L'archeologia delle pratiche cultuali. Asia Centrale
L'assenza pressoché totale di una tradizione scritta indigena rimette all'indagine sul campo il compito di chiarire la natura dei culti e dei rituali praticati in questa regione. Sebbene lo studio delle testimonianze archeologiche non consenta ancora di ricostruire in qualsivoglia periodo storico un sistema cultuale codificato, né tanto meno di ipotizzarne l'esistenza, le nostre conoscenze sulle religioni dell'Asia Centrale preislamica sono sensibilmente migliorate rispetto a un passato non molto lontano. È di estremo interesse il quadro che le indagini compiute negli ultimi decenni nei territori interessati dal "complesso archeologico battriano-margiano" (tarda età del Bronzo, periodo Namazga VI, 2300-1600 a.C.) hanno tracciato, seppure non definitivamente chiarito. Nei siti di Gonur e Togolok, in Margiana, di Dashli e Jarkutan, in Battriana, sono stati scavati importanti centri di culto comunitario accuratamente pianificati e caratterizzati da solidi impianti difensivi. I risultati delle indagini sembrano avvalorare l'ipotesi che in alcuni di essi fossero praticati culti e rituali che anticipano la tradizione avestica e vedica, in particolare quelli incentrati sull'adorazione del fuoco, in associazione (ma solo in Margiana) all'utilizzo di bevande allucinogene (culto del soma/haoma). È in queste regioni, e nell'epoca in esame, che diversi studiosi sono concordi nel situare i movimenti delle popolazioni indo-iraniche (sebbene sulle loro dinamiche non vi sia un'interpretazione univoca) e di cui i centri cerimoniali battriani e margiani costituirebbero significative testimonianze archeologiche. Per i secoli che vanno dalla conquista macedone all'invasione araba, una delle questioni intorno a cui gravita lo studio dei culti centroasiatici è la loro relazione con la religione dell'Iran preislamico, lo zoroastrismo. Non v'è dubbio che le credenze religiose dei popoli di questa regione affondino le radici nell'antica tradizione iranica; ciò ha incoraggiato in molti studiosi la convinzione che anche questa parte dell'Asia sia da considerare a tutti gli effetti terra zoroastriana. Tuttavia, seppure in aree ed epoche diverse siano attestate pratiche cultuali e rituali che denotano incontestabili affinità con la religione persiana, è forse più cauto ricondurre gran parte della fenomenologia religiosa della regione alla sfera di un generico "iranismo", piuttosto che allo zoroastrismo inteso come sistema religioso codificato. Dalla protostoria alla vigilia della conquista araba sono numerosi gli edifici centroasiatici attribuiti dagli archeologi al culto del fuoco. Tali identificazioni sono di consueto basate sul rinvenimento di determinate testimonianze archeologiche, quali altari con consistenti tracce di combustione, depositi di ceneri e, da un punto di vista architettonico, modelli planimetrici che si ritengono inequivocabilmente legati alla tradizione zoroastriana (sulla base di confronti tipologici con templi del fuoco iranici a loro volta di interpretazione controversa); a ben guardare, però, sono pochi i casi in cui l'utilizzo rituale del fuoco non sia correlato al culto delle immagini. Sembra infatti assodato che i culti indirizzati a diverse divinità abbiano assunto assai per tempo, nella regione in esame, importanza preponderante. L'entrata dell'Asia Centrale (perlomeno delle sue regioni meridionali) nell'orbita politica e culturale dell'Ellenismo non sembra aver comportato un significativo influsso greco nella sfera cultuale. Nel tempio a nicchie scalari di Ai Khanum (IIIII sec. a.C.), in Battriana, l'apporto ellenico sembra si debba individuare essenzialmente nella divinità sincretistica che si suppone vi fosse venerata (Zeus/Mithra?); gli scavi tuttavia hanno messo in luce elementi che sembrano alludere a un culto ctonio che trova analogie in altri siti centroasiatici non greci, mentre l'impianto architettonico dell'edificio (così come quello del tempio extra muros, nella stessa città) è di chiara tradizione vicino-orientale. Una lettura zoroastriana sembra invece plausibile per un altro interessante monumento cultuale della città battriana, la piattaforma a gradini costruita nel punto più eminente dell'acropoli. Rivolta a oriente, essa sovrastava il punto di confluenza del Kokcha nell'Amu Darya, l'antico Oxus. È ragionevole ipotizzare che la piattaforma di Ai Khanum e, con questa, l'analoga terrazza a gradini d'epoca achemenide rinvenuta nel sito di Pachmak Tepe, nella valle del Surkhan Darya, fossero destinate all'esecuzione di sacrifici animali, ossia a un rituale che, come tramandano Erodoto (I, 131-32) e Strabone (XV, 3, 15) in riferimento a Persiani e Medi, veniva officiato preferibilmente in luoghi elevati. È probabile che il tempio di Takht-i Sangin fosse dedicato al culto del fuoco, ma solo in una seconda fase (I-II sec. d.C.), mentre originariamente fu con ogni verosimiglianza sede del culto di una divinità fluviale (Oxus); erano invece sicuramente templi del fuoco i piccoli edifici di culto (templi B e D) costruiti in epoca Kushano-sasanide (III-IV sec. d.C.) ai margini del santuario dinastico (Tempio A) di Surkh Kotal (I-II sec. d.C.), in Battriana, in cui era probabilmente venerata la Fortuna del re Kanishka, ma quando l'edificio principale non era più in funzione. A una tradizione zoroastriana "locale" vengono attribuiti anche il tempio di Paykend (VI sec.), in Sogdiana, e i due templi urbani di Penjikent (V-VIII sec.), nella stessa regione, dove il rituale incentrato sul fuoco, di cui V.G. Škoda (Shkoda 1996) ha proposto un'interessante ricostruzione, sembra però ricoprire un ruolo accessorio rispetto alla venerazione di figure divine. Quest'ultima è del resto ampiamente attestata, e in tutte le sue diversificate manifestazioni, dalle pitture conservatesi nelle residenze private di questa e di altre città della Sogdiana. Dall'epoca protostorica all'invasione islamica sono numerose in Asia Centrale le testimonianze relative a culti domestici, ma anche in questo campo le interpretazioni degli studiosi sono spesso discordi. Nei siti protostorici del Turkmenistan, oltre agli edifici destinati alle esigenze cultuali dell'intera comunità, caratterizzati dalla presenza di altari e di pitture murali (Pessejik Depe, Yalangach Depe, Kara Depe), troviamo piccoli santuari all'interno di blocchi abitativi, sedi di un gruppo familiare allargato, e presenti in maggior numero all'interno dello stesso sito (ad es., Geoksyur, Altin Depe); anche in questo caso, la funzione dell'ambiente si evince dalla presenza di altari al loro interno. L'esistenza di cappelle dedicate al culto domestico sembrerebbe ben attestata in diverse città centroasiatiche tra l'epoca Kushana e l'Alto Medioevo, ossia tra il I e l'VIII sec. d.C. A Dalverzin Tepe (I-III sec.), ad esempio, si ritiene che tutte le abitazioni ne fossero dotate; si terrà tuttavia conto che per buona parte delle "nicchie-altare" (ossia l'elemento che connoterebbe le cappelle come tali), l'utilizzo rituale non può essere provato; non è infatti da escludere che la loro precipua funzione fosse quella di riscaldare l'ambiente. Simili riserve sono state espresse per le "cappelle familiari" individuate nelle dimore di Penjikent (prima metà dell'VIII sec.), anche queste provviste di una nicchia parietale e considerate, dai loro scopritori, come luoghi di raccolta della famiglia per le esigenze del culto. Ricorderemo infine che nell'ambito del buddhismo, la cui prima diffusione in Asia Centrale coincide con l'epoca dei Grandi Kushana (I-III sec. d.C.), le tipologie e i caratteri costitutivi delle aree di culto derivano essenzialmente dalla tradizione indiana. Lo stūpa, fulcro cultuale dell'area sacra, e i vihāra (celle monastiche) sono gli elementi essenziali del monastero, che può essere rupestre (soluzione ampiamente sperimentata in India, soprattutto nel Deccan) come a Kara Tepe (I-III sec. d.C.) o, in epoca più tarda (tra il III e il IX sec.), nei numerosi siti buddhistici del bacino del Tarim (Xinjiang), o costruito, come a Fayaz Tepe (epoca Kushana) o ad Ajina Tepa (VII sec. d.C.), e ispirato ai regolari schemi planimetrici elaborati nel Nord-Ovest del Subcontinente indiano. Nella ricostruzione della vita religiosa dell'antica Asia Centrale, soprattutto per quanto concerne la sua facies iranica, gli altari costituiscono elementi di importanza cruciale. I più antichi, riportati alla luce in alcuni siti della tarda età del Bronzo (2300-1600 a.C.), sembrano gettare luce su pratiche legate alla religione indoiranica. In un edificio cultuale di Jarkutan (Uzbekistan meridionale) ne sono stati rinvenuti esemplari di forma circolare e quadrata, in mattoni crudi e accuratamente intonacati; in superficie essi conservavano un compatto strato di cenere contenente frammenti di legno carbonizzato. Uno degli altari quadrati era situato tra quattro colonne su di una piattaforma, nella parte centrale del tempio. È stato ipotizzato che nei due tipi di altare presenti nel sito battriano si rifletta la distinzione contemplata nella tradizione indo-iranica tra altari circolari, propri del culto del fuoco domestico e di ambito prettamente femminile, e altari quadrati, fulcro del culto comunitario e sacerdotale, di appannaggio maschile. Due altari circolari, di dimensioni ragguardevoli, sono stati rinvenuti nel settore nord-orientale del tempio di Togolok 21 (Turkmenistan), ciascuno dei quali collegato a un vano situato a sud. Il più grande, largo 8 m e profondo 3 m, con ogni verosimiglianza utilizzato per libagioni connesse, secondo V.I. Sarianidi (1994), con il culto del soma/haoma, sovrastava un pozzo sul cui fondo erano due muri ortogonali e, negli spazi compresi tra i muri, cinque grandi vasi rovesciati; nell'altare minore era probabilmente alimentato un fuoco. Ricorderemo che altari circolari e quadrati sono testimoniati anche in altri siti protostorici (Sarazm, Sapalli Tepa, "tempio circolare" di Dashli 3, necropoli di Tulkhar). Dal tempio di Takht-i Sangin, in Battriana (III/II sec. a.C. - II/III sec. d.C.) provengono due altari in grandi blocchi di pietra calcarea, di marcata impronta occidentale. Situati dinanzi ai due piccoli ambienti posti alle estremità della fronte dell'edificio (le "sale bianche"), essi erano, secondo I. Pičikjan (Pichikyan 1987), connessi con il culto del fuoco. Non si può escludere, tuttavia, che la loro funzione, come ritiene P. Bernard (1994), fosse piuttosto quella di podi per statue. Di foggia greca è anche il noto altare sormontato da una piccola figura di Marsia, rinvenuto in uno dei bothroi del tempio; nell'epigrafe in lingua greca incisa su di esso, il dedicante, dal nome palesemente iranico (Atrosokes), consacra l'oggetto al dio Oxus (il fiume Amu Darya). Per forma e dimensioni, questo reperto può essere confrontato con un altare di pietra da Dalverzin Tepe (I-II sec. d.C.), con base e coronamento modanati e fusto a sezione ottagona. Gli altari a gradini, caratteristici dell'Iran, hanno lasciato in Asia Centrale testimonianze più sporadiche. Un modello con supporto a gradini a pianta cruciforme compare nelle composizioni scultoree in argilla cruda, di presunto soggetto dinastico, che decorano la "sala dei re" del palazzo di Toprak Kala, in Chorasmia (III-IV sec. d.C.). In una serie di ossuari sogdiani di terracotta a decorazione figurata del VII-VIII secolo (Biya Naiman, Ishtikhan, Molla Kurgan, Durmen Tepe, in Uzbekistan; Krasnorečenskoe Gorodišče, in Kirghizistan) ricorrono rappresentazioni di questo altare, ma in un formato notevolmente ridotto (viene infatti sorretto in una mano) e in un contesto iconografico che diversi studiosi interpretano in chiave zoroastriana. Dai reali o presunti altari del fuoco zoroastriani (in questo caso il fuoco rappresenta l'oggetto di culto) vanno distinti i thymiateria, sui quali veniva alimentato un fuoco destinato a bruciare incenso o altri tipi di offerte indirizzate a una divinità. Questa categoria di altari, solitamente costituiti da una base (di pietra o terracotta) che fungeva da supporto a un recipiente metallico, è ampiamente diffusa in area iranica e centroasiatica. Oltre alle testimonianze archeologiche trovate ad Ai Khanum (soltanto i supporti), di essi possediamo una vasta documentazione iconografica: è infatti un thymiaterion l'altare su cui i sovrani Kushana, in una delle loro più ricorrenti raffigurazioni monetali, versano offerte destinate alla divinità rappresentata sul verso; come thymiateria sono inoltre da interpretare quasi tutti gli altari raffigurati nei dipinti murali della Sogdiana, tra il VI e l'VIII secolo (Varakhsha, Penjikent), riconducibili a un solo modello formale: un tronco di cono, spesso con decorazione figurata, sormontato da una sfera, fa da supporto a un piatto dal bordo decorato, su cui poggia una coppa, all'interno della quale arde un fuoco. Tali altari sono spesso affiancati da officianti del culto, stanti o inginocchiati, intenti a versare offerte. Al medesimo utilizzo sono verosimilmente da correlare gli altari portatili di terracotta d'epoca Kushana e altomedievale, attestati in diversi siti della Battriana e della Sogdiana e di frequente decorati da raffigurazioni zoomorfe applicate o geometriche a giorno. Considerate testimonianze emblematiche dei culti domestici, le cosiddette "nicchie-altare" sono ampiamente attestate dall'epoca Kushana (Dalverzin Tepe) fino all'Alto Medioevo (Penjikent, Afrasiab). Individuate all'interno di templi e, più di frequente, in abitazioni, tali strutture sono costituite da una nicchia parietale ad arco e di pianta solitamente circolare, al di sotto della quale è uno zoccolo aggettante; questo (soprattutto in epoca altomedievale) sorregge una sorta di baldacchino (un arco sostenuto da due colonne) che incornicia la nicchia; il fuoco veniva alimentato sulla superficie dello zoccolo o all'interno della nicchia. Come si è detto, tuttavia, sono stati sollevati dubbi sull'interpretazione cultuale di tali strutture e, di conseguenza, sull'identificazione dei rispettivi ambienti come cappelle domestiche. Secolare potrebbe essere stata la funzione di un presunto altare rinvenuto in un vano abitativo del complesso buddhistico di Kara Tepe (Battriana). L'insolita testimonianza di un culto di probabile carattere ctonio è fornita dal tempio a nicchie scalari di Ai Khanum. Ai piedi del plinto su cui sorge l'edificio, sul suo lato posteriore (nord-ovest), sono stati rinvenuti vasi di fattura locale (non greca) deposti con l'apertura rivolta verso il basso, a far sì che il liquido in essi contenuto (di natura non precisata) percolasse nella terra. Questo rituale, che sembra sia stato praticato per l'intera durata del funzionamento del tempio, non trova riscontro nel mondo greco né in Vicino Oriente. Deposizioni di vasi rovesciati sono invece attestate nella protostoria centroasiatica; oltre che a Togolok 21, in Margiana, ne troviamo esempi nell'areale della cultura di Andronovo (II millennio a.C.), sia in contesti funerari (necropoli di Syntashta) sia in luoghi di culto siti in prossimità di canali idrici (Chorasmia); in epoca ben più recente (II-I sec. a.C.), il medesimo rituale è attestato nell'area di Tashkent. Tra le più tipiche espressioni della religiosità popolare centroasiatica ricordiamo, infine, le terrecotte figurate. Abbondantemente rappresentati nell'intera regione, questi materiali sono in larga parte di provenienza sporadica, sebbene in tempi recenti si sia accresciuto il numero di esemplari recuperati in contesti stratigrafici. Il primato delle figure femminili nel repertorio iconografico della coroplastica centroasiatica testimonia chiaramente l'orientamento della devozione popolare, in epoca sia protostorica (importante è il complesso di terrecotte dell'età del Bronzo dal Turkmenistan), sia storica (soprattutto tra il III-II sec. a.C. e il V sec. d.C.). Lo studio di questa produzione ha posto in evidenza scuole distinte nelle diverse regioni dell'Asia Centrale (Battriana, Sogdiana, Margiana e Chorasmia), in ciascuna delle quali la divinità è caratterizzata da una specifica resa iconografica e stilistica; l'identità delle diverse dee rappresentate nella coroplastica resta tuttavia enigmatica e i tentativi di assimilare queste figure alle divinità femminili che conosciamo da altre fonti (Anahita, Ardokhsho, Nana) si sono finora dimostrati tutt'altro che convincenti.
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