L'archeologia delle pratiche cultuali. Estremo Oriente
In tutto l'Estremo Oriente la generalizzata adozione di materiali deperibili per la realizzazione di strutture monumentali, sia di uso civile che religioso, non ha permesso la conservazione di palazzi e templi e quindi i manufatti ad essi eventualmente associati di rado sono immediatamente riconoscibili come oggetti di culto o strumenti rituali, ancora più incerto se materiali votivi. Le evidenze di cui l'archeologia dell'Estremo Oriente dispone per la ricostruzione degli aspetti cultuali o rituali delle culture preistoriche e protostoriche, fino agli ultimi secoli del II millennio a.C., provengono quasi esclusivamente da contesti funerari; a partire dal I millennio a.C. a questi si aggiungono, in Cina, numerose testimonianze testuali; solo con la maturazione del taoismo religioso, del confucianesimo e la diffusione del buddhismo, e delle loro strutture cultuali, alcuni tipi di rinvenimenti archeologici possono con certezza essere riconosciuti come oggetti di culto, strumenti rituali o materiali votivi non legati a pratiche funerarie. Tra le prime evidenze di attività cultuali messe in luce in Cina, sono forse quelle legate alla ritualità funeraria rinvenute nella Grotta Superiore di Zhoukoudian riferibili alle fasi finali del Paleolitico superiore. Evidenze di una matura ritualità provengono, però, da siti neolitici databili ad iniziare dal VII millennio a.C. e sono ancora di tipo funerario. Da tali evidenze sembra potersi evincere che ai defunti, per la maggior parte riuniti in necropoli forse perché riconosciuti come membri di un determinato sistema di discendenza, fossero associati culti di tipo familiare. Una matura ritualità funeraria è dunque quella che testimonia la deposizione di vasellame ceramico di uso comune, associato a macine e pestelli litici e ad utensili in pietra o conchiglia nelle sepolture in fossa delle necropoli riferibili alla cultura Cishan-Peiligang (Henan, 6500- 5000 a.C.), fino ad oggi da ritenere la più antica cultura neolitica della Cina settentrionale. A pratiche rituali, forse funzionali allo stabilirsi di un contatto fra mondo fenomenico e aldilà, sono da collegare alcune decorazioni vascolari tipiche della cultura Yangshao (ca. 5500- 3500 a.C.), quali quelle su ciotole e bacili in ceramica rossa dalla necropoli di Banpo (Xi'an, Prov. di Shaanxi, 5000-3500 a.C.) consistenti in volti antropomorfi con due pesci che convergono all'altezza delle guance. Su tali motivi decorativi vi è chi ipotizza che possa trattarsi della raffigurazione di uno "sciamano" nell'atto di un rito propiziatorio; altri ritengono che possa trattarsi o di un animale totemico, o della raffigurazione simbolica dell'organo sessuale femminile o, infine, della sintetica rappresentazione del sacrificio di un pesce ad uno spirito della fertilità; in mancanza di seri riscontri, però, non si può che restare nel campo dell'ipotesi. Secondo non condivisi modelli interpretativi ancora adottati dagli archeologi cinesi, le strutture della parentela in età neolitica sarebbero state di tipo matriarcale; al di là della validità di tali modelli, numerosi sono i ritrovamenti avvenuti in territorio cinese, soprattutto nelle regioni del Nord-Est, di statuine femminili aventi sicuramente valore rituale. Dal sito di Xinglongwa (bandiera di Aohanqi; Mongolia Interna orientale; ca. 6000-5000 a.C.) proviene una statuina di pietra che rappresenta una figura umana con occhi aperti e braccia conserte che, per essere stata rinvenuta su un piedistallo, è stata interpretata come la raffigurazione di una divinità. Una figurina femminile, simile a quella del vicino sito di Xinglongwa, è stata rinvenuta a Baiyinchanghan (contea di Linxi), questa volta posta presso il focolare al centro di una capanna e con la testa orientata verso la porta: per questo, interpretata come una divinità del focolare, in qualche modo correlata al cibo e al calore. Poco più a sud, a Houtaizi presso Luanping (Prov. di Hebei) in un abitato databile al 5000 a.C. circa, sono state rinvenute sette statuine in pietra (la cui altezza varia da 5 a 10 cm): alcune, in posizione stante, hanno evidenti segni di gravidanza, altre, con il ventre piatto, sono invece nella posizione del parto. Secondo una delle interpretazioni correnti, tali statuine potrebbero aver rappresentato divinità femminili venerate nell'ambito di un culto della fertilità. Ancora nella Cina del Nord-Est, nelle fondazioni di una capanna a Zhaobaogou, vicino ad Aohanqi (4500-4000 a.C.), è stata trovata una piccola testa in ceramica dai lineamenti ben modellati che potrebbe essere stata parte di una statuina oggetto di un culto familiare. Nel Nord-Ovest, a Shizao, presso Tianshui (Prov. di Gansu), è stata messa in luce una giara funeraria, riconducibile alla cultura Majiayao (ca. 3500-2000/1800 a.C.), che presenta sulla spalla una testina antropomorfa applicata a rilievo. Questa per una sorta di acconciatura frontale dei capelli, per la presenza di fori ai lati del capo, forse per orecchini, e per i tratti delicati del volto, è stata riconosciuta come di una figura femminile; il corpo molto stilizzato, cui la testina appartiene, è dipinto in nero con le costole in evidenza. Tale giara può essere considerata come esemplificativa di una categoria di vasellame, soprattutto riferibile alla fase Machang (ca. 2350-2000 a.C.), con decorazioni antropomorfe o totalmente a rilievo o in parte a rilievo, in parte schematicamente dipinte, con o senza espliciti attributi sessuali ‒ in un caso i due sessi sono associati sulla stessa figura (sito di Liuwan) ‒ che sono forse da considerare come evidenze di una cultualità legata a riti della fecondità. Ancora nel Nord-Est, nell'odierna Provincia di Liaoning, recenti ricerche hanno rivelato la formazione di società complesse (cultura di Hongshan, ca. 3500-2500 a.C.) la cui cerimonialità sembra essere rappresentata da figure in terracotta, antropomorfe e zoomorfe, modellate a tutto tondo in vigorose forme piene e arrotondate. A Niuheliang, ad esempio, all'interno di una lunga struttura ipogea verosimilmente di tipo templare, con pareti di argilla dipinta a motivi geometrici, sono stati messi in luce frammenti di sette figure femminili (a grandezza naturale, a grandezza doppia del naturale e a grandezza tripla) disposte in gradazione ed accompagnate da figurine di draghi ed uccelli di argilla dipinta. Tra i rinvenimenti del "tempio", quello di un volto femminile a grandezza naturale e dai tratti somatici molto marcati. A Dongshanzui (contea di Kezuo, Prov. di Liaoning), associate ad una struttura identificata come un altare, sono state rinvenute altre statuine in ceramica, acefale, a torso nudo e con ventre arrotondato forse ad indicare uno stato di gravidanza. Tali statuine fittili spesso associate a manufatti zoomorfi in giada molto stilizzati e di difficile interpretazione ‒ ad esempio il cosiddetto "drago-maiale" zhulong ‒ attestano una forma di religiosità forse legata a culti della fecondità. Nelle regioni gravitanti intorno alla media e bassa valle dello Yangtze si manifesta, in età neolitica, l'espressione di una diversa tradizione rituale incentrata su culti di tipo fallico. In tal senso si è suggerito di interpretare alcuni, alquanto complessi, oggetti conici in ceramica rinvenuti a Dengjiawan (cultura Qujialing, Hubei, 3000 a.C.), mentre nei siti di Fanshan e Yaoshan (contea di Yuhang, Prov. di Zhejiang), riferibili alla cultura Liangzhu (3300-2200 a.C.), diversi manufatti rituali in giada ‒ bi (disco con foro centrale), cong (cilindro incastrato in un parallelepipedo) ed asce in particolare ‒ rinvenuti tra gli oggetti di corredo di sepolture disposte presso una struttura identificata come un altare recano incisioni raffiguranti esseri antropomorfi terrifici abbigliati con sontuosi copricapo piumati, il cui corpo è decorato da motivi che forse imitano dei tatuaggi: sul bacino di tali personaggi spiccano poderosi, sebbene stilizzati, organi maschili. Sembra plausibile l'ipotesi che tali strumenti così carichi di significati simbolici siano stati deposti ad accompagnare particolari individui da riconoscere come degli "specialisti rituali". Ancora nel sito di Dengjiawan, ma dai livelli riferibili alla cultura Shijiahe (ca. 2400-2000 a.C.), provengono numerose statuine di ceramica rossa raffiguranti ogni sorta di animale e, sul finire del periodo, statuine antropomorfe che sembrano essere degli offerenti. Sebbene i contesti di rinvenimento non consentano di offrire sicure spiegazioni della loro utilizzazione, è difficile negare che tali statuine non siano interpretabili come oggetti di culto o votivi. Secondo alcuni studiosi al passaggio dalla cultura Shang a quella Zhou (fine del II millennio a.C.) si sarebbe verificata la transizione da strutture sociali di tipo matriarcale a strutture patriarcali nel cui ambito il ruolo procreatore dell'uomo sarebbe divenuto oggetto di culto; in tale prospettiva, però, alcune delle evidenze databili tra la fine del IV e l'inizio del III millennio a.C. suggerirebbero che tale transizione sarebbe eventualmente avvenuta in età più antica: oltre ai dati menzionati provenienti da Dengjiawan, Fanshan e Yaoshan, vi sarebbero una testa antropomorfa di ceramica da Houwa (Prov. di Liaoning) plasmata in forma di fallo e numerosi manufatti ceramici e litici più o meno esplicitamente falliformi, rinvenuti nei siti della cultura Longshan (ca. 3000-2000 a.C.) nella media valle del Fiume Giallo, a simboleggiare l'avvenuta affermazione di un modello di discendenza per via maschile. Un sofisticato sistema cultuale pienamente sviluppato è quello che si manifesta dall'inizio del II millennio a.C. con la diffusione della metallurgia del rame/bronzo e l'affermazione di strutture sociali complesse di tipo protostatale. Sostanzialmente tale sistema, nell'ambito della cultura Shang (dinastia Shang, secc. XVI-XI a.C.), consiste nella venerazione di una "divinità superiore" (Signore dell'Alto o Shang Di), di elementi naturali e degli spiriti degli antenati con i quali era mantenuto un costante contatto attraverso pratiche divinatorie scapulimantiche e offerte di cibo e "vino" (alcoli fermentati da cereali) presentate nel corso di banchetti rituali officiati con una ricca tipologia di vasellame di bronzo. Quest'ultimo, nella maggior parte dei casi, entrava a far parte ‒ secondo norme che ancora per larga parte ci sfuggono ‒ dei corredi funerari dell'aristocrazia affinché il defunto potesse continuare ad onorare i propri antenati nell'aldilà. Sebbene non si conosca con esattezza quale fosse la prassi cerimoniale Shang, i dati archeologici e testuali evidenziano un'imponente struttura liturgica in funzione della quale politica e vita di corte erano organizzate. Principale strumento di tale liturgia era il vasellame rituale di bronzo, di giada e, meno frequentemente, di avorio, di osso, di ceramica candida, le statuine di pietra, per lo più giada, gli strumenti musicali (campane e tamburi) e le armi rituali di bronzo, eccezionalmente bronzo e giada o bronzo e ferro meteoritico, usate sia come simboli di status, sia per l'esecuzione di cruenti, e particolarmente numerosi, sacrifici umani ed animali. Nell'unica sepoltura reale non depredata fino ad oggi, messa in luce nell'area dell'ultima capitale Shang, Yin presso Xiaotun (Anyang, Prov. di Henan), la tomba di Fu Hao consorte del re Shang Wuding (ca. 1250 a.C.), l'intero campionario di oggetti cultuali, strumenti rituali e vittime sacrificali ‒ tutti disposti in gruppi stratificati sicuramente determinati da precise norme rituali ‒ è stato rinvenuto all'interno della profonda fossa di sepoltura. Una ritualità diversa da quella Shang è attestata nel bacino del Sichuan dai rinvenimenti di Sanxingdui (contea di Guanghan) databili tra il 1300 ed il 1000 a.C. In un insediamento cinto da mura in terra battuta si sono rinvenute, in prossimità di una collina artificiale terrazzata, due grandi fosse contenenti statuine, maschere e figure antropomorfe di bronzo (talvolta fornite di maschere d'oro), un bastone coperto da foglia d'oro con decorazioni zoomorfe à repoussé, utensili rituali di giada e di pietra, ossa animali combuste, conchiglie di Cypraea sp. e, nella sola fossa n. 2, più di 60 zanne di elefante. La disposizione ordinata dei reperti ‒ intenzionalmente bruciati o frammentati ‒ all'interno delle due fosse dimostra che esse furono volutamente riempite in un contesto rituale, anche se ignoriamo quali fossero la natura del culto rappresentato da quei reperti e la ragione che ne determinò l'interramento e se essi avessero una qualche valenza votiva. La grande figura stante (alta 172 cm) su piedistallo e le maschere con grandi occhi sporgenti rinvenute nella fossa n. 2, in particolare, sebbene abbiano per noi un aspetto grottesco, denunciano, come quelle avimorfe con becco adunco, una funzione cerimoniale e religiosa. Particolarmente importante è il rinvenimento di almeno tre alberi di bronzo (altezza da 1 a 4 m) ornati da foglie, frutta e uccelli che, insieme a una statuina di bronzo con testa umana coronata e corpo avimorfo, attestano la specificità dei culti locali, riflesso di un complesso di credenze religiose diverse da quelle della coeva cultura Shang della valle del Fiume Giallo. I rinvenimenti effettuati nelle valli del Fiume Wei e del Fiume Giallo riferibili alla cultura dei Zhou (dinastia Zhou Occidentali, XI sec. - 770 a.C.) evidenziano una certa diversità di credenze, culti e riti rispetto agli Shang, sebbene i Zhou ‒ dopo aver sostituito, o meglio assimilato, come suprema divinità lo Shang Di degli Shang con il loro Tian (Cielo) ‒ abbiano fatto propri il sistema Shang di culto degli antenati e la ritualità ad esso legata. Gli strumenti di tale ritualità, e primi fra tutti i vasi di bronzo, dimostrano, infatti, sia nella tipologia delle forme sia nella sintassi simbolico-decorativa, sostanziali divergenze rispetto ai modelli Shang. La ritualità dell'epoca Zhou, inoltre, per la disponibilità, sebbene limitata, di fonti, è meglio conosciuta, soprattutto per quel che riguarda i riti che scandivano la vita degli individui maschi appartenenti all'aristocrazia. Le testimonianze archeologiche, d'altra parte, sul finire dell'epoca dei Zhou Occidentali e, soprattutto, nelle epoche Primavere ed Autunni (770-476 a.C.) e Stati Combattenti (475-221 a.C.), prima in concomitanza della transizione da una società aristocratica ad una società urbana e, poi, della koinè culturale che avrebbe favorito la nascita dello Stato unificato operata da Qin Shihuangdi, rivelano una vertiginosa crescita della complessità rituale, sia quella relativa ai culti dei defunti e degli spiriti immortali (xian) del mondo celeste, terreno ed ultraterreno, sia quella relativa alla cerimonialità civile necessaria al mantenimento dell'etica sociale e dell'ordine delle relazioni sociali. In questo ambito acquistano un ruolo di strumento rituale di primo piano, oltre alla ricca gamma di vasellame di bronzo o di lacca, alcuni tipi di ornamenti rituali di giada (e pietre semipreziose) e di bronzo dorato, più raramente d'oro, e gli strumenti musicali (principalmente tamburi, campane, litofoni) necessari per l'esecuzione, spesso rappresentata su vasellame rituale, di danze e canti. Ad esempio, nella tomba n. 1 a Leigudun (contea di Sui, Prov. di Hubei), attribuita al marchese Yi di Zeng (morto nel 433 a.C.), è stata rinvenuta una scatola a forma d'anatra di legno laccato decorata con scene di danza in cui il personaggio principale è caratterizzato da un'alta acconciatura e da una maschera avimorfe: potrebbe trattarsi di un wu, sorta di sciamano attestato in vari testi tra cui le Elegie di Chu (Chu ci) sono forse le più note. L'importanza rituale della musica è poi confermata, soprattutto nelle regioni del medio e basso Yangtze, da numerosi rinvenimenti, tra cui vale la pena di ricordare l'impressionante gruppo di più di 70 campane bianzhong di bronzo, ancora sospese alla struttura di sostegno di legno laccato, facenti parte del corredo funebre dello stesso marchese Yi di Zeng, o il gruppo di 36 bianzhong di bronzo nella tomba n. 2 di Leigudun o quello di 26 bianzhong di bronzo nella tomba n. 2 di Xiasi (Xichuan, Prov. di Henan) appartenuta ad un membro dell'aristocrazia del regno di Chu morto intorno al 550 a.C. Uno degli elementi più significativi relativi alla ritualità e ai culti che, in generale, si evidenzia nei corredi funerari di quest'epoca sta forse nei motivi decorativi antropomorfi che ornano gran parte degli elementi del corredo ‒ tra cui figurano ora anche vesti e "bandiere funerarie" di seta ricamata ‒ da riconoscere come gli spiriti immortali xian che si riteneva popolassero il mondo dei morti e dei viventi. Un'esplicita rappresentazione di uno di essi compare su un'ascia di bronzo, casualmente rinvenuta presso il fiume Zhang a Jingmen (Prov. di Hubei), riferibile all'epoca Stati Combattenti (475-221 a.C.). L'ascia è decorata sulle due facce da un essere con testa piumata e corpo (o un abito) coperto da piccole scaglie; in una mano stringe una creatura con due teste di drago, nell'altra una sorta di lucertola, mentre un piede poggia su un disco solare e l'altro su una falce di Luna. Sebbene l'identificazione del personaggio non sia certa, si tende a riconoscervi Taiyi (il Supremo Uno o la Suprema Unità), che un coevo testo di divinazione rinvenuto in una tomba a Baoshan (Prov. di Hubei), riferibile all'area culturale Chu, descrive come uno dei numerosi xian che ricevevano offerte sacrificali; lo stesso immortale Taiyi, all'inizio dell'era volgare, sarebbe stato incorporato tra le prime divinità del taoismo religioso da poco sviluppatosi dalla ben più antica filosofia taoista. Il contesto cultuale e rituale in epoca Han (206 a.C. - 220 d.C.) è dominato dalla ritualità confuciana, filosofia assurta ad ideologia di Stato proprio con tale dinastia, con la prevalenza dei culti familiari espressi principalmente dalle tavolette ancestrali recanti nome e rango dei defunti. Non mancano, però, corpose evidenze nei corredi funerari e nelle decorazioni tombali dell'epoca che rivelano credenze e pratiche cultuali legate al taoismo. Si evidenzia ora, nelle testimonianze letterarie come nella composizione dei corredi funerari o nella disposizione dei palazzi e delle tombe, regolata sia da dettami geomantici (vicini o parte delle credenze taoiste), sia dalle regole dell'etichetta confuciana, quella coesistenza, e a volte convergenza, cultuale e rituale tra elementi religiosi e filosofici diversi, caratteristica del pensiero e della religiosità cinesi negli ultimi due millenni. Forme persistenti di culti "sciamanici" si registrano, invece, presso le aristocrazie non cinesi che dominarono la Cina settentrionale all'epoca delle Dinastie del Nord (420-589 d.C.), come è suggerito sia da alcune lastre funerarie, ad esempio quella di terracotta grigia rinvenuta a Dengxian (Prov. di Henan) dove è raffigurato un personaggio danzante, con maschera sul volto e un cappello a punta, forse impegnato in un rito d'accompagnamento dell'anima del defunto, sia da alcune statuine funerarie che rappresentano lo stesso tipo di personaggio con cappello a punta, talvolta con maschera e bastone, danzante alla testa di un corteo funebre, ad esempio quello rinvenuto nella tomba di un aristocratico, Kudi Huiluo, della dinastia Qi del Nord (550-577 d.C.) scavata a Jiajiacun presso Shouyang (Prov. di Shanxi). Nel caso delle evidenze relative all'epoca delle Dinastie del Nord, inoltre, si nota la matura manifestazione dei culti e dei riti del buddhismo, introdotto in Cina intorno al I sec. d.C., sebbene gli aspetti della ritualità funeraria sembrino maggiormente ancorati a più antichi culti e credenze ancestrali. Nello stesso periodo, poi, nell'ambito del taoismo si assiste da una parte alla trasformazione del suo fondatore, Laozi (secondo la tradizione, vissuto intorno al VI-V sec. a.C.), da filosofo a divinità oggetto di culti specifici, com'è evidente in una stele di arenaria della Collezione Yamaguchi (Museo Municipale d'Arte, Osaka) datata al 515 d.C., dall'altra, nella transizione da filosofia a religione, all'appropriazione di gran parte degli aspetti liturgici, degli strumenti del rito e dell'iconografia propri del buddhismo: in una stele datata al 517 nel Museo delle Stele (Beilin) a Xi'an, ad esempio, Laozi e Buddha sono associati ed oggetto dello stesso culto. Tale tentativo sincretico era però destinato al fallimento; se, infatti, la figura del Buddha compare, all'epoca della dinastia degli Han Orientali, associata a contesti simbolici propri del taoismo ‒ ad esempio su specchi di bronzo, basi di ceramica per oggetti talismanici come gli "alberi dei soldi" di bronzo e decorazioni tombali ‒, il patronato offerto al buddhismo dalle aristocrazie non cinesi delle Dinastie del Nord dal V sec. in poi ne determinò lo sviluppo indipendente e allo stesso tempo parallelo a quello del taoismo e del confucianesimo. La crescita del buddhismo come religione e chiesa autonoma, tra il V ed il VI sec. d.C., segna l'avvento di nuovi culti e cerimonie con i relativi strumenti rituali. Il recente rinvenimento del tesoretto votivo nella cripta di fondazione della pagoda di Famen (Fufeng, Prov. di Shaanxi) ‒ dedicata al culto di una reliquia del Buddha ‒ ha fornito un campionario pressoché completo degli strumenti rituali, databili all'epoca della dinastia Tang (618-907), di una comunità buddhista posta sotto la protezione imperiale.
In età neolitica (ca. 6000-1000 a.C.) l'emergere di attività cultuali è suggerito in Corea dal rinvenimento di rozze mascherine dalle sembianze antropomorfe in diversi siti costieri: ad esempio una mascherina in conchiglia è stata rinvenuta nell'isola di Tongsamdong e, sempre in associazione a ceramica Yungkimun, un simile manufatto di argilla proviene dal livello III di Osanni alla foce del Namdaechon, mentre uno di osso è dal sito di Sopohang (Corea nord-orientale) dove, nel livello III compaiono dei manufatti di osso di insolita forma, spesso detti "idoli" per sottolinearne il probabile uso rituale; altre figure umane ed animali di argilla sono state trovate a Nongpodong nel Sud-Est della penisola ancora una volta insieme a ceramica Yongkimun. Un culto associato alla fertilità sembra documentato da una frammentaria figurina di pietra raffigurante un personaggio femminile nudo da Shinamni (Pusan), associata però a più tarda ceramica Chulmun. Nel corso del II millennio a.C., durante l'elusiva età del Bronzo coreana che vide l'ingresso di nuovi gruppi umani dal Nord e dal Nord-Ovest, nella ricca tipologia della ceramica Mumun la variante di colore rosso brunita, rinvenuta sia in abitato sia in sepolture, è spesso considerata di uso rituale come indicatore di posizioni di status; alla cerimonialità delle nascenti élites sono da mettere in relazione le corte spade di pietra calcarea striata e le perle cilindriche di amazzonite e di nefrite alle quali si associano, a partire dall'inizio del I millennio a.C., i pendenti "a virgola", gokok, che avranno poi un'importante posizione tra i parafernalia delle aristocrazie, coreane prima e giapponesi poi, del I millennio d.C. Certamente di uso rituale furono gli specchi di bronzo, per lo più da sepolture a cista databili dal VI secolo, con decorazioni geometriche di tipo "solare" o "stellare"; parimenti un uso cerimoniale devono aver avuto le ipertrofiche ge (punte di lancia o "alabarda") di bronzo e, soprattutto nel Sud, le campane a corpo trapezoidale di bronzo databili, come quelle rinvenute a Taegongni, intorno al 600 a.C.: sia le punte ge sia le campane a corpo trapezoidale avrebbero assunto, pochi secoli dopo, una importante funzione rituale fra le nascenti aristocrazie dell'arcipelago giapponese. Pratiche divinatorie scapulimantiche, verosimilmente di derivazione cinese, sono attestate nell'età del Ferro (400-200 a.C.) a Pomuigusok, sul fiume Tumen (Corea settentrionale), dove sono state rinvenute anche figurine di maiale di ceramica simili a quelle della Manciuria; più tarde, invece, le scapole divinatorie messe in luce nella Corea meridionale, ad esempio nel chiocciolaio di Kungongni, sito la cui stratificazione copre dal III sec. a.C. al IV sec. d.C. È possibile che tali evidenze siano in qualche modo collegabili a pratiche di tipo sciamanico, per altro ancora oggi vive in Corea; ad ambienti sciamanici si sono spesso riferiti anche alcuni tipi di sonagliere "a stella" e di campanelle di bronzo rinvenuti in diversi siti della penisola, come anche alcuni tipi di specchi di bronzo che imitano modelli cinesi risalenti all'epoca degli Han Occidentali (206 a.C. - 23 d.C.). Desta qualche dubbio, invece, la connessione a riti sciamanici di alcune ceramiche grigie a decorazioni incise provenienti da contesti riferibili al regno di Silla (57 a.C.? - 668 d.C.), nell'epoca dei Tre Regni (300-668); molto più probabilmente tali ceramiche erano parte di riti funerari che prevedevano offerte di cibo ai defunti. Della stessa epoca, ma nel territorio di Paekche, è un ripostiglio di statuine votive raffiguranti cavalli bardati, di ceramica e di ferro, rinvenuto all'interno della fortezza di Isong Sansong, su una collina prospiciente il Fiume Han, in un livello di occupazione Silla. Nelle tombe dell'epoca, oltre al vasellame, si rinvengono piccole statue in ceramica raffiguranti figure umane ed animali, come quelle da una sepoltura scavata nel 1920 durante la costruzione della stazione di Kyongju, fra le quali si notano personaggi maschili con il pene eretto a suggerire un collegamento con riti della fertilità. Nell'epoca dei Tre Regni gli specchi di bronzo mantengono un uso funerario, come attestato ad esempio nella tomba del re Munyong (501-523) di Paekche nel Kongju, collocati vicino alla testa del defunto per allontanare gli spiriti maligni; con la diffusione del buddhismo, però, essi assumono anche il ruolo di strumenti rituali della liturgia buddhista: inizialmente erano appesi con funzione apotropaica all'interno delle pagode, successivamente furono utilizzati per una cerimonia conosciuta come chijin (sopprimere gli spiriti della terra) celebrata prima che la pagoda fosse consacrata. La religione nativa sciamanica continuò a coesistere con il buddhismo nell'ambito del regno Koguryo (37 a.C.? - 668 d.C.), dove si mantenne anche il culto di divinità locali ‒ come Puyo, la progenitrice ancestrale, e suo figlio Chumong ‒ e l'uso di offerte sacrificali, nel corso di riti officiati da sciamane, a monti, ruscelli, agli spiriti della terra e del giorno. Con l'ascesa della dinastia Choson (1392-1910), l'assunzione del confucianesimo ad ideologia di stato condusse alla diffusione del culto degli antenati con il dispiego di vasellame rituale realizzato prevalentemente in porcellana bianca.
Agli inizi del periodo neolitico Jomon (6000-4500 B.P.) risalgono rare statuine di pietra intagliata, ad esempio quelle rinvenute nel sito di Akita (Honshu), interpretate come immagini propiziatorie che rimandano forse a rituali della fertilità. In alcune capanne del medio Jomon (4500-3500 B.P.) si osserva, sul lato nord-occidentale, la presenza di una piattaforma di pietra sulla quale erano collocati falli litici, statuine di ceramica e vasi deliberatamente spezzati: tale ritualità suggerisce che possa trattarsi di un altare domestico. Nei siti del periodo Jomon medio e finale (3500-2400 B.P.) statuette di argilla dogu, scoperte in gran numero, rappresentano figure umane ed animali rese in maniera o naturalistica o stilizzata. Un pronunciato schematismo riduce spesso gli arti superiori a monconi, sommario è il trattamento dei volti. Alcuni esemplari presentano la testa sormontata da pesanti acconciature e gli occhi dilatati con un taglio orizzontale al centro; spesso si osserva una combinazione di elementi umani e animali, prevalentemente felini, che fanno supporre una relazione con culti magici incentrati sulla credenza in personificazioni demoniache di uomini e animali. Le figure umane, soprattutto femminili con ventri rigonfi o con un solco centrale interpretato come una "linea ventrale" o "linea della vita", sembra documentino culti propiziatori di fecondità e fertilità, culti che trovano conferma anche nel rinvenimento di oggetti fallici in pietra. Il ritrovamento di molti esemplari volontariamente mutilati e spezzati ha fatto ipotizzare pratiche di magia simpatica. Le statuine zoomorfe prevalentemente rappresentano cinghiali, orsi, roditori, specie che erano effettivamente oggetto di caccia. Piccole maschere e composizioni geometriche di significato ignoto si riscontrano su dischi di terracotta, probabilmente utilizzati anche come monili con valore talismanico. Durante il periodo Yayoi (350 a.C. - 300 d.C.) apporti dalla Corea e dalla Cina, oltre all'agricoltura e alla metallurgia condussero sia all'introduzione di pratiche oracolari che prevedevano l'esposizione al fuoco di carapaci di tartaruga, sia alla diffusione di alcune classi di manufatti e strumenti d'uso cerimoniale, quali specchi di bronzo di fattura cinese, campane trapezoidali (dotaku) di bronzo, ipertrofiche punte di alabarde (dohoko) e punte di lancia (doka) di bronzo, che sono da mettere in relazione alle esigenze rituali ed ai culti delle nascenti élites regionali dell'arcipelago. Le dotaku, ad esempio, sono segnalate principalmente nel distretto del Kinai (Shikoku orientale) e presentano una forma standard caratterizzata da un elemento piatto di sospensione ad U e pareti esterne per lo più decorate con motivi geometrici. Poiché di norma le dotaku erano sepolte singolarmente o a gruppi (fino ad un massimo di 16) in luoghi isolati ed alti nei pressi di piane fertili, si è ipotizzato che esse facessero parte di interramenti rituali, votivi o legati a culti agricoli, o, meno probabilmente, di una forma di tesaurizzazione. Le dohoko e le doka, che sembrano avere un'area di distribuzione più meridionale, rappresentano oggetti di importante valore rituale, il cui impiego esclusivamente cerimoniale è confermato sia dalla forma con larga lama ottusa e punta arrotondata, evidentemente inutile a scopo di offesa, sia dal fatto di aver costituito il più antico simbolo della Dea del Sole, Amaterasu-o-mi-kami, la più importante divinità del Giappone. Ancora di epoca Yayoi sono delle tavolette e dei dischi di ceramica (fundo) decorati con incisioni a meandro, talvolta associate a volti antropomorfi, tipici della regione sud-orientale di Honshu, da ritenere oggetti rituali, forse dei talismani. Con il periodo Kofun (ca. 300-700 d.C.), nel quale si manifestano mature strutture politiche regionali create da aristocrazie guerriere, le dotaku cadono in disuso mentre assumono un ruolo rituale di primo piano gli specchi di bronzo, ora anche prodotti localmente, posti in relazione con il culto di Amaterasu ed offerti come simbolo di potere dai capi regionali ai loro alleati. Nell'ambito della religione autoctona, lo Shinto Kami-no-michi (La Via degli Dei, o scintoismo), una forma di animismo che divinizza gli aspetti e i fenomeni della natura come materializzazione dei kami, gli spiriti ai quali si fanno offerte di cibo e bevande, non si rinvengono immagini di culto ed i soli oggetti venerati erano i Tre Tesori (sanshu no shinpo) simbolo della dea solare Amaterasu e del potere imperiale da essa derivato: il pendente "a virgola" (magatama), di nefrite, calcedonio o agata, lo specchio di bronzo e la spada di ferro. La diffusione del buddhismo in epoca Asuka (600-710 d.C.) comportò, infine, un profondo cambiamento in ambito rituale e cultuale con l'affermazione della statuaria e dei corredi liturgici propri di tale religione.
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