L'archeologia delle pratiche funerarie. Asia Centrale
Un quadro esauriente dell'evoluzione delle pratiche funerarie presso le culture protostoriche dell'Asia Centrale è fornito dal Turkmenistan. Nel corso di questo sviluppo, grosso modo tra il V e il III millennio a.C., la tradizione maggiormente radicata è senz'altro quella che comporta il seppellimento del defunto in una semplice fossa scavata nelle immediate vicinanze della dimora, spesso sulle rovine di abitazioni abbandonate; non si avverte, dunque, la necessità di destinare alle sepolture un'area situata al di fuori del centro abitato, villaggio o città che fosse. Si nota tuttavia una tendenza a demarcare, all'interno dell'insediamento, le zone destinate alle inumazioni, soprattutto nel caso delle cripte collettive, che, nei periodi Namazga III (seconda metà del IV millennio a.C.) e IV (prima metà del III millennio), affiancano le tradizionali tombe a fossa. Si tratta di costruzioni di mattoni crudi e a pianta ovale, ellittica o rettangolare, solitamente coperte da una falsa volta e utilizzate nel corso del tempo per inumazioni successive. Ne sono state riportate alla luce numerose a Geoksyur e in altri centri (Khapuz Depe, Altin Depe), riunite in gruppi a formare una piccola necropoli, spesso recintata da un muro. Tali strutture caddero gradualmente in disuso nelle epoche successive, ma non le inumazioni collettive, che continuarono a essere praticate in edifici abbandonati. A una destinazione del tutto peculiare sembra fossero consacrate le cinque camere sepolcrali disposte in fila lungo un corridoio nel complesso templare- funerario di Altin Depe (periodo Namazga V), dove si suppone fossero inumati membri della classe sacerdotale. Nel periodo Namazga VI (ultimo quarto del III millennio a.C.), che segna la fine dell'età del Bronzo, sono testimoniate necropoli isolate dall'insediamento (ad es., a Yangi Kala e, in Uzbekistan, a Jarkutan e a Molali), mentre le costruzioni funerarie collettive scompaiono definitivamente. Nel corso del II millennio a.C., le regioni situate più a settentrione rientrano nell'areale della cultura di Andronovo, che per gran parte della sua durata corrisponde all'età del Bronzo delle steppe asiatiche. Principale centro di sviluppo e di irradiazione di questa cultura ‒ che, largamente basata sull'allevamento transumante, prepara la strada all'avvento del nomadismo ‒ fu il territorio dell'attuale Kazakhstan; varianti locali e influssi, probabilmente veicolati da fenomeni migratori, sono stati messi in evidenza, soprattutto nella fase più tarda (seconda metà del II millennio a.C.), anche nelle regioni dell'Asia Centrale a vocazione prevalentemente agricola. L'elevato numero di necropoli investigate dagli archeologi (diverse centinaia), di gran lunga superiore a quello degli insediamenti, consente di ricostruire le pratiche funerarie andronoviane, che, nonostante l'enorme estensione del territorio interessato, mostrano evidenti caratteri di omogeneità. Era pratica oltremodo diffusa seppellire i defunti (o i resti della loro cremazione) in tombe a fossa di forma rettangolare, spesso rivestite di lastre di pietra, racchiuse da un recinto circolare, ovale o rettangolare fatto di pietre infisse verticalmente nel terreno o in file sovrapposte. Sepolcreti andronoviani sono stati esplorati in Semireč´e (necropoli di Karakuduk), nel Kazakhstan meridionale (Tautari, in cui prevale il rito dell'incinerazione), orientale (Zevakin), centrale (Buguli e Aksu-ayuli) e occidentale (Sintashta, Tashti Butak). La medesima tradizione si riscontra anche nella cultura di Tazabagyab, variante andronoviana localizzata nella regione a sud dell'Aral. Evidentemente connesse alla cultura degli allevatori delle steppe, sebbene non direttamente riconducibili alla sfera andronoviana, sono le necropoli dell'età del Bronzo scavate nelle valli del Vakhsh e del Bishkent, nella Battriana settentrionale, indagate da A.M. Mandel´štam. Nelle necropoli della valle del Vakhsh (la più vasta è quella di Tigrovaja Balka) la tipologia sepolcrale prevalente è la tomba a fossa con nicchia laterale, già testimoniata in necropoli battriane del Bronzo Tardo (ad es., Sapalli Tepa); il sepolcro era ricoperto da un tumulo di terra mista a ciottoli, in genere circondato da un recinto di pietre; in alcuni casi un secondo recinto, situato a una distanza variabile dal primo, racchiudeva l'area funeraria. Nelle necropoli del Bishkent (la più importante è quella di Tulkhar) troviamo il prototipo della sepoltura a catacomba, costituita da una camera funeraria quasi rettangolare o arrotondata, accessibile tramite un corridoio inclinato. Risultati significativi sono stati di recente conseguiti dagli scavi delle necropoli di Tandiryul e Kangurttut, nel Tajikistan meridionale, e di Bustan, nell'Uzbekistan meridionale (seconda metà del II millennio a.C.). Le prime due hanno rivelato in prevalenza tombe a fossa con nicchia laterale. Anche nella necropoli di Bustan la tipologia suddetta è quella dominante, sebbene non manchino tombe a catacomba e a fossa semplice. A Bustan erano praticate sia l'inumazione sia l'incinerazione; in entrambi i casi i resti dei defunti erano deposti in sepolcri del medesimo tipo, tuttavia le tombe a incinerazione occupavano un settore circoscritto della necropoli. Di grande interesse è il rinvenimento di tre strutture rettangolari (lati lunghi di poco superiori a 1 m), in mattoni crudi e prive di copertura, con ogni probabilità utilizzate per la cremazione dei cadaveri. L'autrice degli scavi, N. Avanesova, è propensa ad attribuire questa area funeraria e, insieme, cultuale (come proverebbe la presenza di un altare e di altre consistenti tracce di rituali incentrati sul fuoco) agli Arii vedici. In epoca storica, ossia tra il periodo achemenide (V sec. a.C. ca.) e la vigilia della conquista araba (VII-VIII sec. d.C.), si assiste in Asia Centrale alla graduale diffusione, soprattutto in certe regioni (Chorasmia, Margiana e Sogdiana), del rito dell'esposizione dei cadaveri. Nella fase più antica, tuttavia, le testimonianze archeologiche e letterarie sono piuttosto sporadiche e, comunque, non sembrano ancora adombrare l'esistenza di una tradizione canonica. A questa pratica sono riconducibili tipologie architettoniche testimoniate in epoche e regioni diverse dell'Asia Centrale, quali i dakhma (edifici destinati all'esposizione dei cadaveri) scoperti a Erkurgan (Sogdiana, III-II sec. a.C.) e a Chilpik (Chorasmia, III-IV sec. d.C.), i kata (edifici per la deposizione temporanea del cadavere) riportati alla luce alla periferia della città battriana di Kampir Tepe (I sec. a.C. - I sec. d.C.) e gli uzdāna (i nawwus delle fonti arabe), ossia mausolei per la collocazione definitiva dei resti ossei, all'interno di ossuari o meno. Se appare dubbia l'attribuzione a questo utilizzo dei mausolei di Dalverzin Tepe e di Tepa-i Shah (I-IV sec. d.C.), che, secondo P. Bernard (1980), sarebbero stati invece utilizzati, per l'intera durata del loro funzionamento, per sepolture a inumazione (come gli analoghi mausolei di Ai Khanum e quelli di epoca altomedievale di Krasnorečenskoe Gorodišče, in Semireč´e), l'uzdāna lascia testimonianze incontrovertibili in età più tarda (VI-VIII sec. d.C.) in Sogdiana, a Penjikent, e in Chorasmia, a Tok Kala e a Mizdahkan (in larga parte sepolture cristiane). In quest'ultima necropoli è inoltre attestata la pratica di seppellire le ossa dei defunti in fosse semplici o rivestite di mattoni. Sepolture di ossa scarnificate all'interno di fosse sono note anche a Kalali Gir (Chorasmia), ad Ak Tepe (Battriana) e in diversi siti del Semireč´e. Per quanto concerne le culture nomadiche, elemento emblematico delle tradizioni funerarie dei popoli delle steppe (sebbene ampiamente testimoniato nella regione euroasiatica già in epoche ben più remote) è senz'altro il kurgan, ossia il tumulo che ricopre il sepolcro e che, in relazione al prestigio dell'inumato, può raggiungere dimensioni monumentali (diam. fino a 100 m). Nelle steppe asiatiche il tumulo è prevalentemente costituito da strati di pietre, alternati o meno a terra, e allettati secondo modalità precise; uno o più circoli di pietre delimitano l'area funeraria. Ubicazioni privilegiate delle necropoli a kurgan, in genere costituite da diverse decine di tumuli disposti in file o anche senza un ordine preciso, erano le aree prospicienti le rive di fiumi o laghi, le pendici o le vette montane. L'enorme quantità di dati forniti dall'esplorazione sistematica di un elevatissimo numero di necropoli nomadiche disseminate tra i confini della Cina e gli Urali (e, includendo il versante europeo del nomadismo euroasiatico, quello scitico, fino al bacino del Danubio) fornisce un panorama assai diversificato delle tipologie sepolcrali e, in generale, delle usanze legate alla sfera funeraria che in questa sede, tuttavia, non illustreremo che a grandi linee. Le tombe a camera lignea costituiscono uno dei tratti precipui della fase di maggiore vitalità della cultura delle steppe, quella degli "antichi nomadi", che ha inizio intorno al IX-VIII sec. a.C., raggiunge il massimo slancio intorno alla metà del millennio e sfuma nel III-II sec. a.C. (vi è tuttavia chi la prolunga fino all'ascesa dei Turchi, nel VI sec. d.C.). L'età degli "antichi nomadi" ha come protagonisti popoli di ceppo iranico che, secondo una definizione consapevolmente generica, sono spesso ricondotti dagli studiosi alla koinè etnica e culturale dei Saka, nome con cui le fonti achemenidi designano i nomadi delle steppe asiatiche. Il più antico esempio di imponente sepolcro di un capo tribale nomadico è il kurgan di Aržan (Tuva, Siberia meridionale; IX-VIII sec. a.C.). L'impianto della tomba, interamente realizzato in tronchi d'albero, riproduce un cerchio radiato (che si suppone connesso a una simbologia solare) e ha il suo fulcro in una camera centrale quadrata, che racchiude a sua volta un più piccolo vano quadrato contenente le inumazioni principali, all'interno di sarcofagi anch'essi ricavati da tronchi; nei vani trapezoidali di cui si compone la griglia dell'impianto sono state rinvenute altre sepolture di uomini e cavalli. Nei secoli successivi si accresce il numero di sepolture che vengono ricondotte alla categoria dei kurgan "regali"; le scoperte più eclatanti sono state effettuate negli Altai, in particolare a Pazyryk, Tuekta e Bashadar (V-III sec. a.C.). Segnalati in superficie da tumuli di enormi pietre, i sepolcri altaici sono costituiti da una fossa quadrata (6-7 m di lato; 4-7 m di profondità), la cui parte meridionale è occupata da una camera con doppie pareti e copertura piana interamente realizzata in tronchi d'albero. Altro notevole esempio di "kurgan regale" è il tumulo di Salbik, nella conca di Minusinsk (V-IV sec. a.C.), circondato da un recinto quadrato realizzato con grandi lastre di pietra infisse verticalmente nel terreno, con accesso sul lato orientale. Importanti kurgan, ascrivibili a capi nomadi, sono stati inoltre messi in luce nelle necropoli di Besšatir, Berel e Issik (Kazakhstan). È opportuno ricordare che, sia nelle caratteristiche strutturali sia nel rituale che faceva da sfondo alla cerimonia di sepoltura, i kurgan altaici rivelano sorprendenti corrispondenze con quanto Erodoto (fine V sec. a.C.) tramanda sulle usanze funerarie degli Sciti, ossia i nomadi iranici che abitavano l'entroterra settentrionale del Mar Nero e il Caucaso settentrionale; anche in queste regioni le esplorazioni archeologiche hanno portato alla scoperta di numerose necropoli che includono kurgan "principeschi", ad es., Kelermes e Ul´skij (VII-VI sec. a.C.) e Solocha, Čertomlyk, Tolstaja Mogila e Kul´-Oba (IV sec. a.C.). Caratteristiche della regione a est del Bajkal sono le tombe a lastre di pietra; da queste trae il nome la cultura locale che, sviluppatasi lungo un arco di tempo compreso tra l'VIIIVII sec. a.C. e gli ultimi secoli prima dell'era cristiana, viene ipoteticamente considerata espressione di genti prototurche. Disposti in file con orientamento nord-sud, questi monumenti funerari presentano un recinto rettangolare o, più di rado, quadrato, realizzato con pietre infisse verticalmente nel terreno; le pietre angolari, che di frequente sovrastano in altezza le altre, sono ornate sul lato esterno da raffigurazioni di cervi. Il defunto era adagiato in una fossa situata al centro dell'area recintata, con copertura in lastre di pietra. Peculiari alla "cultura delle tombe a lastre di pietra" sono inoltre i sepolcri a incinerazione, contraddistinti in superficie da un ammasso di pietre a forma di rettangolo dai lati concavi, il cui profilo ricorda, forse intenzionalmente, quello di una pelle animale distesa. Nella sfera delle pratiche funerarie, il fenomeno che assume maggiore risalto nei secoli a cavallo dell'era cristiana ‒ che per le steppe euroasiatiche fu un'epoca convulsa e caratterizzata da fenomeni migratori di ampia portata ‒ è la subitanea e amplissima diffusione di due peculiari tipologie tombali: la sepoltura a catacomba e la sepoltura a nicchia laterale. Non si tratta, ben inteso, di un'invenzione dell'epoca, dal momento che ne abbiamo rilevato le prime attestazioni nelle necropoli protostoriche della Battriana; quel che è degno di nota è piuttosto la loro adozione su vasta scala nel territorio centroasiatico: ve ne sono testimonianze, sempre in necropoli nomadiche, nel Tianshan, nel Pamir, nel Ferghana e in Battriana, Sogdiana e Chorasmia. I tentativi di stabilire un nesso tra la diffusione di queste tipologie sepolcrali e le migrazioni di determinati gruppi etnici (Xiongnu, Sarmati, Saka e Yuezhi) non hanno portato a risultati convincenti. L'estensione e le modalità delle attestazioni delle sepolture a catacomba e a nicchia laterale sembrano piuttosto scoraggiare la convinzione che esse possano valere come indicatori etno-culturali. Sebbene vi siano necropoli caratterizzate esclusivamente dall'uno o dall'altro tipo di tomba, sono piuttosto frequenti, ad esempio, i casi in cui entrambi i tipi coesistono nel medesimo sepolcreto, rivelando per di più corredi del tutto omogenei, o ancora appaiono insieme con semplici tombe a fossa. Sin qui si è reso conto soprattutto delle tipologie sepolcrali connesse con il rituale dell'inumazione, che in effetti in ambiente nomadico rimase per secoli quello dominante. Tuttavia in epoche e regioni diverse troviamo interessanti testimonianze relative alla pratica dell'incinerazione. Tra le più antiche si annoverano i monumenti funerari di Tagisken Nord (X-VIII sec. a.C.), nel delta del Sir Darya (Kazakhstan), che, secondo gli archeologi, venivano dati alle fiamme insieme con la salma. L'incendio rituale della costruzione funeraria ‒ in questo caso costituita da semplici recinti di pali o strutture lignee rettangolari o circolari erette in superficie ‒ è attestato in altre necropoli nomadiche, come a Sakar Chaga (Turkmenistan settentrionale, VIII-VI sec. a.C.) o, in area sauromatica (Kazakhstan occidentale), a Ilek (VI-V sec. a.C.). Un simile cerimoniale sembra chiudesse il prolungato ciclo di utilizzo (fino a 100 sepolture consecutive) delle costruzioni funerarie tipiche della seconda fase della cultura di Tashtik (III-IV sec. d.C.), all'altro capo delle steppe asiatiche (conca di Minusinsk). In tali strutture, consistenti in camere di tronchi costruite in superficie con accesso da ovest, erano deposti sia cadaveri mummificati sia le ceneri di defunti cremati.
Per lo meno fino alla tarda età del Bronzo, nelle culture protostoriche dell'Asia Centrale meridionale non sono attestati rituali funerari diversi dall'inumazione. Il cadavere era deposto in una fossa o all'interno di costruzioni sepolcrali collettive, in posizione rannicchiata sul lato destro, con la testa orientata di frequente a ovest/nord-ovest. I primi indizi di una differenziazione di censo, evidentemente riflesso di una incipiente stratificazione sociale, si rilevano nelle inumazioni nel periodo Namazga III (seconda metà del IV millennio a.C.); a Kara Depe sono stati distinti tre gruppi di sepolture in base alla presenza (o assenza) e alla consistenza dei corredi funerari, in particolare del materiale ceramico. Accanto a tombe del tutto prive di corredo, troviamo sepolture contenenti da uno a tre vasi di ceramica e inumazioni corredate di un maggior numero di contenitori (fino a otto). In quest'ultimo caso, al vasellame si accompagnano spesso altri manufatti di particolare significato simbolico, quali statuette di terracotta. In questo periodo, inoltre, aumentano i casi di sepolture femminili contraddistinte da corredi particolarmente sontuosi, consistenti in una grande quantità di vaghi (anche d'argento e d'oro), anelli, collane, bracciali, diademi e cinture di bronzo e d'argento. Nelle necropoli del Bronzo Tardo della Battriana (XXIIXVI sec. a.C.), accanto ad aspetti rituali di antica tradizione (cadaveri in posizione rannicchiata, sul lato destro gli uomini, sul sinistro le donne), riscontriamo interessanti novità, come, ad esempio, la comparsa di cenotafi, ossia tombe vuote, e di inumazioni fittizie, cioè tombe contenenti una scultura antropomorfa oppure una sorta di fantoccio impagliato. Nella fase più tarda, quella rappresentata dalla necropoli di Bustan, acquista terreno il rituale dell'incinerazione (effettuato in speciali strutture di mattoni), forse introdotto da gruppi di allevatori di cultura andronoviana, all'interno della quale la cremazione è documentata in alcune aree e fasi circoscritte. A Bustan aumenta in proporzione il numero delle inumazioni fittizie ed è inoltre attestato un rituale che prevede lo smembramento parziale o totale del cadavere. Nell'Asia Centrale d'epoca storica, la pratica funeraria maggiormente degna di attenzione è il rituale dell'esposizione dei cadaveri, finalizzato alla scarnificazione delle loro ossa, ossia la pratica considerata la più auspicabile nei testi dello zoroastrismo (in particolare nel Vidēvdād ). Locus classicus di ogni analisi su questo tipo di trattamento dei cadaveri nell'antica Asia Centrale è la testimonianza di Onesicrito, compagno di Alessandro il Macedone, tramandata da Strabone (XI, 11, 3), dunque pertinente agli ultimi decenni del IV sec. a.C.: presso gli abitanti di Bactra vigeva l'usanza di abbandonare cadaveri e malati incurabili in strada, dove le loro carni venivano divorate da cani allevati a questo scopo; per questo motivo le vie della città erano disseminate di ossa umane. Lo scetticismo che diversi studiosi hanno riservato al passo straboniano non sembra del tutto giustificato se consideriamo che il teatro greco di Ai Khanum, in Battriana, fu riutilizzato, intorno alla metà del II sec. a.C. (dopo la caduta della città per mano dei Yuezhi), come luogo per la deposizione di resti ossei di defunti sottoposti al rituale della scarnificazione, probabilmente, e sin da epoca pregreca, praticato dalla popolazione rurale del circondario. È inoltre interessante constatare come lo scenario illustrato da Onesicrito trovi conferma, anche se parziale, a diversi secoli di distanza nella testimonianza apportata dall'ambasciatore cinese Wei Tsie, che, in riferimento alla Samarcanda degli inizi del VII sec. d.C., parla di un sobborgo abitato da oltre duecento famiglie specializzate nell'espletamento di questa pratica funeraria: i cadaveri venivano trasportati all'interno di un recinto e i loro corpi scarnificati da cani allevati a questo scopo. Si è già fatto cenno alle tipologie architettoniche connesse a questo rito; ci soffermeremo ora sulla categoria di reperti che nel modo più eloquente danno una misura della sua diffusione: gli ossuari, ossia i contenitori di terracotta (più di rado di pietra) deputati a contenere le ossa scarnificate. Questi ricettacoli trovavano collocazione definitiva in luoghi diversi, a seconda delle regioni e delle epoche: negli ammassi di pietre dei kurgan (il più antico gruppo di ossuari è quello proveniente dalla necropoli nomadica di Tarim Kay, ai margini della Chorasmia, e risale al V-IV sec. a.C.), in edifici in rovina e, soprattutto tra il VI e l'VIII sec. d.C., in appositi mausolei, gli uzdāna. Nella Chorasmia degli ultimi secoli antecedenti l'era cristiana erano in uso ossuari antropomorfi (riproducenti personaggi maschili e femminili seduti), mentre nei secoli a cavallo dell'era cristiana comparvero nella stessa regione gli ossuari di forma architettonica, simili a edifici fortificati, completi di feritoie e parapetto merlato. I primi ossuari sogdiani (a forma di cavallo stilizzato) datano al IV-V sec. d.C., tuttavia l'impiego di questi ricettacoli, e nella loro tipica forma a cassetta rettangolare, si afferma pienamente non prima del VI secolo; numerosi esemplari sono stati riportati alla luce anche in Margiana e nel Semireč´e. Particolarmente degna di nota è la loro decorazione figurata a rilievo o, più di rado, dipinta, i cui soggetti sono evidentemente connessi con il rituale funerario, seppure non sempre di agevole lettura: scene di compianto in ossuari chorasmiani (Tok Kala, Mizdahkan) e margiani (Merv), file di personaggi al di sotto di arcate in numerosi ossuari sogdiani (soprattutto da Biya Naiman e Ishtikhan, VII-VIII sec.), variamente interpretati come sacerdoti o come i "santi immortali" (ameša spenta) dello zoroastrismo, o ancora altre scene rituali (Molla Kurgan, Krasnorečenskoe Gorodišče, VIIVIII sec.); tra i più interessanti, un esemplare dal Kashka Darya (Sogdiana) con la rappresentazione della dea Nana accompagnata da un dio corazzato, forse Verethragna. Un discreto numero di ossuari recanti il simbolo della croce testimonia, infine, dell'adozione di questo rituale funerario anche da parte della comunità cristiana centroasiatica, per lo meno in alcune località (ad es., Mizdahkan). L'inumazione rimase per secoli la pratica funeraria di gran lunga privilegiata nel vasto complesso geoculturale delle steppe euroasiatiche, sia durante la fase iranica (IX sec. a.C. - primi secoli d.C.) sia dopo l'avvento delle etnie turche (V-VI sec. d.C.). La cremazione ha invece una documentazione più limitata nel tempo e nello spazio, seppur di grande interesse; questo rito fu in auge soprattutto nel delta del Sir Darya, in area sauromatica (a sud degli Urali) e nella conca di Minusinsk (cultura di Tashtik), nella Siberia sud-orientale. I kurgan esplorati negli Altai illustrano in modo eccellente le usanze funerarie degli antichi nomadi. Le tombe a camera di Pazyryk, la più nota delle necropoli altaiche, contenevano uno o due defunti deposti all'interno di sarcofagi lignei, con i rispettivi corredi. Nello spazio compreso tra le due camere di cui si componeva il sepolcro erano seppelliti cavalli riccamente bardati (da 5 a 22), sacrificati in onore del defunto. Non si tratta certo di usanze innovative, poiché tombe a camera lignea e inumazioni di cavalli sono un tratto che i nomadi altaici ereditarono da una tradizione assai remota, attestata già nella necropoli andronoviana di Sintashta (prima metà del II millennio a.C.) e nell'imponente sepolcro nomadico di Aržan (IX-VIII sec. a.C.), in cui, peraltro, il "capo" è accompagnato da numerose salme di uomini immolati per onorare la sua memoria. La peculiarità dei kurgan di Pazyryk (e di altri tumuli che in quella regione gli archeologi hanno esplorato in epoche più recenti) risiede nell'eccellente stato di conservazione dei loro contenuti, sigillati dai ghiacci perenni. Conservate dal gelo, le salme degli inumati hanno rivelato segni evidenti di parziale mummificazione (trapanazione del cranio, asportazione del cervello, delle viscere e di interi fasci di muscoli), nonché splendidi tatuaggi. Dei cavalli si sono conservate le bardature e le "maschere" che li rendevano simili a cervidi; nel Kurgan 5 è stato portato alla luce un carro utilizzato per il trasporto del feretro (anche le sepolture con carri sono già attestate a Sintashta e in altre necropoli andronoviane); eccezionale è inoltre il rinvenimento di tappeti e gualdrappe di lana e feltro e di manufatti di legno e di pelle. Un calderone ricolmo di pietre, tra le quali si sono conservati semi di canapa, venuto alla luce nel Kurgan 5, riporta alla mente il bagno di vapore con il quale, tramanda Erodoto (IV, 74-75), gli Sciti del Ponto usavano purificarsi al termine di un funerale. Le armi (spade, archi e punte di freccia), le bardature equestri e gli oggetti d'oro o altri metalli realizzate nel cosiddetto "stile animalistico" (che decoravano le vesti degli inumati o i finimenti dei cavalli) rappresentano le categorie di manufatti più ampiamente attestate nei corredi delle sepolture nomadiche. Essi costituiscono la "triade scitica", marchio archeologico e principale elemento di omogeneità delle antiche culture delle steppe; a queste tipologie di reperti possiamo tuttavia aggiungere i diffusissimi calderoni di forma paraboloide con manici semicircolari sul bordo e gli specchi di bronzo con impugnatura sul retro (vi è infatti chi parla di "pentade scitica"). Tra le espressioni emblematiche del culto funerario degli antichi nomadi vanno ricordate, infine, le "pietre dei cervi". Si tratta di stele di taglio squadrato riproducenti una figura di guerriero dalla fisionomia appena abbozzata e decorate da figure animali, in genere cervidi. Queste sculture potevano essere collocate nei recinti dei kurgan, situate agli angoli, a mo' di "guardiani" (ad es., nelle tombe a lastre di pietra), ma ne sono stati rinvenuti esemplari anche sui tumuli funerari o ancora disposti in file nell'immediato circondario di aree funerarie e di culto. La Mongolia, la Transbaikalia, l'Altai e Tuva sono le aree di maggiore diffusione di questi manufatti, che, evidentemente connessi con il culto dell'antenato, costituiranno uno dei tratti precipui della cultura funeraria dei nomadi di ceppo turco.
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