L'archeologia dell'Estremo Oriente: Giappone
Nel XVIII e XIX secolo si assiste in Giappone ad un forte impulso per l'antiquariato e per il collezionismo di oggetti antichi, ma l'inizio delle ricerche archeologiche condotte in maniera scientifica si fa coincidere con gli scavi intrapresi nel 1877 dallo zoologo americano E.S. Morse (1838-1925) nel deposito conchiglifero di Omori a Tokyo. Morse definì la ceramica che riportò alla luce ad Omori "decorata a corda" e il termine Jomon, che è la traduzione giapponese, di questa definizione, entrò gradualmente in uso per indicare il lunghissimo periodo Neolitico nell'arcipelago giapponese che si fa oggi datare dal 10.000 a.C. circa al 300 a.C. Oltre a Morse, altri archeologi occidentali, quali H. von Siebold (1852-1908) e N.G. Munro (1863-1942), ebbero un ruolo decisivo nell'introdurre un'adeguata metodologia scientifica nelle ricerche archeologiche in Giappone, ma all'inizio sia gli studiosi giapponesi che quelli occidentali concentrarono le ricerche su avvenimenti e popoli citati nei testi storici tradizionali, quali il Kojiki (Memorie degli antichi eventi) del 712 d.C. e il Nihon shoki (Cronache o Annali del Giappone) del 720 d.C., cercando di correlare individui e popoli menzionati nei testi con i reperti che si stavano riportando alla luce. Lo stesso concetto di preistoria, alieno fino al momento delle scoperte effettuate da Morse, si affermò definitivamente nell'uso solo dal 1936, a seguito di un dibattito tra gli studiosi giapponesi svoltosi sulle pagine della rivista Mineruva. Gli studi iniziali sul periodo Jomon furono fortemente improntati dal carattere etno-storico-antropologico della nascente archeologia giapponese, condizionata dall'ideologia imperiale del periodo Meiji (1868-1911) che riteneva come veritieri i miti sull'origine della "razza Yamato", cioè giapponese, contenuti nel Kojiki e nel Nihon shoki. Secondo tali miti, Jimmu, primo imperatore della storia e discendente dalla dea del sole Amaterasu, aveva conquistato l'arcipelago nipponico debellando e sottomettendo i suoi originari abitanti. Secondo quanto suggerito dalla leggenda, i reperti Jomon erano dunque interpretati come le vestigia dell'antica razza pregiapponese e riferiti a popolazioni quali gli Ainu o i loro mitologici antenati, i Korobbokuru, come nell'opinione di S. Tsuboi (1863- 1913), divenuto nel 1893 il primo professore di Antropologia presso l'Università Imperiale di Tokyo. In questa prospettiva fu interdetto lo scavo dei grandi tumuli sepolcrali (kofun), che si riteneva contenessero le spoglie degli antichi sovrani e con i quali si faceva iniziare il periodo imperiale detto Yamato o Kofun, corrispondente all'età del Ferro giapponese. Negli anni Trenta, con la fine del periodo Meiji, l'allentarsi della pressione ideologica e l'affermarsi in Giappone di schemi di pensiero positivisti e marxisti, il prosieguo degli scavi archeologici portò all'identificazione della cultura Yayoi (300 a.C. - 300 d.C. ca.), dal nome di un quartiere di Tokyo dove ceramica di quel tipo fu rinvenuta nel 1884 da un allievo giapponese di Morse. La scoperta e il riconoscimento della cultura Yayoi, caratterizzata dalla coltivazione del riso e dall'uso di utensili in bronzo e in ferro, portò alla definitiva affermazione dello schema cronologico e culturale Jomon-Yayoi-Kofun (300 ca. - 645 d.C.) a tutt'oggi in uso. L'ideologia sempre più marcatamente nazionalistica adottata dallo stato giapponese negli anni Trenta e Quaranta condusse ad una reazione contro le interpretazioni di carattere etnologico, cosicché gli archeologi giapponesi, tra cui S. Yamanouchi (1902-1970), che contribuì sostanzialmente alla periodizzazione del lungo periodo Jomon classificando le tipologie ceramiche, cominciarono a studiare in maniera sempre più dettagliata la cultura materiale. I rapporti tra l'archeologia e l'antropologia, che all'inizio erano stati molto intensi, si interruppero e non furono mai introdotti programmi integrati di antropologia nelle università giapponesi. Infatti oggi i corsi di archeologia vengono tenuti nei dipartimenti di storia, le lezioni di antropologia culturale nei dipartimenti di psicologia e di altre scienze sociali e quelle di antropologia biologica nelle facoltà di medicina, insieme alle lezioni di anatomia. La sconfitta subita dall'impero giapponese nella seconda guerra mondiale significò per gli archeologi una maggiore libertà dalle costrizioni ideologiche e la possibilità di studiare in modo scientifico il passato del Paese attraverso ricerche archeologiche che ripresero con intensità subito dopo la fine del conflitto. Un esempio è costituito dalla campagna quadriennale di scavi, iniziata nel 1947 e condotta a Toro (Shizuoka), dove fu rinvenuto un ampio insediamento del periodo Yayoi e furono riportati alla luce i resti di antiche risaie, scoperte che per la prima volta permisero lo studio su larga scala, condotto su base interdisciplinare, di un'antica comunità agricola giapponese. Nel 1948 venne istituita l'Associazione degli Archeologi Giapponesi (Nihon Kokogaku Kyokai), mentre l'anno successivo fu scavato il primo sito paleolitico a Iwajuku, nella prefettura di Gunma, inizialmente segnalato dall'archeologo non professionista T. Aizawa. Nel 1952 e 1954 la legislazione relativa alla protezione dei beni culturali fu ampliata ad includere anche i reperti archeologici: secondo la legge giapponese, tutti gli oggetti sepolti nel terreno appartengono ai loro originari proprietari, anche se vissuti secoli addietro e qualora non sia possibile rintracciare i loro discendenti, i reperti vengono presi in custodia dalle organizzazioni statali. Il metodo d'insegnamento basato sulle mitologie imperiali, adottato prima della guerra nelle scuole e nelle università, fu sostituito da un metodo didattico più scientifico, basato prevalentemente sulle testimonianze archeologiche. A questa "democratizzazione" della preistoria giapponese fu data una valenza simbolica nel 1953, quando molte persone provenienti da classi sociali diverse presero parte agli scavi del tumulo funerario di Tsukinowa, nella prefettura di Okayama, diretti da Y. Kondo, professore di Archeologia all'Università di Okayama e membro fondatore della Società degli Studi Archeologici (Kokogaku Kenkyukai) istituita nel 1954. Con più di 5000 membri, la Kokogaku Kenkyukai è attualmente la società archeologica più attiva di tutto il Giappone. La straordinaria ricostruzione nel Giappone postbellico, basata in parte su imponenti opere pubbliche, ha reso necessario un numero ingente di interventi di urgenza, inimmaginabile in altre parti del mondo. Dall'inizio degli anni Settanta gli scavi di urgenza in Giappone sono aumentati vertiginosamente, da circa mille agli attuali oltre diecimila. Attualmente l'interesse del pubblico per l'archeologia alimenta un'industria turistica con milioni di persone che visitano siti famosi, come Yoshinogari a Saga, dove è stato rinvenuto un importante sito fortificato del tardo periodo Yayoi, e Sanmai Maruyama ad Aomori. Metodi scientifici, quali la prospezione geofisica e l'analisi fitolitica, hanno avuto un grande sviluppo in Giappone, ma tali metodi non sono adeguatamente integrati con le altre attività proprie delle ricerche archeologiche. Quanto all'approccio teorico, l'archeologia giapponese fondamentalmente si basa ancora su una concezione storico-culturale sviluppatasi negli anni Trenta; questo peculiare orientamento, unito alle difficoltà linguistiche, fa sì che il Giappone rimanga poco noto agli archeologi occidentali, sebbene possieda una delle scuole archeologiche più antiche e attive di tutta l'Asia.
T. Saito, Nihon kokogakushi [Storia dell'archeologia giapponese], Tokyo 1974; F. Ikawa-Smith, Co-traditions in Japanese Archaeology, in WorldA, 13 (1982), pp. 296-309; P. Bleed, Almost Archaeology: Early Archaeological Interest in Japan, in R. Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past: Studies in Archaeology and Prehistory, Ann Arbor 1986, pp. 57-67; A. Teshigawara, Nihon kokogakushi [Storia dell'archeologia giapponese], Tokyo 1988; G. Barnes, The "Idea of Prehistory" in Japan, in Antiquity, 64 (1990), pp. 929-40; A. Teshigawara, Nihon kokogaku no ayumi [Storia dell'archeologia giapponese], Tokyo 1995; H. Tsude, Archaeological Theory in Japan, in P. Ucko (ed.), Theory in Archaeology: a World Perspective, London 1995, pp. 298-311; T. Inada, La protection des sites et la fouille de sauvetage au Japon, in NouvA, 65 (1996), pp. 43-48.