L'archeologia delle pratiche cultuali. Mondo islamico
L'iniziale semplicità, elemento destinato a rivelarsi sostanziale nella rapidissima diffusione dell'Islam, ha permesso e privilegiato una religiosità senza vere e proprie forme di culto, limitata alla preghiera. La preghiera, centro ideale e ordinatore della vita del credente, manifestazione di ringraziamento piuttosto che di richiesta a Dio, scandisce con regolarità la giornata, favorendo la socialità e imponendo anche lavacri rituali. La preghiera, in quanto tale, non richiede un luogo deputato per essere praticata e, benché il Profeta conoscesse gli edifici di culto dell'Arabia del suo tempo (sinagoghe e chiese, principalmente), egli non accennò mai a qualcosa di simile per i suoi seguaci. La mancanza, altresì, di qualsiasi arredo liturgico rende le testimonianze archeologiche del primitivo culto islamico praticamente inesistenti. Resta da aggiungere che l'atteggiamento del musulmano nei confronti della moschea ne impedisce quasi sempre uno studio archeologico, rendendo quindi assai problematico lo studio delle fasi più antiche di edifici religiosi ancora in uso. Va comunque segnalato che la mancanza di testimonianze archeologiche confrontabili con quelle delle civiltà mediterranee non corrisponde a una mancanza di pratiche, definite con precisione sin dall'inizio. La preghiera per il musulmano, infatti, necessita sempre di un suo spazio definito, sorta di temenos virtuale, limitato chiaramente dall'ambiente circostante, sia pure in modo estremamente semplice. Indispensabile anche il corretto orientamento verso La Mecca, stabilito inizialmente in base alla posizione del luogo rispetto al Sole. Il maggior valore della preghiera fatta in comune nei confronti di quella individuale ha spinto fin dall'inizio i credenti a riunirsi in un luogo specifico, caratterizzato in un determinato modo, chiaramente individuabile, funzionale pur nella sua estrema semplicità. Sono nate così delle forme più che primitive, embrionali, di moschea, in alcuni casi solo disegnate sul terreno, con una linea tracciata nella sabbia, o, più spesso, definite da una serie di pietre, di dimensioni simili, poste le une accanto alle altre, evocanti un muro. Le prime moschee, delle quali non è rimasta, ovviamente, traccia archeologica, diffuse in Arabia e nelle zone limitrofe nei primi anni dell'espansione islamica, erano degli spazi chiusi, definiti da recinti di canne. Alcune forme di moschee effimere non sono infrequenti anche in epoche recenti in zone rimaste isolate e primitive, specie se semidesertiche. Canne di bambù legate da reti da pescatore formano i muri simbolici della moschea in alcuni villaggi del Makran (Pakistan), semplici muretti di pietra con un accenno di nicchia a indicare il muro qibli (in Pakistan, nel Sind e nel Baluchistan) costituiscono forme già più evolute, mentre le pietre accostate rappresentano il tipo più diffuso di luogo di culto in molte regioni, soprattutto africane. La possibilità di isolarsi dal contesto mondano per pregare correttamente è data anche dall'utilizzo di un semplice tappeto, che non solo fornisce un luogo pulito in qualsiasi ambiente, ma contiene spesso anche la raffigurazione di un miḥrāb (nicchia indicante l'orientamento della preghiera). Questo tipo di tappeti, definiti correttamente "da preghiera" (saǧǧāda, in arabo) e considerati alla stregua di vere e proprie moschee mobili, sono da sempre molto diffusi in Iran, in Asia Centrale, in India e in Turchia. Data la deperibilità dei materiali, le tracce archeologiche ad essi relative sono scarse e, comunque, mai molto antiche. Forme di culto non attestabili archeologicamente sono rappresentate dagli alberi dei desideri, ai cui rami vengono legati dei frammenti di stoffe colorate, spesso in prossimità di santuari o di mausolei particolarmente venerati, usanza diffusa in gran parte del mondo islamico fino al giorno d'oggi. Assai rari poi sono i casi di depositi rituali presso tombe di santi e non (Grande Kabilia, nel Sud dell'Algeria).
G.H. Bousquet, Les grandes pratiques cultuelles de l'Islam, Paris 1949; K. Cragg, Alive to God, Muslim and Christian Prayer, London 1970; T. Insoll, The Archaeology of Islam, Oxford 1997.