L'archeologia delle pratiche cultuali. America Settentrionale e Mesoamerica
di Thomas R. Hester
La produzione di manufatti cultuali o votivi e di altri oggetti simbolici in America Settentrionale risale al Periodo Clovis (11.500 anni fa ca.). L'esempio più notevole di questa tipologia di oggetti è costituito dai ciottoli incisi rinvenuti nel sito di Gault (Texas centrale). I 30 esemplari identificati, di pietra calcarea e di forma arrotondata, sono decorati da complesse linee incise, spirali, motivi astratti e rappresentazioni di aste di lancia e forse di animali. Anche un frammento di osso inciso di mammut, rinvenuto nel sito di Blackwater Draw (o Clovis), nel New Mexico, potrebbe costituire un'espressione simbolica dei gruppi Clovis. Le modalità di utilizzo di questi manufatti, comunque, non sono a tutt'oggi chiare. Un'ampia varietà di oggetti cultuali, votivi e simbolici è stata identificata in tutta l'America Settentrionale nei giacimenti risalenti al Periodo Arcaico. In California sono stati rinvenuti cristalli di quarzo, fratturati forse in contesti cerimoniali, "amuleti" di marmo esogeno di forma allungata e accuratamente levigati (alcuni con una perforazione a un'estremità per essere appesi e altri scolpiti in forma fallica) e figurine d'argilla esposte al fuoco: questi manufatti, datati a partire da 5000 anni fa, appartengono all'Arcaico Antico e Medio. Nelle Foreste Orientali è stata identificata una grande varietà di manufatti di pietra levigata, con probabili funzioni votive. Ad esempio, i propulsori erano spesso appesantiti con bannerstones (letteralmente "pietre a bandiera") o birdstones (pietre dalla sagoma di uccello), ma l'esecuzione particolarmente accurata di alcuni esemplari fa ritenere che essi non avessero avuto funzioni utilitarie; sono altresì comuni pendenti o collane, alcuni dei quali erano realizzati con pietre ottenute attraverso commerci a lunga distanza, oppure appaiono scolpiti in modo tanto elaborato da suggerire che il loro uso fosse diverso da quello di semplice ornamento personale. Per l'Arcaico Recente del Texas sono documentati manufatti di pietra scheggiata di forma allungata, accuratamente lavorati e generalmente associati a sepolture, noti come "coltelli con codolo angolare" (corner-tang knives). Le grandi lame bifacciali rinvenute in isolati depositi nascosti del Texas centrale possono anch'esse essere incluse tra gli oggetti votivi; se alcune potrebbero essere state custodite dai loro proprietari o da commercianti, altre rappresentano probabilmente offerte simboliche. Tuttavia, gli oggetti cultuali o votivi più frequentemente rinvenuti appartengono alle culture Woodland degli Stati Uniti Orientali. Con le culture Hopewell e Adena, sviluppatesi nella valle dell'Ohio, alcune tipologie di manufatti ebbero ampia diffusione nelle regioni orientali e sud-orientali, forse come riflesso di un sistema religioso o di culto, sebbene la loro distribuzione fosse vincolata alle reti commerciali Adena-Hopewell. Tali oggetti comprendono tavolette di pietra incisa e manufatti scolpiti di pietra e osso (ad es., una calotta cranica umana), realizzati in rame martellato o formati da sottili lamine di mica. Sulla maggior parte di questi oggetti ricorre un motivo di rapace o di avvoltoio, forse riferibile a un culto dei morti; credenze in un "mondo superiore" e in un "mondo inferiore" possono anche essere testimoniate da oggetti scolpiti raffiguranti pesci, serpenti e altri soggetti. Certamente il primo esempio di manufatti cultuali o votivi in America Settentrionale proviene dalle culture della bassa valle del Mississippi e del Sud-Est degli Stati Uniti. Vi è tutta una serie di manufatti e di motivi caratteristici che molto tempo fa vennero interpretati come evidenze del Culto Meridionale, definito più comunemente Complesso Cerimoniale del Sud-Est e datato tra l'800 e il 1500 d.C. Gli oggetti comprendono gorgiere, collane di conchiglia elaboratamente intagliate, recipienti di ceramica dipinti e incisi, rocchetti auricolari, placche di rame, pipe di pietra, asce monolitiche, lame eccentriche molto grandi e tazze di conchiglia incisa. Tra le decorazioni presenti su molti manufatti vi sono un motivo cosiddetto "ad occhio piangente", rappresentazioni dei punti cardinali, croci riprodotte in varie forme (come nei simboli cd. "croce-in-mano" e "occhio-in-mano"), individui della società Mississippi in abbigliamento militare (o di "uomini-uccello"), raffigurazioni della morte (compresi teschi e ossa lunghe) e numerosi soggetti zoomorfi, quali puma, aquile, picchi, tacchini e altri uccelli, ragni, granchi e serpenti, serpenti alati e "mostri serpentiformi". Il significato di questo complesso di manufatti e di motivi decorativi è stato oggetto di accesi dibattiti: non è chiaro se essi siano stati elementi di un culto religioso diffusosi attraverso relazioni commerciali (come può essere stato per le culture Adena-Hopewell), oppure riflettano un'ideologia ampiamente condivisa tra i gruppi del Mississippi. È stato ipotizzato che il motivo a croce rappresentasse il "mondo superiore", simboleggiando i quattro punti cardinali, e il serpente il "mondo inferiore", costituito dalla morte, dal buio e dal disordine, mentre il motivo a "occhio piangente" solitamente appariva su teste o volti umani per indicare che si trattava di individui defunti. Alcuni archeologi hanno inoltre sottolineato le somiglianze di molti manufatti del Culto Meridionale con oggetti e motivi mesoamericani: resta da chiarire se si tratti realmente di ideologie diffuse dal Messico nell'Est degli Stati Uniti. I manufatti cultuali del Periodo Mississippi sono stati spesso individuati all'interno di sepolture, oppure erano stati deposti come offerte particolari o collocati in depositi nascosti; molti sono stati recuperati in scavi clandestini e dunque il loro contesto di provenienza resta ignoto. Generalmente tale tipologia di oggetti si rinviene nei maggiori siti o centri della cultura Mississippi, quali Spiro, Moundville, Cahokia ed Etowah.
G.R. Willey, An Introduction to American Archaeology, I, Englewood Cliffs 1966; D. Snow, The Archaeology of North America, London 1976; A.E. Elsasser, Development of Regional Prehistoric Cultures, in HNAI, VIII, pp. 37-57; M.B. Collins - Th.R. Hester - P. Headrick, Engraved Cobbles from the Gault Site, Central Texas, in CurrResPleist, 9 (1992), pp. 3-4; Mound Builders and Cliff Dwellers, Alexandria 1992; E.S. Turner - Th.R. Hester, A Field Guide to Stone Artefacts of Texas Indians, Houston 1993.
di Claude-François Baudez
La recente scoperta di un deposito votivo azteco, sorprendentemente conservatosi nella sua integrità, ha comprovato che il contenuto dei depositi identificati dagli archeologi in ambiente tropicale generalmente rappresenta solo una parte ridotta di quello originario. Ai materiali risparmiati dal clima e dal tempo (pietra, conchiglia o ceramica) si associano resti animali e vegetali, oggetti di carta, tessuti e piume, oltre a manufatti di legno e osso, raramente conservati in condizioni normali. Il clima tropicale umido, inclemente nei confronti delle materie organiche, limita notevolmente i dati disponibili sugli oggetti cultuali e votivi. Un grande valore simbolico venne accordato in Mesoamerica ai materiali: vi è spesso una relazione tra la funzione rituale di un oggetto e il materiale con cui esso venne fabbricato. Nei depositi si rinvengono anche conchiglie non lavorate, resti animali o rozze schegge di pietra che non ebbero altra funzione che quella simbolica. Varie culture fabbricarono inoltre copie di giada, prive di funzionalità, degli aculei di razza che venivano utilizzati per i sacrifici. Insieme alle piume verdi, e in particolare a quelle dell'uccello quetzal, i materiali maggiormente apprezzati furono la giadeite e altre pietre dure di colore verde. Tutti i depositi rituali possiedono almeno un frammento di quella che viene correntemente definita giada, sotto forma di figurina o pendente, di grano di collana o di braccialetto, di pietra non lavorata o di frammento grezzo. Il suo valore risiedeva nel colore (dal verde al blu), che evoca quello dell'acqua: i grani di giada erano paragonati a gocce, le stesse che decorano le giare dipinte in blu associate a Tlaloc, dio azteco della pioggia, rinvenute nei depositi del Templo Mayor di Città di Messico in posizione coricata, con il contenuto (grani di giada) rovesciato. Per estensione, la giada doveva anche simboleggiare il rinnovamento e la fertilità. Le conchiglie marine, che venivano importate sia dal Pacifico che dall'Atlantico, rinviano anch'esse all'acqua e alla fertilità. Tra le conchiglie non lavorate, molto frequenti nei depositi cerimoniali, quelle di Spondylus sembrano essere state ovunque le più ricercate; grazie alle loro lunghe spine, esse potevano anche evocare l'autosacrificio. Lo Spondylus venne talvolta utilizzato per contenere giada, sangue sacrificale (come è documentato nel sito Maya di Copán) o il cinabro, suo sostituto. Le conchiglie del genere Oliva, che decoravano le cinture dei sovrani Maya, sono anch'esse frequenti nei depositi, allo stato naturale o perforate per essere appese. Si rinvengono anche conchiglie di acqua dolce. Nei depositi sono stati identificati numerosi oggetti di conchiglia, quali grani sferici o discoidali, figurine e decorazioni scolpite che venivano cucite sugli abiti. L'ossidiana e la selce, materie prime per i coltelli sacrificali, erano spesso utilizzate, allo stato naturale o in forma di schegge, per simboleggiare il sacrificio. I Maya gettavano manciate di schegge di queste pietre nella terra che ricopriva le cavità in cui erano stati collocati depositi nascosti. Presso gli Aztechi e certamente in altre culture mesoamericane, i due materiali dal colore opposto erano complementari: la chiara selce era associata al cielo, al Sole e al sacrificio per estrazione del cuore, la scura ossidiana alla terra, al sacrificio per decapitazione e alla fertilità. Il colore rosso del cinabro, che evocava anch'esso il sacrificio cruento, ricopriva sovente le offerte, sia che esse fossero di giada, di conchiglia o d'osso. Occorre inoltre citare la presenza nei depositi di resti di animali che facevano riferimento a una parte dell'Universo: ad esempio, coccodrilli, tartarughe e pesci evocavano il mondo sotterraneo acquatico, il giaguaro il mondo arido degli inferi, gli uccelli il cielo. L'incensamento, molto frequente in tutta la Mesoamerica, consisteva nel bruciare in appositi recipienti e su carboni incandescenti sostanze che liberavano fumo e odore gradevole. Si tentava di attirare l'attenzione del mondo soprannaturale, di comunicare con esso e di rendergli omaggio; sembra che l'incensamento servisse anche a purificare e a consacrare spazi e oggetti destinati al rituale. Si utilizzava ovunque una resina profumata, il copale, e a volte anche il caucciù. In alcuni casi, come nel sito Maya di Chichén Itzá (Messico), queste sostanze non venivano bruciate, ma erano presentate come offerte sotto forma di palline dipinte di blu. La forma degli incensieri, generalmente di terracotta, variò considerevolmente a seconda delle culture e delle epoche. A differenze di peso e di misura corrispondevano mobilità e usi diversi: i pesanti e voluminosi incensieri composti di due parti (recipiente e coperchio) erano ideati per rimanere permanentemente in un luogo stabilito, mentre quelli più leggeri, in forma di padella per friggere, servivano ad accompagnare percorsi rituali o fumigazioni ai quattro punti cardinali. Molti incensieri mesoamericani sono decorati da elementi plastici ad aculeo applicati sulle pareti, che alluderebbero sia alle spine che difendono il tronco della ceiba (albero che presso alcune culture delle basseterre rappresenta l'asse del mondo) sia alle squame del coccodrillo, immagine della superficie terrestre che galleggia sull'acqua. Il coperchio di alcuni incensieri di Teotihuacan è estremamente elaborato: esso si presenta come un ampio quadro sovraccarico di simboli che circonda una maschera, provvista in alcuni casi di ornamento nasale, e che allude al mondo soprannaturale. Presso i Maya del Periodo Classico gli incensieri erano spesso decorati dalla maschera del Sole notturno dai tratti di giaguaro, signore incontrastato del regno dei morti. Non è ancora stato chiarito se il fumo fosse destinato ai defunti e agli antenati o al Sole. Dopo il 1250 d.C. i Maya iniziarono a fabbricare incensieri con l'immagine in altorilievo di una divinità stante, addossata a un recipiente cilindrico in cui veniva bruciato incenso. Questi oggetti attestano la nascita di un complesso Pantheon in cui le divinità originarie del Messico centrale sono ben rappresentate; la loro ricorrenza e la loro ampia distribuzione nello Yucatán nei secoli immediatamente precedenti la Conquista segnalano inoltre l'importanza dei culti domestici. Restano a tutt'oggi poco chiari la funzione e il significato delle figurine mesoamericane, generalmente modellate o stampate in terracotta, ma anche scolpite nell'ossidiana o nella giada o intagliate nella conchiglia. Molte si rinvengono rotte e gettate su cumuli di rifiuti, mentre altre, molto più raramente, vennero accuratamente conservate nelle sepolture. Nonostante numerose incertezze, sembra che le figurine formassero generalmente gruppi, che venivano "manipolati" e in seguito disposti e interrati a fini rituali. L'offerta n. 4 del sito olmeco di La Venta (800 a.C. ca.), in Messico, comprendeva 16 figurine di giada, di sesso maschile e nude, ma con ogni probabilità in origine vestite di tessuto o carta, disposte in piedi intorno a 6 lame di giada infisse verticalmente a mo' di stele. Questo contesto potrebbe suggerire la volontà di ricostruire una cerimonia religiosa o politica e di preservare tale momento per l'eternità. Un deposito nascosto comprendente 4 figurine fittili, datato approssimativamente alla stessa epoca, è stato rinvenuto sotto il pavimento di un'abitazione di San José Mogote (valle di Oaxaca, Messico): al di sopra di 3 individui (uno dei quali decapitato) accovacciati e con le braccia incrociate in un gesto di sottomissione, ve ne era un quarto, seduto in un atteggiamento di autorità. Provenienti dallo stesso sito, ma di datazione più recente (100 a.C. - 200 d.C. ca.), 2 statuine di giada, anch'esse di sesso maschile e nude, accompagnate da 2 grani di giada, da un frammento grezzo e da polvere rossa, erano state deposte in una cassa sotto il pavimento della Struttura 35. Nella stessa struttura è stato scoperto un gruppo comprendente 6 figurine. Una di esse, in ginocchio all'interno di una ciotola, era stata collocata in una tomba in miniatura insieme ai resti di una quaglia sacrificata; al di sopra della tomba vi era la rappresentazione di un essere soprannaturale nell'atto di volare insieme a 2 corna di cervo, mentre dietro di essa si trovavano 4 figurine femminili, la cui testa teriomorfa costituiva un ricettacolo. Sebbene il senso generale di questa composizione sfugga, non vi è dubbio che essa racconti una storia o descriva una scena soprannaturale. A Santa Rita, sulla costa orientale dello Yucatán, intorno al 1400 d.C. i Maya deposero, in momenti diversi, gruppi orientati di figurine zoomorfe che simboleggiavano i diversi livelli dell'Universo, accompagnate da figurine umane collocate nelle quattro direzioni: alcune si mutilano il sesso in un rito di autosacrificio, altre rappresentano guerrieri che evocano il sacrificio. Questi complessi sono senza dubbio testimonianze di riti in cui si celebrava la creazione cosmica. Tutte le civiltà mesoamericane praticarono il sacrificio umano e l'autosacrificio, consistente nell'estrarre il sangue in modo più o meno doloroso a seconda della parte del corpo scelta e dello strumento utilizzato. Presso le culture delle alteterre lo strumento preferito era la spina terminale delle foglie di agave, a cui si aggiungevano diversi punzoni di ossidiana od osso. Nelle basseterre si impiegavano aculei di razza che, provvisti di una doppia fila di seghettature, infliggevano al penitente crudeli ferite. Il sangue veniva raccolto in piccoli recipienti di giada o conchiglia e deposto come offerta, oppure serviva a inzuppare nastri di carta successivamente bruciati negli incensieri. Presso gli Olmechi e i Maya i depositi contenevano quasi sempre uno o vari aculei, associati a volte a copie di giada od ossidiana (San José Mogote). In alcuni casi sono stati rinvenuti utensili per perforare o tagliare di origine marina, quali denti di pescecane o spine di riccio, lancette e lame di ossidiana e punzoni d'osso. L'animale da cui proveniva l'osso con cui erano fabbricati i punzoni assumeva anch'esso valenze simboliche: gli strumenti utilizzati dal sovrano azteco erano in osso di aquila e di giaguaro, due animali connessi con il cielo e la terra, i principali destinatari del sacrificio. Il sacrificio umano rivestì un ruolo centrale in tutte le civiltà mesoamericane; le forme di immolazione furono molteplici e variarono nel tempo e nello spazio. Le due tecniche di uccisione più utilizzate furono comunque la decapitazione e la cardioctomia. Presso i Maya del Periodo Classico la prima tecnica è rappresentata su vasi e sculture soprattutto attraverso l'azione del sacrificatore, che afferra la vittima per i capelli con una mano e con l'altra le infligge un colpo di ascia sulla nuca; il tema del sacrificio è illustrato anche dal sacrificatore che mostra la testa staccata della vittima. In assenza di metalli, l'ascia utilizzata era generalmente costituita da una lama di pietra dura (talvolta scolpita, più spesso levigata) immanicata trasversalmente; un colpo ben assestato era certamente in grado di uccidere un uomo, ma non avrebbe potuto staccargli la testa, in quanto i muscoli avrebbero assorbito i colpi. Si deve dunque supporre che, dopo avere ucciso la sua vittima, il sacrificatore ne tagliasse il collo con un coltello di selce o, meglio ancora, di ossidiana, come mostra il rilievo del Periodo Postclassico che decora il grande campo per il gioco della pelota del sito di Chichén Itzá. Il sacrificio per estrazione del cuore è illustrato per la prima e unica volta nell'arte monumentale Maya sulle stele 11 e 14 di Piedras Negras, datate rispettivamente al 731 e al 761 d.C., ma la decapitazione non venne per questo abbandonata. I Maya stabilivano le diverse forme di supplizio secondo criteri ignoti, praticando inoltre, come gli Aztechi, la doppia immolazione, vale a dire l'estrazione del cuore destinato al Sole e la decapitazione, che produceva il fiotto di sangue che bagnava la terra assetata. La decapitazione è attestata archeologicamente dal rinvenimento di scheletri decapitati o di crani isolati. Gli strumenti per il sacrificio sono i più difficili da identificare, in quanto le lame levigate di ascia erano utilizzate anche nella lavorazione del legno e quelle lanceolate di selce od ossidiana venivano impiegate in guerra. Sembra comunque che le lame frequentemente rinvenute in depositi di siti olmechi esprimessero la relazione tra sacrificio umano e fertilità, mentre quelle provenienti dai depositi aztechi potrebbero alludere direttamente al sacrificio. Solo i Maya fabbricarono coltelli rituali (i cd. "eccentrici"), apparentemente riservati ai depositi di fondazione. Ottenuti da selce e ossidiana, gli eccentrici presentano forme geometriche (dischi, crescenti, anelli, tridenti), naturalistiche (scorpione) o variate (punte foliacee dai margini con intaccature, scettri ramificati che riproducono silhouettes umane, ecc.). Gli eccentrici, che possono avere significati diversi a seconda della forma e del materiale, rappresentano certamente, se non strumenti per il sacrificio, almeno oggetti che simboleggiano tale pratica, come attestato da rappresentazioni di eccentrici personificati all'interno di contesti sacrificali. A Copán le vittime venivano immolate sugli altari raffiguranti il mostro terrestre associati alle stele, come mostrano le immagini di vittime inginocchiate su maschere del mostro terrestre, in attesa della loro sorte. Nella città Maya-tolteca di Chichén Itzá e nel Templo Mayor di Tenochtitlan, la capitale azteca, la pietra sacrificale era una piccola lastra non decorata su cui la vittima veniva fatta sdraiare, in modo che il suo corpo si inarcasse e il petto si gonfiasse, agevolando la penetrazione del coltello. A giudicare dal contesto in cui sono stati rinvenuti, gli specchi (formati da un'unica placca di ossidiana o di minerale di ferro, oppure da un mosaico di pirite o ematite su un supporto di ardesia o arenaria) rivestirono un ruolo molto importante nella vita religiosa degli antichi gruppi mesoamericani. Anche qui si applica il principio della parte per il tutto, poiché non è raro il ritrovamento nei depositi nascosti di elementi isolati di mosaici riflettenti. Gli Europei, testimoni degli ultimi riti indigeni prima della loro soppressione, rilevarono che la musica accompagnava quasi sempre i riti, sia che essi consistessero in danze, processioni o sacrifici. Gli strumenti più frequenti erano tamburi a membrana o a linguette, verticali, orizzontali o da ascella; essi venivano battuti con bacchette dalle estremità rivestite di caucciù o con corna di cervo. Il ritmo era scandito anche con l'ausilio di un osso lungo provvisto di scanalature, che veniva sfregato con una bacchetta; anche i carapaci di tartaruga erano impiegati per la percussione. Gli strumenti a fiato comprendevano lunghe trombe, conchiglie, flauti e fischietti. Solo raramente tali strumenti sono stati rinvenuti in contesti archeologici. I tamburi di legno non si sono conservati, ad eccezione di pochi esemplari aztechi; dal sito Maya di Copán proviene la copia di un grande tamburo di legno a linguette, datata all'VIII sec. d.C. I frammenti di piccoli tamburi da ascella di ceramica sono stati raramente identificati come tali dagli archeologi, in quanto essi sono molto simili a quelli dei recipienti comuni. In una grotta Maya ne è stata comunque rinvenuta una grande quantità. Sono stati anche effettuati ritrovamenti sparsi di ocarine fittili che potevano produrre varie note. I fischietti a una sola nota sono molto più numerosi, in quanto la grande maggioranza delle figurine (sia quelle zoomorfe e antropomorfe sia quelle raffiguranti esseri soprannaturali) è munita di un fischietto, frequentemente alloggiato in un supporto posteriore che permette al personaggio di mantenersi in piedi. Si può ritenere che fischi accompagnassero la manipolazione delle figurine e che essi volessero attirare l'attenzione degli esseri soprannaturali rappresentati dal manufatto. Come le figurine, i danzatori in costume e mascherati interpretavano ruoli e celavano la loro identità dietro la maschera di un antenato, di una divinità o di un eroe mitico. Sculture e pitture mostrano spesso personaggi mascherati. Le maschere di legno non si sono conservate, ad eccezione di una maschera olmeca e di una mezza dozzina di maschere azteche decorate a mosaico. Le maschere di pietra (più frequentemente di pietra verde), ottenute da un unico blocco o dall'assemblaggio di numerosi elementi, sono ben documentate in quasi tutte le culture mesoamericane e in particolare presso gli Olmechi, i Maya, a Teotihuacan e presso gli Aztechi. Esse rappresentano quasi sempre un volto umano dai tratti standardizzati; sembra che solo pochi esemplari siano stati indossati da attori o danzatori. Alcune maschere ricoprivano il volto di defunti, altre rappresentavano quello di idoli vestiti con indumenti di tessuto o carta di scorza. Maschere di dimensioni minori, portate come pendenti o legate alla cintura, potevano costituire decorazioni di abiti. Le figurine di giocatori di pelota recano intorno al busto spesse cinture a forma di U, che permettevano di colpire la palla con le anche, secondo le regole del gioco. Sono stati rinvenuti oggetti di pietra lunghi circa 40 cm, simili a queste cinture e definiti "gioghi" a causa della loro forma. In ragione del loro peso, è probabile che essi non venissero indossati durante il gioco, ma prima o dopo, nel corso di riti; per colpire la pelota, i giocatori utilizzavano un giogo di legno o di cuoio, notevolmente più leggero. Altri oggetti litici scolpiti sembrerebbero associati ai gioghi e al gioco della pelota, principalmente sulla Costa del Golfo e in area Maya: si tratta delle "asce", pietre piane scolpite spesso in forma di testa umana, e delle "palme", oggetti di forma allungata, con un'estremità svasata e l'altra scavata per potere essere poggiata sul giogo.
L. López Luján, Las ofrendas del Templo Mayor de Tenochtitlan, México 1993; R.J. Sharer, The Ancient Maya, Stanford 1994⁵; J. Marcus - K.V. Flannery, Zapotec Civilization. How Urban Society Evolved in Mexico's Oaxaca Valley, London 1996.