L'archeologia delle pratiche cultuali. Sud-Est asiatico
L'identificazione di aree di culto o di santuari d'epoca pre- e protostorica rientra nel tradizionale terreno dell'indagine archeologica. Pochi testi storici menzionano rituali legati al culto degli antenati e le attività ad essi connesse; maggiori sono, invece, le informazioni che possono essere desunte, dagli esordi dell'età storica in poi, dalle iscrizioni, in particolare, quelle del regno di Angkor.
Thailandia - La più chiara (e probabilmente unica) testimonianza relativa ad attività di culto durante il lungo periodo caratterizzato dalla presenza di società di cacciatori-raccoglitori proviene dal sito di Khok Phanom Di (Prov. di Chonburi), originariamente situato in un ricco habitat contraddistinto da un ampio mangroveto nella piana alluvionale del fiume Bang Pakong, nel Golfo di Thailandia. Il sito conobbe una fase di occupazione tra il 2000 e il 1500 a.C. da parte di una comunità di cacciatori-raccoglitori, che sfruttarono l'estuario sia come fonte di cibo sia come accesso alle vie di scambio costiere e fluviali. Lo scavo estensivo del sito ha permesso di isolare i cambiamenti occorsi, nell'arco di circa 500 anni, nelle locali pratiche funerarie distinte in sette fasi funerarie (MP1-7), nel corso delle quali i defunti furono interrati in gruppi posti sopra le sepolture dei presunti antenati. Durante la seconda fase funeraria (MP2) i singoli gruppi di sepolture formavano un insieme complementare con lo spesso cumulo di conchiglie caratterizzato da un netto perimetro con angoli retti. Dalla disposizione dei numerosi buchi di palo rinvenuti intorno alle tombe, si può affermare che le conchiglie devono essersi accumulate attorno ad una struttura, un muro che inscriveva, probabilmente, i vari insiemi di sepolture. Le tombe erano, inoltre, associate a fosse circolari che contenevano molluschi, soprattutto bivalvi, molti dei quali erano ancora chiusi, suggerendo l'ipotesi che tali molluschi possano aver rappresentato una offerta di cibo per i defunti. Anche se i mucchi di conchiglie si estinguono con la terza fase funeraria (MP3), continuano tuttavia i gruppi di sepolture associati a buchi di palo. Durante la sesta fase funeraria (MP6) venne eretta una camera rettangolare alla sommità di una piattaforma: questa struttura aveva fondazioni di argilla associate a buchi di palo e conteneva la tomba di un personaggio femminile di elevato status sociale, il cui corpo giaceva sotto un pavimento intonacato. Una fila di sepolture collocata direttamente di fronte a questo edificio, anche in questo caso con il perimetro evidenziato da buchi di palo, ancora una volta è testimonianza di una tomba collettiva. L'analisi di resti umani suggerisce che alcuni di quegli individui fossero effettivamente in relazione di consanguineità: tratti genetici ben definiti, craniali e dentali, indicano la possibilità di un rapporto di parentela tra di loro, benché questo dato abbia bisogno di una più accurata revisione attraverso l'analisi del possibile DNA residuo nelle ossa. Un'economia basata sulla caccia e la raccolta, sebbene inserita in uno dei più ricchi habitat dell'area in termini di produttività biologica, non rappresentò un impedimento allo sviluppo di un culto dei morti complesso e continuato nel tempo, all'interno del quale la localizzazione delle tombe degli antenati era un elemento di primaria importanza.
Thailandia - Le conoscenze circa la presenza di specifiche aree rituali in contesti neolitici (2500-1500 a.C.) e dell'età del Bronzo (1500-500 a.C.) sono piuttosto scarse per l'area in esame. Questo è, soprattutto, il riflesso dell'esiguità delle aree esplorate archeologicamente rispetto all'estensione effettiva degli insediamenti preistorici. Nel sito neolitico di Ban Kao (Prov. di Kanchanaburi), le sepolture, sia maschili che femminili, appaiono interrate a coppia, spesso con gli individui orientati in direzioni opposte, senza una chiara separazione tra l'area specificamente dedicata all'interramento dei defunti e l'area di abitazione. La stessa incertezza relativa alla distinzione tra le aree dedicate al culto e quelle profane si riscontra anche nell'età del Bronzo. Non è insolito, infatti, rinvenire aree di occupazione o di attività industriale a stretto contatto con quelle sepolcrali. Nel sito di Ban Na Di (Altopiano del Khorat) una fornace per la fusione del bronzo è stata rinvenuta adiacente ad una sepoltura infantile in urna, mentre a Non Pa Wai (Prov. di Lopburi) i metallurghi venivano interrati in fosse apparentemente scavate nei luoghi stessi dove si conducevano attività di raffinamento e fusione delle rocce metallifere. Ciononostante, è stata individuata una certa regolarità di distribuzione delle sepolture. Non vi è dubbio, infatti, che a Ban Na Di esse erano strettamente raggruppate allo stesso modo di quelle di Khok Phanom Di. In uno dei quadrati di scavo, le tombe ‒ che occupavano un terzo dell'area esposta ‒ erano disposte a stretto contatto l'una con l'altra e circondate da un gran numero di buchi di palo; uno di questi gruppi di sepolture, inoltre, era in associazione con la maggior parte delle offerte funerarie alloctone rinvenute nell'intero sito. Anche le dettagliate analisi condotte sulla distribuzione spaziale e sulle implicazioni sociali del cimitero dell'età del Bronzo di Ban Lum Khao (Prov. di Nakhon Ratchasima) hanno permesso di identificare cinque file di tombe, costituite da sepolture orientate con la testa verso sud o sud-est. Tuttavia, pur essendo l'area alquanto vasta, ci si è dovuti confrontare con il problema dei limiti dei gruppi: non è, infatti, assolutamente chiaro né dove le file di tombe terminino, né quante sepolture figurino in ciascuna fila. È stato possibile identificare, comunque, solo cinque file parziali di tombe, ciascuna delle quali ha restituito i resti di uomini, donne, infanti e bambini, ed un qualche disegno si può rilevare solo nella disposizione delle tombe infantili, poste ai piedi delle tombe femminili piuttosto che di quelle maschili, mentre non sono attestati raggruppamenti tra uomini e donne che, al contrario, sono presenti in egual numero in ciascuna fila. Anche nel sito di Nong Nor (Prov. di Chonburi) le tombe rinvenute nella porzione occidentale della necropoli sono disposte in file, mentre quelle individuate nel settore orientale presentano un disegno distributivo meno evidente. La stessa disposizione in un apparente sistema a file è osservabile nei cimiteri dell'età del Bronzo scavati a Non Nok Tha e, sebbene ancora poco esplorata, a Ban Chiang (Altopiano del Khorat).
Thailandia - L'esistenza di specifiche aree cultuali durante l'età del Ferro (ca. 500 a.C.) è di più facile definizione. Gli scavi condotti a Ban Don Ta Phet (distretto di Phanom Tuan) hanno identificato una trincea perimetrale che definiva il confine del cimitero, con evidenti allineamenti di sepolture disposte in file. Poco più a nord, nel sito di Tham Ongbah, lungo il fiume Khwae Yai, un'ampia caverna era stata utilizzata per ospitare ricche tombe dell'età del Ferro; i defunti venivano deposti in grandi sarcofagi a forma di barca scavati in tronchi di legno pregiato accanto ai quali erano posti gli oggetti del corredo. Nella regione nord-orientale della Thailandia, gli scavi nel sito di Noen U-Loke hanno portato alla luce 126 sepolture divise in cinque fasi funerarie. Durante la prima e la seconda fase, non è ravvisabile una pianificazione nella disposizione delle sepolture, ma con la terza fase si osservano due raggruppamenti contigui di tombe; quello più tardo presenta un importante e nuovo dato riguardante le pratiche funerarie e il culto dei morti: i defunti erano sepolti in fosse riempite con riso bruciato e sigillate da un pavimento di argilla, posto a circa 75 cm sopra la tomba più superficiale, probabile evidenza, quindi, di una struttura cultuale connessa con il culto dei morti e degli antenati. Nella quarta fase sepolcrale i defunti erano sepolti in fitti raggruppamenti di tombe maschili, femminili e di infanti. Continuano le sepolture in giacigli di riso, ma durante questa fase alcuni defunti erano stati interrati in casse di argilla. Sia questo costume, sia l'uso di riso bruciato nei rituali funerari cessarono con l'ultima fase funeraria. In essa le sepolture non sono più raggruppate e alcune sono in associazione con depositi, o fosse, contenenti ossa animali e vasellame di ceramica, elementi che suggeriscono forme rituali o cultuali connesse alle pratiche funerarie, come banchetti funebri.
Vietnam - Durante il periodo della cultura Dong Son (V sec. a.C. - I sec. d.C.), è attestato l'uso di sarcofagi ricavati dalle due metà cave di tronchi d'albero; in generale, i riti funerari Dong Son erano imperniati sull'inumazione, a volte in bara, con corredi composti da vasellame di ceramica, manufatti bronzei, gioielleria, spesso importata (come ad es. i manufatti di vetro o corniola). Il grande cimitero di Lang Ca (regione di Bac Bo) è, forse, il miglior esempio di cimitero con sarcofagi di legno; inoltre, le sepolture più ricche ‒ sicuramente destinate all'aristocrazia Lac menzionata nei testi cinesi ‒ sono concentrate in un'area particolare, separata dalle altre. Mano a mano che l'interazione culturale con la Cina si evolveva in un controllo sempre più stretto e pressante per concludersi, intorno al 44 d.C., con l'annessione del Vietnam settentrionale all'impero Han, nell'area di Bac Bo il rituale funerario cambiava radicalmente: per la prima volta, infatti, vennero realizzate tombe a camera costruite in mattoni e coperte da un tumulo di terra. La prima di queste tombe a camera fu indagata a Ke-noi, appena fuori Hanoi, nel 1896; la tomba, che comprendeva ben cinque camere, era stata, però, saccheggiata nell'antichità e il corredo funerario si presentava, quindi, modesto. I pochi e sparsi resti erano rappresentati da una punta di lancia di bronzo e da un modellino di casa in argilla, purtroppo frammentario, molto simile ai modellini rinvenuti nelle tombe di periodo Han in Cina. Altre tombe dello stesso tipo sono state individuate presso Quang Yen, a nord-est di Haipong, ed una sepoltura intatta, ma con due soli ambienti, è stata scavata a Phau Thau ed ha restituito un corredo formato da monete cinesi, una ciotola di bronzo in stile Han e diversi vasi di ceramica. La tomba scoperta a Nghi Ve è poi di particolare importanza per la ricchezza dell'impianto, con numerosi vani e nicchie. Le tombe a camera rinvenute nella valle del Ma, indagate da J.M. Janse nella metà degli anni Quaranta, presentavano tumuli che avevano un'altezza media compresa tra i 17,5 e i 20 m, alcuni dei quali si ergono ancora per 2 o 3 m, le camere sepolcrali erano realizzate in mattoni, spesso decorati e prodotti localmente. Non sono stati rinvenuti scheletri completi, ma alcuni frammenti di materiale ligneo presenti nelle camere sono testimonianza di sarcofagi di legno; è probabile che le componenti acide del suolo non abbiano permesso la conservazione dei resti umani, ma è anche possibile che i corpi siano stati rimossi in antico e trasportati in Cina per una nuova inumazione. Lach Truong è uno dei più importanti cimiteri Han in Vietnam; comprende circa 30 tumuli, disposti nella pianura del fiume Linh Truong Giang, nel Thanh Hoa, circa 5 km dalla costa attuale, che variano da una lunghezza di 10 m ad una di 35 m. Le tombe investigate sono 27, ma la pervicace attività dei clandestini ‒ sia in antico sia in epoca recente ‒ ha permesso di rinvenire intatte solo le tombe 3 e 4: i dati che potevano essere desunti riguardo a questo ampio gruppo di sepolture, quindi, sono andati in larga parte perduti. Le due tombe rimaste inviolate, comunque, hanno restituito un corredo piuttosto ricco: la tomba 3 comprendeva tre comparti sotto a un tumulo lungo 35 m; il passaggio a volta che conduceva dalla "cappella" alla camera mortuaria ha restituito una lampada di bronzo sostenuta da una figura umana, chiaramente di origine non cinese. La figura indossa una collana e braccialetti; all'altezza delle ginocchia sono presenti figure di nani che suonano strumenti musicali, alla congiunzione tra la figura principale e i tre bracci della lampada sono presenti piccole figure di musicisti, i quali sostengono i tre bracci veri e propri della lampada che terminano in un piattello; due dei bracci sono a loro volta decorati da protomi aviformi, mentre il terzo presenta la forma di un drago o serpente. L'impiego di lampade ad olio nella Cina di periodo Han era piuttosto diffuso, ma questo particolare esemplare è ispirato non soltanto a modelli cinesi, ma anche alla tradizione locale e indiana. La "cappella" aveva al proprio interno anche altri manufatti bronzei: un vaso e un bacile, a sua volta contenente una ciotola e una bottiglia di bronzo ancora parzialmente coperta da stoffa di seta. Sfortunatamente la bara e i resti umani non sono sopravvissuti, ma la camera funeraria conteneva una spada di ferro, alcune perle di corniola, tre cimbali di bronzo e resti di lacca rossa. Nella terza camera sono stati rinvenuti, invece, due "bricchi" di bronzo e un certo numero di contenitori di ceramica, tra i quali un bollitore da cucina; la disposizione di questi oggetti lascia supporre che tali recipienti fossero in origine disposti su scaffali lignei e che siano, poi, caduti a causa del disfacimento del legno. Il tumulo della tomba 4 misurava 25 × 17 m e probabilmente era terrazzato su due ordini; la struttura ipogea in mattoni, rinvenuta intatta, aveva tre camere e il pavimento era anch'esso in mattoni. La camera funeraria centrale non conteneva una bara, ma un grande calderone di ferro, due bacili di bronzo, due gruppi di monete Han, uno specchio e un pomo di bronzo a forma di uccello. Una delle anticamere, inoltre, conteneva 36 vasi intatti, mentre le altre hanno restituito una lampada di ferro ed altro vasellame di ceramica. Quella di Bim Son è un'altra necropoli di rilevante importanza; l'area comprendeva 15 tumuli tra i quali inviolato è quello della tomba 1A, dove la presenza di due tibie umane intatte indica che lo scheletro non fu scomposto e rimosso in antico. I ricchi resti del corredo hanno indotto a ritenere che la tomba appartenesse ad un funzionario militare: tra gli oggetti vi è una spada di ferro con la lama lunga 1,25 m ancora all'interno del suo fodero di ferro, decorato con inserzioni di giada, e fornita di un pugnale, anch'esso realizzato in ferro. Altri oggetti di bronzo erano presenti nella sepoltura: alcune ciotole, una fibbia a gancio da cintura, uno specchio e una ciotola tripodata con manici e coperchio finemente decorato.
Yunnan - Il cosiddetto "regno" (o chiefdom) di Dian, nella provincia cinese dello Yunnan, cadde anch'esso sotto il dominio degli Han, ma non prima di aver sviluppato una serie di importantissimi centri cultuali situati sulle più alte colline che dominano le piane lacustri della regione. La necropoli più importante dell'area è Shizhaishan sul Lago Dian, posta su un alto terrazzo lacustre che fu forse un'isola al momento dell'impianto della necropoli, dove le evidenze archeologiche testimoniano un uso destinato specificatamente ai membri della classe elitaria: le tombe, infatti, sono tutte di grandi dimensioni e i corredi particolarmente opulenti. Sulla base delle indicazioni pervenuteci attraverso i modellini di bronzo facenti parte dei corredi ‒ che ci forniscono una serie di chiare immagini di rituali associati alla mietitura, alla stagione della semina, ai banchetti ed alle riunioni del ceto aristocratico ‒ appare estremamente probabile che l'organizzazione e l'uso di cimiteri destinati alle classi sociali più elevate fossero accompagnati da una intensa attività rituale e da un notevole dispendio di energie.
Con l'avvento degli Stati dell'inizio del I millennio d.C., in particolare quelli nella bassa valle del Mekong, le aree cultuali vennero edificate in mattoni, mentre le strutture secolari erano realizzate in legno. Abbondanti sono, quindi, le tracce relative all'attività religiosa, la cui conoscenza è rafforzata da iscrizioni in sanscrito nell'antica lingua Khmer. Le pratiche funerarie si trasformarono, passando dall'inumazione alla cremazione, pur restando connesse, come in epoca preistorica, alla venerazione degli antenati. Anche durante le prime fasi del cosiddetto Stato di Funan (ca. III-VI sec. d.C.), sul delta del Mekong, le ceneri dei defunti venivano interrate in fosse rivestite di mattoni, associate a ricchi corredi che comprendevano foglie d'oro inscritte in sanscrito e con raffigurazioni, realizzate a sbalzo, di divinità Hindu. Le pratiche religiose locali, infatti, all'interno delle quali il fulcro era rappresentato dal culto degli antenati, si fusero con i nuovi culti alloctoni provenienti dall'India ‒ induismo e buddhismo ‒ senza peraltro perdere le proprie originali caratteristiche. Nella comprensione del ruolo avuto dai templi di questo periodo e dei periodi successivi, gli Stati di Chenla e di Angkor, si evidenzia il crescente e sempre più stretto rapporto che lega il sovrano agli dei. Durante il periodo di Angkor, il re era visto come una divinità cui, al momento della morte, era assegnato un nuovo nome e, attraverso una serie di rituali officiati nel suo tempio, veniva fisicamente data essenza divina nella forma di una statua di pietra: in questo modo il tempio diveniva il luogo dove l'essenza del re e la divinità prediletta, solitamente Shiva, talvolta Vishnu, venivano rappresentati tramite un liṅgam, unito alla yoni sua controparte simbolica e sessuale. Il liṅgam, oggetto della devozione, univa il nome del re a quello di Shiva: così il liṅgam dedicato al re Rajendravarman (944-968) e collocato nel suo tempio ‒ il Mebon Orientale ‒ prese il nome di Rajendreshvara: Rajendra, nome del re, ed Ishvara, nome di Shiva. Il tempio di Stato di Pre Rup, ad esempio, venne concepito per onorare il re e i suoi antenati nel contesto del dio Shiva. Il tempio dall'impianto armonico, con le sue cinque torri principali che si ergono su due terrazze in laterite ed i suoi rivestimenti di stucco, certamente dipinti, dominava la nuova capitale, di cui formava, verosimilmente, il nucleo: il santuario più grande, disposto al centro e realizzato in mattoni, ospitava il Rajendrabhadreshvara, il liṅgam reale. L'elemento cultuale più importante è rappresentato dal fatto che il re, alla sua morte, assumeva un nome postumo e veniva adorato nel suo tempio di Stato: per questo motivo tali strutture sono da considerare "templi-mausolei" se, come sembra probabile, le ceneri del re erano interrate nel santuario centrale. Anche i membri dell'aristocrazia mantenevano loro propri templi nei quali gli antenati venivano adorati assieme ad una varietà di altre divinità, mentre è durante il regno di Jayavarman VII (1181-1220 ca.) che maestosi templi vennero dedicati al padre e alla madre del re e ad un principe reale che lo aveva preceduto. Tali complessi incorporavano santuari minori, dedicati di volta in volta a membri aristocratici della corte, e traevano il sostentamento per i funzionari religiosi e le divinità dai villaggi assegnati al tempio. Il più grande e impressionante sito preangkoriano è Ishanapura nella valle del fiume Sen, dove sono stati rinvenuti tre recinti con mura che racchiudono un tempio centrale in mattoni, diversi santuari secondari e vasche rituali databili al regno del re Ishanavarman (inizi VII sec. d.C.). I templi, in mattoni abbelliti di armoniose decorazioni, hanno una sola camera, contenente un liṅgam, cui si accedeva attraverso un portale dominato da un architrave decorato con ricchi e complessi motivi ornamentali scolpiti. Un centro più tardo e di maggiori dimensioni è quello di Banteay Prei Nokor, sulla sponda sinistra del Mekong, dove le mura e i fossati racchiudono una serie di grandi templi centrali in mattoni. Centri di culto dello stesso tipo si trovavano in tutta la piana cambogiana, nella valle del Mun (Thailandia) e lungo tutto il confine orientale dell'odierna Thailandia. Con l'avvento al potere di Jayavarman II (790-835) e la formazione del regno nell'area di quella che sarebbe poi divenuta Angkor, si assiste allo sviluppo del "tempio-montagna": eretto a più livelli in modo da dominare lo spazio circostante o spesso costruito sulla sommità di colline sacre, come nel caso del Bakheng ad Angkor, quest'edificio era, di fatto, la proiezione dell'immagine del sovrano deificato. Questo processo di transizione del santuario da una tipologia a camera singola in mattoni ad una a torri multiple costruite su una serie di piattaforme è particolarmente evidente ad Ak Yum. Gli scavi hanno riportato alla luce larghe zone della struttura centrale; la piattaforma inferiore fu costruita in terra con i passaggi principali pavimentati in mattoni. Questa si estendeva su un'area di 100 m² e misurava 2,6 m in altezza. Ripide scale permettevano, poi, l'accesso alla seconda e più elevata piattaforma quadrata, di 42 m circa di lato. Le mura erano decorate da edifici in miniatura simili a quelli delle precedenti strutture a camera singola. Questo secondo livello comprendeva anche una serie di torri in mattoni, decorate con false porte e architravi in arenaria. Un'iscrizione su una scultura in pietra vicino alla torre angolare sud-orientale menziona una donazione al dio Gamhireshvara effettuata nel 1001 d.C.; il culto di questa divinità era piuttosto diffuso a Ishanapura e il testo rivela che questo tempio fu meta di pellegrinaggi per un periodo di almeno due secoli. Il principale santuario posto sul terzo ordine possedeva un solo ingresso rivolto ad est, il cui architrave e le due colonnette laterali datano al secolo VIII. Due iscrizioni reimpiegate dalla torre centrale datano rispettivamente al 707 e al 717; quest'ultima riporta una fondazione attuata dal mṛatan (alto ufficiale) Kirtigana al dio Gamhireshvara e annota donazioni al tempio che includono riso, buoi da tiro, stoffa e lavoratori coatti: è certo, quindi, che l'area, così vicina al futuro centro di Angkor, fu occupata e coltivata dagli inizi dell'VIII secolo. La camera centrale del tempio ha restituito sei statue bronzee ‒ due di una divinità Hindu e quattro del Buddha, di altezza variabile tra i 9 e i 35 cm ‒ e parte di un grande liṅgam in pietra. È stata inoltre rinvenuta una straordinaria volta che conduceva ad una camera ipogea la cui base si trovava a 1,25 m al di sotto del pavimento della torre centrale. Questa comprendeva una cappella in mattoni certamente dedicata a Gamhireshvara, divinità delle profondità, e conteneva due elefanti in foglia d'oro e la statua di un personaggio maschile di 1,25 m di altezza. La datazione del tempio-montagna di Ak Yum è desumibile soprattutto dalle iscrizioni, che indicano una costruzione non antecedente agli esordi dell'VIII secolo, e dallo stile architettonico, che suggerisce una data intorno alla seconda metà di tale secolo. Ciò permette di ipotizzare che vi sia stato un ampliamento dell'architettura templare databile all'epoca di Jayavarman II e da questi probabilmente ispirata. Il tempio, inoltre, giace all'interno di una vasta cinta nota come Banteay Choeu, forse una delle antiche capitali di Jayavarman II. Indravarman I (877-886 ca.) fu responsabile, invece, della costruzione del gruppo di templi di Roluos a Hariharalaya a sudest di Angkor. Egli fece erigere due templi maggiori a sud di un grande bacino artificiale (baray), noti come Preah Ko e Bakong. Preah Ko è un toponimo recente che significa "bue sacro", attribuito al tempio per la presenza delle statue del toro Nandin, sacra cavalcatura (veicolo) di Shiva, poste a sorveglianza dell'ingresso. Il complesso è circondato da un fossato largo 50 m che misura 600 × 550 m nei lati, ad est del quale è il Srah Andaung Preng, un baray di 100 m². L'accesso alla seconda corte avviene attraverso una gopura (padiglione di ingresso) di laterite e arenaria: l'area all'interno è dominata da un'ampia piattaforma dove sono alloggiate sei cappelle che, ancora oggi sbalorditive per armonia di forme e proporzioni, dovevano esserlo ancora di più al momento del completamento, poiché le pareti erano ricoperte da strati di stucco dipinto. Le iscrizioni ne rivelano l'intento politico e religioso insieme: infatti, delle tre torri frontali, due erano dedicate a Rudravarman e Prithivindradevi, rispettivamente il nonno materno e il padre di Indravarman, mentre quella centrale era dedicata a Jayavarman II. Se, a Preah Ko, il nome di ogni antenato reale era legato a quello di Shiva come proiezione dell'immagine degli antenati deificati, le tre cappelle della seconda fila erano invece dedicate alle consorti principali di ciascuno dei tre signori: Narendradevi, Prithivindradevi e Dharanindradevi. Ogni santuario conteneva l'immagine di un antenato; mentre le donazioni di beni fatte dal re, desumibili dalle fonti, sono solo una pallida indicazione dello splendore che doveva avere questo monumento. Mentre questo tempio potrebbe essere stato una cappella reale del culto degli antenati, quello adiacente di Bakong è di più vaste proporzioni e di disegno e costruzione diversi. La prima innovazione è costituita semplicemente dalle sue stesse proporzioni: la piramide centrale si erge su cinque livelli entro un recinto a doppio fossato di 800 m². Il fossato interno è affiancato da ripide gradinate che conducono all'acqua. Quattro gopura danno accesso alla corte centrale, con la porta principale orientale collegata alla piramide da una strada rialzata. L'effetto di grandezza e di immanenza è dato non solo dalla muratura in opera ciclopica e dalle statue di elefanti-guardiani sui primi tre livelli, ma anche dalle cinque alte terrazze che si elevano a 14 m sul livello del suolo. L'opera è ricordata nelle stesse parole di Indravarman "nell'881, il re, come una divinità, dispensatore di ricchezze, eresse un liṅgam chiamato Indreshvara, qui". Il termine associa il nome del re con la divinità Shiva, indicando una confluenza della figura del re e della divinità in un unico oggetto di devozione. Con il succedersi dei regnanti e delle dinastie i templi-mausoleo crescono in proporzioni e grandiosità tanto da avere, durante il regno di Jayavarman IV (ca. 928 - ca. 941) un nuovo centro cultuale a nord-est di Angkor: Lingapura (Koh Ker), una città di 1200 m², all'interno di un recinto murario che racchiudeva il complesso templare noto come Prasat Thom, dove un'iscrizione del 921 attesta l'erezione di Tribuvaneshvara, il colossale liṅgam eponimo della città. Una nuova dinastia, che fece la sua comparsa nel 1006 d.C., proseguì la costruzione di centri di culto. Il Baphuon è il tempio- mausoleo di Udayadityavarman, posto appena a sud del recinto reale, ad un passo dal Phimeanakas. Un'iscrizione da Lonvek dà conto della sua costruzione eseguita ad imitazione del Monte Meru, dimora degli dei; ancora oggi, pur privo del sacello centrale e danneggiato da diversi crolli, è un monumento di notevole bellezza: l'ingresso alla seconda piattaforma è riccamente decorato con bassorilievi di squisita fattura e scene tratte dall'epica Hindu. Questi monumenti, tuttavia, impallidiscono al confronto con Angkor Vat, costruita da Suryavarman II (1113 - ca. 1150), o con l'appena più tardo tempio di Bayon al centro della città di Angkor Thom, creazione di Jayavarman VII (1181 - ca. 1220). Angkor Vat è senza dubbio la più straordinaria realizzazione della civiltà di Angkor. Curiosamente, i dati epigrafici non riportano alcun riferimento esplicito ad esso, dunque resta sconosciuto il suo nome originale così come non vi è certezza riguardo alla sua funzione e alle valenze simboliche. I primi visitatori portoghesi narrano di una grande iscrizione, molto probabilmente la pietra di fondazione, oggi purtroppo perduta. È noto peraltro che il tempio era dedicato a Vishnu ed infatti si apre ad ovest, la direzione sacra alla divinità. Tracce di stucco dorato sopravvivevano sulla torre centrale ancora all'inizio del XVII secolo: nel momento del suo fulgore Angkor Vat doveva essere un vero e proprio tempio d'oro. L'indicazione più immediata della grandiosità di Angkor Vat è data dalla grandezza del fossato che la cinge: largo 200 m, presenta le due sponde in muratura di laterite e arenaria che si estendono per una lunghezza di 10 km circa. Gli enormi blocchi di arenaria sono tagliati singolarmente in modo da garantire la massima adesione tra loro. Come nel più antico tempio di Ak Yum, sotto al santuario principale è presente un pozzo votivo che ha restituito numerose e preziose reliquie e offerte dedicatorie. G. Coedès, il più importante tra gli studiosi di civiltà angkoriana, ha avanzato una precisa ipotesi sulla funzione di Angkor Vat. Secondo lo studioso si tratterebbe di un monumento celebrativo del sovrano divinizzato, con il quale questi entrerebbe in comunione con le divinità. Alla morte del sovrano, i suoi resti venivano posti nella torre centrale per trasferire la sua anima alla sua immagine. Nella torre centrale di Angkor, infatti, è stato rinvenuto un contenitore in pietra lungo 140 cm, largo 80 cm ed alto 72 cm: quest'oggetto è molto simile ad un esemplare rinvenuto a Banteay Samre, del quale si conserva anche il coperchio. Nessuno di questi reperti provenienti dai siti angkoriani è stato rinvenuto nella posizione originale o con il contenuto intatto, ma la loro collocazione e la particolarità di un foro nella base suggeriscono una funzione funeraria: il foro avrebbe consentito, infatti, ai liquidi della putrefazione di fuoriuscire dal contenitore. L'adorazione del sovrano defunto si manifestava nel momento in cui la sua anima, entrando nella sua immagine di pietra, iniziava ad agire da contatto con gli antenati dinastici. Nell'ambito di questa tradizione funeraria, Angkor Vat può considerarsi come la celebrazione della continuità del sovrano, immortale e fuso con Vishnu, in un paradiso popolato da apsaras celesti. Il tempio di Bayon, noto come Madhyadri, si trova nel centro della città di Angkor Thom e presenta grandi volti di pietra inseriti nelle torri del tempio. Queste sono state considerate rappresentazioni del sovrano come bodhisattva (essere destinato all'illuminazione). Tale complessa struttura conobbe almeno tre fasi di ampliamenti e modifiche. Il muro di cinta esterno include otto torri di ingresso a pianta cruciforme ed è decorato con bassorilievi che illustrano scene di battaglia e attività quotidiane. Al terzo livello si incontra una moltitudine di torri ed una profusione di colossali volti con lo sguardo serenamente rivolto verso un punto distante dello spazio. Il santuario centrale, insolitamente, è circolare e doveva essere dorato in origine; un profondo sacello rinvenuto sotto la sua base ha restituito i frammenti di una grande statua del Buddha a testimonianza della reazione antibuddhista verificatasi alla morte del re intorno al 1220. Mausolei di tal genere, dedicati agli antenati divinizzati, non sono circoscritti alla civiltà di Angkor. Concezioni simili si riscontrano anche nelle strutture con funzioni religiose dei principali centri della civiltà Cham in Vietnam e di quella Dvaravati in Thailandia e sono forse da considerarsi tra le più straordinarie testimonianze della devozione al culto della morte e della venerazione degli antenati.
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L'uso di disporre oggetti di accompagnamento nelle sepolture, comune a tutte le culture pre- e protostoriche dell'Asia sudorientale, fornisce indicazioni sul culto rivolto ai defunti; tuttavia è difficile distinguere, soprattutto per i periodi più antichi, tra oggetti d'uso, oggetti di culto e oggetti con valore simbolico a carattere votivo.
Il sito archeologico che più di ogni altro offre la possibilità di riconoscere l'uso di manufatti come possibili oggetti con valenze cultuali, elaborate nell'ambito di società sedentarie con economia di caccia e raccolta (5000-1500 a.C.), è Khok Phanom Di (Prov. di Chonburi), nella piana estuarina del fiume Bang Pakong che sfocia nel Golfo di Thailandia. A Khok Phanom Di, infatti, nella prima metà del II millennio a.C., i defunti erano sepolti in fosse rettangolari accompagnati da cospicui corredi funerari: la sepoltura di un individuo femminile, ad esempio, aveva un corredo costituito da numerosi monili di conchiglia, tra cui oltre 120.000 elementi di collana discoidali; inoltre, la defunta, che aveva due grandi dischi di conchiglia posti sul petto aventi forse un valore simbolico di status, era accompagnata da vasellame di ceramica e dai materiali usati per la loro manifattura, quali un'incudine (chiamata in ingl. anvil ), pani d'argilla, alcuni lisciatoi per la brunitura. Una tale ricchezza indica, certamente, un elevato status sociale e la presenza di quegli oggetti nella sepoltura è rivelatrice di un ben definito rituale funerario volto al culto del defunto, come si evince anche da un'adiacente sepoltura di infante, che ha rivelato un corredo di pari ricchezza, o da quella, contemporanea alle prime due, di un individuo maschio che portava sul petto un pesante ed insolito pendente discoidale di conchiglia. Nella sepoltura di un altro individuo maschio, trovato in una fase funeraria che precede quella della ricca sepoltura femminile, il rinvenimento di una conchiglia Nautilus di insolita forma e di una pinna dorsale di squalo ha fatto pensare che quegli oggetti possano aver fatto parte di un qualche rituale di tipo magico-religioso. Nel corso della terza fase funeraria a Khok Phanom Di, si è notata la ricorrente associazione tra individui maschi e grandi ornamenti intagliati nel carapace di tartaruga che possono offrirsi a diverse interpretazioni: potrebbe trattarsi di simboli di mascolinità, elaborati in un momento in cui la componente femminile della popolazione andava assumendo un ruolo di preminenza grazie allo sviluppo della produzione ceramica, oppure di un qualche tipo di contrassegno simbolico/rituale di forme associative maschili, forse in connessione con ruoli legati agli scambi fluviali o marittimi. La cospicua presenza della ceramica, d'altra parte, non può essere sottovalutata come elemento semplicemente funzionale; B. Vincent, che ha studiato il materiale fittile rinvenuto nel sito, ha osservato, infatti, che alcuni gruppi di sepolture erano caratterizzati proprio da vasellame che presenta elementi decorativi molto specifici e circoscritti.
Nelle regioni della Cina sud-orientale, la presenza di oggetti rituali cong di giada (parallelepipedi con foro centrale cilindrico) nelle sepolture facenti parte della necropoli di Shixia (Prov. di Guangdong), riferibili al III-II millennio a.C., trova un confronto nelle sepolture di straordinaria ricchezza della cultura Liangzhu (ca. 3300-2200 a.C.), del basso corso dello Yangtze (province di Zhejiang, Jiangsu e Shanghai): si è ipotizzato che le complesse decorazioni zoomorfe ed antropomorfe che compaiono sugli cong potrebbero essere indicative di poteri sciamanici capaci di mettere in contatto l'officiante dei riti con gli antenati. Più a sud, tuttavia, nel tardo Neolitico le evidenze relative all'ambito cultuale continuano ad essere piuttosto labili. In una sepoltura scavata nel sito di Ban Kao (Prov. di Kanchanaburi, Thailandia), un individuo maschio, di circa 50 anni al momento della morte, era stato accompagnato da vasellame di ceramica, due accette di pietra levigata, un disco forato di pietra, di 24 cm di diametro, posto subito sopra il cranio, e, presso la caviglia sinistra, un palco di corna di cervo evidentemente modificate ad arte, forse da ritenere un oggetto di culto. Due altri aspetti relativi ai riti funerari di questo sito appaiono di particolare rilievo: da una parte la deposizione delle due valve di una conchiglia d'acqua dolce poste accuratamente accanto al corpo dei defunti (peculiarità rituale che perdurerà per tutta la successiva età del Bronzo e nell'età del Ferro) può ragionevolmente aver avuto una valenza simbolica e di culto, dall'altra la presenza di ossa di zampe di maiale (anche quest'uso perdurerà nell'età del Bronzo e nell'età del Ferro) indica, verosimilmente, l'uso di pratiche rituali con sacrifici animali o banchetti funerari. Altri manufatti rinvenuti in cimiteri riferibili all'età del Bronzo potrebbero essere indicativi di pratiche cultuali: in alcune tombe della ricca necropoli di Ban Na Di (Altopiano del Khorat, Thailandia) sono state rinvenute numerose figurine d'argilla (ca. 15 cm di lunghezza) raffiguranti bovini, cervidi, elefanti ed esseri umani, che potrebbero essere interpretate come simbolo di opulenza. Nella stessa necropoli, il corpo di un infante era stato sepolto coperto da un'intera pelle di coccodrillo, mentre in una sepoltura maschile si è rinvenuto un monile intagliato in un pezzo di cranio di coccodrillo posto sul petto dell'inumato. Tali associazioni potrebbero suggerire la presenza di una figura totemica connessa a un determinato gruppo sociale o di parentela. Zampe anteriori di bovino o maiale sono state, inoltre, rinvenute accanto a molti dei defunti: le ossa erano ancora in associazione anatomica e senza tracce di macellazione, rafforzando così l'ipotesi che possa trattarsi di sacrifici animali o offerte per simbolici banchetti funebri, come già supposto nel caso di Ban Kao. Ossa animali, mascelle di maiale in particolare, sono state rinvenute nelle sepolture databili all'età del Bronzo a Ban Chiang, mentre nel vicino sito di Non Nok Tha (Altopiano del Khorat, Thailandia) i rituali connessi al culto dei morti sono molto diversificati: compaiono ossa di zampe di maiale, scheletri completi di maialini, le già nominate grandi conchiglie bivalvi e, per la prima volta, lo scheletro di un cane accanto al defunto; anche a Non Nor (Prov. di Chonburi, Thailandia) sono state rinvenute numerose sepolture in cui il defunto era stato sepolto con l'offerta di diversi crani di cane. La presenza rituale di resti di cane nelle sepolture, riscontrabile durante l'età del Bronzo (ca. 1500-500 a.C.), continuerà, come vedremo, anche nella successiva età del Ferro.
La presenza di oggetti di culto diviene più frequente nei cimiteri dell'età del Ferro (dalla metà del I millennio a.C. ca.), come è particolarmente evidente nell'ambito della cultura Dian, fiorita nelle piane lacustri della Cina sud-occidentale durante la seconda metà del I millennio a.C. Nella necropoli di Shizhaishan (Prov. di Yunnan; ca. 250 a.C. - 50 d.C.), verosimilmente la necropoli reale del "regno" di Dian incorporato nell'impero Han nel 109 a.C., la disposizione e la composizione dei corredi funerari suggeriscono una partizione in quattro gruppi distinti. Al primo di essi appartiene la tomba M16, che ha rivelato, sul lato occidentale della fossa di sepoltura, una fila di grandi tamburi e di "ciste" di bronzo per contenere conchiglie cauri (Cypraea sp.). Secondo testi cinesi più tardi, i tamburi di bronzo erano importanti oggetti cultuali, sede di considerevoli poteri spirituali e temporali, percossi esclusivamente in tempo di guerra, mentre le conchiglie cauri, rinvenute a migliaia nella necropoli, potrebbero essere legate ad una manifestazione di ricchezza, ma non può essere sottovalutata la possibilità di un loro valore come simbolo di fertilità e dell'organo genitale femminile. La sepoltura M16 conteneva anche un recipiente da vino, una serie di flauti a più canne (sheng o hulusheng), armi e ornamenti di giada. Il recipiente da vino presenta, inoltre, la tangibile testimonianza di quelle scene di feste cerimoniali così largamente raffigurate a tutto tondo insieme ai modellini di strutture architettoniche sui coperchi dei contenitori di conchiglie cauri. Il secondo gruppo di sepolture è più ricco del primo: la tomba M3 conteneva una spada di ferro con fodero d'oro mentre, nell'angolo a nord-ovest, erano situati tamburi e contenitori di cauri, uno dei quali sovrastato da una grossa statuina antropomorfa di bronzo. Nell'angolo settentrionale sono state rinvenute, poi, due coppie di teste di mazza cerimoniali e due coppie di lance di bronzo con punta bifida. La sepoltura conteneva anche un modello bronzeo di una testa di toro: animale che è frequentemente rappresentato (la sola testa o a figura completa, singolarmente o parte di scene rituali e sacrificali) in tutta l'area sepolcrale e che deve aver avuto una valenza rituale di primo piano. Il terzo gruppo di sepolture appare relativamente povero, mentre il quarto gruppo, a cui appartiene la sepoltura M6, ha restituito una splendida statuina di bronzo raffigurante un portatore di parasole inginocchiato di 38 cm di altezza. M. Pirazzoli-t'Serstevens ha diviso il corpus degli oggetti tombali in diverse categorie: armi, strumenti per la produzione, ornamenti, oggetti di culto e cerimoniali. Un ruolo preminente in quest'ultimo gruppo può essere assegnato ad una grande placca bronzea (42 cm di altezza) rinvenuta nella sepoltura M13, finemente decorata da pannelli con raffigurazioni di conchiglie cauri, prigionieri, suini, teste di tigre e di bovino, nonché uno strumento musicale a fiato. Ancora all'ambito della cultura Dian è da riferire un eccezionale altare di bronzo (alt. 43 cm, largh. 76 cm), a forma di bovino attaccato, da tergo, da una tigre, rinvenuto nella sepoltura M24 di Lijiashan (Prov. di Yunnan). Gli aspetti della vita cultuale e rituale del "regno" di Dian, eloquentemente rappresentati nelle scene realizzate a tutto tondo sui coperchi dei contenitori di cauri, senza dubbio incorporano anche informazioni relative a diversi tipi di cerimonie, comprese quelle legate ai riti funerari, sebbene non manifestamente rappresentate. Durante l'epoca della dinastia dei Zhou Orientali (770-221 a.C.), nella media valle dello Yangtze si costituiva lo Stato di Chu che esercitò una considerevole influenza sui chiefdoms emergenti nel Sud-Ovest, compreso il "regno" di Dian, e nel Sud, nella regione del Lingnan (province di Guangxi e di Guangdong). Nelle zone deltizie dei fiumi Xijang, Beijang e Suijang sono state rinvenute numerose necropoli che testimoniano dell'interazione culturale tra le due aree. Una tomba del cimitero di Matougang (Prov. di Guangdong), databile tra il 550 e l'inizio del V sec. a.C. nel tardo periodo Primavere e Autunni (770-476 a.C.), contiene oggetti di bronzo di origine Chu, insieme a quattro "pilastrini" di bronzo (alti fino a 42,5 cm) decorati sull'apice con raffigurazioni di teste umane. Altri corredi del genere ‒ in cui sono presenti, insieme, oggetti alloctoni e manufatti locali ‒ si incontrano a Nanmendong e a Niaodanshan (Prov. di Guangdong); in quest'ultimo caso la bara in legno deposta in una tomba di 5,7 × 3,5 m conteneva recipienti in stile Chu che rappresentano attività rituali o cultuali. Una tomba di proporzioni ancora più ampie (8 m di lunghezza) è stata riportata alla luce a Beilingongshan (Prov. di Guangdong); tra le molte altre offerte funerarie, oltre a quattro "pilastrini" di bronzo con apice a testa umana, si distingue un vaso rituale di bronzo con agemina in argento. A Yinshanling (Prov. di Guangxi) sono state scavate circa 108 tombe intatte e tra queste quelle a fossa rettangolare erano fornite di piattaforma perimetrale in terra (ercengtai), fossa rituale (yaokeng) e piano pavimentale in ciottoli che, soprattutto i primi due elementi, evidenziano una familiarità con la tradizionale struttura rituale delle sepolture cinesi. Gli oggetti funerari rinvenuti sono stati divisi in ben 59 classi, comprendenti armi, strumenti di bronzo e "pilastrini" di bronzo con apice a testa di animale, oltre a diversi manufatti di ferro, quali punte di lancia, asce, accette, coltelli e raschiatoi. Per contro i 30 cimiteri rinvenuti a Liyangdun (Prov. di Guangdong), contemporanei di Yinshanling, non evidenziano affatto importazioni Chu, non compaiono infatti aste cerimoniali, ma solo alcune giade o bronzi. L'impatto dei contatti commerciali con gli Stati cinesi è evidente anche nell'ambito della cultura Dong Son (V a.C. - I d.C. ca.) nella regione di Bac Bo (Vietnam), ma l'interscambio culturale non sembra così consistente come per il Lingnan; il sarcofago "a barca" rinvenuto nella tomba 2 a Viet Khe, presso Haiphong, ad esempio, è un tipico esempio di ricca sepoltura Dong Son, ma tra i molti elementi del corredo solo dei coltelli con pomo ad anello rettangolare fisso erano di origine settentrionale. I bronzisti Dong Son erano, infatti, attivi nella realizzazione di una considerevole varietà di recipienti rituali e cerimoniali; tra gli oggetti di accompagnamento della tomba 2 di Viet Khe emerge su tutti una splendida "cista" (thap) che, sebbene incompleta, misura ben 37 cm di altezza ed è decorata con motivi geometrici e a spirale e scene con guerrieri piumati, uccelli e pesci. Dello stesso corredo facevano parte diversi oggetti rituali di bronzo, quali tho (alto bicchiere fortemente estroflesso su un basso piedistallo), binh (vaso su piedistallo con manici e coperchio), dinh (bacino tripodato con manici) e au (bacino su piedistallo con manici), insieme ad un tipo di mestolo decorato con una figura che suona uno strumento a fiato solitamente posta sul manico: si tratta certamente di un corredo per banchetto rituale appartenuto ad un personaggio di altissimo rango. Oggetti rituali di bronzo dello stesso tipo sono stati rinvenuti anche nel cimitero di Lang Ca, mentre tamburi di bronzo (del tipo detto "a fungo") sia in miniatura, sia di dimensioni reali, sono attestati nelle tombe di Lang Vac. Tra i bronzi rituali più interessanti rinvenuti nel Bac Bo è quello da Dao Tinh: si tratta di un thap di circa 1 m di altezza che reca, sulla fascia centrale del corpo cilindrico, un'elegante scena con piroghe che trasportano guerrieri ornati di piume; il coperchio del thap ha i manici figurati formati da coppie di rigide statuine antropomorfe copulanti, un indubbio riferimento ad un valore propiziatorio di fertilità e rigenerazione. A valori simbolici dello stesso tipo sono da ricondurre molti tamburi decorati sulla cassa o sul timpano con coppie di rane (simbolo dell'acqua e della crescita) rese a tutto tondo nell'atto della procreazione. In diverse fonti letterarie indiane e cingalesi del I millennio d.C. è narrato l'episodio, fatto risalire al III sec. a.C., dell'invio da parte di Ashoka, sovrano della dinastia Maurya in India, dei tre missionari Gavampti, Sona e Uttara, per diffondere l'insegnamento del Buddha nel Sud-Est asiatico. Il cimitero dell'età del Ferro di Ban Don Ta Phet (Distr. di Phanom Tuan, Thailandia), datato all'inizio del III sec. a.C., si trova lungo il passaggio che collegava l'India, attraverso il Golfo del Bengala, il Tenasserim e il Passo delle Tre Pagode alla valle del fiume Chao Phraya. Le sepolture messe in luce hanno corredi funerari in cui la presenza di oggetti di ispirazione alloctona e di vere e proprie importazioni è ragguardevole: una delle sepolture, infatti, ha restituito un leone in corniola di indubbia origine indiana. Un secondo esemplare, purtroppo spezzato, è stato rinvenuto nello stesso contesto sepolcrale, mentre altri esempi sono noti da Khuan Lukpad (Prov. di Krabi, Thailandia) e Khao Sam Kaeo (Prov. di Chunphon, Thailandia). Il leone è stato spesso utilizzato per simboleggiare il Buddha, soprattutto nella più antica fase aniconica del buddhismo, e non è improbabile che i primi elementi della religione indiana avessero già raggiunto il Sud-Est asiatico intorno al III sec. a.C. Più a monte, lungo il fiume Khwae Yai, la grande caverna di Tham Ongbah venne usata come cimitero nello stesso periodo; la ricchezza dell'élite locale è da ricondursi allo sfruttamento dei depositi di piombo della zona; il piombo, infatti, veniva aggiunto nella lega del bronzo per migliorarne la fluidità nella fusione di grandi manufatti cultuali. Uno dei sarcofagi di legno rinvenuti a Ongbah era associato a cinque tamburi di bronzo; purtroppo la pervicace attività degli scavatori clandestini ha reso impossibile condurre ulteriori indagini in questo sito che si presentava, potenzialmente, di cruciale importanza. Un'evidente crescita della ritualità si è rilevata nella necropoli dell'età del Ferro di Noen U-Loke, nell'alta valle del Mun (Thailandia), dove ad una grande proliferazione di ornamenti di bronzo, tra cui notevoli sono alcune cinture maschili a cerchi multipli, corrisponde la presenza di considerevoli quantità di riso bruciato usato per ricoprire il corpo dell'inumato fino a riempire la fossa di sepoltura. Un'usanza quest'ultima che ancora in qualche modo si rintraccia, in alcuni moderni villaggi cambogiani, nella consuetudine di scaldare riso non sarchiato per scopi rituali. Le sepolture di Noen U-Loke includevano anche offerte di cibo: alcuni vasi contenevano lische di pesce, mentre scheletri interi di pesce sono stati rinvenuti accanto ai corpi dei defunti; durante la fase funeraria 3, inoltre, diversi individui erano stati sepolti con l'offerta di maialini, come si evince dai resti scheletrici. Nel sito di Tha Kae (Prov. di Lopburi, Thailandia) le indagini archeologiche hanno messo in luce una necropoli ‒ in gran parte distrutta dall'attività dei clandestini ‒ con profonde fosse di sepoltura rettangolari, per la maggior parte orientate nord-sud. Lo scavo stratigrafico di tali sepolture ha fornito dati di notevole importanza, soprattutto per gli elaborati rituali d'inumazione: sono state riscontrate sepolture sia singole, sia multiple, che possono essere definite a carattere familiare dove, accanto ai più frequenti elementi del corredo (giare e ciotole carenate di ceramica rossa o bruna, utensili di ferro, monili di bronzo e perle di vetro, corniola e giadeite o serpentino), è spesso presente lo scheletro di un cane deposto sul petto o sulla spalla dell'inumato.
Lo sviluppo, dopo il V sec. d.C., dei primi Stati in Cambogia, in Vietnam (a sud dell'impero Han) e nella Thailandia centrale (valle del Chao Phraya) ispirati a concezioni politico-religiose di tipo indiano coincise con il graduale passaggio del rituale funerario dall'inumazione alla cremazione. A ciò si accompagnò la realizzazione di templi di mattoni e, più tardi, di pietra, per ospitare le immagini ancestrali e per i culti ad esse associati; le principali evidenze relative ai manufatti rituali e cultuali dunque ci pervengono soprattutto da iscrizioni dedicatorie che elencano le offerte associate alla fondazione dei templi. Nell'epoca immediatamente precedente alla formazione di tali entità statali, durante il periodo dello "Stato" di Funan tradizionalmente posto nei primi sei secoli d.C., è noto l'uso di fosse funerarie rivestite di mattoni al cui interno sono state ritrovate foglie d'oro inscritte in sanscrito e decorate con immagini di divinità Hindu sia in forma umana sia nella loro manifestazione simbolica (avatāra), solitamente zoomorfa. Purtroppo, l'elevato valore delle offerte votive d'oro e d'argento usate, all'incirca dal V sec. d.C., dalle aristocrazie di quelle entità statali per il culto degli antenati, così come le splendide stoffe, i tessuti e i recipienti da libagione per il servizio degli dei hanno fatto sì che esse, salvo casi eccezionali, siano andate, in larga parte, perdute; da qui la necessità di riferirci alle testimonianze epigrafiche. Nel caso del tempio di Preah Ko, che venne eretto dal sovrano Khmer Indravarman I (877 - ca. 886) Hariharalaya, veniamo a sapere che ogni santuario del tempio doveva contenere l'immagine di un antenato. L'elenco delle donazioni di beni offerte dal re al tempio stesso lascia intuire lo splendore del monumento: portantine, parasoli, recipienti rituali d'oro e d'argento di diversa forma, scatole d'argento e d'oro, ventagli d'argento, giare, spade con impugnatura d'oro, boccali da libagione, specchi con sostegni d'oro, scacciamosche, profumi, capi di vestiario, lance con decorazioni d'argento, come pure danzatori, cantanti, musici, artigiani forniti di vesti, migliaia di contadini, uomini e donne provenienti da diversi villaggi, terreni in buona posizione, migliaia di capi di bufali, capre, elefanti e cavalli. La stele di fondazione riporta che "qui, nella corte di Indravarman, per la gioia di coloro i quali lo ammirano e la assoluta meraviglia del costruttore celeste, egli eresse otto liṅgam denominati per prassi reale secondo gli otto elementi di Shiva: Terra, Vento, Fuoco, Luna, Sole, Acqua, Etere e il sacrificante". Tutto questo doveva apparire, agli occhi dei contemporanei, sebbene addentro ai canoni Hindu, un maestoso simbolo del potere reale, anche per la possibilità di ammirare i rilievi in pietra dei quali, oggi, solo poche tracce sopravvivono. Il muro dell'ordine superiore illustra una scena di battaglia che coinvolge un gruppo di asura (demoni). Gli architetti di Indravarman, inoltre, furono i primi a rappresentare il nāga, serpente mitico, guardiano della ricchezza terrena, come forma simbolica dell'arcobaleno: il ponte tra il mondo degli umani e il dominio degli dei. Il ponte di accesso al tempio, sorvegliato appunto dai nāga, segnava il limite di passaggio tra il sacro e il profano: lo spazio interno del tempio, significativamente, era dominato dalle immagini divine del re e dei suoi antenati. Questa devozione agli spiriti ancestrali personificati nel tempiomausoleo non era ristretta ai soli centri di corte: a Phnom Wan, nell'alta valle del Mun, si ha notizia, ad esempio, di un soldato chiamato Viravarman che fece dono di proprietà e simboli di status, comprendenti una portantina d'oro e un parasole d'avorio con piume di pavone, alla fondazione del tempio. L'avvento della dinastia di Mahidharapura è contraddistinto in particolare da due sovrani, Suryavarman II (1113 - ca. 1150) e Jayavarman VII (1181 - ca. 1220). Nel 1113 d.C. il venerabile Divakarapandita consacrò il primo; un'iscrizione da Preah Vihear, che rappresenta un'intensa testimonianza dell'importanza del rituale e dell'acquisizione di meriti, narra come il re studiasse i riti sacri, celebrasse tutte le feste religiose e offrisse doni. Questi ultimi comprendevano due ventagli di penne di pavone con manici d'oro, quattro parasoli bianchi, orecchini ed anelli, braccialetti, pettorali, coppe d'oro e, ancora, operai, elefanti e bovini sacri dipinti di marrone dati a Divakarapandita, che aveva officiato i sacrifici agli spiriti degli antenati. Il nobile sacerdote intraprese allora un pellegrinaggio per fare offerte ai santuari sacri, a partire da Wat Phu (Laos) sulle rive del fiume Mekong, fornito di un testo regale che avrebbe dovuto essere inscritto su tutti i beni donati ai templi. Divakarapandita donò, dunque, beni, fece scavare bacini idrici che chiamò con il suo nome, fece lasciti a villaggi e a singoli lavoratori e fondò romitaggi. Si può percepire l'entità della sua acquisizione di meriti attraverso la lista delle sue offerte giornaliere: riso, olio, tessuti sacri, candele, incenso, danzatrici, cantanti, musici e vasi da fiori. Al tempio di Preah Vihear (sul confine tra Thailandia e Cambogia) donò una statua d'oro di Shiva danzante; ai villaggi fornì vasche per l'acqua e il necessario per i riti quotidiani. Fece, inoltre, ricoprire il pavimento delle torri con rivestimenti di bronzo e donò stendardi, parasoli e tessuti pregiati da disporre sulle torri, nelle corti e per le strade che conducevano al luogo dove si teneva il rito della bruciatura del riso. Egli elargì annualmente doni ai sacerdoti, agli officianti della religione, al governatore provinciale e ai servitori. Identica generosità fu dispensata al santuario di Phnom Sandak e Wat Kok Po. La stele di fondazione di Angkor Vat, sfortunatamente, non è mai stata rinvenuta, nonostante fosse stata descritta in situ, alla fine del XVI secolo, dai missionari portoghesi. In ogni modo, la varietà degli oggetti rituali e cultuali che dovevano far parte dei doni offerti al più grande tempio-mausoleo del mondo può essere valutata dal simbolismo insito nel monumento stesso, con le sue torri centrali che sorgono a rappresentare il Monte Meru, dimora degli dei Hindu. Qui nel 1935 l'archeologo francese G. Trouvé scavò il pozzo di fondazione, profondo 27 m, posto sotto il santuario centrale, allora invaso dall'acqua, per recuperare il deposito sacro, composto da due zaffiri bianchi e da due foglie d'oro. Al sovrano Jayavarman VII si deve attribuire la realizzazione di una serie di grandi templi, compreso quello del Bayon al centro della sua nuova città, e quelli di Ta Prohm, Preah Khan e Banteay Chmar. L'iscrizione di fondazione di Ta Prohm, il mausoleo dedicato alla madre del sovrano, fornisce un inventario dei beni posti come "tesoro" di fondazione: recipienti d'oro e d'argento, 35 diamanti, 40.620 perle, 4540 pietre preziose come il berillo, coppe di rame, stagno, piombo, 512 letti di seta, 876 veli di tessuto proveniente dalla Cina, cuscini e 523 parasoli. Vi erano anche strumenti musicali per "allietare lo spirito" e 165.744 torce di cera, molto probabilmente utilizzate per scopi rituali. L'immagine principale, tempestata di gemme, raffigurava la madre del sovrano nelle sembianze della madre del Buddha. Un testo simile riporta le offerte di fondazione al tempio di Preah Khan per rendere merito al padre del sovrano. Si elencano gli alimenti necessari al sostentamento degli dei: riso, sesamo, piselli, burro, latte fresco, miele e melassa. Segue la lista di 645 pezze di tessuto rosso e bianco per vestire gli dei, per le coltri e per i seggi, mentre per proteggere gli dei erano previste zanzariere di seta. Il cibo riservato agli officianti del tempio, con particolare riferimento all'Anno Nuovo e alle festività, è elencato in una lista che comprende olio destinato verosimilmente alla cosmesi dopo le abluzioni rituali. L'insieme delle offerte comprendeva, anche, resina di pino, usata probabilmente per l'illuminazione e per le candele, 423 capre e 360 piccioni e pavoni. Il re, insieme con i proprietari (terrieri), destinò non meno di 5324 villaggi con 97.840 persone adibite al servizio del tempio, compresi i cuochi e 1000 danzatori. Come per il Ta Prohm, l'iscrizione prosegue con un inventario della proprietà del tempio, che include, oltre a grandi quantità di oro e recipienti d'argento, pietre preziose, 112.300 perle e una vacca marrone con le corna e gli zoccoli dorati. Va notato che le statue delle divinità, nel numero di diverse centinaia, venivano "risvegliate" al mattino, vestite, portate in processione, adorate e poi ritirate al calar della notte. Altri membri della famiglia reale acquisirono merito con doni ai templi funerari. La grande stele dei Phimeanakas comprende l'eulogia della regina Jayarajadevi, sorella dell'autore dell'iscrizione, Indradevi. Essa menziona sia Ta Prohm che Preah Khan, ai quali Jayarajadevi aveva offerto oggetti rituali e disposto che le sue ricchezze fossero messe a disposizione delle divinità e dei poveri. A Jayarajacudamani donò due immagini d'oro del toro Nandin ‒ veicolo di Shiva ‒, quattro aquile d'oro e una lampada perpetua. A Jayashri donò due immagini di Nandin, oltre a statuine di leoni, uno specchio ed uno splendido scacciamosche d'oro, uno scranno d'oro di "incomparabile bellezza", una scatola d'oro, una corona d'oro e due villaggi. Alla divinità di Madhyadri, nel Bayon, ella donò 100 stendardi di stoffa cinese e ricoprì nuovamente d'oro "Vasudhatilaka" ‒ probabilmente da identificare con il Phimeanakas ‒, che era stato spogliato e saccheggiato dai Cham. Molti altri sacrari più distanti beneficiarono di doni; il dio Campeshvara adorato a Phimai (Thailandia) ricevette un tamburo di argento dorato, mentre al tempio di Jayakshetrashiva (a Baset vicino Battambang) donò un'immagine del dio Jayarajamaheshvara. Siamo meno informati sui culti e gli oggetti rituali collegati alla civiltà Dvaravati, fiorita nella Thailandia centrale tra il VII e il X secolo, a causa della mancanza di iscrizioni. È possibile, in ogni caso, ricavare una qualche impressione del simbolismo e della natura sacra dei principali santuari dalla loro decorazione architettonica. Nakhon Pathom è il maggiore insediamento Dvaravati; si estende su un'area di 3700 × 2000 m. Due medaglie (o monete) d'argento, che recano l'iscrizione "gesta meritorie del re di Dvaravati", sono state rinvenute sotto un santuario nell'area del fossato. La data di fondazione del tempio è stata desunta in base ad un testo del VII sec. d.C.; inoltre, il santuario in questione potrebbe essere associato al caitya di Phra Pathom, una grande e maestosa struttura al centro di Nakhon Pathom. Questo edificio deve aver goduto di una considerevole importanza: fu, infatti, rimaneggiato in tre occasioni durante l'occupazione Dvaravati della città. Progettato come edificio rettangolare, il cui accesso era fornito da scalinate su ciascun lato, il monumento presenta un basamento pieno, decorato da pannelli di stucco alternatamente riempiti da elefanti e garuḍa (essere mitico, metà uomo e metà rapace), sacro veicolo di Vishnu, mentre ciascuna scalinata era fiancheggiata da leoni in rilevo; i muri esterni del caitya recavano cinque nicchie ciascuna contenente una statua di stucco del Buddha. Diversi manufatti sono stati rinvenuti sotto la torre centrale; tra questi un candeliere di bronzo, campane, cimbali e una raffigurazione del Buddha.
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