sono ancora oggetto di dibattito. Alcuni studiosi ritengono che le più antiche si possano datare già al IX - inizi VIII sec. a.C., ma sembra più ragionevole ritardarne la comparsa alla fine dell'VIII o agli inizi del VII sec. a.C. L'analisi dei materiali archeologici mostra che i Saka non costituivano una comunità omogenea, né culturalmente né antropologicamente. Le specifiche condizioni delle differenti nicchie ecologiche dell'Asia Centrale (steppe, deserti, semideserti, valli fluviali e aree premontane) determinarono modi di vita altrettanto peculiari e, quindi, marcate differenze nella cultura materiale e nelle tradizioni pertinenti all'ambito rituale.
Un'ampia parte dell'Asia Centrale è occupata da deserti che, a nord e a est, sfumano in zone semidesertiche e, infine, nelle steppe. La fascia delle steppe non ha mai avuto confini stabili; l'alternanza di periodi umidi e periodi secchi è stata di frequente causa di oscillazioni della sua estensione verso nord o verso sud. Parte dei popoli che abitavano il Kazakhstan centrale, settentrionale e occidentale era costituita da nomadi stricto sensu, che allevavano, cioè, ovini, cammelli e cavalli, praticando trasferimenti stagionali, anche di lungo raggio, lungo una direttrice est-ovest e viceversa. L'instabilità della situazione ecologica ebbe un impatto diretto sui sistemi economici delle genti che occupavano questa regione. I siti archeologici appartenenti alla cultura di Majemir (VII-V sec. a.C.) sono riferibili a gruppi nomadi "autentici", ossia a tribù che non conoscevano alcuna forma di insediamento stabile. L'acqua necessaria agli armenti era fornita dai piccoli fiumi che attraversano le steppe del Kazakhstan centrale e orientale. Dai numerosi kurgan della cultura di Tasmola sin qui indagati provengono due tipi di punte di freccia di bronzo ‒ con immanicatura e con peduncolo, combinazione tipica delle culture Saka ‒ databili al VII-V sec. a.C. Tra gli altri reperti figurano pugnali di bronzo, finimenti di cavallo (morsi, guanciali, anelli per il passaggio di cinghie, guarnizioni di briglie o del coronamento della testa, diverse placche e borchie decorative).
I riti funerari dei Saka del Kazakhstan orientale differiscono in modo significativo da quelli delle regioni centrali. I grandi kurgan della valle di Chilikta misuravano dai 20 ai 100 m di diametro e dagli 8 ai 19 m di altezza. I tumuli erano composti da strati alternati di terra e pietrisco e la loro superficie era ricoperta da grosse pietre. Il perimetro esterno dei tumuli era circondato da recinti di lastre di pietra. Il vano sepolcrale era solitamente di pianta quadrata ed era accessibile tramite un dromos. Il costume dei capi era impreziosito da lamine d'oro cucite o da piastre con decorazione punzonata di forma triangolare o romboidale; altre placche sono ornate da motivi zoomorfi (uccelli, felini, cinghiali, aquile). Le tecniche di lavorazione, che includono l'incrostazione e la granulazione, testimoniano della maestria degli artigiani. È inoltre frequente il rinvenimento di vaghi di forme e materiali diversi (cornalina, turchese, pasta vitrea, bronzo e oro).
La presenza di fertili valli nella parte meridionale e di pascoli alpini sulle montagne offriva in questa regione la possibilità di praticare l'allevamento con trasferimenti stagionali di tipo "verticale". L'alto corso del Sir Darya irriga la valle del Ferghana; oltre a questo, altri grandi fiumi bagnano la regione orientale dell'Asia Centrale (Ili, Chu, Talas, Kizilsu) e la fertile regione del Kazakhstan meridionale, nota come Semireč´e ("Sette fiumi"), nella quale vi sono, inoltre, grandi laghi, come il Balkhash e l'Issik Kul. Molti fiumi minori, tuttavia, non raggiungevano i laghi, ma scomparivano tra le sabbie delle pianure (ad es., Zerafshan, Sanzar, Tejen, Murghab, Sarisu e Chu). Contrariamente a quello che potrebbe far credere la sua cultura materiale (molto affine a quella dei nomadi), la popolazione locale non adottò mai il nomadismo. Si stima che nel Semireč´e siano stati scavati circa 1000 kurgan risalenti al I millennio a.C. I più antichi siti attribuibili ai Saka datano all'VIII-VII sec. a.C. Le sepolture sono riconducibili a tre tipi principali: semplice tomba a fossa, fossa con nicchia laterale sul fondo e cista di pietra. Nel Semireč´e i tratti peculiari della cultura Saka si sono preservati a lungo. È in questa regione, per la precisione nella necropoli di Issik, che è stata ritrovata la sepoltura del cosiddetto Uomo d'Oro, così ribattezzato per la ricchezza del suo costume e del corredo di accompagno (V-IV sec. a.C.).
I due maggiori corsi d'acqua dell'Asia Centrale si riversano nel Lago d'Aral formando ampi delta che nell'antichità offrivano condizioni favorevoli all'insediamento di comunità di allevatori. Bovini, ovini e cavalli traevano nutrimento da pascoli di superficie relativamente limitata; le comunità di allevatori stanziate nelle zone dei delta, ai margini delle oasi agricole, conducevano vita sedentaria. I Saka erano allevatori seminomadi, possedevano insediamenti stabili e nei loro spostamenti non percorrevano distanze superiori ai 150 km.
Un altro delta, ormai secco, si trova tra il Sir Darya e il letto prosciugato dell'Inkar Darya. La piana alluvionale formata dal Sir Darya, delimitata a ovest dal Lago d'Aral e a sud dalle sabbie del Kizil Kum, è attraversata da una rete di antichi letti fluviali, che scorrevano sia da nord verso sud sia da est verso ovest. Siti della prima età del Ferro sono stati individuati lungo le rive dell'Inkar Darya; oltre 100 sepolture a kurgan sono state scavate nelle necropoli di Tagisken Sud e Uygarak (VIII-V sec. a.C.). In entrambe si osservava il medesimo rituale: il defunto era deposto in superficie o in una tomba a fossa. L'inumazione era di gran lunga prevalente sull'incinerazione (testimoniata a Tagisken Sud). I tumuli raggiungevano i 30-40 m di diametro. I materiali archeologici evidenziano contatti culturali con le regioni orientali dell'Eurasia, ma altrettanto palesi sono i legami con le popolazioni delle steppe a sud degli Urali.
Nel delta dell'Amu Darya sono stati indagati insediamenti e necropoli attribuibili alla cultura Saka (fine VIII-VII sec. a.C.). Sulla base del rituale funerario si distinguono nettamente due gruppi di necropoli. Uno di essi, in parte rappresentato dal cimitero di Tumek Kichijik, è caratterizzato da tombe a fossa stretta e poco profonda, nelle quali i defunti erano messi a giacere in posizione supina con braccia e gambe distese e testa orientata a ovest; nell'altro gruppo di necropoli (ad es., Sakar Chaga) è attestata sia la cremazione in strutture funerarie superficiali sia l'inumazione (singola o multipla) in fosse ampie e profonde. Il primo gruppo mostra affinità con le sepolture dell'area sud-uralica risalenti all'ultima fase della cultura Srubnaja; il secondo non si differenzia dai cimiteri Saka dell'area del Sir Darya. È nel delta dell'Amu Darya che, evidentemente, si deve situare il limite occidentale delle culture di tipo Saka.
I dati archeologici indicano che anche quest'area era abitata da gruppi etnici di tipo Saka. Sepolture singole e multiple sono state riportate alla luce in kurgan di pianta circolare o rettangolare. Vi era praticata sia la cremazione sia l'inumazione; in quest'ultimo caso il defunto era steso in posizione supina, con le braccia e le gambe flesse. È stato possibile stabilire che alcuni kurgan contenevano i resti di cadaveri cremati altrove. Le sepolture hanno restituito punte di freccia di tipo Saka e manufatti decorati in stile animalistico.
Intorno alla metà del I millennio a.C. diviene particolarmente marcata la differenziazione tra i diversi gruppi tribali Saka, che rispecchia la diversità dei rispettivi processi formativi. Le antiche tradizioni rimasero più stabili nelle regioni meno influenzate dalle culture agrarie del Vicino Oriente. Al contrario, i gruppi di allevatori delle aree che si trovarono coinvolte nell'espansione militare e politica degli Achemenidi e, successivamente, dei Greci diedero vita a comunità culturali nuove e originali. La loro economia e la loro cultura furono condizionate dall'interazione con gli agricoltori delle oasi centroasiatiche. È verosimile che nella seconda metà del I millennio a.C. il grado variabile di diversificazione culturale sia da porre all'origine della formazione delle nuove comunità tribali nomadiche di cui troviamo testimonianze nelle fonti classiche.
bibliografia
B. Litvinskij, Eisenzeitliche kurgane zwischen Pamir und Aral-See, München 1984; J. Davis-Kimball - V. Bashilov - L. Yablonsky (edd.), Nomads of the Eurasian Steppes in the Early Iron Age, Berkeley 1995.
di Boris A. Litvinskij
Fortezza nell'attuale delta del fiume, sulle sponde dell'antico letto del Jani Darya. È considerata il sito guida di una cultura cui è attribuito un gruppo di monumenti scoperti e classificati, a partire dal 1946, dalla Spedizione Archeo-etnografica della Chorasmia, guidata da S.P. Tolstov.
La cultura di Ch.R. sembra si sia articolata in tre fasi successive, tra il V-IV e il II sec. a.C.; dal punto di vista etnico, essa viene riferita a gruppi tribali di stirpe iranica, probabilmente i Daha delle iscrizioni achemenidi e delle fonti classiche. Scavi estensivi effettuati dal 1957 al 1960 riportarono alla luce altri siti (in alcuni casi fortificati) e sepolture, distribuiti in una vasta area che presenta condizioni congeniali all'allevamento nella parte settentrionale (dove sono stati individuati solo piccoli insediamenti e un numero modesto di monumenti funerari) e all'agricoltura nella parte meridionale, in cui si concentrano i resti archeologici. La popolazione era stanziata in micro-oasi (tra cui quella di Babish Mulla I, che si estendeva per 4 km) alimentate da una rete di canali. Centro di ciascuna di esse era un sito fortificato, il più esteso dei quali è Ch.R.; situato su un'altura, di cui ricopre l'intera superficie (850 × 600 m), esso conserva i resti di diverse cinte murarie, appartenenti a periodi differenti. L'insediamento originario (IV-II sec. a.C.), di pianta ovale, occupava un'area di oltre 40 ha, difesa da un doppio anello di mura (spess. 4,5 m), con galleria interna di tiro e torri quadrangolari con feritoie a punta di freccia. Compresi nel territorio della città erano 6 kurgan (tombe a fossa coperte da un tumulo), mentre nei dintorni sono stati individuati monumenti funerari all'aria aperta.
Si ritiene che Ch.R. fosse originariamente un rifugio fortificato per la popolazione del circondario e che i monumenti funerari fossero connessi al culto dei capi. Anche Babish Mulla I è un sito fortificato e comprende una cittadella quadrata, che copre l'area dell'insediamento originario (100 × 100 m). Le mura, costruite in pakhsā (argilla cruda e paglia), sono rinforzate da torri e presentano feritoie a punta di freccia disposte a ventaglio. Al centro della cittadella e circondato da un muro di difesa si trova un grande edificio, la cui vita si articola in tre periodi. La planimetria segue uno schema notevolmente evoluto ed è caratterizzata dalla presenza di un portico a colonne (ajvan). Peculiarità architettoniche, quali l'aspetto di "torrione", gli ambienti voltati, i passaggi ad arco, ne sottolineano il carattere difensivo. Le volte, semplici o doppie, erano realizzate con mattoni trapezoidali allettati su piani inclinati; sono attestate anche false cupole.
Nelle sepolture a kurgan il tumulo di terra può raggiungere un diametro di 70 m e un'altezza di 4 m. Uno di essi copriva una camera funeraria (7,5 × 7,2 m; prof. 2,5 m) accessibile tramite un dromos stretto e lungo (16,5 m) a gradini. Le pareti e il pavimento erano intonacati e imbiancati. Sia il corridoio sia la camera erano coperti. Sono documentati anche altri tipi di sepolture, caratterizzate da una piattaforma di terra con gradini su un lato e circondata da un fossato. Sui gradini sono stati rinvenuti grandi vasi contenenti inumazioni infantili e, accanto, tombe a fossa di persone adulte in posizione fetale o supina. Un altro gruppo comprende i mausolei all'aperto; se ne conoscono finora circa 40, quasi la metà dei quali è stata oggetto di scavo. Con l'eccezione di due soli esemplari, a pianta quadrata, si tratta di edifici circolari (diam. 18-20 m), in muratura di blocchi di pakhsā e mattoni crudi, che poggiano su un basamento di argilla pressata e sono circondati da un corridoio o un fossato; l'interno è suddiviso rispettivamente in due o quattro vani da un muro diametrale o due perpendicolari, disposti a croce; appartiene a quest'ultima tipologia uno dei mausolei più antichi (IV sec. a.C.), nel sito di Ch.R. (diam. 38,5 m; alt. conservata 8,5 m). Il mausoleo di Babish Mulla I presenta la medesima pianta cruciforme, suddivisa però non da semplici tramezzi, ma da due corridoi perpendicolari. Di particolare interesse è il mausoleo di Balandi 2 (diam. 5,5 m), con copertura a falsa cupola e corridoio esterno suddiviso in otto vani. Le tombe, saccheggiate in antico, hanno restituito solo parte di una corazza di ferro, punte di frecce di bronzo e ferro, ornamenti e un sigillo achemenide di calcedonio. Nel culto funerario un ruolo di primo piano era svolto dal fuoco.
Bibliografia
S.P. Tolstov, Po drevnim del´tam Oksa i Jaksarta [Sugli antichi delta dell'Oxus e dello Iaxarte], Moskva 1962; Id., Sredneaziatskie skify v svete novejšich archeologičeskich issledovanij [Gli Sciti centroasiatici alla luce delle più recenti ricerche archeologiche], in VesDrevIstor, 2 (1963), pp. 35-40; M.G. Moškova (ed.), Stepnaja polosa Aziatskoj časti SSSR v skifo-sarmatskoe vremja [La fascia delle steppe nella parte asiatica dell'URSS in epoca scito-sarmatica], Moskva 1992, pp. 47-61; B.I. Vajnberg - L.M. Levina, Čirikrabatskaja kul´tura [La cultura di Chirik Rabat], Moskva 1993.
di Boris A. Litvinskij
Il Pamir è uno dei sistemi montuosi più alti dell'Eurasia, attualmente diviso tra il Tajikistan orientale (che ne include la gran parte), la Cina (Provincia autonoma del Xinjiang-Uyghur) e l'Afghanistan nord-orientale. Nella parte tagica si distinguono due settori ‒ occidentale e orientale ‒ caratterizzati da diverse condizioni ambientali. Il Pamir orientale, dove si concentra gran parte delle necropoli Saka, è un enorme altipiano che con i suoi 30.000 km2 (altitudine media 3500-4500 m s.l.m.) corrisponde a un terzo dell'intera superficie del sistema montuoso.
Le prime attività archeologiche in questa regione sono legate al nome di A.N. Bernštam (1910-56) che, nella seconda metà degli anni Quaranta e nella prima metà degli anni Cinquanta, indagò soprattutto le necropoli dei Saka, scavando circa 60 kurgan e aree di culto. Le ricerche furono continuate da B.A. Litvinskij negli anni 1958-59 e 1960-61. L'insieme di queste attività ha portato alla scoperta di oltre 260 tra tumuli funerari e aree di culto.
Le necropoli si concentrano nelle valli fluviali in prossimità dei laghi e sono particolarmente numerose nell'angolo sud-orientale del Pamir orientale. Di frequente comprendono un numero esiguo di sepolture (3-5), non mancano tuttavia cimiteri più vasti, quali Akbeit (oltre 100 kurgan), Pamirskaja I (18), Mojutash (20). Le tombe presentavano in genere un basso tumulo di pietra a pianta circolare od ovale, più di rado approssimativamente rettangolare (alt. 0,3-1,35 m; diam. 3-12 m). Il tumulo è circondato da uno o due recinti di pietre; in alcuni casi un circolo interno di pietre sovrasta la fossa. I recinti erano realizzati con grandi pietre conficcate di taglio; massi di dimensioni maggiori (da 1 a 3) sovrastavano gli altri lungo i margini del perimetro del tumulo oppure erano collocati agli angoli. Le fosse erano rettangolari od ovali, profonde 0,5-1 m (di rado fino a 1,5 m); talvolta erano foderate da lastre di pietra oppure contenevano una cassa di pietra. La copertura era di solito realizzata con tavole o pali, raramente con lastre di pietra. Più di frequente la salma era messa a giacere sul fianco, in posa rannicchiata, con le gambe fortemente piegate. Le sepolture erano in genere singole, tuttavia alcune fosse contenevano due o tre inumazioni su livelli sovrapposti. In alcuni casi gli scheletri conservavano resti di ocra rossa; in una tomba è stato rinvenuto un corredo di strumenti per l'accensione del fuoco. Sugli occhi di alcuni inumati erano state poste grandi valve di conchiglie con foro centrale. La maggior parte delle salme aveva la testa orientata verso est. Oltre alle sepolture propriamente dette, le necropoli hanno rivelato un ingente numero di cenotafi (fino a un terzo del totale dei monumenti funerari).
Notevolmente diversificata è la gamma di oggetti che compongono i corredi funerari. Particolarmente variegata è la ceramica, costituita da forme a fondo sferico, e molto ricco è l'inventario delle armi, che include reperti unici. Sono state rinvenute punte di freccia in bronzo, di forme diverse, di ferro o legno di forma originale. È significativa la presenza dei tipici pugnali Saka (akinakes), alcuni dei quali, da parata, sono parzialmente lavorati in oro con decorazioni in stile animalistico; inoltre alcune tipologie di armi (una serie di martelli da combattimento, scudi, ecc.) sono finora attestate solo nelle necropoli del Pamir. Degni di nota sono, infine, le caldaie di rame in miniatura con raffigurazioni di grifone e muflone, i numerosi ornamenti, tra cui si distinguono i manufatti di bronzo in stile animalistico e i vaghi di sardonica di origine indiana.
Due tumuli della necropoli di Kizil Rabat hanno restituito materiali risalenti al Bronzo Tardo delle steppe (X-VIII-VII sec. a.C.). I più antichi kurgan attribuibili ai Saka si datano al VII-VI sec. a.C. e formano un gruppo piuttosto consistente. Tuttavia la gran parte dei tumuli scavati si colloca tra il V e il III sec. a.C.; un numero più esiguo di sepolture risale al II-I sec. a.C.; tra queste le tombe della necropoli di Chil Khona (Pamir occidentale).
Al contesto dei Saka del Pamir orientale è da attribuire anche l'area funeraria di Xiangbaobao (VII-VI sec. a.C.), sul fiume Tashkurgan, in Xinjiang-Uyghur (Cina), ai confini con il Tajikistan, comprendente 17 kurgan e 23 recinti funerari. Necropoli Saka sono state individuate e scavate anche nella valle dell'Alay, a nord-est del Pamir orientale, una depressione di forma allungata, attraversata longitudinalmente dal Kizilsu e ricoperta da un fitto manto erboso.
Il Ferghana è un'ampia conca delimitata a est, nord e sud dalle vette montane del Tian Shan meridionale. Irrigata dal Sir Darya e dai suoi numerosi affluenti, la valle si estende da est a ovest per circa 300 km, con una larghezza massima di 170 km. Le condizioni climatiche sono molto favorevoli all'agricoltura, mentre la presenza di estesi pascoli alpini rende questa valle adatta all'allevamento, in particolare a quello transumante, basato, cioè, su trasferimenti stagionali da monte a valle. Una delle più grandi necropoli Saka è quella di Dasht-i Asht ai piedi del monte Kuramin (Ferghana nord-occidentale). Solo nella sua parte occidentale sono stati individuati oltre 100 kurgan, 80 dei quali sono stati scavati. I tumuli, di pietra, avevano un diametro di 4-12 m e un'altezza di 0,4-0,9 m e coprivano da una a tre tombe a fossa ovale o rettangolare. Le salme giacevano in posizione supina con gli arti distesi, solo in tre casi in posizione rannicchiata. Nei corredi prevale la ceramica, soprattutto ciotole emisferiche o altri vasi a fondo sferico e ricoperti da ingobbio bianco. I confronti più prossimi per il vasellame (di cui solo un decimo è lavorato al tornio) sono offerti dalla necropoli di Aktam. Numerosi i manufatti di bronzo (bracciali, bottoni, anelli, ecc.); di particolare importanza, come punto di riferimento cronologico per l'intera necropoli, è una punta di freccia in bronzo del V-IV sec. a.C. Tra i reperti si contano inoltre oggetti di pietra, ferro e vetro.
Le necropoli del Ferghana meridionale (Aktam, Sufan, Valik, Kungay, Niyazbatir), scavate negli anni Cinquanta del XX secolo da N. Gorbunova, rivelano un'amalgama tra la tradizione dei Saka e quella delle culture agricole indigene. La necropoli meglio indagata è quella di Aktam, costituita da 76 kurgan (solo una piccola parte dei quali appartiene a epoca post-Saka). I tumuli di epoca Saka sono riconducibili a due tipi: kurgan singoli (diam. 3-5 m; alt. 0,5 m) e kurgan ‟lunghi", costituiti cioè da una fila di tumuli di dimensioni variabili (da 6 × 3 m a 74 × 4 m) accostati tra loro. La necropoli comprendeva 49 kurgan singoli (scavati 21) e 13 "lunghi" (scavati 10). Le sepolture erano effettuate in tombe a fossa profonde da 0,2 a 0,7 m; al di sotto dei kurgan "lunghi" ne erano presenti altre, da 3 a 42. In tutto ne sono state scavate 118. Alcune fosse hanno rivelato una copertura lignea; il defunto giaceva in posizione supina. In molti casi soltanto la parte inferiore dello scheletro era nella posizione originaria, mentre la parte restante è stata rinvenuta in un angolo della fossa o lungo i suoi margini.
I corredi funerari sono composti soprattutto da vasellame, in parte modellato a mano e simile a quello di tradizione Saka (ciotole a fondo sferico), in parte lavorato al tornio (boccali e brocche dall'alto collo, decorati da complessi motivi geometrici), affine alla ceramica della locale popolazione agricola. Le pareti esterne sono dipinte di marrone scuro. Altri materiali degni di nota sono punte di freccia di bronzo, coltelli, anelli e spilloni di ferro, nonché manufatti di pietra e di osso. La necropoli si data tra il VI e il IV sec. a.C.
Bibliografia
A.N. Bernštam, Istoriko-archeologičeskie očerki Central´nogo Tjan´-Šanja i Pamiro-Alaja [Studi storico-archeologici sul Tian Shan centrale e sul Pamir-Alay], Moskva - Leningrad 1952; Id., Saki Pamira [I Saka del Pamir], in VesDrevIstor, 1 (1956), pp. 121-34; B.Z. Gamburg N.G. Gorbunova, Aktamskij mogil´nik [La necropoli di Aktam], in KraSoobInstMatKul, 69 (1957), pp. 78-90; Ju.A. Zadneprovskij, Archeologičeskie pamjatniki južnych rajonov Ošskoj oblasti (seredina I tysjačeletija do n.e. - seredina I tysjačeletija n.e.) [Monumenti archeologici della parte meridionale della regione di Osh], Frunze 1960; N.G. Gorbunova, Kul´tura Fergany v epoche rannego železa [La cultura del Ferghana nella prima età del Ferro], in Archeologičeskij sbornik Gosudarstvennogo Ermitaža, 5 (1962), pp. 91-122; Ju.A. Zadneprovskij, Drevnezemledel´českaja kul´tura Fergany [L'antica cultura agricola del Ferghana], Moskva - Leningrad 1962; B.A. Litvinskij, Drevnie kočevniki "Kryši Mira" [Antichi nomadi del "Tetto del mondo"], Moskva 1971; E.D Saltovskaja, O raskopkach mogil´nika VI-IV vv. do n.e. v severo-zapadnoj Fergane [Scavi di una necropoli del VI-IV sec. a.C. nel Ferghana nord-occidentale], in Archeologičeskie raboty v Tadžikistane, 12 (1976), pp. 48-60; Ju.A. Zadneprovskij, Problemy etničeskoj istorii drevnosti i rannesrednevekovoj Fergany [Problemi di storia etnica nel Ferghana antico e altomedievale], in Istorija i kul´tura gorodov Srednej Azii, Moskva 1976, pp. 49-65; B.A. Litvinskij, Eisenzeitliche Kurgane zwischen Pamir und Aral-See, München 1984; N.G. Gorbunova, The Culture of Ancient Ferghana. VI c. B.C. - VI c. A.D., Oxford 1986; M.G. Moškova (ed.), Stepnaja polosa Aziatskoj časti SSSR v skifo-sarmatskoe vremja [La fascia delle steppe nella parte asiatica dell'URSS in epoca scito-sarmatica], Moskva 1992, pp. 73-100; B.A. Litvinskij, Copper Cauldrons from Gilgit and Central Asia. More About Saka and Dards and Related Problems, in EastWest, 52 (2002), pp. 127-49.
di Leonid T. Jablonskij
La piana alluvionale creata dalle ramificazioni del delta dell'Amu Darya, a sud del lago d'Aral, fu popolata dall'uomo durante il Neolitico; disabitata nell'età del Bronzo per via delle sfavorevoli condizioni climatiche, tornò tuttavia a essere occupata nell'età del Ferro.
Fino agli anni Ottanta del XX secolo si riteneva che il limite occidentale dell'espansione culturale dei Saka fosse da situare nel delta del Sir Darya, dove erano state scoperte e indagate le due necropoli di Uygarak e Tagisken Sud. Successivamente numerose tombe Saka (oltre 100) sono state individuate e scavate anche nel delta dell'Amu Darya (area del Sarikamish). Gran parte di queste sepolture si concentra sulla collina di S.Ch. e si data tra l'VIII e la metà del VII sec. a.C. L'esistenza di insediamenti correlati con questi cimiteri prova che la popolazione locale conduceva vita semistanziale, benché traesse il sostentamento principalmente dall'allevamento.
I dati archeologici e antropologici inducono ad attribuire le sepolture a due distinti gruppi etnici. Uno di questi praticava esclusivamente l'inumazione in tombe a fossa, strette e poco profonde, ove il defunto veniva deposto in posizione supina, con braccia e gambe distese e con il capo orientato a ovest o, più di rado, in posizione fetale. Nessuna di queste sepolture conteneva armi o manufatti decorati in stile animalistico. I confronti più pertinenti per il rituale funerario sono forniti dalle steppe tra l'Ural e il Volga nella tarda età del Bronzo (IX-VIII sec. a.C.). Il secondo gruppo praticava sia l'inumazione sia l'incinerazione; in entrambi i casi la deposizione avveniva all'interno di una struttura lignea circolare allestita in superficie oppure, ma meno di frequente, in fosse profonde circa 3 m. Al di sopra della camera funeraria o della fossa veniva poi eretto un tumulo di terra (kurgan). In alcune delle tombe a fossa sono state rinvenute buche di palo agli angoli; la loro funzione, tuttavia, sembra fosse meramente simbolica, data l'assenza di resti lignei. Nelle sepolture all'aperto il cadavere era collocato in posizione supina su un giaciglio di sterpi o di canne con braccia e gambe distese e con il capo rivolto a ovest. L'area funeraria veniva poi delimitata da un cerchio di pali conficcati nel terreno (a volte solo quattro, a delimitazione di uno spazio rettangolare). Infine si dava fuoco sia al cadavere sia all'intera struttura funeraria.
Le pratiche funerarie attestate a S.Ch. mostrano affinità con la tradizione dei Saka che abitavano la parte orientale delle steppe (Kazakhstan). Anche la composizione dei corredi funerari e, soprattutto, i tipi di punta di freccia testimoniano stretti contatti con le popolazioni che abitavano le regioni a est dell'Amu Darya. Diversamente dalle necropoli scitiche, che contengono solo punte di freccia con immanicatura ‒ ma com'è tipico, invece, dell'area centroasiatica ‒ nelle necropoli dell'Amu Darya troviamo punte di freccia sia con immanicatura sia con peduncolo. Molte delle tombe appartenenti al gruppo in esame contenevano ricchi corredi comprendenti anche armi (punte di freccia di bronzo e spade di ferro) e bardature di cavalli. Alcuni di questi manufatti erano decorati da motivi appartenenti al repertorio dello stile animalistico. Particolarmente degno di nota è il Kurgan 23 del Cimitero 6, che ospitava la salma di un guerriero Saka, accompagnata da uno splendido corredo di finimenti di bronzo: un morso, un paio di guanciali, cinghie, placche di una cinghia, un elemento decorativo delle briglie a forma di crescente. Inoltre, sono state rinvenute fibbie lavorate a forma di felini ("pantere"), molto simili a esemplari dalla necropoli di Uygarak; altre riproducevano animali fantastici che non hanno finora trovato confronti in altri siti della cerchia culturale Saka.
In conclusione, agli inizi del I millennio a.C. gruppi di allevatori provenienti da varie regioni delle steppe asiatiche (parlanti, secondo alcuni studiosi, una lingua iranica) migrarono nel delta dell'Amu Darya. Dall'interazione di queste genti nacquero nuove comunità culturali, accomunate da lingua e modi di vita simili, ma eterogenee da un punto di vista etnico e portatrici ciascuna di uno specifico retaggio storico e ambientale. Nel delta dell'Amu Darya, ad esempio, gli allevatori semistanziali ‒ i Massageti di Erodoto ‒ costituirono la principale componente etnica del potentato della Chorasmia.
Bibliografia
L.T. Yablonsky, Burial Place of a Massagetan Warrior, in Antiquity, 64 (1990), pp. 288-96; Id., Saki Priaral´ja [I Saka dell'Aral], Moskva 1996.
di Ciro Lo Muzio
La penetrazione di allevatori transumanti e nomadi nelle regioni a vocazione agricola dell'Asia Centrale meridionale, e la loro permanenza più o meno prolungata ai margini delle oasi più fiorenti, è un fenomeno che ha inizio con l'immigrazione di gruppi andronoviani nella tarda età del Bronzo (seconda metà del II millennio a.C.) e rimarrà una costante nella storia di queste terre.
La presenza di comunità nomadiche ai margini delle oasi di Samarcanda e Bukhara, i due più importanti centri urbani dell'antica Sogdiana, diventa particolarmente consistente nei secoli a cavallo dell'era cristiana, soprattutto a partire dal II sec. a.C. In quest'epoca l'Asia Centrale è attraversata da flussi migratori che hanno come punto di partenza i confini della Cina (più precisamente i possedimenti degli Xiongnu), a est, e la regione sarmatica (ossia l'area tra il Mar Caspio e gli Urali), a ovest, e coinvolgono, in una dinamica di reazioni a catena, popoli diversi. Alcune di queste etnie raggiunsero il limite meridionale dell'Asia Centrale, ossia la Battriana; da una di esse, gli Yuezhi, ebbe origine la dinastia dei Kushana. Altre avevano terminato il loro viaggio più a nord, cioè, come si è detto, in Sogdiana.
Nell'oasi di Bukhara necropoli a kurgan sono state localizzate e indagate soprattutto nell'area prospiciente la riva sinistra dello Zerafshan, in parte all'interno, in parte al di là del Kampir Duval, l'antica cinta muraria eretta a difesa dell'oasi, della quale non sopravvivono oggi che alcuni tratti. Le indagini archeologiche, iniziate nel 1952 e protrattesi, sotto la guida di O.V. Obel´čenko, fino al 1977, si concentrarono dapprima sui cimiteri di Kuyu Mazar e Lyavandak. Negli anni successivi si estesero alle aree funerarie di Kizil Tepa, Shahr-i Vayron e Hazara. Altre necropoli furono scavate a nord di Navoi (Kalkansai) e a ovest del sito altomedievale di Varakhsha (Bash Tepe). Sulla base delle tipologie sepolcrali e dei corredi, i kurgan dell'oasi di Bukhara sono stati ripartiti in tre gruppi cronologici.
Tutte le tombe a fossa semplice si collocano tra il VII e il III sec. a.C.; il secondo gruppo, costituito da sepolture a catacomba (cioè a camera ipogea con corridoio di accesso), a pozzo con nicchia laterale e, in esigua percentuale, a fossa semplice, è datato tra il II sec. a.C. e il I d.C.; le tombe del terzo gruppo (II-VII sec. d.C.) si differenziano da quelle del gruppo precedente essenzialmente per i corredi e per alcuni aspetti del rituale funerario. L'inumazione è il rito di gran lunga dominante in tutte le necropoli. Nei corredi è la ceramica ad avere un ruolo preponderante; fatta eccezione per una modesta quantità di esemplari, modellati a mano, il vasellame è lavorato al tornio ed è di buona fattura. Brocche e ciotole sono le forme maggiormente rappresentate, non mancano tuttavia boccali, bicchieri, tazze e le tipiche fiasche emisferiche (mustahara). Se i pochi vasi modellati a mano testimoniano di una pur modesta produzione ceramica all'interno della comunità nomadica, il vasellame lavorato al tornio era prodotto dagli artigiani delle oasi. Nel repertorio formale sono evidenti gli echi di modelli di origine ellenistica, che in Asia Centrale goderono di una certa diffusione anche nei secoli successivi alla caduta del regno greco di Battriana; alcune forme, invece, trovano confronti nella produzione ceramica dell'area di Tashkent (l'antico Chach), in particolare nella cultura di Kaunchi.
Benché non di frequente, i defunti di sesso maschile potevano essere accompagnati da armi; oltre a punte di freccia e pugnali, si segnalano alcune spade lunghe di tipo sarmatico (Kizil Tepa, Kuyu Mazar e Lyavandak).
Le indagini condotte da Obel´čenko nelle necropoli a kurgan nei dintorni di Samarcanda (Agalik, Akjar, Mirankul, Sazagan) sono state meno estese che nell'oasi di Bukhara; in gran parte depredate, le tombe hanno inoltre fornito una quantità di dati più esigua. Tre kurgan con tombe a fossa (due ad Agalik, una ad Akjar) sono stati datati al IV sec. a.C. in base a confronti (forse non sufficientemente indicativi, sotto il profilo cronologico) con la cultura antico-sarmatica di Prochorovka; una tomba con nicchia laterale (podboj) di Akjar risalirebbe al II-I sec. a.C., tutte le altre sepolture, prevalentemente del tipo a catacomba (con camera funeraria disposta perpendicolarmente rispetto al dromos), in percentuale minore a fossa semplice, si collocherebbero tra il II e il IV sec. d.C. Come nell'oasi di Bukhara, la ceramica è per la maggior parte lavorata al tornio; le forme prevalenti sono le brocche, le olle e le fiasche (mustahara).
Scavi condotti nei primi anni Ottanta nell'area di Miankal, 20 km circa a nord-ovest di Samarcanda, sotto la conduzione di G.A. Pugačenkova, hanno portato alla scoperta della necropoli di Orlat, poco distante dall'insediamento fortificato di Kurgan Tepe. Le tipologie sepolcrali sono quelle consuete (catacomba, podboj e tomba a fossa semplice), ma appaiono qui meno standardizzate. Per il rituale funerario e per i corredi che accompagnavano i due inumati il Kurgan 2 è particolarmente degno di nota. La sepoltura, del tipo a catacomba con camera funeraria in asse con il dromos, accoglieva le salme di un uomo e di una donna; l'ingresso alla camera era sigillato da mattoni crudi e dinanzi a esso, ma nel dromos, sono state ritrovate le salme di due cani giacenti di fianco in posizione affrontata. I corredi includevano una spada lunga di tipo sarmatico con guardia di nefrite, un passante per cinturone, anch'esso di nefrite, appartenente al fodero della spada, elementi in osso di un arco composito e un piccolo corredo di placche d'osso (probabilmente appartenenti a una cintura) decorate a incisione. Due di queste placche, le più grandi, sono rispettivamente decorate da una scena di combattimento tra guerrieri corazzati e da una scena di caccia. Di grande interesse iconografico e stilistico, i due reperti hanno suscitato un vivace dibattito soprattutto per quanto riguarda la loro controversa cronologia. Le diverse datazioni proposte spaziano tra il III-II sec. a.C. e il III-IV sec. d.C., che è forse l'ipotesi più ragionevole.
Si segnala infine la scoperta, nel sito di Kok Tepa, 30 km a nord di Samarcanda, di una tomba contenente la salma di una donna di alto rango (ribattezzata dagli scopritori "principessa") inumata con vesti decorate da placchette d'oro; lo specchio cinese che accompagnava la defunta suggerisce una datazione tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.
Bibliografia
M.G. Moškova (ed.), Stepnaja polosa Aziatskoj časti SSSR v skifo-sarmatskoe vremja [La fascia delle steppe nella parte asiatica dell'URSS in epoca scito-sarmatica] Moskva 1992, pp. 107-10; O.V. Obel´čenko, Kul´tura antičnogo Sogda [La cultura della Sogdiana antica], Moskva 1992; K.A. Alimov - G.I. Bogomolov, Kvoprosu ob etnokul´turnych svjazjach kočevnikov Buchary i Čača [Sui legami etnoculturali dei nomadi di Bukhara e del Chach], in IstMatKulUzbek, 31 (2000), pp. 164-77. Sulla necropoli di Orlat: G.A. Pougatchenkova, L'image du K'ang-Kiu dans l'art sogdien, in G. Gnoli (ed.), Orientalia Iosephi Tucci Memoriae Dicata, Roma 1988, III, pp. 1143-158; G.A. Pugačenkova, Drevnosti Miankalja, Tashkent 1989; C. Rapin, La tombe d'une princesse nomade à Koktepe près de Samarkand, en collaboration avec M. Isamiddinov et M. Khasanov, in CRAI, 2001, p. 33-92.
di Leonid T. Jablonskij
Necropoli nella piana alluvionale del ramificato delta del Sir Darya, a est del Lago d'Aral, 200 km a ovest di Kzil Orda (Kazakhstan). Non lontana dalla omonima necropoli della tarda età del Bronzo (Tagisken Nord), T. Sud fu utilizzata tra la fine dell'VIII e il V sec. a.C. ed è attribuita, come la necropoli di Uygarak (30 km più a est), alla più antica fase della cultura Saka.
A T. Sud i defunti erano deposti o cremati in superficie oppure seppelliti in tombe a fossa; in entrambi i casi la sepoltura (o il luogo in cui era avvenuta la cremazione) veniva ricoperta da un tumulo. I corpi erano deposti supini su giacigli di canne, con il capo orientato a ovest o a sud-ovest, all'interno di una struttura lignea circolare, realizzata con uno o due cerchi concentrici di pali, o, più di rado, rettangolare. L'area circostante era ricoperta da sterpi o canne.
Le tombe a fossa erano in genere di pianta rettangolare (con lati misuranti 1-2 m), orientate sull'asse est-ovest e chiuse da assi di legno, a loro volta ricoperte da canne o ramaglie. In alcuni casi la tomba era circondata da un piccolo solco, anche questo coperto da strati di canne. Una variante di questo tipo di sepolture è rappresentata dalle tombe a fossa circondate da un basso cerchio di terra; un solco poco profondo, riempito di sterpi, delimitava il tumulo. Anche sul fondo delle tombe erano scavati solchi perimetrali, cosicché il defunto giaceva su una sorta di piattaforma di terra. Alcune tombe hanno rivelato buche di palo agli angoli, che tuttavia non conservavano resti lignei; alcune di esse, anzi, utilizzate come ricettacoli per oggetti di corredo, erano poi ricoperte dal giaciglio su cui poggiava la salma. Si tratta evidentemente della sopravvivenza di un'antica tradizione, di cui tuttavia era andata perduta l'originaria funzione. In molti casi le costruzioni lignee allestite al di sopra delle deposizioni in superficie venivano date alle fiamme (estinte, tuttavia, prima che potessero toccare la salma). I kurgan di epoca più recente (seconda metà del VI - inizi del V sec. a.C.) erano caratterizzati da tombe a fossa rettangolare e profonda (2-2,5 m), talvolta accessibili dal lato sud-est tramite un passaggio (dromos), lungo tra i 5 e i 12 m; sia la tomba sia il passaggio erano ricoperti da assi di legno.
Nei corredi ricorrono tutti gli elementi peculiari della cosiddetta "triade scitica": armi (punte di freccia di osso o di bronzo, sia con immanicatura sia con codolo, spade lunghe di ferro, pugnali), bardature di cavalli (morsi, psalia, elementi di cinghie e fibbie di briglie) e ornamenti in "stile animalistico". I soggetti di tali decorazioni sono uccelli, leoni, pantere, lupi, cinghiali, capre, leopardi delle nevi e cavalli, questi ultimi associati presso i Saka con il culto solare, cui alludono anche altri simboli ricorrenti nel repertorio decorativo (in particolare, il cerchio inscritto in un quadrato). Sono presenti inoltre oggetti legati al culto (coppie di lunghi coltelli di bronzo, altari di pietra, piccoli cucchiai d'osso e specchi di bronzo, indispensabili attributi delle sepolture femminili) e ceramica modellata a mano che mostra analogie con il vasellame proveniente da altri siti funerari Saka dell'Asia Centrale.
Le strutture sepolcrali e alcuni elementi del rituale funerario di T. Sud mostrano affinità con i mausolei del Bronzo Tardo riportati alla luce a Tagisken Nord: il motivo del cerchio inscritto in un quadrato e altri aspetti rituali inducono a ipotizzare che i gruppi che utilizzarono queste due necropoli professassero credenze religiose di tradizione indo-iranica. Non meno numerosi, tuttavia, sono i punti di contatto tra la necropoli antico-Saka di T. Sud e le tradizioni funerarie degli Sciti e dei Sauromati (soprattutto nell'area a sud degli Urali). La necropoli offre infine i più antichi esempi centroasiatici di deformazione craniale artificiale.
T. Sud, dunque, consente di includere il litorale orientale dell'Aral nell'area di diffusione della cultura Saka, e testimonia di una rete di rapporti culturali che univano le popolazioni locali con regioni diverse, sia a est sia a ovest.
Bibliografia
M.A. Itina - L.T. Jablonskij, Saki Nižnej Syrdar´i (po materialam mogil´nika Južnyj Tagisken) [I Saka del basso Sir Darya, in base ai materiali della necropoli di Tagisken Sud), Moskva 1997.
di Leonid T. Jablonskij
Necropoli nella regione del basso Sir Darya, in Kazakhstan (a est del Lago d'Aral, a 150 km dalla città di Kzil Orda), comprendente 80 sepolture a kurgan, 70 delle quali sono state oggetto di scavo archeologico.
Vi sono rappresentate diverse tipologie sepolcrali: 1) grande fossa quadrata o rettangolare (39,4%), che può essere semplice, con buche di palo agli angoli (tuttavia prive di resti lignei al loro interno) o con solco lungo il perimetro del fondo della fossa; 2) strette fosse rettangolari od ovali (18,3%); 3) sepolcri allestiti in superficie (42,3%). Quest'ultimo tipo è presente in diverse varianti: a) con leggera struttura lignea rettangolare o circolare, al centro della quale era una camera funeraria rettangolare delimitata da quattro pali; b) sepoltura delimitata da un circolo di buche, simulante l'esistenza di una costruzione lignea (le buche non presentano tracce di pali); c) sepolture in superficie senza alcuna struttura lignea; in tali casi il cadavere veniva ricoperto da ramaglie cui si dava fuoco. Tranne che nelle sepolture di infanti, il fondo della sepoltura era coperto di canne. Alcune tombe a fossa avevano una copertura di pali ricoperti di canne. Le salme erano in genere deposte in posizione supina con braccia e gambe distese e capo orientato a ovest. Nei casi in cui veniva osservato il rituale dell'incinerazione, l'intera costruzione lignea era data alle fiamme insieme alla salma. Non vi sono tracce di utilizzo rituale del fuoco nelle tombe a fossa stretta.
I tumuli erano distribuiti in tre gruppi: orientale, centrale e occidentale. Le inumazioni e le incinerazioni eseguite in superficie sono tipiche del primo gruppo (62,5%) e si datano tra la fine dell'VIII e il VI sec. a.C. Caratteristica del gruppo orientale è inoltre la presenza di altari di pietra nelle sepolture femminili, mentre le armi sono presenti nelle due sole inumazioni maschili. Le tombe del gruppo centrale sono in gran parte del tipo a fossa rettangolare con buche di palo agli angoli (51,6%); con una sola eccezione, anche queste si datano tra la fine dell'VIII e il VI sec. a.C., arco temporale in cui si collocano anche le sepolture superficiali (33,3%). Gran parte dei manufatti decorati in stile animalistico proviene da questo gruppo; la metà delle tombe femminili conteneva bardature di cavalli. Nel gruppo occidentale, la metà delle tombe maschili è a fossa stretta, meno del 30% in superficie, le restanti a fossa quadrata grande con solco perimetrale sul fondo. Soltanto una tomba femminile conteneva bardature di cavalli. Nessuna delle sepolture del gruppo occidentale è posteriore al VI sec. a.C.
È possibile che la necropoli fosse utilizzata da tre famiglie diverse, anche se forse appartenenti alla medesima stirpe. Il rituale funerario più arcaico, originario dell'età del Bronzo, è quello rappresentato dal gruppo orientale (allestimento funerario in superficie connesso con l'incinerazione). La funzione sacerdotale, per lo meno in ambito domestico, sembra fosse prerogativa femminile. Le grandi dimensioni e la presenza di armi nei corredi di accompagno (che includevano anche mazze, asce-pugnali e coltelli rituali di bronzo) ascrivono le tombe a fossa quadrata del gruppo centrale all'élite, in particolare ai capitribù, che incarnavano sia la funzione militare sia quella sacerdotale a livello tribale. Le tombe del gruppo occidentale appartenevano allo strato più modesto della comunità.
Le vesti e i copricapi dei defunti erano decorati da perline di vetro e di pietre dure. Le donne erano adorne di bracciali di bronzo, ferro e argento, gli uomini di orecchini d'oro di diverse fogge. Le bardature di cavalli, sostituto simbolico dell'animale, sono presenti in tombe sia femminili sia maschili. Sono invece prerogativa maschile le armi: punte di freccia di bronzo con immanicatura o con codolo (a volte solo pochi esemplari a destra della salma), più di rado pugnali di ferro o di bronzo e coltelli di ferro sempre associati con coti. Macine e fuseruole, nonché corredi da toeletta, sono reperti comuni nelle sepolture femminili. Un significato particolare era annesso agli specchi di bronzo e agli altari di pietra. La ceramica include vasi modellati a mano e al tornio; questi ultimi (con ingobbio rosso e grigio) provenivano dalla Margiana e dal Dahistan (tardo VIII - inizi VI sec. a.C.). La popolazione basava la propria economia sull'allevamento; la lavorazione della ceramica e dei tessuti era compito delle donne (le fuseruole figurano più di frequente nelle tombe femminili), quella degli oggetti di pelle, pietra, osso e metallo era riservata agli uomini. L'uso di una pietra locale per gli altari denuncia una produzione autoctona, così come lo era gran parte delle bardature di cavalli, inclusi gli elementi decorati in stile animalistico. La presenza di questa categoria di reperti nelle inumazioni femminili induce a ritenere che anche le donne andassero a cavallo e che partecipassero alla vita militare.
La necropoli di U. appartiene indubitabilmente alla sfera delle culture Saka. I confronti più pertinenti, sotto il profilo dei riti funerari e dei corredi, sono offerti da altri cimiteri Saka coevi situati nell'area dell'Aral (Tagisken Sud e Sakar Chaga). Non meno numerose sono le affinità rintracciabili nei materiali provenienti dalle necropoli dell'Altai e delle regioni orientali dell'Asia Centrale. Diverse caratteristiche tipiche della necropoli di U. (le tombe con buche di palo agli angoli o con solco perimetrale sul fondo, la cremazione e l'utilizzo rituale del fuoco, l'orientamento a ovest delle salme) sono state riscontrate nella non lontana, ma più antica, necropoli di Tagisken Nord (tarda età del Bronzo, IX - inizi VIII sec. a.C.); le notevoli differenze nei tipi di manufatti restituiti dai due cimiteri scoraggia tuttavia l'ipotesi di un rapporto di continuità tra i Saka di U. e la popolazione preesistente. La transizione a un nuovo sistema economico produsse, evidentemente, dei cambiamenti nella struttura sociale e nel modo di produzione.
Bibliografia
O.A. Višnevskaja, Kul´tura sakskich plemën nizov´ev Syrdar´i v VII-V vv. do n.e. [La cultura delle tribù Saka sul basso Sir Darya nei secoli VII-V a.C.], Moskva 1973.