L'archeologia dell'Estremo Oriente. Giappone
di Mark Hudson
Nel XVIII e nel XIX secolo in Giappone ebbero forte impulso gli studi antiquariali e il collezionismo di oggetti antichi, ma l'inizio delle ricerche archeologiche scientifiche si fa coincidere con gli scavi intrapresi nel 1877 dallo zoologo americano E.S. Morse nel chiocciolaio di Omori a Tokyo.
Archeologi occidentali quali Morse (1838-1925), H. von Siebold (1852-1908) e N.G. Munro (1863-1942) ebbero un ruolo decisivo nell'introdurre una metodologia scientifica, anche se inizialmente gli studiosi sia giapponesi sia occidentali concentrarono le ricerche su avvenimenti e popoli citati da testi giapponesi quali il Kojiki (712 d.C.) e il Nihon Shoki (720 d.C.). Morse definì la ceramica rinvenuta a Omori "decorata a cordicella" e la traduzione giapponese di questo termine (Jōmon) fu usata per denominare l'età della Pietra nell'arcipelago giapponese. Inizialmente il periodo Jomon fu attribuito a una popolazione pregiapponese come gli Ainu o i Korpokunkur nani delle leggende Ainu. La teoria dei Korpokunkur è legata in modo particolare a S. Tsuboi (1863-1913), che nel 1893 divenne il primo professore di antropologia presso l'Università di Tokyo. Si credeva che il popolo Jomon fosse stato sostituito dalla "razza Yamato", vale a dire giapponese, durante il periodo Yamato, o Kofun. Frammenti di ceramica Yayoi erano già stati scoperti nel 1884, ma solo negli anni Trenta del Novecento si sviluppò il concetto di una cultura Yayoi di coltivatori di riso in possesso di utensili di bronzo e ferro, che alla fine determinò l'affermazione dello schema cronologico Jomon - Yayoi - Kofun.
L'ideologia sempre più marcatamente nazionalistica dello Stato giapponese negli anni Trenta e Quaranta condusse a una reazione contro le interpretazioni etniche cosicché gli archeologi giapponesi, tra cui S. Yamanouchi (1902-70), cominciarono a studiare più dettagliatamente la cronologia della ceramica. I legami tra archeologia e antropologia, agli inizi assai forti, vennero affievolendosi e nelle università giapponesi non furono mai introdotti programmi integrati di antropologia. Nonostante la sconfitta subita dal Giappone nella seconda guerra mondiale, le ricerche ebbero inizio poco dopo la fine del conflitto, quando fu scoperto il primo sito paleolitico a Iwajuku (Pref. di Gunma) nel 1946, e con gli scavi nelle risaie del periodo Yayoi presso Toro (Shizuoka) nel 1947. Nel 1948 fu istituita la Nihon Kokogaku Kyokai (Associazione degli Archeologi Giapponesi); il metodo di insegnamento basato sui miti imperiali adottato prima della guerra fu sostituito da metodologie più scientifiche fondate sui dati archeologici. A questa "democratizzazione" della preistoria giapponese fu data una valenza simbolica nel 1953, quando rappresentanti di classi sociali diverse presero parte agli scavi del tumulo funerario di Tsukinowa (Pref. di Okayama) diretti da Y. Kondo, archeologo dell'Università di Okayama tra i membri fondatori della Kokogaku Kenkyukai (Società degli Studi Archeologici) istituita nel 1954. Con più di 5000 membri, la Kokogaku Kenkyukai è attualmente la società archeologica più attiva di tutto il Giappone.
Nel dopoguerra l'archeologia fu caratterizzata soprattutto dalla organizzazione burocratica data alle ricerche e agli scavi. La straordinaria ricostruzione nel Giappone postbellico si basava in parte su imponenti opere pubbliche che resero necessario un numero di interventi di archeologia di urgenza inimmaginabile in altre parti del mondo. Dall'inizio degli anni Settanta gli scavi di urgenza sono aumentati vertiginosamente da circa 1000 a oltre 10.000. Nel 1995 vi erano in Giappone 5692 archeologi statali. L'interesse per l'archeologia alimenta un'industria turistica costituita da milioni di individui che visitano siti famosi quali Yoshinogari a Saga e Sannai Maruyama ad Aomori. Metodi scientifici quali la prospezione geofisica e le analisi fitolitiche hanno avuto grande sviluppo, ma tali metodi non sono ben integrati con le altre attività proprie della ricerca archeologica. Quanto all'approccio teoretico, l'archeologia giapponese si basa ancora fondamentalmente su una struttura storico-culturale sviluppatasi negli anni Trenta. Questo peculiare orientamento teoretico, unito alle difficoltà linguistiche, fa sì che il Giappone rimanga poco noto agli archeologi occidentali, sebbene possieda una delle scuole archeologiche più antiche e attive di tutta l'Asia.
Bibliografia
T. Saito, Nihon Kokogakushi [Storia dell'archeologia giapponese], Tokyo 1974; F. Ikawa-Smith, Co-Traditions in Japanese Archaeology, in WorldA, 13 (1982), pp. 296-309; P. Bleed, Almost Archaeology. Early Archaeological Interest in Japan, in R. Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past. Studies in Archaeology and Prehistory, Ann Arbor 1986, pp. 57-67; A. Teshigawara, Nihon Kokogakushi [Storia dell'archeologia giapponese], Tokyo 1988; G. Barnes, The 'Idea of Prehistory' in Japan, in Antiquity, 64 (1990), pp. 929-40; H. Tsude, Archaeological Theory in Japan, in P. Ucko (ed.), Theory in Archaeology. A World Perspective, London 1995, pp. 298-311; T. Inada, La protection des sites et la fouille de sauvetage au Japon, in Les nouvelles de l'archéologie, 65 (1996), pp. 43-48.
di Fumiko Ikawa-Smith
Il Paleolitico giapponese ebbe inizio intorno a 50.000 anni fa e terminò verso il 13.000 B.P. con la comparsa della ceramica, che segna la transizione al periodo Jomon; esso è documentato da circa 5000 siti, un numero piuttosto consistente per un'area relativamente vasta, che occupa una superficie di circa 370.000 km2. I complessi litici hanno inoltre una solida collocazione cronologica, in quanto sono spesso situati in strati definiti da orizzonti di pomice datati radiometricamente, sebbene solo in rari casi i suoli acidi abbiano permesso la conservazione di materiali organici per le datazioni radiocarboniche. La scarsità di resti botanici e zoologici nei contesti archeologici implica che per documentare le attività umane pleistoceniche occorre fare ricorso quasi esclusivamente allo strumentario litico.
Si ritiene che nel corso delle fasi fredde del Pleistocene il Mar Giallo e il Mar Cinese Orientale fossero per gran parte asciutti e che una vasta pianura costiera collegasse Taiwan e la Penisola Coreana alla costa orientale della Cina. A nord-est di tale pianura, ora sommersa, si trova il profondo bacino del Mar del Giappone, che attualmente comunica con l'oceano attraverso quattro stretti: lo Stretto di Tatar tra la Russia continentale e Sahalin, lo Stretto di La Pérouse tra Sahalin e Hokkaido, lo Stretto di Tsugaru tra Hokkaido e Honshu e lo Stretto di Corea tra la Penisola Coreana e l'area settentrionale di Kyushu. Un moderato abbassamento del livello del mare durante il Pleistocene potrebbe avere provocato l'emersione dello Stretto di Tatar e dello Stretto di La Pérouse, ponendo in comunicazione le isole di Sahalin e Hokkaido in una lunga penisola che si sarebbe estesa verso sud dalla foce del fiume Amur. Per lo Stretto di Tsugaru e lo Stretto di Corea si dispone di una grande quantità di dati, forniti dalla topografia subacquea, dalla paleontologia e, più recentemente, da analisi ad alta risoluzione dei sedimenti da carotaggi del Mar del Giappone sulle fluttuazioni di salinità, di livello di carbonio organico e di ossigenazione. Mentre il dibattito prosegue, sembra trovare ampi consensi l'ipotesi secondo cui lo Stretto di Corea e lo Stretto di Tsugaru sarebbero rimasti aperti anche durante l'apice dell'Ultimo Glaciale, circa 20.000 anni fa. Le odierne isole di Honshu, Shikoku e Kyushu potrebbero avere formato un'unica isola, Paleo-Honshu, e la catena insulare delle Ryukyu all'estremo Sud dell'arcipelago potrebbe avere incluso un numero minore di isole più vaste. La catena delle Ryukyu è separata dallo scudo continentale della Cina orientale dal canale di Okinawa (prof. mass. 2000 m). Vi è stato un ampio dibattito sulla possibilità che alcuni gruppi insulari meridionali siano stati collegati all'Asia continentale, con implicazioni sulle modalità del popolamento iniziale dell'arcipelago.
A causa dell'acidità dei suoli, i resti scheletrici umani del Pleistocene sono estremamente rari; spesso provengono da fenditure carsiche, dove si registrano condizioni idonee alla conservazione di materiali organici ma sfavorevoli alla definizione dei contesti stratigrafici dei fossili umani in relazione a fossili faunistici pleistocenici, a campioni radiocarbonici e a manufatti; per questa ragione solo per pochi esemplari sono disponibili datazioni certe e nessuno di questi è associato in maniera attendibile a manufatti. In passato si riteneva che due rinvenimenti documentassero la presenza in Giappone di forme pre-sapiens: uno è rappresentato da un osso iliaco recuperato sulla spiaggia di Nishiyagi (Akashi) nel 1931, l'altro da un piccolo frammento di omero rinvenuto nel 1957 a Ushikawa (Lago Hamamatsu). L'osso iliaco sarebbe attribuibile a Homo sapiens anatomicamente moderno, mentre il reperto di Ushikawa potrebbe non appartenere a specie umane. Tutti gli altri resti sono attribuiti a Homo sapiens anatomicamente moderno. La più antica datazione cronometrica è stata ottenuta dal femore e dalla tibia di un giovane individuo provenienti dalla Grotta n. 1 di Yamashitacho (Okinawa), datati al 14C a 32.100±1000 anni B.P. Di poco più recenti sono il frammento di cranio e alcune ossa recuperati nella Grotta di Pinza-abu (Miyakojima, Ryukyu), datati a 25.800±900, 26.800±1300 anni 14C B.P. Caratteristiche simili a quelle dei resti di Pinza-abu si rilevano in alcuni scheletri provenienti dal livello inferiore della Cava Minatogawa (Okinawa), in cui vennero recuperati fossili umani da due livelli: resti scheletrici di 5-10 individui, tra cui uno scheletro pressoché completo, nel livello inferiore (17.000 anni fa) e ossa frammentarie di arti nel livello superiore (12.000 anni fa). A Honshu i resti più noti sono quelli identificati nei due livelli del sito di Hamakita (Lago Hamana): frammenti cranici e ossa di arti di una giovane donna nel livello superiore (14.000 anni fa ca.), una tibia in quello inferiore (18.000 anni fa ca.).
Sebbene in Giappone l'interesse per le prime evidenze paleolitiche sia di antica data, le prime indagini scientifiche risalgono solo al 1949, con lo scavo del sito di Iwajuku ubicato circa 90 km a nord di Tokyo. In ragione dell'origine vulcanica di molti suoli pleistocenici si riteneva che durante il Pleistocene questo territorio fosse inadatto alla presenza di uomini e animali; tale teoria mutò con gli scavi condotti dall'Università di Meiji a Iwajuku, dopo il rinvenimento di un manufatto di ossidiana da parte di un archeologo dilettante, T. Aizawa. Circa 160 manufatti di pietra, certamente modificati dall'attività umana, vennero rinvenuti in due diversi livelli dei depositi pleistocenici del sito. Una volta accertata la presenza di resti culturali nelle formazioni pleistoceniche, le indagini si susseguirono: i siti paleolitici attualmente noti nell'arcipelago ammontano a oltre 5000. Due degli strumenti litici provenienti dallo strato inferiore di Iwajuku erano accette di forma ovale con scheggiatura bifacciale, inizialmente descritte come "asce a mano", con l'implicazione che la loro antichità potesse essere comparabile con quella di esemplari del Paleolitico inferiore rinvenuti in altre località. Con il progredire degli studi sulla geologia pleistocenica divenne chiaro che lo strato contenente le asce a mano doveva essere posteriore a 30.000 B.P. Nonostante ciò, le ricerche non subirono interruzioni. Essendo nota la presenza di resti umani a Zhoukoudian a partire da 500.000 anni fa e di ponti di terra che collegavano l'arcipelago con l'Asia continentale nel Pleistocene medio ‒ durante lo stadio dell'isotopo di ossigeno 16 (OIS 16, ca. 0,63 m.a.) e dell'isotopo di ossigeno 12 (ca. 0,43 m.a.) ‒ e che permisero gli spostamenti di grandi Mammiferi come Stegodon orientalis e Palaeoloxodon naumanni, si ritenne probabile che al loro seguito potessero essere giunti anche i primi gruppi umani. Negli anni Sessanta vennero condotti scavi a Sozudai (Kyushu settentrionale) e Hoshino (nei pressi di Iwajuku, a nord di Tokyo); tuttavia l'attribuzione antropica dei materiali litici rinvenuti nelle formazioni datate tra 130.000 e 40.000 anni fa in questi e in altri siti fu spesso controversa.
Dal 1973 si registrò una serie di rinvenimenti sensazionali, soprattutto nella città di Sendai (Honshu settentrionale) e nell'area limitrofa, che documentavano l'antichità della presenza umana nell'arcipelago. I ripetuti rinvenimenti di manufatti del Paleolitico inferiore suscitarono notevole interesse nei mass media e nell'opinione pubblica; alcuni di essi furono effettuati dall'archeologo dilettante Shinichi Fujimura dinanzi a testimoni, in strati la cui età poteva essere determinata su basi certe grazie alla presenza di depositi di pomice. La notorietà di Fujimura crebbe, così come anche l'antichità dell'occupazione umana dell'arcipelago. Nell'autunno del 2000 essa rimontava a 0,58-0,60 m.a., come documentavano i bifacciali rinvenuti nello strato inferiore di Kamitakamori (Sendai). A differenza dei manufatti scavati negli anni Sessanta, gli strumenti che Fujimura rinveniva erano indiscutibilmente il prodotto dell'azione dell'uomo; in realtà fu proprio il loro alto livello tecnologico a sollevare dubbi sull'autenticità delle scoperte. Fujimura venne filmato nel novembre del 2000 mentre seppelliva alcuni manufatti a Kamitakamori; egli ha confessato di avere falsificato le evidenze collocando strumenti di pietra autentici, ma risalenti a epoche più tarde, negli strati molto più antichi di 42 siti (il numero reale potrebbe però essere molto più elevato). Attualmente il quadro appare meno chiaro di quanto fosse nel 1973, quando vi era un numero limitato di complessi litici, sulla cui origine antropica permangono tuttora dubbi, attribuiti alle fasi iniziali del Pleistocene superiore (OIS 5 e OIS 4). Sozudai è stato oggetto di nuovi scavi nel 2001 e nel 2003, ma la maggior parte degli archeologi dubita che le centinaia di pezzi di quarzite e agata recuperati siano il prodotto di attività umane. Tra i rinvenimenti più recenti si segnalano strumenti litici e schegge di osso, associati a fossili di Palaeoloxodon namadicus naumanni e Sinomegaceros ordosianus yabei, provenienti da sedimenti nel Lago di Nojiri (Honshu centrale) e datati a 41.516 anni radiocarbonici da oggi. Quasi tutti i complessi paleolitici dell'arcipelago sono datati alle fasi finali di OIS3 e OIS2, dal 35.000 B.P. circa fino alla comparsa della ceramica (15.000 B.P.).
Il Paleolitico superiore dell'arcipelago si suddivide in tre fasi: Paleolitico superiore I (35.000-28.000 B.P.), Paleolitico superiore II (28.000-20.000 B.P.) e Paleolitico superiore III (dopo il 20.000 B.P.). Il limite tra le prime due fasi è segnato da un deposito di pomici, Aira-Tanzawa Tefra (AT), formatosi a seguito di una violenta eruzione vulcanica nell'estremità meridionale di Kyushu; i depositi di tale pomice si rinvengono in tutto il Giappone e anche nelle aree adiacenti dell'Asia nord-orientale continentale, fungendo da utile strumento di correlazione interregionale. La fase più antica, sotto l'orizzonte di pomici AT, è rappresentata da un numero limitato di complessi, costituiti da lunghe schegge con ritocco minimo, schegge amorfe, perforatori, pesanti asce parzialmente levigate su una faccia (edge-ground axes) e, in alcuni casi, pietre da macina. Inusuale è la presenza di accette dal bordo levigato: se ne contano oltre 300 esemplari in più di 30 siti, rinvenuti spesso in gruppi e cumuli circolari nei pressi di laghi e sorgenti. L'eruzione vulcanica ebbe profondi effetti sulla vita degli abitanti: la scomparsa dei repertori litici con accette dal bordo levigato indicherebbe un mutamento delle strategie di sussistenza associato forse a una temporanea flessione demografica, come si rileva dalla diminuzione del numero dei siti, cui fece seguito subito dopo una consistente crescita. La popolazione in aumento possedeva nuove tipologie di utensili litici: le preforme erano prodotte con una tecnologia laminare, mediante la quale frammenti litici di forma regolare, dai lati paralleli, venivano distaccati da nuclei accuratamente preparati e quindi lavorati in una varietà di utensili con funzioni specifiche. Nello strumentario litico si rileva inoltre un'ampia variabilità stilistica: numerose varianti regionali sono state riconosciute, ad esempio, sulla base delle modalità di lavorazione delle lame a dorso.
Poiché nel Paleolitico superiore II il clima si raffreddò e l'abbassamento del livello marino trasformò l'arcipelago del Giappone in una penisola proiettata verso sud a conchiudere il Mar del Giappone (la cui estensione era in questo periodo molto ridotta), l'incremento nel numero e nella varietà dei complessi potrebbe riflettere in parte l'arrivo di gruppi dall'Asia nord-orientale continentale e in parte le strategie adottate da tali gruppi e da quelli preesistenti, pressati nella stretta fascia costiera dell'oceano, per incrementare la produttività e salvaguardare le identità di gruppo. La tipologia di manufatti predominante nel Paleolitico superiore III, dopo l'ultimo apice glaciale verificatosi circa 20.000 anni fa, è costituita da microlame immanicate su osso o palco di cervo e utilizzate come punte di lancia. I risultati di recenti scavi, confermati da numerose datazioni radiocarboniche, suggeriscono che la sequenza di riduzione per l'ottenimento di microlame da nuclei cuneiformi, identificata per la prima volta nei siti di Shirataki (Hokkaido) agli inizi degli anni Sessanta, sia stata effettivamente in uso nel periodo immediatamente precedente l'ultimo apice glaciale, perdurando nel corso del Paleolitico superiore III sia in Giappone sia nel Nord-Est dell'Asia continentale. È stata inoltre segnalata la presenza di numerosi tipi di nuclei per l'ottenimento di microlame e di diverse tecniche di distacco; sono state identificate anche punte foliacee bifacciali, talvolta associate a microlame. A tali complessi litici, estremamente diversificati, iniziò ad associarsi la presenza di vasellame.
La ceramica con decorazioni lineari a rilievo rinvenuta nella grotta di Fukui (Kyushu) in associazione a microlame e a datazioni radiocarboniche calibrate a circa 15.300 anni fa era nota già da numerosi decenni; da allora, datazioni radiocarboniche a oltre 10.000 anni fa sono state ottenute in più di 80 siti ceramici. A tutt'oggi la data più antica proviene dalla media di cinque datazioni calibrate al 16.000 B.P. ottenute da materiali carbonizzati aderenti ai frammenti fittili recuperati a Odai Yamamoto I (Honshu settentrionale). Dal momento che ceramica simile è stata rinvenuta in associazione a strumenti litici diversi, non sembra plausibile che i gruppi Jomon in possesso di ceramica siano giunti nell'arcipelago sostituendosi a quelli paleolitici; è invece probabile che la tecnologia fittile sia stata gradualmente adottata da gruppi paleolitici in possesso di specifiche tradizioni litiche. Sebbene la comparsa della ceramica intorno a 16.000 anni fa segni il termine del Paleolitico giapponese, fu solo intorno al 10.000 B.P. che il suo uso iniziò a diffondersi, dando origine al periodo Jomon.
Bibliografia
Takeru Akazawa - Shizuo Oda - Ichiro Yamanaka, The Japanese Palaeolithic: a Techno-Typological Study, Tokyo 1980; F. Ikawa-Smith, Late Pleistocene and Early Holocene Technologies, in R.J. Pearson - G.L. Barnes - K.L. Hutterer (edd.), Windows on the Japanese Past: Studies in Archaeology and Prehistory, Ann Arbor 1986, pp. 199-216; Akira Ono - Shizuo Oda - Shuji Matsu'ura, Palaeolithic Cultures and Pleistocene Hominids in the Japanese Islands: an Overview, in Daiyonki Kenkyu, 38, 3 (1999), pp. 177-83; Shuji Matsu'ura, A Chronological Review of Pleistocene Human Remains from the Japanese Archipelago, in K. Omoto (ed.), Interdisciplinary Perspectives on the Origins of the Japanese, Kyoto 1999, pp. 181-97; F. Ikawa-Smith, Humans along the Pacific Margin of Northeast Asia before the Last Glacial Maximum. Evidence for the Presence and Adaptations, in D.B. Madsen (ed.), Entering America. Northeast Asia and Beringia before the Last Glacial Maximum, Salt Lake City 2004, pp. 285-309.
di Mark Hudson
La tradizione culturale occupa l'arco temporale compreso tra la comparsa della ceramica, oltre 13.000 anni fa, e la piena affermazione dell'agricoltura, risalente al periodo Yayoi (ca. 400 a.C. - 300 d.C.); a Hokkaido la fase epi-Jomon si protrasse fino al VII-VIII sec. d.C. All'interno di questa tradizione si registrano rilevanti variazioni regionali e temporali, ma in termini generali la società Jomon può essere caratterizzata come una società opulenta e sedentaria, che produsse abbondanti evidenze archeologiche, tra cui moltissime ceramiche. L'importanza della cultura Jomon per la preistoria mondiale risiede nella sua notevole complessità culturale, raggiunta sulle basi di un'economia di caccia-raccolta.
Il termine Jomon deriva dall'espressione in lingua giapponese "impressioni di corda", che fa riferimento a un motivo decorativo diffuso nella produzione fittile di questo periodo. In quanto cultura ceramica di caccia-raccolta, la cultura Jomon può essere equiparata alle culture siberiane definite dagli archeologi russi come neolitiche. Agli esordi dell'archeologia giapponese la cultura Jomon venne ascritta a una vaga "età della Pietra" e interpretata essenzialmente in termini razziali come riferibile agli Ainu o ad altre razze pregiapponesi. Il superamento di questo approccio si deve a S. Yamanouchi (1902-70), che negli anni Trenta condusse dettagliati studi tipologici sull'evoluzione della ceramica Jomon ignorando la problematica questione dell'identità etnica dei gruppi che la produssero. Oggi gli studiosi giapponesi generalmente evitano le terminologie comparative, come Mesolitico e Neolitico, e alcuni hanno definito il periodo Jomon come "periodo Omori", dal nome del sito di Tokyo dove questa cultura venne identificata per la prima volta nel 1877. La cultura Jomon si estese su un'area approssimativamente corrispondente a quella dell'odierno Giappone, sebbene prosegua il dibattito in merito alle Isole Ryukyu, che alcuni studiosi includono nell'orbita Jomon mentre altri ritengono appartenenti a una cultura "del periodo antico dei chiocciolai" (Early Shell Mound) correlata ma distinta. In altre aree del Giappone si registra un alto grado di variazione regionale, prodotto da fattori ecologici e culturali; la suddivisione più importante è tra la zona temperata decidua del settore orientale dell'arcipelago e la zona temperata sempreverde di quello occidentale. La più alta produttività della prima area si riflette nel fatto che i livelli demografici Jomon furono sempre molto più elevati a est che a ovest.
Il periodo Jomon è stato suddiviso in sei fasi, denominate rispettivamente incipiente, iniziale, antica, media, tarda e finale; la fase epi-Jomon è documentata solo a Hokkaido e nell'estremo Nord di Honshu. Sulla base di vecchie datazioni radiocarboniche non calibrate tali fasi sono generalmente così datate: incipiente, 13.500-10.000 anni fa; iniziale, 10.000-7000 anni fa; antica, 7000-4500 anni fa; media, 4500-3500 anni fa; tarda, 3500-3000 anni fa; finale, 3000-2400 anni fa. Datazioni radiometriche più recenti hanno però evidenziato incongruenze in questa periodizzazione, suggerendone una sostanziale revisione; nonostante ciò, la maggior parte degli archeologi giapponesi resta scarsamente interessata alla datazione assoluta, preferendo concentrarsi sulla cronologia relativa delle tipologie vascolari. In ragione della grande quantità di manufatti fittili Jomon è stato possibile rilevare una complessa trama di relazioni tipologiche che coprono l'intero Giappone. Sono stati identificati circa 70 stili ceramici (yoshiki) e un gran numero di tipi locali (keishiki).
La ceramica Jomon è la più antica del mondo e la sua invenzione sembra essere avvenuta in forma indipendente nell'arcipelago giapponese. La transizione dal Paleolitico superiore al periodo Jomon fu del tutto graduale: scavi condotti negli anni Sessanta nel riparo di Fukui (Kyushu) hanno dimostrato che la più antica ceramica giapponese risale almeno al 13.000 B.P., sebbene l'utilizzazione su vasta scala di manufatti fittili sarebbe iniziata solo varie migliaia di anni più tardi. Un impiego corrente del vasellame sembra inoltre essersi diffuso solo gradualmente da sud a nord, probabilmente in concomitanza con l'estensione delle aree boschive a clima temperato nell'Olocene antico. La ceramica è ancora rara nei siti della fase Jomon incipiente ed essa non fu in uso a Hokkaido fino alla fase Jomon iniziale. La maggior parte dei siti della fase Jomon incipiente è di piccole dimensioni e contiene poche abitazioni seminterrate; la caccia rivestiva ancora grande importanza, sebbene il rinvenimento di numerose ossa di salmone a Maeda Kochi (Tokyo) attesti che erano praticate anche altre attività di sussistenza. Il fatto che i siti di questo periodo siano più numerosi e vasti nel Kyushu meridionale consente di ipotizzare che la produzione fittile fosse connessa con un modello di sfruttamento ad ampio spettro di piante e risorse marine che si sarebbe diffuso nel resto dell'arcipelago nel periodo Jomon iniziale. La ceramica era modellata a mano e cotta in fosse aperte a circa 700-900 °C. La forma fittile più comune era la "ciotola profonda" (fukabachi), alta circa 40-50 cm; altre tipologie, quali ciotole poco profonde (asabachi) e "bricchi" con versatoio, appaiono molto più raramente. Era utilizzata un'ampia varietà di tecniche decorative, tra cui numerosi tipi di impressioni di corde, incisioni, motivi a roulette e applicati. Non tutte le ceramiche erano profusamente decorate: il vasellame inornato divenne la norma nel Giappone occidentale dalla fase Jomon tardo in poi. Il vasellame decorato è una delle più alte espressioni dell'arte preistorica; sono particolarmente celebri a questo riguardo le ceramiche flamboyant del Honshu centrale, datate al periodo medio, e la ceramica Kamegaoka rivestita di lacca rossa del Tohoku, risalente alla fase Jomon finale.
Per la caccia, la pesca e altre attività produttive i gruppi Jomon utilizzavano una varietà di strumenti litici. Studi di caratterizzazione delle materie prime hanno rilevato che alcuni materiali litici rari, come l'ossidiana e la sanukite, erano scambiati su vaste aree. I cesti, le ciotole e i pettini di legno e i resti di sentieri pavimentati a tavole di legno recuperati in siti umidi costituiscono evidenze di aspetti generalmente poco documentati, in ragione di problemi di conservazione, della cultura materiale quotidiana. Secondo molti studiosi la complessa cultura materiale e gli insediamenti sedentari Jomon contraddirebbero le presunte basi economiche appropriative e ciò ha sollevato un acceso dibattito sulla possibile esistenza di pratiche agricole. Nonostante le crescenti evidenze della coltivazione di un certo numero di piante, comunque, i gruppi Jomon non adottarono mai pienamente l'agricoltura; particolarmente complessa appare la ricostruzione dei modelli di sussistenza in ragione dell'ampia varietà di zone ecologiche sfruttate. Per quanto riguarda gli animali terrestri, la caccia a cervi, cinghiali, scimmie e ad alcuni Mammiferi di piccola taglia quali lepri, martore e procioni (Nyctereutes procyonoides) perdurò per tutto il periodo Jomon. Frecce con punte litiche, cani e trappole rappresentate da buche nel terreno erano i principali strumenti di caccia: nell'area del nuovo comprensorio urbano di Tama a Tokyo sono state individuate oltre 8000 trappole a buca. Nel periodo Jomon sembra essere esistita una relazione inversa tra livelli demografici e attività venatorie: nei periodi in cui la popolazione era numerosa, come nel Honshu centrale durante il periodo Jomon medio, la caccia a Mammiferi terrestri di grande taglia avrebbe avuto un'importanza relativamente limitata, mentre i gruppi a bassa densità del termine della fase Jomon finale nella regione di Kanto avrebbero sfruttato in maniera sistematica cervi e cinghiali, come attestato dai "depositi di ossa" presenti in siti quali Saihiro (Pref. di Chiba) e Shimotakabora D (isola di Oshima, Tokyo). Da un punto di vista ecologico ciò è quanto ci si dovrebbe aspettare, in quanto i Mammiferi di grande taglia avrebbero potuto rischiare di essere sovrasfruttati e vi sono evidenze di una pressione venatoria sui cervi nei periodi tardo e finale.
Per ciò che concerne le risorse marine, l'ingente consumo di pesci, Molluschi e Mammiferi marini è una delle caratteristiche specifiche dei modelli di sussistenza Jomon. L'innalzamento del livello marino dopo il termine del Pleistocene provocò un sensibile aumento della lunghezza della linea di costa, particolarmente durante la massima trasgressione marina avvenuta circa 6000 anni fa. I primi chiocciolai Jomon risalgono agli esordi della fase iniziale, sebbene sia possibile che chiocciolai della fase incipiente siano oggi sommersi. Il sito di Natsushima a Yokosuka (Pref. di Kanagawa) ha restituito gusci di ostriche e altri molluschi bivalvi, presenti in uno strato di ceramica Yoriito-mon degli esordi della fase Jomon iniziale in cui sono stati recuperati anche ossa di pesci di mare aperto quali tonni, triglie, pagri e pesce persico, oltre a tre ami di corno. Nel periodo Jomon iniziale apparvero inoltre per la prima volta pesi per reti da pesca e arponi. Una diga di sbarramento per pesci è stata individuata in un antico letto fluviale nel sito Jomon tardo di Shidanai (Pref. di Iwate). Sembra probabile che il salmone fosse un importante elemento della dieta nel Giappone orientale, sebbene i suoi resti si siano raramente conservati. I Mammiferi marini cacciati comprendevano foche, delfini e balene; studi isotopici consentono di ipotizzare che essi integrassero maggiormente la dieta dei gruppi Jomon di Hokkaido che quella delle comunità meridionali.
Tra le risorse vegetali, frutti, frutti secchi, erbe e semi rappresentavano probabilmente le principali fonti nutrizionali. Tra i frutti secchi comunemente rinvenuti, noci e castagne necessitano di un trattamento limitato prima di essere consumate, ma le ghiande e i frutti dell'ippocastano debbono essere sottoposti a complessi processi di percolazione. M. Nishida ha ipotizzato che i gruppi Jomon praticassero una forma di arboricoltura incipiente di specie i cui frutti o bacche erano consumati secchi. Sulla presenza di pratiche agricole sono state formulate molte teorie: sembra probabile, in sintesi, che le piante riportate qui di seguito siano state coltivate in alcuni periodi e luoghi durante il periodo Jomon: Perilla (un'erba della famiglia della menta), zucche a fiasco, bardana, canapa e forse alcune varietà di Vigna. Il riso è stato recentemente identificato in alcuni siti tardi; la testimonianza più antica della sua presenza è costituita da fitoliti di riso recuperati da un frammento fittile della fase Jomon medio rinvenuto a Himesasahara (villaggio di Mikamo, Pref. di Okayama). Si ritiene che il riso non sia originario delle isole giapponesi, ma non è a tutt'oggi chiaro se esso sia stato realmente coltivato nel periodo Jomon.
Del periodo Jomon sono note tre tipologie di abitazioni: le più comuni sono rappresentate da capanne semisotterranee a fossa; strutture di superficie o rialzate sono più rare, sebbene in anni recenti i rinvenimenti ascrivibili a quest'ultima tipologia siano aumentati. La maggior parte delle capanne seminterrate sembra essere stata occupata da una sola unità famigliare; sono noti anche alcuni esemplari di grandi dimensioni (100 m2 e oltre) e con numerosi focolari, rinvenuti soprattutto nel Honshu nord-orientale e forse usati dalla comunità. La maggior parte dei villaggi era di dimensioni alquanto ridotte, comprendendo forse quattro o cinque strutture domestiche contemporaneamente in uso; alcuni siti presentano comunque lunghe fasi di occupazione, come documenta il rinvenimento dei resti di varie centinaia di abitazioni. Nel più vasto sito Jomon a tutt'oggi noto, Sannai Maruyama (Aomori), sono state identificate 600 abitazioni a fossa, 100 strutture sopraelevate e 800 fosse di immagazzinaggio. Il caratteristico villaggio Jomon presentava una piazza centrale, spesso contenente sepolture, delimitata da strutture disposte a cerchio, a loro volta circondate da un'area adibita a deposito di rifiuti. Oltre agli insediamenti permanenti sono stati identificati molti siti di dimensioni minori, certamente accampamenti temporanei. Un sito specializzato nel trattamento di noci è stato scavato a Sekizan (Pref. di Saitama). Negli insediamenti datati alla prima metà del periodo Jomon si rileva una crescente complessità: alle piccole grotte o ai siti all'aperto della fase incipiente succedettero siti come Sannai Maruyama, che rappresentano forse a livello mondiale il gradino più alto della scala evolutiva socioculturale raggiunto da gruppi di cacciatori-raccoglitori. Durante le fasi tarda e finale si verificò una notevole diminuzione sia nel numero che nelle dimensioni dei siti, sebbene un incremento delle attività rituali in questi insediamenti ponga in discussione ogni semplicistico modello di "declino" culturale.
Il periodo Jomon è caratterizzato da una sorprendente varietà di manufatti, strutture e tratti rituali. I resti lignei sono quelli archeologicamente meno documentati, ma circoli di grandi pali di legno sono stati scoperti nei siti di Chikamori e Yoneizumi (Pref. di Ishikawa). Risale alla fase antica del sito di Mawaki (Pref. di Ishikawa) un palo di legno (lungh. 2,25 m) parzialmente scolpito che giaceva in un deposito di crani di delfini. Alcune delle vaste strutture architettoniche rialzate, come quella individuata a Sannai Maruyama, potrebbero essere anch'esse rituali. I cosiddetti "circoli di pietre" sono comuni nel Giappone orientale delle fasi tarda e finale: essi comprendono vasti circoli di ciottoli di fiume (diam. fino a 45 m) e pavimenti di pietra di dimensioni minori, cui sono talvolta associati monoliti fallici levigati o scolpiti. Le ceramiche fini dalle complesse decorazioni erano probabilmente utilizzate in feste rituali e in altre attività connesse. Oltre alle ceramiche, le figurine rappresentano i manufatti di argilla più caratteristici; apparse agli esordi della fase Jomon iniziale e perdurate fino allo Yayoi iniziale, esse hanno forma estremamente variata, sebbene in senso generale si possa rilevare nel corso del tempo una più profusa decorazione. La maggior parte degli archeologi giapponesi ritiene che le figurine ritraggano individui di sesso femminile, per quanto in molti casi non vi sia una chiara caratterizzazione sessuale.
Resti scheletrici umani sono stati rinvenuti in alcune necropoli Jomon; dati antropologici di particolare rilevanza sono stati ottenuti in chiocciolai. I gruppi Jomon mostrano una ridotta variabilità geografica o temporale. Studi antropometrici e altre analisi effettuati su crani hanno consentito di rilevare stringenti affinità con i gruppi proto-mongolidi della Cina meridionale e del Sud-Est asiatico e con gli Ainu di Hokkaido e Sahalin. Recenti analisi del DNA mitocondriale hanno evidenziato stretti legami con quello di alcune popolazioni moderne del Sud-Est asiatico. Gli scheletri Jomon presentano tratti piuttosto diversi da quelli dei gruppi del successivo periodo Yayoi, a suggerire un consistente tasso di immigrazione in Giappone alla fine del periodo Jomon.
S. Katō - T. Kobayashi - Ts. Fujimoto (edd.), Jōmon Bunka no Kenkyū [Ricerche sulla cultura Jomon], Tokyo 1981-84; T. Akazawa - C.M. Aikens (edd.), Prehistoric Hunter-Gatherers in Japan, Tokyo 1986; S. Kaner, The Western Language Jomon, in G. Barnes (ed.), Hoabinhian, Jomon, Yayoi, Early Korean States. Bibliographic Reviews of Far Eastern Archaeology 1990, Oxford 1990, pp. 31-62; K. Hanihara (ed.), Japanese as Member of the Asian and Pacific Populations, Tokyo 1992; T. Kobayashi, Regional Organization in the Jomon Period, in ArctAnthr, 29, 1 (1992), pp. 85-95; R. Pearson, Jomon Period, in R. Pearson (ed.), Ancient Japan, New York 1992, pp. 61-88; M. Tozawa (ed.), Jōmon Jidai Kenkyu Jiten [Dizionario del periodo Jomon], Tokyo 1994.
di Oscar Nalesini
La cultura (Zoku-Jōmon) documenta il perdurare delle tradizioni Jomon nelle regioni più settentrionali del Giappone (Hokkaido ed estremità settentrionale di Honshu).
Recenti ricerche a opera di un progetto congiunto russo-nippo-statunitense hanno scoperto siti epi-Jomon anche sulle isole Matua, Urup e Chirpoi (arcipelago delle Kurili). La cultura epi-Jomon si manifestò nel periodo in cui la cultura Yayoi si andò affermando nel resto del Giappone, tra il IV sec. a.C. e il VII sec. d.C. circa. Questa cronologia è tuttavia incerta, perché alcuni reperti della successiva cultura Satsumon sono stati datati al IV secolo. Nel sito di Sakaeura II, le case epi-Jomon avevano pianta generalmente ovoidale, con assi di 4 e 4,5 m; il tetto era sostenuto da pali eretti a 50 cm dall'orlo del pavimento. Nella tipologia del vasellame fittile compaiono forme dotate di fori di sospensione, con decorazione composta da file di punzonature sulla parte superiore del vaso e sull'orlo. L'analisi delle ceramiche di Rishiri mostra che l'impasto e le tecniche di manifattura della ceramica epi-Jomon rimasero in uso nella cultura Okhotsk. Nell'industria litica sono presenti proiettili di forma allungata, un particolare coltello litico "a scarpa", grattatoi e macine. Sono noti arpioni per la pesca di ossa di balena. I resti faunistici scoperti a Hamanaka comprendono soprattutto conchiglie Haliotis sp., balena, albatros e cane. La cultura epi-Jomon è ancora mal compresa archeologicamente e il termine viene sovente impiegato per designare i livelli compresi tra il Jomon finale e Satsumon.
T. Matsumoto, A Study of Acculturation in Epi-Jomon Period by Observation of Arrowheads and Potteries which Were Offered in Tombs. Existence of the Culture Represented by Kohoku Type Pottery in Ishikari Lowland, in Tsukuba Archaeological Studies, 3 (1992), pp. 53-79; T. Nishimoto (ed.), Report on the Research Excavation at the Site of Hamanaka 2. Formation Process of the Ainu Culture, in Bulletin of the National Museum of Japanese History, 85 (2000); M. Hall - U. Maeda - M. Hudson, Pottery Production on Rishiri Island, Japan. Perspectives from X-ray Fluorescence Studies, in Archaeometry, 44, 2 (2002), pp. 213-28; K. Matsuda - T. Aono, A Reconsideration of the Pottery from the Rebunge Site. Ceramic Assemblages on the Coast of Volcano Bay during the Period of Diffusion of the Nimaibashi Type, in Nihon Kokogaku, 16 (2003), pp. 93-110; B. Fitzhugh, Archaeological Paleobiogeography in the Russian Far East: the Kuril Islands and Sakhalin in Comparative Perspective, in AsPersp, 43, 1 (2004), pp. 92-122.
di Charles F.W. Higham
Sul finire del XVIII secolo diverse sepolture nei pressi di Fukuoka, sulla costa settentrionale dell'isola di Honshu, furono oggetto di scavi occasionali che portarono al rinvenimento di oggetti di bronzo d'ispirazione o di origine cinese, tra cui specchi, alabarde e daghe, oltre a matrici di pietra per la colatura di tali manufatti. Tra il 1781 e il 1789 specchi di bronzo e spade di ferro furono trovati in un'urna funeraria a Ihara, presso Fukuoka. Nel 1822 a Mikimo, sulla costa settentrionale di Kyushu, di fronte alla Corea, si rinvennero spade, lance e alabarde di bronzo, oltre a 35 specchi della dinastia Han Occidentali (206 a.C. - 23 d.C.) e grani di vetro coreani; il sito conteneva inoltre urne funerarie di un tipo poi riconosciuto caratteristico della cultura Yayoi. La riscoperta di questo sito nel 1974 portò al recupero di altri oggetti di bronzo e grani di vetro, ponendo il problema-chiave delle relazioni tra i gruppi preistorici del Giappone e i sofisticati Stati fiorenti sul continente.
Il termine "Yayoi" fu adottato nel 1884, quando nel chiocciolaio di Mukogaoka nel quartiere di Yayoi, presso l'Università di Tokyo, fu rinvenuto un tipo di ceramica diverso da quella Jomon. Della cultura Yayoi sono oggi distinte tre fasi principali: antica (350/300-100 a.C.), media (100 a.C. - 100 d.C.) e tarda (100-300 d.C.): in questi sei secoli furono gettate le basi della civiltà giapponese, costituite dalla coltivazione del riso, integrata dalla metallurgia del bronzo e del ferro e da crescenti contatti con la Cina e la Corea. Nelle origini della cultura Yayoi sono evidenti alcuni elementi essenziali: l'agricoltura del riso in vasca si affermò definitivamente intorno al 400-300 a.C., in associazione alla fusione del bronzo e alla lavorazione del ferro. Durante la media fase Yayoi si verificò una forte espansione degli insediamenti agricoli da Kyushu oltre il Mare Interno e fino a Honshu, mentre marcate divisioni sociali ed entità politiche regionali si andarono formando nel corso della fase tarda.
Tra la fine del II millennio a.C. e gli inizi del successivo la conoscenza e la pratica della coltivazione del riso si erano diffuse nella Corea fino a raggiungere le isole giapponesi; evidenze archeologiche e palinologiche da diversi siti Jomon di periodo tardo e finale indicano infatti la conoscenza di cereali coltivati (riso e orzo) nelle regioni occidentali dell'arcipelago. La questione essenziale è se davvero la risicoltura sia stata introdotta nell'isola di Kyushu (dove sono localizzate le più antiche evidenze Yayoi) da ondate migratorie, insieme alla metallurgia del bronzo e del ferro, o se invece essa abbia raggiunto in forma più graduale i contesti sociali Jomon, che nel corso del tempo la integrarono nei loro consolidati modelli economici, oppure se non occorra pensare, come sembra logico, a un modello che integri le due ipotesi. A Itazuke (Kyushu settentrionale), frammenti fittili di un'antica fase Yayoi (Itazuke I) appaiono in associazione a ceramiche di tipo Yuusu attribuite alle fasi più recenti della cultura Jomon. La risoluzione di questa questione è rilevante ai fini del problema delle origini Yayoi: a Itazuke, ad esempio, resti di risaie del "livello inferiore" sono in associazione alla sola ceramica Yuusu. L'identificazione nel Kyushu di vasche di risaia con evidenze di cultura materiale delle fasi Jomon più recenti non dovrebbe comunque sorprendere; piuttosto ciò indicherebbe contatti con comunità della Corea o della Cina continentale (in cui tale coltivazione era pienamente affermata), in un processo che deve avere implicato anche l'insediamento di gruppi di immigranti. Tale ricostruzione è basata non solo su evidenze archeologiche di nuove attività di sussistenza e di nuove tipologie di manufatti: anche se non abbondanti, i resti ossei della popolazione di questo periodo attestano che gli individui Yayoi erano più alti degli individui Jomon e avevano crani di forma diversa. Stime della popolazione del Giappone durante il periodo Jomon recente e di quella delle fasi Yayoi finali, basate sul numero e la dimensione degli insediamenti, indicano inoltre che deve essersi verificato un intenso processo immigratorio.
Lo stanziamento di comunità intrusive di risicoltori nel Kyushu fu seguito da una progressiva espansione a nord-est fino a Honshu, mentre le condizioni climatiche estreme dell'isola di Hokkaido favorirono il perdurare di gruppi di cacciatori-raccoglitori. Le fasi iniziali dell'espansione Yayoi furono probabilmente rapide: caratteristica frequente delle espansioni agricole, attestata anche nell'Asia Sud-Orientale e in Europa. In Giappone tale processo è documentato dalla vasta distribuzione a est e a ovest del Mare Interno di un condiviso stile ceramico, noto come Ongagawa o Itazuke I. Questa diffusione sembra avere interessato le regioni settentrionali a partire dalla fine della fase Yayoi antica, come attestato dalla presenza di risaie a Sunazawa e poco tempo dopo a Tomizawa, rispettivamente nella regione nord e nord-orientale di Honshu. L'aumento del numero degli insediamenti nel corso della fase media Yayoi e l'espansione dai bassopiani costieri a quote più elevate che dominavano le valli fluviali sono entrambi fattori che lasciano ipotizzare un incremento di tensioni tra gruppi. I siti vennero infatti cinti da fossati difensivi e le punte di freccia divennero particolarmente abbondanti. Apparsi subitaneamente nel periodo Yayoi medio, gli insediamenti "fortificati" scomparvero agli inizi del periodo Kofun.
Suggestivi dati sulla fase recente del periodo Yayoi provengono da un testo storico cinese, il Weizhi ("Cronaca di Wei", regno della Cina settentrionale fiorito tra il 220 e il 265 d.C.) redatto intorno al 297 d.C., dove si narra che le genti Wa dell'arcipelago giapponese del III sec. d.C. possedevano una gerarchia sociale con "capi-sciamani" di sesso femminile che erano sepolti in vaste tombe a tumulo. Della leggendaria Himiko (? ca. 180-247), ad esempio, il Weizhi riporta che viveva in un palazzo posto sotto stretta vigilanza. La cronaca descrive anche il percorso per raggiungere questo palazzo, chiamato Yamatai, ma in forma tanto vaga che la sua localizzazione non è per nulla chiara, anzi molto controversa. Il testo documenta inoltre che i conflitti erano endemici, che esistevano sistemi "legali" e di tassazione e che le pratiche divinatorie seguivano il modello cinese di interpretazione delle spaccature generate su ossa esposte al calore (piromanzia o scapulimanzia). I Wa coltivavano il riso e allevavano bachi da seta, non possedevano animali domestici, ma gestivano mercati formalmente autorizzati e regolamentati. I conflitti bellici erano condotti da soldati armati di arco e frecce con punta di ferrro.
Nel 238 e nel 240 o 243 d.C. Himiko inviò ambasciatori in Cina; la prima spedizione le permise di essere riconosciuta dall'imperatore Wei come regina di Wa e di ricevere da questi un sigillo d'oro (tradizionale segno di riconoscimento di autorità delegata dall'imperatore), due spade, centinaia di specchi di bronzo e grani di giada come segno di alleanza. Tali resoconti cinesi su gruppi stranieri non riguardano solo il Giappone. Approssimativamente nello stesso periodo in cui il regno di Wei era in contatto con i Wa, quello Wu (22-280 d.C.) della Cina meridionale inviava una missione nel Sud-Est asiatico che portò alla stesura di un resoconto sui gruppi di Funan. Entrambe le fonti riportano quanto venne visto o ascoltato da una prospettiva cinese, formulando considerazioni che dobbiamo oggi prendere con cautela. Comunque, alcune descrizioni sul regno di Funan sono state confermate dalle ricerche archeologiche e la sfida a procedere nello stesso modo per il palazzo di Yamatai ha portato, ad esempio, a individuare possibili parallelismi in siti quali Yoshinogari, nel Kyushu, dove si è indagato un insediamento Yayoi tardo di 25 ha, delimitato da un vasto fossato difensivo integrato da torri di avvistamento. La presenza di una tomba a tumulo (40 × 26 m), associata a depositi di ceramiche rituali, suggerisce l'esistenza di una élite all'interno della società locale.
Le risaie Yayoi, fin dalle fasi iniziali, sono evidenza di un complesso sistema di coltivazione. In Cina, decorazioni parietali di tombe e modellini fittili di risaia, di uso funerario, riferibili alla dinastia Han (206 a.C. - 220 d.C.), testimoniano che la costruzione di parcelle quadrangolari di terreno con argini per regolare il flusso delle acque, associate ad attività di aratura e trapianto, supportò la produzione di eccedenze di riso. In Giappone questo sistema apparve già pienamente evoluto: è difficile non interpretare questo dato come l'adozione di un sistema consolidato. I gruppi Yayoi occupavano inoltre in forma permanente villaggi cinti da fossato, in prossimità dei campi agricoli, e con necropoli che rimanevano le stesse nel corso del tempo. Gli attrezzi agricoli Yayoi, come attestato nel sito di Toro, erano di legno. È comunque necessario sottolineare che erano praticate anche altre coltivazioni, alcune delle quali più idonee all'agricoltura su suoli asciutti, piuttosto che in quelli acquitrinosi privilegiati dalle piante di riso. Esse comprendevano due varietà di miglio, oltre a grano e orzo; era inoltre consumata un'ampia varietà di vegetali orticoli e di frutta, mentre bacche, ghiande e noci erano raccolte nei boschi. Scarse le evidenze di allevamento, molto praticate erano però la pesca e la caccia.
L'adozione della risicoltura fu accompagnata da innovazioni in campo tecnologico: i vasi fittili erano stati un tratto importante della cultura materiale Jomon, ma con la cultura Yayoi forme e tecniche decorative mutarono e si diffuse ampiamente un ridotto set di ceramiche (cotte a ca. 600-800 °C) composto da giare d'immagazzinamento (tsubo), vasi da cottura (kame), piatti da portata (hachi) e piatti su piedistallo (takatsuki); tali forme riflettono probabilmente le necessità dei coltivatori di riso. Lo stesso si può dire per le forme degli utensili litici e particolarmente per la comparsa di coltelli di pietra polita di forma ovale o semilunata per la mietitura (ishibocho), assicurati alla mano tramite fori dorsali attraverso cui era passata una corda o una correggia; la loro forma è ampiamente diffusa nella Cina continentale, dove essi erano già in uso da millenni. Le tracce d'uso riscontrate sulle lame di questi manufatti provano la loro utilizzazione nella raccolta del riso. Allo stesso modo la tessitura, che aveva in Cina una lunga tradizione, fu introdotta in Giappone con la cultura Yayoi, come attestano numerose fusaiole di ceramica o pietra, e dalla Cina meridionale sembra inoltre che la seta sia giunta nel Kyushu. Nel caso degli strumenti di legno, le condizioni sature di siti quali Toro hanno consentito di rilevare l'utilizzazione di zappe, vanghe, rastrelli e forconi.
La creazione di province cinesi nelle regioni settentrionali della Corea portò le isole giapponesi a una maggiore prossimità con la conoscenza del bronzo e del ferro e con la cultura Yayoi apparvero lance, alabarde, spade, specchi e campane di bronzo. In tutti i casi i modelli importati erano trasformati da metallurghi locali in forme più idonee ai gusti e alle esigenze del posto: così le armi venivano ingrandite e allargate, gli specchi divennero più piccoli e le campane molto più grandi. La campana Yayoi rappresenta un notevole traguardo nella locale lavorazione del bronzo, con la presenza di scene decorative e, nell'esemplare più grande, con un'altezza di 1,35 m. La maggior parte del metallo fuso in Giappone, se non addirittura tutto, sembra provenisse dalla riutilizzazione di oggetti importati o da lingotti di rame: i bronzi più antichi utilizzarono metallo coreano, ma i metallurghi dei periodi successivi preferirono materiali cinesi. Lo stesso si può dire per il ferro. Nella Corea meridionale esistono ricchi giacimenti di minerale di ferro e i prodotti finiti venivano commerciati a sud fino al Kyushu e alla regione occidentale di Honshu. Utensili e armi di ferro sono regolarmente rinvenuti in siti Yayoi, ma non in grandi quantità, e la fusione locale non sembra essere stata una pratica comune fino al periodo Kofun. Non vi è comunque dubbio che il ferro giocò un ruolo rilevante nell'agricoltura, a giudicare dalla presenza di falcetti di questo metallo nei contesti tardo Yayoi. Il riclicaggio del ferro e la tendenza di questo metallo ad arrugginire in condizioni ambientali umide potrebbero ben spiegare la sua scarsa presenza. Relazioni commerciali con le regioni continentali sono documentate non solo dalla presenza di bronzo, ma anche da quella di beni importati, come i grani di vetro, che appaiono ampiamente distribuiti nei siti Yayoi già dal periodo più antico. Essi sono stati ad esempio recuperati a Yoshitake-Takagi (Pref. di Fukuoka) e a Higashiyamada-Ipponsugi (Pref. di Saga). La quantità di siti che hanno fornito grani di vetro ‒ che potrebbero avere raggiunto il Giappone attraverso le emergenti rotte marine che collegavano l'Asia orientale con l'India e, attraverso quest'ultima, il Mediterraneo ‒ aumentò considerevolmente durante le fasi media e tarda della cultura Yayoi. I contesti funerari di alcuni siti tardi, quali Tounokubi e Futatsukayama, ne hanno restituiti migliaia.
Il periodo Yayoi resta controverso sotto molti aspetti. Il grado in cui esso ebbe origine da un importante spostamento di gruppi continentali in Giappone ha strette implicazioni per l'origine stessa dei Giapponesi. In alternativa, se le correnti migratorie furono scarse, si verificò forse un forte apporto di nuove idee verso le isole, per lungo tempo occupate da gruppi di cacciatori-raccoglitori? Nel corso dei sei o sette secoli di espansione e di mutamenti, i gruppi Yayoi crearono uno Stato complesso come quello descritto dai testi cinesi? Queste domande restano senza risposta certa, ma non vi è dubbio sull'importanza del periodo nella formazione delle basi essenziali per la nascita dello Stato giapponese: la comunità stabile di agricoltori.
Bibliografia
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di Roberto Ciarla
Solo nell'ultimo ventennio studiosi giapponesi e occidentali si sono rivolti all'indagine delle evidenze archeologiche relative ai processi di sviluppo economico-sociale che tra il 400 a.C. e il 700 d.C. avrebbero portato alla comparsa di una società pienamente agricola e statalizzata. Tale arco cronologico è solo per convenzione diviso in due periodi: quello Yayoi (ca. 400 a.C. - 300 d.C.), che vide la diffusione della risicoltura e dei metalli, e quello Kofun (periodo delle Antiche Tombe a Tumulo, ca. 300-700 d.C.), in cui aristocrazie sviluppatesi all'interno dei piccoli gruppi di risicoltori Yayoi diedero vita a diverse entità regionali protostatali.
I limiti cronologici che marcano quest'ultimo periodo sono basati, per la data iniziale, sul rinvenimento in alcune delle tombe a tumulo di specchi di bronzo di produzione cinese che recano date intorno alla metà del III secolo e, per la fase finale, sulla data del 712 d.C., anno in cui verosimilmente fu compilata la più antica cronaca scritta giapponese (naturalmente in caratteri cinesi), il Kojiki ("Cronaca degli antichi fatti"). Le ricerche relative ai processi di crescita della complessità sociale nel Giappone pre- e protostorico vedono tre fasi di cambiamento, ognuna delle quali implica la valutazione degli stretti rapporti di interazione tra l'arcipelago e il continente, ovvero: affermazione e diffusione della risicoltura (tarde fasi neolitiche Jomon - prime fasi Yayoi); sviluppo del sottosistema culturale delle élites e di gerarchie territoriali (dal medio Yayoi al medio Kofun); affermazione di strutture amministrative e di complessi sistemi di produzione e scambio non più limitati ai beni di status (tardo Kofun - età storica arcaica). La presenza di risicoltura, di villaggi fortificati e di elementi di diseguaglianza sociale riscontrati archeologicamente nella regione del Kyushu nord-occidentale, a poche ore di navigazione dalla costa coreana, sono gli elementi che nell'arco di pochi secoli avrebbero portato alla nascita dello Stato "giapponese" sul finire dell'epoca dei Kofun.
L'oggetto che definisce e dà il nome al periodo delle Antiche Tombe a Tumulo (kofun) costituisce uno degli elementi più caratteristici del paesaggio storico giapponese, particolarmente nella regione di Kyoto - Nara - Osaka: si tratta di grandi tumuli sepolcrali, vere e proprie colline artificiali spesso circondate da un fossato, che hanno un singolare profilo che ricorda la toppa di una vecchia serratura e che la tradizione ritiene le sepolture dei più antichi sovrani di Yamato, il primo Stato giapponese. Tali sepolture monumentali non apparvero però subitaneamente come un tempo si credeva, ma rappresentano l'acme di un processo di sviluppo basato su elementi endogeni e di origine continentale, legati in particolare alla formazione e ascesa politica di aristocrazie cavalleresche, un fenomeno che si verificò più o meno contemporaneamente (III-VII sec.) dal Giappone all'Asia Centrale e oltre lungo la fascia delle Steppe. La continuità tra i modi di seppellimento delle élites Yayoi e quelle del periodo Kofun è stata evidenziata da diverse aree cimiteriali in cui compaiono per la prima volta strutture tombali a tumulo, preannuncio di quei kofun che costituiranno la traccia più tipica delle formazioni protostatali giapponesi.
Ad esempio, nel sito di Saikachido, riconosciuto come area cimiteriale dell'insediamento tardo Yayoi di Otsuka (regione di Tokyo), sono state rinvenute 25 sepolture, ciascuna formata da un piccolo tumulo quadrangolare a sommità piatta circondato da un fossato (tipo detto hokei-shukubo), al centro del quale era scavata la fossa di sepoltura. I tumuli, ordinatamente disposti l'uno accanto all'altro, non rappresentano tutta la popolazione del villaggio di Otsuka, ma con ogni probabilità solo il suo strato sociale più alto, che già si identifica con l'ostentazione di oggetti rituali quali armi e specchi in bronzo. Il primo dei termini di contrasto tra Yayoi e Kofun eliminato dagli scavi degli anni Ottanta del Novecento è proprio quello che si riferisce alla definizione stessa dell'epoca Kofun. Strutture sepolcrali a tumulo sono state infatti individuate in diversi siti e datate allo Yayoi tardo; a Tatetsuki, presso Kurashiki (Pref. di Okayama, Honshu sud-occidentale), sono state scavate (dal 1976) sepolture in un tumulo la cui realizzazione anticipa la tecnica più tardi usata per i grandi tumuli a "buco di serratura" (o zempokoen, "davanti quadrato, dietro tondo"). Il tumulo di Tatetsuki fu costruito sagomando una collina naturale (togliendo terra da una parte e ammassandola dall'altra): con la sua porzione centrale di 43 m di diametro e circa 5 m di altezza, è forse il più grande tumulo Yayoi a oggi rinvenuto.
La differenza tra i periodi Yayoi e Kofun non è tanto da ravvisare nella rapida comparsa dei tumuli quanto nell'unificazione dei diversi tipi regionali in un unico stile, quello zempokoen classico, in relazione all'affermarsi di un sistema di alleanze politiche interregionali, tra la fine del IV e l'inizio del V secolo, premessa alla nascita del regno di Yamato. Il più antico tipo di kofun compare nel Kinai (area delle odierne Osaka - Kyoto - Nara), ritenuta dalla tradizione la terra d'origine della famiglia imperiale e dello Stato giapponese; non a caso gli antichi tumuli dal Kinai si diffusero a Kyushu e intorno a Tokyo, eretti in luoghi-chiave lungo vie di trasporto e comunicazione o lungo i confini di pianure agricole, quasi a contrassegnare il territorio che il signore di quel tumulo aveva dominato in alleanza con il tenno, il sovrano, l'imperatore. Il kofun presso Tsubai Otsukayama (25 km a sud di Kyoto), tra i più rappresentativi del tipo più antico, fa parte di un gruppo di tre kofun sul crinale delle colline che delimitano la piana del fiume Kizu; la forma è quella classica del tipo zempokoen, con una terrazza anteriore trapezoidale, digradante verso la porzione posteriore a pianta circolare, molto più alta della terrazza anteriore che i lavori di costruzione della linea ferroviaria Kyoto-Nara, nel 1894, intaccarono, rivelando la struttura della tomba, formata da una camera funeraria all'interno di una fossa profonda circa 5 m. Secondo la tradizione il tumulo di Tsubai Otsukayama sarebbe la sepoltura del primo sovrano che portò l'intero Giappone sotto il potere di Yamato. L'identificazione resta però ipotetica, mentre quasi certa è l'attribuzione del più grande tumulo zempokoen del Giappone (lungh. 486 m) circondato da tre grandi fossati a ricordare il profilo di una campana Yayoi di bronzo: questo zempokoenfun, presso Sakai a sud di Osaka, sarebbe la tomba del terzo sovrano della dinastia Naniwa, Nintoku, che iniziò nel 67° anno di regno la costruzione della sua tomba.
Vi è l'eco di una ritualità e di un'ideologia del potere di origine continentale in questi veri e propri "giardini funerari", o mausolei, delimitati dal recinto rituale rappresentato dal fossato e popolati di ornamentazioni simboliche consistenti inizialmente in semplici cilindri di terracotta (haniwa), ai quali presto si aggiunsero raffigurazioni di oggetti (quali case, barche e oggetti d'uso) e poi, dalla metà del V secolo circa, di uomini e animali. Distribuiti principalmente sulla sommità, lungo il perimetro e ai piedi del tumulo, gli haniwa forniscono una testimonianza della vita e dei riti dell'aristocrazia di cavalieri i cui strumenti e paraphernalia sono stati rinvenuti in abbondanza nelle sepolture a tumulo e il cui rango è indicato anche dalle dimensioni e dall'accuratezza nell'esecuzione degli haniwa stessi. Intorno alla metà del V secolo, nei tumuli del Kyushu settentrionale iniziò l'uso di camere sepolcrali con lungo corridoio che conduce all'interno del kofun, dove una o più camere funerarie ‒ spesso decorate con pitture parietali ‒ possono essere aperte e utilizzate più volte, mentre il profilo del tumulo abbandona la forma "a toppa" e diventa quadrangolare o "a zucca"; compaiono nei corredi nuovi tipi di ornamenti di bronzo dorato e monili di conchiglia, finimenti per cavallo di bronzo e ferro e un nuovo tipo di ceramica di colore grigio metallico, detta Sueki (ceramica Sue), fatta al tornio, cotta a elevate temperature e spesso con una sottile invetriatura, gran parte della quale, come alcuni dei manufatti metallici, importata dalla Corea. Dopo la loro comparsa nel Kyushu settentrionale i nuovi elementi di stile coreano si diffusero rapidamente verso il Nord. La presenza di corredi funerari in cui prevalgono finimenti per cavallo e corone di bronzo dorato (insieme a spade di ferro fuso, spesso recanti iscrizioni), accanto a un nuovo tipo di sarcofago di pietra, dimostra da un lato l'esistenza di una fitta rete di scambi con il continente e dall'altro l'inizio di una chiara, cosciente volontà da parte dell'aristocrazia giapponese di emulare i raffinati modelli artistici e civili della Cina e dei regni coreani del periodo Samguk. Tale emulazione avrebbe portato al fiorire di quell'originale cultura, pur profondamente sinizzata, dei periodi storici di Nara e di Heian. L'affermarsi di uno strato intermedio tra l'aristocrazia dei grandi tumuli e la gente comune dei villaggi agricoli è testimoniato dai molti gruppi di piccoli tumuli funerari presso i maggiori centri economici e politici dell'epoca.
Alla metà del VII secolo un editto dell'imperatore Kotoku ‒ nell'ambito di una generale riforma della struttura sociale e amministrativa del neonato Stato, conosciuta come Taika ("Grande Cambiamento") ‒ mise fine agli antichi usi funebri e impose rigide norme suntuarie che "normalizzavano" le dimensioni e la ricchezza delle sepolture in base ai sei strati in cui la società giapponese era divisa. La fine dell'epoca degli Antichi Tumuli, però, non fu segnata soltanto dall'editto di Kotoku; infatti una nuova religione andava diffondendosi tra l'aristocrazia giapponese, una religione mite e impietosa che, insegnando a distaccarsi dalle cose umane, consegnava al fuoco quanto di più inutilmente umano dell'individuo resta al momento della morte: un corpo inanimato per il rito della cremazione. Conosciuto già dalla fine del V secolo, il buddhismo entrò ufficialmente in Giappone nel 552 (secondo quanto tramanda un altro antico testo dell'epoca, il Nihon Shoki). Appena 35 anni dopo, il clan dei Soga, per adempiere a un voto fatto prima della battaglia contro il clan Mononobe, faceva edificare il primo tempio buddhistico del Giappone, conosciuto come Asuka-dera, presso Asuka nella piana di Nara, dove fin quasi alla fine dell'VIII secolo sarebbe rimasta la sede del governo imperiale. Con la fine del periodo Kofun, la diffusione del buddhismo e, quindi, della scrittura, la protostoria trapassa nella storia e l'archeologia preistorica lascia il posto all'archeologia storica.
C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 251-304; R.J. Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past. Studies in Archaeology and Prehistory, Ann Arbor 1986; C. Renfrew - J.F. Cherry (edd.), Peer Polity Interaction and Socio-Political Change, Cambridge 1986; T. Hiroshi, The Kofun Period, in T. Kiyotari (ed.), Recent Archaeological Discoveries in Japan, Paris - Tokyo 1987, pp. 55-71; G.L. Barnes, Early Korean States. A Review of Historical Interpretation, in G.L. Barnes (ed.), Hoabinhian, Jomon, Yayoi, Early Korean States. Bibliographic Reviews of Far Eastern Archaeology 1990, Oxford 1990, pp. 113-62; Keiji Imamura, Prehistoric Japan. New Perspectives on Insular East Asia, Honolulu 1996, pp. 14-15, 179-99.
di Yumiko Nakanishi
L'archeologia giapponese ebbe inizio nel 1877 con lo scavo del chiocciolaio di Omori condotto dallo zoologo americano E.S. Morse; almeno nelle sue prime fasi, essa si concentrò sul periodo preistorico e non fu particolarmente interessata a quello storico, studiato nel contesto di altre discipline accademiche, quali la filologia, la storia antica e la storia dell'arte e dell'architettura, che si avvalevano delle sole antiche fonti scritte. La necessità di integrare queste ultime con dati desumibili dai resti della cultura materiale produsse, però, particolarmente dopo la fine della seconda guerra mondiale, un interesse sempre maggiore per l'archeologia storica. L'integrazione tra fonti documentarie e dati archeologici è oggi una prassi cui l'archeologia giapponese dedica particolare attenzione e risorse.
Se comparato con altre parti del mondo, il periodo storico ebbe inizio in Giappone in epoca relativamente tarda, intorno alla metà del VII secolo, quando vennero istituiti un sistema amministrativo e leggi codificate. Le fasi recenti del periodo Kofun (secc. V-VII) vengono talvolta incluse nel periodo storico, in quanto vi sono evidenze dell'uso di caratteri scritti, ma solo dopo il VII secolo, con l'unificazione territoriale e politica dell'arcipelago, si ebbero veri e propri resoconti storici.
Inizialmente l'ambito di ricerca dell'archeologia storica si limitò a indagare la sfera religiosa (ad es., l'archeologia dei templi buddhisti, associata allo studio delle iscrizioni su monumenti e stele di pietra), per estendersi in seguito ad altri settori e periodi. I principali temi sono stati per lungo tempo rappresentati dallo studio delle antiche capitali, delle sedi amministrative dei feudi rurali e dei templi buddhisti; progressivamente le ricerche si sono estese all'archeologia medievale e premoderna, soprattutto negli ambiti connessi con le attività di produzione, e ai soggetti classici delle prime fasi del periodo storico antico (periodi Asuka, Nara e Heian). I siti di attività metallurgiche sono un buon esempio del sostanziale contributo fornito dall'archeologia storica allo studio dei processi produttivi dei periodi medievale e premoderno; recentemente sono inoltre divenuti oggetto di interesse i siti moderni, quali quelli connessi con i conflitti bellici e i siti industriali.
Talvolta è anche accaduto che la ricerca archeologica abbia posto fine ad annosi dibattiti in merito a eventi storici: uno dei più celebri casi riguarda il tempio di Houryu-ji (Pref. di Nara), uno dei più antichi del Giappone, che si ritiene sia stato fondato nel 607 d.C. In un documento storico, il Nihon Shoki, è riportato che il tempio venne incendiato nel 670 d.C. Secondo alcune teorie elaborate sulla base di tale fonte, il tempio oggi visibile, con le sue importanti strutture monumentali, sarebbe stato ricostruito dopo il 670 d.C.; altri studiosi, soprattutto storici dell'architettura, sostenevano invece che non si erano verificati incendi, poiché, in base a confronti con la sequenza degli stili architettonici cinesi, lo stile delle costruzioni presenti, riferibile al periodo Asuka, era compatibile con l'originaria data di fondazione. Essi sottolineavano inoltre l'assenza di tracce di incendi nei recinti del tempio e affermavano che il Nihon Shoki descriveva un'altra struttura, ubicata in altro luogo. Il dibattito, iniziato nel 1905, ebbe termine solo nel 1939 con gli scavi condotti nell'area di Wakakusa-garan del tempio di Houryu-ji, in cui erano state individuate le evidenze di incendi; gli scavi documentarono la presenza di recinti più antichi e fasi di ricostruzione successive all'incendio del 670. Il protrarsi del dibattito contribuì comunque in modo sostanziale all'avanzamento delle discipline accademiche coinvoltevi, quali la storia dell'arte, la storia dell'architettura, la filologia, la storia antica e altre. L'archeologia ha anche fornito un rilevante apporto all'incremento "fisico" delle fonti documentarie: gli scavi hanno infatti consentito il rinvenimento di documenti scritti, quali gli inventari scritti a inchiostro su tavolette di legno e su ceramiche e le iscrizioni che compaiono su spade e altri manufatti metallici; sono stati identificati anche frammenti di documenti scritti a inchiostro su carta e che si sono conservati grazie al fatto che la carta, riutilizzata per avvolgere o chiudere contenitori di ceramica, si era imbibita della lacca usata per chiudere i contenitori stessi.
Tra tutte le fonti scritte recuperate negli scavi, le tavolette di legno sono di particolare importanza per lo studio dei sistemi amministrativi del passato: grandi quantità ne sono state recuperate negli antichi palazzi sede del potere imperiale, come il Palazzo di Heijo e il Palazzo di Fujiwara, contenenti utili dati su eventi di corte e uffici amministrativi e informazioni talvolta in contraddizione con i documenti storici tradizionali. Sono state inoltre recuperate etichette di legno che erano apposte sui contenitori usati per il trasporto dei tributi (ad es., riso); 39 tavolette di legno vennero rinvenute per la prima volta nel 1961 nel Palazzo di Heijo, a tutt'oggi ne sono stati recuperati oltre 70.000 esemplari e più di 220.000 sono quelli rinvenuti nell'intero Giappone.
Le ricerche sulla fase compresa tra il periodo Asuka e il periodo Heian rappresentano l'ambito di studi maggiormente consolidato dell'archeologia storica giapponese. Gli scavi hanno consentito di raccogliere dati per stabilire complesse cronologie delle ceramiche e delle tegole tipiche di questi periodi. Sebbene l'archeologia storica si sia per lungo tempo concentrata sulle fasi iniziali del periodo storico, attualmente il suo campo di interessi si estende anche ai periodi più recenti. Sono stati intrapresi scavi in città medievali, castelli, tombe e in siti connessi con le attività produttive. Le città premoderne sono state anch'esse oggetto d'indagine, con l'obiettivo di studiarne gli aspetti non descritti nei disegni e nei documenti storici. In termini generali, l'archeologia storica dopo il periodo medievale non è così consolidata quanto l'archeologia del periodo storico antico e rappresenta il settore che dovrà in futuro essere maggiormente investigato; in molti casi essa intraprende ricerche congiunte con altre discipline: molti ambiti disciplinari adiacenti, quali la filologia, la storia antica, la storia dell'architettura, la storia della coltivazione, la geografia storica, hanno con essa inevitabili correlazioni e il contributo di ciascuna allo sviluppo dell'altra appare imprescindibile.
S. Goto - T. Ishimoda (edd.), Lectures on Japanese Archaeology, VI. Historic Period [in giapponese], Tokyo 1956; T. Mikami - S. Narazaki (edd.), Japanese Archaeology, VII. Historic Period [in giapponese], Tokyo 1967; K. Tsuboi, Buried Cultural Properties and Archaeology [in giapponese], Tokyo 1986; H. Kaneko, The Heijo Palace, in K. Tsuboi (ed.), Excavations of Capital Remains. Thinking of Ancient Times [in giapponese], Tokyo 1987, pp. 133-56; K. Sakurai - S. Sakazume (edd.), Debates on Japanese Archaeology, VI. Historic Period [in giapponese], Tokyo 1987; S. Sakazume, Introductory Dictionary for Historic Archaeology [in giapponese], Tokyo 1991; T. Ozawa, The Heijo Palace, in Symposium, the Heian Capital [in giapponese], Kyoto 1994, pp. 37-43; W.W. Farris, Sacred Texts and Buried Treasures: Issues in the Historical Archaeology of Ancient Japan, Honolulu 1998; Y. Nakanishi, The Development of Japanese Palace Style towards the Last Ancient Palace in Japan: to what Extent Was the Heian Palace "Chinese" or "Japanese" in Style and Use? (BA Diss.), Durham 2000.
di Tomo Miyasaka
Area dell'isola di Kyushu (comune di Akaike-cho, Pref. di Fukuoka-ken), delimitata dal Monte Fukuchi-san a nord-est e dal fiume Hikosan-gawa a sud-ovest, in cui sono state riconosciute due fasi di rilievo: la prima nel Neolitico, la seconda dagli ultimi anni del XVI sec. d.C.
Numerosi insediamenti del Neolitico (Jomon e Yayoi) sono stati rinvenuti in scavi di emergenza nella zona di A.: ceramiche del periodo Jomon sono state rinvenute a Kusaba e Ichizu, mentre altre dei periodi Jomon e Yayoi sono state portate alla luce a Miyanobaba; i siti Yayoi di Itatori, Suwayama, Suikida, Kuramoto, Nagino, Ichiba-hiraishi e Ishimatsu sono stati distrutti e non indagati, ma una campionatura dei frammenti ceramici rinvenuti è conservata nel comune di Akaike-cho. Il maggiore interesse dell'area di A. deriva dal centro di produzione di ceramiche realizzate con tecniche coreane che ebbe inizio negli anni successivi alle battaglie di Bunroku-Keicho (1592 e 1597). La produzione fu promossa da Hosokawa Tadaoki (Sansai), feudatario di Buzen dal 1600, che fece costruire una fornace nel suo castello di Kokura e un'altra nel 1602 ad A., denominata Kamanokuchi-gama, affidandola al ceramista coreano Sonkai e a Sen no Doan. La fornace, scavata nel 1955, raggiunse in tre fasi costruttive la lunghezza di 40,5 m con 15 ambienti riservati alla cottura; essa produceva esclusivamente ceramica d'uso. Era utilizzato il tornio, tranne che nei servizi da tè per i quali si faceva ricorso alla tecnica del colombino, alle matrici e a tecniche miste. Le vetrine impiegate erano a base di cenere di paglia, ferro e bronzo. Nella fase iniziale il vasellame era invetriato fino al piede, in seguito aumentarono i piedi privi di vetrina. È rilevante la presenza di vasi con piedi a forma di zampa animale, che attesta influssi delle fornaci cinesi della dinastia Ming (1368-1644). Per il vasellame più raffinato era usata una particolare vetrina (saya), atta a prevenire l'eventuale deposito di cenere e fuliggine. La fornace cessò di produrre nel 1632.
Nell'area di A. è stata inoltre localizzata una fornace privata, Iwaya Korai-gama, che produceva ceramiche commerciali; la struttura, che a tutt'oggi non è completamente indagata, aveva dimensioni ridotte. Le tecniche attestate sono il tornio, il colombino e il tataki (il vaso, al tornio o a colombino, era rifinito con un pezzo di legno). Oltre alle vetrine comuni era utilizzata quella introdotta dalle Filippine (irabo-yu), composta dal 70% di cenere e dal 30% di terra rossa. Anche questa fornace venne chiusa nel 1632. È inoltre attestata, a partire dal 1622-24, la presenza di una terza fornace, Sarayama Hon-gama, in cui inizialmente si usarono le stesse tecniche di Kamanokuchi, mentre in seguito vennero impiegati altri tipi di argilla e di invetriature associate a varie decorazioni (a stampo, a incisione, dipinte, a pettine, ecc.). Il forno fu chiuso con la caduta dello shogunato dei Tokugawa.
T. Nagatake, Nihon, Edo Zenki [Giappone, l'epoca Edo], in Toki Koza, Tokyo 1971, pp. 218-28; Kitakyushu no maizou-bunkazai [Il patrimonio culturale sepolto in Kitakyushu], Kitakyushu 1976, pp. 4-7; Y. Yoshinaga, s.v. Agano e Agano Kizou, in Fukuoka-ken Hyakkajiten [Enciclopedia della Pref. di Fukuoka], Fukuoka 1982, p. 20; Bunka-cho (ed.), Zenkoku iseki chizu [Atlante degli scavi nazionali], XL, Tokyo 1985, pp. 61-62, 66-67; G. Kozuru, Agano, Takatori, Yatsushiro, Shodai, in Nihon Toji Taikei, XV, Tokyo 1991, pp. 1-127; Id., Karatsu, Agano, Takatori, Hagi, in Nihon no Yakimono, V, Tokyo 1991, pp. 53-100.
di Tsuyoshi Fujimoto
Sito nella Prefettura di Osaka (Honshu centro-occidentale) con evidenze di occupazione dal periodo Yayoi (IV sec. a.C. - 250 d.C. ca.) al periodo Kamakura (1192-1333); è il più antico insediamento agricolo della regione di Kyoto - Osaka, che documenta la diffusione della cultura agricola Yayoi dal Kyushu verso nord-est.
Il sito si trova alla confluenza del fiume Hio nello Yodo, che scorre circa 2 km a sud, nell'area compresa tra Osaka e Kyoto (l'area nucleare della civiltà storica giapponese), e vi sono stati messi in luce paleoalvei riferibili al fiume Hio, che sembra avere più volte modificato il suo corso. Le zone residenziali (1,5 × 0,5 km) cambiarono più volte localizzazione: limitate a una piccola area al centro del sito nella fase Yayoi antica, si estesero a est e ovest in quella media e vennero spostate verso i margini orientale e occidentale nella fase tarda. Sono stati portati alla luce resti di capanne, di sepolture, risaie e fossati. Indagini condotte nei fossati (largh. 4-5 m, prof. 1 m) hanno evidenziato varie fasi di costruzione, di cui la più chiara è quella della fase Yayoi antica, quando un doppio fossato circondava l'insediamento. Nelle aree delimitate dai fossati è stata scoperta una stratigrafia di unità architettoniche, con buchi di palo per strutture rialzate di legno, pozzetti di discarica (prof. 2-3 m) e capanne seminterrate (lungh. 5 m ca.) a pianta rettangolare circondata da canaletta di fondazione per i muri perimetrali, focolare centrale e buchi di palo per i pilastri interni di sostruzione del tetto.
Accanto all'abitato era la necropoli con sepolture in sarcofagi lignei entro fosse rettangolari, soprattutto della fase media Yayoi, spesso raggruppate in recinti quadrangolari lunghi 9-10 m delimitati da fossati (largh. 2 m, prof. 1 m). Nell'area più bassa del terrazzo erano situate le risaie. La tipologia della ceramica comprende olle, giare e piatti su piedistallo, talvolta con decorazioni incise, e può essere datata all'intero periodo Yayoi; rilevanti i tipi con decorazione a pettine che, comparabili con la fase media (Ongagawa) dello Yayoi antico di Kyushu, segnano l'inizio dell'occupazione del sito. Molto ricca è la gamma degli strumenti litici, che documenta un ampio spettro di attività economiche: coltelli-falcetto (ishibocho) di pietra levigata per la raccolta del riso, asce e accette da carpenteria di pietra levigata, punteruoli e punte di trapano di pietra scheggiata per la lavorazione del legno, punte di freccia e di giavellotto di pietra scheggiata e pugnali di pietra levigata. Occorre anche citare, oltre alle punte di freccia di bronzo con codolo, gli strumenti agricoli di legno, tra cui zappe, vanghe, mestoli, manici di accette e asce, pestelli per decorticare il riso, archi e vasellame. Si ritiene che A. fosse il principale sito della regione nella fase Yayoi antica e che i piccoli insediamenti comparsi nelle vicinanze nella fase tarda siano insediamenti da esso derivati.
S. Haraguchi, Takatsuki-shi shi [Storia della città di Takatsuki], VI, Takatsuki 1973; C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 212-15.
di Mark Hudson
Sito del periodo Yayoi tardo ubicato sulla riva meridionale del Tabuka, nella penisola di Kunisaki (Pref. di Oita, Kyushu nord-orientale).
Sebbene la piana fluviale del Tabuka abbia una larghezza massima di soli 700 m nelle vicinanze di A., nel III sec. d.C. fu sfruttata per la coltivazione di riso in vasca. Il sito fu scoperto prima della seconda guerra mondiale a seguito di lavori di drenaggio; il primo saggio (1949) restituì ceramica, semi e manufatti di legno e fu seguito da scavi su più ampia scala (1950-52, 1985-87). Due concentrazioni di buchi di palo furono interpretate come resti di abitazioni su pilastri, anche se non si può escludere che si tratti di magazzini. L'area più ampia presenta 300 buchi di palo che apparterrebbero a nove edifici coevi ed è circondata da un alveo a U, verosimilmente un braccio minore del Tabuka, forse modificato in epoca Yayoi a scopi agricoli o difensivi. Una concentrazione minore di buchi di palo è stata rinvenuta presso il fiume, dove tre canali artificiali (largh. 1,5 m, prof. 1 m) sembrano connessi con l'irrigazione delle risaie. I manufatti comprendono strumenti agricoli di legno e resti architettonici, litici e ceramici. Sono stati trovati frammenti ceramici del Jomon tardo e dello Yayoi antico e medio, ma la più consistente occupazione si data allo Yayoi tardo e al Kofun antico. Un tipo di giara da immagazzinamento (tsubo), con orlo carenato decorato superiormente da un motivo a onda inciso a pettine, fu identificato negli anni Cinquanta e denominato "tipo A.", databile alla fine del periodo Yayoi. I resti vegetali comprendono riso, castagne, noci, ghiande, pesche e loti. Negli anni Cinquanta A. sembrava ben inserirsi in un panorama che vedeva le coltivazioni del riso di epoca Yayoi incentrate in località naturalmente umide e paludose, come, ad esempio, Toro; gli studi successivi hanno invece appurato che sin dall'inizio del periodo Yayoi erano praticate sofisticate tecniche di irrigazione e di drenaggio.
Ankokuji: Yayoi-shiki iseki no chōsa [Ankokuji: ricerche su un sito Yayoi], Tokyo 1958; Ankokuji iseki [Il sito di Ankokuji], Kunisaki 1989.
di Roberto Ciarla
Sito del Paleolitico superiore ubicato circa 75 km a sud di Niigata, capoluogo dell'omonima Prefettura, nel versante centro-settentrionale di Honshu.
Nel deposito di A., su un terrazzo fluviale coperto da ceneri vulcaniche nella fascia pedemontana furono condotte limitate indagini negli anni Cinquanta del Novecento, che misero in luce tracce di strutture abitative, come in molti altri siti del Paleolitico medio e superiore, evidenziate da ampie lenti di carbone. Le indagini non furono tuttavia approfondite; la notorietà del sito deriva piuttosto dal rinvenimento di oltre 2000 manufatti di basalto a grana fine, verosimilmente di origine locale, che esemplificano la tipologia delle industrie tardopaleolitiche del Giappone settentrionale. Di tale complesso, oltre ad alcuni choppers, raschiatoi e punte, facevano parte 400 bulini e 1000 schegge derivate dalla loro lavorazione, 600 microlame e una ventina di "micronuclei a cuneo" (anche detti "nuclei carenati" o "naviformi" di tipo Yubetsu) ricavati da bifacciali fratturati longitudinalmente. Questi ultimi sarebbero di poco posteriori ai nuclei o micronuclei conici e semiconici che caratterizzano gli orizzonti tardopaleolitici del Honshu centro-settentrionale e di Hokkaido e attesterebbero una derivazione dei "nuclei a cuneo" dai nuclei conici (quali quelli rinvenuti a Yasumiba e Yadegawa), i cosiddetti "bulini di A.", ottenuti distaccando una o due lamelle (distacco di bulino) dall'apice, per lo più espanso, di tozze lame (lungh. 4,5 cm ca.; largh. 2-2,5 cm ca.) preparate con erto ritocco monofacciale su ambedue le estremità. L'omogeneità della tipologia litica e la grande quantità di micronuclei e schegge di bulino inducono a considerare il deposito come il prodotto locale di attività artigianali, forse specializzate. I bulini sarebbero stati utilizzati per incidere ossa o legni in cui erano fissate microlame per ottenere attrezzi da taglio; tale interpretazione non ha però trovato conferme dirette. Una sola datazione radiometrica al 13.200 B.P. inquadra il sito negli orizzonti tardopaleolitici dell'Asia nord-orientale; i bulini di A., ampiamente documentati nel Honshu settentrionale e a Hokkaido, trovano stretti confronti, insieme con i nuclei a cuneo, con coevi materiali microlitici di depositi dell'Alaska, Siberia, Mongolia e Cina settentrionale (ad es., a Hutouliang e Xiachuan, Prov. di Shanxi). È interessante notare come la distribuzione dei sofisticati nuclei a cuneo di tipo Yubetsu nel Honshu settentrionale e a Hokkaido contrasti con la distribuzione dei micronuclei grossolani, sia del tipo semicilindrico sia a cuneo, nelle regioni meridionali dell'arcipelago. Tale differenziazione sembra rispecchiare due diverse tradizioni tecnologiche, già peraltro evidenziatesi, tra il 20.000 B.P. e il 15.000 B.P. circa, per le industrie su lama allungata, la cui tipologia risulta più sofisticata e diversificata nel Nord; essa documenterebbe inoltre la presenza, come in epoca storica, di aree culturali legate anche a diversità di carattere ambientale, corrispondendo la "tradizione settentrionale" con l'area di distribuzione delle comunità biotiche temperate fredde e la "tradizione meridionale" con quella delle comunità subtropicali del Honshu meridionale, Shikoku e Kyushu.
Chosuke Serizawa, Niigata-ken Araya iseki no okeru saisekijin bunka to Araya-gata chokokuto ni tsuite [Una nuova industria microlitica scoperta nel sito di Araya e il bulino di tipo Araya], in Dai Yonki Kenkyu, 1, 5 (1959), pp. 174-81; C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982.
di Mark Hudson
Regione sud-orientale del bacino di Nara, divenuta centro politico e culturale del Giappone tra la fine del VI e il VII sec. d.C.
In questo periodo il termine A. definiva un'area leggermente più piccola di quella odierna; ragioni storiche consigliano però di seguire l'uso moderno del termine, che definisce una regione che ha come centro il villaggio di A. e si estende a nord fino al Monte Miminashi, includendo anche Fujiwara-kyo. L'epoca del dominio di A. è nota come "periodo A.", che nell'accezione più ampia inizia con l'introduzione ufficiale del buddhismo nel 538 o nel 552 o con l'ascesa al trono dell'imperatrice Suiko nel 592; il termine finale è dato dallo spostamento della capitale più a nord, a Nara, nel 710. Fra gli storici dell'arte il periodo A. indica invece uno stile dell'arte protobuddhista, che va dal regno di Suiko fino al 645 circa e che fu seguito da quello Hakuho (645-710). Il VII secolo fu una fase di crescente centralizzazione politica, culminata nei Codici Taiho del 701, realizzati sulla base delle precedenti riforme Taika (646), e del codice Asuka Kiyomihara (689). La spinta alla centralizzazione derivò dalla sconfitta subita dal Giappone e dai suoi alleati nella Penisola Coreana da parte di un'alleanza Tang - Silla intorno al 660; tale sconfitta produsse un'ondata migratoria dalla Penisola Coreana, che portò nuovi influssi continentali sull'arte e l'architettura.
Dall'epoca dell'imperatrice Suiko la maggior parte dei palazzi imperiali del VII secolo fu costruita nella regione di A.; i palazzi indicavano ancora capitali non permanenti, trasferite a ogni nuovo imperatore e spesso varie volte in uno stesso regno. Quando l'apparato burocratico statale divenne più complesso gli spostamenti furono sempre più difficili e la capitale Fujiwara venne occupata da tre successivi sovrani fra il 694 e il 710. La città aveva un impianto regolare a reticolo su modello cinese e si differenziava dalle precedenti capitali, costituite dall'insieme dei palazzi e degli edifici amministrativi disposti senza un piano preciso. Nel VII secolo oltre a Fujiwara esistevano nella regione di A. sei palazzi imperiali principali, accanto ad altri edifici minori. I palazzi di A. sono menzionati nel Nihon Shoki e sulla base di confronti toponomastici è stato possibile avanzare ipotesi sulla loro localizzazione. In molte di queste località sono stati condotti scavi dal 1950 ma, fatta eccezione per Fujiwara, gli studiosi non concordano nell'identificare le strutture messe in luce con un palazzo particolare. Ad esempio, una lunga tradizione propone che Oka, nell'A. meridionale, fosse il luogo dove sorgeva il palazzo Itabuki, occupato dall'imperatrice Kogyoku dal 643 al 645 e poi dall'imperatrice Saimei nel 655. Gli scavi (1959) in questo sito hanno restituito resti di edifici e pavimenti di pietra pertinenti a palazzi, variamente identificati in quelli di Asuka Kiyomihara e di Nochi-no-Okamoto, entrambi usati da Saimei, o in quello di Shima, occupato dall'imperatore Tenmu e più tardi dal principe Kusakabe.
La supremazia di A. alla fine del VI e all'inizio del VII secolo può essere attribuita al clan Soga, la più potente famiglia aristocratica dal 580 al 645. Nel tentativo di appropriarsi del potere regale, i Soga promossero il buddhismo e modelli di governo di origine continentale: A. divenne così il primo centro del buddhismo giapponese, introdotto attraverso lo Stato coreano di Paekche verso la metà del VI secolo. Il primo tempio di grandi dimensioni fu l'Asuka-dera (o Hoko-ji), costruito da Soga-no-Umako con maestranze Paekche dal 588 al 596. Il tempio si estendeva su un'area di circa 200 m di lato e aveva tre sale principali disposte intorno a una pagoda centrale. L'Asuka-dera è il solo tempio antico giapponese noto con questo tipo di pianta, simile a quella del tempio Koguryo di Chonganni, nei pressi di Pyongyang, oggi distrutto, anche se si ritiene che in quel periodo esistessero a Paekche altri templi simili. Dopo l'Asuka-dera, numerosi furono i templi costruiti in tutto il Giappone; in particolare, nell'area di A. ne sorsero alcuni dei più importanti, quali Yamada-dera, Kawara-dera e Yakushiji. Altri edifici sacri furono edificati fuori di A., come lo Ikagura-dera (ricostruito e riconsacrato con il nome di Horyu-ji). L'arte di A. fu fortemente influenzata dalla personalità dello scultore Kuratsukuri-no-Tori, il cui stile ‒ ispirato alla scultura cinese dei Wei Settentrionali mediata dalla Corea ‒ è caratterizzato da figure piuttosto rigide, con occhi a mandorla e pieghe simmetriche negli abiti. Lo stile successivo (Hakuho) è caratterizzato da figure più aggraziate, che mostrano influenze cinesi di epoca Tang e caratteristiche locali giapponesi. Archeologicamente il periodo A. rientra nella tarda epoca Kofun, e numerosi e famosi esempi di kofun sono presenti nella regione dell'A. Nella regione di A. i kofun del VII secolo sono a pianta circolare o quadrata; questi ultimi sembrano essere stati prerogativa dei nobili Soga e degli imperatori con essi imparentati. Il tumulo di Ishibutai da molti ritenuto la tomba di Soga-no-Umako, è a pianta quadrata (50 m di lato), ma dopo la sconfitta del clan dei Soga sembra che si verificò un profondo cambiamento anche nell'impianto dei tumuli imperiali, che assunsero una pianta ottagonale.
La fine del periodo di A. vide una crescente influenza buddhista che si manifestò nelle suppellettili funerarie dei kofun e nella presenza di urne cinerarie. Il kofun Nakaoyama nell'A. meridionale, ad esempio, ha un tumulo ottagonale e una cripta in pietra per la deposizione delle ceneri di cremazione, pratica buddhista sempre più diffusa fra la nobiltà dopo il 700 circa. La natura di transizione del tardo periodo A. è mostrata anche dalla presenza di manufatti tipici dei corredi funebri delle tombe a tumulo, come i grani di collana a C (magatama) posti nei depositi di fondazione di pagode, ad esempio nell'Asuka-dera. Costituisce un carattere distintivo di A. la presenza di una serie di grandi pietre scolpite datate al VII secolo: alcune erano usate come fontane da giardino, mentre altre erano scolpite a bassorilievo con figure "demoniache" grottesche in uno stile singolare, ben diverso dai più antichi haniwa o dalle coeve sculture buddhiste.
J.E. Kidder, Early Buddhist Japan, London 1972; W.R. Carter, Guide to the Asuka Historical Museum, Nara 1978; A. Machida (ed.), Kodai no kyūden to Ji'in [Antichi templi e palazzi], Tokyo 1989.
di Tsuyoshi Fujimoto
Regione della parte centrale dell'isola di Honshu, costituita da pianure disposte lungo il Mar del Giappone e l'Oceano Pacifico, e da un'area montuosa, situata tra i due mari, chiamata Distretto Montano di C.
Si tratta di un altipiano di 500-1000 m s.l.m., circondato da catene montuose con le più alte vette dell'arcipelago giapponese (2500-3000 m); molti fiumi scorrono dalle montagne verso il Mar del Giappone a nord e verso l'Oceano Pacifico a sud. La pianura lungo l'Oceano Pacifico si trova nel distretto di Tokai e quella lungo il Mar del Giappone distretto di Hokuriku. In questi distretti sono state individuate officine paleolitiche per la lavorazione di utensili d'ossidiana che affiora al Passo Wada (Pref. di Nagano) e sui Monti Amagi (Pref. di Shizouka). Gli insediamenti Jomon sono numerosi: molti siti sono stati individuati alle pendici di catene montuose, come Shakado e Konsei (Pref. di Yamanashi) e Akyuu, e altri siti alle pendici dei Monti Yatsugatake (Pref. di Nagano). Nei periodi tardo e finale numerosi siti erano concentrati sul litorale. A Chikamori (Pref. di Ishikawa) fu rinvenuto un "circolo" di 10 ceppi (lungh. 6-7 m, diam. 60-80 cm) eretti all'interno di una circonferenza di circa 10 m. La sua funzione non è certa, ma si ritiene che esso potesse avere una funzione rituale. Numerose necropoli sono state identificate nei chiocciolai del distretto di Tokai, che in periodo Yayoi fu un centro secondario di coltivazione e diffusione della risicoltura verso la pianura di Kanto.
Nella regione sono stati identificati insediamenti cinti da un fossato come il sito di Asahi (Pref. di Aichi), ad attestare un antagonismo tra gli insediamenti e, dalla seconda metà del III al VII sec. d.C., molti tumuli del tipo zempokoen furono costruiti nella regione di Ch. assieme a tumuli di dimensioni medie e piccole (inferiori a quelli della regione di Kinki) situati nei bacini dei distretti montuosi e nelle pianure alluvionali dei bassopiani: Mori-Shougunzuka (Pref. di Nagano) ne è un esempio. Nella regione sono stati inoltre scavati molti siti di età storica, tra cui templi buddhisti e castelli medievali.
Bibliografia
Tatsuo Kobayashi, Kanto and Koushinetsu Districts, in Kiyotari Tsuboi (ed.), Hakkutsu ga kataru Nihonshi, II, Tokyo 1986; Sumiyuki Kawahara, Toukai and Hokuriku Districts, ibid., III, Tokyo 1986.
di Mark Hudson
Necropoli risalente al periodo Yayoi ubicata presso la città di Hohoku, sulla costa occidentale di Honshu (Pref. di Yamaguchi).
Dopo la scoperta nel 1931 di alcuni resti di sepolture della fine del periodo Yayoi antico e degli inizi dello Yayoi medio, la necropoli, su una duna sabbiosa ad alcune centinaia di metri dalla costa di Hibikinada, venne scavata a partire dal 1953; sebbene non siano stati individuati i resti dell'abitato, la bassa pianura al di là della duna appare idonea alla risicoltura. Le pratiche funerarie sono piuttosto variate; tra le più frequenti sono le inumazioni a fossa semplice, prive di sarcofago o segnacolo, e le sepolture con pietre collocate in corrispondenza della testa e dei piedi del defunto. Più rari i rinvenimenti di scheletri in fosse foderate da pietre o ciste litiche; la maggior parte degli esemplari di queste due tipologie è stata rinvenuta nella parte orientale della necropoli, da cui proviene anche la maggior parte dei corredi (vasellame, bracciali, anelli e perle di conchiglia, vetro, diaspro e giadeite).
È stato possibile identificare il sesso di 156 scheletri (106 uomini, 50 donne), ma solo di 133 si è riusciti a stabilire la provenienza; nel settore orientale vi erano 69 uomini e 28 donne, in quello settentrionale e nella parte perimetrale 17 uomini e 19 donne. Vari fattori, tra cui la probabile errata identificazione del sesso di alcuni scheletri, rendono difficile l'interpretazione dei dati e prosegue il dibattito sulle cause di eventuali squilibri di densità tra la popolazione maschile e quella femminile. Gli abbondanti resti scheletrici hanno permesso di rilevare più marcate affinità con antichi gruppi coreani e con gruppi giapponesi moderni che con la popolazione Jomon; ciò ha fatto ipotizzare che si tratti di immigranti continentali o di loro discendenti che avrebbero contratto matrimoni misti con gruppi locali Jomon. Molti crani mostrano inoltre evidenze di avulsione dentaria riconducibili a due tipologie principali, definite C e I; la prima è caratterizzata dall'avulsione dei canini dalla mascella superiore o dalla mascella superiore e da quella inferiore, la seconda dall'avulsione degli incisivi laterali dalla mascella superiore o da quelle superiore e inferiore. La tipologia C è ritenuta un protrarsi di pratiche Jomon, mentre quella I costituisce una tipologia nuova, verosimilmente introdotta da immigranti continentali; tuttavia non si riscontrano relazioni tra tipologia di avulsione e morfologia scheletrica. La maggior parte degli scheletri caratterizzati da entrambe le tipologie appartiene alla cosiddetta morfologia "immigrante", mentre un solo scheletro di tipo Jomon appartiene alla tipologia I. Nonostante ciò, sembra plausibile l'ipotesi secondo cui le tipologie di avulsione dentaria sarebbero relazionabili a differenti gruppi di discendenza.
T. Kanaseki et al., Yamaguchi-ken Doigahama iseki, in S. Sugihara (ed.), Nihon Noko Bunka no Seisei, Tokyo 1961, pp. 223-61; H. Kanaseki, The Evidence for Social Change between the Early and Middle Yayoi, in R. Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past, Ann Arbor 1986, pp. 317-33; H. Harunari, Basshi, in H. Kanaseki - M. Sahara (edd.), Yayoi Bunka no Kenkyu, Tokyo 1987, pp. 79-90.
di Mark Hudson
Tumulo funerario (kofun) a "buco di serratura" ubicato nel distretto di Kikusui (Pref. di Kumamoto, Kyushu), aperto nel 1873 da un agricoltore locale che rinvenne all'interno di un sarcofago di pietra una gran quantità di manufatti, ora esposti nel Museo Nazionale di Tokyo.
Più recenti indagini (1986) hanno stabilito che la lunghezza originaria della sepoltura era di 62 m e che la parte posteriore circolare misura 41 m di diametro e 10 m di altezza. Il tumulo, a tre livelli e in origine circondato da haniwa cilindrici, è delimitato da un ampio fossato. Una delle estremità del sarcofago (lungh. 2,2 m) presenta un vano per ospitare eventuali deposizioni successive. Il corredo includeva sei specchi di bronzo, tre paia di orecchini d'oro, un copricapo, due diademi, tre placche di cintura e un paio di scarpe di bronzo dorato, 14 spade di ferro, un'armatura, bardature equestri e ceramiche di tipo Sue, tutti databili tra il tardo V e gli inizi del VI secolo. Il rinvenimento più importante è una spada di ferro a taglio unico (lungh. 90,7 cm), con un'iscrizione di 75 caratteri cinesi a intarsio d'argento sulla lama. I caratteri sono piccoli, di fattura modesta e in molti casi illeggibili. L'iscrizione riguarda la fabbricazione della spada e nomina l'incisore, il forgiatore, il proprietario e il "grande re" (okimi), nel cui regno la spada venne realizzata. Nel 1934 Toshio Fukuyama propose di riconoscere nel "grande re" Mizuhawake, noto dopo la morte come Hanzei (ca. V sec.), ma nel 1966 Sokhyong Kim ha suggerito che il "grande re" potesse essere Kaero (468-475) del regno Paekche (Corea). Il dibattito si concluse nel 1978 con la scoperta di un'altra iscrizione su una spada proveniente dal tumulo di Sakitama-Inariyama (Pref. di Saitama). Una radiografia di tale spada rivelò un'iscrizione di 115 caratteri, leggibile con relativa facilità, in cui era menzionato il grande re Wakatakeru, identificato con Yuryaku che, secondo il Nihon Shoki (VIII sec.), regnò dal 456 al 479. Si notò che il primo e l'ultimo carattere usati per il nome Wakatakeru nell'iscrizione di Inariyama erano simili ai soli due caratteri rimasti del nome del re nella spada di E.-F. Toshio Kishi ne dedusse che anche nella spada di E.-F. si potesse leggere il nome Wakatakeru e tale ipotesi è ora ampiamente accettata; una datazione alla fine del V secolo concorda infatti con le evidenze archeologiche. L'iscrizione di E.-F. indica che la spada apparteneva a un uomo di nome Murite, il quale ricopriva un incarico ufficiale, forse di tipo finanziario, alla corte Yamato; essa dichiara inoltre che gli eredi di Murite "non perderanno mai quello che essi governarono", indicando così l'ereditarietà della carica e il processo di centralizzazione in atto presso la corte Yamato nel tardo V secolo.
W. Anazawa - J. Manome, Two Inscribed Swords from Japanese Tumuli. Discoveries and Research on Finds from Sakitama-Inariyama and Eta-Funayama Tumuli, in R. Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past, Ann Arbor 1986, pp. 375-95.
di Mark Hudson
Sito del Paleolitico superiore ubicato nell'Asahi-mura (Pref. di Yamagata, Giappone nord-orientale), sui terrazzi tardopleistocenici del fiume Akagawa, a circa 20 km dalla costa del Mar del Giappone, e scavato dal 1958.
I dati geomorfologici e stilistici hanno consentito di datare le evidenze tra il 18.000 e il 13.000 B.P. Sebbene non continuativamente occupato, il sito ha fornito una significativa sequenza dello sviluppo delle industrie tardopaleolitiche. Il Paleolitico superiore del Giappone è datato tra il 30.000 e il 13.000 B.P. circa; tuttavia, i coltelli a dorso divengono più comuni solo dopo il 20.000 B.P. La sequenza di E. ebbe inizio intorno al 18.000 B.P. ‒ all'apice dell'Ultimo Glaciale ‒ nel Locus K, in cui sono stati identificati grattatoi, raschiatoi, raschiatoi naviformi, bulini, denticolati, schegge, nuclei e coltelli, in gran parte su scheggia. La spiccata regionalità dei coltelli tardopaleolitici successivi al 20.000 B.P. è stata attribuita a differenze nella disponibilità di materie prime e di risorse. I coltelli sono simili a quelli del tipo Kou (o Ko), realizzati con la tecnica setouchi a distacco laterale e distribuiti principalmente nelle aree limitrofe al Mare Interno; E. segna l'estremo limite, a nord, dell'area di diffusione di questo tipo di coltelli. I loci A e A' rappresentano lo stadio finale della fase a coltelli del Paleolitico superiore; tale stadio, che risalirebbe al 14.000 B.P., è caratterizzato dalla comparsa di punte foliacee a ritocco bifacciale, probabilmente immanicate su lance, che documenterebbero un significativo sviluppo nelle strategie venatorie. Oltre alle punte, i loci A e A' comprendono coltelli, piccoli raschiatoi e bulini; non è chiaro se le differenze tra i complessi dei due siti, che distano 120 m l'uno dall'altro, rappresentino una variabilità cronologica o funzionale, o entrambe. La fase finale del Paleolitico tardo (14.000-11.000 B.P.) è caratterizzata dalla comparsa del microlitismo; a essa appartengono i complessi dei loci D, E, M e S, in cui sono stati rinvenuti, oltre a microlame (lungh. 1,5-2,5 cm), micronuclei naviformi, raschiatoi e bulini realizzati su schegge di maggiori dimensioni; sono stati inoltre rinvenuti piccoli coltelli (Locus S) e punte peduncolate (Locus D). Da E. provengono alcune delle rare testimonianze disponibili sui modelli di vita paleolitici: cinque depressioni rinvenute nel sito A' sono state interpretate come buchi di palo di un'abitazione di circa 4 m di diametro. Una fossa ovale di 80 × 60 cm della stessa località, contenente terra bruciata e carboni, rappresentava forse un focolare. Concentrazioni di carbone, utilizzato per le attività di cottura, sono state ritrovate anche in numerosi altri loci. Le analisi spaziali e la ricomposizione dei nuclei hanno consentito di identificare le tecniche di manifattura delle lame nel Locus A'.
M. Kato, Etchuyama iseki, in Nihon no Kyussekki Bunka, II, Tokyo 1975, pp. 112-37; C.M. Aikens - T. Higuchi, The Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 53-58.
di Oscar Nalesini
Sito del periodo Jomon medio nei pressi della città di Asahi sulla baia di Toyama (Honshu centrale), in cui su un'area di circa 60 m2 sono state scavate 19 abitazioni di diverse dimensioni disposte sull'asse nord-ovest/sud-est.
In una di tali strutture, a pianta ovoidale (5 × 6 m) con focolare rettangolare delimitato da pietre, è stata rinvenuta una fossa di stoccaggio (diam. 1 m) posta a un'estremità del muro perimetrale e circondata da decine di fosse più piccole, alcune delle quali per pali di sostegno del tetto. Grosso modo al centro dell'insediamento si trovava una struttura, anch'essa a pianta ovoidale, di grandi dimensioni (ca. 120 m2), con pavimento seminterrato con quattro focolari a intervalli regolari posti lungo l'asse mediano. La copertura della capanna era sorretta da 16 pali di circa 30 cm di diametro. Accanto a ognuno dei due focolari centrali era interrata una giara di ceramica. Un'altra struttura di identica forma, ma di dimensioni minori (7,5 × 5 m), con due focolari e otto pali di sostegno del tetto, si trovava nelle adiacenze. Strutture di questo tipo sono state scoperte anche nel sito di Mizukamidani, a circa 30 km da F., nonché a Matsubara, Oiwake-Chaya e Akita. Nell'insieme, gli edifici di piccole dimensioni sono stati interpretati come strutture comuni, mentre quelli di dimensioni maggiori e posti al centro dell'insediamento potrebbero essere di uso comunitario, non dissimili da strutture ugualmente di dimensioni maggiori e in posizione centrale rinvenute in contesti neolitici della Cina settentrionale (cultura Yangshao) e della Corea (cultura Chulmun); la loro presenza negli insediamenti a partire dal periodo Jomon medio evidenzia importanti modificazioni della struttura sociale.
Bibliografia
Toyama-ken Asahi-cho Fudodo iseki, dai ichiji hakkutsu chosa gaiho, Toyama 1974; C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 155-56.
di Mark Hudson
Capitale del Giappone dal 694 al 710 d.C., ne può essere considerata il primo centro urbano, anche se la sua occupazione ebbe una durata relativamente breve.
La costruzione di F. fu iniziata dall'imperatore Tenmu (672-686 ca.), sul modello cinese della città-capitale scandita da una rete viaria ad assi ortogonali. La costruzione della città venne completata dalla vedova di Tenmu, l'imperatrice Jito, e fino al 710 d.C. vi risiedettero l'imperatore Monmu (697-707 ca.) e l'imperatrice Genmei (707-715 ca.). F. (Fujiwara-kyo) sorgeva sul lato sud del bacino di Nara e, secondo la ricostruzione di Toshio Kishi, si estendeva su un'area di 3,2 km da nord a sud e di 2,1 km da est a ovest, anche se altri studiosi sostengono che fosse più ampia. Il Palazzo Fujiwara, residenza dell'imperatore, copriva circa 1 km2 nel settore centro-settentrionale della capitale. L'impianto urbanistico era basato su un reticolato di strade noto come "sistema jōbō". Le strade principali (oji) dividevano la capitale in 12 jo da nord a sud e in 8 bō da est a ovest. Il complesso palaziale era circondato da un fossato esterno (largh. 5 m), da un muro e da un fossato interno più stretto. L'accesso principale al palazzo era rappresentato dalla Porta Suzaku attraverso la quale si raggiungevano i più importanti edifici governativi, il Daigokuden, sede delle attività politiche e religiose dell'imperatore, il Chodoin o "Sale dello Stato" e la residenza privata dell'imperatore, il Dairi. Il Daigokuden (largh. 45 m, prof. 21 m, alt. 25 m) rappresentava all'epoca il più grande edificio del Giappone. Le abitazioni dei nobili erano situate nelle vicinanze del palazzo. In uno di questi complessi residenziali, 300 m a sud-ovest dalla Porta Suzaku, sono stati effettuati scavi che ne hanno appurato l'estensione su un'area di 12.000 m2. I funzionari di rango inferiore e la gente comune risiedevano in abitazioni più modeste, a maggiore distanza dal palazzo. Un'altra importante peculiarità di F. è rappresentata dalla presenza di imponenti templi buddhisti, tra cui lo Yakushiji e il Daikan Daiji.
La costruzione di F. fu un'impresa di notevole portata. Le indagini hanno messo in luce canali probabilmente usati per trasportare legname e altri materiali da costruzione, giacché il loro riempimento risale a un periodo precedente l'inizio dell'occupazione della città (694 d.C.). Per la costruzione degli edifici si usarono due tipi di supporti strutturali: il primo, impiegato per l'edificazione del Daigokuden e del Chodoin, consisteva in pilastri di legno collocati su grandi pietre di fondazione; nel secondo caso la base del pilastro era interrata su una pietra più piccola in una fossa. Il palazzo fu il primo edificio laico del Giappone con copertura a tegole fittili, gran parte delle quali rinvenute negli scavi. È stato stimato che per il complesso palaziale di F. sarebbero stati necessari più di due milioni di tegole. La popolazione complessiva della città è stata valutata in 20.000-30.000 individui. Tra i resti del palazzo sono state messe in luce più di 7000 listarelle di legno con iscrizioni (mokkan) che elencano alcuni dei beni che arrivavano a F. dalle province come pagamento di tributi. Si sa dell'esistenza di due mercati pubblici, sebbene la loro ubicazione non sia stata ancora confermata dalle indagini. Per le transazioni economiche erano utilizzati riso, stoffa e monete; il primo conio ufficiale (Wado Kaiho) venne emesso nel 708 d.C. Il terzo mese del 710 l'imperatrice Genmei trasferì la capitale a Nara, sul lato settentrionale della piana di Nara, e F. fu spoliata di tutti i materiali da costruzione, verosimilmente riutilizzati per l'edificazione della nuova capitale. Dal periodo Heian (794-1185) gran parte dell'area su cui sorgeva F. venne riutilizzata come territorio agricolo. Sebbene F. fosse menzionata in vari testi antichi, la sua esatta ubicazione fu oggetto di dibattito per quasi un secolo, e solo le ricerche condotte tra il 1934 e il 1943 furono in grado di sedare la controversia. Gli scavi sono stati ripresi negli anni Sessanta e fino al 1990 erano stati indagati 7,7 ha del palazzo, un'area che rappresenta solo l'8% dell'intero complesso palaziale, mentre gli scavi all'esterno del palazzo hanno interessato finora un'area di poco superiore agli 8 ha.
Bibliografia
Fujiwara Palace and Capital. Exhibition Guide, Nara 1991.
di Fumiko Ikawa-Smith
Riparo sotto roccia con deposito stratificato situato nella Prefettura di Nagasaki (Kyushu).
Nel deposito furono rinvenute alcune tra le più antiche e attendibili testimonianze della presenza umana nell'arcipelago giapponese e la più antica ceramica del mondo. Il riparo sotto roccia, utilizzato in epoche assai recenti come luogo di culto dagli abitanti della zona, fu indagato agli inizi degli anni Sessanta del Novecento. I resti culturali furono rinvenuti in sette strati, denominati F. I, II, III, IV, VII, IX e XV. I frammenti ceramici provenivano dagli strati F. I, II e III, mentre erano assenti negli strati F. IV, VII e XV. Lo strato sommitale F. I conteneva punte di freccia e vasellame Jomon antico di tipo Sobata databili al 4000 a.C. e tipi ceramici Oshigata-mon (a decorazione impressa o roulette-stamped) dello Jomon iniziale, datata al 7000-6500 a.C. Nello strato F. II, datato al 14C a 12.400±350 B.P., fu rinvenuto vasellame con impressioni semicircolari, quali quelle prodotte da unghie (Tsumegata-mon), insieme a microlame distaccate da nuclei cuneiformi e ottenute da ossidiana e talora da sanukite. Microlame simili furono recuperate nello strato F. III, datato al radiocarbonio a 12.700±500 B.P., dove tuttavia la ceramica era decorata da cordoni pizzicati in appliqué (Ryukisen-mon, o ceramica con decorazioni lineari a rilievo). Questo vasellame è simile a quello scoperto nel livello IX del riparo sotto roccia di Kamikuroiwa (Shikoku), datato al 12.165±600 B.P. In questo orizzonte vennero inoltre riportati alla luce dischi forati di terracotta e pietra.
Le microlame di ossidiana sono manufatti peculiari anche dell'orizzonte aceramico F. IV, tuttavia i micronuclei da cui esse venivano distaccate non mostrano una accurata preparazione, diversamente da quelli degli strati F. I e II. Alcuni nuclei potrebbero essere definiti "cuneiformi", anche se sono più spessi di quelli rinvenuti negli strati superiori; altri vengono descritti come semicilindrici. Una datazione al radiocarbonio di 14.400±400 B.P. è stata ottenuta da un campione forse proveniente da questo orizzonte; tuttavia tale datazione non è ritenuta particolarmente attendibile. Lame di ossidiana e di sanukite di piccole dimensioni, ma non microlitiche, furono recuperate nello strato F. VII, con una larghezza doppia rispetto a quella delle lame negli strati superiori. Il distacco di queste lame avveniva da nuclei semiconici. Lo strumentario dello strato F. IX consisteva in alcune schegge e nuclei di sanukite, che testimoniano l'impiego della tecnica del distacco laterale ampiamente diffusa nel Sud-Ovest del Giappone. L'orizzonte culturale più antico, F. XV, si trovava a una profondità di circa 5,5 m dalla superficie, immediatamente al di sopra della formazione rocciosa; a esso si sovrapponevano depositi sterili (spess. 3,5 m ca.). L'industria proveniente dallo strato inferiore comprendeva due manufatti di sanukite scheggiati su entrambe le facce e varie schegge. Non vi sono dubbi circa l'origine antropica di questi strumenti né sulla loro posizione stratigrafica. La datazione di >31.900 anni è dunque di particolare interesse nell'ambito del dibattito sull'antichità della presenza umana nell'arcipelago giapponese.
Kamaki Yoshimasa - Chosuke Serizawa, Nagasaki-ken Fukui iwakage [Il riparo sotto roccia di Fukui, Prefettura di Nagasaki], in Kokogaku Syukan, Memoirs of the Tokyo Archaeological Society, 3, 1 (1965), pp. 1-14; Iid., Nagasaki-ken Fukui doketsu, in Nihon no doketsu iseki, Tokyo 1967, pp. 256-65; C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, London - New York 1982, pp. 99-104; Keiji Imamura, Prehistoric Japan. New Perspectives on Insular East Asia, Honolulu 1996, pp. 38, 44, 46, 51; P. Bleed, Cheap, Regular, and Reliable: Implications of Design Variation in Late Pleistocene Japanese Microblade Technology, in Archaeological Papers of the American Anthropological Association, 12, 1 (2002), pp. 95-102.
di Mark Hudson
Città localizzata nel bacino di Kitakami, alla confluenza tra il fiume omonimo e il Koromo, nella Prefettura di Iwate (Giappone settentrionale).
H. fu la capitale della famiglia Oshu Fujiwara, che governò la regione di Tohoku nel XII sec. d.C. Nel XII secolo la città era uno dei più vasti centri urbani del Giappone e il sito di una serie di importanti strutture religiose, tra cui la celebre Sala Konjikido, la "Sala d'Oro", che potrebbe essere stata la fonte principale della descrizione di un favoloso palazzo dorato a Zipangu riportata da Marco Polo. Intorno al 1100 Kiyohira, il primo capo Oshu Fujiwara, scelse H. come nuova capitale per ragioni strategiche e per la sua fama di centro religioso sul sacro Monte Kanzan. Kiyohira sperava di ottenere il perdono per i suoi peccati costruendo strutture religiose, e dunque vennero eretti a H. importanti templi buddhisti. Il termine "cultura H." viene impiegato dagli storici dell'arte in riferimento all'arte e all'architettura buddhista della città. Alcuni autori hanno analizzato questa cultura nei termini di una mera imitazione di Kyoto, ma appare più convincente una recente teoria che enfatizza le complesse opposizioni simboliche caratteristiche dell'arte di H. rispetto allo Stato Heian, di cui Kyoto era la capitale. La Sala Konjikido ubicata all'interno del Tempio Chusonji, ad esempio, è un caso unico nel buddhismo giapponese, essendo sia una sala per il culto di Buddha Amitayus che una tomba contenente i resti mummificati di quattro capi Fujiwara, sottoposti nel 1950 ad analisi antropologiche, i risultati delle quali suggeriscono che gli Oshu Fujiwara fossero di origine giapponese piuttosto che Ainu, come un tempo si riteneva.
A H. erano già stati condotti scavi limitati, ma è stato solo alla fine degli anni Ottanta che scavi di emergenza condotti su una vasta area hanno iniziato a fornire un'immagine reale dei resti della città. Ricerche effettuate lungo il fiume Kitakami portarono tra il 1988 e il 1993 alla realizzazione di scavi. Nella zona tra i templi Chusonji e Motsuji e il fiume Kitakami è stata indagata un'area di circa 40.000 m2. Precedentemente si riteneva che quest'area, nota come "sito di Yanagi no Gosho", ospitasse le residenze dei primi due capi Oshu Fujiwara, Kiyohira e Motohira, ma i resti della vasta fortezza residenziale riportata alla luce sono stati datati su basi ceramiche al terzo quarto del XII secolo ed è parso quindi più probabile che essa fosse la dimora del terzo capo Oshu Fujiwara, Hideira. Questo complesso residenziale è circondato da un vasto fossato (largh. 7-8 m, prof. 3 m), secondo una tipologia difensiva divenuta poi comune nel Nord della regione di Tohoku durante le fasi finali del periodo Heian; una tipologia il cui carattere contrasta con le strutture architettoniche Kamakura (XIII sec.) dotate di scarsi sistemi di difesa. Nel sito di Yanagi no Gosho sono state rinvenute circa 100.000 ciotole di ceramica non invetriata (note come kawarake) che, secondo una pratica derivata da Kyoto, dopo essere state usate in riti o banchetti venivano gettate via. Le ceramiche recuperate nel sito attestano l'attivo ruolo commerciale della città: rispetto ad altri siti coevi ed escludendo Kyoto e il porto di Hakata (Kyushu), a H. è stato recuperato il maggior numero di porcellane d'importazione cinese. I manufatti di legno comprendono zoccoli, contenitori, pettini e chūgi (spatole di legno usate per l'igiene personale e raffigurate su documenti coevi, quali il Gaki Sōshi).
T. Saito, Hiraizumi: Yomigaeru Chūsei Toshi [Hiraizumi: la ricostruzione di una città medievale], Tokyo 1992; M. Hudson, The Mummies of the Northern Fujiwara, in P.G. Bahn, Tombs, Graves and Mummies, London 1996, pp. 198-99.
di Tsuyoshi Fujimoto
Isola, la più settentrionale dell'arcipelago giapponese. A causa del suo clima, considerato il più rigido dell'intero arcipelago, e della sua posizione in prossimità della parte nord-orientale del continente asiatico, H. ha una storia diversa rispetto ad altre zone della medesima area.
La coltivazione del riso venne infatti introdotta solo nell'Ottocento da immigrati da Honshu; prima di allora la popolazione autoctona degli Ainu aveva vissuto di pesca, caccia e raccolta. H. è attraversata da nord a sud dalla catena dei Monti Taisetsu che dividono l'isola in due versanti, orientale e occidentale; quest'ultimo presenta un clima più mite e temperato. Lungo la costa lambita dal Mar di Okhotsk le formazioni di ghiaccio galleggiante che ricoprono l'intera superficie del mare rendono impraticabili nel periodo invernale la pesca e la caccia. Nel tardo Pleistocene H. era collegata a Sahalin e quest'ultima a sua volta al continente asiatico da un istmo. Le industrie, costituite da complessi su scheggia e su lama, sono rappresentate da rinvenimenti sporadici che vengono fatti risalire a 20.000 anni fa circa o a un periodo di poco successivo. Anche l'industria su lama a dorso, fiorente in altre zone dell'arcipelago giapponese, è raramente attestata a H. La caratteristica più rilevante del Paleolitico di H. è l'alto numero di siti con microliti, dei quali sono particolarmente rappresentativi piccole lame senza ritocco, i bulini del cosiddetto "tipo Araya" e diversi tipi di raschiatoi. Le lame erano in genere ottenute mediante scheggiatura di nuclei naviformi o cilindrici. Industrie di questo tipo compaiono intorno alle regioni del fiume Amur, con le quali quelle di H. sembrano strettamente collegate: si ritiene infatti che le industrie microlitiche di H. abbiano avuto origine proprio nelle regioni del fiume Amur (ca. 15.000-10.000 anni fa). L'industria del Paleolitico finale di H. presenta punte (lungh. 5 cm ca.) con codolo finemente ritoccate, bulini e raschiatoi, attribuiti all'inizio dell'Olocene.
A eccezione della sua fase iniziale per la quale non vi sono evidenze, H. presenta i tratti caratteristici della cultura Jomon; sebbene sia possibile a volte distinguere elementi culturali di diversa natura derivanti con ogni probabilità dall'area nord-orientale del continente asiatico, quasi tutti i caratteri della cultura Jomon di H. sono in stretta relazione con quelli della stessa cultura della parte settentrionale di Honshu. Il più caratteristico esempio di origine continentale è rappresentato dalle industrie litiche con punte di freccia su lama distribuite nel bacino dell'Amur; ciò dimostra l'esistenza già nel periodo Jomon di contatti fra H. e il continente asiatico. La cultura Jomon fiorì nell'intervallo climatico ipsotermico, come attestano diversi vasti insediamenti e chiocciolai. Alla fine di tale intervallo climatico, che coincise più o meno con la fine del periodo Jomon medio, il numero di siti decrebbe vistosamente nella parte orientale e settentrionale di H. Il calo termico segnò un drastico mutamento nelle condizioni di vita, tanto che l'isola si spopolò e fu rioccupata solo dopo vari secoli, a metà circa del periodo Jomon tardo, con un'economia basata soprattutto sulla pesca nei versanti orientale e settentrionale dell'isola. A questo periodo si attribuiscono dapprima necropoli con circoli di pietre e più tardi, verso la fine del Jomon tardo, necropoli protette da argini (diam. ca. 12 m), di una tipologia nota solo a H.
Mentre il resto dell'arcipelago veniva lentamente conquistato dalla cultura Yayoi e dalla coltivazione del riso, a H. perdurarono i modelli economici tradizionali fondati sulla pesca. La popolazione di questo periodo, che viveva prevalentemente nelle basse valli fluviali, potrebbe essere stata costituita dagli ultimi gruppi Jomon dell'arcipelago di cui gli Ainu sarebbero i discendenti. La cultura Satsumon comparve circa 12.000 anni fa, assimilando tratti della cultura Jomon di Honshu. Si ritiene che le popolazioni Satsumon abbiano sviluppato soprattutto le tecniche di pesca fluviale, specialmente a trote e salmoni. La cultura Okhotsk non è originaria di H.: probabilmente essa proveniva da Sahalin, come attesterebbe la tipologia dello strumentario, che trova stretti confronti con il continente. La sua area di diffusione comprende essenzialmente il litorale di Okhotsk, da cui infatti prende nome. I gruppi Okhotsk praticavano la pesca e la caccia a mammiferi marini; sono noti resti di case a fossa (lungh. oltre 10 m), necropoli e chiocciolai. In alcuni siti sono state rinvenute strutture con numerosi resti di orso; tale evidenza, comparata con i contesti etnografici di gruppi della Provincia Marittima Siberiana e Ainu, consente di ipotizzare che esse fossero adibite a luoghi cerimoniali per il culto dell'orso; del resto molti elementi della cultura Ainu (tra cui la cerimonia dell'orso) sembrano trarre origine dalla cultura Okhotsk.
Nel XIV secolo, a H. la produzione ceramica cessò: molti oggetti d'uso vennero importati da Honshu ed ebbe inizio una nuova fase in cui aumentò l'importanza del commercio tra Giapponesi e Ainu. Ciò produsse una stratificazione socioeconomica e conflitti commerciali che potevano sfociare nella guerra, non solo con i Giapponesi, ma anche tra gli Ainu stessi. In questo periodo e a causa di tali eventi, furono costruite diverse fortezze, note col nome di chashi, oggi oggetto di indagini archeologiche.
Bibliografia
H. Watanabe, The Ainu Ecosystem. Environment and Group Structure, Tokyo 1972; C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 304-22.
di Fumiko Ikawa-Smith
Sito stratificato, datato tra il Pleistocene finale e gli inizi dell'Olocene, ubicato alle pendici del vulcano Unzen, nella penisola di Shimabara (Pref. di Nagasaki, Kyushu orientale).
Indagato nel 1963 e nel 1965, è noto soprattutto per il rinvenimento di numerosi strumenti trapezoidali affini ai microliti geometrici dell'Europa e dell'Asia occidentale, piuttosto rari invece in Asia orientale. Furono identificati quattro orizzonti culturali. Il complesso più recente, H. I, era localizzato in uno strato di argilla vulcanica bruno-giallastra appena al di sotto del livello del suolo, disturbato dalle pratiche agricole; esso conteneva alcuni utensili litici e ceramiche delle fasi Jomon iniziale e antica, databili tra il 7000 e il 6000 a.C. circa. L'orizzonte H. II è caratterizzato dalla presenza di microlame di ossidiana, rinvenute nello strato di argilla vulcanica nera; il complesso è formato da 145 microlame, 17 micronuclei, 2 bulini e 8 lame e schegge ritoccate. Alcuni micronuclei, ottenuti da piccoli ciottoli, presentano forma a cuneo e piano di percussione obliquo, mentre altri sono tabulari, con piano di percussione quasi ad angolo retto rispetto al punto di distacco della lama. Nell'orizzonte H. III, localizzato in uno strato compatto di ceneri e pomice, predominano manufatti trapezoidali ottenuti da lame o da schegge di ossidiana a distacco laterale; oltre a 93 manufatti trapezoidali, sono stati rinvenuti 20 raschiatoi di tipologie differenti e 100 lame, alcune ritoccate. I manufatti si concentravano in un'area non molto estesa, che potrebbe avere costituito una officina litica. Il complesso H. IV, identificato nello strato più antico, è documentato da quattro manufatti, uno dei quali è uno strumento triangolare a forma di coltello, con dorso profondamente ritoccato; due altri reperti sono rappresentati da lame non ritoccate di dimensioni medie, il quarto è una scheggia. Il complesso, sebbene costituito da pochissimi reperti, è di grande importanza in quanto indica la relazione stratigrafica del complesso con strumenti a forma di coltello rispetto all'orizzonte H. III, i cui manufatti diagnostici sono costituiti da microliti trapezoidali. Nessuno dei complessi di H. è stato cronometricamente datato. I micronuclei cuneiformi dell'orizzonte H. II sono molto simili a quelli rinvenuti nei siti di Fukui e Senpukuji (Pref. di Nagasaki); a Fukui la datazione radiocarbonica di questo strato è 12.700±500 B.P., mentre le datazioni per termoluminescenza di Senpukuji oscillano tra il 12.170 e l'11.360 B.P. Poiché in questi siti i complessi sono associati a ceramica, i ricercatori non escludono la possibilità che ulteriori ricerche consentano di identificare evidenze fittili anche a H.
Masaru Aso - Hiroyuki Shiraishi, The Hyakkadai Site, in Nippon no Kyusekki Bunka, III, Tokyo 1976, pp. 191-213.
di Oscar Nalesini
Gruppo di circa 50 siti sulle pendici occidentali del Monte Yatsuga; lo scavo della metà circa di tali siti ha consentito di rilevare che essi risalgono ai periodi Jomon medio e tardo.
Alcune datazioni al 14C del periodo III variano tra 5070 e 4950±220 B.P. L'area si è rivelata importante per lo studio dell'economia del periodo. Oltre a punte triangolari, coltelli e diversi tipi di grattatoi, tipici della cultura Jomon, l'industria litica comprende strumenti riconducibili soprattutto al trattamento di vegetali: un tipo di lama grossolana su scheggia poteva essere impiegato come punta di uno strumento da scavo o come ascia per tagliare gli alberi più piccoli. Questo strumento è abbondantemente presente nei siti e ciò ha fatto ipotizzare l'esistenza di una forma di orticoltura su debbio. Comuni sono nei siti anche le macine di pietra, dotate di un'apertura sul bordo per facilitare la fuoriuscita del macinato. Altro strumento frequente nelle abitazioni è una pietra piatta con incavi su entrambe le facce, che alcuni esperimenti hanno consentito di interpretare come uno strumento per sgusciare castagne. In una casa, nei pressi di una macina, sono state rinvenute alcune focacce spesse e piatte, dalla superficie bruciata, la composizione del cui impasto non è ancora stata chiarita. Prove sperimentali con riso, frumento, castagne e un tubero locale hanno fornito farine simili, ma non uguali a quella impiegata dagli abitanti di I.
Bibliografia
E. Fujimori (ed.), Idogiri. Nagano-ken Fujimi-cho ni okeru chuki Jomon iseki-gun no kenkyu [Idojiri. Una cultura del Jomon medio sulle pendici orientali del Yatsugatake], Tokyo 1965; M. Suzuki, Kokuyoseki bunseki [Analisi dell'ossidiana], in J.E. Kidder - S. Oda (edd.), Nakazanya iseki, Tokyo 1975; C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 152-55.
di Mark Hudson
Sepoltura ubicata nella regione di Asuka del bacino meridionale di Nara (Pref. di Nara) e datata agli inizi del VII sec. d.C.
La sepoltura venne costruita su una piattaforma quadrangolare di terra che doveva misurare 50 m di lato e 2-3 m di altezza. Un secondo livello, originariamente a pianta circolare o quadrangolare, si presenta oggi eroso, a esporre una camera funeraria di granito, lunga 19,1 m, con un passaggio laterale. L'interno di questo ambiente è uno dei più vasti di questa tipologia in Giappone (lungh. 7,5 m, largh. 3,45 m, alt. 4,7 m; il peso della pietra più grande del tetto è stato stimato in 77 t). Un piccolo canale di drenaggio corre intorno ai muri posteriori e laterali della camera. La tomba venne scavata nel 1933 e nel 1935 da K. Hamada e M. Suenaga, che recuperarono ceramica di tipo Sue e Haji e vari oggetti di metallo, tra cui monete del periodo Song, ma la vera sepoltura (presumibilmente un sarcofago di pietra) e i beni di corredo non furono rinvenuti. Il fossato che circonda il tumulo venne scavato dal 1954-58; esso presenta ampiezze variabili su ciascun lato. L'assenza di materiali organici alla base consente di ipotizzare che originariamente esso fosse un fossato asciutto; i rinvenimenti effettuati attestano che il fossato non fu riempito almeno fino al periodo medievale. Nel 1912 lo storico S. Kita ipotizzò che I. fosse la sepoltura di un nobile del regno Yamato, Soga-no-Umako, una tomba definita Momohara nel testo Nihon Shoki dell'VIII secolo. Sebbene lo stile architettonico di I. dati la struttura al primo quarto del VII secolo, le attività costruttive potrebbero essere iniziate molto prima della morte di Umako, avvenuta nel 626.
Bibliografia
K. Hamada - M. Suenaga, Yamato Shimanoshō Ishibutai no Kyoseki Kofun [Una tomba megalitica a Ishibutai, Shimanosho, Yamato], Kyoto 1937.
di Charles F.W. Higham
Sito del periodo Yayoi ubicato nella parte settentrionale di Kyushu, lungo l'antica direttrice da cui provenivano influssi o gruppi di immigrati coreani portatori della risicoltura.
Il sito venne scoperto nel 1918 grazie al rinvenimento di spade e alabarde di bronzo tipiche delle aree continentali. Gli scavi (1949) consentirono il recupero dei resti di un'antica comunità Yayoi, di evidenze della coltivazione e dell'immagazzinamento di riso e della fabbricazione di vasi fittili sulle cui superfici sono presenti impressioni di pula di riso. Vennero rinvenute anche fusaiole, un tratto innovativo che documenta la locale manifattura di tessili. Il sito era circondato da un fossato (prof. fino a 1,5 m, largh. 4,5 m) associato a due altri fossati che potrebbero essere stati realizzati per il controllo dei corsi d'acqua o per scopi difensivi. I segni prodotti da strumenti da taglio sui fianchi di tali fossati consentono di ipotizzare che fossero in uso strumenti di metallo, sebbene essi non siano stati individuati; sono stati inoltre rinvenuti coltelli-falcetto di pietra appartenenti alla tipologia diffusa in Cina. Le ceramiche e le punte di proiettile litiche Yayoi sono simili a quelle della fase di occupazione Jomon e attestano che, seppure agli inizi del periodo Yayoi dovessero essere stati presenti in quest'area gruppi di immigranti continentali, i precedenti abitanti dell'area continuarono a risiedervi.
G. Barnes (ed.), Hoabinhian, Jomon, Yayoi, Early Korean States, Oxford 1990.
di Mark Hudson
Primo sito del Paleolitico scoperto in Giappone, costituito da quattro località distinte ubicate su due colline adiacenti, al centro di un elevato bacino nel Kasakake-mura, circa 90 km a nord di Tokyo (settore orientale della Pref. di Gunma).
Individuato (1946) da Tadahiro Aizawa, nel 1949-50 una équipe diretta da Sosuke Sugihara vi condusse i primi scavi. Sebbene i materiali raccolti da Aizawa provenissero dall'area B, sul versante orientale della sella tra le due colline, negli scavi di Sugihara in tale area venne rinvenuta solo una scheggia di agata; la maggior parte dei manufatti fu recuperata nelle aree A e C, localizzate rispettivamente sui versanti orientale e occidentale della collina nord, il Monte Inariyama (191,4 m s.l.m.). Lo strato superiore di humus dell'area C restituì ceramica Yoriito-mon del periodo Jomon iniziale; al di sotto, negli strati di argilla dell'area A, furono individuati materiali paleolitici. In tale area fu scavata una superficie di circa 170 m2, ma i manufatti erano concentrati in un'area di circa 18 m2 sul lato occidentale della trincea.
Furono identificati tre orizzonti paleolitici, denominati I, II e III. I. III è rappresentato da pochi manufatti, recuperati essenzialmente in superficie, comprendenti microlame e uno strumento a due punte; datazioni per idratazione dell'ossidiana hanno suggerito un'antichità al 14.000 B.P. circa. I. II era documentato da oltre 180 utensili (schegge a forma di lama, raschiatoi, nuclei irregolari e lame ritoccate), provenienti dallo strato argilloso Azami (spess. 1 m); correlazioni geologiche con le più note argille Tachikawa (Kanto meridionale) consentono di proporre per questo orizzonte una datazione al 15.000 B.P. circa. Il complesso I. I proviene dal sottostante strato argilloso Iwajuku (spess. 40 cm), contenente due utensili di scisto a forma di accetta (spesso denominati "accette a mano"), con una lunghezza di circa 10 cm, due raschiatoi, due nuclei e altre schegge e lame; in questo strato vennero rinvenuti anche numerosi ciottoli e frammenti di carbone. Successive ricerche geologiche hanno confermato la presenza, immediatamente al di sopra dello strato argilloso Iwajuku, di pomice AT (Aira-Tanzawa); prodotta dall'eruzione della caldera Aira al largo del settore meridionale di Kyushu intorno al 22.000 B.P., essa è un importante indicatore stratigrafico nelle regioni settentrionali fino al Kanto. Il complesso I. I può essere dunque datato al 25.000 B.P. circa. Nel 1970-71 Chosuke Serizawa condusse ulteriori scavi nell'area B e nell'area D, sul versante occidentale della collina sud, il Monte Kotohirayama (196 m s.l.m.), che portarono al rinvenimento di numerosi complessi di grossolani manufatti di selce al di sotto dell'orizzonte I. I; essi vennero denominati I. 0 da Serizawa, il quale ritenne che comprendessero utensili appuntiti, raschiatoi, accette a mano e choppers e che fossero anteriori al 40.000 B.P., rimontando in alcuni casi al 130.000 B.P. Venne comunque posto in dubbio che essi fossero stati modificati dall'uomo; una controversia simile ha riguardato alcuni complessi provenienti dal vicino sito di Hoshino.
I. è stato il primo sito giapponese a restituire chiare evidenze paleolitiche; esso ha stimolato ulteriori ricerche sulle più antiche fasi di occupazione dell'arcipelago del Giappone. Prima delle scoperte effettuate nel sito, si riteneva che i suoli argillosi e sterili del Kanto non avessero permesso l'insediamento umano. In un primo tempo alcuni archeologi contestarono l'età pleistocenica dei rinvenimenti e li attribuirono a una fase "preceramica", ritenendo che essi appartenessero al periodo pre-Jomon ma fossero comunque di datazione olocenica; successivamente Bun'ei Tsunoda propose di utilizzare in riferimento al Paleolitico del Giappone la definizione "periodo Iwajuku", che è stata riproposta in epoca recente da Makoto Sahara.
Bibliografia
Chosuke Serizawa, The Early Palaeolithic of Japan, in F. Ikawa-Smith (ed.), Early Palaeolithic of South and East Asia, The Hague 1978, pp. 287-97; S. Sugihara, Gunma-ken Iwajuku hakken no sekki bunka [Una cultura dell'età della Pietra scoperta a Iwajuku, Pref. di Gunma], Tokyo 1981; C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982.
di Mark Hudson
Sito ubicato nella Prefettura di Aomori (Honshu settentrionale), dove a partire dal XVII secolo sono stati rinvenuti in gran numero figurine fittili e vasi di ceramica di eccezionale fattura riferibili al periodo Jomon finale.
Questa tipica produzione fittile venne definita "ceramica di stile K.", e i complessi caratterizzati dalla sua presenza sono spesso denominati "cultura K." del periodo Jomon finale (1000-100 a.C. ca.). Dal settore centrale dell'estremo Nord di Honshu, influssi K. sono stati identificati nel bacino di Nara a sud-ovest e nella pianura costiera del Honshu orientale a nord-est. Le ceramiche di stile K. e le attività di caccia-raccolta-pesca si protrassero per molti secoli, quando l'area sud-occidentale del Giappone era già caratterizzata dalla risicoltura e dalla presenza di ceramica Yayoi. La produzione fittile K. dell'area nucleare del Nord del Honshu, in cui sono stati identificati oltre 2000 siti appartenenti a questa tradizione, è caratterizzata da una differenziazione netta tra il raffinato vasellame decorato e le più semplici ceramiche utilitarie; queste ultime, presumibilmente utilizzate in contesti domestici, presentano numerose varianti locali, mentre si rileva un'omogeneità stilistica tra gli esemplari decorati, che costituiscono una percentuale limitata dei complessi e presentano forme diverse (giare a forma di teiera con versatoio, grandi giare globulari con stretto collo e profondi piatti con elaborate anse, definiti "bruciaprofumi"). Il vasellame è solitamente a superficie con impressioni di corda che, in parte obliterate dalla lucidatura e da incisioni e steccature, formano decorazioni plastiche a motivi curvilinei diversamente modulati; in alcuni casi il decoro è totalmente o parzialmente esaltato da pigmento o lacca di colore rosso, in particolare nei vasi con versatoio. Insieme al vasellame K. sono diffuse singolari statuine femminili di argilla, spesso definite "a occhi sbarrati" od "occhialute" poiché i grandi occhi sono sottolineati da linee profondamente incise che danno l'idea di occhiali da neve di tipo eschimese. Le figurine tendono a essere di grandi dimensioni (alt. fino a 30 cm e oltre) e si rinvengono in abbondanza, insieme a vasi integri, vaghi e cilindri di pietra spesso di forma fallica, elementi che suggeriscono valenze magico-religiose; altri tratti di possibile significato rituale sono maschere di argilla alte circa 10 cm, anch'esse occhialute, e stampi e sigilli a motivi incisi su argilla o scolpiti su pietra. Gli ornamenti personali comprendono foralobi a rocchetto, braccialetti di conchiglia, perle di pietra di varie forme, spilloni d'osso per capelli e pettini laccati; tra i materiali organici, oltre ai legni laccati, figurano cesti laccati.
Questo elaborato complesso culturale sembra fosse basato sullo sfruttamento delle risorse marine, di corsi d'acqua, di acquitrini e della foresta decidua. Nei siti ubicati sulla costa pacifica del Honshu settentrionale l'importanza delle risorse marine è attestata dal gran numero e dalla varietà di ami da pesca e arponi rinvenuti, la cui variabilità tipologica fa ritenere che fossero fabbricati per scopi specifici. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che le principali risorse sfruttate dai gruppi Jomon fossero salmoni e trote, mentre altri sostengono che esse fossero rappresentate dai tonni e dai bonito che in estate migrano verso le coste rocciose del versante pacifico; è stato anche postulato che alcuni arponi fossero utilizzati per la pesca di tali grandi pesci migratori e non per quella di mammiferi marini. Il perfezionamento delle tecniche di recupero sta contribuendo alla risoluzione di tali controversie: si stanno infatti rinvenendo ossa e squame di salmone, trota e altre specie di pesci, oltre a ossa di mammiferi marini. La varietà di risorse sfruttate copriva la disponibilità di diversi ambienti in diversi periodi dell'anno: era praticata la caccia a cervi, cinghiali e lepri e a uccelli migratori, pesci e molluschi erano pescati negli acquitrini interni e nei fiumi. Inoltre la localizzazione dei siti suggerisce che le risorse delle pianure alluvionali formatesi durante il periodo di regressione marina rivestissero anch'esse un importante ruolo economico. La coltivazione del grano saraceno è documentata da evidenze palinologiche e sono stati inoltre rinvenuti semi di panico e sorgo, mentre il rinvenimento di chicchi e pula di riso potrebbe documentare scambi con i coltivatori Yayoi delle regioni meridionali.
Il complesso K. è stato interpretato come la fase di massima fioritura Jomon, ma in anni recenti si è delineata la tendenza a sostenere che i traguardi tecnici e le innovazioni sociali che lo caratterizzano sarebbero stati raggiunti già alla fine del periodo Jomon tardo e che la fase K. del Jomon finale rappresenterebbe un'epoca di stagnazione. È stato inoltre ipotizzato che l'elevata efficienza delle attività di caccia-raccolta, che prevedevano il pianificato sfruttamento stagionale di risorse marine e terrestri, abbia ostacolato l'adozione delle pratiche agricole tra i gruppi Jomon delle fasi più tarde del Giappone orientale, tra cui i gruppi K. del Jomon finale.
C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 164-73; Keiji Imamura, Prehistoric Japan, Honolulu 1996, pp. 93-101.
di Fumiko Ikawa-Smith
Riparo sotto roccia con depositi stratificati ubicato nella Prefettura di Ehime (Shikoku centro-occidentale); nell'orizzonte più antico (livello IX) sono stati messi in luce (1962) frammenti di vasi di ceramica con decorazioni lineari a rilievo datati al radiocarbonio al 12.165±600 B.P.
Mentre la produzione fittile mostra affinità con quella rinvenuta in strati approssimativamente coevi di Fukui e Senpukuji (Kyushu), lo strumentario litico associato si differenzia nettamente da quello di questi siti: anziché alle microlame ricavate da nuclei cuneiforni che caratterizzano i complessi Fukui e Senpukuji, la ceramica con decorazioni lineari a rilievo di K. è associata a punte bifacciali con peduncoli rastremati, come si rileva anche in alcuni siti di Honshu (ad es., Tazawa, Pref. di Niigata). Occorre segnalare che esistono molti siti paleolitici, caratterizzati dalla presenza di microlame o di punte bifacciali, in cui la ceramica è assente; la produzione fittile si sarebbe dunque integrata allo strumentario litico di questi gruppi che continuarono l'uso di diversi tipi di utensili di pietra; ciò evidenzia anche che la comparsa della ceramica in Giappone non fu il prodotto dell'arrivo di nuovi gruppi in possesso di tale tecnologia. Il livello IX ha inoltre restituito sette ciottoli piani con incisioni parallele e curvilinee, alcuni interpretati come rappresentazioni di soggetti femminili dalla lunga chioma, con il seno scoperto e gonne di cordicelle pendenti; la testa e gli arti non sono indicati.
Il successivo orizzonte (livello VI, 10.850±320 B.P.) conteneva ceramica inornata, piccole punte di freccia triangolari e resti organici. Sul fondo del riparo (livello IV) erano presenti vasellame decorato a motivi incisi e impressi, datato in altri siti al 6500 a.C., e resti scheletrici di circa 10 individui e di 2 cani di taglia media: quest'area del riparo era stata apparentemente adibita a luogo funerario. Le sepolture sono tra le più antiche del periodo Jomon iniziale e le deposizioni di cane costituiscono la prima evidenza di un trattamento funerario riservato a questi animali. In questo settore del riparo furono inoltre rinvenuti numerosi ornamenti personali, tra cui perle di conchiglia, una vertebra perforata di pesce e oggetti di corno di cervo, forse utilizzati come spilloni per capelli e ornamenti per le orecchie. Nel livello III venne recuperata ceramica del periodo Jomon antico, nel livello II frammenti fittili del Jomon tardo e finale e nel livello superiore frammenti di ceramica Haji del periodo Kofun, ad attestare una continuità di occupazione fino agli inizi del periodo storico.
Teruya Esaka - Kenji Okamoto - Sakae Nishida, Ehime-ken Kamikuroiwa iwakage [Il riparo sotto roccia di Kamikuroiwa, Pref. di Ehime], in Nihon no Doketsu Iseki, Tokyo 1967, pp. 224-36.
di Charles F.W. Higham
Sito nella Prefettura di Ibaraki (già Prov. di Hitachi; Honshu nord-orientale), che fu un centro amministrativo dello Stato Nara durante le fasi finali dell'VIII sec. d.C.
Nel sito, scavato tra il 1979 e il 1981-82, sono stati messi in luce un centinaio di catini di base di abitazioni seminterrate, tutte a pianta rettangolare di circa 3 m2 e regolarmente distribuite, con l'entrata rivolta verso un'ampia piattaforma rialzata di argilla. Di grande rilevanza il rinvenimento di 12 fonderie e di 12 abitazioni seminterrate con lunga pianta rettangolare (ca. 4 × 32 m), come se più strutture fossero state collegate l'una all'altra. In un caso, sul lato nord della struttura, sono stati rinvenuti diversi focolari rialzati d'argilla, disposti a distanza regolare. Le fonderie, con pianta di poco superiore alle abitazioni standard, erano prive di focolare ma avevano da due a quattro basi di fornace a fossa che recavano sui lati beccucci d'argilla per la ventilazione a mantice. Le ceramiche sono di tipo ordinario, mentre scorie di ferro, chiodi, lame di zappa e di falcetto, punte di freccia e piastre d'armatura di ferro attestano una produzione specializzata, controllata da funzionari statali, come testimoniano la presenza di manufatti associati all'ambiente della burocrazia (pietre per sciogliere l'inchiostro e accessori di bronzo per cintura) e la piattaforma rialzata su cui doveva verosimilmente ergersi la residenza del rappresentante del tenno. La presenza di attività amministrative è stata evidenziata dal rinvenimento di almeno 4000 frammenti di documenti pubblici e calendari scritti su carta: i fogli, cessato il loro uso, furono reimpiegati per sigillare contenitori coperti di lacca; quest'ultima, avendo impregnato la carta, ne ha consentito la conservazione. Tali documenti, leggibili solo all'infrarosso che rivela l'inchiostro sotto lo strato di lacca fornendo preziose informazioni (ad es., in un caso era registrato che la popolazione della provincia ammontava a 200.000 abitanti), sono integrati da iscrizioni (anch'esse in caratteri cinesi scritti a inchiostro) su ceramica, alcune delle quali hanno fornito i nomi di fabbricanti di guaine di spada e punte di freccia. Tali evidenze documentarie, che integrano quelle fornite dalle mokkan (tavolette di legno con iscrizioni amministrative) rinvenute nella capitale di Heijo 500 km a ovest, non hanno però chiarito se K. sia da ritenere un sito manifatturiero o una guarnigione annessa al centro provinciale.
Tanaka Migaku, The Early Historical Periods, in Tsuboi Kiyotari, Recent Archaeological Discoveries in Japan, Paris - Tokyo 1987, pp. 86-91; C. Totman, A History of Japan, Oxford 2000.
di Fumiko Ikawa-Smith
Chiocciolaio ubicato nella città di Chiba, a sud-est di Tokyo, e datato dal medio al tardo periodo Jomon (3000-1000 a.C. ca.).
K. è uno dei numerosi chiocciolai distribuiti lungo la riva orientale della baia di Tokyo; esso è noto per la presenza di due vasti anelli di depositi conchiliferi (diam. 130 e 170 m rispettivamente) che si congiungono in forma di 8. Il sito era già noto negli anni Ottanta del XIX secolo e dopo gli scavi di Suago Yamanouchi (1924) divenne il sito-tipo della tipologia fittile K. del Honshu orientale. Fu comunque solo negli anni Sessanta che lo sviluppo industriale della regione della baia di Tokyo stimolò una serie di scavi estensivi che chiarirono la pianta e la natura dell'insediamento. Attualmente si ritiene che il chiocciolaio si sia formato nel corso di un lungo periodo e che solo poche delle circa 50 abitazioni seminterrate siano state contemporaneamente occupate. Più che un villaggio pianificato con abitazioni disposte lungo gli anelli di depositi conchiliferi, il sito sembra essere stato un luogo di reperimento e trattamento di risorse marine, in particolar modo molluschi; sono stati inoltre individuati resti di probabili strutture cerimoniali in cui erano presenti manufatti specializzati (figurine di argilla, cilindri di pietra polita, perle e vasi fittili su piede). Si ritiene dunque che K. non sia stato un vasto insediamento residenziale, ma un luogo in cui erano praticati attività di sussistenza stagionali e riti collettivi.
C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 156-64.
di Mark Hudson
Sito ubicato sul pendio di una collina nella municipalità di Hikawa (Pref. di Shimane), in cui è stato rinvenuto un eccezionale tesoretto di bronzi del periodo Yayoi.
Alla scoperta (1984) di un ripostiglio contenente 358 spade di bronzo ha fatto seguito l'anno successivo quella di 6 campane e di 16 punte di lancia dello stesso materiale, rinvenute circa 7 m a est delle spade. Il numero delle spade è di particolare rilievo, in quanto prima di questa scoperta il più vasto tesoretto di tali armi noto conteneva solo 13 esemplari. K. è inoltre l'unico sito in cui siano stati identificati tesoretti contenenti campane, spade e punte di lancia associate. Come molti ripostigli di bronzo Yayoi, i manufatti K. non sono stati rinvenuti in associazione a resti di insediamento.
I bronzi appartengono a varie categorie stilistiche e sono databili dalla fine del II sec. a.C. alla prima metà del I sec. d.C., a indicare che l'ultima sepoltura ebbe luogo verso il termine del I sec. d.C. Le campane (dōtaku) sono di piccole dimensioni (alt. 22-24 cm) e cinque sembrano chiaramente di produzione del Kinai, mentre l'altra ha tratti stilistici peculiari, e ne è stata ipotizzata la provenienza, dal Kyushu settentrionale. Le punte di lancia possono essere suddivise in due tipi medio-stretti (lungh. 70 cm ca.) e in 14 tipi medio-larghi (lungh. 75-84 cm). Quattro esemplari appartenenti a quest'ultima tipologia presentano lame levigate a spina di pesce; dal momento che esemplari simili sono stati rinvenuti in numerosi siti del Kyushu, si ritiene che le punte di lancia K. possano essere state realizzate nel Kyushu oppure a Izumo da artigiani Kyushu. Un legame con questo gruppo insulare è probabile anche per le spade, tuttavia l'ampio numero di esemplari mai utilizzati, appartenenti tutti allo stesso tipo (tipo C) a lama medio-stretta e della stessa lunghezza (51 cm), suggerisce che un capo Izumo sia venuto in possesso delle spade o ne abbia ordinato la fabbricazione. Alcuni studiosi ritengono che le spade siano state fuse localmente, ma di ciò non si hanno evidenze dirette e H. Harunari ha postulato che i manufatti provenienti da Harayama e Yano (città di Izumo), originariamente ritenuti matrici di spade, non siano stati in realtà mai utilizzati per la fusione del bronzo. I ripostigli di K. sono stati di particolare rilevanza poiché essi attestano, in quanto simboli di status, il potere sociopolitico raggiunto dai capi della regione di Izumo nelle fasi finali Yayoi. Nell'ambito degli studi su tale periodo il sito ha importanza centrale rispetto al problema della zonazione dei manufatti rituali di bronzo nel Giappone occidentale. A partire dagli anni Trenta del Novecento è stato ipotizzato che nelle fasi finali Yayoi esistessero due zone di circolazione di bronzi rituali mutuamente esclusive, una caratterizzata dalla fabbricazione di campane di bronzo, il cui nucleo era nel Kinai, l'altra ‒ con centro nel Kyushu settentrionale ‒ da quella di spade e punte di lancia. Oggi sono note numerose eccezioni a tale suddivisione, delle quali K. è la più importante, ma il dibattito sul significato della distribuzione dei ripostigli di manufatti di bronzo Yayoi prosegue.
Bibliografia
M. Hudson, Rice, Bronze and Chieftains. An Archaeology of Yayoi Ritual, in Japanese Journal of Religious Studies, 19, 2-3 (1992), pp. 139-89; Kōjindani Iseki to Seidōki [Il sito di Kojindani e i manufatti di bronzo], Kyoto 1995.
di Fumiko Ikawa-Smith
Riparo sotto roccia con depositi stratificati ubicato nella Prefettura di Niigata (Honshu centrale) e datato al periodo Jomon iniziale.
Le ricerche condotte alla fine degli anni Cinquanta del Novecento portarono al rinvenimento di numerosi manufatti nei tre strati più bassi (K. III, IV e V) dei cinque individuati nel sito. In circa 1000 frammenti fittili è documentata una varietà di tecniche decorative. Nakamura rilevò che, tra gli orizzonti in cui vennero rinvenuti manufatti, la ceramica Yoriito-mon, con impressioni prodotte dal rollio sull'argilla umida di un bastoncino avvolto in una corda, era presente solo in quello superiore (livello III). Questa tipologia fittile costituisce un elemento ben noto delle fasi iniziali del periodo Jomon della pianura del Kanto nei pressi di Tokyo, dove essa è datata tra 9500 e 8500 anni fa. Venne anche rinvenuto un numero ridotto (2% nel livello III, 16% nel livello V) di ceramica con decorazioni lineari a rilievo, datata a epoca anteriore a 12.000 anni fa nei ripari rocciosi di Fukui (Kyushu) e di Kamikuroiwa (Shikoku), e furono documentati anche altri tipi di trattamento delle superfici: Tsumegata-mon (con impressioni di dita e unghie), Oshigata-mon (a decorazione impressa o roulette-stamped), incisioni e punteggiature. Lo strumentario litico comprende sottili punte bifacciali con pronunciati peduncoli rastremati, lunghe punte bifacciali piane o coltelli e punte molto strette a sezione triangolare; figurano anche strumenti più tipici del Paleolitico che non sarebbero perdurati nel periodo Jomon (lame dai margini paralleli, raschiatoi su lama, raschiatoi concavi, raschiatoi carenati e un numero ridotto di bulini) e che attestano, insieme alle tipologie fittili, il carattere transizionale dei materiali.
Bibl.: Kosaburo Nakamura, Kosegasawa Dokutsu [La grotta di Kosegasawa], in Nagaoka Kagaku Hakubutsukan Kokogaku Kenkyushitsu Chosa Hokoku, 3 (1960).
di Yumiko Nakanishi
Sito ubicato nella città di Fukuyama (settore orientale della Pref. di Hiroshima). Si tratta di una città portuale medievale datata tra la fine del XIII e gli inizi del XVI secolo, rimasta per lungo tempo ignota.
L'esistenza del sito in questa località venne a lungo sospettata per il rinvenimento di manufatti e antiche monete nell'area limitrofa al fiume Ashida. Sebbene l'importanza di K.S. fosse stata compresa da uno storico locale già nel 1928, le prime ricerche archeologiche vennero condotte solo nel 1961 dal Consiglio Municipale per l'Educazione di Fukuyama su un banco di sabbia del medio corso dell'Ashida. Tali ricerche misero in luce grandi quantità di manufatti e strutture, aprendo la strada a successive indagini estensive. Gli scavi di salvataggio, antecedenti alla deviazione e alla costruzione di una diga sull'Ashida e realizzati fino al 1993, hanno consentito di portare alla luce un insediamento dell'estensione di oltre 1 km2. I materiali scavati sono a tutt'oggi oggetto di studi. Nel sito sono stati recuperati manufatti diversi, alcuni databili al periodo Heian (prima del XII sec.), quali ceramica, strumenti da pesca, oggetti rituali, monete e, particolarmente importanti, tavolette di legno con iscrizioni a inchiostro (mokkan) molto ben conservate, come altri manufatti di legno, a causa dell'ambiente di giacitura particolarmente umido. Le strutture più antiche, del periodo Heian, non hanno potuto essere chiaramente identificate; sono invece ben riconoscibili le palizzate e i fossati per la ripartizione delle terre databili a partire dal periodo Kamakura (fine XII sec.). L'insediamento sembra avere attraversato una fase di crescita con il periodo Muromachi (metà XIV sec.), come si può supporre dall'incremento delle strutture e dei manufatti recuperati, tra cui ceramica sia di produzione locale, sia proveniente da fornaci localizzate in diverse zone dell'arcipelago, ad attestare un'attiva rete di commerci e scambi a lunga distanza. Al termine del periodo Muromachi (fine XVI sec.) i canali dell'insediamento, che rappresentavano le principali vie di trasporto, iniziarono a essere interrati dalle sabbie trasportate dal fiume Ashida, causando così il declino della città.
Bibliografia
Kusado Sengen-cho Site, a Medieval Port Town, in Hiroshima Report of Archaeological Investigations, I-V, s.d.; S. Matsushita (ed.), Yomigaeru chusei 8 Umoreta minatomachi: Kusado Sengen, Tomo, Onomichi [Il recupero della città portuale medievale sepolta n. 8: Kusado Sengen, Tomo e Onomichi], Tokyo 1994; S. Shidahara, Kusado Senchen-cho ni miru chusei minshuu no sekai [La vita medievale nel sito di Kusado Sengen-cho], in Y. Amino - S. Ishii (edd.), Chusei no fuukei wo yomu, VI. Naikai wo yakudou suru umi no tami, Tokyo 1995.
di Oscar Nalesini
Sito nella Prefettura di Fukuoka (Kyushu), in cui indagini (1980-81) hanno portato al rinvenimento di un villaggio di transizione tra il periodo Jomon finale e lo Yayoi iniziale.
Complessivamente furono messe in luce 33 capanne seminterrate per la maggior parte a pianta quadrangolare (lungh. 5-7 m) con quattro fori di palo per i pilastri di sostegno del tetto. Sebbene non siano stati trovati resti di vasche di risaia in prossimità del sito, posto su una bassa collinetta, all'interno dell'abitato sono stati rinvenuti numerosissimi chicchi di riso carbonizzati. Nei pressi dell'abitato è stata messa in luce un'unica sepoltura di bambino, deposto in una tomba a fossa circondata da quattro lastre di pietra e coperto da una quinta di 40 cm; la sepoltura è tipologicamente riferibile ai dolmen del Kyushu, in auge nei periodi Jomon finale e Yayoi iniziale e medio che presentano strettissime affinità con strutture della stessa categoria della Cina nord-occidentale e della Penisola Coreana. Alcune ceramiche e tipi dell'industria litica presentano somiglianze con le culture della Corea: in particolare, degli abbondanti frammenti di vasellame ceramico la maggior parte appartiene al Jomon finale (stessi tipi rinvenuti a Itazuke e Nabatake), ma tra le ceramiche da cucina compaiono forme ansate identiche a quelle di contemporanei siti della Penisola Coreana che precedentemente si riteneva fossero diagnostici del periodo Yayoi. Anche tra gli utensili di pietra si osserva lo stesso fenomeno: coltelli-falcetto di pietra polita, asce a doppia smussatura e accette a smussatura singola, con sezione rettangolare o quadrata, di tipo Yayoi, sono associati a spade corte e punte di freccia in pietra polita di fattura coreana e ad asce/accette (in realtà strumenti da scasso agricolo) in pietra scheggiata e polita di tipo Jomon. Particolare importanza ha il rinvenimento di un utensile di ferro associato a ceramica di tipo Yuusu I (Jomon finale), datata con il 14C al 700 a.C. circa, che rappresenta la prima attestazione di questo metallo in Giappone. Secondo un recente studio, si tratterebbe di un manufatto di provenienza cinese risalente al periodo Stati Combattenti (475-221 a.C.).
Bibliografia
H. Harunari et al., Yayoi jidai no kaisho nendai [Gli inizi del periodo Yayoi], in Nihon Kokogaku Kyokai dai-69-kai sokai, 2003, pp. 65-68; T. Hashiguchi, On the Radiocarbon Dating of the Yayoi Period, in Nihon Kokogaku, 16 (2003), pp. 27-44.
di Charles F.W. Higham
Insediamento e necropoli delle fasi media e tarda della cultura Yayoi, circa 15 km a sud-ovest di Fukuoka (Kyushu settentrionale), ubicati su un crinale tra due corsi d'acqua che irrigano un'ampia piana a risaie.
La regione fu esposta a influssi delle regioni continentali, particolarmente degli Stati coreani di Paekche e Silla e della precedente colonia cinese di Lelang. Negli anni Venti del XIX secolo vi si rinvenne una giara contenente 35 specchi cinesi dell'epoca Han Occidentali (206 a.C. - 23 d.C.), associati a una lancia e a una spada di bronzo; fu questa una tra le prime evidenze di una cultura preistorica post-Jomon (più tardi detta Yayoi). Più recenti scavi (1975-76) hanno portato al rinvenimento di resti di abitazioni seminterrate, a pianta circolare e quadrangolare, per lo più tagliate da più tarde strutture abitative di epoca Kofun e post-Kofun. Vicino all'area residenziale erano distribuiti gruppi di sepolture, delle fasi Yayoi media e tarda, ciascuna costituita da un'inumazione all'interno di una grossa giara cilindrica, coperta da una dello stesso tipo ma di minori dimensioni, deposte in fosse circolari od ovali in funzione della posizione delle giare: verticale od orizzontale. Furono inoltre rinvenute diverse sepolture a fossa (ca. 1 × 0,2 m) variamente foderata da lastre di pietra grezza, simili a quelle di Doigahama e Magarita, e in almeno un caso contenente una sepoltura in giara. È anteriore al 1975, però, il rinvenimento di due importanti sepolture in giara, collocate in posizione isolata all'interno di un recinto delimitato da un fossato e forse originariamente coperte da tumuli. La prima sepoltura, con giara interamente dipinta di pigmento rosso, conteneva specchi cinesi dell'epoca Han Orientali (25-220 d.C.), oltre ad armi di bronzo e ornamenti di vetro, bronzo e bronzo dorato, tutti di fattura cinese, tra cui anche otto accessori di sarcofago a bottone tetrafoliato di bronzo, dello stesso tipo di quelli donati dall'imperatore Han ai capi locali in segno di favore. Nella seconda sepoltura, gli specchi erano di dimensioni minori e non vi erano armi: ciò suggerisce che una contenesse i resti di un uomo, l'altra quelli di una donna. Mentre queste ricche sepolture erano fornite di beni suntuari di origine continentale, molte delle sepolture di M. erano prive di corredo; ciò evidenzierebbe che, a partire dal medio periodo Yayoi, il processo di formazione di livelli sociali aristocratici era già in atto.
C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 206-10; R.J. Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past. Studies in Archaeology and Prehistory, Ann Arbor 1986; R.J. Pearson (ed.), Ancient Japan, New York 1992.
di Oscar Nalesini
Sito di epoca tardo Jomon ubicato nella baia di Karatsu (Pref. di Saga, Kyushu), di particolare interesse perché documenta l'introduzione delle tecniche di coltivazione del riso in campi inondati in epoca pre-Yayoi.
Gli scavi (1980-81) misero in luce non solo resti di risaie associati sicuramente a ceramiche Jomon di tipo Yuusu, ma anche un livello più antico con resti di campi e canali d'irrigazione associati a ceramica Yamanotera, più antica del tipo Yuusu. A questo riguardo la scoperta di un rastrello di legno, del tipo usato per lisciare la superficie delle risaie, è stata di particolare rilievo per definire la complessità delle tecniche di coltivazione in uso. Come a Magarita, scavato nello stesso periodo, l'industria litica associata alle ceramiche del tipo Yamanatera e Yuusu include utensili scheggiati di tipo Jomon in associazione a strumenti (coltelli-falcetto, asce, asce/accette, spade corte) in pietra polita di tipo continentale, come anche vaghi di collana a barilotto di tipo Jomon erano assieme a vaghi cilindrici di tipo coreano che un tempo si riteneva fossero comparsi in Giappone solo durante il periodo Yayoi. L'analisi mineralogica della pietra con cui sono fatti alcuni di questi oggetti indica la Corea come luogo della loro origine. Il rinvenimento di mascelle di maiale appese a pali è presumibilmente legato a intenti rituali.
Nabatake iseki [Il sito di Nabatake], Karatsu 1982; N. Nakajima, Risaie e strumenti agricoli dal sito di Nabatake, città di Karatsu, in Rekishi Koron, 74 (1982), pp. 40-50 (in giapponese); M.J. Hudson - G.L. Barnes, Yoshinogari. A Yayoi Settlement in Northern Japan, in Monumenta Nipponica, 46, 2 (1991), pp. 1-35; T. Nishimoto, Yayoi jidai no buta ni tsuite [Maiali nel periodo Yayoi], in Bulletin of the National Museum of Japanese History, 35 (1991), pp. 1-65; M.J. Hudson, Rice, Bronze and Chieftains: an Archaeology of Yayoi Ritual, in Japanese Journal of Religious Studies, 19 (1992), pp. 139-89.
di Charles F.W. Higham
Pianura nell'estremità occidentale dell'isola di Honshu, teatro di un processo di aggregazione del potere politico che portò alla formazione di un vero e proprio Stato, databile a partire dalla fondazione della città capitale (kyo), Heijo, nel 710 d.C., fino al suo abbandono, nel 784 d.C.
Le fasi formative possono essere identificate nel precedente periodo Yamato, corrispondente per larga parte alle tarde fasi del periodo protostorico Kofun (o periodo degli Antichi Tumuli, ca. 300-700) e al periodo storico iniziale di Asuka (600-710). Sul finire del VII secolo la società Yamato divenne progressivamente più centralizzata e burocratica, forse come reazione alle minacce politiche provenienti dalla Corea e dalla Cina: una serie di editti legali formalizzò lo status della famiglia reale e codificò in forma scritta i ranghi dell'aristocrazia, i loro diritti e doveri e le funzioni di supporto dei gruppi rurali nel mantenimento dell'élite. La religione buddhista, introdotta dal continente intorno alla metà del VI secolo, fu adattata alle esigenze dell'élite e adottata come religione di Stato. Una terza decisione politica fu quella di commissionare la redazione di narrazioni storiche che riconducessero l'inizio della dinastia a mitiche origini divine. Tali narrazioni scritte, il Nihon Shoki e il Kojiki, apparvero nelle prime due decadi dell'VIII secolo, facendo uso del sistema di scrittura importato dalla Cina. La costruzione della prima capitale, Fujiwara-kyo, fu ultimata, a imitazione della capitale Tang, Chang'an, sotto l'imperatrice Jito (645-702 d.C.), che nel 694 d.C. scelse come residenza il complesso palaziale di Fujiwara. Tale complesso dominava una città organizzata secondo un rigido piano geometrico, in cui alla popolazione erano garantiti lotti di terreno in base allo status di appartenenza. Con l'ascesa al trono della sorella di Jito, Genmei (661-721 d.C.), il palazzo e la capitale furono trasferiti 20 km a nord di Fujiwara, a Heijo-kyo, dove fu costruita una città di dimensioni maggiori, il cui centro era costituito dal palazzo reale cinto da mura. La città non era dotata di sistemi difensivi e fu anch'essa caratterizzata da una pianta reticolare, allineata con le strade di Fujiwara a sud.
A partire dal 1934 un'istituzione privata, il Nihon Kobunka Kenkyusho (Istituto di Ricerca del Giappone per la Cultura Antica), ha condotto, per nove anni, scavi e ricerche nell'area di Fujiwara, mentre a Heijo le indagini, iniziate negli anni Venti e riprese nel 1959, sono continuate ininterrottamente dal 1969 a opera dell'Istituto Nazionale di Ricerca dei Beni Culturali di Nara. Tali indagini hanno fornito importanti dati sulla struttura delle due città, ma di eccezionale rilevanza storica fu il rinvenimento tra i resti di Heijo, nel gennaio del 1961, di un deposito di mokkan, tavolette di legno (lungh. 10-30 cm, largh. 3-4 cm) usate per registrare, in caratteri cinesi, "atti pubblici" e di cui fino a oggi sono state distinte cinque categorie: documenti e richieste di accompagnamento o di invio di beni o persone; documenti di registrazione, di contabilità e memoranda scritti da uffici del governo; "cartellini" inventariali; "bolle di accompagnamento" di beni e atti miscellanei (esazioni di tasse, ordini e valutazioni di prestazioni di civili addetti a servizi, ecc.). Tali documenti, che ammontano oggi a decine di migliaia, permettono di ricostruire un'immagine dettagliata della vita della capitale N. di Heijo-kyo. Nella città esistevano due vasti mercati sotto il controllo dello Stato, ove erano scambiati beni provenienti dalle aree rurali e dall'estero; il mezzo di scambio era costituito dal riso e, a partire dal 708 d.C., da monete di rame. Il programma edilizio comprese la costruzione di templi buddhisti, il più vasto dei quali era il Todaiji, dove, all'interno di una sala che è a tutt'oggi la più ampia del mondo, era un'imponente statua di bronzo raffigurante il Buddha. Il complesso comprendeva due pagode alte oltre 100 m, una "casa del tesoro" reale e il quartier generale del monastero con le sue costruzioni di servizio.
Il tratto caratterizzante dello Stato N. fu una rigida gerarchia sociale, connessa con le province mediante un efficiente apparato burocratico. Al vertice della società era il tenno, titolo accordato al sovrano, che poteva essere di sesso sia maschile che femminile e i cui antenati erano divini, come testimoniato dal Nihon Shoki e dal Kojiki. La popolazione rurale era anch'essa rigidamente regolata all'interno di circa 60 province, ciascuna delle quali retta da un governatore che risiedeva in un centro amministrativo, come ad esempio quello della provincia di Omi messo in luce nella Prefettura di Shiga, dove restava in carica per un periodo di sei anni, affiancato dal proprio staff amministrativo. In un brano del Codice Yoro del 718 d.C. si decreta che il governatore avrebbe dovuto provvedere alla domanda di forza-lavoro, sovrintendere all'esazione di tasse, controllare la gestione dei magazzini e provvedere alle sue truppe e alle salmerie. Un'idea del Giappone rurale di questo periodo può essere ricavata da riferimenti, presenti nello stesso codice, a posti di avvistamento, forti, monasteri buddhisti e campi di riso. Le province erano ulteriormente suddivise in circa 600 distretti, usualmente amministrati da un capo locale responsabile della produzione dell'area, dell'esazione di tasse e residente in un ufficio distrettuale esemplificato da quello scavato nel sito di Ogori (Pref. di Fukuoka). Nel 781 d.C., dopo un periodo di intrighi per la successione, il principe Yamabe divenne il tenno Kammu. Tre anni dopo venne deciso di abbandonare Heijo-kyo per una nuova capitale ubicata a Nagaoka; ciò avrebbe portato alla fine dello Stato N., che può essere visto come la fase germinale dello sviluppo di una peculiare civiltà giapponese.
Tanaka Migaku, The Early Historical Periods, in Tsuboi Kiyotari (ed.), Recent Archaeological Discoveries in Japan, Paris - Tokyo 1987, pp. 72-91; C. Totman, A History of Japan, Oxford 2000.
di Oscar Nalesini
Chiocciolaio (giapp. kaizuka) ubicato nella parte meridionale dell'omonima isola nella baia di Tokyo, a sud della città di Yokohama, oggi collegata alla terraferma.
Vi sono stati identificati quattro strati principali contenenti utensili, ma nessuna struttura abitativa; ciò ha portato alcuni studiosi a ritenere che si tratti di un accampamento stagionale, mentre per altri l'abbondanza e la varietà delle specie sfruttate indicherebbero un insediamento stabile. Nel livello inferiore (Jomon iniziale) è stato scoperto un focolare composto da ciottoli sparsi accanto a un mucchio di ceneri e carboni, che hanno fornito una datazione 14C a 9450 anni B.P. Macine e mortai di pietra erano utilizzati per lavorare semi e radici. I resti faunistici indicano lo sfruttamento di diverse nicchie ecologiche per l'alimentazione: 34 specie di Molluschi, tra cui prevalgono ostriche e altri lamellibranchi, 17 specie ittiche, in particolare tonni pinna azzurra, triglie e abramidi, 7 specie di Uccelli e delfini. Inoltre, la caccia sulla terraferma è attestata da resti di alcune specie di Mammiferi (cervo, lepre, cane, orso). I collegamenti con la terraferma erano assicurati da canoe monossili, un esemplare delle quali ‒ datato a circa 5100 anni B.P. ‒ è stato rinvenuto a Kamo, sito Jomon sulla baia di Tokyo, non distante da N. Le poche forme ceramiche ricostruibili appartengono a vasi conici con fondo appuntito o arrotondato, decorati con elementi applicati o impressioni a corda. Gli scavi condotti a N. subito dopo la seconda guerra mondiale furono determinanti per dare una nuova prospettiva all'archeologia preistorica giapponese, particolarmente per l'uso di datazioni radiometriche, per gli studi paleozoologici e per la chiara sequenza stratigrafica di fasi diverse del periodo Jomon.
S. Sugihara - Ch. Serizawa, Kanagawa-ken Natsushima in okeru Jômon bunka shoto no kaizuka [I chiocciolai di cultura Jomon iniziale di Natsushima, Pref. di Kanagawa), in Kokogaku, 2 (1957); C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 114-23.
di Oscar Nalesini
Cultura sviluppatasi sulle coste meridionali del Mare di Okhotsk (isole di Hokkaido, Sahalin, Kurili) tra il VI e il XIII secolo.
La base economica principale delle popolazioni O. era lo sfruttamento del mare: pesca, raccolta di molluschi, cattura di mammiferi marini. In misura minore erano praticati l'allevamento del maiale e la caccia. Quest'ultima aveva una particolare enfasi sull'orso, anche per probabili motivi ideologici: la maggior parte delle ossa rinvenute appartengono infatti a maschi adulti. Sulla costa settentrionale di Hokkaido i siti O. convivono con la cultura Satsumon, e in alcuni casi le due culture coabitano nel medesimo insediamento. A Sakaeura II, Rausu e in altri siti frammenti ceramici appartenenti alle due culture sono stati rinvenuti insieme sui pavimenti di abitazioni. A Hokkaido il sito più significativo è Tokoro Chashi, sull'estuario del fiume Tokoro. Qui lo scavo ha messo in luce abitazioni con pianta a esagono allungato (15 × 9 m) al cui interno, separata dal muro esterno da un corridoio largo 1,5 m, si trovava un'altra struttura di pianta identica. L'intercapedine così formata isolava dal freddo e serviva da magazzino. Il pavimento è bordato da un cavo di fondazione largo 10-20 cm e da una serie di buchi di palo a intervalli regolari per sostenere pareti verticali. Al centro della struttura si trovava il focolare fatto con pietre di 1 m di diametro. A Tokoro Chashi e in altri siti sono stati trovati mucchi di ossa animali all'ingresso delle abitazioni, tra cui prevalgono i crani di orso, accumulati verosimilmente come ostentazione di prestigio sociale. Secondo recenti analisi, i crani di orso rinvenuti sull'isola di Rebun (Hokkaido) erano stati importati da una regione meridionale di Hokkaido, occupata da siti epi-Jomon. Nel sito di Hamanaka 2 (Hokkaido settentrionale) è stata scavata la tomba di un uomo e di una donna, in posizione rannicchiata con la testa rivolta a occidente, probabilmente in un sarcofago ligneo. Il primo aveva una punta di freccia in osso e un coltello di ferro come corredo, la seconda un piccolo coltello.
Il vasellame O. si distingue dalle altre culture preistoriche di Hokkaido per forme più larghe con ampie imboccature, pareti bombate con spalla pronunciata e fondo piatto. Alcuni esemplari di minori dimensioni sono forniti di versatoio. La decorazione consiste in sottili cordoli orizzontali applicati tra l'orlo e la spalla. L'analisi delle ceramiche di Rishiri mostra inoltre che l'impasto e le tecniche di manifattura non variano sensibilmente dall'epoca epi-Jomon. L'industria litica, molto variegata, comprende strumenti per la caccia, la pesca, la lavorazione dei vegetali e delle materie prime. Importante anche l'industria su osso: sono noti strumenti compositi per la pesca e arpioni, la cui punta era lavorata in modo da innestare punte di metallo. L'osso era inoltre intagliato per produrre figure di animali, tra cui leoni marini, delfini, orsi e altri non identificabili o fantastici. Il rinvenimento di una moneta cinese a Severnaja, sulla costa settentrionale del Mare di Okhotsk, documenta forse il ruolo di intermediazione della cultura O. tra il mondo sinizzato e le coste pacifiche dell'Asia nord-orientale.
Ts. Fujimoto, The Satsumon and Okhotsk Cultures: Searching for Ainu Origins, in Newsletter of Japanese Prehistory, 4 (1986), pp. 1-4; T. Nishimoto (ed.), Report on the Research Excavation at the Site of Hamanaka 2: Formation Process of the Ainu Culture, in Bulletin of the National Museum of Japanese History, 85 (2000); R. Masuda - T. Amano - H. Ono, Ancient DNA Analysis of Brown Bear (Ursus arctos) Remains from the Archeological Site of Rebun Island, Hokkaido, Japan, in Zoological Science, 18 (2001), pp. 741-51; M. Hall - U. Maeda - M. Hudson, Pottery Production on Rishiri Island, Japan. Perspectives from X-ray Fluorescence Studies, in Archaeometry, 44, 2 (2002), pp. 213-28; B. Fitzhugh, Archaeological Paleobiogeography in the Russian Far East: the Kuril Islands and Sakhalin in Comparative Perspective, in AsPersp, 43, 1 (2004), pp. 92-122; M.J. Hudson, The Perverse Realities of Change: World System Incorporation and the Okhotsk Culture of Hokkaido, in JAnthrA, 23, 3 (2004), pp. 290-308.
di Charles F.W. Higham
Catena insulare, comprendente la prefettura più meridionale del Giappone, che forma un arco con Kyushu lungo l'asse settentrionale e con Taiwan lungo quello meridionale e si articola in tre gruppi principali: Miyako a sud (alla stessa latitudine del settore settentrionale di Taiwan), Okinawa e Yaeyama.
Durante le fasi climatiche rigide del Pleistocene finale le isole erano forse collegate all'Asia continentale da un ponte di terra che potrebbe avere costituito una via di accesso per i gruppi di cacciatori-raccoglitori. Le più attendibili evidenze della presenza umana a Okinawa nel corso di queste fasi (inizio ca. 32.000 anni fa) provengono da Minatogawa, una grotta calcarea che ha restituito resti scheletrici di circa 12 individui. Altri siti di Okinawa contengono resti di Mammiferi continentali, quali elefanti e cervi. I resti culturali associati sono strumenti su osso e ambigui "utensili litici" forse non modificati dall'uomo. Il periodo iniziale dei Chiocciolai (10.000-3500 B.P.) vide lo sviluppo di una tradizione ceramica ‒ che comprendeva vasellame con impressioni di unghie noto come "ceramiche Yabuchi e Agaribaru" ‒ dalle stringenti affinità con quelle dei coevi gruppi Jomon dell'arcipelago del Giappone. Contatti con quest'ultimo e la Cina meridionale sono attestati nel corso di questo periodo da mutamenti nelle forme ceramiche e dalla presenza di caratteristici ornamenti su osso. Nel periodo antico dei Chiocciolai (a partire da ca. 3500-2500 B.P.), coevo con il tardo Jomon nel Kyushu, sembrerebbe svilupparsi un interesse per i beni suntuari, come testimoniano i pendenti in forma di farfalla scolpiti su ossa di dugongo. Sostanziali mutamenti economici ebbero inizio nel periodo medio dei Chiocciolai, coevo con il periodo Yayoi antico, attestati dalla presenza nel sito di Uehara Nuribaru di strumenti di pietra, tra cui coltelli da mietitura e grattatoi; l'uso di pesi da rete documenta però il perdurare dello sfruttamento delle risorse marine, mentre il rinvenimento di resti botanici effettuato a Takachikuchibaru sottolinea l'importanza delle noci nella dieta. Questo fu anche un periodo di importanti mutamenti culturali nelle regioni settentrionali: le emergenti élites continentali privilegiarono durante il medio Yayoi ornamenti suntuari di conchiglia, la cui domanda fu parzialmente soddisfatta dall'approvvigionamento di conchiglie gohoura di Okinawa. Fino alla fine del periodo tardo dei Chiocciolai (ca. 900 d.C.) non vi sono evidenze di élites locali e le dimensioni degli insediamenti rimasero limitate.
Importanti mutamenti nella cultura di R. ebbero luogo a partire dal 900 d.C. circa con il periodo Gusuku. Il sito di Nazakibaru ha fornito le più antiche evidenze di riso, orzo e frumento coltivati, e in ambito insediativo vennero fondati gusuku (centri cinti da muri), posti in connessione con i villaggi agricoli. I muri dei gusuku recingevano pozzi, aree di immagazzinamento e residenze d'élite. Le abitazioni erano coperte con tegole e gli abitanti avevano accesso a beni di prestigio, tra cui ceramiche cinesi importate, specchi, spilloni per capelli e utensili e armi di ferro, minerale anche fuso in loco, che costituirono le basi per l'ascesa degli aji (capi regionali).
Bibliografia
R.J. Pearson, Archaeology of the Ryukyu Islands. A Regional Chronology from 3000 B.C. to the Historic Period, Honolulu 1969.
di Oscar Nalesini
Cultura dell'isola di Hokkaido, grosso modo coeva al periodo Kofun - Nara - Heian di Honshu, la cui esatta cronologia è ancora imprecisata.
Sicuramente sviluppatasi tra l'VIII e il XIII sec. d.C., essa potrebbe essere iniziata alcuni secoli prima: datazioni al 14C al IV secolo sono state ottenute da abitazioni simili a quelle di periodo Kofun nel resto dell'arcipelago e con ceramica simile alla classe Haji di epoca Kofun. L'esempio migliore di abitazione della cultura S. è stato scavato nel sito di Sakaeura II. A pianta quadrata (8 × 8 m), aveva il pavimento circa 50 cm al di sotto del piano di campagna con tre focolari allineati su uno degli assi e una stufa d'argilla in un angolo. La copertura era sorretta da otto pali disposti a distanza regolare a 1,5-2 m dal muro perimetrale. Il vasellame apparteneva a due tipi: vasi a pareti leggermente incurvate e fondo piatto e di misura molto variabile (9-44 cm di altezza); ciotole su piedistallo (alt. ca. 10 cm, diam. fino a 20 cm). La superficie era lisciata con spatole di legno e la decorazione consiste in linee incise e disegni geometrici. Gli strumenti litici sono generalmente scarsi nei siti S., in quanto rimpiazzati da quelli di ferro che, a causa della forte ossidazione, non sono però riconoscibili. In questo periodo l'agricoltura fece la sua comparsa sull'isola di Hokkaido. Nei siti di Toyotomi e Nishitsukigaoka sono stati trovati grani di miglio e fagioli di soia, oltre a un vomere in ferro. Migliaia di grani bruciati di orzo, frumento, miglio, fagioli (forse fagioli rossi azuki), riso, melone, canapa; molti altri semi e frutti selvatici sono invece emersi dagli scavi condotti a Sakushukotoni-gawa. All'elenco delle piante coltivate dalla cultura S. bisogna aggiungere anche grano saraceno e sorgo, documentati in altri siti.
Nella parte settentrionale di Hokkaido i siti S. si mescolano con quelli Okhotsk e in alcuni casi le due culture convivono nel medesimo insediamento. La cultura Okhotsk scompare però da Hokkaido nell'XI secolo, completamente rimpiazzata dalla cultura S. A questa dinamica storica è collegato il problema dell'origine degli Ainu. Questo popolo, la cui lingua ‒ diversa dal giapponese ‒ non è chiaramente imparentata con nessuna delle famiglie linguistiche attestate nella regione, è storicamente documentato su Hokkaido dal XIII secolo, ovvero dalla fine della cultura S., mentre la sua diffusione verso nord, nelle Kurili e nella parte meridionale di Sahalin è sicuramente posteriore. Ciò esclude un loro arrivo da nord e rafforza invece l'ipotesi che gli Ainu storici nascano da sviluppi della cultura S. Una vecchia ipotesi li voleva discendenti delle più antiche genti Jomon, ritiratesi nelle isole settentrionali con l'arrivo delle genti Yayoi, da riconoscere come gli antenati dei Giapponesi moderni; quest'ipotesi però non gode di alcuna prova concreta.
Bibliografia
T.M. Dikova, Arkheoligiia iuzhnoj Kamchatki v sviazi s problemoj passeleniia ajnov [L'archeologia della Kamchatka meridionale e il problema dell'occupazione Ainu], Moskva 1983; Ts. Fujimoto, The Satsumon and Okhotsk Cultures: Searching for Ainu Origins, in Newsletter of Japanese Prehistory, 4 (1986), pp. 1-4; G.W. Crawford, Yoshizaki, Ainu Ancestors and Early Asian Agriculture, in JASc, 14 (1987), pp. 201-13; G.W. Crawford - H. Takamiya, The Origins and Implications of Late Prehistoric Plant Husbandry in Northern Japan, in Antiquity, 64, 245 (1990), pp. 889-911; Y. Hirakawa - J. Ohtani - K. Fukazawa, Wood Identification of Archaeological Charcoal by Light Microscopy Using the Replica Technique, in Research Bulletin of the Forest Research Station of Hokkaido University, 48, 1 (1990), pp. 233-46; K. Honio et al., Radiocarbon Dating of the Carbonaceous Materials Excavated from the Archaeological Sites of Satsumon Period in Hokkaido, Japan, in Proceedings of the 17th Symposium on Researches Using the Tandetron AMS, Nagoya 2004, pp. 105-12.
di Oscar Nalesini
Sito nei pressi della città di Sasebo, nella parte nord-occidentale di Kyushu. In questo riparo sotto roccia sono stati individuati 13 strati in circa 2 m di deposito, appartenenti a 4 periodi principali che documentano la transizione tra il Paleolitico e la cultura Jomon.
I livelli più antichi, che occupano la parte più interna del riparo, contenevano alcuni frammenti di ceramica decorata con elementi "a fagiolo" applicati (ceramica Toryumon), che è stata successivamente rinvenuta anche in altri siti (Fukui, Odai Yamamoto e Ushirono) ed è verosimilmente la più antica ceramica fabbricata in Giappone. Nessuna datazione assoluta diretta è disponibile per questa ceramica, ma il tipo che a S. caratterizza il periodo successivo è stato datato col 14C in altri siti a oltre 12.000 anni B.P. L'industria litica di questo periodo comprende microlame, micronuclei "a barca", grandi schegge e alcuni grattatoi. Dopo un periodo di abbandono, segnato dal crollo della parete rocciosa, la ceramica decorata con motivi applicati è associata a un altro tipo, decorato con impressioni semicircolari "a unghia", a indicare un graduale passaggio da un tipo all'altro. L'industria litica del periodo non mostra invece differenze tipologiche o di composizione rispetto al periodo precedente. Nel terzo periodo, che occupa la parte più esterna del riparo, la ceramica è decorata con impressioni a corda. È stata scoperta anche una pavimentazione di pietra con focolari rivestiti di pietre. Scompare l'industria microlitica di tradizione paleolitica, sostituita da punte triangolari bifacciali e a foglia e grattatoi, che nel complesso presentano le caratteristiche che l'industria litica manterrà per tutto il periodo Jomon. Gli strati più superficiali contenevano invece pochi resti dal tardo Jomon al periodo Heian.
M. Aso (ed.), Senpukuji Doketsu no hakkutsu kiroku [Rapporto di scavo della grotta di Senpukuji], Sasebo 1984; M. Rice, On the Origins of Pottery, in Journal of Archaeological Method and Theory, 6, 1 (1999), pp. 1-54; H. Hagiwara, Microblade Assemblages of the Incipient Jomon, in Nihon Kokogaku, 12 (2001), pp. 1-20.
di Fumiko Ikawa-Smith
Vasto gruppo di siti, per la maggior parte paleolitici, localizzato nel villaggio omonimo (Hokkaido centro-orientale), a una distanza di circa 55 km dalla costa del Mare di Okhotsk.
Noto fin dal 1953, è tra i più antichi complessi paleolitici del Giappone. La ben nota tecnica di lavorazione di un nucleo cuneiforme per il distacco di microlame attraverso la riduzione di un grande bifacciale, denominata "tecnica Yubetsu", venne ricostruita da manufatti e schegge scartate provenienti dai siti Sh.; essa prende nome dal fiume Yubetsu, sui cui terrazzi è ubicata la maggior parte dei siti. I siti e i loro contesti ambientali vennero studiati dal 1958 al 1961 e da allora nell'area di Sh. furono identificati circa 100 siti paleolitici, ma solo pochi furono esaustivamente indagati. La situazione cambiò drasticamente nei decenni successivi e alla fine del 2003 l'area scavata era di 88.000 m2 ed erano stati recuperati oltre 4 milioni di reperti litici. La frequenza molto alta di manufatti (ca. 46 esemplari × m2) si deve non solo all'accurato metodo di scavo, ma anche alla prossimità del sito a uno dei principali giacimenti di ossidiana del Giappone. I siti Sh. vennero ripetutamente utilizzati da circa 30.000 anni fa fino alle fasi tardopreistoriche come accampamenti temporanei per il reperimento dell'ossidiana e come officine per la lavorazione dei noduli, che qui venivano trasformati in manufatti e preforme. Datazioni radiocarboniche e per idratazione dell'ossidiana, oltre a dati stratigrafici e tipologici, consentono di ritenere che la maggioranza dei manufatti risalga al Paleolitico superiore. Tra gli strumenti finiti (meno dell'1% dei circa 4 milioni di campioni) le lame, ritoccate e non, costituiscono oltre il 50%, seguite da raschiatoi di tipologie diverse (15%), da punte bifacciali (12%), bulini (3,1%) e microlame (2,5%). Le punte di freccia, datate ai periodi Jomon ed epi-Jomon, sono presenti in percentuale molto ridotta. In questo gruppo di siti le ricerche proseguono a tutt'oggi.
Bibliografia
Masakazu Yoshizaki, The Shirataki Site and the Preceramic Culture in Hokkaido, in Minzokukagaku Kenkyu, 26 (1961), pp. 13-23 (in giapponese); Study of the Shirataki Site, Sapporo 1963 (in giapponese); R.E. Morlan, The Preceramic Period of Hokkaido. An Outline, in ArctA, 4 (1967), pp. 164-220; Shirataki Iseki-gun, I-V, Hokkaido 2000-2004.
di Fumiko Ikawa-Smith
Sito ubicato su un terrazzo marino prospiciente la baia di Beppu (Pref. di Oita, Kyushu) in cui (1953) vennero effettuate due campagne di scavo finalizzate a indagare evidenze del periodo Jomon iniziale, datate intorno all'8000 B.P.; ulteriori scavi (1964) portarono al rinvenimento di materiali litici, non associati a ceramica, in due livelli distinti al di sotto dell'orizzonte culturale Jomon.
Nello strato di ceneri vulcaniche ubicato immediatamente sotto il livello Jomon (strato III) furono recuperati lame, nuclei di lame, punte bifacciali e accette, che condividevano alcune caratteristiche dei materiali del Paleolitico tardo di altre località del Giappone. Manufatti di quarzite del tutto distinti vennero individuati nello strato V, un letto di ghiaia di andesite (prof. 3 m ca.). Comprendendo l'importanza della scoperta, Chosuke Serizawa organizzò un'altra campagna di scavo (1964). Circa 500 manufatti di quarzite (e pochi esemplari di orneblenda) vennero riportati alla luce e classificati in protoaccette a mano, romboidi, picchi, chopping-tools, dischi e percussori. La frequenza di nuclei e la scarsa percentuale di schegge, la presenza di tecniche di scheggiatura bipolare e alternata e l'uso di quarzite indussero Serizawa a ipotizzare che il complesso presentasse affinità con il Pacitaniano di Giava e con l'industria litica dal Locus 1 di Zhoukoudian (Cina). La superficie di 35 m2 del terrazzo su cui è ubicato il sito fu attribuita alla trasgressione marina dell'Ultimo Interglaciale (stadio 5e dell'isotopo di ossigeno) e venne ipotizzato che il letto di ghiaia di andesite si fosse depositato dopo la formazione di questo terrazzo marino ma prima dell'ultimo maximum glaciale; l'antichità dei manufatti di quarzite contenuti nel letto di ghiaia fu dunque stimata tra 70.000 e 20.000 anni. Lo scavo dei materiali dello strato V effettuato nel 1964 fu il primo di una serie che Serizawa condusse con l'obiettivo di dimostrare l'esistenza in Giappone di complessi del "Paleolitico antico". In quel periodo erano noti circa 1000 siti paleolitici, ma quasi tutti i complessi rinvenuti erano datati tra il 30.000 e il 10.000 B.P. Diversamente dai complessi tardopaleolitici, i materiali del "Paleolitico antico" continuavano a suscitare controversie, in alcuni casi per l'assenza di un chiaro contesto stratigrafico, in altri per la stessa natura dei reperti. Nel caso del materiale di S., l'interpretazione degli esemplari di quarzite come manufatti fu molto controversa e venne ipotizzato che le fratture fossero il risultato degli urti contro le rocce di andesite del letto di ghiaia.
Nuovi scavi condotti nel 2001 e nel 2002 hanno confermato la sequenza stratigrafica originaria definita da Serizawa, rilevando inoltre che il deposito bruno-giallastro di ceneri vulcaniche dello strato VI, localizzato al di sotto del letto di ghiaia di andesite dello strato V, conteneva anch'esso una grande quantità di manufatti di quarzite. È stato ipotizzato che lo strato VI costituisca il contesto primario di deposizione dei pezzi di quarzite, alcuni dei quali sarebbero stati successivamente lavorati nella ghiaia dello strato V. I ricercatori stimano l'antichità del complesso di quarzite tra 80.000 e 11.000 anni, attendendo la conferma delle analisi dei campioni di pomice raccolti durante i nuovi scavi. Quanto alla composizione dei complessi, è stata sottolineata la presenza di un gran numero di utensili realizzati su schegge di piccole dimensioni, tra cui bulini, piccole punte e una varietà di raschiatoi, oltre alle tipologie citate nella monografia del 1965. Attualmente l'interpretazione dominante è quella secondo cui il complesso, comprendente un certo numero di utensili fabbricati per fini specifici, sarebbe molto più elaborato di quanto in precedenza stimato.
Chosuke Serizawa, A Lower Palaeolithic Industry from the Sozudai Site, Oita Prefecture, Japan, in Reports of the Research Institute for Japanese Cultures, 1, 1 (1965), pp. 1-119; Chosuke Serizawa - Hisao Nakagawa, New Evidence for the Lower Palaeolithic from Japan: a Preliminary Report on the Sozudai Site, Kyushu, in E. Ripoll Perelló (ed.), Miscélanea en homenaje al Abate Henri Breuil, II, Barcelona 1965, pp. 363-72; P. Bleed, Flakes from Sozudai, Japan: Are They Man-Made?, in Science, 197 (1977), pp. 1357-359; Haruo Ohyi, Some Comments on the Early Palaeolithic of Japan, in F. Ikawa-Smith (ed.), Early Palaeolithic in South and East Asia, The Hague 1978, pp. 299-301; Chosuke Serizawa, The 8th Excavation of the Sozudai Site and the Artifacts Recovered, in Kokogaku Janaru, 503 (2003), pp. 36-44; Toshio Yanagida - Takashi Sudo, The 6th and 7th Excavations of the Sozudai Site, Hinode-cho, Oita Prefecture, ibid., pp. 33-36 (in giapponese).
di Charles F.W. Higham
Vasto insediamento della fase media della cultura Yayoi, localizzato sul versante centro-occidentale di Honshu, in posizione prospiciente il Mare Interno.
Il sito fa parte di un gruppo di insediamenti dei periodi Yayoi medio e tardo distribuiti entro un raggio di circa 2 km dal più antico villaggio di Ama, che documentano l'espansione degli antichi coltivatori di riso dalla loro area originaria di sviluppo, ubicata a Kyushu. La vicinanza di tali siti a quello di Ama, la loro posizione su crinali collinari dominanti zone pianeggianti ottimali per la risicoltura in vasca, ma passibili di inondazioni, lascia supporre che essi possano essere stati fondati dagli stessi abitanti di Ama dopo che il sito subì una rovinosa inondazione, testimoniata nella sua sequenza stratigrafica. È verosimile, in ogni caso, che la fondazione di tali villaggi sia anche legata a un incremento demografico, favorito da una regolare disponibilità alimentare basata sulla coltivazione del riso. Non possiamo escludere però che la scelta di posizioni collinari non sia stata dettata dall'esigenza di difendere più facilmente l'insediamento. A T., che occupa un'area dal profilo a U di circa 500 m di lato, sebbene il deposito fosse alquanto disturbato sono stati identificati i resti di sette capanne con focolare centrale e base seminterrata, con pianta rettangolare ad angoli arrotondati, ovale e circolare, il cui perimetro era sottolineato da profonde e strette canalette di fondazione. Tali strutture, spesso sovrapposte, erano associate a fosse di immagazzinamento e a una probabile costruzione comunitaria lunga 6,5 m, posta entro un recinto difeso da un fossato. Il sito è anche noto per il rinvenimento di due campane dōtaku di bronzo: la prima, rinvenuta negli anni Ottanta del XIX secolo e alta 109 cm, è una delle più grandi dōtaku a oggi note, la seconda, rinvenuta negli anni Cinquanta sulla cima di una collina presso una cappella Shinto di età moderna, rappresenta un tipo più comune, con i suoi 59 cm di altezza. Entrambe appartengono alla tipologia del tardo Yayoi con corpo troncoconico, decorato da pannelli geometrici e sottolineato lungo i fianchi da una costola rilevata che forma apicalmente un ampio arco di sospensione. Tali manufatti con tutta probabilità documentano attività rituali di qualche tipo, essendo state rinvenute, come le altre (più di 350) dōtaku messe in luce (singolarmente o a gruppi) nel Giappone sud-occidentale, in elevati luoghi isolati a una certa distanza dagli insediamenti.
C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 215-22; M.J. Hudson, From Toro to Yoshinogari. Changing Perspective on Yayoi Period Archaeology, in G.L. Barnes (ed.), Hoabinhian, Jomon, Yayoi, Early Korean States, Oxford 1990, pp. 63-111.
di Charles F.W. Higham
Kofun (tumulo funerario) situato nei pressi di Nara, circa 25 km a sud di Kyoto (Honshu) e considerato un tipico esempio di tumulo funerario della fase antica del periodo Kofun (ca. 300-700).
Il tumulo, il più settentrionale di tre su un crinale che domina la valle del fiume Kizu, fu tagliato e danneggiato, nel 1894, dal tracciato della ferrovia Kyoto-Nara; nel 1953 le pareti del taglio ottocentesco furono oggetto di lavori di manutenzione che misero in luce la presenza di manufatti. Ciò determinò la conduzione di scavi, diretti da Takayasu Higuchi, che misero in luce la tomba pressoché integra per cui il tumulo stesso era stato eretto. Il tumulo (lungh. 185 m, largh. 75 m, alt. ca. 30 m) appartiene al tipo zempokoen ("avanti quadrato dietro tondo") costituito da un alto avancorpo quadrangolare (o alta piattaforma) unito a una sorta di collina di forma circolare; nel caso di T.O. i contorni naturali di una collina furono modificati fino a creare i due tumuli: mentre si asportava terra per sagomare la parte circolare se ne accumulava per rialzarne l'altezza e per realizzare la terrazza quadrangolare; la base del tumulo zempokoen sembra fosse poi circondata da un fossato. Quasi al centro dell'alta collina, a circa 4 m di profondità, nel 1953 fu rinvenuta la fossa contenente una lunga camera (4,9 × 1,1 m, alt. 3 m), delimitata e coperta da lastre di pietra a secco e costruita su una base di pietrisco. Internamente essa aveva un pavimento d'argilla sul quale si conservava l'impronta di un grosso sarcofago monossilo; l'argilla era stata utilizzata anche per sigillare la tomba. Il sarcofago risultò privo di offerte, ma ricche e abbondanti furono quelle deposte nella camera. Vennero infatti recuperati numerose armi (spade, punte di freccia, lance e piastre da armatura) e utensili di ferro (falcetti, accette, asce, coltelli, arponi e un amo da pesca). Il rinvenimento più importante è costituito però da 30 specchi di bronzo, di fattura cinese e datati alla seconda metà del III sec. d.C., posti ai lati e all'estremità della camera, inclinati contro i muri di pietra. Molti di tali specchi risultarono fusi nello stesso stampo; specchi identici a quelli di T.O. inoltre risultano distribuiti in 19 altre località, sia prossime (regione di Kyoto - Nara - Osaka), sia più distanti (Kyushu settentrionale, Honshu sud-occidentale e centrale fino alla zona di Tokyo). Ciò ha suggerito che, da una parte, gli specchi erano importati dalle fonderie cinesi "all'ingrosso", dall'altra che essi facevano parte di un sistema di scambi rituali e di alleanza tra le aristocrazie locali e regionali del nascente Stato Yamato.
C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 255-63; G. Barnes, Prehistoric Yamato. Archaeology of the First Japanese State, Ann Arbor 1988; K. Mizoguchi, An Archaeological History of Japan, Philadelphia 2002.
di Oscar Nalesini
Insediamento della piana di Kawachi (Pref. di Nagano), oggi in un quartiere orientale di Osaka, con fasi di occupazione dal periodo Yayoi antico in poi.
La piana di Kawachi era una baia che si trasformò in palude all'inizio dell'epoca Yayoi e da allora fu abitata in modo intermittente fino all'epoca Nara quando, grazie alla canalizzazione dal fiume Yamato, si pose un limite alle inondazioni e l'insediamento divenne stabile. L'abbondanza d'acqua e di suolo alluvionale fornì condizioni ideali per la coltivazione del riso, che spiegano la presenza di centinaia di siti Yayoi nella piana di Kawachi. L'abitato era costruito nei punti più elevati e asciutti. La continua costruzione sugli stessi punti ha però reso inintelligibili le tracce archeologiche delle abitazioni. In compenso, il suolo imbevuto d'acqua ha permesso la conservazione di un rilevante numero di oggetti lignei, come grandi ciotole e pestelli lunghi 1 m, assai simili a quelli tradizionali per la pestatura del riso glutinoso. Tra gli strumenti agricoli sono da segnalare zappe, pali per le risaie e una pala, lunga 1,3 m e ricavata da un unico pezzo di legno; comuni erano anche i coltelli di pietra per la mietitura (ishibocho). L'industria litica è poco rappresentata, verosimilmente perché si preferiva sfruttare il legno e forse il ferro, di cui non ci sono tracce, ma che potrebbe essersi totalmente ossidato e decomposto per la forte umidità del suolo. I resti vegetali bruciati e l'analisi pollinica degli strati antropici documentano lo sfruttamento di piante domestiche, come riso, frumento, melone, pesco e pruno, e la raccolta di castagne e ghiande nella foresta. Le tombe di epoca Yayoi medio sono di tipi diversi, riconducibili a differenze sociali. Il tipo più numeroso è una tomba a cista contenente un individuo, senza corredo. A volte queste tombe sono riunite a gruppi di tre o quattro. Sono stati inoltre identificati cinque tumuli funerari (alt. 1 m, diam. 8-12 m). Al centro del tumulo 2 vi erano sei sepolture in sarcofago ligneo e una, col corpo rannicchiato, in una giara. Attorno a questo gruppo centrale sono state trovate altre sei sepolture in giara. Sebbene privi di corredo funebre, i tumuli erano circondati da giare e vasi su piedistallo per le offerte; un sistema che sembra anticipare l'uso degli haniwa del periodo Kofun. Le tombe furono scavate in periodi diversi e ciò fa ritenere che i tumuli fossero sacelli appartenenti alle famiglie più importanti.
C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 222-26; Kawachi Heiya Isekigun no Dotai [L'evoluzione del complesso della piana di Kawachi], Osaka 1987-2000; K. Akiyama, Stone Rods of the Yayoi Period, in Nihon Kokogaku, 14 (2002), pp. 127-36.
di Fumiko Ikawa-Smith
Grotta calcarea ubicata nella città di Naha (Okinawa), che ha restituito le più antiche ossa umane radiometricamente datate dell'arcipelago giapponese.
Y. è una piccola grotta, larga 1,2 m all'imboccatura, con un'ampiezza di 5,5 m sulla parete posteriore e un'altezza di 3,2 m dal soffitto della grotta alla sommità dei depositi. Le ricerche (1962, 1968) hanno consentito di distinguere nel deposito sei strati: sotto i due superiori, olocenici, si trovava uno strato di carbone e pietre combuste (spess. 35-50 cm); poiché in alcune parti era separato da uno strato sterile (strato IV), esso venne suddiviso negli strati III e V. I carboni del livello superiore (livello III) vennero datati al radiocarbonio al 32.100±1000 B.P. (Tk-78). Le ossa umane provengono dalla parte superiore del livello VI, localizzato sotto i carboni dello strato V. Nello strato VI vennero recuperati anche numerosi frammenti di ossa e palchi di cervo; inizialmente interpretati come manufatti, oggi molti studiosi ritengono che tali reperti non siano il prodotto dell'intervento umano. Tre pietre con lievissime tracce di modificazioni, rinvenute in questo strato negli scavi del 1962, potrebbero invece rappresentare manufatti; due sono costituite da ciottoli circolari (diam. 7-8 cm), forse utilizzati come percussori, mentre l'altra (lungh. 10 cm ca.) potrebbe essere un chopping-tool. Le ossa umane sono costituite da un femore, una tibia e una fibula di un bambino dell'età di circa 6 anni con caratteristiche simili a quelle rilevate su ossa di giovani individui di epoca recente, mentre alcuni indici riguardanti la robustezza si aggirano intorno ai limiti più alti del range di variazione degli individui anatomicamente moderni. Costituendo alcune tra le evidenze più antiche e meglio datate delle prime forme di uomo moderno dell'Asia orientale, i reperti documentano la natura complessa della transizione da forme umane arcaiche a forme moderne nell'area. Attualmente esistono opinioni discordanti in merito alle modalità di arrivo a Okinawa dei primi gruppi umani poco prima del 32.000 B.P. Alcuni geologi hanno ipotizzato che all'epoca l'isola fosse collegata all'Asia continentale, mentre altri rigettano tale teoria; qualora fosse confermata la tesi di questi ultimi, il sito di Y. costituirebbe un'ulteriore evidenza del fatto che i più antichi gruppi del Giappone praticavano la navigazione.
Bibliografia
Hiroe Takamiya - Masanori Kin - Masao Suzuki, Excavation Report of the Yamashita-cho Cave Site, Naha-shi, Okinawa, in Journal of the Anthropological Society of Nippon, pp. 125-30; Hiroe Takamiya - Morikatsu Tamaki - Masanori Kin, Artifacts of the Yamashita-cho Cave, ibid., pp. 137-50; E. Trinkaus - C.B. Ruff, Early Modern Human Remains from Eastern Asia: the Yamashita-cho 1 Immature Postcrania, in JHumEv, 30 (1996), pp. 299-314.
di Charles F.W. Higham
Insediamento Yayoi pluristratificato nella Prefettura di Saga (Kyushu). Il deposito archeologico, con evidenze databili dal Paleolitico al periodo medievale, è soprattutto noto per il rinvenimento (1989) di un ampio insediamento di periodo Yayoi, che presenta una lunga sequenza di occupazione e sistemi di difesa costituiti da fossati con torri di avvistamento.
Nel tardo periodo Yayoi Y. giunse a coprire un'area di almeno 25 ha, circondata da un fossato difensivo, la cui escavazione sembra fosse già iniziata nella prima metà del medio periodo Yayoi (I sec. a.C.), periodo in cui a Y. sembra iniziare l'uso di sepolture in grandi giare funerarie. Nei successivi due secoli sembra che a Y. fossero in uso due recinti interni, mentre un muro a palizzata integrava il sistema difensivo. Un vasto tumulo funerario, che si estende su un'area di circa 50 × 40 m, comprendeva una tomba centrale e 11 interramenti secondari; ciascuno conteneva una daga di bronzo, la cui presenza attesta anch'essa un incremento dei conflitti tra centri emergenti. Questo è un esempio dei recinti funerari in cui i capi venivano sepolti. Le implicazioni sociali della necropoli di Y. e di altre simili sono oggetto di un acceso dibattito: secondo alcuni esse rappresenterebbero le sepolture successive di membri del lignaggio dominante, per la maggior parte individui di sesso maschile. Altri postulano che il defunto fosse un uomo di rango della regione controllata da centri quali Y. Un'ulteriore attestazione della presenza di élite nel sito è costituita dalla recente scoperta nel margine settentrionale dell'insediamento di una dōtaku (campana di bronzo) ornata da un motivo raffigurante un cedro giapponese. La sepoltura di tali manufatti, talvolta dopo che essi erano stati danneggiati (o "uccisi") ritualmente, nelle vicinanze dei siti Yayoi è piuttosto frequente.
R.J. Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past. Studies in Archaeology and Prehistory, Ann Arbor 1986; G. Barnes (ed.), Hoabinhian, Jomon, Yayoi, Early Korean States, Oxford 1990, pp. 96-100; R.J. Pearson (ed.), Ancient Japan, New York 1992; C. Totman, A History of Japan, Oxford 2000; K. Mizoguchi, An Archaeological History of Japan, Philadelphia 2002.