L'archeologia dell'Iran. La protostoria
di Massimo Vidale
Nel Bronzo Antico (ca. 2900-2400 a.C., arco corrispondente al Protodinastico I, II e III della Mesopotamia) l'Iran occidentale e la regione degli Zagros risentirono fortemente del collasso delle entità statali protoelamite; la scrittura si estinse in quasi tutto l'altopiano iranico (con la possibile eccezione dei centri maggiori di Kirman), mentre, intorno al 2800 a.C., Tall-i Malyan era completamente deserta e la popolazione del bacino del Kur sembra avesse adottato modi di vita pastorali non sedentari. Anche Susa nella prima metà del III millennio a.C. è, secondo P. Amiet, una modesta città di tipo sumerico con stili artistici provinciali nella statuaria. L'esistenza di aristocrazie locali è denunciata da rari sigilli in caratteri e lingua sumerica ‒ uno dei quali proprietà di un "re dell'Elam" ‒ e dalla maggiore ricchezza di alcuni corredi funerari, non paragonabile tuttavia a quelli della pianura. I pregiatissimi vasi di clorite importati dai centri della civiltà di Jiroft erano localmente imitati in bitume. La ceramica color camoscio era decorata con semplici motivi geometrici o figure animali stilizzate; varietà più grossolane erano decorate a impressioni digitali. In Azerbaigian, nell'area circostante il lago di Rezayeh si conosce soprattutto una ceramica grigia o nera, con lucentezza metallica (Transcaucasian Ware), strettamente legata a tradizioni tecniche dell'Anatolia orientale e del Caucaso. Nei depositi del Bronzo Antico scavati a Godin Tepe, nel cuore degli Zagros, sono stati riconosciuti legami con le aree culturali settentrionali. In Luristan sono note quasi esclusivamente necropoli con tombe a fossa rivestite e coperte da pietre; la ceramica, lucidata e di color rosso, dipinta a fasce nere, corrisponde a quella descritta a Tepe Giyan (orizzonte IV). Gli insediamenti non sono stati identificati. Scarsi sono anche i siti nel Kurdistan. Una forte presenza e attività di tribù nomadiche spiegherebbe la generale somiglianza tra le ceramiche del Luristan, di Susa e del Fars orientale.
L'altopiano centro-orientale fu invece sede di rapidi, intensi processi di protourbanizzazione. Si stima che in diverse regioni l'estensione dei maggiori centri urbani si sia decuplicata. Il progresso dell'agricoltura irrigua e dell'allevamento animale si era evidentemente ormai saldato a una accresciuta capacità di sfruttare ogni risorsa localmente disponibile. Rotte commerciali e carovaniere a medio e lungo raggio, ben note sin dal Neolitico, fornivano agli agricoltori, nei periodi di pausa stagionale, un vasto raggio di materie prime; inoltre, nel millennio precedente le più importanti tecnologie avevano esplorato ogni genere di intersezione e applicazione, conferendo ad alcune attività artigianali ruoli economici di rilievo. Nel mondo delle coeve città sumeriche, tradizionalmente povero di materie prime pregiate (con l'eccezione del bitume e del sale), maturò l'immagine di città annidate nelle montagne orientali, tanto ricche di minerali quanto ostili, tra cui Aratta, potente centro orientale situato "oltre le sette montagne di Anshan".
Nella zona tra Kirman e Baluchistan, se prescindiamo da alcune sequenze ceramiche nelle quali tradizioni locali (ceramiche color camoscio dipinte in bruno, nero o rosso) coesistono con altre di importazione (ceramiche ingobbiate in rosso e dipinte in nero, simili a prodotti delle coste del Golfo, e ceramiche grigie forse del Baluchistan centro-settentrionale), il Bronzo Antico è ancora quasi sconosciuto. Tuttavia, diversi indizi fanno ritenere che indagini future (soprattutto a Shahdad e nella valle dell'Halil Rud) riveleranno precoci forme di organizzazione urbana. I livelli abitativi corrispondenti scavati a Tall-i Iblis e Tepe Yahya mostrano chiare tracce di metallurgia e della produzione di vasi e ornamenti di clorite. Nel corso della prima metà del III millennio a.C. Tepe Hissar sviluppò appieno il suo potenziale industriale, concentrando in un unico quartiere la lavorazione di ceramica, metalli e pietre dure. Una distinzione netta tra aree residenziali e aree produttive si osserverebbe anche a Shah Tepe, dove nella necropoli le tombe più ricche sembrano spazialmente segregate da quelle comuni.
La civiltà dello Hilmand, grazie agli scavi estensivi di Mundigak e Shahr-i Sokhta, ha fornito dati essenziali sul Bronzo Antico dell'altopiano iranico e dell'Arachosia. Il centro di Mundigak, che ospitava abitazioni private a più stanze, nei primi secoli del III millennio fu oggetto di una profonda ristrutturazione, con la costruzione di una complessa opera di difesa e ripartizione. Shahr-i Sokhta, dopo un rovinoso incendio intorno al 2800 a.C., sembra aver invece prosperato sino alla metà del III millennio a.C., in un quadro di complesse realtà economiche.
Con il Bronzo Medio (ca. 2400-2000 a.C.) l'Asia centro-meridionale, con le pianure del Turkmenistan meridionale, della Battriana e il delta interno della Margiana, il Sistan, la valle dell'Indo, le civiltà mercantili del cuore del Golfo Persico e la Mesopotamia furono rapidamente connesse da inediti processi di integrazione economica e politica. Per la prima volta, innovazioni e trasformazioni di vasta portata documentate dai dati archeologici si confrontano e si integrano con importanti eventi storicamente noti: la crescita delle città-stato mesopotamiche e le aspre lotte per l'unificazione politica; il sorgere dello Stato accadico intorno al 2300 a.C. e il suo tracollo un secolo dopo; la crescita verticale, tra i secoli XXIII e XXII a.C., dei contatti via mare con Melukhkha (valle dell'Indo); il rapido sviluppo dopo il 2200 a.C. di nuovi Stati locali o regionali attraverso le pianure di Sumer, gran parte dell'altopiano e diverse regioni della Penisola Arabica. In un territorio immenso, dall'intero bacino turanico all'altopiano iranico orientale e alla valle dell'Indo, la produzione ceramica assunse caratteri protoindustriali, estendendo l'uso del tornio e degli stampi a più classi morfologiche e spesso abbandonando totalmente la decorazione dipinta.
La nascita a ridosso degli Zagros centrali di casati e Stati capaci di controllare l'accresciuto volume degli scambi tra est e ovest portò l'Occidente elamita all'attenzione dei sovrani mesopotamici. I re accadici esercitarono un controllo fluttuante sulla Susiana e intrapresero campagne militari contro gli Stati "esterni" di Anshan e Markhashi. La "stele della vittoria" dedicata da Naram-Sin (XXIII sec. a.C.), rinvenuta a Susa e ora al Museo del Louvre, ricorda la sottomissione (di breve durata) dei Lullubi, bellicoso gruppo di tribù stanziato nella piana di Sherizor, negli Zagros. Il Luristan è invece identificato da molti come la sede dei Guti, che insieme con altri gruppi tribali provenienti dagli Zagros distrussero intorno al 2200 a.C. la capitale accadica e diedero vita a una linea dinastica indipendente. I testi sumerici e accadici menzionano inoltre i "re di Awan" che, forse nel cuore degli Zagros, crearono un proprio Stato e, per breve tempo, riuscirono a sottomettere Susa. Dopo la sconfitta dei Guti, intorno agli inizi del XXI sec. a.C., i re della III Dinastia di Ur tornarono ad annettere la Susiana, per perderla alla fine del III millennio a vantaggio di due entità confederate ‒ lo Stato elamita di Shimashki, forse dominante gli Zagros centrali, e il regno di Anshan tra il Fars e gli Zagros meridionali ‒, che in seguito razziarono Sumer, ponendo termine all'impero unificato della III Dinastia di Ur. Sul piano archeologico, l'unificazione politica di un vasto territorio esteso da Kirmanshah ad Anshan potrebbe essere riflessa da alcune classi ceramiche e dalla presenza di comuni stili nei sigilli a cilindro.
Nel Fars, la fine del periodo Banesh a Malyan/Anshan aveva causato un tracollo e un generalizzato abbandono della capitale e del suo territorio, sino al 2400-2300 a.C., quando una nuova fase urbana probabilmente accompagnò la resurrezione di Anshan dapprima come membro e poi come centro dominante della nuova confederazione elamita. La nuova fase di urbanizzazione (detta "periodo Kaftari"), attribuita alla sedenterizzazione di popolazioni pastorali, sarebbe proseguita sino a una nuova fase di disgregazione nei primi secoli del II millennio a.C., coincidente con una nuova e generalizzata regressione ad attività pastorali.
La regione di Kirman corrisponde, a giudizio quasi generale, al paese di Markhashi menzionato come un potente regno orientale dai testi della III Dinastia di Ur. Le famose tombe di Shahdad, ricche di vasi in una ceramica rossa non dipinta, coprono un arco cronologico apparentemente lungo, tra il 2500 e il 1800 a.C. La ricchezza dei corredi dimostra che questo centro aveva combinato con successo agricoltura intensiva, allevamento e attività commerciali e manifatturiere, strategia che sembra riflessa da quartieri artigianali specializzati, operativi ‒ secondo gli scavatori ‒ su base stagionale e ciclicamente abbandonati. Le culture del Bronzo Medio dell'Iran sud-orientale ebbero stretti contatti con quelle della sponda opposta del Golfo, in Oman, dove sorgevano avamposti commerciali organizzati o frequentati da naviganti dell'Indo. Le élites di Shahdad sembrano del resto condividere alcuni tipi ceramici con le culture dell'Iran sud-occidentale e con il mondo accadico, mentre altri tipi connettono il centro alle coste omanite. Altri contatti sono facilmente riconoscibili con Tepe Hissar (periodi IIIB-IIIC) e Tepe Yahya. A partire dal XXIII secolo la presenza nei corredi di manufatti altamente pregiati mostra stretti legami con la Battriana e la Margiana. Manufatti simili ricorrono anche in tombe coeve di Tepe Hissar, nell'abitato di Shahr-i Sokhta e nell'enigmatico ripostiglio di Quetta (Pakistan), mentre, nello stesso momento, a Harappa (Pakistan) compaiono tracce di fibre di seta e a Mohenjo Daro (Pakistan), a Susa e a Mari sono presenti sigilli a stampo di bronzo di tipo turkmeno-battriano-margiano. È possibile quindi che gruppi di mercanti centroasiatici si fossero insediati nei maggiori centri della valle dell'Indo, dell'Iran orientale e delle regioni occidentali per gestire i profitti dell'apertura di nuove vie commerciali di provenienza asiatico-orientale.
L'affermazione di Stati arcaici ricchi e potenti è riflessa anche dal sorgere in alcuni centri di imponenti strutture terrazzate in mattone crudo, in posizioni dominanti sui centri urbani. Si tratta di grandi "piramidi a gradoni", presumibilmente dotate di facciate monumentali, che dovevano ospitare alla sommità edifici o celle di culto. I prototipi sono probabilmente da ricercare nella piattaforma monumentale di Susa e nelle immagini protoelamite di templi terrazzati della Susiana. Edifici apparentemente simili furono costruiti negli ultimi secoli del III millennio a Turang Tepe e a Tepe Siyalk (Kashan); in entrambi i casi (e a Mundigak, che ospita una struttura analoga) essi sorsero su settori precedentemente abitati. Il tesoro di vasi d'oro e di argento detto "di Asterabad", forse proveniente da una sepoltura regale presso Turang Tepe, e il cosiddetto "tesoro di Fullol", in Afghanistan (forse più antico di qualche secolo), testimoniano le ricchezze e l'amore per il lusso dei ceti più elevati. Analogamente a Jiroft, nei siti di Konar Sandal Sud e Nord, due settori abitativi precedentemente occupati da abitazioni private furono coperti, agli inizi del Bronzo Medio, da due colossali piattaforme a gradoni, forse in uso fino alla fine del Bronzo Tardo. L'incredibile ricchezza che si intuisce nei corredi saccheggiati e dispersi, con vasi di clorite scolpiti e intarsiati di eccezionale bellezza, attribuiti in passato a un generico e diffuso "stile interculturale", mostra con chiarezza l'opulenza della civiltà di Jiroft. È certo seducente l'idea di F. Vallat, secondo cui quello della ziqqurrat sarebbe un modello culturale elamita rapidamente fatto proprio dai sovrani della III Dinastia di Ur e trapiantato nel XXI sec. a.C. nel cuore di Sumer. È possibile che anche gli impianti cultuali a terrazze e gradoni del Baluchistan meridionale (Nindowari, Las Bela) abbiano risentito di simili esempi.
A Shahr-i Sokhta, tra il 2400 e il 2300 a.C. larghi settori della città del Bronzo Antico furono abbandonati o requisiti e l'abitato incorporò improvvisamente grandi edifici in mattone crudo (purtroppo ora quasi completamente erosi dal vento), con l'espansione della superficie abitata da 50 a 80 ha, mentre le attività artigianali "migravano" in periferia o in centri minori esterni. Alcune tombe del Bronzo Medio contengono corredi certamente appartenenti a famiglie e individui di rango molto elevato.
In concomitanza con il crollo dello Stato unitario in Mesopotamia, trasformato in una costellazione di potentati spesso a guida amorrea, nell'Iran centro-orientale, nell'Asia Centrale ex sovietica come nella valle dell'Indo, il periodo del Bronzo Tardo (ca. 2000-1500 a.C.) coincise con una generalizzata e drammatica crisi urbana e demografica. Già prima del 2000 a.C. i grandi centri della fascia pedemontana del Kopet Dagh (Altin Depe, Namazga Depe, Ulug Depe) furono rapidamente e totalmente abbandonati. A Mundigak, Shahr-i Sokhta e, probabilmente, a Shahdad, le aree abitate si contrassero rapidamente da centinaia a pochi ettari. In Battriana e Margiana (periodo Namazga V) sorsero abitati nucleati, protetti da mura concentriche e torrioni, che forse combinavano le funzioni di palazzo, tempio e fortezza con quelle di caravanserraglio. Se le ragioni precise di questo enorme collasso (in larga misura oscure) furono probabilmente molteplici, sembra certo che in Asia centro-meridionale come nella valle dell'Indo il popolamento si sia adattato a nuove economie incentrate sulle oasi, quindi su forme di agricoltura intensiva e di allevamento (grazie all'introduzione di nuove specie vegetali e animali), sulla gestione e tassazione delle nuove vie commerciali e forse sulla predazione delle carovane.
In occidente, dall'Azerbaigian al Khuzistan e al bacino del fiume Kur in Fars, le comunità protourbane conobbero invece una nuova fase di prosperità. Il periodo antico-elamita (ca. 2500-1700 a.C.) rappresentò una fase di forte sviluppo della vita sedentaria e urbana. Agli inizi del II millennio Susa era un centro di 80 ha; i corredi funerari testimoniano la ricchezza crescente delle élites urbane. Intorno al 1950 a.C. la regalità sembra essersi spostata da Shimashki ad Anshan. Da questo momento ‒ culmine del potere elamita ‒ si susseguono linee dinastiche regali di complessa ricostruzione. Anshan era diventata una città di 130 ha; vi sono state trovate iscrizioni in elamico, sumerico e accadico. Nelle immagini dei sigilli a cilindro, sovrani e signori indossano vesti a balze o ciocche lanose che, se derivano lontanamente dalle vesti sacre della tradizione mesopotamica, appaiono identiche a quelle indossate da personaggi aristocratici nelle iconografie della Battriana e della Margiana.
Nel XVIII sec. a.C. gli Elamiti si impadronirono di Eshnunna ed estesero la propria influenza in ampi settori della Mesopotamia settentrionale, lambendo la Siria; verso oriente, stabilirono avamposti sino alla regione di Bushir. Risalgono probabilmente a questo periodo alcuni rilievi rupestri monumentali scolpiti in Fars (Kurangun, Naqsh-i Rustam) e nella piana di Izeh. Forse esclusa dai grandi scambi commerciali interni all'altopiano e lungo il Golfo Persico, la Susiana sembra aver tratto il suo benessere principalmente dalle grandi potenzialità agricole del suo territorio. Dopo le vittorie di Hammurabi e il ritiro degli Elamiti dalla Mesopotamia le fonti storiche si fanno più rare. Dopo il 1700 a.C. solo a Susa sono state riconosciute attività edilizie monumentali. In Azerbaigian, Hasanlu e Dinkha Tepe le ceramiche mostrano legami con l'Anatolia, il Caucaso, la Siria e la Mesopotamia del Nord. Il tramonto degli Elamiti coincise con una generale crisi dei traffici a lunga distanza per via di terra e di mare. Anche le piccole città-oasi sopravvissute tra l'altopiano iranico, l'Asia Centrale e l'entroterra afghano furono abbandonate; nell'arco di un paio di secoli l'intero territorio interno dell'Asia meridionale sarebbe regredito alle sue tradizionali basi nomadico-pastorali.
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di Bruno Genito
L'età del Ferro sull'altopiano, dopo una preliminare distinzione in tre periodi formulata negli anni Settanta del Novecento, viene oggi suddivisa, più o meno unanimemente, in quattro periodi principali con diverse altre suddivisioni interne, che tengono conto delle diverse aree geografiche: il periodo I si data dal 1350 al 1000/900 a.C.; il II dal 1000/900 circa all'800/750 a.C.; il III dall'800/750 circa al 550 a.C.; il IV dal 550 al 300 a.C.
L'età del Ferro rappresenta uno dei periodi più controversi e complessi di tutta la storia dell'Iran antico, soprattutto per l'ancora problematica interpretazione delle questioni più rilevanti del periodo: l'arrivo degli Iranici, la concreta presenza del ferro nei siti relativi, la nascita e lo sviluppo delle prime formazioni "statali". La migrazione degli Iranici nell'altopiano e nelle aree adiacenti, avvenuta attraverso il progressivo spostamento di numerosi gruppi di tribù, è stata certamente successiva a quella degli Indoari. Di quei gruppi facevano parte innanzitutto gli Iranici "occidentali" (i Medi e i Persiani), la cui migrazione è generalmente collocata a partire dalla fine del II millennio a.C. Ultimi ad arrivare sarebbero stati gli Iranici "orientali". Sulle direttrici dello spostamento di questi gruppi di popolazioni dalle steppe a nord e nord-est del Caspio, ancora molto discusse, le teorie più accreditate sono sostanzialmente due: un passaggio verso ovest a nord del Caspio, seguito da una discesa verso sud e sud-est valicando il Caucaso; oppure un percorso diretto verso sud, valicando il Kopet Dagh, quindi verso ovest fino all'Urartu e da qui di nuovo verso l'Iran centrale e il Fars.
I Medi, menzionati per la prima volta nell'836 a.C. in un'iscrizione del sovrano neoassiro Salmanassar III, avrebbero occupato l'Iran centrale, specialmente la regione intorno ad Hamadan. I Persiani, attestati alcuni anni prima (forse nell'843) con il nome di Parsuaš (iranico *Pārsva), si sarebbero stanziati nella zona a sud-ovest del Lago di Urmia; la definizione di Ciro I come re sia di Parsumaš sia di Anšan (località identificata con il sito di Tall-i Malyan nel Fars) da parte degli annali assiri nel 639 a.C. è stata interpretata come il riflesso del movimento dei Persiani dall'Iran nord-occidentale fino alla loro dimora finale.
Nonostante queste incertezze, la centralità dell'età del Ferro sull'altopiano resta comunque indiscutibile; con essa si assiste, sia pure non uniformemente, a una accelerazione culturale che metterà in moto processi e dinamiche unici, capaci a loro volta di determinare le condizioni per la nascita, nelle fasi più tarde, delle prime formazioni statali sull'altopiano. Spiccati fenomeni di integrazione territoriale, tipici di un processo socioeconomico in via di statalizzazione, si evidenziano già nel I e II periodo, per trovare piena realizzazione nel III e IV. La profonda e radicata diversità culturale fra le varie aree del territorio iranico, vuoi per caratteristiche topografiche, climatiche, ecologiche, vuoi per la qualità e quantità delle risorse naturali presenti, se durante i periodi preistorici e protostorici aveva caratterizzato un po' tutto l'altopiano, nell'età del Ferro si costituì come un vero e proprio mosaico "regionalmente" differenziato di sussistenza e potenziale economico. Le alte vette delle montagne degli Zagros da un lato e i deserti centrali dall'altro condizionarono fortemente la formazione e lo sviluppo delle vie di comunicazione, tanto all'interno quanto verso le regioni adiacenti, dando vita, in direzione est-ovest, a quella che diventerà in epoca storica la Via della Seta tra il Khorasan e la Mesopotamia, di enorme importanza per gli scambi di risorse.
La transizione dal Bronzo Tardo al primo Ferro resta un processo storico sostanzialmente oscuro, particolarmente nelle aree occidentali; in quest'epoca sono evidenti un forte declino economico e una maggiore discontinuità culturale, accompagnata da probabili movimenti etnici. L'Elam resta la maggiore potenza politica nell'area e solo pochi orizzonti culturali dell'età del Ferro d'epoca premeda sono stati individuati e riconosciuti nella Persia occidentale. Gli insediamenti d'altopiano degli Zagros consistono in cittadelle e villaggi sparsi, là dove è evidente che la popolazione sedentaria sembra sensibilmente diminuire e molti dati provengono dalle sole necropoli. Nell'Iran settentrionale altre necropoli hanno fornito ricche testimonianze di cultura materiale: Marlik, Khurvin, Kalar Dasht, Amarlu, Aržan, da cui provengono manufatti che conservano, sviluppandoli, contenuti culturali legati ai simboli delle attività economico-produttive, ai miti e alle ideologie religiose, esprimendo al contempo i temi di una società sempre più complessa. L'altopiano occidentale diventa l'obiettivo di numerose campagne militari assire; un'analisi delle liste dei bottini e dei tributi fa pensare a possibili prodotti e risorse di provenienza iranica.
Dalla lunga sequenza cronologica di Hasanlu, cittadella dei Mannei distrutta dagli Urartei, strategicamente importante per le vie d'accesso all'altopiano, si evincono i tratti essenziali di quel lungo processo di integrazione territoriale che accompagnò il popolamento dell'altopiano, in un momento storico fondamentale, contemporaneo alla prima menzione delle tribù iraniche presente nelle fonti assire. La complessa cultura materiale del sito, in cui si evidenziano contatti culturali e artistici anche con la Mesopotamia del Nord, rimanda comunque a un ambito ideologico composito, mesopotamico e protoindoeuropeo. Importanza particolare rivestono anche i primi esempi di sale ipostile, attestate da tutta una serie di edifici nella fase V, in un periodo compreso fra il 1000 e l'800 a.C. L'area del Luristan, in particolare la sua porzione esterna occidentale, sembra restare vincolata a un'economia nomadico-pastorale, da cui emerge una particolare produzione in bronzo, caratterizzata da oggetti quali morsi per cavallo, armi, stendardi, ecc., interpretati alla luce della formazione di una nuova élite guerriera.
La "questione meda", se da un lato può avvalersi di un innegabile riscontro storiografico (fonti greche, bibliche e mesopotamiche), trova pochissimi appigli nell'evidenza archeologica. Le indagini su quello che potrebbe essere il sito chiave per tutto il periodo, ovvero Ecbatana, capitale della Media, sono limitate dal fatto che la città antica è sepolta sotto l'odierna Hamadan, dove le testimonianze archeologiche sin qui emerse nei recenti scavi sembrano appartenere a periodi molto più tardi. L'attività archeologica nel cuore dell'antica Media (cioè l'area compresa tra Kirmanshah e Hamadan), invece, è stata particolarmente intensa e ricca di risultati negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, quando gli scavi di tre cittadelle, Godin Tepe, Tepe Nush-i Jan e Baba Jan Tepe, misero in luce strutture architettoniche di notevole interesse; tra queste spicca la sala ipostila, un partito architettonico particolarmente importante per gli sviluppi successivi che avrà sull'altopiano. L'origine della sala ipostila, sempre molto controversa, è stata ricercata nell'architettura egizia, della Siria settentrionale, della Grecia, dell'Urartu o ancora in una tipologia di casa lignea tuttora diffusa nell'area boscosa fra il Mar Nero e il Mazanderan. L'edificio rinvenuto a Baba Jan Tepe, nel Luristan, presenta una sala centrale a pilastri con torri angolari, databile fra la fine del IX e gli inizi dell'VIII secolo, e rappresenterebbe uno stadio intermedio nella trasmissione, da nord a sud, proprio di quel tipo di sala. Si datano a un periodo compreso tra il 750 e il 600 a.C., a Tepe Nush-i Jan, le rovine di un ambiente isolato oblungo a pilastri, che tuttavia ha un ingresso molto modesto. Infine, una sala di grandi proporzioni, datata al IX-VIII sec. a.C., è stata messa in luce a Godin Tepe.
Lo studio degli insediamenti di periodo medo evidenzia un consistente processo di incastellamento, avvenuto presumibilmente durante il tardo VIII e il VII secolo. L'abbandono di tutti questi siti durante la prima metà del VI secolo, proprio in concomitanza con il periodo in cui le fonti storiche indicano invece l'apogeo dell'impero dei Medi, fa sorgere notevoli dubbi sulla possibilità di correlare il dato storiografico con l'evidenza archeologica. A Nush-i Jan la fase I (750-600 a.C.) vede la costruzione del cosiddetto Edificio Centrale (probabile edificio religioso), mentre il Forte e l'Edificio Occidentale (sala colonnata) si sarebbero aggiunti durante il VII secolo. Questi edifici furono successivamente abbandonati e, nella prima metà del VI secolo, il sito fu interessato solo da occupazioni sporadiche. La spiegazione suggerita per questa fase di abbandono, cioè il collasso dell'Assiria e la graduale erosione della potenza scitica, non è in sintonia con il quadro storico che si evince dalle fonti. Anche a Godin Tepe avviene qualcosa di molto simile: progressiva crescita di edifici pubblici tra la fase 1 e la fase 4, quindi abbandono pacifico e occupazione sporadica durante la fase 5. Sebbene non ne sia chiaramente esplicitata la datazione, i resti architettonici di Godin 2 e Nush-i Jan 1 risultano abbastanza simili. Analoga è anche la sequenza di Baba Jan, quantunque una cronologia più alta per l'incastellamento nella fase 3 (IX-VIII sec. a.C.) e per l'occupazione sporadica del sito (VII sec. a.C.) siano certamente più attendibili. In ogni caso, la prima metà del VI secolo si conferma come una fase di totale abbandono. La recente scoperta di un'altra fortezza a Uzbaki (Iran settentrionale, distretto di Karaj, a ovest di Teheran), anch'essa presumibilmente databile a epoca meda, rafforza il convincimento che uno dei tratti culturali più significativi del periodo sia proprio un deciso processo di incastellamento, quasi a indicare ancora una volta quella tendenza all'integrazione territoriale tipica di processi socioeconomici in via di statalizzazione.
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di Raffaele Biscione
Nel Neolitico tardo e nel Calcolitico i siti di Tepe Siyalk, Zagheh, Tepe Ghabrestan, Chashma-i Ali, Tepe Hissar, Sang-i Chakhmaq, Morteza Gerd e Shir-i Zhian (gli ultimi due praticamente inediti) e altri insediamenti minori dell'A.I.C. svilupparono una serie di culture strettamente collegate fra loro, raggruppate da Y. Majidzadeh nella cosiddetta "cultura dell'A.I.C.". Questi siti, disposti al margine nord-occidentale della depressione desertica al centro dell'altopiano, sono localizzati in oasi pedemontane formate da ventagli di piccoli fiumi che scendono dalle montagne e si perdono nella pianura desertica, in aree che permettono l'agricoltura irrigua e l'accesso alle risorse naturali delle varie fasce ecologiche vicine.
La cultura dell'A.I.C. è stata divisa in quattro periodi. Il periodo arcaico (fine VII - inizi VI millennio a.C.; inizio del Neolitico 3 di M. Voigt) è conosciuto solo presso Qazvin, con il sito di Zagheh (livelli IX-XII) contraddistinto dalla Zagheh Ware, una ceramica locale a decorazione dipinta in parte con pigmenti instabili, connessa con quella di Tepe Sarab e di Giarmo, e dall'uso di cospargere gli inumati con ocra rossa. Il periodo antico (inizi VI millennio - 5000 a.C. ca.) vede l'estendersi della cultura nelle aree di Qazvin (Zagheh), Qom (Qara Tepe), Kashan (Siyalk I-II), Teheran (Tepe Mushelan presso Karaj, Chashma-i Ali presso Rayy e Qara Tepe presso Shahriyar), Damghan, ove in seguito sorgerà Tepe Hissar (Shir-i Zhian) e Shahrud (Sang-i Chakhmaq presso Bastam). La ceramica più antica è fatta a mano, a tempera di paglia, grossolana e fragile oppure più fine, rossa con ingubbiatura rosso scuro o mattone, a motivi geometrici neri su coppe e ciotole, spesso a base stretta e concava. Sul finire del periodo (Siyalk II, Chashma-i Ali) la ceramica è tecnologicamente più avanzata, con una decorazione più complessa, che include anche motivi animali, relativamente naturalistici o molto stilizzati, particolarmente diffusi nella regione di Teheran. Ceramiche riferibili a questa cultura sono state rinvenute anche più a nord-est, ai margini delle pianure centroasiatiche. I primi manufatti di rame martellato a freddo, lesine, aghi e spilloni, provengono da Siyalk I.
All'inizio del periodo medio (inizi del V - inizi del IV millennio), la cultura sembra subire una crisi generalizzata. Il sito di Siyalk viene abbandonato; l'area di Qom apparentemente non è più insediata; a Qazvin termina la sequenza di Zagheh e viene fondato, a 2 km di distanza, il sito di Tepe Ghabrestan; nella regione di Teheran, abbandonati Tepe Mushelan e Qara Tepe, continua la vita di Chashma-i Ali, ma l'insediamento più importante sembra essere Morteza Gerd, di nuova fondazione; vengono abbandonate anche le oasi di Damghan e di Shahrud. La crisi si accompagna a una rottura della continuità culturale; si diffonde un tipo di ceramica senza connessioni locali, la Plum Ware, a ingubbiatura da rosso-bruno a prugna, fine, ben cotta, con motivi geometrici nero-bruni su ciotole spesso a base stretta, a volte carenate, e su ollette globulari a collo alto. Questa ceramica, connessa con la Dalma Ware dell'Azerbaigian e del Kurdistan, dapprima riconosciuta nello scavo di Ghabrestan, è poi stata identificata in superficie nei siti dell'oasi di Qom, a Siyalk, a Chashma-i Ali e Morteza Gerd.
Nella prima metà del V millennio sono insediate solo le aree di Qazvin, con Tepe Ghabrestan, e di Teheran, con Morteza Gerd e Chashma-i Ali; solo verso la metà del V millennio vengono rioccupate le oasi di Kashan e di Damghan. L'uniformità culturale della zona non è ora così forte come nel periodo precedente: mentre a Siyalk e nell'oasi di Teheran la Plum Ware sembra essere un fatto relativamente episodico, che forse convive con la tradizione locale o la interrompe solo per un breve periodo, a Ghabrestan I la Plum Ware ha una lunga durata e cancella la precedente tradizione. L'area di Teheran a sua volta presenta forti paralleli con la ceramica di Siyalk III e di Hissar e le connessioni con Ghabrestan I sembrano limitarsi alla presenza di una certa quantità di Plum Ware. Nella seconda metà del V millennio, con la scomparsa di questa classe ceramica anche dalla sequenza di Ghabrestan, l'uniformità culturale è nuovamente forte. Nel periodo medio, dunque, si possono distinguere due fasi: una più antica, caratterizzata dalla presenza di Plum Ware, con due aree culturali distinte, Ghabrestan I e Morteza Gerd - Chashma-i Ali, a cui più tardi si aggiungeranno anche Siyalk III, 1-2 e Hissar I, e una più recente, comprendente Ghabrestan II, Morteza Gerd, Siyalk III, 3-5 e Hissar I, con una notevole uniformità culturale.
Il periodo medio segna l'apogeo della cultura dell'A.I.C., che è caratterizzata da insediamenti di almeno 5 ha di superficie, di architettura complessa con strutture a più ambienti, dalla comparsa di sigilli a stampo con motivi geometrici e da un'evoluzione nella metallurgia con la fusione in forme aperte. La ceramica, fatta al tornio verso la fine del periodo, ben cotta, grossolana o fine, rossastra e camoscio, presenta decorazione dipinta bruna a motivi geometrici e naturalistici stilizzati; sono tipiche le forme aperte, ciotole a volte carenate, spesso con piede, mentre la presenza di forme chiuse è ridotta. Alla fine del periodo medio appaiono nuovamente indizi di crisi, almeno in alcune zone: sono abbandonati Chashma-i Ali e Morteza Gerd e l'oasi di Teheran non sembra insediata; a Ghabrestan ci sono tracce di un violento incendio alla fine del livello 9 e i livelli 8-7 (periodo III) presentano ceramica grigia estranea alla tradizione locale; a Siyalk c'è una forte discontinuità stratigrafica fra III, 5 e III, 6; lo stesso accade a Hissar tra periodo I e I finale. Il periodo tardo (prima metà del IV millennio) è dunque individuato da Ghabrestan IV, 6-4, da Siyalk III, 6-7 e da Hissar I finale, che però non presentano analogie così strette come nel periodo medio. La ceramica di Hissar continua la tradizione precedente e ha qualche rapporto con Ghabrestan IV; Siyalk III, 6-7 presenta forti connessioni con Godin VI e Giyan VC; Ghabrestan IV ha notevoli paralleli con Godin VI e, come si è detto, rapporti con Hissar I finale; tutti i siti hanno scarsi tratti in comune e subiscono evoluzioni differenti. Si verificano, in sostanza, una frammentazione e una regionalizzazione di quella che era la struttura unitaria della cultura dell'A.I.C.
Nella seconda metà del IV millennio la cultura dell'A.I.C. scompare definitivamente: Hissar risulta appartenere all'orizzonte di Gurgan; a Siyalk IV, dopo un incendio di grandi proporzioni che segna la fine del periodo III, compaiono caratteristiche protoelamite (quali bevelled rim bowls, brocche con versatoio, tavolette, sigilli a cilindro e impronte di sigillo) tanto forti da far ritenere che il sito fosse entrato a far parte del complesso culturale elamita; anche la ceramica di Ghabrestan IV, 3-1, presenta notevoli caratteri protoelamiti (bevelled rim bowls, flower pots). Non a caso, dunque, la cultura dell'A.I.C. continuò a esistere finché gli insediamenti raggiunsero l'urbanizzazione; proprio in quel momento entrò in gioco la forte influenza economica, politica e culturale della compagine statale elamita, che annientò la cultura dell'A.I.C., importando o favorendo la formazione di strutture protourbane.
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di Stefano Pracchia
Sito protostorico del Baluchistan iraniano nella valle della città e del fiume omonimi.
Nel 1966, dopo oltre trent'anni dalle ricognizioni condotte nella regione da A. Stein, il sito venne scavato da B. De Cardi con il sostegno della Royal Asiatic Society. La lunga sequenza stratigrafica individuata venne divisa in due gruppi comprendenti i periodi I-IV e V-VI, per sottolineare due diverse forme di continuità culturale. Il periodo I, individuato alla base della collina, è databile attorno al 3000 a.C. Il periodo III si associa parzialmente al periodo IV di Mundigak, nella piana di Kandahar (Afghanistan), e con le fasi 4 e 3 di Shahr-i Sokhta (Sistan iraniano). Il periodo IV (fasi 1 e 2) sempre sulla base di confronti ceramici può essere connesso con le fasi 3 e 2 di Shahr-i Sokhta III (alla fase 2 corrisponde la fine dell'area di manifattura ceramica di Tepe Rud-i Biyaban). Sulla base dei dati emersi con il progredire delle ricerche nell'Iran orientale è possibile attribuire i primi quattro periodi a un arco cronologico compreso all'incirca tra l'inizio del III millennio e la fine del XXIII sec. a.C.
La continuità culturale dei primi quattro periodi è documentata dall'abbondante repertorio di motivi dipinti in nero su fondo camoscio (buff) o rosso, sia geometrici sia zoomorfi (serpenti, rane, insetti). Sul corpo di alcune classi di giare è caratteristica la presenza di una decorazione applicata costituita da un cordone ondulato continuo. La ceramica grigia del tipo Faiz Muhammad, abbondante specialmente nel periodo IV, documenta, assieme a imitazioni in ceramica dei vasi di clorite del tipo prodotto a Tepe Yahya, l'esistenza di una catena di relazioni interregionali compresa tra la valle dell'Indo, le steppe della Turkmenia, la Mesopotamia, il Golfo Persico e l'Oceano Indiano. Il successivo periodo V mostra i segni di un veloce cambiamento nelle forme e nei repertori, con una progressiva diminuzione dei vecchi motivi decorativi. È possibile che il periodo in parte coincida con uno iato nella documentazione del sito di Shahr-i Sokhta, in questa fase (fine del XXIII sec. a.C.) ormai quasi interamente abbandonato. Il rapido cambiamento dei repertori ceramici del periodo V avverrebbe così in concomitanza con la conquista dell'Elam da parte dei sovrani accadici e con l'intensificarsi dei traffici marittimi tra la valle dell'Indo e la Mesopotamia. Nell'ultimo quarto del III millennio a.C. le ceramiche di B. VI e di Shahr-i Sokhta IV mostrano notevoli convergenze, in un periodo in cui in Asia Centrale è attivo un processo di profonda trasformazione dei modelli insediativi urbani.
Bibliografia
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di Peter Calmeyer
Capitale meda (antico pers. Hagmatana; gr. ᾿Εϰβάτανα, ᾿Αγβάτανα; neopersiano Hamadan), in epoca seleucide denominata Epiphaneia; successivamente perse importanza a vantaggio di Rhages (od. Rayy).
La migliore descrizione antica è quella tramandata da Polibio (X, 27, 4-13), secondo il quale era fortificata l'akra, ma non la città. Di fatto, nell'area della città non sussistono resti di una fortificazione, mentre si conservano tracce di un'enorme piattaforma di mattoni. Sono probabilmente leggendarie invece le sette cinte di mura che, secondo Erodoto (I, 98), circondavano la "casa" del fondatore della città, Deioce, forse da identificare con il Daiaukku che nel 715 a.C. fu sconfitto dal re assiro Sargon II e deportato ad Hama. Intorno a quest'epoca, o comunque al IX-VIII sec. a.C., sono databili i frammenti di una o più brocche di bronzo con beccuccio, oggi al Louvre. Purtroppo tutti gli altri oggetti attribuiti all'antica E. non sono stati recuperati da scavi scientifici e la loro provenienza si basa spesso sulle indicazioni poco affidabili dei mercanti d'arte, né sono noti i luoghi del rinvenimento delle iscrizioni di fondazione e delle coppe di Ariaramne, Arsame, Dario I, Serse e Artaserse II. Da questo punto di vista meritano maggiore credibilità i sigilli a cilindro e le figurine studiati da J. de Morgan. All'area a nord di E. si assegna la provenienza di un testo di notevole interesse iscritto su una placca di bronzo, che in ogni caso va attribuito a un principe locale. Polibio fa riferimento a un ricco tempio di Aine, forse il santuario di Anahita in cui Artaserse II Mnemon, per gelosia, costrinse Aspasia a prendere i voti (Plut., Art., 26, 3; 27, 3; Iust., X, 2). Si fa inoltre menzione della "sede" (ἕδοϚ) di Asclepio (Arr., Anab., VII, 14, 5), che Alessandro lasciò distruggere per il dispiacere causatogli dalla morte di Efestione.
In epoca achemenide E. fu principalmente la residenza estiva dei sovrani (Xen., Anab., III, 5, 15; Ael., Nat. anim., III, 13; X, 6), probabilmente già durante il regno di Ciro il Grande (Xen., Cyr., VIII, 6, 22). Anche i primi Arsacidi ebbero a E. la residenza estiva (Strab., XVI, 743; Curt., V, 8, 1). Della venerazione delle tombe di Esther e Mardochai troviamo menzione per la prima volta in Beniamino di Tudela. Secondo E. Herzfeld oggetto di tale devozione era una sovrana ebrea del periodo tardosasanide; tuttavia Flavio Giuseppe (Ant. Iud., X, 265) tramanda che ancora ai suoi tempi delle "tombe dei sovrani dei Medi, dei Persiani e dei Parti nella fortezza di E." si prendeva cura un sacerdote ebreo; la singolare tradizione circa le tombe regali venerate da Ebrei può essere fatta risalire, dunque, almeno agli inizi dell'epoca arsacide. I resti della città antica sono assai esigui: a una piattaforma di mattoni nel tepe E (Mehryar), nel centro della città, oggi liberato dalle abitazioni, e ad alcuni elementi architettonici, già nel Museo di Ecbatana, devono aggiungersi le imponenti e regolari strutture di mattoni crudi portate alla luce da scavi condotti negli anni Novanta del XX secolo; sono andate perdute una base campaniforme e le enormi basi di colonne rinvenute a est della città, forse più tarde, di cui resta un rilievo di E. Flandin e P. Coste. Gli scavi effettuati negli ultimi anni sono stati parzialmente pubblicati, ma la mancanza di qualsiasi notizia sui materiali rinvenuti impedisce di avanzare ipotesi circa la datazione delle strutture portate alla luce.
Come dimostrato da H. Luschey, l'imponente scultura conservata nella periferia della città moderna, a Sang-i Shir, e raffigurante un leone, precedentemente considerata opera arsacide, è verosimilmente da attribuire a un monumento funerario greco del IV sec. a.C., di tipo affine ai leoni di Cheronea, probabilmente costruito da Alessandro Magno per Efestione. Nel Medioevo tale scultura fu portata via dalla città; oggi è venerata come propiziatrice di fertilità. Nei pressi, nel 1974 e nel 1975 M. Azarnoush ha riportato alla luce una necropoli di epoca arsacide con numerosi sarcofagi a pantofola; sulla base delle monete e dei gioielli dei corredi, essa è datata al periodo compreso tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.
Bibl.: I. D´jakonov, Istorija Midii [Storia della Media], Moskva 1956, passim; M. Azarnoush, Hamadan. Excavation Report, in Iran, 13 (1975), pp. 181-82; S.C. Brown, s.v. Ecbatana, in ANE, II, pp. 186-87; M.R. Sarraf, Neue architektonische und städtebauliche Funde von Ekbatana-Tepe (Hamdan), in AMI, 79 (1997), pp. 321-39; R. Boucharlat, À la recherche d'Ecbatane sur Tepe Hegmataneh, in IranAnt, 33 (1998), pp. 173-86 (con bibl. ult.).
di Robert H. Dyson Jr.
Sito dell'Azerbaigian iraniano, scavato nel 1936 da A. Stein e in seguito (1947 e 1949) da M. Rad e A. Hakemi del Dipartimento Archeologico Iraniano. Un più ampio programma di scavi fu poi svolto fra il 1956 e il 1977 dal Museo dell'Università della Pennsylvania sotto la direzione di R.H. Dyson Jr.
La prima occupazione del sito (6000 a.C.) si riferisce a un piccolo villaggio basato su un'economia mista di agricoltura e allevamento. Ceramica dipinta con motivi geometrici rossi su fondo bruno, nello stile di Hajji Firuz (H. X), indica stretti contatti con la cultura mesopotamica di Tell Hassuna (forse zona di origine dei primi abitanti di H.), caratterizzata da abitazioni unifamiliari di mattoni crudi, contenenti all'interno sepolture multiple in banchi di muratura, vari utensili di osso e pietra e figurine femminili d'argilla. Il periodo successivo (fino alla metà del IV millennio a.C.) è segnato da uno sviluppo degli stili ceramici di Dalma e Pisdeli (H. IX e VIII), dal nome dei piccoli siti adiacenti dove il periodo è meglio rappresentato. Dopo un probabile iato, il sito viene nuovamente occupato durante il Bronzo Antico (H. VII) per gran parte del III millennio. H. VI (ca. 1900-1500 a.C.) è caratterizzato da una ceramica dipinta strettamente connessa alla ceramica del Khabur (Mesopotamia settentrionale).
Dopo questo periodo architettura, ceramica e pratiche funerarie documentano profondi mutamenti. Nei periodi H. V e IV, fino alla distruzione del sito verso l'800 a.C., si afferma l'uso di una ceramica brunita rossa, grigia o bruna; calici, vasi con beccuccio orizzontale e ciotole poco profonde sono le forme più comuni. Questi ultimi due periodi rappresentano una fase culturale unitaria, caratterizzata dall'uso abbondante del rame e del bronzo e, dopo il 1000 a.C., del ferro. Le sepolture, in necropoli esterne alle mura, consistono in inumazioni entro tombe di pietra o mattoni (del tipo ben attestato a Dinkha Tepe, ca. 27 km a ovest di H.). Di particolare interesse è un nuovo tipo di edificio dotato di ingresso con scalinata, un ambiente principale con due colonne centrali ai lati di un focolare sopraelevato, una piattaforma retrostante e banchi di muratura alle pareti e un magazzino lungo un muro laterale. Nel periodo IVB tale pianta si sviluppa e si amplia in grandi ambienti, il maggiore dei quali (18 × 27 m) ha nella parte centrale quattro file di sei colonne alte presumibilmente 21 m. Quattro grandi edifici raggruppati intorno a due cortili e altre strutture coronavano la cittadella del periodo IVB, alla quale si accedeva attraverso tre strade e tre porte.
Un grande incendio causò la fine di H. IVB, sigillando fra le rovine migliaia di oggetti (gioielli, armi, sigilli, vasi e bardature di cavalli) di ferro, bronzo, rame, antimonio, argento, oro, ambra, vetro, ceramica invetriata, avorio, legno, osso; fra essi, una ciotola d'oro decorata a sbalzo e un bicchiere d'argento ornato con figure di elettro, entrambi con complesse raffigurazioni. Una forte influenza assira è testimoniata soprattutto dai sigilli a cilindro. Dopo questa distruzione, datata al radiocarbonio, alcune iscrizioni urartee riferibili sia a Ishpuini sia a suo figlio Menua attestano l'annessione dell'area di H. all'Urartu all'inizio dell'VIII sec. a.C. Il colle della cittadella venne fortificato (H. IIIB) mediante un grande muro con basamento di pietra spesso 9 m, con un unico stretto ingresso, torri disposte a intervalli regolari lungo il perimetro esterno e ambienti destinati alla guarnigione all'interno. La ceramica è quella rossa, estremamente polita, tipica dell'Urartu dell'VIII-VII secolo. Con l'espansione dei Medi il sito cessò la funzione di presidio militare, ma continuò a essere occupato fino all'inizio del III sec. a.C. (H. IIIA e II), per rimanere poi deserto fino all'epoca islamica (H. I).
Notizie degli scavi in Iran, 9 (1971), p. 170; 11 (1973), pp. 195-96; 13 (1975), pp. 182-86.
In generale:
R.H. Dyson Jr., Problems of Protohistoric Iran as Seen from Hasanlu, in JNES, 24, 3 (1965), pp. 193-217; O.W. Muscarella, Lion Bowls from Hasanlu, in Archaeology, 18 (1965), pp. 41-46; R.H. Dyson Jr., Early Cultures of Solduz, Azerbaijan, Iran, in Proceedings of the IVth International Congress of Iranian Art and Archaeology (New York 1960), Tehran - London - New York - Tokyo 1967, pp. 2951-970; E. Porada, Notes on the Gold Bowl and Silver Beaker from Hasanlu, ibid., pp. 2971-978; R.H. Dyson Jr., The Hasanlu Project. 1961-1967, in The Memorial Volume of the Vth International Congress of Iranian Art and Archaeology, Tehran - Isfahan - Shiraz 1972, pp. 39-58; O.W. Muscarella, The Third Lion Bowl from Hasanlu, in Expedition, 16 (1974), pp. 25-29; Bibliography of the Hasanlu Project, in L. Levine - T. C. Young Jr. (edd.), Mountains and Lowlands, Malibu 1977, pp. 399-405; R.H. Dyson Jr., The Architecture of Hasanlu. Periods 1 to 4, in AJA, 81 (1977), pp. 548-52; Id., The Architecture of the Iron I Period at Hasanlu in Western Iran and its Implications for Theories of Migration on the Iranian Plateau, in J. Deshayes (ed.), Le plateau iranien et l'Asie centrale des origines à la conquête islamique. Actes du Colloque (Paris, 22-24 mars 1976), Paris 1977, pp. 155-69; O.W. Muscarella, The Catalogue of Ivories from Hasanlu, Iran, Philadelphia 1980; I.J. Winter, A Decorated Breastplate from Hasanlu, Iran, Philadelphia 1980; I. Medvedskaya, Who Destroyed Hasanlu IV?, in Iran, 26 (1988), pp. 1-15; M.I. Marcus, Glyptic Styk and Seal Function. The Hasanlu Connection, in Aegaeum, 5 (1990), pp. 175-92.
di Massimo Vidale
Grande sito protourbano del III millennio a.C., situato nel cuore della depressione omonima, lungo il corso dell'Halil Rud, nell'Iran sud-orientale.
Il sequestro, avvenuto nel 2002, di ingenti lotti di preziosi reperti provenienti da scavi clandestini rivelò che le locali comunità agricole, impoverite da un prolungato periodo di siccità, avevano saccheggiato in poco tempo non meno di 10.000 sepolture appartenenti a cinque o sei grandi necropoli protostoriche, casualmente scoperte in seguito a una trasgressione fluviale. Gli oggetti recuperati sono vasi di clorite incisi con immagini di capridi in paesaggi boschivi, avvoltoi o aquile in lotta con serpenti e felini, bovini dai tratti soprannaturali, eroi, demoni o divinità in lotta con felini e scorpioni e altre scene mitologiche di difficile interpretazione. Vi sono inoltre scacchiere a forma di avvoltoio, scorpione o uomo-scorpione e tavole da gioco con caselle formate da spire di serpenti snodati (simili a quelli della scacchiera di palissandro rinventuta a Shahr-i Sokhta), vasi di clorite con decorazioni di natura architettonica, armi e contenitori sbalzati di rame; e ancora statuette di pietra e di rame, sigilli o tessere da gioco di lapislazuli, sigilli a cilindro di pietra calcarea. Il materiale sembra databile soprattutto alla seconda metà del III millennio a.C., ma è molto probabile che parte dei corredi saccheggiati fosse più antica.
La depressione di J., oltre alle necropoli perdute, ospita almeno 80 insediamenti minori e il grande complesso protourbano di Konar Sandal, che sorge 28 km a sud della città odierna. Konar Sandal A, a nord, è formato dai resti di un'unica imponente struttura a gradoni (250 × 200 m ca. alla base, sul piano della superficie attuale; alt. conservata 13 m), costruita con mattoni crudi di grande formato (40 × 40 × 12 cm), forse in due fasi successive. Konar Sandal B, circa 2 km più a sud, a pianta quadrangolare (lati di 100-120 m), si eleva per 21 m sulla piana circostante e sembra avere anch'essa una struttura a gradoni; i mattoni misurano 60 × 60 × 13 cm. A est, a lato del monumento, una serie di bassi monticoli indica una superficie insediativa di 30-40 ha. La sacralizzazione dell'abitato intorno al 2500 a.C. mediante queste imponenti costruzioni collega J. a Mundigak (Afghanistan), Turang Tepe (Gurgan) e Tepe Siyalk (Kashan), dove si osservano fenomeni analoghi. Sembra probabile che i due complessi monumentali di Konar Sandal facessero parte di un medesimo, enorme comparto urbano.
Anche se si attendono sequenze e determinazioni cronologiche più complete, è ormai chiaro che siti come Tepe Yahya e Tall-i Iblis devono essere ricondotti alla civiltà che aveva come capitale l'antica J. Altrettanto chiaro è il fatto che i vasi di clorite e altri manufatti prima attribuiti a un generico "stile interculturale", trovati lungo le coste del Golfo Persico (isola di Tarut) e in numerose città mesopotamiche fino al territorio siriano, provenivano dalle mani di artigiani della regione di Kirman e quasi certamente dalla stessa J. Poiché parte dei vasi di clorite di Tarut era fabbricata in loco, dovremmo ipotizzare nel III millennio a.C. la presenza di una enclave di artigiani di J. in un importante scalo della grande via mercantile del Golfo. Secondo Y. Majidzadeh, scopritore della civiltà di J., la città di Aratta menzionata nei testi letterari sumerici della prima metà del III millennio a.C. sarebbe identificabile proprio con J.; in effetti, sia la localizzazione geografica sia diverse considerazioni di ordine geopolitico, ecologico e storico (tra cui l'evidente grande ricchezza della città) rendono l'ipotesi plausibile. D'altra parte, per quanto riguarda la seconda metà del III millennio a.C., sembrano molto convincenti gli argomenti di quanti (ormai in maggioranza) identificano J. con lo Stato arcaico di Markhashi, per il quale le informazioni storiche diventano, con lo sviluppo delle scoperte, gradualmente più coerenti.
Bibliografia
G. Burkholder, Steatite Carvings from Saudi Arabia, in ArtAs, 33, 4 (1971), pp. 306-22; P. de Miroschedji, Vases et objets en stéatite susiens du Musée du Louvre, in CahDelFrIran, 3 (1973), pp. 9-80; P.L. Kohl, Carved Chlorite Vessels: a Trade in Finished Commodities in the Mid-Third Millennium BC., in Expedition, 8, 1 (1975), pp. 18-31; J. Deshayes, À propos des terrasses hautes de la fin du IIIème millénaire en Iran et en Asie Centrale, in Le plateau iranien et l'Asie centrale des origines à la conquête islamique. Actes du Colloque (Paris, 22-24 mars 1976), Paris 1977, pp. 95-111; J. Dumarçay, L'architecture de Mundigak, in BEFEO, 73 (1984), pp. 47-66; T.E. Potts, Mesopotamia and the East. An Archaeological and Historical Study of Foreign Relations ca. 3400-2000 BC., Oxford 1994; Y. Majidzadeh, Jiroft. The Earliest Oriental Civilization, Tehran 2003; Id., Le berceau de la civilisation orientale, in Archéologia, 413 (Avril 2003), pp. 36-45; J. Perrot (ed.), Jiroft. Fabuleuse découverte en Iran, in DossAParis, 287 (2003).
di Bruno Genito
Alla fine degli anni Quaranta del Novecento sul mercato antiquario di Teheran cominciarono ad apparire numerosi oggetti (tra cui ceramica e metalli) che, per il particolare pregio artistico, suscitarono grande interesse presso i collezionisti e gli esperti d'arte; i manufatti provenivano da scavi clandestini la cui ubicazione precisa non era nota, ma che tutte le informazioni indicavano nell'area di Kh., villaggio circa 80 km a nord-ovest di Teheran. Circa 2 km a ovest di esso si trova Ganj Tepe ("collina del tesoro"), nome dovuto alla scoperta fortuita di oggetti di oro e argento, che diede il via a una grande quantità di scavi clandestini nell'area; a sud-est è un'altra collina, meno grande, Siah Tepe ("collina nera").
Sui versanti orientale e meridionale di Ganj Tepe si distende la necropoli detta "di Kh.". Nel 1950 il Servizio Archeologico Iraniano, sotto la direzione di M. Rad e A. Hakemi, vi effettuò alcuni sondaggi e nel 1954 cominciarono gli scavi di L. Vanden Berghe, con l'apertura di tre trincee sul versante orientale della collina. In quell'occasione furono portate alla luce 14 tombe di forma molto semplice, costituite da fosse riempite di terra e prive di copertura. Il corredo funerario consisteva in una grande quantità di vasellame di ceramica di colore nero-grigio con qualche esemplare di colore rossastro; tra le forme più rappresentative si segnalano vasi a lungo versatoio, scodelle con ansa orizzontale, tazze ansate. Le tombe presentano confronti con i corredi delle necropoli A e B di Tepe Siyalk (liv. VIB). La necropoli offre altri, e forse più decisivi, paragoni con oggetti provenienti dagli strati superiori di Tepe Giyan (IB e IC), dove era stata rinvenuta una ceramica grigio-nera e rossa, con decorazione incisa. Materiali affini a quelli di Kh. sono anche quelli rinvenuti a Chandar (Chukandar), a Darrus (7 km a nord di Teheran), in altri siti della regione costiera del Mar Caspio, nelle province del Gilan e del Mazandaran, e nel sito di Kalar Dasht, esplorato nel 1954 dal Servizio Archeologico Iraniano. Non mancano confronti con materiali di siti più antichi come Tepe Hissar IIIB-C, Shah Tepe III, Turang Tepe, tutti nell'Iran nord-orientale.
Non è agevole capire se il materiale archeologico di Kh. sia l'espressione di una cultura omogenea o se, al contrario, esso appartenga a tombe di epoca diversa. Purtroppo i materiali provenienti dagli scavi e dai ritrovamenti sporadici di Kh. non coincidono perfettamente per quanto attiene agli elementi tipologici e cronologici. Il materiale della collezione Maleki, studiato da Vanden Berghe, dimostra che la necropoli apparteneva a una comunità di agricoltori che sicuramente intrattenne contatti con altre culture e che fu in vita per alcuni secoli. Il materiale archeologico di Kh. si può mettere a confronto con quello di altri siti della fine dell'età del Bronzo e dell'inizio di quella del Ferro, compresi tra il 1300 e il 900 a.C. circa e la cui fase principale si situerebbe intorno al 1100 a.C. La maggior parte di questi siti si caratterizza per l'uso di una ceramica grigio-nera, talvolta rossa, alla quale si sostituirà, su tutto l'altopiano, una ceramica dipinta. Solo la necropoli B di Tepe Siyalk, con la presenza di una ceramica grigio-nera ricoperta da pittura, rappresenta un'eccezione. Altra caratteristica peculiare di questi siti è il gran numero di manufatti di metallo, soprattutto bronzo, raramente ferro, usati per armi, bardatura, utensileria e ornamenti. Questi elementi hanno indotto gli studiosi a postulare la presenza a Kh. di più culture diverse, mescolate, di difficile caratterizzazione etnica. È possibile che i corredi funerari della necropoli A di Tepe Siyalk fossero appartenuti ai primi Iranici, che avrebbero rivelato, poi, più consistenti tracce culturali nella necropoli B di Tepe Siyalk e in quella di Kh., come già suggerito da R. Ghirshman; è molto più probabile, però, che questa cultura, assieme a quelle evidenziate da altri ritrovamenti a Kalar Dasht, Amlash e altrove, esprima i profondi sommovimenti sociali ed economici che, a cavallo del I millennio a.C., avrebbero coinvolto l'altopiano.
M. Rad - A. Hakemi, Kāvešhā-ye 'elmi-ye mokhtasar dar Ganjtepe va tepehā-ye digar-e Khorvin [Scavi scientifici a Ganj Tepe e in altri tepe di Khurvin], in Gozarešhā-ye bāstānšēnāsī, 1 (1950); L. Vanden Berghe, Opgravingen te Khorvin [Scavi di Khurvin], in Handelingen van het 2le Vlaams Filologencongres (Leuven, 12-14 april 1955), Leuven 1956, pp. 117-21; Id., Gorestān-e bāstān-e Khorvin [La necropoli antica di Khurvin], in Gozarešhā-ye bāstānšēnāsī, 4 (1957), pp. 308-31; Id., La nécropole de Khurvin, Istanbul 1964; Y. Maleki, Art abstrait et décor animalier chez les céramistes de la région de Téhéran, in Archéologie Vivante, 1 (1968), pp. 47-50; M. Tosi, Ceramica iranica dell'età del ferro, Roma 1970; Id., Materiale vario dell'Età del Ferro da Hurvin, in Arte Orientale in Italia, I. Scritti miscellanei del Museo Nazionale d'Arte Orientale, Roma, Roma 1971, pp. 5-12; P. Calmeyer, s.v. Ḫurvin, in RlA, IV, 1972-75, p. 522.
di Bruno Overlaet
La regione del L. (Iran occidentale) separa l'altopiano iranico dalla pianura mesopotamica. Sotto il profilo archeologico, il L. corrisponde alla parte montuosa degli Zagros lungo il confine con l'Iraq, alla Grande Via del Khorasan attraverso gli Zagros, alle strade che congiungono Kirmanshah, Sahneh, Nihavand, Borujird a Dorud e lo Ab-i Diz alla piana di Dizful (province dell'Ilam e del Luristan). Esso consiste di ampie vallate e catene montuose che raggiungono i 3000 m.
Alla fine degli anni Venti del Novecento, un gran numero di manufatti di bronzo del L., saccheggiati da tombe e santuari, comparve sul mercato antiquario: oggetti di lamina lavorati a percussione e a incisione, come spilloni con terminazione a disco e placche per faretra, od ottenuti con procedimento a cera persa, come finali, asce aculeate, pugnali, morsi per cavalli con guanciere decorate, bracciali, ecc. Questi oggetti sono spesso decorati in uno stile molto peculiare con figure animali, umane e fantastiche, che trova la sua massima espressione nei motivi decorativi dei finali, in cui felini affrontati e una figura umana centrale, spesso con diverse teste bifronti sovrimposte, si fondono in un'unica, composita figura.
Per lungo tempo il L. fu massicciamente depredato da scavi clandestini, migliaia di tombe saccheggiate e i loro corredi dispersi in musei e collezioni private. Gli studi scientifici si dovevano dunque limitare alla catalogazione di oggetti di provenienza ignota. Benché si conosca un vasto numero di bronzi del L., molto poco si sa della natura della società e delle origini etniche delle genti che l'abitavano. Le sue fertili pianure si prestano allo sfruttamento agricolo e l'esistenza di estesi monticoli sembra confermare che almeno una parte della popolazione fosse sedentaria. Tuttavia, il nomadismo e il seminomadismo devono averne costituito una componente importante. Il primo grande varco scientifico si aprì nel 1938 con il progetto americano della Holmes Luristan Expedition, cui si deve lo scavo di un santuario dell'età del Ferro a Surkh Dum-i Luri, che ha restituito numerosi ex voto, tra cui spilloni con terminazione a disco. Da allora, missioni archeologiche danesi (Tepe Guran), inglesi (Baba Jan Tepe), americane (grotta di Kunji) e iraniane (Khatunban, Nurabad, Sorkhdom-i Laki, Darreh Shahr, ecc.) hanno lavorato nella zona del Pish-i Kuh, completando il quadro (dal Paleolitico in poi) fornito dagli scavi belgi nel Pusht-i Kuh, diretti da L. Vanden Berghe. Si è potuto appurare che le necropoli con tombe costruite in pietra coprono periodi diversi, spaziando dal medio e tardo Calcolitico (V-IV millennio a.C.) all'età del Ferro (1350/1250-600 a.C. ca.).
Durante l'età del Bronzo (3000/2900-1350/1250 a.C.), le culture locali appaiono correlate a quelle delle vicine regioni iraniche e mesopotamiche, purtuttavia con varianti regionali. Gli insediamenti sembrano essere stati abbandonati alla fine dell'età del Bronzo. Gli oggetti ascrivibili al vero e proprio stile del L. appartengono alla successiva età del Ferro (1350/1250-800/750 a.C. ca.), quando la popolazione aveva probabilmente inglobato un'importante componente seminomadica o nomadica. Nel IX sec. a.C., nella parte settentrionale del Pish-i Kuh si assiste a una nuova occupazione con la cultura cosiddetta "di Baba Jan III". La sua ceramica dipinta, nota con l'appellativo di "genere L.", non compare nel Pusht-i Kuh, dove invece è documentata una fine ceramica grigia con decorazione incisa. Le fonti storiche collocano nel Pish-i Kuh lo Stato confederato di Ellipi. Un tesoro recentemente confiscato dalla grotta di Kalmakarreh, che comprende oggetti di argento iscritti, indica l'esistenza di una dinastia regionale durante il periodo del Ferro III (800/750-600 a.C. ca.).
Poche sono le informazioni sul periodo storico preislamico; tuttavia, le rovine della città di Darreh Shahr testimoniano l'importanza del L. in periodo sasanide (224-642 d.C.) e nella prima età islamica, quando esso divenne parte della provincia di Kufa (642-800 d.C. ca.). La locale dinastia degli Atabeg di Lur-i Kuchik, che regnò per oltre quattrocento anni su larga parte del L., elesse a sua capitale Khorramabad (1184-1596 d.C.). Nel XIV secolo la regione fu teatro di incursioni mongole, ritenute un fattore determinante nell'adozione del seminomadismo come stile di vita dominante.
Bibliografia
P. Calmeyer, Datierbare Bronzen aus Luristan und Kirmanshah, Berlin 1969; P.R.S. Moorey, Catalogue of the Ancient Persian Bronzes in the Ashmolean Museum, Oxford 1971; E.F. Schmidt - M.N. Van Loon - H.H. Curvers, The Holmes Expedition to Luristan, Chicago 1989; I.D. Mortensen, Nomads of Luristan. History, Material Culture and Pastoralism in Western Iran, Rhodos - Copenhagen 1993; E. Haerinck - B. Overlaet, Luristan Excavation Documents, I. The Chalcolithic Period. Parchinah and Hakalan, Brussels 1996; Iid., Luristan Excavation Documents, II. Chamahzi Mumah, an Iron Age III Graveyard, Lovanii 1998; Iid., Luristan Excavation Documents, III. Djub-i Gauhar and Gul Khanan Murdah, Iron Age III Graveyards in the Aivan Plain, Lovanii 1999; R. Bashshash Kanzaq, Whispering of Treasury. Objects Attributed to Kalma-Kare Cave, Teheran 2000; H. Thrane, Excavations at Tepe Guran in Luristan. The Bronze Age and Iron Age Periods, Moesgaard 2001; E. Haerinck - B. Overlaet, The Chalcolithic and Early Bronze Age in Pusht-i Kuh, Luristan (West-Iran). Chronology and Mesopotamian Contacts, in Akkadica, 123 (2002), pp. 163-81; B. Overlaet, Luristan Excavation Documents, IV. The Early Iron Age in Pusht-i Kuh, Luristan, Lovanii 2003.
di Sandro Salvatori
Sito ubicato lungo il margine occidentale del deserto del Lut, nella provincia di Kirman (Iran orientale), scoperto nella primavera del 1968 da A. Hakemi.
Il comprensorio archeologico, che ha restituito significative evidenze di una frequentazione umana stabile almeno dal V millennio a.C., si estende su di una superficie di oltre 80 ha, circa 2,5 km a est del villaggio moderno. La piana alluvionale di Takab, formata dai depositi pleistocenici del sistema di drenaggio della catena montuosa che separa, con andamento nord-sud, il deserto (Dasht-i Kavir) dalla piana di Kirman, ha subito, almeno dall'Olocene medio, una forte contrazione dovuta alla crescente azione erosiva dei venti e delle acque meteoriche che hanno prodotto, in loco, un progressivo slittamento verso occidente dell'insediamento umano. Ricognizioni di superficie effettuate nel 1977 hanno permesso di individuare nell'area vaste zone artigianali specializzate nella lavorazione delle pietre semipreziose, soprattutto agata e corniola, ma anche lapislazuli e turchese, e un quartiere dedicato alla lavorazione del bronzo. Gli scavi di quest'ultimo complesso hanno restituito una serie di strutture architettoniche suddivise in singole unità, a loro volta costituite di più locali forniti di installazioni a fuoco per la riduzione del minerale, conservato in grandi giare seminterrate, e per la fabbricazione di oggetti di bronzo. La datazione della fase finale di questo quartiere metallurgico va posta, in accordo con i materiali ceramici rinvenuti e con l'unica datazione al 14C a oggi disponibile, nel XXI sec. a.C.
Il sito è tuttavia meglio noto per gli scavi condotti nell'area del cimitero, dove sono state portate alla luce 382 sepolture, che coprono cronologicamente tutta la seconda metà del III millennio a.C. Le tipologie tombali sono solo parzialmente ricostruibili, a causa delle tecniche di scavo utilizzate nei primi anni della ricerca. Sono tuttavia individuabili sia tombe a pozzo semplice, rettangolare, sia tombe a catacomba con chiusura della camera costituita da un muretto di mattoni crudi. La conservazione dei resti osteologici umani risulta negativamente influenzata dalla forte acidità dei suoli e, peraltro, nessuno studio antropologico è stato condotto su di essi. La struttura sociale, vista attraverso il filtro dei corredi tombali, sembra articolarsi su tre livelli: una classe bassa, la più numerosa, con corredi che non superano i 15 oggetti; una classe media, con corredi tra i 15 e i 25 oggetti, e una classe alta, rappresentata da un numero molto ristretto di individui, le cui sepolture erano accompagnate da corredi con un numero variabile tra i 25 e i 45 oggetti. Da un punto di vista cronologico, si distingue un gruppo di sepolture più antiche, databili intorno alla metà del III millennio a.C. e caratterizzate dalla presenza di ceramiche color camoscio, tra cui spiccano tipi noti a Susa IV, e di produzioni di clorite dello stile antico presenti anche a Susa e in Mesopotamia.
Il gruppo più consistente di sepolture si distingue per la presenza di una ceramica di colore rosso e di fabbricazione locale. Sono tuttavia presenti in quantità significative forme vascolari di importazione o di imitazione che descrivono stretti rapporti, probabilmente commerciali, con la sponda arabica del Golfo, con il Makran iraniano (Bampur) e con l'Asia Centrale meridionale (zona pedemontana del Turkmenistan meridionale, Margiana e Battriana). L'aspetto più singolare è fornito dalla presenza nelle tombe databili agli ultimi secoli del III millennio a.C. di numerosi manufatti (colonnette, lunghe aste di scisto, sigilli cilindrici di pietra e sigilli a stampo metallici del tipo a compartimenti) di provenienza centroasiatica. Questa forte componente di nord-est, sottolineata anche dalla presenza in Margiana e Battriana di produzioni tipiche dell'area del Kirman (Yahya, Jiroft), quali sigilli a cilindro con raffigurazioni di divinità della vegetazione e flaconi per cosmetici di clorite, permette di ipotizzare per Sh. un ruolo primario nel circuito degli scambi tra l'Iran centro-occidentale (Elam) e le aree urbanizzate dell'Asia Centrale meridionale nella seconda metà del III millennio a.C., potenziato probabilmente dalla presenza di una colonia di mercanti centroasiatici.
Bibliografia
O.G. Meder, Klimaökologie und Siedlungsgang auf dem Hochland von Iran in vor- und frühgeschichtlicher Zeit, Marburg - Lahn 1979; S. Salvatori - M. Vidale, A Brief Surface Survey of the Protohistoric Site of Shahdad (Kerman, Iran), in RdA, 6 (1982), pp. 5-10; A. Hakemi, Shahdad. Archaeological Excavations of a Bronze Age Centre in Iran, Rome 1997; V.C. Pigott, A Heartland of Metallurgy. Neolithic/Chalcolithic Metallurgical Origins on the Iranian Plateau, in A. Hauptmann et al. (edd.), The Beginnings of Metallurgy. Proceedings of the International Conference (Bochum, 1995), Bochum 1999, pp. 107-20.
di Massimo Vidale
Grande centro protostorico dell'età del Bronzo (fine del IV - fine del III millennio a.C.) nel Sistan iraniano, scavato da una missione dell'IsMEO diretta da M. Tosi dal 1967 al 1977; dopo l'interruzione causata dalla rivoluzione islamica del 1978, gli scavi furono ripresi alla fine degli anni Novanta del Novecento dall'Iranian Centre for Archaeological Research, sotto la direzione di M. Sajjadi. Gli scavi di Tosi rivelarono la comune matrice culturale di Sh.-i S. e Mundigak, in Afghanistan, che Tosi fece risalire, insieme ad altri centri minori dell'entroterra afghano, a una civiltà fino ad allora ignota, da lui detta "dell'Hilmand".
Posta al centro di un vasto reticolo insediamentale ancora inesplorato, con un facile accesso a risorse economicamente rilevanti, Sh.-i S. ("la città bruciata", così chiamata a causa di strati con tracce di incendio affioranti in superficie) consta di un abitato di circa 80 ha a nord e di una necropoli a sud, in cui si stima la presenza di 30.000 sepolture. Le più antiche fasi insediamentali finora rinvenute (periodo I), relative a un abitato di almeno 10 ha, sono databili al 3150-2750 a.C. Le ceramiche, in parte lavorate al tornio, sono per lo più dipinte con schemi e motivi di tradizione locale, ma alcune decorazioni richiamano prodotti coevi della zona pedemontana del Kopet Dagh in Turkmenistan (periodo Namazga III) e della valle di Quetta (Pakistan). Le sepolture comprendono strutture a tholos di mattone crudo con inumazioni collettive e sacrifici animali, anch'esse simili a coeve sepolture del Turkmenistan meridionale. Risalgono a questo periodo forme ceramiche paragonabili a fogge mesopotamiche tardo Uruk, sigilli a cilindro con motivi di tipo Gemdet Nasr e una tavoletta con caratteri protoelamici, che accomuna le pratiche amministrative in uso a Sh.-i S. con quelle di Susa, Tepe Siyalk, Tepe Yahya, Godin Tepe.
Nella prima metà del III millennio a.C. (periodo II, 2750-2500 a.C. ca.) la città si sviluppa su circa 50 ha in un fitto e irregolare reticolo di isolati, fatti di case private ben costruite attorno a cortili centrali, dotate di stanze-magazzino e ambienti per gli animali. Malgrado l'apparente scomparsa della scrittura, abbondanti resti di cretule testimoniano la diffusione di pratiche amministrative decentralizzate; le sepolture sembrano indicare che i sigilli appartenevano alle donne, che li portavano alla cinta. La città ospitava attività artigianali specializzate, come la lavorazione di selce e pietre semipreziose (anche d'importazione), la produzione di vasi e lampade portatili di calcite zonata traslucida, una fiorente industria del legno (mobilio, vasi, scatole, pettini, cucchiai, figurine, fusi e fusaiole), delle fibre (cordami, stuoie, canestri e, forse, tappeti), del cuoio e, su piccola scala, la metallurgia del rame arsenicale, che comprende, tra i prodotti forgiati, rari esemplari di piccoli vasi e figurine antropomorfe e zoomorfe. I sigilli erano in prevalenza a stampo (di clorite e poi di rame piombato) con motivi geometrici o naturalistici.
Conchiglie marine e un dente di squalo testimoniano scambi con le regioni costiere. La ceramica dipinta (detta Buff Ware, cioè dipinta su sfondo color camoscio) presenta una estrema varietà di motivi decorativi; i contenitori di lusso comprendono ceramiche grigie e rosse dipinte in nero e giare policrome dipinte dopo la cottura. Oltre alle forti somiglianze con Mundigak, le ceramiche dei periodi II e III mostrano legami con il Baluchistan, le valli dell'Halil Rud, del Bampur e dell'Indo e con la regione del Golfo. Le tombe, a volte segnalate in superficie da mattoni crudi, contenevano offerte di vasi e altri oggetti; gli inumati, in genere rannicchiati, erano deposti con stuoie e tessuti. Nei periodi II e III tombe a fossa semplice e a cista di mattoni crudi si accompagnano a strutture "a catacomba", con corredi che sembrano indicativi del rango e, talvolta, della professione. Frequente era la deposizione sacrificale di capretti.
Nel periodo III (2500-2200 a.C. ca.) l'abitato raggiunge più di 80 ha di estensione; la comparsa di grandi edifici di mattone crudo indica lo sviluppo di una forte centralizzazione politica e ideologica. Alcune attività artigianali sembrano separarsi dalle abitazioni, per concentrarsi in ampie aree industriali periferiche. La ceramica perde la decorazione dipinta e si riduce a un numero limitato di forme standardizzate, mentre si diffonde l'uso del tornio. Nella necropoli, l'eccezionale ricchezza di alcune sepolture testimonia una più accentuata differenziazione sociale. In una tomba compare una scacchiera di legno di palissandro con caselle formate dalle spire di un serpente, dadi di tipo indiano e due serie di pedine di legno, simile alle scacchiere intarsiate trovate nel Cimitero Reale di Ur (ca. 2350 a.C.). Il periodo IV (2200-1900 a.C. ca.) segna un rapido declino, culminato nella restrizione dei nuclei abitati a poche grandi residenze di aspetto fortificato. La ceramica, non dipinta e in buona parte ingobbiata in rosso, risulta fabbricata al tornio in percentuali sempre crescenti. L'abbandono finale di Sh.-i S. coincide probabilmente con una fase di locale inaridimento territoriale e forse di accentuata instabilità politica.
M. Tosi, Excavations at Shahr-i Sokhta, a Chalcolitic Settlement in the Iranian Sistan. Preliminary Report on the First Campaign, in EastWest, 18 (1968), pp. 9-66; Id., Excavations at Shahr-i Sokhta. Preliminary Report on the Second Campaign, ibid., 19 (1969), pp. 109-22; R. Biscione, Dynamics of an Early South Asian Urbanization: the First Period at Shahr-i Sokhta and its Connections with Southern Turkmenia, in SAA [1971], pp. 105-18; M. Piperno, Micro-Drilling at Shahr-i Sokhta. The Making and Using of Lithic Drill Heads, ibid., pp. 119-29; M. Tosi, Shahr-i Sokhta: un insediamento protostorico nel Sistan iraniano, in Atti del Convegno Internazionale "La Persia nel Medioevo" (Roma, 31 marzo - 5 aprile 1970), Roma 1971, pp. 405-17; M. Piperno, Socio-economic Implications from the Graveyard of Shahr-i Sokhta, in SAA 1977, pp. 123-39; G. Tucci (ed.), La Città Bruciata del Deserto Salato. Archeologi e naturalisti italiani alla riscoperta di una civiltà protourbana nel Sistan iraniano: dieci anni di ricerche archeologiche, Venezia 1977; M. Tosi (ed.), Prehistoric Sistan, Rome 1983; G.L. Bonora et al., The Oldest Graves of the Shahr-i Sokhta Graveyard, in SAA 1997, pp. 495-520; S. Salvatori - M. Vidale, Shahr-i Sokhta 1975-1978: Central Quarters Excavations. Preliminary Report, Rome 1997; M.G. Bulgarelli, La lavorazione delle perle in pietre dure nel III millennio a.C.: testimonianze da Shahr-i Sokhta (Sistan, Iran), in G. Lombardo (ed.), Perle Orientali. Tradizione antica e artigianato moderno nella lavorazione delle pietre semipreziose in Medio Oriente, Roma 1998, pp. 57-70; M. Vidale, L'abrasivo più antico, in M.V. Fontana - B. Genito (edd.), Studi in onore di Umberto Scerrato per il suo settantacinquesimo compleanno, Napoli 2003, pp. 827-37; S.M.S. Sajjadi, Excavations at Shahr-i Sokhta. First Preliminary Report on the Excavations of the Graveyard, 1997-2000, in Iran, 41 (2003), pp. 21-98; M. Vidale (ed.), Lapis Lazuli Working at Shahr-i Sokhta: a General Review, in c.s.
di William M. Sumner
T.-i M., sito identificato con l'antica Anshan, sorge 48 km a ovest/nord-ovest di Persepoli, nel Fars.
L'Archaeological Department of Fars vi avviò sondaggi nel 1961 e lo University of Pennsylvania Museum of Archaeology and Anthropology promosse cinque campagne di scavo negli anni 1971-78. Gli scavi ripresero nel 1999 a opera dell'Ente Iraniano per il Patrimonio Culturale. Le mura urbane racchiudono una superficie di 200 ha, di cui 130 circa costituiscono l'area abitata, riconoscibile dal corrugamento prodotto dai monticoli archeologici. Il punto più alto, presso l'edificio medioelamita, raggiunge gli 8 m circa di elevazione sulla piana. Ceramica proveniente da strati disturbati mostra che il sito era già abitato nei periodi Jari e Bakun (ca. 5500-4000 a.C.). Gli scavi si sono concentrati sui periodi protoelamita (Banesh), Kaftari e medioelamita (Qaleh). Non sono state rinvenute tracce di occupazione achemenide, mentre ve ne sono, sia pure intermittenti, dal periodo partico fino a oggi.
Il periodo Banesh (3400-2800 a.C.) è stato esplorato nei settori ABC, nei pressi del centro del monticolo principale, TUV, all'interno dell'angolo nord-est del muro di cinta, e in una stretta trincea (BY 8) oltre le mura, da cui risulta che queste furono edificate in periodo tardo-Banesh e ricostruite in periodo Kaftari. Gli scavi in ABC e TUV hanno portato alla luce sette livelli costruttivi (BL), che includono un magazzino (in ABC, livello BL2), un sontuoso edificio con notevoli pitture murali (ABC, BL3), un centro di produzione artigianale (TUV, BL3) e quattro livelli contenenti principalmente tracce di attività domestiche (ABC, BL4 e 5; TUV, BL1 e 2). I livelli Banesh hanno restituito tavolette protoelamite, matrici, sigillature di giare e porte, utensili di pietra e rame, ossidiana dal Lago di Van, conchiglie dal Golfo Persico, rame da Anarak e altri materiali non lavorati usati per la produzione di ornamenti. La ceramica comprende vasellame finemente decorato a rilievo, grandi pithoi da derrata e ceramica per usi domestici degrassata sia con paglia sia con sabbia. Prodotti di sussistenza erano principalmente grano, orzo, ovini e caprini, ma anche diverse altre specie vegetali e animali.
Il periodo Kaftari (2200-1600 a.C.), esposto nel settore ABC, ha restituito un esteso deposito di rifiuti (29 × 19 m), numerosi pozzi e resti di edifici. Il settore GHI ha evidenziato quattro livelli costruttivi che comprendono una cucina, un vasto edificio e strutture minori di carattere domestico. Livelli di periodo Kaftari sono stati rinvenuti anche nella cinta muraria e in altri quartieri della città. I reperti di questo periodo comprendono testi amministrativi in sumerico, un testo scolastico, sigilli e sigillature iscritti, figurine antropomorfe e zoomorfe, manufatti di bronzo, utensili di selce, ossidiana e testimonianze di produzione artigianale. Tra le classi ceramiche, si annoverano diverse varietà di ceramica camoscio, semplice e dipinta, ingobbiata e alcune varietà di ceramica grigia. Le attività economiche di sussistenza appaiono analoghe a quelle di periodo Banesh. Al periodo Qaleh (1600-900 a.C.), documentato nel settore EDD, appartiene un vasto edificio medioelamita, con una corte centrale (10 × 14 m) circondata da un corridoio e da una serie di ambienti, distrutto da un incendio.
I reperti provenienti da strati pavimentali relativi al periodo della distruzione comprendono tavolette amministrative che registrano trasferimenti di metalli, prodotti finiti, cereali, farina e prodotti animali. Tra gli altri reperti figurano pomelli e mattonelle invetriati, chiavistelli di pietra, scarti di lavorazione della selce, calcite, ematite e bitume. Tra le classi ceramiche troviamo la ceramica medioelamita non decorata, con confronti in Susiana, e la ceramica Qaleh dipinta, nota anche dagli strati superiori in ABC e GHI. La ceramica Qaleh rappresenta probabilmente un'evoluzione di quella di periodo Kaftari. Fornaci per la produzione di ceramica Qaleh sono state rinvenute nei livelli successivi alla fase di distruzione in EDD e nel vicino settore BB 33. Alle specie vegetali e animali attestate nei livelli più antichi si aggiunge ora il cammello, mentre bovini ed equidi accrescono la loro presenza. I reperti più tardi includono sepolture di periodo partico e sasanide e una fornace di periodo sasanide.
E. Reiner, The Location of Ans̆an, in RAssyr, 67 (1973), pp. 57-62; J.R. Alden, Excavations at Tal-i Malyan. Part 1. A Sasanian Kiln, in Iran, 16 (1978), pp. 79-86; J.M. Balcer, Excavations at Tal-i Malyan, 2. Parthian and Sasanian Coins and Burials, ibid., pp. 86-92; M.J. Blackman, Provenance Studies of Middle Eastern Obsidian from Sites in Highland Iran, in J.B. Lambert (ed.), Archaeological Chemistry, III. 7th Symposium on Archaeological Chemistry (Kansas City, Missouri, 12-17 September 1982), Washington (D.C.) 1984, pp. 19-50; N.F. Miller, The Use of Dung as Fuel: an Ethnographic Example and an Archaeological Application, in Paléorient, 10 (1984), pp. 71-79; M.W. Stolper, Texts from Tall-i Malyan, I. Elamite Administrative Texts, Philadelphia 1984; N.F. Miller, Paleoethnobotanical Evidence for Deforestation in Ancient Iran: a Case Study of Urban Malyan, in Journal of Ethnobiology, 5 (1985), pp. 1-19; M.W. Stolper, Proto-Elamite Texts from Tal-i Malyan, in Kadmos, 24 (1985), pp. 1-12; W.M. Sumner, The Proto-Elamite City Wall at Tal-e Malyan, in Iran, 23 (1985), pp. 153-61; I.M. Nicholas, The Proto-Elamite Settlement at TUV, Philadelphia 1990; J.L. Nickerson, Investigating Intrasite Variability at Tal-e Malyan (Anshan), Iran, in IranAnt, 26 (1991), pp. 1-38; M.A. Zeder, Feeding Cities: Specialized Animal Economy in the Ancient Near East, Washington (D.C.) 1991; E. Carter, Excavations at Anshan (Tal-e Malyan): the Middle Elamite Period, Philadelphia 1996; W.M. Sumner, s.v. Malyan, in ANE, III, pp. 406-409; W.M. Sumner (ed.), Early Urban Life in the Land of Anshan: Excavations at Tal-e Malyan in the Highlands of Iran, Philadelphia 2003; M.A. Zeder - M.J. Blackman, Economy and Administration at Banesh Malyan: Exploring the Potential of Faunal and Chemical Data for Understanding State Process, in N.F. Miller - K. Abdi (edd.), Yeki bud, yeki nabud: Essays on the Archaeology of Iran in Honor of William M. Sumner, Los Angeles 2003, pp. 121-39.
di Massimo Vidale
Sito protostorico nell'alta valle del Kirkhah, ai margini della catena del Pish-i Kuh, Luristan (Iran occidentale), frequentato dal V al I millennio a.C.
Quando nel 1928 ne fu segnalata l'esistenza come luogo di ritrovamento di innumerevoli manufatti dispersi sul mercato antiquario, il sito era stato in larga misura danneggiato da rovinosi scavi illegali. Fu poi indagato da G. Contenau e R. Ghirshman (1931-32) e le sequenze ottenute si costituirono come un importante riferimento per la protostoria del Luristan e in generale dell'Iran occidentale. I danni precedentemente subiti dal sito e la stessa carenza dei metodi dell'indagine scientifica (al tempo tuttavia largamente condivisi) limitano la comprensione di un contesto stratigrafico di eccezionale complessità, a causa della continua alternanza e sovrapposizione di fasi abitative con fasi di uso estensivo del luogo come cimitero. Una rivisitazione ragionata dei dati e delle stratigrafie consente di ricostruire una sequenza articolata in cinque periodi principali.
Il periodo Giyan V (da 19 a 10 m di profondità) sembra spaziare dal 4800 al 3000 a.C., ovvero, nella cronologia mesopotamica, dalle fasi più antiche del periodo di Ubaid (e forse da orizzonti tardoneolitici caratterizzati dalla presenza di industria in ossidiana e dall'assenza del rame) alla fine di quello di Uruk. In questo primo periodo l'abitato era formato da abitazioni di fango o mattone crudo, a volte erette su basamenti di pietra. La ceramica è fine, cotta ad alta temperatura, con corpo di colore giallo-verdastro e disegni in nero o bruno-rossastro (teorie di uccelli stilizzati, stambecchi, motivi geometrici). Le forme ricostruibili dalle enormi quantità di frammenti comprendono soprattutto bicchieri e ciotole, a volte su piede rialzato. I numerosi sigilli a stampo di pietra calcarea bianca recano disegni geometrici e figure animali fortemente stilizzate. Le uniche sepolture attestate sono di bambini deposti in grandi contenitori ceramici.
Nel successivo periodo IV (da 10 a 7,5 m ca. di profondità, 2800-2000 a.C. ca.) gli scavatori riconobbero tombe della prima metà del III millennio a.C., caratterizzate dal tipo ceramico della giara subcilindrica con fondo arrotondato, spalla carenata e imboccatura ristretta, dipinta sulla spalla con fregi dominati dall'oiseau-peigne (rapace ad ali spiegate stilizzate in guisa di pettine). A questa fase cimiteriale si sovrapponevano strati e resti strutturali legati a un massiccio monumento fondato su grandi pietre e con alzato di mattone crudo, probabilmente databile alla seconda metà del III millennio a.C., la cui planimetria sfuggì agli scavatori. I seguenti periodi III (da 7,5 a 6 m di profondità) e II (da 6 a 4 m) coprono l'arco del II millennio a.C. e comprendono più di 100 sepolture, oggetto degli scavi clandestini. Il periodo III fu associato dagli archeologi francesi a tombe che contenevano forme come rhytà, brocchette ansate, vasi troncoconici a larga imboccatura e soprattutto tripodi dipinti con semplici motivi geometrici e reticolati, mentre il periodo II era distinto da vasi o bicchieri a calice, spesso ansati, dipinti con triangoli a reticolo, motivi con uccelli e forme vegetali.
Le ceramiche correlano bene i periodi III e II con il periodo III di Godin Tepe. Le tombe erano fosse ovoidali nelle quali gli inumati erano deposti direttamente sul terreno, in posizioni variabili. I vasi potevano contenere resti ossei di piccoli animali o teste di animali di grossa taglia ed erano posti in maggioranza intorno al capo del defunto, a volte coperto da una grande ciotola. I corredi comprendevano elementi di collana, orecchini, bracciali aperti e chiusi, spilloni, spirali per capelli, vasi di bronzo; le tombe maschili contenevano pugnali, punte di lancia e lame d'ascia di forme diverse. Al periodo I (dalla superficie a un massimo di 4 m di profondità) sono associati i resti di un'imponente costruzione eretta in due tempi e distrutta con violenza poco dopo il 1000 a.C. Lo studio delle tombe più tarde del sito ha portato alla ricostruzione di una sequenza che descrive l'evoluzione della locale cultura dell'età del Ferro, dalla fase Giyan I, 4 (prima età del Ferro) a Giyan I, 1 (tarda età del Ferro). Le ceramiche sono monocrome brunite, di colore rosso o grigio-nerastro, oppure ingobbiate in rosso; non mancano le consuete varietà grossolane comuni. La forma più caratteristica è un bicchiere a calice su stelo che sembra derivare dalle forme più antiche del periodo II.
G. Contenau - R. Ghirshman, Rapport préliminaire sur les fouilles de Tépé Giyan, près de Néhavend (Perse), in Syria, 14 (1933), pp. 1-11; Iid., Fouilles de Tépé Giyan, près de Néhavend, 1931-32, Paris 1935; T.C. Young Jr., A Comparative Ceramic Chronology for Western Iran 1500-500 B.C., in Iran, 3 (1965), pp. 53-83; D.H. Caldwell, The Early Glyptic of Gawra, Giyan and Susa and the Development of Long Distance Trade, in Orientalia, 45 (1976), pp. 227-50; P. D'Amore (ed.), L'argilla e il tornio. Tecniche e tipologie vascolari iraniche dal periodo del Ferro all'età dell'impero Sasanide, Roma 1999.
di Raffaele Biscione
Importante sito presso l'odierna Damghan (Iran centro-settentrionale), sulla Grande Via del Khorasan.
T.H. copre attualmente una superficie di circa 12 ha. L'estensione originaria non è ricostruibile. I primi scavi furono condotti nel 1931-32 da E. Schmidt, dello University Museum of Philadelphia, che elaborò una sequenza divisa in tre periodi (IA-B-C, IIA-B, IIIA-B-C), basata non su dati stratigrafici ma sull'analisi stilistica dei numerosi corredi funerari scavati. Schmidt considerò associate tombe e fasi strutturali, cosicché anche i resti architettonici furono datati in base alle sepolture. Nel 1976 il sito fu di nuovo scavato da una spedizione congiunta dello University Museum of Philadelphia, dell'Università di Torino e del Centro Iraniano di Ricerche Archeologiche; nel 1995 è stato condotto uno scavo di emergenza in un'area minacciata da lavori ferroviari. I nuovi studi hanno fornito una sequenza rigorosamente basata su dati stratigrafici, correggendo la periodizzazione di Schmidt.
La frequentazione di T.H. ha inizio con il periodo I antico (IA-B di Schmidt, livelli non raggiunti nel 1976), che presenta ceramica rossastra e camoscio, con decorazione dipinta bruna a motivi geometrici e naturalistici stilizzati (capridi, uccelli, serpenti, piante). Sono tipiche del periodo I antico le ciotole profonde, le ollette e le ciotole su alto piede. T.H. in questo periodo presenta forti analogie con Siyalk III, 1-5 ed è inserito nella fase più tarda della cultura dell'Altopiano Iranico Centrale. Successivamente, nel periodo I finale (periodi IC - IIA di Schmidt, Main Mound fasi F-E del 1976) T.H. è caratterizzato da abbondante ceramica camoscio, scarsa ceramica rossa e dalla comparsa di ceramica grigia lucida, le cui forme tipiche sono le ciotole su alto piede e le bottiglie a collo alto. La ceramica dipinta presenta qualche analogia con Siyalk III, 6-8. Il periodo I va dal 4250 al 3600 circa.
Il periodo II (3600-2800 ca.) è definito dalle fasi D-C del 1976 e comprende le tombe datate al IIB da Schmidt e gli edifici 1-2 del Main Mound (attribuito al periodo III da Schmidt). La ceramica, fatta a mano o alla ruota lenta, è color camoscio, con o senza decorazione dipinta, grigia o nera lucida. Le forme più tipiche sono ciotole su alto piede, coppe e calici. I confronti ceramici più immediati sono con i siti di Gurgan (Turang Tepe IIA-B, IIIA), evidenziati da ciotole di ceramica nera sottile con decorazione a linee parallele incise, ciotole su alto piede, ciotole a orlo espanso e dalla decorazione polita. Spilloni di rame con testa a doppia spirale e pendenti si trovano anche a Siyalk IV1 e grani di collana e braccialetti a spirale di rame collegano Hissar II con la Susa protoelamita. Ulteriori legami con tutta l'area culturale protoelamita sono forniti da oggetti connessi con amministrazione e commercio.
Il periodo III scende fino all'inizio del III millennio, corrisponde alle fasi A e B del 1976 e presenta due fasi. La più antica corrisponde grosso modo alle tombe del periodo IIIB di Schmidt ‒ il suo periodo IIIA non ha trovato una corrispondenza stratigrafica ‒ e alle strutture del cosiddetto Edificio Bruciato (Burned Building). La ceramica Hissar III è grigia, con vasi a versatoio e tipiche forme chiuse, a tal punto simile a quella della cultura di Gurgan che si può ritenere che T.H. ne faccia parte. Elementi architettonici e oggetti connettono la fase più antica di Hissar III con Altin Depe e altri siti dell'Asia Centrale meridionale. Nei periodi II e III sono attestati a T.H. importanti resti di diverse attività artigianali, concentrate nella parte meridionale del sito, con l'eccezione della produzione di ceramica, che è invece sparsa: tale dislocazione conferma il carattere protourbano del sito.
Nella seconda metà - fine del III millennio a.C. T.H., come tutti gli altri siti protourbani dell'Iran orientale e dell'Asia Centrale meridionale, fu colpita da una crisi dalle ragioni ancora oscure. Questa fase (Hissar III tardo, Hissar IIIC di Schmidt) è individuata in varie aree del sito da scarsi resti architettonici molto erosi e ricchi depositi e tombe, caratterizzati da un peculiare complesso di oggetti di lusso. T.H. continua a far parte della cultura di Gurgan, ma altri contatti culturali sono individuati dagli oggetti di lusso di tombe e depositi. Fra essi spiccano "colonnine" di pietra, elaborati vasi di alabastro, ciotole, flaconi e trombe di bronzo molto simili ad analoghi manufatti delle contemporanee civiltà dell'età del Bronzo Medio della Battriana e della Margiana. L'influenza di queste civiltà si diffonde in tutti i siti sopravvissuti dell'Iran orientale, nel Baluchistan e, con alcuni materiali, nella valle dell'Indo. Questa presenza è stata interpretata da alcuni come la prova dell'espansione delle prime popolazioni parlanti lingue indoiraniche. Negli scavi di salvataggio del 1995 nei livelli del periodo III finale sarebbero state rinvenute, inoltre, delle impronte di sigillo con iscrizioni cuneiformi (paleobabilonesi?), ma i risultati delle ricerche sono ancora inediti.
La fine del periodo III e l'abbandono di T.H. cadono intorno al 1800 a.C., in concomitanza con la scomparsa degli ultimi insediamenti dell'Iran nord-orientale. L'oasi di Damghan sembra abbandonata fino al periodo partico (250 a.C. ca.), quando la frequentazione riprende, arrivando fino ai nostri giorni. Poco a sud-ovest del sito pre- e protostorico, Schmidt ha infatti scavato i resti di un edificio sasanide della fine del VI sec. d.C.
Bibliografia
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di Bruno Genito
Sito posto 3 km a sud-ovest di Kashan, in una piana collocata sul bordo occidentale del grande deserto centrale, su una delle più antiche vie che mettevano in comunicazione il Nord con il Sud dell'altopiano.
Il sito fu parzialmente scavato da R. Ghirshman negli anni Trenta del XX secolo. L'area di T.S. presenta due colline, una a nord e una a sud, a circa 600 m di distanza l'una dall'altra. Non restano nella piana circostante (probabilmente a causa delle inondazioni periodiche) tracce di quartieri abitativi, mentre si sono trovati i resti di due necropoli: la più antica (necropoli A) a sud della collina meridionale e la più recente (necropoli B) nella parte ovest del sito, a 200 m dalla collina sud, tradizionalmente attribuita a epoca meda. I Medi di Siyalk sarebbero appartenuti alla tribù dei Paretaceni, una delle sei in cui, secondo Erodoto (I, 101), quella popolazione era divisa; il nome della regione relativa, invece, compare per la prima volta negli Annali di Esarhaddon (681-669 a.C.) con il termine di Partukka o Partakka, come parte di quell'area in cui gli Assiri credevano collocati i "Medi lontani", vicino al monte Bikni (Dimavand). Il sito è uno dei principali dell'altopiano, per la lunga sequenza cronologica riconoscibile in sei periodi, databili dal VI millennio a.C. fino all'epoca meda (VIII-VII sec. a.C.). È possibile che gli Indoeuropei e gli Iranici che arrivarono sull'altopiano, probabilmente già durante il II millennio a.C., proprio a T.S. abbiano lasciato traccia dei loro insediamenti più antichi.
La fase 1 è rappresentata da un villaggio fatto di capanne, sostituite, in seguito, da costruzioni in pisé. L'allevamento (bovino e caprino) e l'agricoltura sono alla base dell'economia e l'instrumentum domesticum è costituito da oggetti di selce. I morti, in posizione rannicchiata, sono seppelliti sotto le case, cosparsi di ocra rossa e accompagnati da un corredo funerario semplice e rudimentale. Si può osservare una progressiva evoluzione attraverso apporti culturali nuovi verso la fase 2, durante la quale le abitazioni sono di mattoni crudi, grossolanamente modellati, e hanno pareti interne ricoperte di pittura rossa. L'economia resta fondamentalmente basata sull'agricoltura e l'allevamento; è attestata la presenza del cavallo. La fase 3, databile all'incirca tra il 3800 e il 3000 a.C., è densa di cambiamenti: i mattoni delle case sono squadrati e cotti e la pietra fa la sua comparsa nelle costruzioni architettoniche. La fase 3 è chiusa da un incendio ed è seguita da un'altra (fase 4) altrettanto ricca di aspetti nuovi, fortemente segnati da influenze culturali esterne, provenienti, probabilmente, dall'Elam. Le tombe presentano corredi funerari più ricchi, con vasi di alabastro, gioielli di oro, argento, rame, lapislazzuli e corniola; i sigilli a cilindro cominciano a sostituire i sigilli a stampo con rappresentazioni di animali. Tra i ritrovamenti più interessanti si annoverano le tavolette protoelamite di argilla (databili tra la fine del IV e gli inizi del II millennio a.C.) e una grande quantità e varietà di vasellame di ceramica e utensili domestici di argilla, pietra e osso, databili a partire dal IV millennio.
Seguita a un temporaneo abbandono, la fase 5 è relativa a un'occupazione attribuibile probabilmente a una nuova popolazione; databile all'incirca alla seconda metà del II millennio, essa è rappresentata da una necropoli, situata a 150 m dal tepe. Gli ultimi livelli documentati sulle colline di T.S. A e B conservano tracce di una cittadella fortificata con palazzo, quartieri d'abitazione e necropoli, dove sono stati rinvenuti oggetti di argento e bronzo, alcuni dei quali paragonabili a quelli della tradizione scitica, e soprattutto le caratteristiche ceramiche dipinte, tra cui i vasi rituali a lungo versatoio orizzontale (stilizzazione di un becco di uccello), che testimoniano la ricchezza culturale dell'età del Ferro nell'Iran settentrionale. T.S. fu saccheggiata e abbandonata all'incirca nell'VIII sec. a.C. Dal 2001 un nuovo progetto a cura dell'Ente per il Patrimonio Culturale Iraniano, promosso e diretto da S.M. Shahmirzadi, sta rivedendo la storia del sito, grazie anche a nuovi saggi e trincee. Tra i risultati principali si menziona una nuova lettura del Grand Construction Massif, già interpretato da Ghirshman come una delle più antiche costruzioni a terrazzamento dei popoli indoeuropei e considerata ora come possibile monumento a terrazze a carattere celebrativo solenne, variamente connesso alla tipologia delle ziqqurrat, di cui potrebbe rappresentare addirittura un prototipo cronologicamente più antico.
Bibliografia
R. Ghirshman, Fouilles de Tépé Sialk près de Kashan, 1933, 1934, 1937, Paris 1938-39; Id., Perse (Proto-Iraniens, Mèdes, Achéménides), Paris 1964; Id., Civiltà persiana antica, Torino 1972; Id., L'Iran et la migration des Indo-Aryens et des Iraniens, Leiden 1977; I.N. Medvedskaja, Konskij ybor iz mogil´nika Sialk B (Horse Harness from the Syalk B Cemetery), in IranAnt, 18 (1983), pp. 59-79; S.M. Shahmirzadi, The Ziggurat of Sialk, Sialk Reconsideration Project, Report No. 1, Tehran 2002.
di Carl C. Lamberg-Karlovsky
Sito dell'Iran sud-orientale, ubicato 220 km a sud della città di Kirman.
La collinetta di T.Y. si innalza per 19,8 m; la sua base, di forma quasi perfettamente circolare, misura 187 m. Gli scavi, promossi dalla Harvard University e dal Servizio Archeologico dell'Iran, si sono svolti tra il 1967 e il 1975, sotto la direzione di C.C. Lamberg-Karlovsky; essi hanno posto in luce una lunga sequenza abitativa, divisa in diversi periodi, la cui cronologia si basa su datazioni al radiocarbonio: periodo VII (5000-3900 a.C.); periodo VI-VIC (3900-3700 a.C.); periodo VA/B (3700-3300 a.C.); lacuna; periodo IVC (protoelamita, 2900-2700 a.C.); lacuna; periodo IVB 2-6 (2400-2200 a.C.); periodo IVB1 (2200-2000 a.C.); periodo IVA (1700-1400 a.C.); lacuna; periodo III (età del Ferro, 800-500 a.C.); periodo II (achemenide, 475-200 a.C.); periodo I (partico-sasanide, 200 a.C. - 300 d.C.).
I periodi più antichi (VII-VIC) sono caratterizzati dalla presenza di architetture domestiche e da uno spettro completo di indicatori tardoneolitici di frequentazione. Le specie domesticate comprendevano grano, orzo e datteri e, per quanto concerne la fauna, ovini, caprini e, soprattutto, bovini. Di particolare importanza è l'abitato del periodo IVC, che ha restituito un vasto complesso amministrativo, contenente un intero corredo di materiali protoelamiti: tavolette iscritte, sigilli a cilindro, cretule e bevelled rim bowls, materiali questi che trovano diretti confronti a Susa e a Malyan. Un lungo intervallo separa il periodo protoelamita dal successivo periodo IV, distinto in una serie di livelli stratigrafici, di cui il IVB1 è quello meglio preservato; esso presenta strutture abitative domestiche, con sigilli a cilindro tipici dell'Iran sud-orientale, che trovano puntuali confronti a Shahdad. Un singolo sigillo del Golfo Persico e alcuni tipi ceramici indicano l'esistenza di relazioni con il Golfo Persico e l'Asia Centrale dell'età del Bronzo. Particolarmente significativa è la presenza di un laboratorio dedicato alla produzione di vasellame di clorite/steatite. Questo tipo di vasellame, con motivi incisi tipici di quello che in passato era definito "stile interculturale", è noto da numerosi siti della Mesopotamia, delle isole del Golfo Persico, dell'altopiano iranico, dell'Asia Centrale e della valle dell'Indo. Recentemente, il saccheggio di tombe nel Jiroft, a meno di 50 km da T.Y., ha portato alla luce centinaia di questi oggetti, quasi certamente prodotti in loco.
Dopo un breve intervallo nella sequenza culturale, il periodo IVA consiste di quattro livelli abitativi, con una propria produzione ceramica. Resti circoscritti del periodo IVA sono confrontabili con materiali dell'età del Bronzo Medio e Tardo delle civiltà della Battriana e della Margiana. I livelli più tardi, ascrivibili all'orizzonte dell'età del Ferro, sono caratterizzati da imponenti strutture abitative e da due successive piattaforme di mattoni di epoca preachemenide. Materiali achemenidi sono stati trovati in associazione con un repertorio ceramico di carattere essenzialmente locale. Il periodo più recente (periodo I) è attestato da vaste ma poco conservate strutture, di epoca partico-sasanide.
C.C. Lamberg-Karlovsky (ed.), Excavations at Tepe Yahya, 1967-1970, Cambridge (Mass.) 1970; C.C. Lamberg-Karlovsky (ed.), Excavations at Tepe Yahya, Iran, 1967-1975. The Early Periods, Cambridge (Mass.) 1986; P. Damerow - R. Englund, The Proto-Elamite Texts from Tepe Yahya, Cambridge (Mass.) 1989; C.C. Lamberg-Karlovsky (ed.), Excavations at Tepe Yahya, Iran, 1967-1975. The Third Millenium, Cambridge (Mass.) 2001; P. Magee, Excavations at Tepe Yahya, 1967-1975. The Iron Age Settlement, Cambridge (Mass.) 2004.
di Rémy Boucharlat
Sito ubicato 40 km a est dell'angolo sud-est del Mar Caspio, presso la città di Gurgan, nella piana ai piedi della catena dell'Elburz, in una fascia fertile, al limite della steppa centroasiatica.
Il sito copre 35 ha ed è dominato da una collina di forma conica, alta 35 m, con diametro alla base di 11 m. L'interesse del sito e della regione risiede nella posizione geografica, che ne fa una cerniera tra le culture che si avvicendarono tra l'altopiano iranico e l'Asia Centrale. Sull'occupazione dell'età del Bronzo, di grande importanza nella regione, si sono focalizzati i sondaggi americani di F.R. Wulsin nel 1932, quindi gli scavi francesi di J. Deshayes dal 1960 al 1977. È qui inoltre che si ritiene sia stato trovato il cosiddetto "tesoro di Asterabad", datato alla fine del III millennio a.C., scoperto nel XIX secolo e poi scomparso. La cronologia di T.T. si sovrappone in parte a quella di Tepe Hissar, sito sul versante sud dell'Elburz, per il Calcolitico e l'età del Bronzo, ma si dispiega lungo un arco più lungo, che copre 7000 anni. I livelli più antichi (Neolitico ceramico, cultura di Jeitun e Calcolitico), noti anche nelle contemporanee comunità agricole della fascia pedemontana del Kopet Dagh, non sono stati raggiunti, ma sono attestati dai rinvenimenti ceramici.
A partire dal periodo II, ma soprattutto dal periodo III (età del Bronzo, 3500 a.C. ca.), la periodizzazione è la stessa che a Tepe Hissar, fino al Bronzo Medio (T.T./Hissar IIIC), che termina verso il 1800 a.C., seguito dall'abbandono di tutti i siti. È il grande periodo della ceramica grigia, spesso decorata tramite levigatura, che a lungo è stata posta in relazione con le migrazioni delle popolazioni indo-iraniche che si sarebbero installate in Iran nel corso del II millennio a.C. Gli scavi non hanno potuto fornire una risposta diretta alla questione, ma hanno comunque evidenziato le strettissime relazioni esistenti con l'altro versante dell'Elburz e, in misura minore, con la regione occidentale del Turkmenistan. Appartiene al momento di massima estensione del sito un'opera imponente: un'alta terrazza di mattoni crudi, di 80 m di lato, alta 15 m, con due livelli collegati da doppia rampa di accesso. Un violento incendio, divampato verso il 2000 a.C., ha preservato il livello inferiore, ma la distruzione della parte superiore ci priva degli elementi per interpretare la funzione del monumento. Costruzioni analoghe, che evocano la forma della ziqqurrat mesopotamica, tutte più tarde, sono note in altri siti iraniani e afghani; a esse si attribuisce in genere una funzione religiosa. Questo periodo così fervido è seguito da uno iato di circa 1000 anni, osservabile in tutta la regione.
L'occupazione non riprende che verso l'800 a.C. (età del Ferro II), in ritardo rispetto alla vicina regione del Dahistan, con cui la cultura materiale presenta numerose affinità. Sulle rovine della terrazza dell'età del Bronzo viene eretta una cinta muraria circolare di mattoni crudi. Fortezze circolari sono costruite ancora nella successiva età del Ferro III e poi nel periodo achemenide, con materiali che si avvicinano piuttosto a quelli dell'Iran occidentale. In periodo seleucide e partico sorgono nuove strutture fortificate, cui sono associati materiali caratteristici, quali due ostraka in partico. In epoca sasanide (III-VII sec. d.C.), una fortezza quadrangolare di 50 m di lato occupa tutta la sommità del tepe. Essa è rinforzata da torri semiellittiche, con decorazioni sulle facciate e sulle cortine ottenute con un gioco nella disposizione dei mattoni crudi. Importanti le sei cretule iscritte in mediopersiano, tra i pochi oggetti di questo tipo provenienti da scavi regolari. Sulle rovine della fortezza fu edificato uno dei rari esemplari di tempio del fuoco zoroastriano, databile all'inizio dell'epoca islamica, nel VII secolo. Di dimensioni modeste (10 m di lato), con pianta cruciforme, esso conservava all'interno una parte dell'apparato di culto: altare al centro, tavoli e banconi ai lati. In seguito, non si registrano che tracce sporadiche di occupazione, in epoca mongola e nel XIX secolo.
F.R. Wolsin, Excavations at Tureng Tepe, near Asterābād, in BamInstPersArtA. Supplement, II.1 bis (1932), pp. 2-12; J. Deshayes, Rapport préliminaire sur la sixième campagne de fouilles à Tureng Tépé, in IranAnt, 6 (1966), pp. 1-5; S. Clevuziou, L'Age du Fer à Tureng Tepe (Iran) et ses relations avec l'Asie Centrale, in L'Archéologie de la Bactriane ancienne, Paris 1985, pp. 178-85; R. Boucharlat - O. Lecomte, Fouilles de Tureng Tepe sous la direction de Jean Deshayes, I. Les périodes sassanides et islamiques, Paris 1987.
di Bruno Genito
Località dell'Iran nord-occidentale, a circa 30 km a est di Sakkiz (Kurdistan), in cui pastori avrebbero scoperto il cosiddetto "tesoro di Ziwiyeh", costituito da una grande quantità di oggetti di oro, argento, avorio, comparso sul mercato antiquario nel 1947. La collina sulla sommità della quale sarebbe stato rinvenuto il tesoro, variamente considerata dagli studiosi, è stata da alcuni ritenuta come una delle principali (oltre che pochissime) roccaforti scitiche sull'altopiano.
Il grande interesse suscitato dalla scoperta si è mutato con il tempo in profondo scetticismo, al punto che il tesoro di Ziwiyeh resta a tutt'oggi uno dei casi archeologici più controversi della storia antica dell'Iran. Il carattere assai dubbio del ritrovamento aveva fatto sorgere in molti il sospetto di un clamoroso falso. La ricognizione condotta alcuni anni dopo sul luogo del rinvenimento portò alla luce tracce archeologiche scarse e poco consistenti, connesse comunque all'orizzonte culturale della Late Buff Ware, generalmente posta in relazione con il periodo medo. La sommità della collina era risultata circondata da massicci bastioni di pietra, mentre alle pendici sud-orientali si distribuivano alcune aree abitative di incerta attribuzione archeologica. La fase costruttiva fortificata non poteva essere messa in relazione diretta con il ritrovamento del tesoro e così, senza alcuna prova archeologica, si ipotizzò che la cittadella fosse stata costruita dai Mannei, rimasti in questa parte del Nord-Ovest dell'Iran con relativa indipendenza politica fino alla metà del VII sec. a.C. La questione resta ancora aperta, anche perché l'interpretazione storico-archeologica del tesoro ha fatto da sfondo a problemi centrali per l'archeologia dell'età del Ferro II e III sull'altopiano: la presenza scitica, la cronologia e la consistenza del periodo medo, le relazioni culturali tra l'altopiano e gli ambiti culturali assiri e urartei.
La maggior parte degli oggetti del tesoro fu distinta in quattro gruppi stilistici e iconografici: il primo indubbiamente assiro, il secondo tipicamente scitico, il terzo scitico-assiro dal punto di vista dei modelli d'ispirazione, ma probabilmente eseguito da maestranze assire, e il quarto "locale". La combinazione di stili artistici diversi (in particolare di quello assiro con quello scitico) nello stesso insieme di ritrovamenti fornì l'occasione per un'interpretazione acritica, che metteva il tesoro in relazione con un avvenimento storico-leggendario menzionato da Erodoto (I, 106): il matrimonio tra una principessa assira e il re scita Protothie, legato a quella presenza scitica sull'altopiano che sarebbe durata, secondo lo storico greco, ventotto anni. Tracce archeologiche riconducibili a una penetrazione nell'altopiano di gruppi nomadici, di tipo scitico o cimmerico, sembrano costituite dai tumuli di Seh Girdan e dalle stele funerarie della piana di Meshkin. La combinazione di elementi stilistici assiri, urartei e scitici fu interpretata come la brillante sintesi di uno stile figurativo nuovo che, data la collocazione geografica del ritrovamento del tesoro, non poteva che essere correlato all'unico popolo storicamente documentato sul luogo, i Medi; tuttavia, le attribuzioni della cultura materiale relativa a quel periodo e a quel popolo erano, come sono ancora oggi, tutte da dimostrare.
R. Ghirshman, Le trésor de Sakkez, les origines de l'art Mède et des bronzes du Luristan, in ArtAs, 13 (1950), pp. 181-206; V.A. Godard, Le trésor de Ziwiyè (Kurdistan), Haarlem 1950; R.D. Barnett, The Treasure of Ziwiyè, in Iraq, 18 (1956), pp. 111-16; T. Sulimirski, The Cimmerian Problem, in BALond, 2 (1960), pp. 45-64; O.W. Muscarella, The Tumuli at Sé Girdan, in MetrMusJ, 2 (1969), pp. 5-24; Id., The Tumuli at Sé Girdan: Second Report, ibid., 4 (1971), pp. 5-28; Id., Ziwiye and Ziwiye. The Forgery of a Provenience, in JFieldA, 4 (1977), pp. 197-219; R. Ghirshman, Tombe princière de Ziwiyè et le début de l'art animalier scythe, Paris 1979; M.L. Ingrahan - G. Summers, Stelae and Settlements in the Meshkin Shahr Plain, North-Eastern Azerbaijan, Iran, in AMI, 12 (1979), pp. 67-101; O.W. Muscarella, The Chronology and Culture of Sé Girdan: Phase III, in Ancient Civilizations from Scythia to Siberia, 9 (2003), pp. 117-31.