L'architettura: caratteri e modelli. Egitto
di Sergio Pernigotti
La nostra conoscenza dell'architettura egiziana antica è fortemente condizionata dal contemporaneo concorrere di tre diversi fattori, ciascuno dei quali indipendente dagli altri, ma che si sommano nei loro effetti negativi. Vi è anzitutto un problema archeologico dovuto alla profonda differenza tra la valle del Nilo e il Delta: mentre la prima, per la sua struttura fisica, presenta condizioni particolarmente favorevoli alla conservazione dei monumenti antichi, il secondo, con il suo terreno instabile e l'intensa antropizzazione, ha visto la pressoché totale scomparsa degli edifici, ridotti per lo più alle sole fondazioni, sì che la storia dell'architettura egiziana si identifica soprattutto con le vicende dell'architettura dell'Alto Egitto, con la quasi completa esclusione del Delta. Se ciò può non avere conseguenze di rilievo per quanto riguarda la nostra conoscenza dell'architettura templare e, forse, di quella funeraria, per le quali ci deve essere stata un'assai precoce unificazione di linguaggi dovuta alla centralità delle esperienze della corte, ha invece un aspetto fortemente negativo per tutti gli altri tipi di edifici, per i quali mancano completamente il materiale di confronto e soprattutto la sicurezza che non esistessero tradizioni diverse. Questa circostanza è aggravata dalle vicende dell'esplorazione archeologica dell'Egitto che, proprio per le ragioni sopra addotte, ha sempre privilegiato la valle a scapito non solo del Delta, ma anche di altre zone del Paese, come il Sinai e le oasi del deserto occidentale, che solo oggi cominciano ad essere studiate in maniera soddisfacente e al di là della semplice indagine di superficie. Una storia dell'architettura egiziana deve quindi tenere conto del suo carattere parzialissimo rispetto a quella che fu la realtà monumentale del Paese. Il terzo fattore condizionante è legato a fatti di carattere più sostanziale che risalgono alla concezione che gli stessi antichi Egiziani avevano dell'architettura e che possiamo definire anche come una specie di "ideologia dei materiali" impiegati nelle costruzioni. Che la scelta tra materiali di tipo diverso avesse un ruolo rilevante nell'antico Egitto, per le sue strette relazioni con la magia, è un fatto ben noto e documentato. Ma la cosa riguarda non solo la statuaria e gli amuleti, ma anche e forse in primo luogo l'architettura per gli evidenti legami che questa presenta con il potere in ogni epoca della storia egiziana e per la sua particolare valenza di veicolo dell'ideologia della regalità o, in dati momenti storici, dei principati "provinciali" e del sacerdozio. Vi è qui la distinzione fondamentale tra edifici costruiti in mattoni crudi ed edifici in pietra, essenzialmente perituri i primi e come tali concepiti, ed essenzialmente imperituri i secondi, destinati a durare per l'eternità, secondo l'espressione egiziana antica. Ciò ha portato come conseguenza che gli edifici in mattoni crudi sono quasi completamente scomparsi e, dove pure tracce si sono conservate, sono valutabili solo per esempi, per lo più molto tardi, come accade nel caso dell'urbanistica. La distinzione tra edifici in crudo ed edifici in pietra non è tuttavia un carattere originario dell'architettura egiziana. Nelle prime due dinastie, ad esempio, l'uso della pietra è assai limitato e non va al di là di alcune assise in costruzioni di particolare importanza. È a partire dalla III Dinastia (2649-2575 a.C. ca.) che il suo impiego assume il valore di una scelta ideologica: la pietra diventa il materiale privilegiato, se non proprio il solo, destinato all'architettura sacra e dunque anzitutto alle sepolture dei sovrani con gli edifici ad essi connessi, in primo luogo i templi relativi al loro culto funerario. Non vi sono templi in pietra per il culto degli dei in tutto il III millennio a.C., ma non è sicuro che ciò non derivi dalla ininterrotta vicenda di costruzioni, demolizioni e rifacimenti che caratterizza l'attività edilizia nell'antico Egitto. In ogni caso, i primi esempi sicuri di templi degli dei in pietra, miracolosamente conservati, risalgono al Medio Regno (2040-1640 a.C.). Tutti gli altri edifici erano in mattoni crudi: in questo materiale erano costruite tanto le abitazioni comuni quanto quelle di lusso e perfino il palazzo regale, realizzandosi qui la contrapposizione tra il palazzo in cui risiedeva il sovrano durante la sua vita su questa terra, in crudo, e il palazzo per l'eternità, la tomba, in pietra. Le città erano costruite in mattoni crudi: solo poche sono quelle la cui planimetria si è conservata e tutte piuttosto tarde, se si fa eccezione per i pochi casi di città pianificate per gli operai che lavoravano a grandi imprese "pubbliche", come la piramide di Illahun e le tombe della Valle dei Re a Tebe, o alla costruzione della città di Akhetaten (Tell el-Amarna), fortunosamente conservata grazie al suo repentino abbandono. L'architettura egiziana è dunque essenzialmente architettura sacra, funeraria quando riguarda la sepoltura del sovrano e degli alti funzionari del regno, architettura del culto quando riguarda la costruzione dei templi degli dei. Il carattere conservatore della civiltà egiziana si rivela soprattutto nella concezione e nella realizzazione degli edifici di culto, che mantengono sostanzialmente intatta la loro struttura fino a tutta l'età romana, conservando sempre il carattere originario di "casa del dio". Più evolutiva appare invece l'architettura funeraria, sia quella regale che quella destinata ai grandi personaggi della corte. L'architettura in pietra nell'antico Egitto nasce e si sviluppa dunque come strumento concepito per la trasmissione dell'ideologia: quella relativa alla divinità del sovrano, se riguarda i grandi monumenti funerari del III e del II millennio a.C., o quella relativa alla centralità di alcune divinità (si pensi al caso del tempio di Amon-Ra a Karnak) quando concerne gli edifici di culto. Accanto e più ancora della letteratura e delle arti figurative, l'architettura è l'immagine del potere, umano e divino, che si rende visibile nella persona del sovrano e che si riflette inoltre nel suo destino ultraterreno, dove lo seguono anche i componenti della sua corte, come dimostra l'intensa attività edilizia che caratterizza la politica interna di molti sovrani egiziani (si veda il caso per molti aspetti emblematico di Ramesse II, 1290-1224 a.C.). Questo sommarsi di elementi ideologici e quindi propagandistici si coglie bene anche nel ruolo che gli architetti avevano nella società egiziana, molto diverso e molto più importante rispetto a quello degli altri artisti, relegati in fasce relativamente modeste della scala sociale. Al contrario gli architetti erano uomini di potere, spesso scelti tra i componenti della famiglia regale, il cui nome e la cui attività in molti casi ci sono noti e a cui spettava la responsabilità di lavori pubblici di grande portata che, come nel caso delle piramidi, comportavano uno sforzo economico gigantesco. Il "preposto a tutti i lavori del re" aveva poteri e responsabilità simili e forse superiori a quelli di un ministro dei lavori pubblici e a lui competeva anche la traduzione in termini architettonici a tutti comprensibili dell'ideologia della regalità divina. Non a caso il prototipo di una tale carica fu Imhotep, l'inventore dell'architettura in pietra e costruttore del complesso di Djoser a Saqqara, e simili responsabilità ebbe il principe Hemiunu, il costruttore della piramide di Cheope a Giza: una parabola che si conclude degnamente con la divinizzazione di Amenhotep, figlio di Hapu, nel Nuovo Regno. L'origine dell'architettura egiziana si può cogliere nelle sepolture destinate ai sovrani e ai privati che ne costituivano la corte. Nelle prime due dinastie assistiamo al formarsi di un nucleo importante di tombe regali ad Abido. Se ad esso corrispondesse a nord, a Saqqara, una seconda serie di disposizioni regali per alcuni semplici cenotafi, è un dubbio che ora è definitivamente risolto in senso negativo, dopo i recenti ritrovamenti delle barche funerarie ad Abido, definitivamente risolta a favore di Saqqara. L'architettura templare è nota solo da raffigurazioni più tarde: nulla se ne è conservato perché gli edifici del culto erano costruiti in materiali tipicamente perituri, come mattoni crudi ed elementi vegetali. All'inizio della III Dinastia nella necropoli di Saqqara, che diviene ora necropoli regale, si verifica nell'architettura egiziana una vera rivoluzione fatta risalire, secondo una tradizione posteriore ma assai attendibile, all'attività di Imhotep, che era al servizio del re Djoser e fu onorato in epoca tarda come dio della medicina. Si afferma ora un rituale delle sepolture regali che è completamente diverso rispetto a quello del passato: anzitutto si generalizza l'uso della pietra, parziale e sporadico per l'epoca precedente, nella quale vengono sapientemente tradotti gli elementi vegetali dell'architettura primitiva. Il sovrano viene ora sepolto in una tomba ipogea la cui sovrastruttura assume, passando attraverso varie fasi che rivelano una progettualità in fieri, la forma della piramide a gradoni, in realtà una serie di maṣṭaba sovrapposte. La storia dell'architettura dell'Antico Regno (2575-2134 a.C.) si identifica in gran parte con la storia delle piramidi che sorgeranno in un'unica gigantesca necropoli che si dipana da Abu Roash a nord fino a Meidum, all'altezza del Fayyum. L'evoluzione interna della tipologia raggiunge ben presto la sua forma definitiva tra la III e la IV Dinastia. Durante la V Dinastia (2465-2323 a.C.), nella zona compresa tra Abu Ghurab e Abu Sir poco a nord di Saqqara, fanno la loro apparizione i templi solari, che mostrano una chiara ispirazione eliopolitana in corrispondenza dello spostamento (all'inizio della V Din.) dell'asse politico da Menfi a Heliopolis. Non più che di resti di un'architettura si può parlare per il Primo Periodo Intermedio (2134-2040 a.C.), le cui frammentarie esperienze chiudono il III millennio a.C. ponendo i presupposti di quello successivo. Di quest'epoca così ricca di testimonianze letterarie, solo l'architettura funeraria si può cogliere nelle tombe dei nomarchi a Beni Hasan e in quelle degli Antef a el-Tarif a Tebe. Ma la sepoltura più importante per il suo carattere monumentale è quella che si trova, sempre a Tebe, nella zona di Deir el- Bahari e destinata al re Nebhetepra Montuhotep, con la quale si dà veramente inizio ad un'epoca nuova. Per quanto concerne il Medio Regno (2040-1640 a.C.) la documentazione di cui disponiamo, in sostanza i monumenti che si sono conservati, è così limitata che non è possibile una valutazione d'insieme dell'architettura di questo periodo, sì che è in definitiva ben difficile coglierne i tratti caratteristici e i processi innovativi rispetto al passato più o meno recente. Lo spostamento del potere politico verso il centro del Paese segna una sostanziale novità rispetto alla monarchia menfita che si riflette puntualmente nella fondazione, all'inizio della XII Dinastia (1991-1783 a.C.), di una nuova capitale, Ity-Tauy "il sovrano delle due terre", nei pressi della moderna Lisht. Ma ad essa corrisponde, nel segno opposto della rinascita di una tradizione interrotta con la fine dell'Antico Regno e per tutto il Primo Periodo Intermedio a causa del venire meno della monarchia centralizzata a favore di forme di governo locale, la ripresa del rituale che si era andato elaborando e coerentemente sviluppando tra la III e la VI Dinastia. Tuttavia le piramidi non sono più il centro ideale delle deposizioni dei componenti della corte, così come essa poteva essere concepita nell'Antico Regno. I funzionari più importanti fanno scavare anche altrove le proprie tombe, magari ad una distanza assai modesta da quella del sovrano, ma ben distinte dalle necropoli regali, come accade per quella recentemente scoperta a Khelua nel Fayyum. In altri casi le tombe si trovano altrove nella valle del Nilo, di nuovo nella necropoli di Beni Hasan, in cui presentano una struttura di grande semplicità con un'unica stanza divisa in tre navate e un cortile introdotto da due colonne, e poi a Qaw el-Kebir, con le due tombe affiancate di Wah-ka e di Ibu. Qui la sepoltura vera e propria è scavata nella roccia, ma è preceduta da una serie di cortili e di cappelle raccordate da un lungo corridoio monumentale con un porticato d'ingresso in cui è facile riconoscere quasi una "citazione" dei complessi dell'Antico Regno a Giza. È in questa stessa epoca che, attraverso una significativa varietà di esperienze, vanno maturando le strutture degli edifici a carattere religioso destinati ad ospitare gli dei, in una parola, templi non legati al rituale funerario del sovrano, di cui restano pochi esempi di grande importanza. Nel Fayyum se ne sono conservati due: uno a Medinet Madi, un piccolo villaggio nella parte meridionale della regione risalente all'epoca di Amenemhat III e IV e certamente legato alla fondazione della città avvenuta in occasione della grande bonifica promossa da questi sovrani, si trova conglobato in ampliamenti di età tolemaica, l'altro a Qasr es-Sagha. Gli altri esempi dell'architettura di questo periodo si collocano nel Sud del Paese, a Karnak, dove è stata ricostruita la cosiddetta Cappella Bianca di Sesostris I (in realtà solo una "stazione" in cui collocare la barca di Amon durante l'annuale processione del dio), che si segnala per l'eleganza e la leggerezza delle forme, e a Medamud, dove il tempio del Medio Regno si è potuto ricostruire solo nella pianta in base ai non molti resti conservati in costruzioni di età successiva. Qui si va delineando in maniera netta la distinzione tra edifici di servizio e parte cultuale; all'interno di questa, il cortile e la sala ipostila hanno ingressi distinti, come distinto doveva essere il pubblico che aveva ad esse accesso: da entrambe si poteva poi entrare nel santuario, riservato in realtà ai soli addetti al culto divino. Dell'architettura civile di questo periodo è rimasto un esempio molto importante, anche se non ancora compiutamente indagato, nel villaggio degli operai che hanno lavorato alla piramide di Sesostris II ad Illahun, noto anche come Kahun, al limitare sud-orientale del Fayyum. La stratificazione sociale si traduce puntualmente, qui forse assai più che altrove, in rigide separazioni sottolineate dalla qualità delle abitazioni e dalla presenza di muri interni che non racchiudono insulae, ma forse più propriamente un "ghetto". Molto ben documentati siamo sull'architettura militare, che trova un terreno assai fertile nella recente occupazione della Nubia e che si realizza in una serie di fortificazioni costruite in punti strategici sulle rive del fiume o sulle isole fluviali, con strutture simili che rivelano negli architetti egiziani la capacità di adattarsi alle situazioni locali e insieme di innovare di fronte alle particolari esigenze poste dalla natura del terreno. Non vi sono monumenti dell'architettura civile o religiosa che si possano attribuire al Secondo Periodo Intermedio (1640- 1532 a.C.) e più in particolare al periodo Hyksos, quasi che un Egitto, diviso tra un'occupazione straniera a nord e in parte della valle del Nilo e un principato indipendente a sud con centro a Tebe, non si sia rivelato propizio ad un'attività di costruzioni pubbliche né di altro genere. La stessa presenza straniera ha subito nelle epoche successive una damnatio memoriae così radicale da potere essere colta soltanto dagli scavi, tuttora in corso, di quella che secondo la tradizione delle fonti classiche è stata la sede del loro potere, la città di Avaris, posta nel Delta orientale. Qui, in una situazione stratigrafica che si rivela sempre più ricca e complessa, sono evidenti le presenze di edifici di origine cananea, oltre che di strutture e di tradizioni cultuali e funerarie estranee alla tradizione egiziana e che sono quindi da attribuire alla presenza di asiatici, protrattasi per quasi due secoli, penetrati nel Paese in fasi successive secondo modalità che non sono ancora del tutto chiarite. Al di fuori di Avaris si può menzionare solo il campo fortificato di Tell el-Yahudya, che nella sua semplice struttura di un ampio spazio delimitato da un terrapieno rivela una concezione dell'architettura militare profondamente diversa da quella egiziana, con precisi paralleli nella fascia siro-palestinese. Dalla piena restaurazione della sovranità nazionale seguita alla guerra di "liberazione" prende il via l'architettura dell'età dell'Impero (XVIII-XX Din., 1550-1070 a.C.), che troverà il suo culmine nel periodo ramesside, quando gli edifici del culto degli dei e di quello funerario dei sovrani assumeranno un ruolo ben preciso all'interno di una concezione della regalità che mira alla riaffermazione della sua natura divina. Vi è ora una innovazione profonda nel rituale delle sepolture regali. Lo spostamento della residenza regale dall'area menfita (Antico Regno) e da quella del Fayyum (Medio Regno) all'area di Tebe, nel Sud dell'Egitto, di cui erano originari i protagonisti della guerra contro gli Hyksos, costituisce l'occasione per adottare un sistema completamente diverso dal precedente. I sovrani non vengono sepolti più all'interno delle piramidi, ma in tombe scavate in profondità nella roccia, al termine di lunghe gallerie che si inoltrano nel sottosuolo, in cui prevalgono le preoccupazioni relative alla salvaguardia dei ricchi corredi funerari e delle quali non resterà poi alcuna traccia in superficie. Dal punto di vista strutturale si rompe il vincolo di contiguità tra il tempio riservato al culto funerario del sovrano e la sua sepoltura, che era stato uno dei fatti più caratteristici delle piramidi di tradizione menfita. Il legame tra le due strutture è solo ideale, non più anche fisico. La tomba si trova ora celata agli occhi di tutti, nascosta nelle viscere della montagna, nella cosiddetta Valle dei Re, mentre i templi dedicati al culto funerario si dispongono in una lunga fila ai margini tra il deserto e la terra coltivata sulla riva sinistra del fiume, in tutto simili a quelli destinati agli dei. Tra di essi assume valore e significato autonomo quello di Hatshepsut a Deir el-Bahari, che riprende nella sua struttura a terrazze le concezioni architettoniche dei costruttori del tempio di Montuhotep posto accanto lungo il lato sud. Tebe, in quanto sede della corte, diventa il centro in cui più di ogni altro coesistono esperienze architettoniche diverse. La città si trovava sulla riva destra, ma è nota solo per limitati sondaggi, distrutta o celata sotto il villaggio moderno. Ne rimangono, accanto ad altri, i due templi maggiori, quello di Karnak, dedicato ad Amon-Ra e centro religioso dell'impero, e quello di Luxor, che riceve il suo pieno sviluppo in età ramesside, ma che altro non è se non la dépendance del precedente, a cui è infatti legato da un viale di sfingi lungo 2 km e solo in parte riportato alla luce; accanto e all'interno del recinto di Karnak vi è un affollarsi di altri edifici di culto in assai diverso stato di conservazione. Qui si può cogliere la struttura del tempio egiziano destinato al culto degli dei nella sua più completa maturazione. A Tebe si trovavano anche gli edifici destinati ad ospitare il sovrano e la corte. Si sono assai parzialmente conservate le strutture del cosiddetto "palazzo" di Amenhotep III (1391-1353 a.C.) costruito a Malqata, sulla riva sinistra tradizionalmente destinata al mondo funerario. Poco lontano, quasi nascosta in una valle laterale, si trova un'altra città degli "operai", quella di Deir el-Medina, destinata per circa cinquecento anni ad ospitare artigiani e artisti che lavoravano alle necropoli della riva sinistra, in primo luogo a quella regale: anch'essa pianificata, con case ben costruite e nel momento della sua massima espansione dotata di un'ampia autonomia con luoghi di culto propri e con una necropoli distinta dalle altre. La prima parte del Nuovo Regno vede il definitivo consolidarsi del linguaggio architettonico dell'antico Egitto fondato su una lunga e ormai consolidata tradizione che, in definitiva, affondava le sue radici nelle esperienze del III millennio a.C. Tutto questo mondo, in apparenza immutabile, è messo in discussione nella breve parentesi dell'età di Amarna: anche l'architettura viene travolta dalla "rivoluzione" di Amenhotep IV/Akhenaten (1353-1335 a.C.), seppure in forme che sembrano, ma non sono, meno appariscenti di quelle che essa assume nelle arti figurative. Anche ora l'aprirsi di una nuova era viene scandito dalla fondazione di una città: Akhetaten, "l'orizzonte dell'Aten", viene fondata su un terreno vergine, assai più a nord di Tebe, lontano dal centro principale del culto dell'odiato Amon. Anche ad el-Amarna vi è un villaggio degli operai che lavoravano alla costruzione della città stessa: ma "il centro" rivela il pieno dispiegarsi dell'ideologia amarniana tutta fondata sulla regalità divina. Vi sono palazzi che mostrano concezioni architettoniche nuove, specie quello del sovrano, diviso in due blocchi posti ai lati della strada e collegati da un cavalcavia e posizionati accanto ai luoghi di culto, in particolare a quella "sala dell'incoronazione" che con le sue 544 basi (forse di pilastri) costituisce un insieme ancora non interamente spiegato. Il sovrano privilegia un'architettura che da un lato sottolinea la sua posizione centrale nei confronti del "suo" dio e dall'altro vuole stringere i rapporti con i suoi seguaci, come sta a sottolineare l'introduzione della cosiddetta "finestra delle apparizioni" che qui è testimoniata per la prima volta. Ma è ovvio che il rilievo maggiore lo assuma il tempio dedicato al culto dell'Aten. Quello principale si trova naturalmente nei pressi del palazzo regale: un grande recinto a cielo aperto che riprende la tradizione dei templi solari del III millennio a.C., articolato all'interno in una serie di edifici dal significato non sempre afferrabile, ma che culmina nella presenza di 365 altari legati al ciclo dell'anno solare. Non c'è dubbio che in questo come negli altri edifici, anche di una funzionalità non legata alla tematica religiosa come la cosiddetta Sala del Tributo Straniero, vi sia una cosciente traduzione in termini architettonici della dottrina di cui il sovrano era il predicatore, che attraverso soluzioni via via più impegnate sul piano scenografico tendono a mettere in continuo risalto il rapporto tra Akhenaten e l'Aten: in questo senso vanno certo viste anche alcune innovazioni, come il raddrizzamento del corridoio, nella planimetria delle tombe della necropoli di el-Amarna, anche se poi spiegazioni puntuali non sono facilmente proponibili. Con il ritorno a Tebe della corte e con la restaurazione dell'ortodossia religiosa intorno al dio Amon anche l'architettura sembra cancellare le esperienze del faraone "eretico", ritornando verso esperienze altrettanto ortodosse. In età ramesside i sovrani, specie Ramesse II (1290-1224 a.C.) che ne fa anzi uno degli assi portanti della sua politica interna, danno un incremento notevole alla costruzione degli edifici di culto. L'attività edilizia ha come fine ultimo l'esaltazione della figura del sovrano stesso e il gigantismo nelle costruzioni, che ha precise corrispondenze nella statuaria regale, si coniuga con innovazioni piccole in apparenza, ma destinate a produrre grandi effetti scenografici, come avviene nel tempio di Seti I (1306-1290 a.C.) ad Abido o negli ampliamenti del tempio di Luxor dovuti a Ramesse II con la sua voluta modifica assiale o, infine, nel tempio rupestre di Abu Simbel, che si carica di valori propagandistici rivolto com'è a presentare il re d'Egitto a chi, amico o nemico, provenisse dal Sud. Un simile adattamento alle nuove esigenze dell'ideologia si riscontra anche nelle tombe regali, ma tanto per i templi che per le sepolture l'impostazione generale rimane quella del periodo preamarniano. Pochi sono i resti architettonici conservati per quel lunghissimo periodo che si definisce come Epoca Tarda e poche sono le innovazioni che si possono cogliere nelle strutture degli edifici superstiti. A ciò molto concorre il caso archeologico, ma, se si fa eccezione per periodi, come la XXI Dinastia (1070-945 a.C.) e la XXVI (664-525 a.C.), e luoghi determinati (Tanis e Tebe), ciò corrisponde ad un'effettiva riduzione dell'attività edilizia dei sovrani egiziani da collegarsi, almeno in parte, a periodi di crisi sul piano interno o su quello internazionale. L'unica effettiva innovazione possibile da documentare è quella relativa al rituale delle sepolture regali, le quali ora vengono costruite in blocchi di muratura che si collocano all'interno del temenos di templi locali, come avviene a Tanis, dove le tombe sono state trovate, e come avviene a Sais dove, secondo quanto testimoniano le fonti classiche, i sovrani della XXVI Dinastia erano sepolti all'interno del recinto del tempio della dea dinastica Neith. Le novità più importanti si possono cogliere forse meglio nell'architettura funeraria privata, soprattutto durante la XXV-XXVI Dinastia, nei monumenti superstiti delle due necropoli più importanti, ancora una volta Saqqara e Tebe. Mentre nel primo di questi siti le tombe vengono scavate nel sottosuolo, al termine di pozzi la cui profondità si avvicina ai 30 m, e la tomba stessa presenta la struttura di un enorme sarcofago in pietra, a Tebe l'attenzione si concentra al contrario nelle soprastrutture, che assumono la forma di un vero e proprio tempio, talvolta, come nel caso del celebre Montuemhat, di grandi dimensioni. L'affermarsi della continuità nei confronti delle innovazioni si coglie anche nell'architettura egiziana di età greco-romana fino al II-III sec. d.C., epoca alla quale risalgono gli ultimi templi in stile egiziano classico, come quello dedicato a Isis nella località di Deir esh-Shalwit a sud di Tebe. Le novità sono minime e in verità si trovano già durante la XXX Dinastia (380-343 a.C.).
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di Francesca Baffi Guardata
Le tecniche applicate nelle costruzioni egiziane sono ampiamente documentate e registrano gli sviluppi dell'arte del costruire per quanto riguarda gli ambiti monumentali come anche quelli domestici e funerari; generalizzando, si può affermare che l'uso della pietra ‒ che invalse all'inizio del regno menfita ‒ era riservato alle opere di apparato, mentre quello dei mattoni, assai antico, con il progredire del tempo venne limitato all'architettura privata e funeraria. L'edilizia in mattoni più antica è quella delle maṣṭaba della I Dinastia di Saqqara e Naqada ed in ambito funerario essa ebbe sempre un buon impiego; nei filari gli elementi si disponevano alternandosi di piatto e di testa; essi erano abitualmente coesi da malta e coperti di intonaco, ma sovente era il solo intonaco, spesso alcuni centimetri, a svolgere il ruolo di legante esterno. Mattoni, sempre nelle tombe, formavano le coperture a falsa volta o volta; nel primo caso i mattoni venivano sovrapposti in modo da aggettare progressivamente. Questo uso, documentato a partire dalla II Dinastia, sembra essere un'evoluzione di quanto realizzato durante la I Dinastia quando, come si evince dai resti di maṣṭaba di Abido e Giza, la copertura era realizzata con canne e tavole su cui si sovrapponevano i mattoni di piatto a formare quasi una volta non autoportante. Nelle piccole tombe Hyksos di Tell Daba la volta, assai ribassata, ha ampia applicazione. I muri di medio spessore in mattoni possono non presentare fondazioni di alcun tipo ma poggiare direttamente sul terreno picchettato, mentre quelli più grandi hanno consistenti fondazioni, sempre in mattoni, allettate sulla sabbia all'interno di una trincea appositamente scavata. È evidente da quanto viene descritto all'interno dei templi del Nuovo Regno in relazione ai riti di fondazione degli edifici che il riferimento riguarda i santuari del periodo arcaico senza vere fondamenta e realizzati in materiali leggeri; quando le strutture si rafforzano il terreno viene scavato per una profondità variabile, non costante per tutta l'estensione dell'edificio ma proporzionale alla dimensione della struttura che doveva alloggiare. Così nel terreno i muri scendevano diversamente e al disotto dei vani il suolo generalmente non era scavato ma semplicemente spianato a sostenere direttamente il pavimento; gli edifici costruiti sulla roccia non richiedevano fondazioni quale che fosse la loro natura e dimensione. Tra i mattoni sovrapposti in modo da non far corrispondere le giunture veniva usata poca malta, dato che la coesione era assicurata dall'intonaco che, ricoprendo il muro, penetrava negli interstizi; un uso preponderante dei mattoni si ha a Tell el-Amarna, dove la pietra è impiegata eccezionalmente. In quel centro si ovviava al problema costituito dal fatto che i mattoni seccano in maniera non omogenea costruendo muri non del tutto pieni; così ad un filare di mattoni tutti affiancati tra di loro se ne sovrapponeva un altro in cui i mattoni, disposti in senso inverso, non ne ricoprivano per intero la superficie lasciando degli spazi liberi in cui circolava l'aria e che venivano chiusi dal filare successivo. Un muro così concepito era piuttosto debole e non gli veniva richiesto di sopportare un grande peso né di elevarsi troppo; per conferire elasticità all'insieme venivano adottate travature lignee. Oltre che per i muri, i mattoni venivano impiegati anche per i pavimenti esterni, data la quasi totale assenza di piogge. Ma è la grande architettura in pietra quella che meglio si è conservata: negli edifici monumentali i grandi blocchi sovrapposti in genere erano tenuti insieme dal loro stesso peso, ma per assicurare una maggiore stabilità potevano essere utilizzate code di rondine di legno alloggiate in apposite cavità. Condizione per la tenuta del muro era la sovrapponibilità delle pietre e, ad esempio, nel tempio sotterraneo di Abido la connessione è così perfetta che le giunture quasi non si vedono. La malta veniva stesa irregolarmente tra i blocchi di pietra quasi fosse considerata un riempitivo piuttosto che un elemento assemblante; la perpendicolarità dei muri assicurava stabilità all'edificio e quelli non dovevano essere indipendenti fra loro ma incastrarsi l'uno nell'altro in modo da formare un insieme omogeneo in cui gli angoli dei blocchi del paramento erano tagliati così da aggrapparsi al muro vicino, alternativamente. Ulteriore elemento di connessione era il tetto che, esercitando una sola pressione dall'alto verso il basso, agiva sul complesso della costruzione. Quella del legamento degli angoli è stata una regola a cui gli Egiziani hanno derogato eccezionalmente, solo quando i due muri connessi sostenevano carichi in maniera diversa, come per le porte ed i colonnati; allora le due costruzioni erano indipendenti e separate da un taglio, il che permetteva ad ognuna di sostenersi individualmente. I muri a seconda del loro ruolo si presentano in forma diversa: muri dritti o con una parete interna verticale ed una esterna a scarpata più o meno accentuata sia nei templi che nelle maṣṭaba. I muri esterni, sempre con uno spessore pari a 1/4 o 1/3 dell'altezza, venivano eretti secondo un sistema che prevedeva la costruzione, alla distanza desiderata, di due muri indipendenti: uno a pareti verticali e l'altro con una faccia a scarpata; entrambi erano costituiti da grandi blocchi di pietra quadrangolari disposti in assise orizzontali più o meno regolari e uniti da malta o gesso e, a volte tenuti da code di rondine. Le facce a vista erano levigate così da poter essere decorate a rilievo o dipinte. L'intervallo tra i due muri era riempito da pietrame e sabbia; il mezzo muro interno, quello con entrambe le pareti verticali, giungeva al tetto che sosteneva, mentre quello esterno saliva più in alto a formare un parapetto di recinzione della terrazza, così che il muro interno era reso più stabile dal peso della copertura e quello esterno dal maggiore spessore della sua base. I muri divisori dei vari edifici erano in mattoni nelle costruzioni private e in pietra a pareti verticali quelli dei grandi monumenti. La pavimentazione degli edifici di epoca arcaica, a qualsiasi categoria essi appartenessero, era sempre in terra battuta; nei contesti più ricchi essa era ricoperta da uno spesso strato di intonaco a base di gesso, dipinto a vivaci colori. Nel momento in cui l'architettura inizia ad essere di pietra subentra l'uso del lastricato, per cui tutte le stanze e le corti dei templi, a partire dalla IV Dinastia, sono pavimentate con lastre di pietra poste sul terreno livellato e spianato e connesse da cemento. Essendo inesistenti le fondazioni dei tramezzi, i lastricati ricoprono tutta l'area del monumento passando anche sotto quelli. La forma e le dimensioni delle lastre ben unite tra di loro sono assai varie; esse vengono realizzate nel medesimo materiale utilizzato per i muri, granito, calcare, arenaria oppure in pietre più dure quali il basalto o l'alabastro. Eccezionalmente, come in una zona della sala ipostila del tempio di Karnak, il lastricato è ricoperto da una sfoglia d'argento o d'oro. Nelle tombe solo le maṣṭaba hanno il lastricato e su questo poggiano le basi delle colonne. La porta, punto debole della struttura, richiedeva un buon inquadramento in pietra. La porta ordinaria è realizzata nei due montanti e nell'architrave con tre pietre dello stesso spessore e faccia piatta: queste vengono incastrate nella muratura pur restando leggermente aggettanti. Le porte, piccole negli edifici privati, hanno l'altezza di un uomo nelle tombe e sono molto più alte nei templi; l'architrave è sempre un unico blocco, mentre i montanti, all'inizio monolitici, diventano di due o tre parti che possono perdere un po' del loro spessore per meglio legarsi al muro adiacente. Quando, come accade nelle facciate, il muro è a leggera scarpata, i montanti non sono verticali, ma seguono l'inclinazione del muro. La realizzazione in pietra peculiare dell'architettura egiziana è la piramide, che in quella a gradoni di Djoser a Saqqara ha il primo monumento funerario dei personaggi di stirpe regale, distinto dalla tomba civile che è la maṣṭaba; con l'eccezione delle piramidi dei più antichi re della XI Dinastia e di quelle della XII Dinastia costruite in mattoni, il grande monumento presentava la sua base attraversata da due muraglioni che correvano diagonalmente a contenere il materiale di riempimento e dividendo lo spazio in quattro compartimenti al di sopra dei quali si sviluppa la struttura massiccia in pietra. Il problema della messa in opera dei blocchi lapidei, per la considerevole altezza delle piramidi (quella di Snofru è di 99 m) ha interessato sempre molto e già gli antichi formulavano ipotesi al riguardo: Erodoto pensava all'utilizzo di macchine di legno, mentre Diodoro Siculo a cumuli di terra accostati alla costruzione che fungevano da scale. L'interesse relativo al modo in cui le piramidi venivano costruite è tuttora vivo ed anche recentemente si è affrontato il tema su basi scientifico-matematiche confortate a volte dai ritrovamenti archeologici. Si è cercato anzitutto di riproporsi il problema costruttivo nell'ottica degli antichi e con i mezzi a loro disposizione e si è giunti a formulare ipotesi concordanti su alcuni punti. Il primo problema era quello dell'orientamento, che la piramide doveva avere rigidamente legato ai punti cardinali. Si è pertanto ricostruito il sistema antico di individuare il Nord, che prevedeva l'erezione di una recinzione circolare di mattoni, la cui elevazione doveva arrivare ad altezza d'uomo; la sommità del muro, livellata, costituiva un orizzonte artificiale e al centro del cerchio prendeva posto un osservatore-misuratore che segnava sul muro con linee verticali i punti in cui la stella circumpolare prescelta sorgeva e tramontava. La linea di congiunzione tra i punti che incrociava il centro determinava la direzione nord-sud. Le piramidi venivano costruite attenendosi a misure precise e utilizzando strumenti appositi tra cui molto importante era il regolo; su un nucleo di rozza muratura si procedeva secondo livelli scalari fino a che la struttura presentava l'aspetto di una piramide a gradini con quattro facce pronte ad essere rivestite con blocchi di pietra. Innanzi tutto si prendevano misure precise espresse in cubiti a cifra tonda e i numerosi segni in rosso e in nero sui blocchi dimostrano come venisse utilizzata una terminologia specifica per segnalare la disposizione delle assise in rapporto alla linea di base del monumento; lo stesso segno di riconoscimento permetteva di collocare i blocchi al loro posto, senza sbagliare. La forma regolare canonica della piramide risulta quindi a base quadrata e con le facce inclinate secondo un angolo di pendenza la cui scelta era fondamentale; tale pendenza si aggirava abitualmente intorno ai 50° circa; la piramide di Snofru, che ha le pareti poco inclinate, ha una pendenza di 43° 36', mentre quella di Cheope a Giza di 51° 50'. Procedendo alla messa in opera delle pietre da costruzione si iniziava dalla sommità verso la base di ciascuna faccia; per fare ciò si è ipotizzato che gli architetti utilizzassero imponenti rampe convergenti verso il monumento realizzate in mattoni. Verosimilmente erano impiegati, avvicendandoli, diversi sistemi per sollevare i blocchi lapidei del peso di molte decine di tonnellate: la rampa unica, che si assottiglia mentre la superficie delle assise diminuisce, la rampa che gira intorno alla piramide fino alla sommità e la rampa ad ogiva su una sola faccia della piramide. Slitte per trasportare i blocchi potevano essere utilizzate lungo le rampe fino alla terrazza della struttura. Le pietre di rivestimento venivano collocate sui gradini e si è notato come il blocco d'angolo in ogni corso aveva una protuberanza quadrata sulla sommità per connettersi con una rientranza corrispondente nel blocco sovrastante e nella roccia al piano di base; la malta veniva utilizzata più come lubrificante che come coibente. La costruzione degli appartamenti interni presentava altrettanti problemi; se le camere erano state ricavate nella roccia, come nelle piramidi della V Dinastia, esse dovevano essere completate prima. Ciò è stato appurato dallo studio delle piramidi di Giza e dall'esistenza di un'intera serie di cosiddetti "triplici corridoi" e di camere sotto la piramide di Cheope. Grande cura era dedicata anche all'interno, come è dimostrato dall'esattezza delle giunture, provata dalla messa in opera della camera funeraria sull'asse verticale passante per l'apex.
In Egitto, dove le vallate forniscono una terra grassa, compatta e omogenea che, una volta umidificata, è adatta a diventare materiale da costruzione, l'impiego del pisé, ricoperto da intonaco che ne regolarizza la superficie, è documentato oltre che archeologicamente sul terreno anche dalle numerose rappresentazioni di muri di recinzione di giardini, come anche delle case circolari quali i granai del Medio Regno. Originariamente anche i muri di dimensioni considerevoli dovevano essere stati costruiti in tal modo, per essere poi soppiantati, a partire dall'Antico Regno, da quelli in pietra, che ne conservavano il ricordo nel profilo a lieve scarpata. Nella regione egiziana, le varie fasi della costruzione dei mattoni crudi sono magistralmente riportate nelle scene della tomba di Rekhmere a Tebe, in cui è chiaro l'uso degli stampi di legno; i mattoni sono documentati, di tutte le taglie, sulle maṣṭaba della I Dinastia di Saqqara e di Naqada e nelle tombe di Abido; già allora è evidente l'impiego di una tecnica decisamente avanzata importata forse dalla Mesopotamia, mentre edifici costruiti in mattoni a Naqada durante il periodo predinastico (I-II) utilizzano elementi ancora poco accurati nell'esecuzione. L'ultimo trattamento che poteva subire il mattone prima della sua messa in opera, cioè la cottura, non è documentato prima dell'età romana. I mattoni crudi utilizzati nell'antico Egitto erano generalmente di forma rettangolare, con la larghezza che era circa la metà della lunghezza; le dimensioni subirono cambiamenti nell'arco del tempo, ma esse non sono sempre indicative di una epoca precisa; i mattoni di taglia più grande vennero usati per le mura urbiche e per quelle esterne dei templi prima che subentrasse decisamente l'impiego su larga scala della pietra, facilmente reperibile, che limitò di molto l'utilizzazione dei moduli prefabbricati in terra. Un'eccezione è costituita dall'architettura della città di el-Amarna, fondata da Amenhotep IV (1353-1335 a.C.), nella cui costruzione vi è un preponderante impiego di mattoni crudi, mentre la pietra vi compare più raramente; nella nuova capitale i mattoni oltre che per la realizzazione dei muri erano usati anche per i pavimenti. L'Egitto risulta particolarmente ricco di pietre, che vennero utilizzate per le diverse costruzioni. Da rocce di diversa natura sono costituite le catene arabica e libica che delimitano la valle del Nilo, dalle quali ben presto gli antichi Egizi appresero a cavare le pietre che impiegarono ampiamente nelle loro costruzioni monumentali e non. Essi avevano imparato a lavorare il calcare, che costituisce il sottosuolo della maggior parte del Paese, già durante l'era tinita (I e II Din.), scavando le loro tombe. Questo materiale venne utilizzato quindi per le maṣṭaba della necropoli di Menfi e per i templi che, prima del Nuovo Regno, venivano costruiti quasi del tutto in calcare, facilmente reperibile, lavorabile e trasportabile, fino alla XVIII Dinastia, dopo di che quel tipo di pietra venne rimpiazzato dall'arenaria. Quella che domina nell'Alto Egitto, al di sopra di Tebe, è di colore rosa-giallastro, facile da estrarre e da lavorare, a grana fine, eccellente per le costruzioni; pur essendo meno bella del calcare, dato che ha una superficie che resta alquanto rugosa, il suo uso si impose su quello precedente del calcare a causa della sua facile reperibilità nelle vicinanze e, a partire dalla XIX Dinastia in poi, venne utilizzata in tutto l'Alto Egitto. Il granito è la pietra dura il cui sfruttamento metodico risale all'inizio del regno menfita, quando si iniziò a costruire i templi in pietra; il suo impiego era difficile e dispendioso, per cui venne sostituito con quello dei materiali più facilmente estraibili e lavorabili, ma l'utilizzazione del granito rosa di Assuan si mantenne nella costruzione degli obelischi monumentali. Anche le sfingi e le statue colossali dei re che ornavano gli edifici sacri erano fatte con quel materiale. L'uso della pietra comportava, evidentemente, il problema del suo trasporto dalle zone di origine a quelle di utilizzazione, a volte anche assai distanti; a tal riguardo ci illuminano le antiche illustrazioni egiziane: slitte di legno trainate da buoi erano caricate con i blocchi di pietra e quindi condotte al Nilo, che costituiva la via ottimale e perciò la più praticata. A volte erano gli uomini che dovevano farsi carico del forte peso delle pietre, la cui lavorazione avveniva nei pressi del luogo dove venivano messe in opera, come documentano consistenti quantità di scorie ritrovate in prossimità di edifici antichi. In Egitto la pietra, quando è utilizzata, compone il muro nelle fondazioni e nell'alzato per intero, cosa che raramente accade nelle strutture vicino-orientali; i blocchi sono legati da malta di gesso unito a sabbia in quantità variabile. L'uso del pavimento lastricato compare nel momento in cui si inizia ad impiegare la pietra nelle costruzioni; presentano il lastricato tutte le stanze e le corti dei templi, quali che fossero le loro dimensioni, a partire dalla IV Dinastia; il materiale è lo stesso utilizzato per i muri o le loro coperture: granito, calcare o arenaria, ma a volte si utilizzano pietre più dure quali il basalto, che non compaiono nelle strutture verticali; nelle tombe solo le maṣṭaba possono avere il lastricato. La vegetazione locale egiziana atta ad essere utilizzata nelle costruzioni è, ed era, decisamente scarsa, con l'eccezione delle palme il cui tronco può essere impiegato per le travature, ma, non prestandosi ad essere lavorato, doveva essere usato quasi allo stato naturale, semplicemente scortecciato. Da qui la necessità di reperire al di fuori della propria regione il legname adatto; gli Egizi, pertanto, trovarono nelle regioni che si affacciano sulla sponda orientale del Mediterraneo, quali la Siria, l'abete, il pino e il cedro che usarono nei diversi edifici, mentre nelle raffigurazioni è il ricordo di un impiego di elementi vegetali locali, quali la canna, per la costruzione di rifugi in età preistorica o dei piccoli santuari in legno dell'età tinita.
A. Choisy, L'art de bâtir chez les Égyptiens, Paris 1904; G. Jéquier, Manuel d'archéologie égyptienne, I. Les éléments de l'architecture, Paris 1924; R.J. Forbes, Studies in Ancient Technology, Leiden 1964; R. Naumann, Architektur Kleinasiens von ihren Anfängen bis zum Ende der hethitischen Zeit, Tübingen 1971; G. Sée, Naissance de l'urbanisme dans la vallée du Nyle, Paris 1978; A. Spencer, Brick Architecture in Ancient Egypt, Warminster 1979; R. Stadelmann, Die ägyptischen Pyramiden, Darmstadt 1985; G. Goyon, Le secret des bâtisseurs des grandes pyramides, Paris 1990; S. Aufrère - J.-Cl. Golvin, L'Égypte restituée, III, Paris 1997.
di Matilde Borla
La preparazione della parete costituiva la fase preliminare alla decorazione architettonica, particolarmente importante ai fini di una buona riuscita della medesima. La fonte più preziosa per lo studio dei differenti metodi e delle fasi del procedimento decorativo è costituita dai monumenti incompleti. Caratteristica peculiare della tecnica costruttiva dell'Egitto era il modo in cui si procedeva all'innalzamento degli edifici in pietra: i blocchi erano lisciati soltanto sulle facce che dovevano combaciare. Gli elementi architettonici (le colonne, i capitelli e le cornici) non erano lavorati "al suolo" e poi montati, ma soltanto sgrossati. La rifinitura degli edifici avveniva in due fasi: durante la prima era realizzata la rifinitura delle pareti; durante la seconda era portata a termine la decorazione vera e propria. Ne consegue che una delle operazioni preliminari più importanti in vista della decorazione fosse quella che consisteva nella lisciatura e stuccatura delle pareti e nella rifinitura degli elementi architettonici (nel caso di edifici in mattoni crudi, si procedeva direttamente alla stuccatura). Per procedere alla lisciatura dei muri erano utilizzate impalcature leggere trasportabili e facilmente adattabili alle forme delle pareti. La massa di pietra in eccesso era eliminata per mezzo di attrezzi a percussione, le cui tracce sono ancora oggi visibili su alcuni monumenti. In seguito le pareti erano lisciate con strumenti di pietra dura che eliminavano le striature rendendo la superficie liscia, pronta a ricevere il disegno che sarebbe servito come base per il rilievo. Anche le colonne, i capitelli, le porte, gli architravi e le cornici erano solo sbozzati e terminati in un secondo momento, cioè dopo essere stati posati in opera. Durante questa prima fase i fregi, le colonne, i capitelli e le cornici non erano ancora scolpiti, ma soltanto regolarizzati volumetricamente. Gli angoli erano progressivamente arrotondati e i capitelli erano scolpiti decomponendoli in volumi sempre più vicini alla forma definitiva. In alcuni edifici, soprattutto in quelli di mattone crudo, le pareti erano intonacate prima di essere disegnate e dipinte. L'intonaco aveva uno spessore variabile: negli edifici in pietra era costituito da un sottile strato di gesso; nelle costruzioni in mattone crudo il muro era ricoperto da una malta costituita d'argilla frammista a sassolini o paglia, sulla quale era applicato un sottile strato di gesso. La fase che precedeva il disegno era quella della quadrettatura. Questa era indicata utilizzando una corda imbevuta d'ocra rossa, che era tesa sulla parete in modo da tracciare una linea retta. La dimensione della quadrettatura poteva variare non solo in relazione alla grandezza del soggetto (più chiusa quando il soggetto era di piccole dimensioni, più aperta se il soggetto da riprodurre era di grandi dimensioni), ma anche in base alla taglia della parete da decorare e al grado di precisione da attendere. Durante l'Antico Regno e il Primo Periodo Intermedio erano tracciate alcune linee orizzontali che servivano da sistema di riferimento, oppure una linea verticale che tagliava il corpo umano in due parti attraversata da alcune linee orizzontali. Queste ultime davano indicazione di alcuni punti chiave come la sommità del capo, il punto di giunzione tra il collo e le spalle, il bacino e le ginocchia. L'uso della quadrettatura è attestato a partire dal Medio Regno. La figura stante (maschile o femminile) era costituita da 18 quadrati in altezza ‒ dalla pianta del piede alla linea della fronte ‒ quella seduta da 14, quella inginocchiata da 11. Le diversità tra il corpo maschile e quello femminile erano messe in evidenza dalle differenti proporzioni. Durante il Nuovo Regno il numero dei quadrati restò costante, ma cambiarono le proporzioni di alcune parti del corpo. Verso la prima metà della XVIII Dinastia, i soggetti erano disegnati a mano libera e fu abbandonato il sistema della quadrettatura. In alcuni casi erano tracciate solo alcune linee guida. Il metodo della quadrettatura fu utilizzato anche in epoca amarniana, soprattutto per i personaggi della famiglia reale. Nelle rappresentazioni del faraone stante, il numero dei quadrati salì da 18 a 20. All'epoca di Tutankhamon constatiamo il ritorno alle proporzioni "tradizionali" della quadrettatura, mentre lo stile della raffigurazione aveva subito l'influenza dell'arte amarniana. In epoca tarda assistiamo ad un cambiamento nelle proporzioni, quando il cubito reale fu sostituito con il cubito piccolo. L'uso di tale sistema è attestato fino all'epoca romana. Dopo la quadrettatura, o in alcuni casi senza una griglia di riferimento, l'artista procedeva al disegno preparatorio, che era realizzato ad ocra rossa. In alcuni casi si trattava di un semplice schizzo, in altri la scena era tracciata con grande precisione e ricchezza di particolari. A volte possiamo osservare le correzioni apportate, in nero, al disegno preparatorio. Tracciato il disegno, le pareti erano pronte per essere scolpite a rilievo o semplicemente dipinte. Rilievo e pittura costituivano due tecniche complementari e interscambiabili, che rispondevano agli stessi principi compositivi e figurativi. Il rilievo era eseguito secondo due tecniche: ad incavo o emergente. Con la tecnica dell'incisione entro incavo si procedeva asportando l'interno delle figure, che erano vuotate, risultando quindi più basse, incavate rispetto al piano. In alcuni casi l'incavo così creato era dipinto, in altri casi era riempito con malte colorate, intarsi di faïence, paste vitree o pietre dure. L'esempio più antico è quello della piramide di Djoser. Altri esempi sono la decorazione a piastrelle dei palazzi di Malqata, a Tebe, e di Tell el-Yahudya, nel Delta. Con la tecnica del rilievo emergente si procedeva asportando le parti esterne alla figura. I diversi tipi di rilievo potevano combinarsi tra loro o trovarsi giustapposti in uno stesso monumento. Allo stesso modo potevano variare, nello stesso contesto, l'altezza del rilievo o la profondità dell'incavo, producendo un effetto luministico. In seguito il rilievo era completato con la pittura. La tecnica della pittura era utilizzata sia come procedimento autonomo, sia a completamento dei rilievi scolpiti e degli elementi architettonici (colonne, fregi, capitelli). L'artista procedeva ripassando i contorni delle figure in nero e distendendo il colore a campitura piena. I colori erano costituiti da pigmenti a base di sostanze chimiche: le tinte dal giallo al rosso e i marroni erano a base di ocre; il nero era ottenuto con il carbone; il blu era una fritta; il verde era di due tipi: polvere di malachite o fritta. La tecnica utilizzata era la tempera: i colori erano stemperati nell'acqua, cui era aggiunto un collante per renderli più aderenti alla parete, ed erano stesi sulla superficie asciutta e non sulla superficie umida come per l'affresco. I colori erano utilizzati secondo precise convenzioni: la pelle dell'uomo era bruna, quella della donna ocra chiara, le parrucche nere e gli abiti generalmente bianchi. Nelle raffigurazioni di divinità la scelta dei colori assumeva un preciso significato religioso. La decorazione non era intrapresa sempre subito dopo il termine dei lavori, ma alcune volte trascorreva un lasso di tempo considerevole tra la costruzione di un edificio e la sua decorazione. Questo deve indurci alla cautela nella datazione degli edifici attraverso considerazioni di natura stilistica relative alla decorazione stessa, poiché non sempre è possibile determinare con precisione la durata di questo lasso di tempo. Per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro, non esisteva nell'antico Egitto la figura dell'artista ideatore e creatore della composizione. La decorazione era realizzata da una o più squadre di artigiani, che avevano il ruolo di esecutori materiali di un preciso soggetto, predeterminato. Il disegno era realizzato riproducendo in scala un modello su papiro. I modelli per la decorazione erano non solo su papiro, ma anche su frammenti ceramici o schegge di calcare: gli ostraka. Numerosi ostraka provengono da Deir el-Medina, mentre alcuni esempi di modelli di scultura su lastra calcarea sono stati rinvenuti a Tell el- Amarna, nel laboratorio dello scultore Thutmosis; molti i modelli a rilievo di epoca tarda. Per procedere in modo omogeneo ed autonomo era necessario che gli artigiani conoscessero la scena nel suo insieme di raffigurazioni e testi, e le loro dimensioni relative. È quindi chiaro che la funzione della quadrettatura nacque dall'esigenza di riprodurre fedelmente il modello su papiro e di coordinare il lavoro degli artigiani. Inoltre, la decorazione era realizzata per piccole superfici e in diversi punti contemporaneamente. I motivi simili erano scolpiti allo stesso tempo e potremmo dire in serie (ad es., nei fregi, le corolle, le foglie e i dischi solari erano eseguiti con un procedimento "a catena"). Ogni elemento era scolpito nei minimi dettagli, procedendo quindi per giustapposizione di elementi finiti piuttosto che ad una sgrossatura di tutti i fregi, seguita dalla rifinitura. Le iscrizioni erano realizzate in una fase successiva del lavoro. Solo in alcuni casi le formule di protezione, situate accanto alla figura del faraone, e i cartigli col nome erano realizzati contemporaneamente alle raffigurazioni. L'uso della decorazione e il repertorio dei motivi decorativi variarono secondo il tipo di sepoltura e l'epoca storica. Nelle tombe a maṣṭaba dell'epoca predinastica le pareti esterne erano decorate con un motivo a rientranze e sporgenze che costituiva la ripetizione di un modulo, quello dell'ingresso monumentale del palazzo, la cosiddetta "falsa porta". Questa composizione era la trasposizione in mattoni crudi di una struttura di legno con stuoie applicate o sospese. I muri di mattoni crudi erano stuccati e dipinti con motivi geometrici policromi che riproducevano le stuoie utilizzate in epoca predinastica. Della stessa epoca sono le decorazioni con teste di tori modellate in argilla su cui erano poste corna vere, situate all'esterno della tomba del faraone Djer della I Dinastia, a Saqqara. Anche l'interno delle maṣṭaba era decorato: uno degli esempi più antichi è costituito dalla tomba 100 di Hierakonpolis. Sono raffigurati personaggi maschili e femminili, barche, paesaggi nilotici, temi figurativi che compaiono anche sulle ceramiche e sui tessuti. Nel complesso piramidale di Saqqara, ideato da Imhotep per il faraone Djoser della III Dinastia, la decorazione architettonica costituiva il risultato della trasposizione in pietra di strutture cultuali in materiale leggero che risalivano all'epoca predinastica. In alcuni degli edifici annessi alla piramide sono state individuate tracce di colore, principalmente su colonne e soffitti. Altri ambienti erano decorati con piastrelle policrome turchesi, che raffiguravano fasci di fibre vegetali. Il tempio della piramide di Snofru, a Meidum, era decorato con bassorilievi dipinti: le province dell'Egitto erano personificate da fanciulle portatrici di offerte. Le piramidi della IV Dinastia non presentavano alcun tipo di decorazione con modanature o elementi decorativi. Lo stesso tempio a valle della piramide di Chefren era totalmente privo di decorazione parietale. La policromia era resa per mezzo del contrasto dei differenti materiali come il granito dei pilastri e l'alabastro dei pavimenti, la diorite delle statue del faraone. La decorazione parietale all'interno delle piramidi fece la sua apparizione a partire dalla V Dinastia. La camera funeraria della piramide di Uni a Saqqara era decorata da un soffitto a stelle e sulle pareti dal motivo della falsa porta e dai cosiddetti Testi delle Piramidi, formulari destinati ad assicurare l'immortalità al sovrano, che fungevano da elemento decorativo oltre ad avere una precisa funzione rituale. La decorazione eseguita a rilievo ricopriva anche le pareti degli edifici annessi alla piramide, cioè i templi e la rampa ascensionale. La documentazione è purtroppo molto scarsa e frammentaria. I soggetti erano di carattere rituale. Di estrema finezza sono i rilievi del tempio di Sahure ad Abu Sir. Durante l'Antico Regno, il sepolcro a maṣṭaba e/o a ipogeo era riservato ai funzionari del faraone. I temi decorativi erano molteplici. Soffitti e bordi erano dipinti con motivi geometrici policromi: rombi, rosette, cerchi e spirali, o da fregi kheheru, che costituivano la schematizzazione dei fasci vegetali delle palizzate in materiale leggero di epoca predinastica. Le pareti erano destinate a ricevere quelli che sono stati definiti i temi della "vita quotidiana" del defunto, proprietario della tomba, e dei familiari: il pasto funerario, nel quale il defunto era raffigurato, solo o con la moglie, seduto di fronte ad una tavola ricca di offerte alimentari; scene raffiguranti le attività professionali dello stesso, come l'ispezione dei campi o la sovrintendenza alla contabilità dei granai; scene raffiguranti attività agricole ‒ ad esempio mietitura o viticoltura ‒ oppure allevamento e pascolo di animali; attività artigianali; scene di banchetto o di preparazione degli alimenti; attività venatorie di caccia e pesca, come quelle della pesca all'arpione nelle paludi; scene di musica, giochi e danza, oppure di attività sportive; cerimonie rituali, come quelle pertinenti al funerale. Alcune tombe erano decorate con motivi che potremmo definire trompe-l'oeil: soffitti o pareti ad imitazione di granito, calcare pregiato o legno. Gli ipogei del Primo Periodo Intermedio e del Medio Regno erano decorati con gli stessi temi. Il repertorio, meno ricco, passa dalle pareti della tomba a quelle dei sarcofagi e la funzione narrativa di alcune scene agricole e alimentari o rituali (preparazione del pane o della birra, portatrici di offerte, raffigurazione di granai) è sostituita dai modellini lignei, che diventano una trasposizione tridimensionale delle scene stesse. Differenti sono i temi decorativi degli ipogei reali del Nuovo Regno: sulle pareti erano raffigurati rituali e testi funerari che illustravano il viaggio del faraone nell'aldilà: un insieme complesso e talora eterogeneo di formule religiose, altrimenti redatte su papiro, elaborate in ambito sacerdotale, che variarono nel corso della storia. Prendono il nome di Libro delle Porte, Libro delle Caverne, Libro del Giorno, Libro della Notte, Libro dell'Amduat e costituiscono il resoconto del viaggio del Sole durante le 12 ore della notte, attraverso il mondo sotterraneo. Eterogenea è la documentazione relativa alla decorazione dei templi. Per quanto riguarda l'Antico Regno, le testimonianze archeologiche sono molto scarse: tra i documenti più antichi ricordiamo alcuni frammenti di rilievo provenienti dal tempio di Hathor a Gebelein, databili alla II-III Dinastia, e frammenti della decorazione parietale di una cappella dedicata alla celebrazione del giubileo di Djoser, provenienti da Heliopolis, entrambi conservati al Museo Egizio di Torino. Un'altra testimonianza è costituita dai templi solari di Abu Sir, che conservano tracce della decorazione con la raffigurazione dei cicli delle stagioni e dei portatori di offerte. Anche per il Primo Periodo Intermedio la documentazione archeologica è scarsa: alcune tracce di decorazione sono presenti nei tempio di Montuhotep a Deir el-Bahari e nei frammenti di decorazione del tempio dello stesso sovrano a Gebelein. Lo stesso dicasi per le testimonianze del Medio Regno, di cui restano i templi di Qasr es-Sagha e di Medinet Madi nel Fayyum e la Cappella Bianca di Sesostris a Karnak. Quest'ultima era decorata con iscrizioni e raffigurazioni a carattere rituale. Particolarmente ricca è la documentazione del Nuovo Regno, cui si riferiscono la maggior parte delle fonti scritte e archeologiche. Tra le fonti indirette possiamo citare le autobiografie dei funzionari del faraone preposti alla direzione dei lavori edili: sono descritte tutte le fasi della costruzione di un edificio, dalla ricerca del materiale ‒ spedizione alle cave di granito ‒ alla decorazione. La policromia, ad oggi quasi totalmente scomparsa o molto danneggiata, doveva conferire a questi edifici un aspetto sorprendente: soffitti, pareti, colonne e capitelli erano scolpiti a rilievo e vivacemente colorati. A questo dobbiamo aggiungere l'effetto cromatico ottenuto con l'utilizzo di materiali differenti, che creavano un efficace contrasto di colori, come il granito di alcuni stipiti e architravi o delle statue, il legno dei portali, le lastronature con metalli preziosi. Anche le statue, le sfingi, i pilastri osiriani e gli obelischi devono essere considerati parte integrante della decorazione, oltre ad avere una precisa funzione rituale o strutturale. Davanti all'ingresso si ergevano solenni le immagini del faraone, i colossi, che in alcuni casi diventavano parte integrante della decorazione ad alto rilievo della facciata del tempio. I piloni, ai quali erano fissati gli stendardi che fluttuavano al vento, celebravano la potenza del faraone con la scena rituale dell'uccisione del nemico. I loro portali erano maestosi, realizzati in legni pregiati ricoperti con lamine di oro, argento o bronzo. Gli obelischi erano decorati ad incavo e ricoperti di lamine in oro o elettro, per brillare, diventando così una vera immagine dei raggi solari. Le sale ipostile erano costituite da colonne con capitelli a motivi vegetali, lotiformi o papiriformi, vivacemente colorate, o da pilastri osiriani. I soffitti erano blu con stelle gialle. La sommità della parete era ornata da fregi scolpiti e dipinti. I muri erano decorati con scene, generalmente disposte in registri, che possono essere suddivise in due categorie: rituali/cultuali, propagandistiche. Un'innovazione tecnologica è costituita dall'uso delle talatât, in epoca amarniana: si tratta di blocchi di piccole dimensioni, che furono utilizzati a el-Amarna e a Karnak. Scarsi i resti dei palazzi faraonici, costruiti in mattone crudo. Tracce di decorazione sono conservate nei palazzi di Malqata, Menfi, Tell ed-Daba e Tell el-Amarna. Quelle del palazzo di el-Amarna rivestivano muri, pavimenti, soffitti e colonne. Sui pavimenti erano raffigurati flora e fauna rivierasca, pesci di ogni specie, papiri e fiori di loto su cui erano posati uccelli variopinti. Alcune colonne erano decorate con motivi vegetali realizzati con intarsi di faïence. Altri ambienti erano ornati da pannelli policromi con motivi geometrici alternati regolarmente da fregi floreali. I primi rappresentano la falsa porta, realizzata con listelli blu e verdi. I secondi raffigurano le piante emblematiche dell'alto e del basso Egitto: il giglio e il papiro. Un fregio di prigionieri inginocchiati ornava la piattaforma della stanza del trono. Originali i temi decorativi di Tell ed- Daba, di influenza minoica, simili a quelli del palazzo di Cnosso. Per quanto riguarda le abitazioni private, oltre alla raffigurazione delle medesime sulle pareti delle tombe, la documentazione meglio conservata è costituita dalle case in mattone crudo del villaggio di Deir el-Medina. I muri esterni erano intonacati con argilla frammista a paglia e dipinti di bianco. Gli ambienti interni erano generalmente intonacati e dipinti di bianco fino ad una certa altezza. Sporadiche le tracce di decorazione policroma figurata: la parte inferiore di un pannello raffigura una fanciulla seminuda che suona il flauto doppio. Gli elementi decorativi della casa erano costituiti da porte, finestre, nicchie votive con busti e statuette, altari, colonne.
N. De Garis Davies, Mural Paintings in the City of Akhetaten, in JEA, 7 (1921), pp. 1-7; E. Mackay, The Cutting and Preparation of Tomb-Chapels in the Theban Necropolis, ibid., pp. 154-68; M. Baud, Le dessin ébauché de la nécropole thébaine, Le Caire 1935; B. Bruyère, Rapport sur les fouilles de Deir el-Médineh (1934-1935). Troisième partie: le village, les décharges publiques, la station de repos du col de la Vallée des Rois, Le Caire 1939, pp. 40-47; J. Samson, Amarna. City of Akhenaten and Nefertiti. Key Pieces from the Petrie Collection, London 1972; W.M.Fl. Petrie, Tell el-Amarna, Warminster - Encino 1974²; H. Schäfer, Principles of Egyptian Art, Oxford 1974; G.A. Gaballa, Narrative in Egyptian Art, Mainz a. Rh. 1976; M. Baud, Le caractère du dessin en Égypte ancienne, Paris 1978; H.A. Groenewegen-Frankfort, Arrest and Movement, New York 1978; W.H. Peck, Drawings from Ancient Egypt, London 1978; J. Golvin - R. Vergnieux, Étude des techniques de construction dans l'Égypte ancienne, III. La décoration des parois, in Mélanges Gamal Eddin Mokhtar, I, Le Caire 1985, pp. 325-81; Iid., Étude des procédés de construction dans l'Égypte ancienne, IV. Le ravalement des parois, la taille des volumes et des moulures, in Hommages F. Daumas, Montpellier 1986, pp. 299-321; Y. Harpur, Decoration in Egyptian Tomb of the Old Kingdom, London - New York 1987; W. Davis, The Canonical Tradition in Ancient Egyptian Art, Cambridge 1989; R. Vergnieux, L'organisation de l'éspace (I): du sacre au profane, in BSocGeogrEg, 13 (1989), pp. 165-71; D. Arnold, Building in Egypt. Pharaonic Stone Masonry, New York - Oxford 1991; S. Aufrère, L'univers minéral dans la pensée égyptienne, Le Caire 1991; M. Bietak et al., Neue Grabungsergebnisse aus Tell el-Daba und Ezbet Helni im östlichen Nildelta (1989-91), in ÄgLev, 4 (1994), pp. 9-80; D. Le Fur, La conservation des peintures murales des temples de Karnak, Paris 1994; G. Robins, Proportion and Style in Ancient Egyptian Art, London 1994; F. Weatherhead, Wall-paintings from the King's House at Amarna, in JEA, 81 (1995), pp. 95-113.
di Enrichetta Leospo
Le più antiche testimonianze di strutture domestiche risalgono al Neolitico e provengono dai resti di insediamenti sulle sponde della depressione del Fayyum (focolari contenenti ancora vasellame con ossa di animali e lische di pesce, oltre a granai costituiti da panieri infossati nel terreno). Nella zona sudoccidentale del Delta del Nilo, il sito di Merimde Beni Salama ha rivelato la presenza di capanne a pianta ovale, parzialmente scavate sotto il livello del suolo e per il resto costruite in materiali leggeri, con copertura di stuoie e granai annessi. Accanto a queste, semplici ripari di giunchi, anch'essi ovali, erano probabilmente destinati ad attività lavorative o usati come recinti per animali. Caratteri simili presenta l'insediamento coevo di el-Omari, a nord di Helwan (presso Il Cairo). Le ultime fasi del Neolitico (Naqada I e II) hanno restituito documenti più abbondanti e diversificati nel Delta e lungo la valle del Nilo (siti di Hammamiya, di Mahasna, di Abido e di Maadi): le abitazioni si presentano sia a pianta circolare con pareti di fango misto a pietre, rivestite internamente di paglia o di canne e con copertura di materiali leggeri, piana, oppure a volta o a cupola sostenuta da due pali di legno (Hammamiya), sia a pianta quadrangolare (si veda il modello di abitazione da el-Amra), costruite con tronchi e con rami intrecciati e intonacate di fango (Mahasna), associate a forni forse usati anche per essiccare il grano (Mahasna, Abido). A Maadi, presso Il Cairo, si trovano combinate le varie tipologie, in una fase di transizione al periodo protostorico. Documentazione parallela è fornita dalle rappresentazioni figurate e grafiche, in particolare dalla ceramica dipinta con imbarcazioni a cabina (Naqada II) e da alcuni segni geroglifici architettonici in uso fino dalla protostoria: il segno pr, che riproduce la pianta di un tipo molto semplice di abitazione (ad es., la costruzione preistorica rinvenuta a Hierakonpolis, in mattoni crudi, seminterrata, a pianta rettangolare, con copertura di travi, di canniccio e di fango); il segno h, recinto per animali o riparo di campagna; i segni ḥwt, il palazzo reale, srkh, la facciata di palazzo, e niwt, la città (a pianta circolare con strade che si intersecano ad angolo retto: ad es., Elkab). Un valido supporto per la ricostruzione dell'architettura domestica è costituito dalle sepolture coeve, le dimore per l'eternità, che talvolta riproducono fedelmente abitazioni vere e proprie, come nel caso delle tombe della II Dinastia a Saqqara. Le case egiziane fino almeno al Medio Regno erano improntate, sia nell'architettura sia nell'arredamento, a criteri di essenzialità e di rigorosa funzionalità (materiali come il mattone crudo, idonei ai climi caldi, per mantenere fresco l'interno; esposizione a nord per cogliere la brezza proveniente da quella direzione; sistemi di aerazione). La vita si svolgeva per la maggior parte della giornata all'aperto, essendo l'abitazione comune generalmente caratterizzata da vasti cortili con ambienti ridotti aperti sul fondo e con copertura a terrazza su cui sfogavano prese d'aria, mentre le dimore più ricche erano composte da ampie sale che gravitavano intorno ad un patio ombreggiato ed erano circondate da un giardino con una vasca d'acqua. I ritrovamenti archeologici dell'Antico Regno consentono più precise distinzioni tra residenze regali (come il Padiglione regale nel complesso funerario di Djoser a Saqqara, III Din.), abitazioni del ceto medio (come le abitazioni di sacerdoti della IV Din. a Giza, presso la maṣṭaba della regina Khentikaus, disposte a schiera tra la via sacra e un'altra strada, con ingresso su ambedue, omogenee nella pianta rettangolare/ quadrata, con vestibolo, atrio, sala di ricevimento e cortile centrale, in fondo al quale si aprono le stanze private che comprendono due camere da letto comunicanti, un bagno e una dispensa) e case rurali (come i modelli trovati in tombe dalla VI alla XII Din., le cd. "case dell'anima", dal tipo più semplice che richiama il geroglifico pr, al più complesso, con numerosi ambienti sul fondo o su tre lati del cortile, preceduti da porticati e talvolta disposti su due piani collegati da una scala esterna). La documentazione relativa all'architettura domestica urbana e rurale è più ricca di dati per il Medio Regno. La città di el-Lahun nel Fayyum, voluta da Sesostris II (XII Din., 1861-1843 a.C.) per ospitare i funzionari, gli artigiani e gli operai addetti alla costruzione del suo complesso funerario, offre un esempio d'impianto urbano geometricamente pianificato: a pianta quadrata, recintata da mura, è divisa in quartieri corrispondenti alle differenti categorie sociali dei suoi abitanti. Ogni quartiere comprende abitazioni contigue e uniformate tra di loro. Lungo la via più settentrionale della città si elevavano otto o nove palazzi signorili, ciascuno distinto in quattro settori: gli appartamenti del proprietario, l'harem, i servizi, le cucine con le dispense e, vicino ad esse, i granai. Ogni settore è caratterizzato da un cortile centrale a peristilio: sale di soggiorno e camere da letto erano esposte a nord e forse aerate da prese d'aria, il letto era racchiuso in un'alcova e annessi alla camera erano i servizi igienici. Negli ambienti più spaziosi due o quattro colonne, oppure una centrale, reggevano il soffitto. Le case più piccole rispecchiavano lo stesso schema. Le case di campagna del ceto medio sono riprodotte nei modelli di case dell'anima, in particolare quelli provenienti dalle sepolture dei nomarchi di Bersha e dalla tomba di Meketra a Deir el-Bahari. Esse sono invariabilmente caratterizzate da un portico rivolto a nord al piano terreno, talvolta sormontato da una struttura simile al piano superiore, con una terrazza in cui si aprono prese d'aria per aerazione delle stanze. Nel Nuovo Regno si afferma come capitale Tebe, con le caratteristiche di una grande città con alta densità di popolazione, dislocata in un'area relativamente estesa. Le case avevano dunque prevalentemente uno sviluppo verticale, probabilmente su tre piani: quelle di livello medioalto avevano ambienti di servizio nel seminterrato, grandi sale di ricevimento al piano terreno, appartamenti privati al primo piano e granai, talvolta con un pergolato, sulla terrazza. Le ricche dimore extraurbane si estendevano su ampi spazi che comprendevano sale di ricevimento e di soggiorno e camere da letto; erano circondate da giardini, orti e frutteti, in mezzo ai quali era scavato un lago artificiale. Granai, magazzini e altre dipendenze erano separati dalla parte abitativa. La documentazione più significativa sotto il profilo archeologico proviene tuttavia non dalle capitali, Tebe e poi Pi-Ramesse nel Delta (dalla XIX Din. alla fine del Nuovo Regno), ma dal villaggio di Deir el-Medina, che raccoglieva la comunità di artigiani e di operai addetti all'apprestamento delle tombe regali nella montagna tebana occidentale, e dalla città di Akhetaten (Tell el-Amarna), creata da Akhenaten (1353-1335 a.C.) come propria capitale. Deir el-Medina ha un impianto di tipo assiale, con case allineate lungo una via principale; la pianta delle singole abitazioni è semplice e funzionale: vestibolo, soggiorno, camera da letto e cucina, mentre le cantine e le dispense sono seminterrate. Tell el-Amarna costituisce un caso d'insediamento urbano pianificato, che meglio di altri ha conservato inalterate, almeno in pianta, le proprie strutture. La città si articolava in vari settori: quello centrale comprendeva palazzi reali (con appartamenti di rappresentanza e privati, harem, quartieri di servizio), templi ed edifici governativi; quello meridionale, dove risiedevano importanti personaggi di corte, era costituito da grandi ville, caratterizzate dalla presenza di una o due logge, a nord e ad ovest, da alte e spaziose sale di ricevimento con finestre a grata e da appartamenti privati; quello settentrionale era abitato dal ceto medio e comprendeva anche aree commerciali. Ad est sorgeva il villaggio operaio, simile nel suo schema generale a quello di el-Lahun, ma con unità abitative strutturate in maniera più funzionale, come a Deir el-Medina. I resti di architettura domestica hanno rivelato la presenza, nei palazzi e nelle abitazioni più agiate, di servizi igienici, che talvolta conservavano ancora in situ i loro arredi (come ad es. a Tell el-Amarna): "sedie comode" di calcare, di terracotta o di legno, con una bacinella piena di sabbia collocata inferiormente. Non si ha traccia però d'impianti idraulici, né tanto meno di rete fognaria, a differenza di quanto riscontrato in certi complessi mesopotamici e medio-orientali. Le abitazioni del ceto medio-alto possedevano in genere una propria cisterna scavata nel cortile e schermata dal sole e dalla polvere per mezzo di una copertura sorretta da pali (el-Lahun; case dell'anima). Le dimore più ricche, così come le residenze reali (Malqata, Tell el-Amarna) e in particolare le ville extraurbane, erano dotate di propri bacini d'acqua all'interno dei giardini. Una campionatura estremamente valida in tal senso è offerta ancora una volta dalle decorazioni parietali delle tombe, in particolare quelle tebane e amarniane, nonché dalle informazioni testuali.
W.M.Fl. Petrie, Kahun, Gurob and Hawara, London 1890; Id., Illahun, Kahun and Gurob, London 1891; B. Bruyère, Rapport sur les fouilles de Deir el-Médineh, Le Caire 1926-53; N. de Garis Davies, The Town House in Ancient Egypt, in MetrMusSt, 1 (1929), pp. 233-55; H. Ricke, Der Grundriss des Amarna Wohnhauses, Leipzig 1932; P. Honigsberg, Sanitary Installations in Ancient Egypt, in JEgyptMedAss, 23 (1940), pp. 199-246; J. Breasted, Egyptian Servant Statues, Washington (D.C.) 1948, pp. 10-15; H.E. Winlock, Models of Daily Life in Ancient Egypt from the Tomb of Meket-Re at Thebes, Cambridge (Mass.) 1955; A. Badawy, Architectural Provisions against Heat in the Orient, in JNES, 17 (1958), pp. 122-28; A. Niwinski, Plateaux d'offrandes et maisons d'âmes, in EtTrav, 8 (1975), pp. 73-112; D. Arnold, s.v. Hausbau, in LÄ, II, 1977, coll. 1062-64; J. Brinks, s.v. Haus, ibid., coll. 1055-61; R. Stadelmann, s.v. Hausmodelle, ibid., col. 1067; L. Borchardt - H. Ricke, Die Wohnhäuser in Tell el-Amarna, Berlin 1980; A. Niwinski, s.v. Seelenhaus, in LÄ, V, 1984, coll. 806-13; P.T. Crocker, Status Symbols in the Architecture of el-'Amarna, in JEA, 71 (1985), pp. 52-65; A. Bietak, Avaris and Piramesse, Oxford 1986²; B.J. Kemp, The Amarna Workmen's Village, in JEA, 73 (1987), pp. 21-50; E. Roik, Das altägyptische Wohnhaus und seine Darstellung im Flachbild, I-II, Frankfurt a. M. 1988; F. Arnold, A Study of Egyptian Domestic Building, in Varia Aegyptiaca, 5 (1989), pp. 75-93; D. Arnold, s.v.Haus, Hausmodell, in Lexikon der Ägyptischen Baukunst, München - Zürich 1995, pp. 99-102; M. Bjetak (ed.), Haus und Palast im alten Ägypten, Wien 1996; C. von Pilgrim, Elephantine XVIII. Untersuchungen in der Stadt des mittleren Reiches und der zweiten Zwischenzeit, Mainz a. Rh. 1996; P. Lacovara, The New Kingdom Royal City, London 1997.
di Paola Davoli
Le attuali conoscenze sull'edilizia pubblica egiziana non sono particolarmente cospicue, se si esclude l'edilizia sacra e funeraria, a causa del fatto che i palazzi del potere, compresi quelli regali, erano costruiti per lo più con materiali deperibili, come il mattone crudo e il legno. I palazzi regali egiziani possono essere distinti in tre categorie a seconda della loro funzione: palazzi residenziali, governativi e cerimoniali. In tutti tre i casi non si tratta di singoli edifici, ma di una somma di strutture destinate a diversi usi, dagli appartamenti pubblici e privati del re e della sua famiglia fino all'alloggio del personale e alle cucine. Inoltre, i palazzi regali attualmente conosciuti si trovano nei pressi o all'interno di un tempio, come nel caso dei palazzi cerimoniali. In tutto il territorio egiziano vi erano palazzi destinati ad accogliere il sovrano e la sua famiglia durante le periodiche visite ai vari distretti; la loro presenza è nota soprattutto dai testi e dobbiamo ritenere che in certi casi non si trattasse di grandi e complesse strutture, ma di semplici edifici predisposti per un breve soggiorno. I palazzi regali dell'Antico Regno sono ancora pressoché sconosciuti, tuttavia si ritiene che il loro aspetto esterno fosse simile a quello del muro di cinta delle monumentali maṣṭaba della I Dinastia e del complesso funerario del re Djoser a Saqqara (III Din.), il cui schema architettonico a rientranze e sporgenze, noto col nome di "facciata di palazzo", si ripete su tutta la lunghezza degli edifici. Una copia in pietra di un piccolo palazzo regale è forse da riconoscere nel cosiddetto Padiglione del complesso funerario del re Djoser: al suo interno vi sono un vestibolo con colonne, una sala ipostila centrale collegata con la sala del trono e, dietro a questa in una posizione più riservata, la stanza da letto del sovrano. La stessa suddivisione degli spazi ritroviamo nei palazzi cerimoniali del Nuovo Regno. I resti di due palazzi residenziali del Medio Regno sono stati recentemente rinvenuti e portati alla luce nel Delta orientale, a Tell ed-Daba, l'antica Avaris/Pi-Ramesse, e a Tell Basta, l'antica Bubastis. Nel primo caso la struttura architettonica e planimetrica dell'edificio, conservatosi per un'altezza di circa 1 m, suggerisce che si tratti di un palazzo residenziale di un sovrano della XIII Dinastia, la cui identità è ancora sconosciuta. Ampliato in diversi momenti, il palazzo fu costruito in mattoni crudi e legno: è formato da tre strutture principali a cui si aggiungono costruzioni di servizio, come le cucine e i magazzini. Come si nota anche nei palazzi regali del Nuovo Regno, l'accesso alle stanze centrali pubbliche non è assiale, ma avviene per mezzo di corridoi e stanze laterali che conducevano alla corte colonnata attraverso la quale si aveva accesso alla sala di ricevimento, adorna di quattro colonne centrali. Dietro e a fianco di questa sala vi erano ambienti privati destinati al sovrano. Intorno alla struttura centrale del palazzo si trovavano giardini, un laghetto e anche un'area di svago in cui era riprodotta in grande scala la scacchiera del senet, che qui veniva probabilmente giocato con "pedine" viventi. Il palazzo di Tell Basta è stato invece identificato come la residenza del sindaco della città, forse durante il regno di Sesostris III o di Amenemhat III. Esso si articola in tre aree funzionali, amministrativa, cerimoniale e residenziale, racchiuse da un muro di cinta. L'ingresso al palazzo avveniva da sud attraverso un portico colonnato e un grande cortile che immetteva a ovest nell'area amministrativa e a nord in un secondo, ampio cortile fiancheggiato da colonne. Da qui si accedeva alle sale cerimoniali, verso nord ed est, e agli appartamenti privati verso ovest, a cui erano annessi ambienti di servizio, cucine, magazzini e un giardino con un bacino d'acqua. La presenza delle grandi sale di ricevimento nell'area cerimoniale fu probabilmente prevista per l'accoglienza del sovrano durante le sue visite. Il Nuovo Regno ci ha restituito un maggior numero di palazzi regali, le cui diverse tipologie hanno consentito di riconoscerne le differenti funzionalità. Il complesso di Malqata, sulla riva occidentale del Nilo, di fronte a Tebe, fu fatto costruire da Amenhotep III come sua residenza o, secondo una diversa interpretazione, come luogo dei festeggiamenti giubilari. Si tratta di una vera città-palazzo che si estendeva su circa 227.000 m², in cui erano distribuite numerose strutture destinate a diversi usi. Si contano almeno quattro palazzi residenziali per il re, la regina e altri componenti della famiglia, un tempio dedicato al dio Amon e aree residenziali in cui vanno riconosciuti edifici di servizio. La residenza era collegata con la città di Tebe, situata sulla sponda orientale del Nilo, per mezzo di un canale artificiale che si dipartiva dal fiume e giungeva ad un grande lago anch'esso artificiale (Birket Habu), situato di fronte ai palazzi. Ancora sulla riva occidentale, di fronte a Tebe, si conservano altri palazzi regali ‒ la cui funzionalità non è ancora del tutto chiara ‒, annessi ai templi funerari di Ay, Sethi I, Ramesse II, Merenptah e Ramesse III. La loro posizione e le loro modeste dimensioni li fanno ritenere puramente rituali, oppure repliche dei palazzi governativi ad uso del sovrano defunto, anche se non può essere esclusa una funzione più pratica in occasione delle visite dei sovrani. Essi si compongono degli stessi elementi principali e sono tutti situati a sud dell'asse del tempio. Il meglio conservato è quello di Ramesse III a Medinet Habu, in cui la disposizione degli ambienti subì una ristrutturazione durante gli ultimi anni di regno del sovrano. La sua prima planimetria ripeteva lo schema dei palazzi-tempio dei sovrani precedenti, mentre la seconda vi si discosta per lo spostamento della sala del trono, non più in asse con la cosiddetta "finestra delle apparizioni", e per l'introduzione di una seconda, più piccola, sala del trono. Al palazzo si aveva accesso da est e da ovest, ma la facciata principale si trovava sul lato settentrionale, al cui centro si apriva la finestra delle apparizioni, preceduta da un portico colonnato che dava sul primo cortile del tempio funerario. La parete su cui si trovava tale finestra monumentale era decorata con scene a bassorilievo raffiguranti il sovrano vittorioso sui nemici; al di sotto della balaustra inoltre erano scolpite a tutto tondo le teste dei nemici dell'Egitto, sottomessi al sovrano. La finestra delle apparizioni è presente nei palazzi regali amarniani e ramessidi oltre che in numerose raffigurazioni che mostrano il re mentre elargisce doni a suoi funzionari sporgendosi da essa. All'interno del palazzo di Ramesse III l'accesso alla finestra delle apparizioni avveniva per mezzo di una scala a due rampe affrontate situata in una sala a due colonne che sostenevano un soffitto a volta; questa stanza era collegata ad un ampio vestibolo a sei colonne, attraverso il quale si aveva accesso alla sala del trono, in cui si conserva ancora la predella che lo sosteneva. Le stanze situate ai lati e dietro alla sala del trono, di piccole dimensioni e disadorne, avevano un carattere privato: vi si riconoscono un bagno e gli appartamenti reali, che tuttavia per le loro caratteristiche non sembrano essere stati adatti ad ospitare il sovrano con la sua corte. Altri due palazzi regali sono stati riconosciuti nello stesso tempio funerario di Ramesse III, entrambi ricavati nelle torri che sovrastano gli ingressi est e ovest della cinta muraria più esterna. È stato ipotizzato che essi fossero residenze temporanee del re, la torre orientale, e del suo harem quella occidentale. I palazzi governativi della città di Tebe durante il Nuovo Regno, probabilmente diversi per ogni sovrano, dovevano invece trovarsi sulla riva orientale del Nilo e in particolare, secondo alcune fonti scritte, a nord-ovest del tempio di Karnak. In esso si fondevano le funzioni amministrative con quelle cerimoniali, entrambe espletate dal sovrano, che in questo periodo risiedeva anche in altre città, come Menfi, Tell el-Amarna (antica Akhetaten) e Pi-Ramesse. Il sito di Tell el-Amarna costituisce l'esempio meglio conservato di città regale, edificata per volere di Amenhotep IV/Akhenaten che vi stabilì la propria residenza privata e anche i palazzi governativi. Come a Malqata e a Deir el-Ballas, località in cui è stato rinvenuto un edificio regale della fine del Secondo Periodo Intermedio, il palazzo governativo si trovava al centro della città, nelle vicinanze del tempio maggiore di Aten; i palazzi regali residenziali destinati al re e ai vari componenti della sua famiglia oltre che all'harem erano in diversi punti della città, ma situati sull'asse viario principale, la Strada Reale. All'estremità nord di el-Amarna si trovava la residenza del re, difesa da possenti mura di cinta, provvista di ampi magazzini e di alloggi per le guardie reali e per il personale di servizio. Più a sud si trovava il Palazzo Nord, probabilmente la residenza della principessa primogenita Meritaten e di parte delle donne dell'harem, provvisto anch'esso di magazzini e di giardini. All'interno gli appartamenti reali erano decorati con dipinti riproducenti scene naturalistiche. Tale edificio può essere paragonato nella funzione all'harem regale situato a Medinet Ghurab, nel Fayyum, fondato da Thutmosis III e utilizzato fino all'epoca ramesside. Il Grande Palazzo Reale si trovava al centro della città, ad ovest della Strada Reale, ed era collegato con la Casa del Re, situata sul lato opposto, per mezzo di un ponte coperto costruito in mattoni crudi. In questa zona si concentravano tutti gli uffici e i palazzi pubblici, fra i quali vi erano anche ampi edifici di servizio, come una panetteria con più di 100 forni e le scuderie. Il Grande Palazzo Reale aveva anche funzioni di rappresentanza e comprendeva numerosi giardini, una corte monumentale con colossali statue del re, la sala del trono e una grande sala con 544 colonne. In uno degli uffici centrali vi era l'archivio di Stato, in cui furono rinvenute le Lettere di Amarna, tavolette in terracotta con testi in cuneiforme accadico. A Menfi, capitale storica del Paese, sono stati rinvenuti un palazzo di Merenptah, con la sala delle udienze in cui si trovava il trono, e i resti di un palazzo di Apries. Il palazzo di Merenptah sembra aver avuto funzioni cerimoniali essendo stato costruito secondo uno schema planimetrico che ricorda quello dei templi: ampio cortile, portico colonnato, facciata monumentale in cui si apriva la finestra delle apparizioni, cortile interno, sala ipostila, sala del trono e stanze riservate al re e di servizio. Nell'ambito dell'architettura del potere vanno anche annoverati alcuni monumenti fatti erigere dai sovrani in diverse località per ribadire la presenza costante dell'autorità regia sul territorio, come ad esempio le piccole piramidi della III Dinastia costruite a Elefantina, Ombos, Edfu, el-Kula, Sinki, Zawiyet el-Maietin e Seila. Una simile funzione è forse ipotizzabile anche per i colossi di Biahmu, località del Fayyum in cui si ergevano nella campagna due statue in quarzite raffiguranti Amenemhat III collocate su due basamenti alti 18 m, circondati ciascuno da un muro di cinta. Nella stessa regione, inoltre, nel luogo oggi denominato Abgig, Sesostris I fece erigere una grande stele, o pseudo-obelisco, alta 13 m apparentemente al di fuori di ogni contesto monumentale o urbano.
E. Uphill, The Concept of the Egyptian Palace as a "Ruling Machine", in P. Ucko - R. Tringham - G.W. Dimbleby (edd.), Man, Settlement and Urbanism, London 1972, pp. 721-34; R. Stadelmann, Tempelpalast und Erscheinungsfenster in der thebanischen Totentempeln, in MDIK, 29 (1973), pp. 221-42; D. O'Connor, City and Palace in New Kingdom Egypt, in CahPEg, 11 (1989), pp. 73-87; M. Bietak (ed.), Haus und Palast im alten Ägypten, Wien 1996.
di Sergio Pernigotti
I più antichi documenti archeologici che testimoniano un'architettura di culto nell'Antico Egitto appartengono all'età immediatamente precedente il periodo dinastico. Non possiamo risalire ad età ancora più antiche, anche se l'ideogramma per "città" usato nella scrittura geroglifica, con la sua pianta rotonda (quindi assai antica) e quattro strade che sfociano in una piazza centrale, suggerisce che proprio in questa si trovasse un luogo di culto. Quale fosse la sua struttura lo possiamo ricavare dalle rappresentazioni del tempio primitivo che troviamo nelle "placchette" dei sovrani delle prime dinastie: una capanna costituita da elementi vegetali, che talvolta, vista in sezione laterale, assume la forma dell'animale sacro in cui il dio si manifesta, preceduta da un cortile delimitato da una staccionata all'interno del quale, proprio dinanzi all'ingresso, si trova l'emblema della divinità piantato su un palo; accanto alla porta che dà accesso al terreno sacro si trovano due pennoni sormontati da bandierine, segnacoli della sacralità del recinto. Raffigurazioni dei templi primitivi si trovano ancora in epoca tarda, come accade per quello della dea Neith di Sais. Le prime testimonianze di edifici di culto frutto di scavi archeologici sono date dai resti, poi inglobati in altre costruzioni, dei templi di Abido, di Hierakonpolis e di quello recentemente scoperto ad Elefantina: ma non vi sono segni di una struttura a tutti comune, che si svilupperà solo molto più tardi. Non conosciamo templi destinati al culto degli dei per tutto il III millennio: è difficile trovare una spiegazione soddisfacente per un fatto di questo genere, in un'epoca di grandi realizzazioni nell'architettura funeraria, regale e privata. Si può pensare che ciò derivi dalla volontà di mantenere viva la tradizione del tempio-capanna, costituito da elementi vegetali e che quindi non ha potuto lasciare tracce archeologiche ed è definitivamente scomparso al momento in cui si è passati all'architettura in pietra; oppure la spiegazione può trovarsi in quella che è una delle caratteristiche dell'architettura egiziana non funeraria, il continuo succedersi di fasi di costruzione e di demolizione, nel tempo, di un medesimo monumento, sì che le sue fasi più antiche, in questo caso risalenti al III millennio, erano in definitiva destinate a scomparire del tutto. Caratteri totalmente diversi hanno i templi funerari, quelli connessi con le piramidi, che al contrario si sono conservati in buon numero e spesso sono in eccellente stato di conservazione. Una possibile eccezione a questo schema può forse trovarsi nei cosiddetti "templi solari", fatti costruire ad Abu Ghurab dai sovrani della V Dinastia, legati al culto del dio Ra di Heliopolis, benché il fatto che essi siano stati costruiti nei pressi dei loro complessi funerari ad Abu Sir, tra Giza e Saqqara, faccia sorgere qualche dubbio sul loro carattere di templi "civili". Dei sei di cui conosciamo il nome attraverso le fonti scritte, solo due a tutt'oggi sono stati trovati. Essi presentano uno schema molto semplice, che verrà ripreso durante l'età di el-Amarna e che caratterizza tutti i templi solari: la parte centrale, dal punto di vista concettuale, è un grande cortile a cielo aperto al centro del quale si trova un obelisco, monumento notoriamente connesso con il culto del dio Ra, del quale era una specie di feticcio, non monolitico, di fronte al quale si trovava un altare per i sacrifici. Per il resto la struttura dei templi solari ricorda molto da vicino quella dei complessi di cui le piramidi costituivano il centro ideale. Da un tempio "a valle" costruito nei pressi di un canale che ne consentiva l'accesso in barca si saliva per mezzo di un corridoio monumentale al tempio "alto" dal quale si aveva accesso al cortile con l'obelisco. Accanto al recinto che delimitava quest'ultimo si trovava una barca costruita in pietra che alludeva forse alla barca sacra al dio Ra. Di poco più abbondanti sono le attestazioni dell'architettura templare nel Medio Regno. Due importanti esempi si trovano nel Fayyum, nella regione cioè che ha ricevuto un notevole impulso con la bonifica attuata durante la XII Dinastia dai faraoni Amenemhat III e IV: qui sono i due soli templi del Medio Regno che ci siano giunti in buono stato di conservazione, completi dell'alzato. Il primo si trova a Qasr es-Sagha, a nord del lago, il Birket Qarun, che corona la parte settentrionale della grande oasi. Oggi in pieno deserto, consta di un unico vano nel quale sette celle si aprono su un corridoio parallelo all'ingresso. Si tratta manifestamente della parte terminale del tempio, di fronte alla quale avrebbero dovuto essere costruite le altre (cortile, sala a colonne), che invece non sono mai state realizzate. Il tempio, totalmente privo di iscrizioni, presenta tutte le caratteristiche di un edificio non finito: ciò impedisce di stabilire a quali divinità fosse dedicato, ma trovandosi connesso con una regione il cui dio principale, oggetto di culto ovunque, era il dio-coccodrillo Sobek ed essendo orientato verso il lago, punto di riferimento della teologia locale, è logico pensare che le sette celle corrispondessero a sette forme locali di questa divinità (o a un solo Sobek e a sei dei synnaoi). Si è a lungo dubitato che si trattasse di un tempio dell'Antico Regno a causa della tecnica costruttiva che ricorda molto da vicino quella del III millennio a.C., in particolare quella del tempio a valle del complesso piramidale di Chefren a Giza, ma studi recenti hanno definitivamente accertato che si tratta di un tempio del Medio Regno costruito forse in connessione con una strada carovaniera che passava a nord del Fayyum, dirigendosi verso ovest. Il secondo tempio del Medio Regno si trova nell'angolo sud-occidentale della regione, a Medinet Madi, sito sul quale sono i resti di un centro urbano fondato da Amenemhat III e IV al tempo della bonifica, il cui nome era Dja al momento della sua fondazione (Narmouthis in età greco-romana). Il tempio era dedicato alla locale dea delle messi, che si manifestava in forma di cobra e si chiamava Renenutet, e all'immancabile Sobek. Il tempio, fondato anch'esso da Amenemhat III e IV, si è salvato perché in età tolemaica, al tempo della seconda bonifica della regione, è stato incorporato in una serie di ampliamenti diretti a conservarlo, forse perché sulle sue pareti vi era raffigurato il faraone suo fondatore, nel frattempo diventato una divinità della regione e fatto oggetto di un culto familiare. Si tratta di un edificio assai piccolo che consiste unicamente in una sala a colonne dalla quale si ha accesso alla cella tripartita che conserva le statue della locale triade divina. Un terzo edificio templare è stato ricostruito a Karnak recuperandone i blocchi che erano stati riutilizzati: si tratta del cosiddetto Chiosco Bianco di Sesostris I, secondo faraone della XII Dinastia, un'opera di grande bellezza architettonica, in realtà non un tempio, ma una cappella destinata ad ospitare la barca del dio Amon durante l'annuale processione in suo onore. A Medamud sono rimaste tracce, invero non sempre sicure, di un tempio costruito da Sesostris III nel quale appaiono già le parti di cui saranno costituiti i templi egiziani di età classica, come la sala ipostila, il cortile colonnato e la camera del naòs, oltre a una serie di stanze secondarie, ma l'ordine appare diverso, non ancora canonico: dall'entrata si passa a una sala trasversale a colonne e da qui alla sala del naòs da cui si accede al cortile affiancato da due colonnati; sul lato ovest del cortile si trova una seconda entrata, ciò che ha fatto pensare a una diversificazione anche sociale delle possibilità di accesso del luogo di culto. È solo con il Nuovo Regno che il tempio egiziano assume la sua forma canonica, destinata a perpetuarsi per tutto il resto della sua storia, senza mutamenti se non in particolari che nel complesso possono considerarsi secondari. La straordinaria continuità del tempio egiziano di età classica è provata dal fatto che i templi in migliore stato di conservazione, come quelli di Dendera, Esna, Edfu e Kom Ombo, sono sì di età tolemaica e romana, ma conservano intatta la struttura di quelli costruiti più di mille anni prima; quelle che mutano sono se mai le dimensioni che tendono ad aumentare sempre più, frutto certo di una volontà politica di accordo con il sacerdozio egiziano, mentre per le età precedenti i templi dalle dimensioni, ad esempio, di quello di Edfu, sono del tutto eccezionali e legati a fattori anche politici contingenti (Karnak, Luxor, Ramesse, Medinet Habu ‒ ma questi ultimi due sono templi funerari ‒ e pochi altri). Il tempio egiziano di età classica si presenta essenzialmente come una fortezza, destinato non a proteggere la divinità da nemici e pericoli tangibili, ma piuttosto da tutta una serie di insidie non facilmente definibili a priori, certamente di natura per così dire spirituale. L'edificio è anzitutto costruito in quello che appare come il centro ideale di un terreno sacro delimitato da un muro possente realizzato in mattoni crudi, il cui spessore e la cui altezza sono spesso rilevantissimi, nel quale si trova un ingresso che assume la forma di un portale monumentale in pietra. Il carattere di fortezza non è però dato tanto dal muro che delimita il temenos, quanto piuttosto dalla struttura stessa dell'edificio templare, la cui facciata è costituita da un muro possente, costruito in pietra, rastremato verso l'alto e diviso in due parti da una seconda porta monumentale: è questo il pilone (dal greco pylon, grande porta) che annuncia da lontano la presenza di un edificio sacro, cosa che viene ribadita dalle bandierine multicolori che si trovavano sulla parte più alta di altissimi pennoni di legno inseriti nella facciata. È proprio da tali elementi decorativi, già presenti nei templi più antichi, che deriva l'ideogramma egiziano per "dio". Dal pilone si accede all'interno del tempio, la cui struttura, pur uniforme, presenta però dimensioni molto diverse a seconda dell'importanza del luogo in cui esso si trova e soprattutto in relazione all'importanza della divinità a cui viene dedicato. Noi conosciamo in particolare la struttura dei templi dell'Alto Egitto, perché la generale distruzione dei siti del Delta ha portato come conseguenza la scomparsa dei templi di centri religiosi di grande importanza come Heliopolis o, per l'epoca tarda, Sais: non vi sono però ragioni per ritenere che essi corrispondessero a una tradizione architettonica diversa. Anzi, quanto ci è dato di sapere in base alle fonti scritte e ai non molti resti archeologici, tutto fa pensare che a nord come a sud la tipologia fosse identica: le diversità riguardavano situazioni e fatti puramente locali che non comportavano differenze nelle strutture architettoniche, ma nel contesto in cui si collocavano, come accade sicuramente nel caso del tempio di Bastet a Bubastis, secondo la testimonianza di Erodoto confermata dall'indagine archeologica. L'interno del tempio si articola in una serie di spazi che si succedono in un ordine prestabilito e che corrisponde a precise esigenze di frequentazione e del culto del dio, di cui esso è, non va dimenticato, la "casa", nel senso stretto del termine. In questo il tempio egiziano si differenzia profondamente, ad esempio, dalla chiesa cristiana, perché è anzitutto il luogo in cui il dio dimora realmente, non come presenza spirituale astratta, ma al contrario ben concreta, che si manifesta negli atti di culto che consistono in fatti materiali, come la pulizia fisica della sua statua, il cambio dei vestiti e il nutrimento quotidiano realizzato con le offerte che venivano deposte nei cortili. Così si entra dapprima in un vestibolo, da cui si passa in una sala sostenuta da colonne (o ipostila): ed è questa la parte più propriamente "pubblica" dell'edificio. Di qui si accede a un secondo vestibolo che porta al sacrario, limitato al personale autorizzato ad avere contatti diretti con le divinità, in ultima analisi ad accudire alla loro persona, che in genere presenta una struttura tripartita, divisa cioè in tre celle, ciascuna delle quali ospita una delle divinità della triade divina che hanno nel tempio la loro casa: una divinità maschile, una femminile e il figlio o la figlia della coppia divina, secondo un principio di semplificazione e in un certo senso di accorpamento blandamente gerarchico che caratterizza assai per tempo la religione egiziana. Ma ciò dà un'idea molto limitata della reale struttura del tempio egiziano di età "classica". Questa in verità non sta tanto, o soltanto, in una successione di stanze con struttura e funzioni diverse, quanto piuttosto in un sapiente dosaggio di un principio molto semplice che è costituito dal progressivo passaggio dalla luce accecante del sole che caratterizza il primo cortile fino al buio completo che circonda il tabernacolo in cui è contenuta la statua di culto della divinità; e ciò accompagnato da un progressivo abbassarsi del soffitto delle stanze a mano a mano che si avanza lungo l'asse del tempio e dal progressivo innalzarsi del pavimento secondo una struttura che non a torto è stata definita "a cannocchiale". Nel caso dei grandi santuari, come quello di Amon-Ra a Karnak, gli elementi base del tempio tendono semplicemente a moltiplicarsi, senza che vi siano mutamenti strutturali; è possibile peraltro che, specie nei cortili, si affollino cappelle e templi di minori dimensioni, dedicati a divinità connesse in qualche modo con quella principale, e che templi si trovino costruiti anche sul tetto di quello principale: un esempio eccellente si trova sul tetto del tempio di Dendera, ma molti altri sono testimonianti nelle fonti scritte (ad es., nelle titolature di sacerdoti) e archeologiche. Al di fuori del tempio, ma dentro il recinto sacro, si possono infine trovare altri edifici, spesso molto numerosi nel caso dei grandi santuari. Anzitutto altri edifici di culto di divinità comunque connesse per ragioni teologiche o territoriali con quella principale, con un sacerdozio diverso; ad essi si aggiungono le costruzioni destinate ai servizi. Vero è che i magazzini per gli arredi sacri e la biblioteca si possono già trovare all'interno del tempio, ma quelli esterni riguardano più propriamente aspetti non direttamente cultuali (come le derrate per le offerte). Ad essi si aggiungono le abitazioni dei sacerdoti e gli uffici amministrativi con il loro archivio: non va infatti dimenticato che il tempio costituisce il punto di riferimento di una specie di fondazione che fornisce i mezzi economici necessari al culto degli dei ed è quindi proprietario di terre e bestiame e che inoltre adempie alla funzione di ufficio periferico dell'amministrazione centrale dello Stato: compiti tutti che richiedono personale civile e luoghi in cui alloggiare i loro uffici. Gli spazi che non vengono occupati da questo insieme di costruzioni, che possono essere molto fitte, non sono tuttavia del tutto liberi, perché tra il muro del recinto sacro e il pilone e talvolta tra un pilone e l'altro potevano trovarsi dei giardini e anche un lago sacro nel quale venivano compiute certe cerimonie religiose. I templi dedicati al culto degli dei ben difficilmente si trovavano isolati nel contesto urbano in cui venivano costruiti: ciò poteva accadere nel caso di piccole città di provincia; più spesso essi erano collegati con altri templi, direttamente, come succede con quello di Amon-Ra a Karnak che è collegato da un viale di sfingi criocefale con il tempio di Luxor, 2 km più a sud, e che ne costituisce in realtà, malgrado le dimensioni imponenti, una semplice dépendance. Ma vi sono collegamenti dovuti a fatti più specificamente teologici, come quello dello stesso tempio di Amon-Ra con il tempio della dea Mut, elemento femminile della triade tebana. Nei centri più piccoli, il tempio principale della città, che ne costituisce una specie di centro ideale e teologico, è anche il punto di riferimento degli edifici di culto minori, direttamente collegati con esso o che si aprono nelle sue immediate vicinanze, magari sulla via processionale che dà ad esso accesso. Nascono in questo stesso periodo di tempo e in conseguenza del mutato rituale del seppellimento regale (quindi unicamente in area tebana, dove si trovavano le tombe dei sovrani) i cosiddetti "templi funerari", riservati al culto del sovrano defunto in collegamento con il dio principale della zona, ancora una volta Amon-Ra; si trovano tutti sulla riva sinistra del fiume, lungo la linea che separa la terra coltivata dal deserto. La loro stessa collocazione nella zona riservata alle necropoli ne testimonia la diversa funzionalità (ma non si dimentichi che nella teologia egiziana, mai rinnegata formalmente, il sovrano è un dio), soprattutto per la loro diretta connessione con la tomba regale. Dal punto di vista strutturale essi tuttavia non differiscono da quelli dedicati al culto degli dei che si trovano sulla riva destra del Nilo. Vi sono però delle eccezioni: il tempio funerario di Hatshepsut a Deir el-Bahari con la sua struttura terrazzata che si appoggia alla montagna tebana riprende palesemente il linguaggio architettonico del tempio di Nebhepetra Montuhotep della XI Dinastia, costruito proprio accanto a quello della regina. Anche il tempio di Ramesse III a Medinet Habu, poco più a sud, presenta qualche novità, come la presenza di un palazzo regale che si appoggia al lato sud del tempio ad esso collegato con la cosiddetta "finestra delle apparizioni" di ascendenza amarniana. La tradizione del tempio del culto divino rimane sostanzialmente invariata per il resto della storia egiziana. Anche la parentesi di el-Amarna, con la rivoluzione religiosa che fa capo ad Amenhotep IV/Akhenaten, è in realtà più apparente che reale, perché durante questo periodo ad el-Amarna, residenza del sovrano, si riprende la tradizione dei templi solari, già nota dall'Antico Regno, con grandi cortili a cielo aperto con l'altare (o gli altari) destinato alle offerte, perché l'Aten a cui sono dedicati è una divinità solare, forse solo una forma di Ra. Gli stessi templi rupestri, di cui possediamo un buon numero di esempi nel Nuovo Regno (importanti quelli di Abu Simbel per Ramesse II e la regina Nefertari), non innovano rispetto alla struttura tradizionale. Ben poche sono le novità che si trovano negli ultimi tempi della civiltà egiziana (ma si ricordi che si sono costruiti templi dedicati agli dei fino al III secolo della nostra era: tempio di Isis a Deir esh-Shalwit sulla riva sinistra del Nilo a Tebe): tra di esse si può citare l'introduzione di paramenti in pietra tra le colonne e anche l'apparizione di un nuovo tipo di edificio all'interno del recinto del tempio, che fa la sua comparsa nella XXX Dinastia e che fu chiamato da J.-F. Champollion, con una parola di neoformazione sul copto, mammisi (luogo della nascita), perché dedicato alla nascita del dio Horo nelle paludi del Delta.
G. Jéquier, L'architecture et la décoration dans l'ancienne Égypte, IIII, Paris 1922; H. Ricke, Bemerkungen zur ägyptischen Baukunst des alten Reiches, I-II, Kairo - Zürich 1944-50; J. Vandier, Manuel d'archéologie égyptienne, I-IV, Paris 1952-55; A. Badawy, A History of Egyptian Architecture, I-III, Berkeley - Los Angeles 1966-68; S. Donadoni, L'Egitto, Torino 1981.
di Sergio Pernigotti
L'architettura funeraria nell'antico Egitto, per quanto si presenti come un'ininterrotta prosecuzione delle esperienze maturate nel periodo predinastico, assume caratteri nettamente definiti solo a partire dalla I Dinastia, quando il processo di unificazione politica del Paese può dirsi ormai giunto alla sua conclusione. Come ormai scavi recentissimi e condotti con rigorosi criteri scientifici hanno dimostrato, la necropoli regale nelle prime due dinastie si trovava nel Sud, ad Abido: dopo la scoperta delle barche funerarie regali, è ormai da abbandonare la teoria che i sovrani del periodo tinita possedessero due tombe, una vera a sud e un cenotafio a nord, nella necropoli menfita. Le tombe del Sud sono comunque caratterizzate dalla presenza di recinti, in cui la sovrastruttura in mattoni crudi è circondata da una serie di magazzini e di edifici complementari e dalla quale si ha accesso alla parte ipogea. Vi sono vani destinati a tombe sussidiarie, nelle quali venivano deposti i funzionari del sovrano defunto con una messa a morte rituale, come sembra ormai accertato: il sovrano e i suoi cortigiani vengono in ogni caso identificati per mezzo di una serie di stele in pietra. Le tombe costruite a Saqqara nascono, a quanto pare, da una diversa tradizione architettonica, rigorosamente fondata sull'impiego dei mattoni crudi, utilizzati anche nell'alzato a modellare nel paramento esterno una serie di nicchie, che qui si possono agevolmente osservare, per il buono stato di conservazione, a differenza di quanto accade al Sud. Si tratta di tombe principesche, disposte talvolta su due piani, comprendenti una ricca serie di magazzini per le derrate funerarie, certamente connesse con la presenza a Menfi, fondata secondo la tradizione dal primo sovrano della I Dinastia, di una classe di funzionari che dalla capitale governava l'Egitto unificato per conto di sovrani che mantenevano la loro residenza nel Sud del Paese, dove si trovava la culla della regalità faraonica. È comunque notevole che qui, come altrove, si può osservare una netta distinzione tra le necropoli regali e le necropoli dei privati che non sono stati immolati al momento della morte del loro signore. All'inizio della III Dinastia, che viene convenzionalmente considerata come la prima dell'Antico Regno, si assiste a una netta quanto definitiva differenziazione tra l'architettura funeraria regale e quella destinata ai privati, per quanto importante potesse essere il loro ruolo all'interno della gerarchia sociale. Non viene meno quella che può essere considerata una costante dell'architettura funeraria egiziana, fin dalle sue origini, e cioè la sua struttura, per così dire, modulare. La sepoltura, quale ne sia il significato più profondo dal punto di vista religioso e quali ne siano le dimensioni, risponde costantemente a uno schema tripartito che comprende una sovrastruttura che la rende visibile a coloro che si trovano ancora sulla terra, una parte sotterranea destinata ad ospitare il sarcofago, e quindi il corpo del defunto, e un elemento di raccordo che unisce l'una all'altra. La sovrastruttura ha inoltre una sua interna distinzione tra una parte per così dire "privata", inaccessibile per chiunque, e una "pubblica" destinata al contrario ad essere frequentata dai vivi, che vi depongono le offerte destinate a costituire il nutrimento del defunto. Tali elementi sono sempre presenti nell'architettura funeraria dell'Antico Egitto: le differenze, spesso assai marcate, riguardano quasi esclusivamente le dimensioni e la struttura di ciascuno di essi e rispondono a mutamenti, spesso altrettanto profondi, delle idee relative all'aldilà quali si vengono a determinare nei diversi periodi storici. È proprio questa la situazione che si realizza durante il regno del secondo sovrano della III Dinastia, Djoser: grazie all'opera dell'architetto Imhotep, la cui storicità è un dato certo, vengono a maturazione due fatti fondamentali, strettamente correlati tra di loro. Anzitutto vi è la definitiva affermazione dell'ideologia della regalità di diritto divino, destinata a rimanere, almeno sul piano teologico, il principio formante dello Stato egiziano; inoltre vi è la scoperta del linguaggio architettonico come strumento di diffusione di tale ideologia, in grado, ben più della scrittura, ancora ai primordi delle sue possibilità espressive, di raggiungere, per le sue immediate possibilità di comprensione, almeno potenzialmente, la totalità degli Egiziani. Il punto di partenza di tale percorso è appunto il complesso funerario di Djoser, opera di Imhotep. Nel progetto del grande architetto, le strutture architettoniche sono diretta espressione dell'ideologia, su due piani: il primo riguarda l'impiego dei materiali, perché il complesso funerario di Djoser, per la prima volta, non solo nella storia dell'Egitto antico, è interamente realizzato in pietra: ciò corrisponde all'esigenza di costruire un edificio che doveva durare per sempre, un palazzo per l'eternità, destinato ad ospitare il corpo del sovrano defunto, che si contrapponesse a quello, in mattoni crudi e quindi inevitabilmente perituro, in cui il sovrano abitava durante la vita. Il secondo piano espressivo concerne l'idea stessa della regalità di diritto divino: il sepolcro del re deve riflettere da un lato la distanza che lo separa dai suoi sudditi (un dio che regna sugli uomini) e dall'altro la sua stessa essenza divina, la qualità del suo essere un dio. Imhotep costruisce un complesso il cui centro ideale si va precisando come una piramide a gradoni (in sostanza una serie di maṣṭaba sovrapposte fino all'altezza di 60 m ca.) attorno alla quale costruisce tutta una serie di edifici il cui apparire si presenta come una cosa ben diversa rispetto al loro essere. Si tratta in effetti di costruzioni non funzionali, nel senso che esse sono piene al loro interno e quindi inaccessibili, destinate come sono a servire al sovrano solo nell'aldilà per il compimento di una serie di riti, primo fra tutti la festa heb-sed, con la quale veniva celebrato il suo giubileo. La parte più propriamente funeraria si trova al di sotto della piramide, mentre il raccordo tra l'aldilà e il mondo dei vivi si realizza nel serdab (cella, in arabo), in cui si trova la statua del sovrano (ora al Museo del Cairo), con la quale è possibile comunicare attraverso una feritoia che si trova all'altezza degli occhi. L'intero complesso è infine circondato da un muro decorato con il motivo della "facciata del palazzo", che ne conferma il carattere di dimora per l'eternità. Resta non del tutto chiarito il significato della piramide, anche se appare evidente che tale scelta è connessa con le concezioni relative al destino ultraterreno del sovrano, con una chiara allusione alla sua ascesa verso il cielo, dove la sua natura divina lo riconduce dopo la morte secondo una concezione astrale per cui il re defunto si unisce in cielo agli altri dei che si trovano tra le stelle circumpolari, le cosiddette "stelle imperiture" perché non tramontano mai e quindi riproducono visibilmente sulla volta celeste il destino delle divinità. La sovrastruttura a forma di piramide evolve rapidamente, verso la fine della III Dinastia, dalla piramide a "gradoni" alla piramide "perfetta", a spigoli vivi. Tale mutamento coincide da un lato con l'abbandono dello schema architettonico elaborato da Imhotep per Djoser e dall'altro con l'affermarsi di un più maturo concetto della regalità di diritto divino che raggiunge il suo apice durante la IV Dinastia con le piramidi costruite sulla piattaforma calcarea di Giza, ora alla periferia del Cairo, da Cheope, Chefren e Micerino, sovrani già noti dalle fonti classiche. Qui le piramidi a spigoli vivi si realizzano in gigantesche costruzioni che rivelano il raggiunto dominio, anche se su un piano puramente empirico, delle tecniche edilizie e si collocano come centro ideale di un progetto fortemente innovativo in cui il carattere funerario prevale nettamente. La piramide è infatti il punto di arrivo di un percorso che ha inizio nel cosiddetto "imbarcadero", un edificio che si trova su un canale e nel quale viene fatto sbarcare, al momento del funerale che si svolge con un corteo di barche, il corpo del sovrano defunto. Da qui si passa al tempio "a valle" e da questo, attraverso un lungo corridoio monumentale, al tempio "alto" che si appoggia al lato orientale della piramide. Compiuti gli ultimi adempimenti rituali, il corpo del sovrano veniva infine collocato nel sarcofago, nella camera funeraria all'interno o al di sotto della piramide. Questo insieme di edifici era racchiuso da un muro all'interno del quale si trovavano anche le piramidi satelliti molto più piccole di quella principale e destinate alla sepoltura della o delle regine e di altri componenti della famiglia regale; potevano esservi anche degli alloggiamenti in cui venivano collocate le barche sacre (cinque nel caso del complesso di Cheope, con funzioni e significati diversi) e le case per i sacerdoti a cui veniva affidato il culto del sovrano defunto, culto che poteva durare secoli e talvolta millenni, perché la piramide veniva dotata di terre le cui rendite servivano appunto a questo scopo. Infine la piramide era circondata dalla necropoli costituita dalle tombe dei funzionari che avevano prestato servizio alla corte del sovrano. Non v'è dubbio che la piramide perfetta corrisponde, meglio di quella a gradoni, al perfezionarsi del dogma della regalità di diritto divino. La sua forma riproduce probabilmente su un piano monumentale la parte terminale degli obelischi, notoriamente legati con il culto del dio Ra a Heliopolis, e allude quindi al destino solare del sovrano. Ciò appare del resto confermato per altra via dal duplice orientamento delle piramidi: quello est-ovest che si dispone in conformità del moto apparente del Sole durante il giorno e quello verso nord (l'entrata delle piramidi è regolarmente in tale direzione) che ne riguarda invece il destino astrale notturno. Con l'affermarsi della piramide perfetta e del complesso dei monumenti che sono ad essa connessi, non vi sono più mutamenti sostanziali nella tipologia delle sepolture regali dell'Antico Regno, anche se con la piramide di Micerino, della IV Dinastia, comincia una parabola discendente in termini di monumentalità: a partire da essa, le piramidi infatti cominciano ad essere di dimensioni minori e nella loro costruzione vengono impiegati materiali di qualità inferiore rispetto a quelle precedenti, cosa che si riflette immediatamente e visibilmente nel loro diverso stato di conservazione. Poche sono le eccezioni a una tradizione che appare ormai consolidata: la prima è costituita dalla sepoltura costruita per il re Shepseskaf della IV Dinastia, la cosiddetta maṣṭabet el-faraun (la maṣṭaba del faraone, in arabo) che si trova a Saqqara sud, in cui la piramide viene sostituita da una sovrastruttura che assume la forma di un enorme sarcofago, secondo un progetto che non ha avuto fortuna ed è stato subito abbandonato. La seconda eccezione è data dalla presenza, già a partire dal re Snofru della IV Dinastia se non da prima, di piccole piramidi costruite in varie parti dell'Egitto, dal Fayyum fino ad Elefantina, a carattere non funerario: ne è discusso il loro significato, in assenza di iscrizioni chiarificatrici, ma sembra ormai accertato che esse avessero la funzione di affermare la presenza della regalità in zone periferiche del Paese attraverso il monumento in cui essa si esprimeva nel modo più chiaramente comprensibile per chiunque, ciò che conferma in modo definitivo il legame tra le piramidi e l'ideologia del potere al di là del loro valore puramente funerario. La costruzione delle piramidi subisce un'interruzione durante il Primo Periodo Intermedio: la rottura dell'unità dello Stato, ben riflessa dalla presenza di dinastie parallele, e il prevalere di centri provinciali del potere fanno sì che il monumento in cui più che in ogni altro si esprimeva visibilmente la centralità della regalità di diritto divino venga meno. Si tratta in realtà di una parentesi lunga circa duecento anni in cui, dal punto di vista istituzionale, l'Egitto torna in sostanza al periodo anteriore all'unificazione e che si risolve solo con l'XI Dinastia, di origine tebana, che conduce a compimento il difficile compito della riunificazione e della ricostituzione dello Stato unitario. A uno dei protagonisti di tali eventi, Nebhepetra Montuhotep, si deve la costruzione di un complesso funerario, a Deir el-Bahari, sulla riva sinistra del fiume a Tebe, che innova profondamente rispetto alla tradizione dell'Antico Regno, anche se ne mantiene la distinzione tra le diverse parti costitutive. La tomba del sovrano è scavata nella roccia della montagna ed è preceduta da un edificio terrazzato al centro del quale si trovava una costruzione a base pressoché quadrata di discussa ricostruzione: per alcuni una piramide, con l'ovvio simbolismo legato alla regalità menfita, per altri una maṣṭaba, per altri ancora una collina arrotondata, con diversi valori simbolici e religiosi. Tale edificio si collega con il tempio a valle (oggi distrutto) per mezzo di una rampa che si apre su un corridoio monumentale; tra i due templi si trova, scavata nel sottosuolo, una tomba anch'essa regale (qui fu trovata la statua di Montuhotep ora al Museo del Cairo), forse una sepoltura simbolica o quanto resta di un progetto poi abbandonato. È nella XII Dinastia che la tradizione delle piramidi riprende forza, nella zona compresa fra la nuova residenza regale, che viene posta in una città di nuova fondazione, Ity-Tauy (oggi Lisht), nella valle del Nilo all'altezza del Fayyum, fino ad Hawara e Illahun che si trovano sul margine sud-orientale del Fayyum stesso. È evidente, nei sovrani della XII Dinastia, la volontà, carica di profondi motivi ideologici che si colgono anche in altri fatti coevi, di rifarsi agli usi funerari dell'Antico Regno e di riaffermare quindi, al termine di un lungo periodo di crisi, i valori della continuità di un'ideologia regale che aveva profondamente sofferto dei sommovimenti anche sociali del Primo Periodo Intermedio. Le piramidi del Medio Regno sono di materiali più poveri di quelle del III millennio: nella loro costruzione si ricorre ad alcuni accorgimenti diretti ad ovviare agli inconvenienti che potevano derivare da questi fatti; nell'insieme però è difficile poter affermare che i complessi funerari dei sovrani della XII Dinastia siano improntati a una politica di risparmio: basterà ricordare qui che il tempio funerario della piramide di Amenemhat III ad Hawara coincide con il cosiddetto Labirinto, immenso edificio di tremila stanze divise su due piani, visitato da Erodoto durante il suo viaggio in Egitto a metà del V sec. a.C. e di cui lo storico greco parla con toni di alta ammirazione. Le piramidi non vanno oltre i primi sovrani della XIII Dinastia e scompaiono definitivamente con il Secondo Periodo Intermedio (XIII-XVII Din.), quando il Paese vede dapprima una nuova rottura dell'unità politica e l'installarsi poi nel Delta e in gran parte della valle (con esclusione di Tebe) di un principato di origine straniera, fondato dagli Hyksos. L'unità dell'Egitto viene nuovamente realizzata con la cacciata degli Hyksos da un principato di origine tebana al quale si deve la fondazione della XVIII Dinastia e con essa del Nuovo Regno. La restaurazione della monarchia unitaria coincide con l'affermarsi di una nuova tipologia delle sepolture regali che corrisponde certamente a un nuovo rituale funerario, come risulta chiaro dai testi che vengono scritti sulle pareti delle tombe che descrivono complicati percorsi di un aldilà che i faraoni condividono ora con i loro sudditi, anche se il dogma della regalità di diritto divino non viene rinnegato sul piano formale. Vi è anche, ora, un'esigenza di sicurezza che sembra acquistare un ruolo di primo piano, dopo che un'esperienza più che millenaria e riflessa anche in testi letterari, quali il Canto dell'Arpista, aveva dimostrato come anche le piramidi con la loro mole immensa non erano inaccessibili ai ladri e i sepolcri dei sovrani dell'Antico Regno infatti erano stati profanati. La nuova tipologia si fonda sulla separazione tra la tomba vera e propria e il tempio nel quale veniva praticato il culto del sovrano defunto. La prima veniva collocata al termine di lunghe gallerie sotterranee (le "siringhe" dei Greci), regolarmente scavate nella cosiddetta Valle dei Re, una valle laterale che si apre nella catena di colline calcaree che si innalzano sulla riva sinistra del fiume a Tebe, mentre i templi funerari, spesso di dimensioni imponenti, venivano costruiti altrove, in una lunga fila disposta al limite tra il deserto e il terreno coltivato, senza che vi fosse tra la tomba e il tempio funerario quel legame fisico che costituiva una delle caratteristiche più importanti della tradizione precedente. In tal modo la tomba non era visibile all'esterno, occultata nelle viscere della montagna, e il tempio non forniva nessun elemento tangibile per condurre ad essa e ai tesori che vi erano racchiusi. Con la fine del Nuovo Regno e l'inizio dell'epoca tarda assistiamo ad un nuovo mutamento nella collocazione e nella struttura delle tombe regali. Gli scavi di Tanis, nel Delta orientale, hanno portato alla luce tombe di sovrani della XXI e della XXII Dinastia che erano collocate all'interno del recinto del tempio principale della città, dedicato al dio Amon. Non è sicuro che queste tombe avessero una sovrastruttura: il fatto che non sia stata ritrovata non ha valore probante. La parte sotterranea comprende diverse stanze con deposizioni spesso plurime, un ricco corredo funerario e pareti talvolta decorate. Non sono chiari i motivi che hanno portato a scegliere l'interno dei templi per le sepolture dei sovrani; qui le ragioni di sicurezza non sembrano essere la principale delle preoccupazioni, mentre le giustificazioni di carattere rituale, come la volontà di stringere sul piano fisico il rapporto tra il faraone e il suo dio cittadino, avrebbero bisogno, per potersi accettare senza riserve, di un qualche riscontro testuale. Le scoperte di Tanis confermano del resto la testimonianza autoptica di Erodoto secondo la quale i sovrani della XXVI Dinastia erano stati deposti in tombe poste all'interno del recinto del tempio della dea Neith a Sais oggi pressoché interamente distrutto e tale quindi da non consentire una verifica sul piano archeologico. L'architettura delle tombe private differisce profondamente da quella delle tombe regali e, a partire dalla III Dinastia, ha una storia che diverge da esse, anche se va ribadito che la struttura modulare è l'elemento che le accomuna. Nel momento in cui la definitiva asserzione della divinità del sovrano impone un'architettura particolare per la sua sepoltura, le tombe dei privati continuano al contrario a mantenere la struttura precedente, che rimane sostanzialmente immutata per tutto il III millennio a.C., con le tombe cosiddette a maṣṭaba che si articolano nella sovrastruttura a sezione trapezoidale (maṣṭaba), nel pozzo e nell'appartamento sotterraneo destinato a contenere il sarcofago. La società rigidamente gerarchica dell'Antico Regno faceva sì che la tomba (e di conseguenza la possibilità di avere una vita oltre la morte) fosse un privilegio che il re-dio concedeva a un gruppo assai ristretto di funzionari dei quali era particolarmente soddisfatto e che erano destinati perciò a seguirlo nell'aldilà per costituire la sua corte celeste. È per questo che le tombe a maṣṭaba non si trovano isolate nelle grandi necropoli regali, quali Saqqara e Giza, ma vengono ordinatamente disposte attorno alle piramidi dei sovrani presso cui i dignitari avevano prestato servizio, divise in quartieri intersecati da strade, dando luogo perciò a giganteschi complessi architettonici, in cui dalle tombe individuali si risale mano a mano fino alla piramide, secondo un coerente percorso ascensionale che è prima di tutto il riflesso di una precisa e assai rigida gerarchia sociale. Accanto alle tombe rinvenute nelle grandi necropoli regali, altre se ne trovano, già nell'Antico Regno, in necropoli decentrate rispetto a quelle della residenza della corte: ad Abido, ad esempio, che conservava pur sempre i caratteri di necropoli regale, come tale attestata per le prime due dinastie, e ancora più a sud, ad Assuan (necropoli di Qubbet el-Hawa) dove si trova un'importante serie di tombe di funzionari della VI Dinastia che vi avevano svolto importanti funzioni. Qui è documentata una variante importante della tipologia della tomba a maṣṭaba, in cui la sovrastruttura è in realtà scavata nella roccia delle montagne poste sulla riva sinistra del fiume sul quale incombono senza soluzione di continuità. È con il Primo Periodo Intermedio e i suoi sconvolgimenti economici, politici, sociali e quindi ideologici che assistiamo a mutamenti importanti nella tipologia dell'architettura funeraria. Il venir meno della piramide come sovrastruttura delle tombe regali (e dei componenti della dinastia regnante, genericamente quindi principesche) rende difficile fare una distinzione troppo netta tra le une e le altre, tanto più che ciò coincide con un visibile decentramento del potere politico: a una architettura (e a un'arte) fortemente unitaria perché emanazione della corte menfita, si sostituiscono ora una serie di esperienze provinciali non sostenute da una coerente visione ideologica. Così a Beni Hassan, in Medio Egitto, sulla riva destra del fiume, si trova una serie di tombe rupestri che riflettono bene il passaggio tra il Primo Periodo Intermedio (a cui risalgono le più antiche) e il Medio Regno (fino al regno di Sesostris I): la pianta di quelle più mature presenta un cortile esterno con due colonne di tipo cosiddetto "protodorico" dal quale si accede a una camera a pianta rettangolare con quattro pilastri e una nicchia per la statua del defunto. Molte presentano una decorazione pittorica parietale con il colore applicato direttamente sulla pietra secondo cicli figurativi che sviluppano temi e linguaggi che sono fortemente innovativi rispetto a quelli dell'epoca precedente. Il fatto che le tombe siano state ricavate dalla catena di colline che si trovano sulla riva destra fa sì che esse siano orientate con l'ingresso verso ovest, ciò che sembra contrario se non al dogma, certo alla consuetudine di porre le necropoli sulla riva sinistra del Nilo (l'occidente è per gli Egiziani il luogo in cui si colloca il regno dei morti, "quelli dell'occidente" secondo una loro espressione eufemistica) e all'orientamento est-ovest: ma non è certo questa l'unica eccezione a tale principio se, come risulta da studi recenti, le necropoli sulla riva destra sono circa in numero uguale a quelle sulla riva sinistra. Una tipologia diversa, pur sempre rapportabile a tombe destinate a principi locali, gli Antef, si trova in ambito tebano, a el-Tarif. Qui ampi cortili in leggerissima ascesa e forse originariamente destinati ad ospitare cappelle di culto funerario, conducono a tombe scavate anch'esse nella roccia che presentano una facciata con una serie di aperture a saff (fila, in arabo, donde "tombe a saff ") di cui quella centrale dà accesso su un corridoio che porta nel sottosuolo dove si trova la deposizione principale. Accanto a questa, altre se ne possono trovare, secondarie, per altri componenti della famiglia: qui siamo però di fronte a tombe che presentano un carattere molto vicino a quelle regali, come dimostra il fatto che attorno ad esse si trovano le deposizioni di funzionari. Un altro esempio di tali ambiziose deposizioni principesche, di non molto posteriori a quelle tebane, è costituito dalle tombe di Wah-ka e Ipu a Qaw el-Kebir, dove si hanno espliciti riferimenti all'architettura degli edifici connessi con le piramidi menfite. Anche qui troviamo una tomba scavata nella roccia delle colline che si aprono sulla valle: ma essa è preceduta da un complesso architettonico che trova la sua origine in un porticato sulla riva del Nilo, legato da un corridoio monumentale a un insieme che ricorda il tempio "alto" delle piramidi menfite, con vari cortili e colonnati. Non v'è dubbio che, per quanto interessanti, tali soluzioni architettoniche rimangano per così dire eccezionali e che il tipo della tomba a maṣṭaba sia ancora largamente in uso, come dimostra la presenza di tali strutture nelle necropoli di principi e funzionari che si trovano presso le piramidi dei sovrani della XII Dinastia. Con il Nuovo Regno, Tebe diventa la sede della rinnovata regalità e la Valle dei Re il luogo in cui ora i sovrani vengono deposti dopo la morte. Riprendendo una tradizione antichissima e che in realtà non ha mai avuto una reale interruzione se non nei periodi in cui l'unità del Paese è venuta meno, i funzionari dei sovrani del Nuovo Regno, e in particolare quelli che prestavano servizio presso la corte, a Tebe, sono stati sepolti in una necropoli scavata nelle colline che si trovano sulla riva sinistra del Nilo, nei pressi quindi della necropoli regale. È da notare che questa importante necropoli rispecchia molto bene anche la mutata struttura della società egiziana del Nuovo Regno, perché in essa troviamo non solo personaggi di grado molto elevato (come i visir), ma anche altri che svolgevano funzioni assai più modeste: ciò si riflette, pur con vistose eccezioni nel diverso valore della decorazione specie pittorica, nella sostanziale omogeneità dell'architettura funeraria. Il punto di partenza è costituito da un cortile a cielo aperto e a pianta grosso modo quadrata, ricavato nella roccia della collina, sul fondo del quale si apre una porta grazie alla quale si ha accesso alla tomba vera e propria che presenta una pianta a T rovesciata: dapprima si incontra una stanza con asse parallelo all'ingresso, da cui si passa a una seconda sala ad essa perpendicolare in fondo alla quale è collocata una nicchia con la statua del defunto e nella quale si apre il pozzo che conduce alla sala funeraria in cui si trova il sarcofago. La struttura architettonica trova la sua integrazione nella decorazione che comporta due stele nella sala d'ingresso (quella nord ha per lo più contenuto biografico e quella sud contenuto religioso) e scene dipinte sulle pareti anche qui con tematiche diverse, laiche, per così dire, nell'ingresso e religiose nella sala che porta al pozzo funerario, con l'immancabile scena di banchetto. Un'importante necropoli del Nuovo Regno si trova anche a Saqqara ed è ancora in corso di scavo: ma fin d'ora si può rilevare, grazie ad esempi molto importanti come la tomba del comandante in capo delle forze armate egiziane durante il regno di Tutankhamon, Horemheb, poi egli stesso faraone, che qui si afferma un tipo in cui la sovrastruttura, interamente costruita e non scavata nella roccia, assume la forma di una cappella, o nel caso suddetto di un vero e proprio tempio, splendidamente decorato, da cui, con il solito sistema dei pozzi, si accede all'appartamento funerario. Assai meno informati siamo per le tombe private di epoca tarda di cui però abbiamo importanti esempi per quanto non sistematici. Vi è anzitutto il caso della necropoli tebana dove si sviluppa una tradizione in cui la sovrastruttura è rappresentata da edifici costruiti sul suolo di dimensioni spesso imponenti; si può citare a questo proposito la tomba di Montuemhat "principe della città e quarto profeta di Amon", vissuto tra la fine della XXV e l'inizio della XXVI Dinastia con poteri quasi regali sul nomo tebano, la cui tomba si trova a Deir el-Bahari presso il complesso funerario della regina Hatshepsut, in cui la sovrastruttura assume la forma di un tempio di dimensioni molto rilevanti e si ricollega a una tradizione già presente nell'area e che continuerà almeno per tutta la XXVI Dinastia, con tombe che presentano talvolta uno sviluppo sotterraneo di dimensioni prima inusitate, come accade per la tomba di Petamenofi, di incerta datazione, ma forse del regno di Psammetico I, che raggiunge uno sviluppo di quasi cinquanta stanze, la più grande della necropoli tebana. A Saqqara sembra svilupparsi una tradizione diversa con le tombe a sarcofago che non sembrano anteriori al regno del faraone Apries. Esse sono costituite da un pozzo, profondo circa 30 m al termine del quale si trova la stanza funeraria costruita in blocchi di calcare che ha la forma di un gigantesco sarcofago, all'interno del quale ve n'è un secondo in calcare, sempre di grandi dimensioni, che ne racchiude a suo volta un terzo in basalto destinato a contenere il corpo del defunto. È da notare che sulle pareti del sarcofago più esterno sono incisi gli arcaici Testi delle Piramidi, che rivelano quella volontà arcaizzante che è tipica della XXVI Dinastia.
K. Lange - M. Hirmer, L'Egitto. Architettura, scultura, pittura di trenta secoli, Firenze 1961; S. Donadoni, L'Egitto, Torino 1981 (con bibl. prec.); J. Malek - W. Forman, Splendori e civiltà dell'Antico Regno, Novara 1986.