L'archeologia delle pratiche cultuali. Iran
Nell'età del Bronzo, la cultura "transelamita" costituisce sull'altopiano iranico una koinè in cui il legame con la Mesopotamia è particolarmente intenso; accanto ad edifici che presentano le caratteristiche di templi dalla pianta di vario tipo, troviamo le "terrazze alte", i luoghi di culto più caratteristici della regione compresa tra l'Iran centro-settentrionale e l'Asia Centrale a partire dalla seconda metà del III millennio a.C., da alcuni paragonati per concezione e realizzazione alle ziqqurrat mesopotamiche. Attorno alla metà del II millennio a.C., momento in cui gli archeologi collocano il passaggio all'età del Ferro nell'area, profondi cambiamenti non solo nelle produzioni artigianali, prima fra tutte la ceramica, ma anche nell'attività edilizia, indicano l'avvento di una diversa realtà socioculturale. È questo il momento in cui gli studiosi collocano l'arrivo in Asia occidentale delle genti indoeuropee e quindi sull'altopiano di quelle iraniche, che la nostra documentazione di epoca storica ci indica accomunate dalla religione mazdea. Le origini del mazdeismo, nel cui ambito nascono lo zoroastrismo dei testi e la chiesa di stato sasanide, sono avvolte nella stessa oscurità che circonda la figura di Zoroastro, predicatore e riformatore la cui opera oscilla cronologicamente tra la fine del I millennio e il VII-VI sec. a.C. Particolare rilievo riveste il complesso templare di Togolok 21, nella Margiana (1250-1000 a.C. o forse metà del II millennio a.C.), in cui è stata vista da alcuni la presenza di elementi connessi a rituali attestati in seguito nello zoroastrismo, quali la preparazione e il culto della bevanda inebriante nota ai testi zoroastriani come haoma. Il mazdeismo ha come oggetto del culto il fuoco inteso come simbolo della divinità: il tempio iranico per antonomasia è quindi quello del fuoco, istituito proprio per contrastare la diffusione dei templi destinati a ospitare immagini di culto, bandite dall'ortodossia in quanto considerate una forma vuota di cui il male avrebbe potuto impossessarsi. Tra le testimonianze più antiche di templi che presentano al loro interno altari con evidenti segni di fuoco sulla sommità sono i due templi di Tepe Nush-i Jan, in Media, funzionanti tra l'VIII e la metà del VII sec. a.C. Si tratta di edifici in cui l'influenza mesopotamica nella planimetria è evidente, soprattutto nel Tempio Occidentale, e che si differenziano marcatamente dai successivi templi del fuoco iranici: non è pertanto possibile ascriverli con certezza al culto del fuoco inteso come oggetto centrale di devozione. Anche l'episodio finale della loro storia, in cui essi vengono colmati con cura da strati di mattoni crudi e frammenti di roccia, sembra meglio spiegabile mediante un'analoga pratica attestata nella Mesopotamia neobabilonese: una colmata artificiale in vista di una ricostruzione mai iniziata. I due templi della Media non hanno riscontro in ambito persiano. Per i Persiani di epoca achemenide, infatti, il dato archeologico conferma fino ad oggi l'immagine tramandata da Erodoto (I, 131 ss.) di un popolo che non ha templi né statue di culto, ma adora Dio all'aperto sui monti. Mancano testimonianze di templi e l'unico complesso architettonico di epoca achemenide sicuramente destinato a funzione cultuale è l'Edificio QN 3 di Dahan-i Ghulaman, nel Sistan, riferibile però ad una religiosità locale piuttosto che a forme arcaiche di zoroastrismo. Numerose e discordanti identificazioni sono state inoltre proposte per quei "luoghi per adorazione" (āyadanā, in accadico bītātē ša ilāni, "case di Dio") che Dario I nell'iscrizione di Bisutun afferma aver restaurato dopo la loro distruzione da parte dell'usurpatore Gaumata. Anche la tradizionale interpretazione del cosiddetto āyadanā di Susa, oggi non più conservato, come uno dei templi che Artaserse II avrebbe dedicato al culto di Anahita, viene oggi fondatamente messa in dubbio. Il ruolo di questo sovrano nell'introduzione delle statue di culto, e di conseguenza dei relativi templi, che si affermarono in seguito con la dominazione macedone e seleucide, resta comunque importante nella valutazione delle fonti. L'influsso ellenistico, in effetti, oltre che nella decorazione architettonica, che assume forme ellenistiche anche in edifici di tipologia orientale, sembra consistere soprattutto nella diffusione di immagini di culto estranee allo zoroastrismo. Gli accenni a santuari per culti dinastici contenuti nell'iscrizione greca del 193 a.C., rinvenuta a Nihavand, l'antica Laodicea di Media, confermano tale dato, anche se le testimonianze dell'architettura sacra attribuibili senza dubbio a quest'epoca sono scarse. Allo stesso periodo risale un'altra iscrizione greca che testimonia un culto di Eracle nel complesso rupestre di Karafto, nell'Azerbaigian iraniano, in cui gli ambienti scavati nella roccia, su due livelli, imitano un'architettura costruita con volte e abbellita da decorazioni, da alcuni però interpretata in chiave residenziale. Per il periodo arsacide, gli ostraka di Nisa (Turkmenistan meridionale) forniscono informazioni su un culto dei dinasti defunti, finanziato dai proventi dei vigneti reali, per il quale mancano però attestazioni archeologiche. Scarse sono le testimonianze relative a quest'epoca, concentrate soprattutto in due aree alle opposte periferie. A est, nel Sistan, il grande complesso di Kuh-i Khwaja, contenente uno dei più antichi templi del fuoco del tipo a čahār tāq, è stato datato nel suo primitivo impianto a tale periodo. A ovest, nell'Elimaide, le cosiddette "terrazze sacre", poste sui primi contrafforti degli Zagros sulla pianura della Susiana, pur se fondate in epoca ellenistica, vedono un pieno sviluppo proprio con l'epoca arsacide, momento in cui l'Elimaide godeva di una notevole autonomia politica e amministrativa. Si tratta di santuari costruiti su terrazze artificiali, articolate ove necessario su più livelli, comprendenti altari per culti all'aperto e templi: se la presenza di altari all'aperto aveva spinto R. Ghirshman ad interpretare i santuari in chiave iranica, come quei luoghi di culto dei Persiani di cui parlano le fonti greche, le planimetrie dei templi mostrano una chiara derivazione dalla regione mesopotamica, che ben si accorda con il tradizionale legame dell'Elam (della cui cultura l'Elimaide è la prosecuzione in epoca postalessandrina) con la Mesopotamia. L'esame dei rilievi e delle iscrizioni su roccia della regione ha permesso di individuare meglio le caratteristiche principali della religiosità elimea, ben distinta da quella delle genti iraniche dell'altopiano, e di attribuire ad essa le "terrazze sacre". Non è forse privo di senso ricordare che già nel III millennio a.C. le "terrazze alte" della cultura transelamita dovevano l'ispirazione alle ziqqurrat mesopotamiche. Con il periodo sasanide si afferma in modo netto il tempio del fuoco, risposta della chiesa zoroastriana al tempio delle immagini di derivazione ellenistica. La politica profondamente innovatrice del fondatore della dinastia sasanide, Ardashir I, riesce nel suo intento di soppressione dei culti locali, imperniati su statue di particolari divinità, e di una loro trasformazione in altrettanti fuochi, via via ricondotti sotto il controllo diretto della chiesa di stato e della dinastia. È lo stesso sovrano a dare l'esempio, visto che la casa sasanide traeva origine dall'ambiente sacerdotale del tempio di Anahita a Istakhr, trasformato appunto in un tempio del fuoco. Il modello architettonico scelto per tale funzione, quello del čahār tāq, perdurerà nel tempo fino alla caduta della dinastia sasanide e all'inizio della dominazione islamica, passando in seguito a questa nuova religione. Il tempio del fuoco non si identifica tuttavia con il čahār tāq per la conservazione del fuoco sacro: è al contrario un ampio complesso di ambienti con pianta e dimensioni diverse, dedicati alle numerose funzioni che vengono via via accentrate dal clero zoroastriano, dalla celebrazione delle numerose feste che scandiscono il calendario all'attività amministrativa e di controllo dei commerci. I grandi templi "nazionali" dei tre fuochi, corrispondenti alle tre classi della società sasanide (di cui quello dell'Atur Gushnasp, pertinente all'aristocrazia, è stato identificato e scavato a Takht-i Sulaiman, nell'Azerbaigian iraniano), sono affiancati da altri templi a diversi livelli di importanza, da quelli fondati da singoli sovrani a quelli della nobiltà locale. Connessa con il culto del fuoco centrale, dinastico, c'è infatti una gradualità di fuochi di ambito sempre più ristretto, tutti derivati dai tizzoni del fuoco principale, fino ad arrivare al fuoco domestico, custodito in un altare che rappresenta l'unico luogo di devozione ammesso nella casa dalla legislazione sasanide. Le tradizioni locali, tuttavia, non furono sradicate facilmente e testi giuridici di epoca tardosasanide permettono di individuare resistenze a tale "normalizzazione" ancora nel VII sec. d.C.; testimonianze archeologiche di una deliberata distruzione dei rilievi scultorei nel santuario di Masjid-i Sulaiman sono state datate inoltre al periodo di Shapur II (IV sec. d.C.). Chiare attestazioni di tali culti domestici, tuttavia, mancano, sia per la scarsità di scavi in ambito urbano sia per la difficoltà oggettiva nel distinguere un comune focolare con funzione utilitaristica dal fuoco sacro: le profonde discussioni suscitate da tale problema nell'archeologia dell'Asia Centrale, dove i dati sono ben più abbondanti, mostrano la difficoltà nell'approccio al problema. Le iscrizioni sasanidi, tra cui quella di Shapur I alla Kaba-i Zardusht di Naqsh-i Rustam, menzionano l'esistenza di culti votivi legati al fuoco dinastico, basati su offerte periodiche di libagioni finanziate dal sovrano, e la stessa istituzione di fuochi sacri e il loro complesso e costoso mantenimento vengono qualificati come azioni meritorie. Accanto a questi edifici dello zoroastrismo, è stata riscontrata in diverse aree della regione iranica una forte presenza di altre religioni, con la conseguente diffusione dei relativi luoghi di culto. Al cristianesimo nestoriano, diffuso in epoca sasanide in Mesopotamia, nella Susiana, nel Fars e nella Margiana, appartengono, oltre alle chiese di Veh-Ardashir e Hira, la chiesa di pianta basilicale a tre navate al centro di un ampio monastero con ambienti comunitari e celle per i monaci nell'isola di Kharg (Golfo Persico), la cui destinazione viene confermata dalle croci "nestoriane" modellate nella decorazione in stucco, le strutture di un monastero nestoriano scavate a Qasr-i Abu Nasr presso Shiraz, l'edificio rupestre con pianta a croce greca presso Darab (Fars orientale), poi trasformato in moschea (Masjid-i Sangi), così come la chiesa di Kharoba Koshuk in Margiana, a navata singola rettangolare allungata, e il cosiddetto Monastero Ovale di Merv. Si trovano inoltre nell'Azerbaigian iraniano alcuni importanti monasteri armeni, quali S. Taddeo (Kara Kilise) e S. Stefano sull'Arasse, la cui esistenza, documentata a partire dal X secolo, risale verosimilmente a epoca più antica. Mancano indicazioni sui luoghi di culto di manichei ed ebrei, mentre notevoli sono i resti buddhistici nelle regioni orientali del regno sasanide, limite occidentale della diffusione del buddhismo.
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Molti degli edifici di carattere cultuale di età pre- e protostorica portati alla luce nella regione iranica sono stati attribuiti alla sfera religiosa, oltre che per le particolarità planimetriche, anche sulla base dei manufatti ivi rinvenuti, per i quali la funzione rituale tuttavia non sempre è certa. Tale è il caso delle "colonnette" di pietra tipiche dell'Iran orientale e dell'Asia Centrale tra la fine del III e la prima metà del II millennio a.C. Alcuni ritrovamenti sono al contrario intrinsecamente legati alla sfera della religione e del culto, quali ad esempio le figurine di terracotta che rappresentano divinità femminili; è comune alle culture che si sono avvicendate sull'altopiano iranico a partire dalla preistoria la produzione di figurine di terracotta in cui la caratterizzazione sessuale è marcatamente connessa con la funzione propiziatrice della fertilità. Anche alcune forme ceramiche sembrano provenire in prevalenza da contesti cultuali o funerari, che possono averne caratterizzato la funzione: tra questi, ad esempio, le "fiasche da pellegrino" del periodo ellenistico e arsacide, rinvenute sia nelle tombe della Susiana sia nei santuari dell'Elimaide. Altri manufatti vengono ricondotti alla sfera del culto dalla loro decorazione figurata: un esempio in questo senso è costituito dal bacile d'oro rinvenuto nel corso degli scavi di Hasanlu (Iran nord-occidentale), purtroppo proveniente da un contesto di saccheggio databile al momento di distruzione di un edificio palaziale (800 a.C. ca.). Tra le numerose scene in esso raffigurate, di carattere mitologico e religioso, troviamo anche l'immagine di un sacerdote che reca un calice di fronte ad una divinità su un carro trainato da un toro ed è seguito da due personaggi che portano pecore per un sacrificio. Per il mondo iranico, data la progressiva affermazione della centralità del culto del fuoco inteso come simbolo della divinità, le installazioni cultuali sono in massima parte legate al fuoco e al suo complesso mantenimento. Altri elementi centrali del culto zoroastriano sono costituiti dallo haoma, la bevanda inebriante degli antichi Iranici, bandita da Zoroastro ma poi riassorbita nell'Avesta recente, e dal barsom, il fascio di ramoscelli che il sacerdote zoroastriano tiene in mano come strumento del rito. Già nella prima metà del I millennio a.C. i focolari tendono ad assumere una funzione rituale, come dimostrano sporadiche testimonianze che non lasciano dubbi circa la funzione non utilitaristica; già nei templi della Media compaiono altari che, qualunque sia la loro appartenenza religiosa, portano sul piano superiore un avvallamento con segni di combustione. Nel periodo achemenide l'altare del fuoco prende forme più elaborate, riconducibili a due principali tipologie, quella con base e sommità a piramide a gradini (diritta quella della base, capovolta quella della sommità) e quella cosiddetta "a torre": raffigurazioni su rilievi, sigilli e cretule permettono la loro analisi. Nello stesso periodo i testi elamiti delle Fortificazioni di Persepoli illuminano anche sull'esistenza di altri tipi di rituali, in cui la tradizione elamita esercita un ruolo notevole: tra questi il rito che in elamitico è detto lan. I vasi in alabastro rinvenuti a Persepoli, con iscrizioni aramaiche che menzionano dei riti, in passato attribuiti alla preparazione dello haoma, oggi al contrario sono inseriti nel quadro tracciato dai testi elamiti. Sempre per il periodo achemenide, un sito di grande potenzialità è quello di Dahan-i Ghulaman, nel Sistan, dove l'Edificio QN 3 ha una funzione cultuale: le due fasi qui attestate mostrano la presenza di un numero considerevole di installazioni di fuoco in tutto il complesso. Nella fase A troviamo in due lati del portico dei piccoli "forni" per fuoco, coperti da mattoni disposti a due spioventi; nella fase B in questi due lati i "forni" sono ricostruiti in dimensioni maggiori, mentre su un terzo lato vengono installati tre grossi "vasconi", probabilmente usati per sacrifici animali (tracce di grassi), ma, soprattutto, al centro della corte si erigono tre grossi altari destinati a contenere fuoco, accessibili mediante gradini. Anche in due abitazioni private sono stati rinvenuti altari del fuoco a gradini. Per i periodi successivi le testimonianze archeologiche di altari del fuoco, abbinate alle loro raffigurazioni su varie classi di materiali, sono sufficienti a seguirne l'evoluzione: da un lato si mantiene viva la forma a gradini, come mostrato a Kuh-i Khwaja per il periodo tardoarsacide e a Takht-i Sulaiman per il periodo tardosasanide, dall'altro compaiono forme più ricercate. Ad esempio, il "capitello" con raffigurazione di quattro sovrani sasanidi sui quattro lati, scoperto recentemente a Barm-i Dilak, nel Fars, è stato più correttamente interpretato come un altare grazie ad una lettura attenta dell'iscrizione incisa sul bordo superiore, che lo qualifica come adurgah; tale funzione sembra confermata dalla cavità sul suo piano superiore. La costante presenza dell'altare del fuoco come motivo caratterizzante i rovesci delle monete sasanidi permette inoltre di seguirne l'evoluzione iconografica, a partire dal tipo più antico sulle monete di Ardashir I, con tavola larga con supporti laterali, ai tipi più recenti e stilizzati. Per quanto concerne il barsom, numerose sono le raffigurazioni di sacerdoti che portano questo fascio di ramoscelli, dalle placchette in oro dal Tesoro dell'Oxus, che sono datate al periodo achemenide, ai rilievi del cosiddetto Tempio dei Frataraka, di epoca postachemenide, ai numerosi sigilli sasanidi, che tra l'altro costituiscono per questo periodo la principale fonte iconografica relativa ad azioni rituali. Tra le altre testimonianze archeologiche di strumenti rituali possiamo annoverare il peculiare manufatto in pietra, a forma di crescente su piedistallo, rinvenuto in un edificio templare nell'area di Hajjiabad (Fars orientale), che ricorda il mahru del culto zoroastriano dei nostri giorni. Nell'ambito dei materiali votivi, infine, i manufatti di tradizione più antica, quali le figurine di terracotta, sopravvivono soprattutto nelle aree periferiche, dove le popolazioni non iraniche mantengono più a lungo le loro tradizioni: una di queste regioni è l'Elimaide, in cui ancora in periodo arsacide troviamo nelle "terrazze sacre" figurine di terracotta di una divinità femminile ignuda che si stringe i seni; sempre nella stessa regione fiorisce anche una produzione di rilievi scultorei caratterizzati da una funzione votiva, oltre che cultuale. La progressiva affermazione dell'iconoclastia zoroastriana, al contrario, limita fortemente la creatività figurativa degli artigiani iranici nell'ambito religioso.
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