L'archeologia delle pratiche cultuali. Egitto
Tra gli oggetti relativi al culto vanno distinti quelli che erano venerati e quelli che servivano come strumento per le pratiche cultuali. Tra i primi vi sono le pietre sacre, gli alberi, le statue di divinità e le mummie degli animali sacri. Tale venerazione si fondava sulla convinzione che essi fossero l'ipostasi delle divinità, esseri immateriali che abitavano l'Universo e che potevano incarnarsi sulla Terra in pietre, animali, piante e statue. La pietra sacra per eccellenza era chiamata in egiziano benben ed aveva la forma di un tozzo obelisco con cuspide piramidale; il suo culto risale a prima della I Dinastia ed è connesso con il dio Sole Ra o Atum di cui rappresentava i raggi. Il principale centro di culto si trovava a Iunu (Heliopolis), uno dei più importanti centri teologici d'Egitto. La parola iunu significa in egiziano "pilastro" ed è evidente che la città dallo stesso nome era considerata la sede del pilastro benben. Heliopolis fu anche denominata in egiziano Iunu mehet, ovvero "pilastro settentrionale", mentre Tebe era definita come Iunu shemayit, il "pilastro meridionale". Il tempio di Heliopolis, oggi scomparso, era dedicato al dio Sole Ra e costituì il prototipo dei templi solari della V Dinastia, in cui il benben era l'oggetto del culto. Tale pietra era considerata come un feticcio primordiale del dio Sole, al quale è associata in testi di contenuto religioso e funerario. L'obelisco ha forma simile alla pietra benben e anch'esso fu posto in connessione con il dio Sole. Anche l'obelisco è scolpito in un monolito che poteva raggiungere l'altezza di 41,75 m, come nel caso di quello rimasto incompiuto nelle cave di granito di Assuan. In quanto sede di divinità tali pietre sacre dovevano ricevere riti e offerte giornalieri, oltre ad atti di adorazione da parte del sovrano e dei sacerdoti, come si apprende da diverse raffigurazioni. Una di esse correda il capitolo XV del Libro dei Morti: davanti a due obelischi, che la didascalia identifica come il dio Ra-Harachte, vi sono una tavola per offerte riccamente imbandita e due sacerdoti che compiono il rituale di offerta. Inoltre, in un'iscrizione del tempio di Karnak, Thutmosis III ricorda l'erezione di quattro obelischi nel tempio di Amon-Ra ai quali furono dedicate nuove feste e un tributo giornaliero consistente in 24 pani e 1 brocca di birra per ognuno di essi. Alcuni alberi costituivano per gli Egiziani oggetto di culto poiché si riteneva che costituissero la dimora di divinità, talora raffigurate come emergenti dall'albero, come la dea Hathor che porta l'appellativo di "signora del sicomoro". Il sicomoro era connesso anche con altre dee, come ad esempio Isis e Nut, ed era raffigurato con elementi antropomorfi, come le braccia o la figura intera della dea tra le sue fronde. Nelle scene di contenuto funerario l'albero munito di braccia porge offerte al defunto; nel caso della tomba di Thutmosis III la dea del sicomoro, forse Isis, è rappresentata nell'atto di allattare il sovrano. Nei Testi delle Piramidi si menziona un albero che sorse sulla collina primordiale in mezzo al Nun (oceano primordiale). Si tratta dell'albero "centrale" o pilastro cosmico, che aveva la chioma ai confini col cielo e le radici nel mondo sotterraneo. Ogni nomo o distretto amministrativo aveva uno o più tipi di alberi ritenuti sacri: alcune piante crescevano all'interno del temenos dei templi e talora sono state trovate le loro buche con le radici. Le liste dei nòmi tramandano i nomi degli alberi, dei pesci e degli animali sacri nei vari distretti. Vi erano inoltre gli alberi sacri dell'orizzonte; due di essi erano venerati a Tebe, uno nel tempio di Karnak, l'altro nel tempio di Ramesse III a Medinet Habu. Le immagini cultuali per eccellenza erano le statue alloggiate all'interno dei templi. Esse costituivano un'immagine materiale della divinità in cui lo spirito divino entrava e si incarnava. Dai testi letterari e religiosi si apprende che la divinità era immaginata come composta dai più pregiati ed incorruttibili materiali: di argento erano le sue ossa, d'oro la carne e di lapislazzuli i capelli. Per questo le statue di culto erano fabbricate in materiali preziosi, ragione che ne ha determinato la quasi completa sparizione. Rare risultano infatti le statue di culto che si sono conservate fino ai nostri giorni. Esse erano originariamente collocate all'interno di un naòs posto nella stanza più interna del tempio, che era anche la più buia e inaccessibile. Su alcune pareti del tempio di Hathor a Dendera sono conservate le descrizioni dettagliate delle statue di culto e anche notizie relative agli artigiani che le fabbricavano all'interno del recinto sacro e ai sacerdoti che le consacravano con rituali appositi. Secondo questi testi nel tempio di Dendera vi erano 162 tipi di statue, che variavano in altezza da 22,5 cm a 2,1 m ed erano di materiali diversi: le più antiche di legno, le altre d'oro o di rame ricoperto da lamina d'oro con occhi incrostati e attributi in oro. Tale descrizione corrisponde perfettamente a quanto è stato trovato a Dendera: il cosiddetto "tesoro", rinvenuto nel 1918 nei pressi del lago sacro, è costituito da statue in foglia d'oro e d'argento con elementi in altri materiali. Solo il sovrano e i sacerdoti più alti di grado potevano entrare nella stanza ove alloggiava la statua del dio per celebrare il culto giornaliero, consistente nell'apertura del naòs e in una serie di gesti e recitazioni che dovevano essere ripetuti sempre uguali ogni giorno. Dopo aver "svegliato" la statua del dio, il sacerdote ripeteva per quattro volte una formula di adorazione, quindi venivano deposte le offerte sugli altari e, terminato il pasto, iniziava la toilette della statua, che consisteva nel lavaggio, nel rinnovamento degli abiti, nel trucco e nella unzione della statua con olio chiamato mḏt. Infine erano portate al dio offerte di stoffe di lino fine, cinque grani di natron, cinque di un altro tipo di sale e cinque di resina; si aspergeva la stanza con acqua e con incenso poi il naòs veniva richiuso e con esso anche la stanza. Le numerosissime statue in pietra, anche di grandi dimensioni, che raffigurano gli dei del Pantheon egiziano non sono propriamente statue di culto, ma rappresentazioni di statue di divinità. Gli dei possono essere raffigurati in forma animale, antropomorfa e mista, con corpo umano e testa animale. Pochi sono i casi in cui la divinità ha corpo animale e testa umana: è il caso di Mertseger, dal corpo anguiforme e volto di donna, che si credeva vivesse in una caverna nella montagna tebana chiamata el-Qurn. Le statue delle divinità oltre che abitare nei loro naòi all'interno dei templi potevano essere trasportate in processione e in visita a divinità in altri santuari durante feste annuali. Tali processioni erano occasione di grandi festeggiamenti e di partecipazione da parte dei fedeli, che tuttavia non potevano vedere direttamente la statua del dio, ma solo i suoi emblemi. La statua infatti era posta all'interno di un naòs di legno dorato, collocato su un modellino di barca a sua volta situato su una portantina. Tali barche processionali erano conservate all'interno dei templi in ambienti appositi o nella stanza del naòs; ogni dio aveva le proprie, che lo dovevano trasportare insieme con le altre divinità della triade e altri ospiti nel suo tempio. Un'altra occasione di uscita rituale del dio era la festa nel corso della quale la statua veniva collocata su una barca per la navigazione sul lago sacro situato all'interno del recinto del tempio. Questo tipo di imbarcazione processionale era conservato nella cosiddetta "cappella della barca", che si trovava presso il lago sacro. Lo spirito Ba delle divinità oltre che incarnarsi in una statua, in un albero o in una pietra poteva manifestarsi in un animale che costituiva perciò l'immagine vivente del dio. Ogni divinità prediligeva una o due specie animali, che di conseguenza erano sacre a quel dio e tabu alimentare nella città luogo di culto principale. L'animale, come la statua, era ipostasi del dio e non divinità essa stessa. Non tutti gli animali della specie, tuttavia, potevano ospitare lo spirito divino, ma solo uno o pochi esemplari che rispondevano a certe caratteristiche fisiche e di colore. Un solo animale in tutto l'Egitto era creduto essere il toro Api di Menfi, considerato ad un certo punto della storia egiziana come ipostasi del dio Ptah. Esso viveva in un tempio vicino a quello di Ptah a Menfi e secondo Erodoto (III, 28) era di colore nero con una macchia quadrangolare bianca sulla fronte, una in forma di avvoltoio sulla schiena, una in forma di scarabeo sotto la lingua, mentre i peli della coda erano divisi in due. All'Api venivano tributati i rituali giornalieri e al momento della sua morte veniva mummificato e sepolto in una necropoli ad esso consacrata nell'area di Saqqara. A partire dal Nuovo Regno furono allestite tombe sotterranee scavate in lunghe gallerie, con enormi sarcofagi di granito che ospitavano la mummia dell'animale e il suo corredo. Queste catacombe sono ora note con il nome di Serapeum e furono scoperte da A. Mariette nel 1850. Con la morte, il toro Api veniva identificato con Osiris e veniva così venerato come Osiris-Api o Osirapi. Subito dopo la sua tumulazione iniziava la ricerca di un nuovo animale in tutto l'Egitto. Nel tempio di Api era anche ospitata e venerata sua madre, considerata come colei che ha generato il toro sacro e quindi ipostasi della dea Isis. Pure per essa erano previsti la mummificazione e il seppellimento in una necropoli sacra chiamata Iseum, situata anch'essa a Saqqara e rinvenuta da B. Emery nel 1970. Spesso all'interno dei recinti templari vi erano aree destinate agli animali sacri alla divinità, talora con laghi ad essi dedicati, come nel caso dei coccodrilli o di uccelli acquatici; il loro culto era praticato da sacerdoti specifici che si occupavano anche della loro mummificazione e sepoltura. Necropoli per animali sacri sono state trovate in numerosi luoghi: a Saqqara, dove vi sono diverse gallerie sotterranee destinate, oltre che ai tori Api e alle loro madri, a gatti, babbuini, falchi, ibis; a Mendes, Herakleopolis Magna, Elefantina e Esna, ove sono sepolti gli arieti sacri; a Tell Basta e Beni Hasan i gatti; ad Armant (Hermonthis) i tori Buchis (sepolti nel Bucheum); a Heliopolis i tori Mnevis; a Dendera le vacche; a Kom Ombo, Tebtynis, Hawara e altre località del Fayyum i coccodrilli. Durante il periodo ellenistico-romano in diversi templi del Fayyum venivano adorate divinità coccodrillo e tali animali erano presenti sia come ipostasi viventi nei laghi sacri annessi ai santuari sia come mummie oggetti del culto. La mummia del coccodrillo sacro defunto prendeva il posto della statua di culto nel naòs del tempio, che aveva perciò forme e misure adatte ad ospitare un animale di grandi dimensioni e di forma allungata. La mummia, nel suo involucro di bende o cartonnage, era solitamente conservata su una barella in legno che veniva estratta dal naòs durante le processioni sacre.
A partire dal tardo Nuovo Regno e soprattutto durante l'Epoca Tarda fino al periodo romano si sviluppò una forma di pietà popolare che consisteva nel portare come offerta votiva mummie di animali sacri ad alcune divinità in santuari situati in aree di necropoli. Tali santuari erano collegati a catacombe sotterranee, dove le mummie degli animali venivano sepolte. Particolarmente estese sono quelle situate a Saqqara Nord, comprendenti lunghe e basse gallerie in cui furono deposti alcuni milioni di ibis, falchi, babbuini, cani o sciacalli, gatti, serpenti e vari tipi di roditori. Gli animali venivano mummificati, avvolti in bende e poi racchiusi in sarcofagi o in contenitori di terracotta opportunamente fabbricati. È stato supposto che tali animali siano stati così trattati grazie alla pietà dei fedeli che raccoglievano le loro spoglie in tutto l'Egitto per poi portarle in questi santuari, ma si ritiene anche che vi fossero allevamenti appositi situati vicino ai laboratori in cui essi venivano mummificati prima di essere posti in vendita presso i fedeli. In seguito le mummie erano deposte nelle gallerie sotterranee, sia in singole nicchie ricavate nelle pareti sia accatastate direttamente nelle gallerie. Dall'analisi delle mummie è emerso che in molti casi gli involucri racchiudono solo parti degli animali o dei fantocci e che i procedimenti si differenziano anche di molto dal punto di vista dell'accuratezza. Vi sono cioè mummie che possono essere definite "di lusso", in cui l'animale è ben conservato in tutte le sue parti e accuratamente avvolto in bende, talora decorato, mentre altre sono il frutto di un trattamento assai sommario. Vi sono inoltre casi in cui l'animale è sostituito da una statuetta o da altro. Studi ancora in corso su queste deposizioni stanno apportando nuove e importanti conoscenze dal punto di vista sia cultuale sia dell'evoluzione genetica, zoologica e virale. Nei templi egiziani si deponevano anche altri ex voto, come vasi, statue, statuette, gioielli, amuleti, oggetti vari, talora connessi con la divinità, e stele. I materiali e il grado di qualità con cui erano realizzati tali oggetti erano i più diversi, dalla pietra alla stoffa, dalla migliore esecuzione fino alla più modesta. Essenziale era la presenza sull'oggetto di un'iscrizione dedicatoria che menzionava la divinità e il dedicante. Gli ex voto possono dividersi in due gruppi: quelli dedicati alla divinità come ringraziamento per aver ricevuto un beneficio e quelli che venivano deposti in un determinato santuario affinché il dedicante e la sua famiglia continuassero ad essere presenti accanto al dio e a godere dei suoi riti e delle offerte giornaliere ad esso consacrate. È il caso ad esempio delle statue e delle stele di carattere non funerario che venivano deposte come ex voto nei templi e all'interno della grande area sacra di Abido, dove venivano erette a questo scopo anche cappelle private. Tali cappelle potevano contenere una o più stele, tavole per offerte e statue su cui erano incisi testi dedicatori in cui si menzionano il nome e i titoli del proprietario e dei componenti della sua famiglia. Ad Abido inoltre la tomba del re Djer (I Din.) fu trasformata, almeno a partire dal Medio Regno, in un cenotafio di Osiris e vi vennero deposte centinaia di offerte contenute in vasi di terracotta, i cui frammenti ancora oggi caratterizzano il sito. Le stele votive sono lastre di pietra che hanno prevalentemente una forma rettangolare con il lato superiore centinato. Il soggetto della raffigurazione verte generalmente sull'offerta che il dedicante porta ad una o più divinità. Di un tipo particolare sono quelle che prevedono all'interno della scena la presenza di uno o più orecchi, interpretati come la capacità del dio di ascoltare la preghiera rivoltagli sulla stele. Stele votive in gran numero sono state trovate oltre che ad Abido anche nel Serapeum di Saqqara. Le statue templari, deposte nei cortili dei templi a partire dal Medio Regno, rappresentano personaggi maschili, generalmente di alto rango o funzionari, che si rivolgono alla divinità in atteggiamento di preghiera, di offerta o di contemplazione. È questo il caso delle cosiddette "statue-cubo", che raffigurano un personaggio seduto a terra o su di un cuscino con le gambe piegate e portate al petto e le braccia incrociate sulle ginocchia; il corpo è spesso avvolto in un mantello da cui fuoriescono solo la testa e le mani. Come offerta al dio le statue possono portare diversi oggetti o altre statue, collocate o no all'interno di sacelli (statue naofore), e raffiguranti la divinità a cui il monumento viene dedicato o suoi emblemi. Vi è inoltre una tipologia di statue che raffigura il dedicante in posizione di scriba, vale a dire seduto a terra con le gambe incrociate e con un rotolo di papiro svolto nelle mani. Il personaggio può essere rappresentato nel momento in cui legge il papiro o in cui scrive. Anche i sovrani erano soliti collocare loro statue all'interno dei templi non solo per godere dei rituali divini, ma anche per essere costantemente presenti in questo modo in tutti i santuari d'Egitto. Statuette votive raffiguranti divinità potevano essere fabbricate in pietra, terracotta, faïence e bronzo. Si tratta per lo più di figurine prodotte in serie che furono deposte nei santuari a partire dall'Epoca Tarda. In genere sono di piccole dimensioni e di mediocre fattura, tuttavia non mancano quelle di dimensioni medio-grandi e con rifiniture polimateriche. Le statuette in bronzo sono generalmente prodotte per fusione piena o semipiena e, nei casi più pregiati, sono rifinite con agemine d'oro, argento e rame. Le divinità sono raffigurate in tutte le varianti delle loro forme, antropomorfe, zoomorfe o miste; sono anche riprodotte le loro insegne e altri animali sacri, come ad esempio i pesci. Numerose favisse di bronzetti sono state rinvenute a Saqqara in diversi momenti della storia dell'esplorazione del sito. Anche nei templi egiziani di epoca ellenistica e romana venivano deposte statuette in terracotta e in bronzo fabbricate a stampo e raffiguranti divinità e nanetti danzanti connessi con le danze rituali. Con l'andare del tempo l'accumulo di tali oggetti e monumenti era tale che per esigenze di spazio essi venivano raccolti e sepolti in fosse all'interno del recinto sacro; in questo modo rimanevano comunque nell'ambito del santuario. È questo il caso, ad esempio, della cosiddetta cachette di Karnak contenente 17.000 statue e statuette, rinvenuta nel cortile presso il VII pilone del tempio di Amon-Ra da G. Legrain nel 1903 e di quella di Luxor trovata nel 1989 nella corte colonnata di Amenhotep III nel tempio di Amon e contenente grandi statue di divinità e di sovrani in perfetto stato di conservazione. Accanto al culto ufficiale praticato nei templi vi era quello domestico, celebrato all'interno delle abitazioni private, in cui, almeno a partire dal Nuovo Regno, vi era un piccolo altare e una o più piccole immagini di divinità, e in piccole cappelle pubbliche. Gli dei maggiormente presenti in ambito domestico sono quelli protettori del corpo, della vita familiare, dei bambini, delle donne, della fertilità e anche del sonno, come Bes, Hathor, Toeris, Isis, Renenuthet, anche se non mancano gli altri dei del pantheon egiziano e talora qualcuno anche straniero. Tra i culti domestici praticati dagli abitanti di Deir el-Medina vi è anche quello per gli antenati, di cui restano numerosi ex voto costituiti da stele e busti in calcare raffiguranti il defunto definito come "eccellente spirito di Ra". Ad essi veniva tributato un culto che consisteva nell'offerta di alimenti, al fine di mantenere vivo un rapporto con un antenato che avrebbe potuto soddisfare le richieste e le preghiere degli abitanti della casa e del villaggio. Nel villaggio operaio di Deir el-Medina vi erano almeno 40 cappelle dedicate al culto popolare delle maggiori divinità, tra le quali Osiris, Amon, Anubis, Ptah e anche il faraone Amenhotep I e la regina Ahmosi Nefertari, ciascuna affidata alle cure di una confraternita in cui si riunivano gli abitanti dello stesso villaggio. In tali piccoli santuari si celebravano i culti e venivano anche deposti ex voto, come statuette e stele. I culti e le processioni erano celebrati dagli stessi operai che assumevano il ruolo di sacerdoti.
Ogni tempio aveva una piccola stanza chiamata "il tesoro", in cui erano conservati gli oggetti più preziosi che servivano sia per celebrare i culti sia come patrimonio del dio. Essi consistevano negli emblemi della divinità, come ad esempio corone, scettri, pettorali, collane, e in offerte simboliche come la statuetta della dea Maat, l'occhio ugiat, la collana menat, sistri, ecc. Tutti erano fabbricati con materiali preziosi ed erano utilizzati nelle più importanti feste e occasioni solenni. Pochi sono gli strumenti del culto che si sono conservati, ma essi sono raffigurati in alcune scene scolpite a bassorilievo sulle pareti dei templi maggiori che rappresentano le statue degli dei presenti nel santuario e riti diversi celebrati in loro onore. Si tratta per lo più di scene di offerte agli dei da parte del sovrano e dei sacerdoti: l'offerta consiste nel portare alla divinità cibi, come pani, dolci, arrosti, verdura, frutta e bevande, ma anche fiori, corone, oli, stoffe, collane, sistri, specchi e altri oggetti. Frequenti sono anche le scene di incensamento della divinità: l'incenso veniva bruciato in una coppetta dalle pareti diritte oppure in un piccolo recipiente posto ad una estremità di un incensiere che aveva la forma di un braccio. Alcuni incensieri in bronzo di questo tipo si sono conservati e ciò consente un esame dettagliato e il confronto con quelli raffigurati. La forma è sempre la stessa: un braccio lungo 30-40 cm che termina in una mano aperta e col palmo rivolto verso l'alto, su cui è una coppetta per le braci; un altro piccolo recipiente per contenere i grani di incenso era situato sul braccio, che terminava all'altra estremità con la testa di un falco. Alcuni riti erano accompagnati dal suono del sistro, strumento musicale in bronzo usato talora abbinato al menat, una pesante collana formata da più fili di perline che poteva essere impiegata per generare suoni. Il sistro è costituito da un manico su cui si innesta un elemento arcuato in forma di ovale allungato, attraversato in orizzontale da lamine o fili di bronzo mobili a cui sono appesi qualche volta dei sonagli. L'elemento poteva essere sostituito con uno che aveva una forma più squadrata e che ricorda quella di un naòs o di una porta monumentale, noto fin dall'Antico Regno. Lo strumento poteva essere decorato con il volto della dea Hathor e con figurine applicate di gatte, con o senza gattini, animali sacri a Bastet. Il suono è prodotto dallo scuotimento delle lamine. Il sistro, usato da sacerdoti, musiciste e cantanti durante le cerimonie religiose, era connesso in particolare con la dea Hathor e con il suo culto: un esemplare custodito nel tesoro del tempio di Dendera era considerato incarnazione della dea. Tra gli strumenti impiegati nei riti religiosi vanno menzionati diversi tipi di recipienti di ceramica, faïence e metallo, per lo più bronzo. Essi erano usati per le libagioni, ma anche per offerte di fiori, di incenso o di alimenti. Tra i più frequentemente riprodotti nelle scene di offerta vi sono i tipi denominati nmst, con coperchio e beccuccio, e ḥst, usati per libagioni; vi sono poi quelli specifici per l'offerta del latte, della birra, del vino e di diversi tipi di oli e unguenti. Alcuni esemplari si sono conservati in corredi funerari. Dal Nuovo Regno fino all'epoca romana nelle libagioni è usata anche la situla, un recipiente per acqua, latte o vino, di bronzo, piriforme e con manico mobile arcuato. Diverse situle conservate presentano una decorazione incisa sulla parete esterna generalmente riproducente scene di libagione o di offerta alle divinità. I rituali erano dunque numerosi e ogni tempio aveva i propri, specifici della divinità locale. Ve ne erano inoltre altri celebrati durante le feste. Ognuno era codificato in testi ricopiati principalmente su papiro, alcuni dei quali si sono conservati e sono denominati Testi drammatici.
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