L'archeologia preistorica e protostorica
Solo nell'ultimo dopoguerra un numero crescente di studiosi si è dedicato alla ricostruzione della storia delle ricerche nel campo dell'archeologia pre- e protostorica. Un posto di primo piano spetta in quest'ambito all'inglese G. Daniel, che in alcuni lavori di sintesi ha ben delineato sia il periodo precedente la sistemazione della "teoria delle tre età" (vale a dire la scansione del passato più antico in fasi contraddistinte dall'inizio dell'utilizzazione della pietra, del bronzo e del ferro, comunemente considerata come l'atto ufficiale di nascita della disciplina), sia quello dell'archeologia di tipo evoluzionista e successivamente la svolta "storico-culturale" della fine del XIX secolo, le novità metodologiche introdotte da V.G. Childe, O.G.S. Crawford e J.G.D. Clark e l'uso strumentale della preistoria da parte delle opposte ideologie sovietica e nazista nel periodo compreso tra le due guerre. Nel corso degli anni Settanta del XX secolo altri studiosi, in primo luogo il canadese B.G. Trigger e il russo L. Klejn, hanno aperto nuovi filoni di ricerca, che hanno messo in luce l'importanza, in tutti i periodi, dell'ideologia e dei fenomeni sociali nello sviluppo degli studi preistorici e hanno approfondito l'analisi degli aspetti epistemologici della disciplina e dei suoi rapporti con le scienze umane e con quelle naturali. Nel 1978 si è tenuto ad Aahrus, in Olanda, il primo colloquio europeo sulla storia degli studi di preistoria e protostoria; da allora la letteratura specializzata in questo settore è enormemente cresciuta, con la comparsa di numerose storie "regionali" sulla preistoria extraeuropea, di scritti autobiografici di alcuni dei maggiori studiosi, di numeri monografici dedicati all'argomento da diverse riviste. In anni recenti si è analizzato il peso di fattori prima scarsamente presi in considerazione, come il legame con le vicende delle classi sociali di appartenenza degli studiosi, l'influenza sull'evoluzione delle loro teorie delle dinamiche di potere nel mondo accademico e l'importanza dell'ideologia nazionalista nella nascita e nello sviluppo dell'archeologia preistorica. Diverse sintesi, aggiornate con le vicende della New Archaeology e, più in generale, dei più recenti sviluppi dell'archeologia "teoretica", sono state pubblicate tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta; tra queste va soprattutto segnalata la History of Archaeological Thought di B.G. Trigger del 1989.
Sebbene nel mondo antico l'idea dell'evoluzione dell'uomo attraverso diversi stadi, identificati già allora con il progressivo apprendimento dei metodi di lavorazione della pietra, del bronzo e del ferro (si veda il De rerum natura di Lucrezio) fosse nozione comunemente accettata, era al tempo stesso diffusa l'idea che le origini della civiltà si perdessero in un'epoca di mito e di leggenda. Asce litiche e punte di freccia rinvenute occasionalmente erano considerate il prodotto della conflagrazione dei fulmini, mentre le ossa fossili erano identificate con i resti dei giganti che, per primi, avrebbero popolato la terra. Nel Medioevo, al permanere di queste credenze si aggiunsero diverse notizie di scoperte di monumenti megalitici, definiti come "tombe di giganti"; altre curiose superstizioni erano quelle sulle olle cinerarie, che sarebbero sorte spontaneamente dalla terra o utilizzate dai nani come abitazioni e poi abbandonate. Due importanti avvenimenti della seconda metà del XV secolo sono all'origine del pensiero storico e antropologico dell'età moderna: il sorgere del movimento artistico e intellettuale che definiamo Rinascimento e, nel 1492, la scoperta del Nuovo Mondo. È alla corte medicea che per la prima volta furono organizzate raccolte di antichità e oggetti d'arte, con lo scopo dichiarato di ricollegare lo stato toscano alla tradizione della monarchia etrusca, in una visione dello sviluppo autonomo della civiltà occidentale che sarebbe divenuto il modello della storiografia antiquaria. Allo stesso tempo, la scoperta delle società primitive metteva il mondo occidentale a confronto con altre realtà culturali, suggerendo a diversi studiosi dell'epoca (primo fra tutti Leonardo da Vinci) l'analogia tra i "selvaggi" del Nuovo Mondo e le più antiche popolazioni europee. Già nel 1574 M. Mercati, soprintendente ai Giardini Botanici Vaticani, proprio sulla base dell'esame dei materiali di interesse etnografico accumulati dagli esploratori, aveva intuito la natura di armi fabbricate dall'uomo delle punte di freccia; la sua Metallotheca Vaticana venne pubblicata, purtroppo, solo agli inizi del XVIII secolo, fatto che spiega perché si sia continuato a chiamarle nel secolo successivo "pietre del fulmine" in tutta Europa. Il XVI e il XVII secolo, del resto, sono l'età d'oro della ricerca antiquaria, in cui l'attività prevalente degli studiosi consiste nell'accumulare materiali per i "gabinetti di antichità" o "di curiosità" di principi e sovrani. Tra i tanti esempi, va senz'altro citato quello del danese O. Worm, alla cui opera si deve la creazione della collezione reale, nucleo del futuro Museo Nazionale Danese. Nel 1685, in Francia, l'abate M. de Cocherel scavava una tomba megalitica; il padre benedettino B. de Montfaucon, pubblicando la relazione di scavo nel 1719, rigettava le antiche superstizioni osservando l'associazione tra scheletri, punte di freccia e asce levigate e facendo esplicito riferimento, per l'interpretazione del monumento, alla teoria delle "tre età". La diffusione del metodo storiografico e l'idea stessa di progresso, radicata nella filosofia illuminista, favorirono una capillare diffusione di questa teoria nel corso del XVIII secolo; nel 1756, inoltre, l'ingegnere minerario J.G. Lehman formulava la legge della sovrapposizione degli strati, dando il via a una serie di importanti progressi nel campo della geologia. Un'ulteriore, decisiva spinta allo sviluppo della ricerca nel campo delle antichità pre- e protostoriche venne dal diffondersi, verso la fine del XVIII secolo, del movimento romantico, potente stimolo per lo studio delle antichità "nazionali".
È proprio sull'onda del sentimento patriottico che, nel 1806, veniva formulata la proposta della creazione del Museo Nazionale Danese, la cui attuazione sarebbe stata affidata dieci anni dopo a un giovane studioso di numismatica, Ch.J. Thomsen. Alle prese con il problema pratico della classificazione dei più di 500 oggetti contenuti nella collezione, Ch.J. Thomsen scelse di utilizzare un criterio "tecnologico", separando i materiali in tre gruppi, a loro volta rappresentativi delle tre successive età della Pietra, del Bronzo e del Ferro. Pubblicato nel 1836, il catalogo del museo di Copenaghen divenne ben presto il modello di riferimento di tutte le collezioni di oggetti pre- e protostorici del continente. L'idea di un'umanità che attraverso la scoperta di tecnologie sempre più adeguate si emancipava dai bisogni primordiali, ponendo le basi per la fondazione delle civiltà antiche, sembrava rispondere in pieno all'ideologia borghese dell'esaltazione del progresso e dell'ordine sociale. Il metodo elaborato da Ch.J. Thomsen faceva dell'archeologia preistorica una disciplina che utilizzava le procedure di classificazione dei materiali in misura analoga all'allora nascente speculazione antropologica sull'umanità primitiva, impiegando allo stesso tempo un criterio evolutivo, che ben si accordava con la crescente diffusione delle teorie darwiniane, e realizzando quel superamento della dicotomia tra scienze naturali e scienze sociali che costituiva il programma del positivismo. Nel corso dei decenni centrali del XIX secolo la scena fu dominata dall'opera di alcuni "pionieri", come il danese J.J.A. Worsaae, che per primo si dedicò all'organizzazione di scavi condotti da équipes interdisciplinari di archeologi e naturalisti, lo svizzero F. Keller, scopritore delle "palafitte" della regione alpina, l'inglese sir John Lubbock, autore di un'opera di sintesi, Prehistoric Times (1865), basata sulla comparazione tra le società preistoriche e quelle d'interesse etnografico e al quale si deve la prima proposta di suddivisione dell'età della Pietra in Paleolitico e Neolitico. Non meno importante fu la definitiva acquisizione dell'"alta antichità" dell'uomo, provata dal rinvenimento, effettuato nel 1825 da J. Boucher de Perthes, di asce bifacciali associate a resti di animali estinti nelle ghiaie alluvionali della Somme. Nonostante lo scetticismo di molti studiosi, nel 1859 (lo stesso anno della pubblicazione di On the Origin of Species by Means of Natural Selection di Ch. Darwin) veniva solennemente sancita l'autenticità della scoperta; sarebbe toccato a un altro studioso francese, G. de Mortillet, proporre dieci anni dopo una suddivisione del Paleolitico in base alle industrie che ne caratterizzano i diversi stadi. Le prime scoperte della grande arte parietale di questo periodo, effettuate nel 1875 ad Altamira da M. de Sautuola, incontrarono invece un generale scetticismo, spiegato da G. Daniel con l'impossibilità, per gli studiosi evoluzionisti, di accettare l'idea che uomini vissuti in uno stadio iniziale (e quindi primitivo) della storia dell'umanità avessero capacità estetiche così sviluppate. L'evoluzione dei metodi di scavo, lo sviluppo degli studi zooarcheologici e paleobotanici, le prime applicazioni di archeologia sperimentale sono solo alcune tra le innovazioni che contraddistinguono l'archeologia pre- e protostorica del XIX secolo; cattedre universitarie vennero istituite in Boemia, in Francia, in Danimarca, in Italia e in Germania, mentre nel 1865 G. de Mortillet proponeva la creazione di un Congresso di Antropologia e Archeologia Preistorica. In Italia, dove la disciplina venne subito ribattezzata Paletnologia (dizione ancora oggi mantenuta a livello accademico), decisiva fu l'opera di un gruppo di studiosi attivi al Nord, ferventi sostenitori del nascente Stato unitario, tra i quali si distinse L. Pigorini. Grazie a un'instancabile attività e a un'accorta utilizzazione delle sue amicizie politiche, L. Pigorini riuscì in pochi anni a fondare, con G. Chierici e P. Strobel, la prima rivista specializzata, il Bullettino di Paletnologia Italiana (1875), a inaugurare a Roma un Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico (1876) e ad ottenere nell'Ateneo della capitale la cattedra di Paletnologia (1877), divenendo così il punto di riferimento dell'archeologia preistorica italiana. La seconda metà del XIX secolo è caratterizzata dallo sviluppo di scavi e ricerche nel mondo extraeuropeo. A questo riguardo assume un particolare interesse il lungo dibattito sorto negli Stati Uniti a proposito dell'attribuzione dei tumuli (mounds) paleoindiani a un'ipotetica razza "superiore" di "costruttori di tumuli" (Moundbuilders), sulla base di pregiudizi non dissimili da quelli che fecero ritenere opera dei Fenici l'acropoli africana di Zimbabwe (scoperta nel 1871) o dei fantomatici "cacciatori di moa" (Moa-Hunters) gli strumenti litici associati a faune estinte degli antenati dei Maori in Nuova Zelanda.
Negli ultimi decenni del XIX secolo, l'archeologia pre- e protostorica vede l'acquisizione di alcuni strumenti metodologici fondamentali, come la tipologia, introdotta dallo svedese O. Montelius con la pubblicazione di un libro sulla cronologia dell'età del Bronzo scandinava nel 1885, la seriazione cronologica, applicata per la prima volta a una necropoli predinastica da W.M.F. Petrie, direttore dell'Egypt Exploration Fund, lo sviluppo delle "datazioni incrociate" (cross-dating), basate sull'associazione tra materiali egei ed egiziani, come fondamento della cronologia assoluta. Ciò nonostante, la disciplina risentì presto della più generale reazione all'evoluzionismo che caratterizzò tutte le scienze umane nella stessa epoca. Alla fiducia nelle capacità creative dell'individuo e nella possibilità di scoprire leggi e regolarità nell'esame dei cambiamenti culturali si sostituì il ricorso sempre più frequente ai concetti di invasione, migrazione e diffusione; in quest'ambito, l'interesse degli studiosi si concentrò sulla classificazione e sulla distribuzione geografica degli elementi culturali. "Campione" di questa impostazione può essere considerato il filologo tedesco G. Kossinna, convinto assertore dell'unità tra razza, lingua e cultura. Più in generale, la fine del XIX e gli inizi del XX secolo sono caratterizzati da un complessivo miglioramento dei metodi di lavoro sul campo e di pubblicazione dei dati, soprattutto nell'ambito della paletnologia britannica (si vedano gli scavi estensivi condotti a Milo e a Glastonbury e l'utilizzazione della fotografia aerea a Stonehenge). Fuori dal mondo europeo vanno segnalati il rinvenimento del primo Homo erectus a Giava (1891), gli scavi di Anau nel Turkestan, che dettero origine alla "teoria delle oasi" come meccanismo per spiegare l'origine dell'agricoltura, il definitivo superamento, negli Stati Uniti, della teoria dei Moundbuilders. Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, uno dei fenomeni più interessanti è l'uso strumentale dell'archeologia preistorica nella Germania nazista e nella Russia di Stalin. Nel primo caso le teorie di G. Kossinna sull'origine germanica degli Indoeuropei costituirono uno dei presupposti della politica razzista del Terzo Reich, soprattutto nei confronti delle popolazioni della Germania orientale; nel secondo, la lotta contro gli studiosi "borghesi" si esplicò con l'adozione della teoria degli stadi di sviluppo dell'umanità di Engels, intesa come unico metro per la classificazione e l'interpretazione dei dati archeologici. In Italia, dove questa funzione è stata svolta dall'archeologia classica, gli anni del regime fascista sono stati caratterizzati da una paurosa decadenza degli studi paletnologici, eccezion fatta per la creazione, ad opera di G.A. Blanc, A. Mochi e N. Puccioni, del Comitato di Paleontologia Umana, divenuto nel 1927 Istituto Italiano di Paleontologia Umana al fine di coordinare gli studi sul Paleolitico. Nel frattempo, alcuni scavi su vaste superfici eseguiti in Gran Bretagna, Germania, Polonia, Scandinavia e nelle regioni della Iugoslavia e dell'Unione Sovietica avevano permesso di compiere grandi progressi nel campo della ricostruzione dell'estensione e della struttura degli insediamenti preistorici, stimolando la collaborazione con geologi, paleontologi e paleobotanici che elaborarono tecniche di campionatura e di analisi ancora oggi impiegate nelle ricerche interdisciplinari. L'attenzione dei paletnologi si spostava così dallo studio dei manufatti a quello delle attività economiche e della ricostruzione del paleoambiente; da ciò deriva l'approccio "geografico" della scuola inglese (si vedano la pratica sistematica delle ricerche di superficie e lo studio della fotografia aerea introdotti da O.G.S. Crawford e da C. Fox e la creazione, da parte di J.G.D. Clark, del grande progetto interdisciplinare sulla regione di Cambridge). Anche negli Stati Uniti, dove solo in questo periodo si sviluppano pienamente i metodi di scavo e l'interesse per la cronologia relativa e la tipologia, i progetti regionali resi possibili dai grandi investimenti pubblici caratteristici della politica del New Deal costituiscono l'occasione decisiva per lo sviluppo dell'archeologia preistorica, fino ad allora subordinata all'antropologia. L'epoca delle grandi scoperte nel Vicino e Medio Oriente costituisce anche l'occasione per una prima ricostruzione delle sequenze pre- e protostoriche di queste regioni. Aree fino ad allora poco conosciute, come l'Asia sud-orientale e l'Oceania, vedono un consistente incremento di scavi e ricerche, grazie soprattutto all'opera dei paletnologi inglesi e alla creazione del Commonwealth nel 1926; in Africa inizia il lungo lavoro di L.S.B. Leakey, lo scopritore di Olduvai, mentre R. Dart e R. Broom rinvengono, nella parte meridionale del continente, i primi resti di australopitecine. Nel panorama dell'archeologia preistorica fra le due guerre mondiali un posto particolare è occupato dallo studioso australiano V.G. Childe. La pubblicazione del suo The Dawn of European Civilization, nel 1925, costituisce il primo esempio di sintesi "moderna" della preistoria europea; negli anni successivi, in cui avrebbe insegnato prima a Edimburgo, poi, dal 1946, a Londra, V.G. Childe sviluppò in alcune opere sulla preistoria del Vicino Oriente e sui suoi rapporti con quella europea le nozioni di "rivoluzione neolitica" e "rivoluzione urbana", per indicare l'importanza storica dei processi di introduzione dell'agricoltura e di formazione delle prime civiltà statali. Un viaggio compiuto in Unione Sovietica nel 1934 gli fece infine scoprire la teoria degli stadi, orientando sempre più i suoi interessi, anche in accordo con la formazione politica marxista, verso la ricostruzione dell'economia e delle società preistoriche.
L'"evento" che, forse più di altri, ha influenzato il corso dell'archeologia pre- e protostorica a partire dall'ultimo dopoguerra è stato la scoperta, effettuata nei laboratori statunitensi, di alcuni metodi chimico-fisici di datazione assoluta, in particolare quello del carbonio-14, messo a punto tra il 1945 e il 1947 da W. Libby, e, agli inizi degli anni Sessanta, quello del potassio-argon, che consentiva di datare le rocce vulcaniche in cui erano contenuti i più antichi fossili di ominidi, come quelli scoperti ad Olduvai da L.S.B. e M.D.N. Leakey. Oltre a permettere, finalmente, la costruzione di una cronologia assoluta indipendente dalle "datazioni incrociate", utile soprattutto nello studio della preistoria extraeuropea, questi metodi costrinsero gli archeologi a confrontarsi in modo sistematico con le procedure delle scienze sperimentali. La necessità di contare i campioni di materiale organico da datare, determinarne il peso e quantificarne la rilevanza statistica rispetto ad altri reperti, spinse numerosi specialisti ad adottare tecniche matematiche e statistiche nell'elaborazione dei dati raccolti negli scavi e nelle ricerche di superficie. Gli anni Cinquanta e Sessanta sono caratterizzati dal fiorire di progetti di ricerca interdisciplinari su quelle tematiche (origine dell'agricoltura e delle società complesse) già individuate da V.G. Childe e sui cui risultati ancora oggi si fonda il dibattito tra gli studiosi; ricordiamo, tra gli altri, quelli condotti nel Vicino Oriente da due studiosi dell'Oriental Institute di Chicago, R. Braidwood e R. McC. Adams, che portarono rispettivamente alla scoperta dei primi abitati del Neolitico preceramico nel Kurdistan iracheno e alla ricostruzione degli sviluppi dei sistemi insediamentali precedenti la nascita della città in Mesopotamia, le ricerche sulla più antica agricoltura mesoamericana di R. MacNeish e quelle condotte in Perù da G. Willey, che hanno costituito il primo, moderno esempio di archeologia insediamentale. In Europa, dove, superando le lacerazioni prodotte dal lungo conflitto, nel 1956 veniva creata l'Unione Internazionale di Scienze Preistoriche e Protostoriche, il fenomeno più rilevante è costituito dalla crescente professionalizzazione delle ricerche, attraverso un uso sempre più esteso di concetti, procedure e metodologie comuni a tutti gli specialisti. Tra gli studiosi che con la loro opera in qualche misura hanno rifondato l'archeologia pre- e protostorica europea, vanno citati l'inglese J.G.D. Clark, che con Prehistoric Europe (1954) ha inaugurato quello che può essere definito come approccio "economico", centrato sull'interrelazione tra i diversi aspetti della cultura e sui rapporti con l'ambiente, il francese A. Leroi- Gourhan, che, partendo dallo studio della tecnologia antica e della distribuzione dei manufatti nei suoli di occupazione paleolitici, ha inaugurato un metodo di tipo "etnografico", applicato anche all'interpretazione della più antica arte parietale, il tedesco H. Müller-Karpe, alla cui attività si devono progressi decisivi nella definizione della cronologia relativa delle culture protostoriche centroeuropee e italiane. Nel nostro Paese, infine, caratterizzato da una vigorosa ripresa delle attività di ricerca, dalla creazione di nuove cattedre e dall'istituzione, nel 1954, dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, va soprattutto sottolineata l'importanza dell'attività di L. Bernabò Brea, i cui scavi, condotti nella Caverna delle Arene Candide, in Liguria e sull'acropoli di Lipari, hanno posto le basi per la ricostruzione della sequenza delle culture neolitiche, eneolitiche e dell'età del Bronzo italiane. Di pari importanza nel campo della preistoria più antica è l'attività di A.C. Blanc, iniziata alla fine degli anni Trenta.
Nata nei primi anni Sessanta ad opera di un gruppo di giovani studiosi statunitensi, tra i quali spicca la figura di L.R. Binford, la New Archaeology o archeologia "processuale" costituisce il tentativo più interessante (e al tempo stesso più controverso) di creare un metodo alternativo a quello dell'archeologia pre- e protostorica tradizionale. Il movimento, alla cui origine concorsero l'antropologia neoevoluzionista di J.H. Steward e L. White e la stessa tradizione archeologica americana, si basa su una concezione della cultura e dell'ambiente in cui essa è inserita come frutto dell'interrelazione tra diverse componenti, sul modello della teoria dei sistemi e sull'importanza del momento interpretativo dei dati archeologici. Da un punto di vista metodologico, si afferma un approccio "ipotetico-deduttivo" (già applicato alle scienze esatte da C.G. Hempel), secondo il quale le procedure archeologiche, sostanziate da una robusta immissione di tecniche mutuate dalla matematica e dalla statistica, rappresentano il test di verifica delle ipotesi formulate dallo studioso, il cui compito principale non è più la tradizionale ricostruzione storica, bensì la formulazione di leggi che possano spiegare le cause dei cambiamenti culturali. Già negli anni Sessanta l'approccio "processuale" si diffonde in Gran Bretagna, ad opera soprattutto di D.L. Clarke, che in Analytical Archaeology (1968) compie un'originale sintesi tra le nuove teorie e l'impostazione tradizionale centrata sull'individuazione delle culture archeologiche, ed inoltre di C. Renfrew, influenzando anche diversi studiosi nord-europei, come C.-A. Moberg. Gli anni Settanta sono caratterizzati, da un lato, dalla diffusa applicazione di "modelli" mutuati da altre discipline (geografia, sociologia, cibernetica, ecc.) alla spiegazione dei dati archeologici, dall'altro, dalla nascita di periodici specializzati e dall'organizzazione di convegni internazionali dedicati a quella che oggi viene detta "archeologia teoretica". Tra i filoni di interesse nati in quel periodo, e ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi, si segnalano la problematica del rapporto tra archeologia e filosofia della scienza, l'analisi dei processi postdeposizionali, l'archeologia insediamentale o "spaziale", l'etnoarcheologia e l'archeologia "sociale", nel cui ambito vanno citati soprattutto l'analisi funeraria e la ricostruzione dei modelli di scambio. A partire dalla fine degli anni Settanta, diversi studiosi hanno tentato percorsi alternativi rispetto all'archeologia processuale, di cui vengono criticate sia la rigida impostazione di tipo funzionalista, sia la concezione dell'ideologia come fenomeno totalmente subordinato alla struttura economica. In quest'ambito si segnalano l'approccio marxista che, sulla scia delle concezioni di V.G. Childe, assegna una maggiore centralità (sia pure con diversi accenti) a una teoria della società "conflittuale", in cui le azioni politiche di gruppi sociali o classi rimangono centrali, e soprattutto l'approccio simbolico- strutturale, o "postprocessuale", di cui è capofila lo studioso britannico I. Hodder. Contro la subordinazione dell'individuo al sistema ambientale, e più in generale contro un suo ruolo "passivo" nell'ambito delle trasformazioni della società, questa scuola sottolinea l'importanza del simbolo, o meglio dei codici simbolici impiegati attivamente dagli individui nelle strategie sociali, e la necessità per l'archeologo di studiare le relazioni contestuali tra la cultura materiale e l'ambiente in cui essa nasce e si sviluppa. Accogliendo alcune di queste critiche, C. Renfrew ha proposto l'utilizzazione di un approccio che implichi una maggiore importanza degli aspetti cognitivi e simbolici delle società antiche, definito appunto come "cognitivo-processuale".
Tra le vicende che hanno caratterizzato gli anni più recenti, un rilievo particolare hanno assunto le forme stesse di associazione tra i diversi studiosi di archeologia pre- e protostorica. Il boicottaggio deciso verso gli studiosi sudafricani al congresso dell'Unione Internazionale di Scienze Preistoriche e Protostoriche del 1986 ha causato infatti una scissione di questa organizzazione, con la nascita del World Archaeological Congress, che si caratterizza per la maggiore importanza data, anche a livello decisionale, agli studiosi del Terzo Mondo. Un altro evento di natura politica, la caduta del muro di Berlino nel 1989, è inoltre all'origine della creazione dell'European Association of Archaeologists, nata proprio per favorire la più ampia ripresa di contatti tra gli studiosi del continente. Dal punto di vista teorico vanno segnalate alcune interessanti riflessioni nate in ambito postprocessuale, come l'analisi della cultura materiale intesa come "testo" da decodificare, il recupero delle tematiche dei gruppi femministi (gender archaeology), il problema del linguaggio utilizzato nelle pubblicazioni archeologiche. Un aspetto che assume sempre maggiore rilevanza per una migliore documentazione, e allo stesso tempo per l'interpretazione dei dati archeologici, è l'utilizzazione delle tecnologie informatiche: gli ultimi anni, ad esempio, sono stati caratterizzati da un crescente interesse per l'applicazione di sistemi geografici territoriali (GIS: Geographical Information Systems) alla ricostruzione delle dinamiche del popolamento pre- e protostorico. Più in generale, l'ampiezza dei contatti tra studiosi di diverse tradizioni sta facendo lentamente emergere quello che si può considerare come il principale problema dell'archeologia pre- e protostorica attuale: la necessità di una sempre maggiore integrazione tra il tradizionale approccio storico e l'approccio "antropologico".
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