L'archeologia delle pratiche cultuali. Africa
La produzione di oggetti di culto (figure, feticci, maschere, piccoli altari, ecc.) ha costituito sempre una componente importante delle culture tradizionali africane, dato il ruolo fondamentale della religione e della magia presso le popolazioni del continente. Alcuni gruppi, soprattutto in Africa occidentale e centrale, hanno raggiunto un tale livello di raffinatezza nella produzione di questi oggetti che essi possono essere considerati a pieno diritto vere e proprie opere d'arte. Tre sono le categorie principali di oggetti legati al culto noti dalla documentazione etnografica: maschere, figurine umane e feticci. Le maschere costituiscono senza dubbio una delle manifestazioni più diffuse e meglio note dell'arte africana, in quanto direttamente legate alle danze rituali con cui le popolazioni del continente esprimono ancora oggi la loro unione con il mondo spirituale che le circonda e con gli stessi antenati. Le danze sono infatti al centro di tutte le cerimonie cultuali finalizzate a mantenere e a rinsaldare la forza vitale del gruppo attraverso il successo nella caccia e la prosperità dei raccolti, nonché dei culti funerari e dei riti di iniziazione. Le maschere possono avere aspetto antropomorfo o zoomorfo o talvolta fondere in un'unica composizione la forma umana e quella animale, includendo sia figure naturalistiche sia figure astratte. Quelle usate per i riti di iniziazione possono essere volutamente terrificanti per spaventare gli estranei. Esse presentano anche una grande varietà di stili che caratterizza la produzione delle singole popolazioni. Le maschere, infine, possono essere indossate direttamente sul viso, poste sopra la testa od obliquamente sulla fronte come parte di un'acconciatura; talvolta esse possono essere calzate come un elmo. Le figurine antropomorfe sono ugualmente molto diffuse nel continente. Esse vengono spesso conservate nelle capanne e sono oggetto di un culto familiare con offerte di cibo e libagioni. Queste figure sono per lo più rappresentazioni degli antenati, che così continuano a partecipare alla vita della comunità, oppure costituiscono figure cultuali relative a particolari riti o emblemi di società iniziatiche. Non mancano tuttavia anche figurine a scopo magico (destinate ad esempio a garantire la fertilità) o amuleti. Le figure feticcio sono più direttamente legate ai rituali magici. Si tratta infatti di sculture che servono da supporto per il feticcio propriamente detto, costituito da un insieme di elementi (ossa, denti, artigli, capelli, escrementi, ecc.) raccolti in corni o in sacchetti che vengono appesi alla figurina, oppure inseriti in cavità all'interno della figurina stessa. Sono oggetti che danno a chi li possiede un grande potere, in quanto possono emanare una pericolosa forza distruttiva, purché conservati e propiziati con offerte. Anche queste figure, pur avendo sempre un aspetto terrificante, presentano una grande varietà di stili tipici delle singole popolazioni. Accanto a queste tre categorie principali si possono anche ricordare i cosiddetti "reliquiari", che hanno comunque una diffusione geograficamente molto più circoscritta, essendo tipici quasi esclusivamente delle popolazioni Fang e Bakota del Gabon. I reliquiari sono costituiti da figurine antropomorfe, spesso molto schematiche, che vengono poste sopra cesti o altri contenitori in cui sono conservati i resti degli antenati. Le figure tuttavia non rappresentano i defunti, ma sono i guardiani delle ossa. Data la deperibilità dei materiali usati (per lo più legno), gli oggetti di culto sono attestati soprattutto dalla documentazione etnografica e solo raramente da contesti archeologici. Non mancano tuttavia esemplari di terracotta, metallo e pietra che sono giunti fino a noi. Una testimonianza, sia pure indiretta, della loro esistenza è inoltre data dall'arte rupestre, in particolare da quella dell'area sahariana. Va notato tuttavia che il significato della maggior parte delle figurine antropomorfe e zoomorfe rinvenute in siti archeologici è incerto. In molti casi non si tratta di oggetti destinati al culto, ma semplicemente di giocattoli. Raffigurazioni di maschere e di personaggi mascherati sono molto diffuse in ambiente sahariano, dal Sahara centrale al Deserto Orientale egiziano. Si tratta per lo più di maschere zoomorfe che coprivano completamente il volto; esse potevano essere indossate sia da uomini sia da donne e spesso sembrano connesse con riti di caccia. La rappresentazione di personaggi mascherati colti nell'atto di danzare suggerisce inoltre che questi oggetti venivano usati in danze rituali, come tuttora avviene. Queste pitture sono attestate soprattutto nel Periodo delle Teste Rotonde, riferibile a cacciatori (VIIIVI millennio a.C.), e nel Periodo Pastorale, connesso con gruppi di allevatori che occuparono il Sahara tra il VI e il III millennio a.C. Particolarmente significative sono le pitture di personaggi mascherati e di maschere segnalate in varie località del Tassili, datate al Periodo delle Teste Rotonde e al Periodo Pastorale. Così, ad esempio, a Sefar sono dipinti personaggi maschili mascherati di dimensioni gigantesche (alti oltre 2 m), spesso accompagnati da figure femminili molto stilizzate, in posizione simile a quella cosiddetta "dell'orante". Nella stessa regione sono anche attestate figure più recenti di personaggi maschili che indossano un perizoma e hanno il corpo completamente decorato con linee incrociate (forse raffigurazioni di vesti di vimini, simili a quelle tuttora indossate in cerimonie rituali da danzatori mascherati presso alcune popolazioni, come i Bapende del Congo). Essi portano una maschera oblunga con gli occhi e le orecchie fortemente accentuati e talvolta con un'acconciatura piumata. Non è escluso che queste maschere rappresentassero in forma molto astratta teste di mufloni. Su altre pitture del Periodo Pastorale appaiono anche altre maschere di varia forma, che in alcuni casi non coprivano tutto il volto, ma venivano indossate come copricapo. Personaggi mascherati sono attestati, sia pur molto raramente, anche in Egitto su tavolozze d'ardesia del periodo predinastico (IV millennio a.C.). Su una tavolozza della fase Naqada II (ca. 3600-3300 a.C.) è rappresentata infatti una figura maschile con una maschera a forma di testa di uccello, forse uno struzzo. Un'altra figura maschile con una maschera apparentemente riproducente una testa di asino è rappresentata sulla cosiddetta Tavola dei Cani, datata alla fase Naqada III (ca. 3300-3100 a.C.). In entrambi i casi queste figure sembrano fare riferimento a un contesto di cacciatori, anche se la produzione del cibo era ormai pienamente affermata nella bassa valle del Nilo. Non si può comunque escludere che esse rappresentino divinità. Figurine antropomorfe con una possibile funzione rituale sono state frequentemente rinvenute in tombe egiziane predinastiche delle fasi Naqada I e II. Si tratta per lo più di figurine femminili, e più raramente maschili, di argilla o avorio. Le figure femminili sono rappresentate sia sedute, sia stanti, talvolta con le braccia alzate e le gambe rese in modo molto schematico. In alcuni casi sono decorate con motivi dipinti simili a quelli presenti sul vasellame, interpretati da alcuni studiosi come possibili raffigurazioni di tatuaggi. Un gruppo particolare di figurine è costituito da quelle dette "ad ago" per la base appuntita che le caratterizza e che serviva probabilmente per infiggerle nella sabbia. Il loro significato non è chiaro: esse sono state rinvenute sempre in tombe e pertanto possono avere avuto usi diversi. Si è proposto che rappresentino dee madri, concubine, schiave e schiavi, ma è probabile che la maggior parte sia stata usata come semplice giocattolo. È possibile tuttavia che in alcuni casi le figurine fossero utilizzate per scopi magici o iniziatici, o avessero un significato religioso. In contesti predinastici di Naqada I e II sono stati rinvenuti anche altri oggetti che potrebbero avere avuto un significato rituale. Sono figurine antropomorfe maschili intagliate su zanne di ippopotamo o avorio, comprendenti due gruppi distinti. Il primo gruppo è costituito da teste maschili con una lunga barba appuntita, intagliate all'estremità di una zanna di ippopotamo, con un occhiello per essere appese presumibilmente al collo. Nel secondo gruppo, teste simili sono intagliate su lamine d'avorio; come per le precedenti, il loro significato è incerto, ma le loro dimensioni ridotte e il fatto che alcune venissero appese suggeriscono una funzione di amuleto. Figurine femminili d'argilla simili a quelle predinastiche egiziane sono state rinvenute anche in tombe dei Gruppi A nella Nubia Inferiore: si tratta di figurine molto schematiche, in genere in posizione seduta, il cui significato è incerto. Purtroppo, a tutt'oggi non si hanno attestazioni sicure di oggetti di culto da contesti del regno di Kerma (fine III - metà II millennio a.C.) in Nubia, se si eccettua un frammento di statuina di coccodrillo in quarzo rinvenuta nel complesso cerimoniale della cosiddetta Deffufa orientale a Kerma. Ugualmente scarse sono le evidenze di oggetti destinati al culto in contesti napateo-meroitici del regno di Kush (900 a.C. - 320 d.C. ca.) in Nubia. Si tratta quasi esclusivamente di tavole d'offerta di tipo egiziano, usate per il rituale funerario. Sono lastre rettangolari di pietra con un incavo al centro e un beccuccio sporgente, decorate con scene di libagioni in stile egiziano. Collegate con il rituale funerario erano anche le cosiddette "statue-ba", frequenti nelle necropoli meroitiche della Nubia Inferiore. Pur rifacendosi a una tradizione egiziana, queste statue costituiscono una manifestazione tipica dell'artigianato nubiano e consistono in raffigurazioni del defunto in forma di uccello con testa umana. Oggetti di uso rituale sono stati rinvenuti sull'Altopiano Etiopico in contesti attribuibili al regno di tipo sabeo del Daamat (Etiopia settentrionale ed Eritrea centrale), risalente alla metà del I millennio a.C. Essi sono costituiti da tavole di offerta, piccoli altari, bruciaincenso, statuine di sfingi e di tori, statue femminili e figurine votive di terracotta. Le tavole di offerta riproducono lo stesso modello di quelle egiziane e meroitiche, diffuso anche nell'Arabia meridionale. Sono lastre di pietra rettangolari, incavate e con uno scolo sporgente, talvolta scolpito a forma di bucranio. Tuttavia queste tavole, a differenza di quelle egiziane e meroitiche, non sono state rinvenute in contesti funerari ed erano perciò presumibilmente usate per culti alle divinità. Gli altari consistevano in semplici lastre appoggiate su un pilastrino rettangolare con base a zoccolo a tre gradini. I bruciaincenso riproducono esattamente modelli sudarabici del periodo sabeo. Essi corrispondono a quattro tipi principali: cubici su sostegno troncopiramidale; cilindrici su sostegno troncoconico; cubici riproducenti la facciata di un edificio su sostegno troncopiramidale con base a gradini; rettangolari con base a gradini, riproducenti talvolta la facciata di un palazzo. Sfingi di piccole dimensioni sono state messe in luce nei siti di Dibdib e Addi Grameten (Eritrea) e ad Haulti, presso Aksum (Tigrè, Etiopia settentrionale). Esse riproducono il modello egiziano e meroitico e hanno la forma di un leone disteso, con testa umana e un'acconciatura a trecce. Una statuina litica di toro di ottima fattura è stata messa in luce a Medaguè, presso Aksum. Dai siti di Addi Galamo e Haulti provengono tre statue femminili di pietra. Esse riproducono tutte uno stesso modello, rappresentante una figura seduta e con le mani distese sulle ginocchia, vestita con un abito lungo a pieghe o decorato con motivi floreali. Il significato di queste statue è incerto: è stato suggerito che esse raffigurino regine, ma è possibile che siano statue di divinità. Ad Haulti è stato rinvenuto, insieme a due delle statue femminili descritte, un "trono" scolpito in un unico blocco di pietra. Esso è costituito da un seggio a zampe di bovino coperto da un baldacchino, a sua volta decorato ai lati da figure umane a rilievo e da un fregio di stambecchi sull'orlo. Il suo significato è oscuro, ma è possibile che esso sia stato usato per il trasporto di una delle statue femminili, secondo il modello egiziano del naòs. Nello stesso sito numerose figurine in terracotta erano state deposte, apparentemente come offerte votive, davanti a due tempietti. Esse rappresentano figure femminili sedute e modellini di aratri, capanne e animali. Oggetti collegati con il culto sono nuovamente attestati in Etiopia a partire dal periodo medievale (ca. 1000/1100-1500 d.C.). Sono i tabot, altari collocati nel sacrario delle chiese cristiane, i cui esemplari più antichi finora noti risalgono al XIII sec. d.C. Si tratta di riproduzioni simboliche dell'Arca dell'Alleanza, che secondo la tradizione etiopica sarebbe conservata ad Aksum. Esse consistono in un corpo cubico, spesso ornato da croci, con quattro sostegni agli angoli. Un altro importante aspetto dell'artigianato religioso etiopico è costituito dalle croci in legno e metallo, attestate come simbolo cristiano fin dal IV sec. d.C. Purtroppo non esistono esemplari delle croci più antiche diffuse nel regno di Aksum (400 a.C. - 800 d.C.). Esse ci sono note solo da raffigurazioni su monete di questo periodo che mostrano due tipi principali: la "croce latina", attestata fin dall'introduzione del cristianesimo nel IV secolo, e la cosiddetta "croce etiopica", simile a quella greca, attestata dal V secolo. A partire dal Medioevo il motivo della croce si è sviluppato in composizioni sempre più articolate che riflettono stili regionali. In particolare, si distinguono tre grandi stili, corrispondenti ai tre maggiori centri politico-religiosi del regno cristiano: Aksum, Lalibela e Gondar. Testimonianze molto importanti di artigianato e arte rituale sono state messe in luce in Nigeria. Le evidenze più antiche sono costituite da numerose figurine in terracotta attribuite alla cultura di Nok (ca. 550 a.C. - 200 d.C.), dalla quale provengono le prime evidenze di lavorazione del ferro in Africa. Queste figurine rappresentano soprattutto esseri umani, sia maschili sia femminili, e più raramente animali (scimmie ed elefanti). Pur presentando caratteristiche diverse, che suggeriscono variazioni regionali, esse riflettono tutte uno stesso stile, caratterizzato da volti schematici, più o meno allungati, con occhi molto marcati di forma triangolare o ellittica e pupille perforate. Si tratta quasi esclusivamente di testine, alte in media 15-20 cm e spezzate all'altezza del collo, che in alcuni casi riproducono deformità del volto. Numerose testine maschili sono ornate da una barba liscia o raccolta a piccole trecce. Alcune presentano particolari fortemente ingranditi e potrebbero riferirsi a personaggi mitici. Esse forniscono anche numerose informazioni sulle acconciature, gli ornamenti e l'abbigliamento di questa popolazione: sono riprodotte infatti acconciature diverse, talvolta a punta o con i capelli raccolti in trecce. La presenza su alcune testine di fori tra i capelli potrebbe inoltre indicare l'uso di piume come ornamento. Si conoscono anche alcune figurine intatte o quasi complete, alte 20-30 cm, riproducenti donne sedute su uno sgabello nell'atto di sorreggersi il seno, ornate da bracciali. Le statuine complete mostrano una chiara sproporzione tra la testa, di dimensioni maggiori, e il resto del corpo (soprattutto le gambe), secondo un canone stilistico che sarebbe perdurato in tutta l'arte tradizionale africana. Il significato delle figurine è incerto, ma è molto probabile che esse fossero collocate in piccoli sacelli ai margini delle aree coltivate e si riferissero a culti della fertilità. Numerose figurine antropomorfe di terracotta, datate tra il 100 e il 700 d.C., sono state raccolte a Yelwa; esse presentano caratteristiche stilistiche diverse da quelle di Nok, con teste più arrotondate e bocca marcata. Elemento stilistico comune alle due culture è, comunque, la perforazione delle pupille. La produzione di oggetti di destinazione rituale divenne più abbondante a partire dagli inizi del II millennio d.C., quando emersero i primi Stati nell'Africa occidentale. Un deposito estremamente ricco di oggetti rituali di bronzo, databile a questo periodo, è stato messo in luce nel sito denominato Igbo- Isaiah, presso Igbo-Ukwu. Qui vennero raccolti oltre 100 oggetti, lavorati mediante il metodo della "cera perduta", tra cui 6 grandi scodelle, 11 scodelle più piccole, una scodella a forma di pera, 3 grandi conchiglie di bronzo, un sostegno per vaso, 25 pendenti di varie dimensioni, 3 sonagli, 2 catene, 28 bracciali, 3 staffe, 4 grandi ornamenti cilindrici per staffe e numerosi altri oggetti. Oltre a questi manufatti di bronzo, il deposito conteneva una lama di ferro, numerosi vasi decorati da scanalature e protuberanze e una grande quantità di pendenti di vetro o corniola. Tutti gli oggetti di bronzo erano decorati in maniera molto elaborata, talvolta con figure animali o umane che attestano un artigianato molto sofisticato. Alcuni pendenti, in particolare, riproducevano teste di elefanti. La natura degli oggetti raccolti è incerta, ma la qualità della lavorazione e della decorazione sembra indicare chiaramente che si trattava di oggetti sacri e/o insegne di uno o più personaggi di grande prestigio. Non si può tuttavia escludere che essi facessero originariamente parte del corredo di una tomba reale. Molto probabilmente anche le figure di metallo, terracotta e pietra trovate in contesti del regno di Ife (VIII-XVII sec. d.C. ca.) avevano carattere rituale; esse comprendono teste di ottone o rame (erroneamente descritte come bronzi) e di terracotta e figurine umane di bronzo e pietra. Le teste di metallo, di fattura molto raffinata e di dimensioni naturali, erano molto probabilmente ritratti di re utilizzati durante i funerali o in cerimonie commemorative. Esse presentano spesso fori impiegati per applicarvi capigliature e barbe. Sono ritratti estremamente realistici, che finora non trovano riscontro in altri contesti africani e che in passato hanno suggerito una derivazione da modelli greci (ipotesi oggi non più accettata). Le teste di terracotta originariamente facevano parte di figure complete che potevano raggiungere dimensioni naturali. Sono opere di notevole realismo, ma presentano una maggiore varietà stilistica rispetto a quelle di metallo. Il loro significato è incerto, ma si ritiene che almeno alcune di queste figure fossero poste su altari come sostituti di vittime sacrificali. Le figure di bronzo, databili forse al XVI secolo, rappresentano re e altri personaggi, ma, in assenza di un preciso contesto di ritrovamento, il loro significato rimane oscuro. Infine, le figure di pietra possono rappresentare sia personaggi umani sia divinità. Un gruppo particolare di figure è costituito dalle teste di animali di terracotta provenienti dal sito di Lafogido, datate al XII secolo. Esse comprendono elefanti, antilopi, montoni e animali mitici. Anche la valenza di queste figure è incerta, ma esse potrebbero aver fatto parte di corredi funerari di sovrani. Va infine ricordato un gruppo di figure trovate in contesto di scavo nel sito di Olabara's Land e datate al XIV secolo, tra cui rappresentazioni antropomorfe con espressione inorridita o maligna e vasi decorati con motivi simbolici applicati alla spalla. Queste figure erano state deposte apparentemente in un sacello ed erano associate a resti umani che hanno suggerito la pratica di culti con sacrifici umani. Un'ultima categoria di oggetti di culto è costituita dalle figure di terracotta e ottone prodotte nel regno del Benin tra il XVI e il XIX secolo. Si tratta anche in questo caso di vere e proprie opere d'arte, che documentano una tradizione molto sofisticata. Tale produzione è costituita essenzialmente da teste (utilizzate per il culto degli antenati e per cerimonie commemorative), un elemento distintivo delle quali è rappresentato dai collari, che nel corso del tempo divennero sempre più alti.
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