L'architettura: caratteri e modelli. Asia Centrale
di Boris A. Litvinskij
Il carattere e la storia dell'architettura centroasiatica sono segnati dall'uso millenario dell'argilla (assai abbondante in questa regione, povera per contro di pietra) come principale materiale da costruzione; su questo fondo tradizionale locale si innestarono tuttavia influssi esterni, in particolare iranici, ellenistici e indiani, ma anche delle culture nomadiche, testimonianza di un rapporto di sintesi, e non soltanto di scontro, di queste con le culture sedentarie. Le prime testimonianze in Asia Centrale risalgono al Neolitico (VI-V millennio a.C.), quando nel Turkmenistan meridionale comparvero piccoli e disordinati agglomerati, costruiti in blocchi e in mattoni di argilla. Durante l'Eneolitico i villaggi vennero cinti da mura con bastioni circolari, utilizzati anche come abitazioni, ma è con l'età del Bronzo che si svilupparono solidi sistemi difensivi, insediamenti protourbani e grandi villaggi dalla struttura complessa e con un'articolata organizzazione nell'architettura domestica. Un notevole cambiamento si verificò in epoca achemenide (VI-IV sec. a.C.), con la nascita di grandi città caratterizzate dalla presenza di cittadelle fortificate (ad es., Afrasiab, capitale della Sogdiana). L'entrata della regione nell'orbita ellenistica (fine IV - metà II sec. a.C.) e la fondazione di colonie greche nel suo territorio favorirono la penetrazione (soprattutto in Battriana e in Partia) di elementi ellenistici e vicino-orientali, dando vita a un interessante fenomeno di sincretismo (comune a tutto l'Oriente ellenizzato) esteso ben al di là dei confini e della durata delle colonie greche. In epoca partica a Nisa, nella Partia, edifici monumentali con diverse funzioni testimoniano, specie nella ricca decorazione plastica e pittorica, una prevalenza di tradizioni locali miste ad elementi ellenistici, rielaborati tuttavia con notevole originalità. Con i Kushana (I sec. a.C. - III sec. d.C.) l'architettura si adeguò allo sviluppo di nuovi assetti urbani, più complessi e regolari. Quanto alle costruzioni religiose, oltre a santuari dedicati a culti locali, nel Sud dell'Asia Centrale sono ampiamente attestati edifici di culto buddhistici; i principi di base di questa architettura, provenienti dall'India, furono rielaborati con originalità e da qui esportati verso oriente, nel Xinjiang e nella Cina settentrionale. Nell'Alto Medioevo (V-VIII sec. d.C.) l'architettura centroasiatica conobbe una nuova fase di sviluppo, il cui tratto peculiare è il sontuoso apparato decorativo (soprattutto pittorico) dei palazzi e delle dimore di lusso. Nel Sud e nel Nord dell'Asia Centrale si diffuse la tipologia del castello, residenza dell'aristocrazia, fortificato da una solida cinta muraria, non privo di elementi ornamentali e di ambienti di rappresentanza decorati. L'architettura in mattoni crudi raggiunse in questo periodo il suo apice, tanto nelle realizzazioni planimetriche quanto nelle tecniche costruttive e decorative; il suo dominio cessò nel Medioevo islamico (IX-X sec. e oltre), quando si affermò pienamente l'uso del mattone cotto.
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di Boris A. Litvinskij
Le prime testimonianze di costruzioni stabili, risalenti al Neolitico (V-IV millennio a.C.), si concentrano nell'area d'insediamento delle prime comunità agricole, nel Turkmenistan meridionale. Nell'età del Bronzo, con la diffusione di tali strutture in una regione più ampia, troviamo già consolidati alcuni principi dell'architettura centroasiatica, in particolare l'impiego dei materiali destinati a divenire tradizionali: l'argilla, in forma di blocchi, mattoni crudi o sfere e il legno, utilizzato soprattutto per le coperture piane. Come legante erano impiegati diversi tipi di malta, la più diffusa delle quali a base di gesso alabastrino (ganč); per le strutture idrauliche si usava una malta a base di calce, la cui durezza fu tuttavia di ostacolo a una sua maggiore diffusione in una regione ad alta sismicità come l'Asia Centrale. Nell'antichità e nell'Alto Medioevo gli edifici erano impostati su fondazioni o, più frequentemente, su grandi piattaforme, che potevano raggiungere un'altezza di 15 m e un volume di 200.000 m³, realizzate per lo più in pakhsa (argilla mista a paglia finemente triturata, compattata in strati o blocchi). Anche i muri erano costruiti in pakhsa o in mattoni crudi e, non di rado, con entrambi i materiali combinati. Già in epoca ellenistica (fine IV-II sec. a.C.) la muratura in mattoni raggiunse un notevole perfezionamento. Oltre al mattone crudo quadrato (40-50 × 40-50 × 10-15 cm) ad Ai Khanum, in Battriana, si incontra anche il mattone cotto (42 × 42 × 10 cm e 42 × 20 × 20 cm), utilizzato, ad esempio, per la costruzione di scale. Nel campo dei materiali, l'influsso della tradizione ellenistica si manifestò in un più largo impiego della pietra, utilizzata in blocchi per fondazioni (a volte in combinazione con mattoni cotti) o zoccoli per muri in crudo, nonché per la realizzazione di rivestimenti parietali, di altari, colonne, pilastri, soglie, podi, fontane, sculture a rilievo. Nella Partia il ruolo della pietra come materiale da costruzione rimase largamente inferiore a quello del mattone, di forma quadrata e solitamente crudo; mattoni cotti sono attestati in edifici di particolare importanza, come pure elementi decorativi in terracotta. Le coperture, in legno con rivestimento di tegole, erano spesso sostenute da colonne con fusto in mattoni cotti sagomati rivestiti di argilla o più raramente ligneo; nella Sala Quadrata di Nisa Vecchia (20 × 20 m) troviamo colonne quadrilobate e soffitto ligneo a cassettoni con lucernario centrale, secondo un modello riprodotto anche nella pseudoarchitettura delle grotte di Bamiyan e, più tardi, nelle dimore private di Penjikent. In epoca Kushana (I sec. a.C. - III sec. d.C.), nonostante la sopravvivenza di elementi di origine ellenistica, assunse rilievo crescente la tradizione locale. I principali materiali da costruzione sono ancora il pakhsa e il mattone crudo quadrato. Più rara è la muratura in argilla con armatura lignea, attestata in ambienti ausiliari, mentre il mattone cotto era impiegato per la realizzazione di pavimenti, scalini, ecc. Anche in quest'epoca sono documentate coperture in tegole, mentre per quanto riguarda le colonne si affermò l'uso combinato della pietra (basi) e del legno (fusti e capitelli). Elemento di spicco nell'architettura centroasiatica è l'arco, la cui tecnica si sviluppò a partire dall'età del Bronzo, di solito realizzato con sistema radiale, utilizzando mattoni e commessure a cuneo, senza ricorso alla centinatura in caso di luce limitata. L'archivolto formava di solito una curva ellittica o parabolica; sono inoltre attestati archi semicircolari, triangolari e composti. Già nelle epoche achemenide e greco-battriana si utilizzavano coperture a volta e a cupola dalla tecnica evoluta; cupole del tipo balkhi, formate da quattro archi angolari, utilizzate dall'epoca Kushana fino alla fine del Medioevo. Nell'Alto Medioevo (V-VIII sec. d.C.) si registrano l'assoluto primato dell'argilla cruda, fatta esclusione per le regioni montane in cui vi era disponibilità di pietra, e un notevole sviluppo della decorazione lignea. Le tecniche edilizie, spesso modellate su esigenze antisismiche, si diversificano e si perfezionano: in particolare, si nota lo sviluppo della tecnica delle volte a piani inclinati, realizzate con metodi diversi, e di sofisticati accorgimenti tecnici (trombe d'angolo, murature a ventaglio, gallerie nane) che permettevano la copertura a volta degli ambienti ad angolo e la realizzazione di serie di volte parallele. Gli ambienti quadrati ricevevano coperture a cupola, impostata direttamente sui muri perimetrali o, secondo un modello più diffuso, su trombe angolari, spesso ad arco prospettico; resta invece limitato l'impiego di false cupole (come, ad es., a Kafir Kala) per la copertura di ambienti a pianta circolare.
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di Boris A. Litvinskij
Già nel Neolitico in alcune abitazioni del Turkmenistan meridionale (Pessejik Depe, Jeitun) sono attestate pitture parietali policrome, in rosso e in nero su fondo bianco, con motivi geometrici e zoomorfi; nell'Eneolitico motivi geometrici ricorrono a Yassy Depe e ad Anau, mentre a Yalangach Depe sono presenti anche decorazioni plastiche in argilla, talvolta di soggetto antropomorfo. Solo a partire da epoca partica, tuttavia, si può parlare di veri e propri schemi decorativi, come nel caso di Nisa Vecchia, dove le pareti dell'ampia Sala Quadrata presentano una ricca decorazione architettonica su due registri, campita da semicolonne e colonne con capitelli di ispirazione corinzia, composta da lastre fittili con motivi fitomorfi o geometrici a rilievo, pitture, nicchie contenenti statue in argilla dipinta di divinità o di sovrani divinizzati. Gli interni degli edifici erano frequentemente ornati da pitture murali figurate, in cui predominano influssi ellenistici. Per quel che concerne la decorazione degli esterni, un esempio significativo è fornito dal santuario di Nisa Nuova, le cui pareti, dipinte di rosso chiaro, erano scandite da semicolonne coronate da capitelli ionici. Da un edificio di Dev Kala (regione di Merv) provengono invece frammenti di capitelli di pilastri in terracotta, ottenuti a stampo, con foglie di acanto decorate esternamente da una smaltatura azzurra, e resti del coronamento, costituito da una fila di merli a gradini in terracotta, con decorazione incisa a forma di freccia. Nella Battriana d'epoca Kushana (I sec. a.C. - III sec. d.C.), la decorazione architettonica era costituita da rilievi in pietra o in argilla, da pitture murali e da terrecotte. Nell'īwān e nella sala di rappresentanza del palazzo di Khalchayan, datato agli inizi dell'era cristiana, fregi di argilla cruda ad altorilievo, con festoni o scene figurate in cui compaiono cavalieri al galoppo o membri della dinastia, ornavano la parte superiore delle pareti, mentre quella inferiore era decorata da pitture. Pitture murali e numerose sculture di argilla, alloggiate entro nicchie, decoravano anche gli interni del palazzo di Toprak Kala in Chorasmia (II-III sec. d.C.). La pittura murale è testimoniata inoltre nelle residenze di cittadini facoltosi (Dalverzin Tepe) e negli edifici buddhistici, decorati anche da sculture di argilla (Dalverzin Tepe, Fayaz Tepe, Kara Tepe) e da fregi in pietra lavorati ad altorilievo (Airtam). Piuttosto limitato appare l'impiego della terracotta, sia come materiale da costruzione, sia come rivestimento parietale; sono tuttavia attestati antefisse decorate (con foglie di acanto o palmette) e merloni. Nell'Alto Medioevo (V-VIII sec. d.C.) crebbe l'importanza delle decorazioni architettoniche, specie della pittura parietale e degli ornamenti lignei, come attestato dalle residenze di lusso di Penjikent, dove le pitture degli ambienti di rappresentanza, articolate in più registri, svolgevano ampi schemi compositivi, che includevano divinità affiancate da personaggi laici, scene di battaglia, di banchetto o di soggetto epico e favolistico. Cariatidi e fregi lignei con raffigurazioni di divinità all'interno di archi ornavano la fascia superiore delle pareti, gli architravi e le travi dei soffitti. Ancora più sontuoso risultava l'apparato decorativo nelle dimore di re e di governanti: famosi sono ad esempio le pitture di Afrasiab, le pitture e i pannelli in stucco di Varakhsha, i grandi soffitti in legno inciso di Kala-i Kakhkakha. La scultura in argilla venne limitata, in questo periodo, agli edifici religiosi. Ricche decorazioni abbellivano sia i templi dedicati a culti locali, come a Penjikent, dove rilievi in argilla cruda ornavano le pareti esterne del recinto, sia quelli buddhistici (Ajina Tepa, Ak Beshim e Kuva), dove le sculture erano collocate, in alcuni casi, all'entrata del santuario principale, ma più di frequente all'interno, su piedistalli addossati alle pareti o entro nicchie; la decorazione era completata da pitture, che ricoprivano volte e pareti, e da fregi di argilla. Sono attestati, inoltre, composizioni in stucco inciso ed elementi decorativi in terracotta. Le mura e le torri delle città e dei castelli erano abbellite mediante una particolare disposizione dei mattoni, da rilievi di argilla e da coronamenti di terracotta, come a Kafir Kala e Kala-i Kakhkakha. Notevoli mutamenti nella decorazione architettonica si produssero in seguito alla conquista araba, tra la metà del VII e la metà dell'VIII sec. d.C., con la diffusione del mattone cotto e l'abolizione, pur non totale, dei motivi figurati dal repertorio ornamentale.
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di Ciro Lo Muzio
Una delle più antiche e peculiari tipologie di abitazioni centroasiatiche è rappresentata dalle grandi case comunitarie della cultura neolitica di Kelteminar (Uzbekistan settentrionale, V-III millennio a.C.) di pianta ovale, con armatura lignea a file concentriche di pali e copertura di travi, provvista di un foro centrale per l'entrata di luce e di aria e per la fuoriuscita del fumo prodotto dai numerosi focolari. Nella cultura di Anau (Turkmenistan, V-III millennio a.C.) troviamo invece le prime testimonianze di abitazioni in muratura, di modeste dimensioni e costruite in mattoni rettangolari di argilla cruda. A Kara Depe (periodi Namazga I-III) si passa dalle dimore a pianta circolare con ambienti seminterrati a complessi abitativi con numerosi vani disposti in modo regolare intorno ad una corte. Nell'età del Bronzo (2800-2200 a.C., periodi Namazga IV-V), possiamo seguire, specie attraverso il sito di Altin Depe, un processo di stratificazione sociale, che trova riflesso in tre distinti tipi di abitazioni: i blocchi abitativi della classe artigianale, ciascuno sede di una famiglia estesa; le dimore monofamiliari dei cittadini benestanti, con cortile, cucina e settore di soggiorno; le residenze della classe dominante, complessi isolati di pianta rettangolare, di costruzione accurata e dotati di propri magazzini e laboratori. Scavi a Gonur Depe (2000 a.C. ca.) hanno evidenziato nuclei abitativi familiari, a tre o più ambienti, riuniti attorno ad una corte comune. Vasti complessi che raggruppano numerose unità abitative, solitamente distinte in base alla presenza di focolari, sono testimoniati anche in siti coevi della Battriana (Sapalli Tepa, Kelleli 4). Nella stessa regione, tra il VII e il IV sec. a.C. (età del Ferro; epoca achemenide), sono attestate grandi residenze plurifamiliari fortificate, con ambienti rettangolari, abitativi e di servizio, disposti attorno a una corte (Kizilcha Tepe 1 e 6). Nella Chorasmia del VI-IV sec. a.C., oltre al singolare fenomeno delle cosiddette "città dalle mura abitate" (Kyuzeli Gir, Kalali Gir), fortezze che racchiudono uno spazio quasi privo di costruzioni e con file di ambienti abitativi all'interno delle cortine murarie, sono attestate grandi abitazioni rurali fortificate. Quella di Dingilje (area complessiva 3000 m²; area edificata 816 m²) presenta un edificio nell'angolo nord-est della cinta, con ambienti rettangolari paralleli disposti sui lati di un corridoio centrale. Questo tipo di abitazione è testimoniato anche tra il IV sec. a.C. e l'era cristiana (ad es., Turpak Kala III), mentre restano limitate le conoscenze sulle dimore dei siti urbani dell'epoca (ad es., Janbas Kala). Le abitazioni di età ellenistica e greco-battriana sono esemplificate da Ai Khanum (Afghanistan nord-orientale), dove troviamo attestato uno schema planimetrico a cui si ispirano sia singole dimore (quartiere sud, abitazioni extra muros) sia settori residenziali inglobati in strutture più vaste, quali il cosiddetto "palazzo" o "quartiere amministrativo". Lo schema si articola in tre elementi essenziali separati da corridoi: un gruppo di ambienti attorno a una sala centrale, un portico a colonne e una corte situata a nord; esso si configura più come esito originale di un'evoluzione locale che non come derivazione da tipologie architettoniche greche (casa a megaron) o iraniche (ad es., apadāna di Susa, palazzo di Dario a Persepoli). Nella residenza scavata nella non lontana Saksan Okhur, in territorio tagico, datata al I sec. d.C., tale schema si arricchisce di una fila di ambienti disposti attorno alla corte. Abitazioni di pianta simile, d'epoca Kushana, sono state riportate alla luce a Dalverzin Tepe (case DT5 e DT6) e a Dilberjin (casa a sud della cinta muraria). A partire dal V sec. d.C. si diffonde ampiamente un nuovo tipo di residenza, da cui l'aristocrazia terriera amministra lo sfruttamento agricolo di fondi più o meno estesi: il castello- fortezza, torre quadrangolare con ambienti residenziali e di servizio, poggiante su un'alta piattaforma artificiale al centro di un'area fortificata. Il fenomeno dell'arroccamento si protrae fino alla conquista araba (fonti islamiche riportano l'esistenza di centinaia di castelli siffatti) ed è testimoniato in Chorasmia (Teshik Kala, Yakke Parsan, Berkut Kala), in Sogdiana (Kala-i Mug), in Ferghana (Kala-i Bolo, Tuda-i Kalon) e in Battriana-Tokharistan (Zang Tepe, Balalik Tepe). Nella stessa epoca, lungo le vie battute dal commercio regionale e internazionale si sviluppano grandi centri urbani, quali Penjikent (V-VIII sec. d.C.), in Sogdiana, dove l'afflusso delle famiglie aristocratiche fuggite da Samarcanda a causa dell'invasione araba conferisce un notevole impulso all'attività edilizia: nascono grandi blocchi residenziali, spesso a due o tre piani, ma mancanti della corte centrale (che, attestata invece in abitazioni di Afrasiab nella seconda metà dello stesso secolo, diverrà una costante dell'architettura centroasiatica fino ai nostri giorni). Questo modello, diffuso in Sogdiana e in Battriana, non rivela alcuna parentela con la tradizione greco-battriana e Kushana, ma sembra piuttosto indicare una relazione con il castello-fortezza "feudale". Le dimore dell'aristocrazia terriera, dell'opulenta classe mercantile e degli artigiani non si diversificano tanto per concezione architettonica, planimetria e tecniche costruttive, sostanzialmente omogenee nell'intero sito, quanto per l'ampiezza e l'allestimento decorativo. Le residenze più agiate comprendevano una sala di rappresentanza. Sul problema dell'identificazione degli ambienti di culto domestico sono state avanzate riserve da P. Bernard (1980): una buona parte delle presunte "nicchie per altare del fuoco", rinvenute a Penjikent, ma anche in tanti altri siti centroasiatici di epoche precedenti (ad es., Dalverzin Tepe, Dilberjin), era molto più probabilmente deputata al riscaldamento dell'ambiente. A Penjikent sono attestati diversi sistemi di copertura (a volta, a cupola, a lanterna). Il notevole spessore dei muri in mattoni crudi (fino a 1,5 m) e la stessa conformazione dei blocchi abitativi garantivano condizioni termiche ideali nelle diverse stagioni dell'anno. Il rinvenimento di focolari sui tetti piani delle abitazioni testimonia l'utilizzazione anche di questa parte dell'edificio, ove, ad esempio, era usanza comune dormire nelle notti d'estate.
V.A. Nil´sen, Stanovlenie feodal´noj architektury Srednej Azii [Sviluppo dell'architettura feudale dell'Asia Centrale], Tashkent 1966; A.A. Askarov, Sapallitepa, Tashkent 1973; P. Bernard, Les traditions orientales dans l'architecture gréco-bactrienne, in JAs, 264 (1976), pp. 245-75; H.-P. Francfort, Le plan des maisons gréco-bactriennes et le problème des structures de "type megaron" en Asie Centrale et en Iran, in Le plateau iranien et l'Asie Centrale des origines à la conquête islamique, Paris 1976, pp. 267-80; G.A. Pugačenkova, Baktrijskij žiloj dom (k voprosu ob architekturnoj tipologii) [L'abitazione battriana (questioni di tipologia architettonica)], in B.G. Gafurov - B.A. Litvinskij (edd.), Istorija i kul´tura narodov Srednej Azii (Drevnost i srednie veka) [Storia e cultura dei popoli dell'Asia Centrale (Antichità e Medioevo)], Moskva 1976, pp. 38-42; I.T. Kruglikova - G.A. Pugačenkova, Dil´berdžin (raskopki 1970-1973 gg.). Cast´ 2 [Dilberjin (scavi 1970-1973). Parte 2], Moskva 1977, pp. 5-47; P. Bernard, Une nouvelle contribution soviétique à l'histoire des Kushans: la fouille de Dal'verzin-Tépé (Uzbékistan), in BEFEO, 68 (1980), pp. 313-44; V.M. Masson, Altyn-depe. Raskopki goroda bronzovogo veka v Južnom Turkmenistane [Altin Depe. Scavi di una città dell'età del Bronzo nel Turkmenistan meridionale], Leningrad 1981; Ph.L. Kohl, Central Asia. Beginnings to the Iron Age, Paris 1984; S. Chmelnizkij, Zur Klassifikation der frühmittelalterlichen Burgen in Mittelasien, in AnnOrNap, 45 (1985), pp. 25-47; G.A. Košelenko (ed.), Drevnejšie gosudarstva Kavkaza i Srednej Azii [I più antichi Stati del Caucaso e dell'Asia Centrale], Moskva 1985, passim; I.D. Ivanickij, Žiloj dom VIII v. v samarkandskom Sogde [Un'abitazione dell'VIII sec. nell'area di Samarcanda, Sogdiana], in IstMatKulUzbek, 24 (1990), pp. 126-34; V.I. Raspopova, Žilišča Pendžikenta (opyt istoriko-social´noj interpretacii) [Le abitazioni di Penjikent (saggio di interpretazione storico-sociale)], Leningrad 1990; F. Hiebert, Excavations of Domestic Quarters from Gonur Depe (North): Excavations of Spring 1989, in InfBIASCCA, 19 (1993), pp. 78-87.
di Ciro Lo Muzio
Tra i monumenti dell'età del Bronzo riportati alla luce in Battriana si annoverano alcuni impianti di notevole interesse architettonico, qualificati dagli archeologi come "palazzi", ossia come presunte sedi del potere politico e dell'amministrazione. Risale al primo quarto del II millennio a.C. il palazzo di Jarkutan (Uzbekistan meridionale); la costruzione, di pianta quadrata (42 × 42 m) e difesa da un muro rinforzato da 13 torri, racchiude numerosi ambienti di diversa destinazione (abitativa, di servizio e, nel caso dell'Ambiente 6, cultuale) distribuiti lungo la cinta e comunicanti con una corte centrale, nella quale sorge una grande piattaforma. Di grande interesse, dal punto di vista planimetrico, è il palazzo di Dashli 3, nell'Afghanistan settentrionale, situato a poca distanza dal cosiddetto "tempio circolare". Il complesso consta di una corte quadrata, racchiusa da una cinta muraria interamente percorsa da un corridoio dal quale si diramano verso l'esterno strutture a forma di T e di L (rispettivamente dal centro e dalle estremità di ogni lato); ne risulta uno schema simmetrico che ha fatto pensare a un diagramma cosmologico (un proto-maṇḍala). Alla prima metà del I millennio a.C. sono datati altri due monumenti di presunta destinazione palatina rinvenuti nell'oasi di Balkh, Altin 10 I e II. Il primo è una struttura aperta, consistente in un'ampia corte rettangolare circondata da un porticato, con ambienti quadrati agli angoli, e suddivisa in due settori di uguale superficie da un corpo trasversale comprendente una struttura monolitica centrale e due gruppi di ambienti uguali e simmetrici. Altin 10 II rivela un impianto dalla geometria accuratamente pianificata: corte quadrata con vasca centrale circondata su tre lati da ambienti allungati disposti in fila e separati da essa da un corridoio; gli angoli del complesso erano occupati da ambienti quadrati (nord-ovest e sud-ovest) e rettangolari distili (nordest e sud-est); l'entrata, situata al centro del lato orientale, era affiancata da due coppie di ambienti rettangolari. Le strutture, di incerta funzione, hanno planimetrie poco idonee a residenze palaziali (Sarianidi 1985), mentre le affinità con due edifici di culto di Dahan-i Ghulaman (VI-V sec. a.C.), nel Sistan, inducono a non escludere una destinazione religiosa, forse associata ad una funzione di rappresentanza politica. A Kalali Gir I, in Chorasmia, sono stati scavati i resti di un complesso palaziale, che si presume destinato a sede di un rappresentante del governo achemenide. Benché ultimata, la struttura sembra, tuttavia, non essere mai stata abitata. L'edificio è a pianta quasi quadrata (75 × 80 m), con due corti adiacenti, a est e a sud; si compone di 30 ambienti disposti attorno a 2 corti interne, in una delle quali una grande nicchia si apre al centro di ogni lato. La costruzione includeva sale ipostile, con 1 o 2 file di colonne con basi di pietra (a gradini con toro). Tutti gli esempi noti di architettura pubblica e palaziale d'epoca greco-battriana si concentrano nella città di Ai Khanum (300 - metà II sec. a.C. ca.), nell'Afghanistan nord-orientale. Il palazzo, fulcro monumentale della città bassa e sede, nel periodo finale del suo funzionamento, del re Eucratide I (170-145 a.C. ca.), raggruppava su una superficie di 350 × 250 m diverse unità architettoniche separate da corridoi, in una composizione dominata dal principio dell'ortogonalità. L'entrata principale, situata a nord, immetteva in una vasta corte con peristilio rodio (108 colonne con capitelli corinzi), dal cui lato meridionale, tramite un vestibolo ipostilo, si accedeva ai diversi settori del complesso. Il più importante, in asse con il vestibolo, era un edificio di pianta quadrata (50 × 50 m), che due corridoi incrociati ad angolo retto suddividono in quattro blocchi comprendenti sale da ricevimento e uffici. A ovest di questo settore è stata individuata una parte residenziale comprendente due unità abitative, precedute ciascuna da un cortile e dotate di sale da bagno decorate da mosaici pavimentali di pura tradizione ellenistica e da vani di servizio. A ovest della corte è stata posta in luce la tesoreria (corte circondata da file di magazzini), mentre in un ambiente adiacente alla corte erano custoditi i manoscritti della biblioteca. Una seconda corte con porticato dorico, presumibilmente di carattere privato, si estendeva a ovest del palazzo, tra la tesoreria e il settore residenziale. Nelle tecniche e nei materiali da costruzione (principalmente il mattone crudo) è evidente il retaggio delle tradizioni locali; fatta eccezione per le colonne e altri dettagli della decorazione architettonica (a questi elementi sembra peraltro limitarsi l'apporto greco), la pietra vi è impiegata in misura assai parsimoniosa. L'impianto generale e le planimetrie delle singole unità del palazzo sembrano, invece, essenzialmente riconducibili a modelli vicinoorientali e, per certi versi, all'architettura achemenide. Alla tradizione greca è invece da ascrivere il ginnasio, situato a nord del palazzo, addossato al lato occidentale della fortificazione. L'impronta classica è stata messa in evidenza nell'impianto del settore settentrionale, costituito da una vasta corte (100 m di lato) circondata sui quattro lati da ambienti di forma allungata disposti ai lati di un portico centrale a due colonne (sei nel portico nord). Come da tradizione, l'edificio era posto sotto la protezione di Hermes ed Eracle, menzionati in un'iscrizione in esso rinvenuta. Segno tangibile della presenza greca nella città battriana è anche il teatro, costruito sul versante interno dell'acropoli, di pianta semicircolare (42 m di raggio), con 35 gradini e, innovazione locale, grandi palchi situati a mezza altezza delle gradinate. L'architettura pubblica e di rappresentanza dell'epoca Kushana è ancora assai mal nota. L'unico monumento che sia stato ricondotto, per lo meno nella sua funzione originaria, alla sfera dinastica è il palazzo di Khalchayan, nella valle del Surkhan Darya (Uzbekistan meridionale); l'interpretazione e la cronologia di questo monumento hanno animato un vivace dibattito. Di modeste dimensioni (35 × 26 m), l'edificio si apre sulla fronte orientale con un portico, a sei colonne con fusto ligneo, dal quale tre porte davano accesso a una sala rettangolare (17,6 × 6,1 m); da questa si passava ad un piccolo vano quadrangolare distilo (7,4 × 6,2 m). Ai lati del nucleo centrale sopra descritto si disponevano, secondo uno schema grosso modo simmetrico, due gruppi di ambienti composti da corridoi e vani quadrangolari, quello settentrionale probabilmente destinato al corpo di guardia, il meridionale forse adibito a tesoreria. L'ingente quantità di frammenti di sculture di argilla cruda che vi si è conservata (assai più esigui i resti di pittura murale) ha consentito la ricostruzione del programma decorativo del portico e della sala centrale. Di particolare interesse è il fregio che ornava le pareti di quest'ultima, una coppia principesca affiancata da personaggi maschili e femminili, evidentemente esponenti dell'aristocrazia o appartenenti della cerchia dinastica, in cui si è cercata la chiave per l'interpretazione del padiglione battriano e per la deduzione della sua cronologia. In base alla somiglianza fisionomica tra il personaggio principale del fregio e l'effigie monetaria di Heraos, sovrano proto-Kushana, G.A. Pugačenkova (1966) individua in questo personaggio il committente del palazzo, sorto come edificio di rappresentanza e successivamente adibito a santuario dinastico. Questa interpretazione non ha, tuttavia, trovato consenso unanime tra gli studiosi: mancano nella valle del Surkhan Darya reperti numismatici relativi a Heraos, che invece si concentrano nel Tajikistan meridionale; vi è inoltre chi propone una datazione più tarda (al I o anche al II sec. d.C.) e chi, come B.Ja. Staviskij (1986), ritiene che quella di santuario di culto dinastico fosse la funzione originaria del monumento, probabilmente costruito durante il regno di Kujula Kadphises (I sec. d.C.). Un'imponente costruzione palaziale è stata portata alla luce a Toprak Kala (II-III sec. d.C.). Il nucleo centrale, che occupa l'angolo nordorientale della città chorasmiana, si erge su di un alto zoccolo (15 m) a tronco di piramide e si sviluppa su una superficie di 80 × 80 m e per un'altezza di 8-9 m. Il primo piano ha rivelato oltre 100 ambienti di dimensioni e funzioni diverse, ordinati secondo uno schema ortogonale. Tra questi ne risaltano alcuni di rappresentanza o dedicati al culto, in particolare una vasta corte di parata (450 m²), fulcro del complesso, con due porticati sorretti da due file di quattro colonne, e la Sala dei Re, presso l'angolo nord-est del palazzo, di pianta rettangolare con due file di colonne che ripartiscono lo spazio in tre navate e, lungo le pareti, una decorazione scultorea forse connessa al culto dinastico, che non sembra aver costituito, come invece ritengono gli autori dello scavo, la funzione primaria del complesso. Nel settore settentrionale della città di Erkurgan, secondo gli archeologi capitale della Sogdiana meridionale tra il III e il V-VI sec. d.C., è stata riportata alla luce una struttura palaziale, probabile sede di un governatore locale. Datato all'ultima fase di vita del sito (V-VI sec. d.C.), l'edificio è di pianta rettangolare (120 × 90 m) e si eleva su un basamento di mattoni (alt. 5 m). Il settore di rappresentanza, nella parte settentrionale, constava di due ambienti, circondati da corridoi su tre lati e preceduti da una corte quadrata. Resti architettonici delle sedi dei locali principati sono stati rinvenuti in tutti i centri maggiori della Sogdiana altomedievale (VI-VIII sec. d.C.): ricordiamo, in particolare, la residenza dell'ikhšid (governatore della Sogdiana) a Samarcanda (Afrasiab), il palazzo dei Bukhar Khudat, principi di Varakhsha, e il palazzo dell'af šin (governatore locale) Devashtich nella cittadella di Penjikent. Tuttavia, a parte la presenza di una sala del trono e la ricchezza delle decorazioni, le soluzioni architettoniche di tali edifici non differiscono di molto dall'architettura abitativa e dai castelli dell'aristocrazia terriera. Un vasto complesso palaziale si segnala, infine, a Kocho, nell'oasi di Turfan (Xinjiang). Il "palazzo del Khan", così ribattezzato da A. Grünwedel, che vi riconobbe la residenza dei principi uiguri (IX sec. d.C.), occupa un'ampia area di forma irregolare (300 × 150 m ca.) nel centro della città e include diversi gruppi di edifici: a ovest, su una terrazza, sale con copertura a volta e scalinata di accesso, decorate da pitture murali; a sud costruzioni abitative; a nord, su di un alto basamento, la Costruzione E, insieme di edifici il cui nucleo monumentale è rappresentato da un'alta torre, costruita con grossi blocchi di argilla e rivestita d'intonaco, con un ambiente interno delimitato da muri di spessore notevole (6 m), che resti di pitture parietali (scene di corte con personaggi abbigliati in costume uiguro) qualificano come probabile sala d'udienza o di ricevimento.
G.A. Pugačenkova, Chalčajan, Tashkent 1966; A. Isakov, Dvorec pravitelej drevnego Pendžikenta [Il palazzo dei governanti dell'antica Penjikent], in Strany i Narody Vostoka, 10 (1971), pp. 76-82; P. Bernard, Les traditions orientales dans l'architecture gréco-bactrienne, in JAs, 264 (1976), pp. 245-75; B. Brentjes, Das "Ur-Mandala" (?) von Daschly-3, in IranAnt, 18 (1983), pp. 25-49; M. Maillard, Grottes et monuments d'Asie Centrale, Paris 1983; J.A. Rapoport - E.E. Nerazik (edd.), Toprak-kala. Dvorec [Toprak Kala. Il palazzo], Moskva 1984; G.A. Košelenko (ed.), Drevnejšie gosudarstva Kavkaza i Srednej Azii [I più antichi Stati del Caucaso e dell'Asia Centrale], Moskva 1985; V. Sarianidi, Monumental Architecture of Bactria, in J.-L. Huot (ed.), De l'Indus aux Balkans. Recueil à la mémoire de J. Deshayes, Paris 1985, pp. 417-32; F. Grenet, Palais ou palais-temple? Remarques sur la publication du monument de Toprak-kala, in StIranica, 15, 1 (1986), pp. 123-35; B.Ja. Staviskij, La Bactriane sous les Kushans. Problèmes d'histoire et de culture, Paris 1986; S. Veuve, Fouilles d'Aï Khanoum, VI. Le gymnase. Architecture, céramique, sculpture, Paris 1987; M. Yaldiz, Archäologie und Kunstgeschichte Chinesisch-Zentralasiens (Xinjiang), Leiden 1987; R.X. Sulejmanov, L'architecture monumentale d'Erkurgan: complexes cultuels et communautaires, in P. Bernard - F. Grenet (edd.), Histoire et cultes de l'Asie Centrale préislamique, Paris 1991, pp. 167-72; C. Rapin, Fouilles d'Aï Khanoum, VIII. La trésorerie du palais hellénistique d'Aï Khanoum. L'apogée et la chute des royaumes gréco-bactriens, Paris 1992; A. Askarov - T. Shirinov, The "Palace", Temple and Necropolis of Jarkutan, in B.A. Litvinskij - C.A. Bromberg (edd.), The Archaeology and Arts of Central Asia. Studies from the Former Soviet Union, in BAsInst, n.s., 8 (1994), pp. 13-25.
di Ciro Lo Muzio
Nonostante il progredire della ricerca archeologica, la storia religiosa dell'Asia Centrale preislamica pone ancora incertezze sostanziali. Nel campo dell'edilizia cultuale, l'appartenenza della regione alla sfera zorostriana e, in particolare, l'attribuzione di una serie di edifici scoperti dagli archeologi alla tipologia del tempio del fuoco sono tra le questioni maggiormente dibattute. Nell'edilizia di culto centroasiatica l'apporto greco fu quasi inesistente, ma non si può dire altrettanto dell'influsso dell'India, che ebbe come veicolo principale la diffusione del buddhismo, testimoniata, a partire da epoca Kushana, da importanti fondazioni religiose dalla Battriana al Xinjiang.
Il più antico complesso architettonico destinato a un culto comunitario ‒ forse indirizzato a una divinità astrale maschile ‒ è stato scoperto ad Altin Depe (Turkmenistan). Sviluppatosi da un centro culturale preesistente, che aveva il suo fulcro in una ziqqurrat , esso assunse la sua forma munumentale nel Bronzo Medio (III millennio a.C.). Su un imponente basamento di mattoni crudi (alt. 3 m), con facciate decorate da semipilastri modanati, si ergeva l'elemento dominante del complesso, un edificio poggiante su una piattaforma a due livelli digradanti (alt. totale 12 m). Importanti testimonianze di architettura religiosa sono state riportate alla luce in Battriana e in Margiana e appartengono alla locale cultura del Tardo Bronzo, variamente designata come "civiltà dell'Oxus", BMAC (Bactrian-Margian Archaeological Complex) o, ancora, Namazga VI (2300-1600 a.C.; si terrà conto che gli studiosi della CSI ritardano quest'arco cronologico di 500 anni ca.). Il tempio di Jarkutan (Uzbekistan meridionale, 2100-1800 a.C. ca.), di pianta rettangolare (60 × 44,5 m), è ripartito in due settori: di servizio l'uno, a ovest, adibito al culto l'altro, a est. Questo consta di una corte rettangolare con portico, sul lato nord, dalla quale si accedeva a una piattaforma di mattoni crudi (400 m²), che ospitava un altare a sud, probabilmente alloggiato in una sorta di padiglione sostenuto da quattro colonne (di cui restano le basi); altri altari sono stati trovati nella corte. Un piccolo vano quadrato ricavato nello spessore del muro perimetrale (lato est) immetteva in una stanza circolare, secondo gli archeologi destinata al culto del fuoco perpetuo, paragonabile dunque a un ātešgāh zoroastriano; nell'ambiente situato tra la piattaforma e la corte sono stati rinvenuti depositi stratificati di ceneri sacre. Un'interpretazione analoga è stata formulata da V. Sarianidi (1994) in merito ai santuari di Gonur Sud e di Togolok-21, in Margiana (2000-1700 a.C. ca.). Il primo è situato nell'angolo sud-occidentale di una vasta area fortificata, il secondo si presenta come un sito fortificato di impianto regolare e simmetrico; in entrambi è stata rilevata la suddivisione in un settore meridionale (privato) e uno settentrionale (pubblico) e la presenza di ambienti interamente rivestiti di intonaco bianco (le cd. "sale bianche"), all'interno dei quali sono stati trovati resti di sostanze vegetali (efedra, canapa e papavero) evidentemente utilizzate per la preparazione di bevande allucinogene ‒ secondo Sarianidi testimonianza del culto indo-iranico del soma/haoma ‒, nonché depositi di ceneri. Dal punto di vista della tipologia architettonica, è di grande interesse il complesso templare di Dashli 3, nell'oasi di Balkh (Afghanistan settentrionale), datato alla prima metà del II millennio a.C. Situato al centro di un'area cinta di mura (130 × 150 m), il santuario aveva l'aspetto di una fortezza circolare (diam. 40 m), munita di nove torri quadrate; al suo interno erano due ulteriori cinte murarie concentriche e, al centro del complesso, il nucleo del santuario. Non vi sono stati messi in luce elementi decisivi per chiarire la natura del culto in esso officiato (vi è, del resto, chi dubita della sua stessa destinazione religiosa); si segnala tuttavia il rinvenimento di un certo numero di "colonnine" (attestate anche a Togolok), presumibilmente supporti per vasi rituali. Un impianto sostanzialmente analogo a quello di Dashli 3 è stato rivelato dalla fortezza di Arkaim (tre cinte concentriche, con strutture murarie interne con orientamento radiale), presso Čeljabinsk, a est degli Urali, monumento dell'età del Bronzo e di presunta funzione cultuale, ma ancora insufficientemente documentato. Per quanto concerne l'età del Ferro (fine II - inizi I millennio a.C.), l'ipotesi di una utilizzazione cultuale è stata avanzata per la struttura fortificata di Tillya Tepe (Afghanistan settentrionale), poggiante su un'alta piattaforma di mattoni crudi; la presenza di un altare, all'interno di un'ampia sala pilastrata, ha fatto attribuire anche questo monumento alla categoria dei templi del fuoco. Di epoca achemenide è, invece, Kutlug Tepe, in Afghanistan; la sua planimetria, caratterizzata da tre cerchie concentriche di mura, rievoca l'impianto di Dashli 3.
Dal punto di vista dell'architettura religiosa, gli scavi di Ai Khanum (300 - metà II sec. a.C. ca.), città greca nella Battriana orientale (Afghanistan), dimostrano che il principale effetto dell'invasione macedone sembra sia stato quello di aprire l'Asia Centrale meridionale agli influssi del Vicino Oriente, mentre la tradizione classica non vi avrebbe lasciato alcuna impronta significativa. Non v'è nulla di greco nell'architettura dei due edifici di culto rinvenuti nella città battriana, il tempio cosiddetto "a nicchie scalari" e il tempio extra muros. Il primo comprende un ambiente rettangolare dal quale si accede a una cella, con banco di argilla e nicchia sulla parete di fondo, comunicante con due piccoli vani laterali. Un frammento di acrolito ‒ un piede che calza un sandalo decorato da folgori alate ‒, di evidente fattura greca, è quello che resta della statua di culto, probabilmente una figura divina sincretistica greco-iranica (Zeus-Mithra). Anche nel tempio fuori le mura il settore cultuale consta di una cella e due ambienti laterali, tutti e tre, però, comunicanti con una corte rettangolare antistante. Entrambi gli edifici poggiano su un basamento a gradini con scalinata sulla fronte e hanno le pareti esterne decorate da nicchie scalari. L'impronta della tradizione locale è evidente nella tecnica muraria e nei materiali utilizzati (mattoni crudi), ma le planimetrie trovano stringenti affinità in due edifici di culto mesopotamici (a dire il vero, di epoca più tarda): il tempio di Artemide (terzo quarto del I sec. a.C.) e il tempio di Zeus Megistos (I sec. d.C.) a Dura-Europos. Con la sua cella rettangolare, circondata su tre lati da un corridoio (accessibile dalla cella) e preceduta da un vestibolo affiancato da due sacrestie, il cosiddetto "tempio dei Dioscuri" di Dilberjin (Afghanistan settentrionale), nella sua prima fase costruttiva, sembra sostanzialmente ascrivibile alla medesima tradizione, ma la sua datazione alla fine dell'epoca greco-battriana non è sufficientemente provata. Ricordiamo inoltre, sempre ad Ai Khanum, la monumentale piattaforma a gradoni scoperta nel punto più alto dell'acropoli, probabilmente un santuario a cielo aperto, che riporta alla mente l'usanza, attribuita a Medi e Persiani dalle fonti classiche (Hdt., I, 131-132; Strab., XV, 3-15), di offrire sacrifici animali in luoghi elevati. Sulla riva destra del Vakhsh (Tajikistan meridionale), non lontano dalla sua confluenza nell'Amu Darya, l'antico Oxus, sorge il santuario di Takht-i Sangin (ultimo quarto del IV sec. a.C. - II/III sec. d.C.), che si compone di una cella tetrastila (la cd. "sala bianca") affiancata da due piccoli vani, a loro volta comunicanti con due ambienti di forma stretta e allungata posti sul retro dell'edificio; la cella è preceduta da un portico a colonne, affiancato da due gruppi di ambienti simmetrici nei quali sembra fosse alimentato il fuoco perpetuo (ātešgāh). In base al confronto con edifici iranici precedentemente considerati templi del fuoco (dei quali tuttavia è stata contestata la stessa destinazione cultuale), alla presenza degli ātešgāh e al rinvenimento di numerosi altari di forme e dimensioni diverse, I.R. Pičikjan (Pitschikijan 1992) ha identificato il santuario di Takht-i Sangin come tempio del fuoco. Secondo P. Bernard (1994), invece, l'edificio avrebbe avuto questa destinazione solo all'epoca dei Grandi Kushana (I-III sec. d.C.), mentre nei secoli precedenti esso fu verosimilmente sede di un culto indirizzato al dio Oxus, cui fa riferimento l'iscrizione battriana incisa su un piccolo altare qui rinvenuto; lo studioso propone inoltre di abbassarne la data di fondazione al III sec. a.C. Il monumentale complesso di Surkh Kotal, nella Battriana meridionale, è l'unico santuario di epoca Kushana di accertata committenza dinastica. Il principale edificio di culto (Tempio A) sorgeva al centro di un'area difesa su tre lati da un imponente muro con portico a colonne lungo il perimetro interno ed era accessibile da levante tramite una monumentale scalinata di pietra che aveva inizio ai piedi della collina. Impostato su un basamento di mattoni e circondato da un peristilio di colonne lignee con base attica di pietra, l'edificio si componeva di una cella quadrata tetrastila (11,5 m di lato) circondata da un corridoio a Π. Dalle iscrizioni in battriano rinvenute nel sito sappiamo che il tempio, designato come bagolaṅgo ("luogo di soggiorno degli dei") era dedicato a Kanishka o, più probabilmente, alla Vittoria (Fortuna) divinizzata del sovrano. Le tre statue e il bassorilievo di pietra rinvenuti alle due estremità del portico immortalavano con ogni probabilità esponenti della dinastia, mentre all'interno delle nicchie riparate dal portico erano forse alloggiate statue d'argilla raffiguranti divinità. Il Tempio A fu abbandonato nella seconda metà del II o agli inizi del III sec. d.C. e sulle sue rovine sorsero altri edifici di culto, tra i quali il Tempio B; addossato alla facciata meridionale esterna della cinta difensiva del santuario e composto da cella quadrata con altare centrale, circondata su tre lati da un corridoio, questo edificio viene identificato come tempio del fuoco. Non vi sono prove attendibili che convalidino l'ipotesi di S.P. Tolstov (1967), secondo cui il mausoleo-osservatorio astronomico di Koy Krilgan Kala (v. oltre il paragrafo dedicato all'architettura funeraria), in Chorasmia, avrebbe assunto nel tempo la funzione di sede di culto dinastico e dubbi sono stati sollevati sull'interpretazione del palazzo di Toprak Kala (II-III sec. d.C.) quale grandioso tempio dinastico, formulata da Ju.A. Rapoport (1993). Ricordiamo, tuttavia, che a nord della città chorasmiana, poco distante dalla cinta muraria, è stato portato alla luce un grande complesso di presunta funzione religiosa (Edificio V), di pianta rettangolare con una fronte di 49 m. Il settore cultuale era situato al secondo piano della costruzione, accessibile tramite una scalinata centrale, e, secondo la ricostruzione proposta da Rapoport, constava di una vasta sala (160 m²), preceduta da due vestiboli, affiancata da due stanze di forma allungata e comunicante con una cella quadrata retrostante. La destinazione religiosa dell'edificio viene dedotta essenzialmente dal tipo di planimetria, ma non vi sono indizi espliciti sul tipo di culto che vi era praticato. Per quanto riguarda la Sogdiana, una costruzione cultuale è stata scavata da G.A. Pugačenkova a Kurgan Tepe, nell'area di Miankal (20 km ca. a nord-ovest di Samarcanda); tuttavia sulla destinazione dell'edificio (genericamente ascritto alla sfera cultuale zoroastriana) non sembra sia stata fatta sufficiente chiarezza e ancor meno convincente è la sua datazione al III-II sec. a.C. A Erkurgan, nella valle del Kashka Darya, è stato messo in luce un complesso cultuale costituito da due templi, dei quali l'orientale è stato oggetto di indagini più accurate. Costruito nel III-IV sec. d.C., esso si componeva di una sala rettangolare con copertura sostenuta da due colonne di mattoni cotti e numerose nicchie alle pareti; la grande nicchia situata di fronte all'ingresso si suppone contenesse una scultura raffigurante la divinità oggetto di culto, successivamente soppiantata (V-VI sec. d.C.?) da un altare del fuoco. A Paykend, nell'oasi di Bukhara, un tempio è stato rinvenuto non lontano da un complesso palaziale. Di pianta rettangolare (30,7 × 24 m), l'edificio si articolava in due vani rettangolari, ciascuno dei quali dotato di un basamento centrale, circondati da un sistema di sei corridoi; in base ai reperti numismatici e ceramici, G.L. Semenov (1995) ne data il funzionamento al IV-VI sec. d.C. e ne riconduce la planimetria al modello del tempio del fuoco sasanide. I due santuari urbani (I e II) di Penjikent offrono, infine, un'emblematica testimonianza del carattere peculiare dello zoroastrismo centroasiatico. Sorti nel V sec. d.C. e rimasti in funzione fino alla conquista araba della città (722 d.C.), i due complessi, adiacenti, occupano un'ampia area nel settore occidentale del sito sogdiano; il fulcro di entrambi i santuari è costituito da un edificio composto da una sala tetrastila (nel Tempio I preceduta da un portico esastilo) con cella sul retro; i due vani erano circondati da un corridoio a Π. L'utilizzo rituale del fuoco sembrerebbe accertato già nel V secolo, nel secondo dei cinque periodi costruttivi in cui la vita di questi templi è stata suddivisa, ma in connessione con culti teistici, testimoniati dai resti di pittura murale.
L'insieme delle testimonianze archeologiche sembra escludere una diffusione del buddhismo in Asia Centrale prima dell'epoca dei Kushana; la fondazione del monastero di Kara Tepe, in Battriana, il più antico sinora riportato alla luce nell'intera regione, è infatti databile verosimilmente intorno all'epoca di regno di Kanishka (ultimo quarto del I sec. d.C. o primo quarto del II sec.). Sorto ai margini occidentali dell'oasi di Termez, su una collina di arenaria, questo insediamento raggruppa diversi complessi (ne sono stati scavati nove), che associano settori rupestri (in genere composti da una piccola cella circondata da un corridoio) con strutture a cielo aperto (corti porticate ed edifici di culto). Se l'architettura di Kara Tepe non sembra governata da rigide regole compositive, il monastero di Fayaz Tepe, ubicato pochi chilometri più a ovest, presenta un impianto regolare, derivato, nella sua concezione di base, dall'architettura buddhistica del Nord-Ovest del Subcontinente indiano. Il complesso (117 × 34 m) si articola in tre corti, disposte sullo stesso asse, con diversa destinazione funzionale (monastica, cultuale e di servizio); all'esterno del complesso, dinanzi al settore cultuale, sorgeva uno stūpa. L'arco di vita di questo centro (purtroppo mai pubblicato in maniera esauriente) sembra coincida sostanzialmente con quello di Kara Tepe. Solo in epoca molto più tarda, nel VII-VIII sec. d.C., ritroveremo ad Ajina Tepa (Tajikistan meridionale) un impianto religioso buddhistico caratterizzato da altrettanta regolarità. Il complesso si compone di due corti contigue: la settentrionale, quasi interamente occupata da un grande stūpa, è circondata da un corridoio perimetrale (nel cui tratto occidentale era alloggiata una scultura in argilla raffigurante il Buddha in parinirvāṇa) e presenta una fila di ambienti per il culto lungo il lato nord-ovest (tre dei quali contenenti piccoli stūpa); l'altra corte, anch'essa circondata da un corridoio, includeva celle monastiche, ambienti di servizio (refettorio, magazzini) e, rispettivamente al centro dei lati sud-ovest e sud-est, una sala tetrastila per assemblee e un ambiente di culto che ha conservato resti di plastica in crudo e di pitture murali. Alla medesima epoca si data il santuario buddhistico di Khisht Tepe (Tajikistan orientale). Una sala centrale quadrata (7 m di lato) dava accesso agli ambienti del settore monastico (che costituivano la parte occidentale del piccolo monastero) e a una cella, situata a ovest, circondata da un corridoio; a sud della cella era un ambiente contenente uno stūpa. Interessanti testimonianze di architettura buddhistica, coeve a quelle sopra citate ma di concezione diversa (si suppone influenzata dal Xinjiang o, addirittura, dalla Cina), sono state riportate alla luce in Semireč´e (Kirghizistan), in particolare ad Ak Beshim e Krasnaja Rečka. Due i santuari scavati nel primo sito; uno di essi, di pianta rettangolare (76 × 22 m), presenta un corpo di locali nel settore d'ingresso, seguito da una corte con porticati lungo i lati lunghi, e un edificio di culto sul fondo, composto da una sala ottastila da cui si accede ad una cella quadrata (forse coperta da una cupola) e al corridoio che la circonda su tre lati. Il secondo tempio, di pianta quasi quadrata (55 × 50 m), racchiude una cella a pianta stellare (si suppone con copertura conica) circondata da due corridoi voltati. Allo stesso modello (cella quadrata circondata da un corridoio) sono ispirati i due templi scavati a Krasnaja Rečka. Nel Xinjiang si segnalano soprattutto i grandi insediamenti religiosi rupestri, in particolare nelle oasi di Kucha (Kizil) e di Turfan (Bezeklik). Tali complessi constano di numerose unità di diversa destinazione (celle monastiche, ambienti di culto, biblioteche, ecc.), giustapposte le une alle altre, nel corso del tempo, senza una rigida logica funzionale. Per quanto concerne gli ambienti di culto, sono state individuate alcune tipologie; tra queste, la cella quadrata o rettangolare con copertura a cupola o a volta o con tetto a lanterna, con stūpa-pilastro, ricavato sul fondo dell'ambiente, circondato da un corridoio per la circumambulazione rituale. Sono attestate anche celle di pianta rettangolare con cappella sul fondo o file di cappelle disposte lungo tre dei suoi lati. Caratteristica dei santuari rupestri dell'oasi di Turfan (Bezeklik, Murtuk, Toyuk) è la presenza di portici o terrazze di accesso. Non mancano nella regione monasteri costruiti (Duldur Akur, Shorchuk, Sengim, Kocho, Yar) e non sorprende constatare in essi la presenza di tipologie architettoniche simili a quelle utilizzate nei santuari rupestri; il modello compositivo maggiormente diffuso è, tuttavia, quello costituito da un vano quadrato circondato da un corridoio, del quale abbiamo cominciato a seguire le tracce nel più antico complesso buddhistico d'Asia Centrale, Kara Tepe.
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di Ciro Lo Muzio
La storia dell'architettura funeraria centroasiatica ha inizio nel delta del Sir Darya, regione periferica ai confini delle steppe e sede di una cultura dalla forte componente nomadica. I mausolei di Tagisken Nord, datati tra il X e l'VIII sec. a.C., inaugurano una tradizione di costruzioni sepolcrali di tipo monumentale che lascerà, nella regione dell'Aral, interessanti testimonianze anche nei secoli successivi. Gli edifici più antichi rinvenuti nel sito sono i mausolei 4, 5a e 7, accomunati da una planimetria che associa il quadrato (perimetro esterno) al cerchio (camera funeraria). L'interno è suddiviso in cerchi concentrici da file di colonne; al centro del monumento, in un'area rettangolare delimitata da quattro colonne, veniva adagiata la salma. Secondo la ricostruzione degli archeologi, in tali strutture era praticato un rituale funerario che si ritiene connesso con credenze escatologiche indo-iraniche, consistente nel dare alle fiamme l'intero edificio insieme con il defunto. I mausolei della cultura di Chirik Rabat, sviluppatasi nella medesima area a partire dal V sec. a.C., ereditano diversi elementi della tradizione architettonica di Tagisken. Di pianta quadrata o, più di frequente, circolare, tutti questi monumenti sono accomunati da una solida architettura in mattoni crudi e pakhsa e dall'orientamento a sud dell'ingresso; gran parte di essi si erge su di uno zoccolo. Babish Mulla 2, di pianta quadrata (21 × 21 m), presenta una suddivisione interna in quattro ambienti quadrati delimitati da due corridoi disposti a croce; la medesima ripartizione si osserva nell'imponente mausoleo circolare (diam. 38 m) situato nel settore meridionale di Chirik Rabat (IVIII sec. a.C.). Gran parte dei restanti edifici presenta un diametro compreso tra i 15 e i 20 m e una suddivisione interna in due o quattro settori. Da questi si distingue il mausoleo di Balandi 2 (diam. 16 m), con vano centrale circolare e corridoio perimetrale suddiviso in sette segmenti con copertura a volta. In gran parte saccheggiati, questi sepolcri non consentono di stabilire con certezza il rituale funerario in essi praticato. Si ritiene, tuttavia, che l'incinerazione (testimoniata, ad es., a Chirik Rabat, dove le salme venivano probabilmente cremate su banchi addossati alle pareti) abbia via via perso terreno a vantaggio dell'inumazione o dell'esposizione dei cadaveri. Alla medesima tradizione è da ascrivere Koy Krilgan Kala, in Chorasmia. Sorto nel IV sec. a.C., questo singolare edificio ebbe vita longeva (si presume fino al IV sec. d.C.), nel corso della quale alla sua originaria destinazione sepolcrale si sarebbero sommate altre funzioni, in particolare quella di osservatorio astronomico e, presumibilmente, di santuario; di dimensioni imponenti (87 m di diam.), esso comprende un edificio centrale a due piani e una cinta muraria, rinforzata da otto torri semicircolari, con ingresso monumentale a est e circondata da un fossato. L'interno dell'edificio, ripartito da un corridoio centrale in due settori, ciascuno costituito da tre stanze, evoca il mausoleo a pianta cruciforme. L'ipotesi che anche nell'edificio funerario chorasmiano si desse commiato a personaggi eminenti (si è pensato al "re" e alla "regina" della Chorasmia) con il rito dell'incinerazione resta una congettura difficilmente dimostrabile, così come la conseguente destinazione dell'edificio a santuario dinastico. Va tuttavia ricordato il rinvenimento, all'interno del complesso e nel suo circondario, di frammenti di osteoteche (astodān) antropomorfe, tradizionalmente connesse al rito funerario zoroastriano della scarnificazione della salma ad opera di animali. L'utilizzo delle osteoteche sembra avere una precoce e ampia diffusione proprio in Chorasmia (a partire dal III sec. a.C. ca.), ma è testimoniato anche in Margiana e, in epoca più tarda (V-VIII sec. d.C.), in Sogdiana; accanto a quelle antropomorfe (tipiche della Chorasmia), sono numerose le osteoteche di tipo architettonico, presumibilmente ispirate alle diverse tipologie di costruzioni funerarie. Proprio come nel campo dell'architettura religiosa, il confronto con le pratiche codificate nella letteratura zoroastriana rappresenta il filo conduttore (e il limite) dell'esegesi dell'architettura funeraria centroasiatica. Le prescrizioni in materia funeraria contenute nei capitoli V e VIII del Vidēvdāt ‒ e, in particolare, quelle concernenti la pratica dell'esposizione dei cadaveri e il trattamento riservato ai resti ossei ‒ sembrano costituire un punto di riferimento obbligato, sebbene dalla stessa fonte si ricavi che anche l'inumazione doveva essere ampiamente praticata. Sono tre gli edifici connessi al rito dell'esposizione: il dakhma, luogo dell'esposizione del cadavere, il kata, luogo destinato alla deposizione temporanea del cadavere (ad es., nel periodo invernale), e l'uzdāna, la costruzione destinata a contenere le ossa scarnificate, detta nawwus (ma in relazione alle usanze dei cristiani siriaci) in fonti arabe dell'XI secolo. Sulla base di corrispondenze tra dati archeologici e prescrizioni testuali, E.V. Rtveladze (1987) identifica le prime testimonianze del kata (I sec. a.C. - I sec. d.C.) in due gruppi di costruzioni situate ai margini della città di Kampir Tepe, in Battriana, e il dakhma zoroastriano in due monumenti centroasiatici: il più antico (III-II sec. a.C.), alla periferia di Erkurgan, in Sogdiana, è un edificio di pianta rettangolare, con una scalinata che conduce alla sommità. Di epoca più tarda (III-IV sec. d.C.) è il dakhma di Chilpik, in Chorasmia, struttura di forma ovale (70 × 65 m) con una spianata nella parte centrale, cinta da un muro; l'ipotesi di un suo utilizzo come luogo di esposizione dei cadaveri sembrerebbe suffragata dalla presenza, nell'immediato circondario, di diverse necropoli a osteoteche. Ben più numerose sono le costruzioni funerarie centroasiatiche che sono state ricondotte alla tipologia dell'uzdāna (o nawwus), ma per una parte di esse tale interpretazione appare controversa. Alla periferia di Dalverzin Tepe è stato scavato un edificio funerario comprendente otto angusti vani (2,7 × 1,25 m) distribuiti in due file ai lati di un corridoio centrale. In base alla presenza di scheletri interi e di cumuli di ossa appartenenti a scheletri diversi e incompleti, Rtveladze ha formulato l'ipotesi di tre fasi di utilizzo di questo mausoleo, differenziate anche dal rito funerario: nella prima (fine II - inizi I sec. a.C.) i locali dell'edificio sarebbero stati adibiti alla sepoltura in fosse; nella seconda (intorno agli inizi della nostra era) alla deposizione dei resti ossei dei cadaveri precedentemente scarnificati, dunque a un rito zoroastriano; la terza fase (fine II - inizi IV sec. d.C.) segnerebbe il ritorno al rito dell'inumazione. Tale interpretazione è stata adottata anche da B.A. Litvinskij per gli edifici funerari della necropoli di Tepa-i Shah (Tajikistan meridionale), uno dei quali, costruito nel I sec. a.C. circa e utilizzato fino al III-IV sec. d.C., riproduce il modello planimetrico suddetto (ma con quattro camere), mentre altri due constano di un solo ambiente, in un caso munito di una piattaforma centrale, nell'altro di un banco di argilla lungo il perimetro del vano. L'interpretazione in chiave zoroastriana del rituale praticato in questi mausolei ‒ di conseguenza designati come uzdāna o nawwus ‒ è stata considerata con ragionevole scetticismo da P. Bernard (1980), secondo il quale il disordine e il carattere frammentario degli scheletri risalenti alla seconda fase di utilizzo dell'edificio di Dalverzin Tepe non implicano necessariamente l'abbandono del rito dell'inumazione, ma un probabile accantonamento degli scheletri per far spazio a nuove sepolture e un periodico svuotamento delle tombe, con il deposito dei resti ossei in una delle camere funerarie. Questa pratica trova conferma nel mausoleo semipogeo scavato ad Ai Khanum (prima metà del III sec. a.C.), che rappresenta l'esempio più antico del modello planimetrico che ritroviamo a Dalverzin Tepe e a Tepa-i Shah: in una delle quattro camere voltate, disposte ai due lati di un corridoio centrale, sono stati rinvenuti i resti di cinque scheletri collocati in giare. La tipologia architettonica sopra descritta è ancora utilizzata nel VII-VIII sec. d.C. in Semireč´e (Kirghizistan). Nella necropoli di Krasnaja Rečka troviamo una costruzione di pianta quadrata con corridoio centrale, ai lati del quale si dispongono due gruppi di tre ambienti rettangolari voltati. È evidente l'analogia con i mausolei battriani e i paralleli sembra possano estendersi anche alle caratteristiche di rinvenimento dei resti ossei (scheletri interi insieme a scheletri frazionati). Nonostante l'assenza di evidenti prove archeologiche, anche questo edificio è stato assimilato alla categoria del nawwus, ma ci si chiede se l'interpretazione più ragionevole non sia, anche in questo caso (e, in genere, là dove venga postulata un'alternanza inumazione/incinerazione, come, ad es., le costruzioni funerarie di Tuyabuguz, nel Chach, VII-VIII sec. d.C.), quella formulata da Bernard in relazione ai mausolei battriani. La designazione di uzdāna è forse più appropriata per gli edifici contenenti esclusivamente osteoteche, quali quelli riportati alla luce nelle necropoli di Penjikent, in Sogdiana, e di Tok Kala, in Chorasmia, risalenti al VII-VIII sec. d.C.; in genere essi comprendono un solo ambiente, di pianta quadrata, con copertura a volta e banchi lungo tre pareti, sui quali venivano depositati i contenitori di ossa. Quali testimonianze di architettura funeraria del tutto estranea alla tradizione zoroastriana ricordiamo, infine, i due piccoli monumenti sepolcrali a forma di tempio greco, situati accanto all'entrata del palazzo di Ai Khanum. Uno di essi aveva un colonnato periptero, l'altro ‒ un tempietto con due colonne in antis ‒ custodiva i resti mortali di tale Cinea (Kineas), uno dei padri fondatori della città battriana.
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