L'architettura: caratteri e modelli. Mondo islamico
di Paolo M. Costa
L'architettura del mondo islamico riflette ovviamente la varietà ambientale e culturale di un'area territoriale vastissima che include regioni molto evolute, che in alcuni periodi sono state all'avanguardia dello sviluppo tecnologico, e regioni caratterizzate invece da un'arretratezza endemica. Nelle prime l'arte di costruire si è sviluppata ed evoluta pienamente, realizzando edifici di notevole livello architettonico, nei quali tradizioni disparate si sono spesso manifestate in un felice sincretismo artistico. Nelle regioni più arretrate e isolate l'architettura ha mantenuto invece forme e soluzioni vernacolari, spesso ravvivate e arricchite dalle forti motivazioni spirituali e funzionali della nuova società islamica. L'architettura islamica è dunque meglio intesa in un apprezzamento regionale, più che tipologico o cronologico, anche per la forte caratterizzazione che le costruzioni ricevono dai materiali costruttivi impiegati, che solo nell'età contemporanea hanno perduto una quasi totale dipendenza dalle disponibilità locali. Va ancora detto che la civiltà islamica, specie nelle prime fasi del suo sviluppo, si è manifestata in campo costruttivo in modo estremamente sobrio e rispondente ad esigenze essenzialmente pratiche.
Nella Penisola Arabica le più antiche costruzioni del periodo islamico giunte a noi almeno parzialmente inalterate sono pochissime. Alcuni edifici che conservano quasi integre le strutture originali, quali la moschea attribuita al califfo Omar a Dumat al-Giandal nel Giauf saudita sono in uno stato di conservazione così cattivo da far prevedere, e temere, un loro restauro radicale. Altri edifici mantengono pressoché intatto il carattere e molti elementi architettonici originali, pur attraverso ripetuti restauri e talvolta ampliamenti (ad es., la Grande Moschea di Sanaa, la moschea di al-Gianad e la Grande Moschea di Shibam Aqyan). L'impressione che si ha di questa architettura arabo-islamica delle origini può forse descriversi come una notevole monumentalità unita a linee molto austere e spoglie, uno sviluppo volumetrico contenuto e una totale mancanza di decorazione. L'originalità di quest'architettura sta spesso nel legame tra l'edificio e il contesto urbano (ad es., la moschea di Dumat al-Giandal e il mausoleo del profeta Hud nel Wadi Hadramaut) più che nella propria struttura, che resta molto modesta. In epoca più tarda (IX-XIII sec.) l'architettura si arricchisce di elementi decorativi molto raffinati (specialmente legno e stucco scolpiti, più raramente dipinti), quali si trovano specialmente nello Yemen (Sanaa, Sarha, Zafar Dhi Bin) e nell'Oman (Zafar e Saal).
Nel corso del VII secolo tutta l'Africa settentrionale entrò a far parte del dominio islamico, ricevendo l'impronta culturale e artistica che ha caratterizzato il califfato omayyade. Per la notevole influenza delle varie tradizioni locali preislamiche è opportuno considerare due aree distinte, cioè l'Egitto e i quattro Paesi che si affacciano sul Mediterraneo occidentale: Libia, Tunisia, Algeria e Marocco. In Egitto l'attività costruttiva del periodo protoislamico si concentrò soprattutto nella zona in cui doveva poi svilupparsi in età fatimide la metropoli del Cairo. Già nel 641, a segnare il dominio sul Delta e il controllo del Nilo, fu fondato il nucleo abitato di al-Fustat, seguito poco più a nord dal campo militare al-Askar e poi dal quartiere tulunide e dall'acquartieramento di al-Qatai. I monumenti più importanti e rappresentativi che si sono conservati di queste fasi dell'insediamento del Cairo, inclusi quelli del primo periodo abbaside, sono la moschea di Amr (641/2), il Nilometro dell'isola di ar-Raudha (costruito nel 715 e ricostruito nella forma attuale nell'862 d.C.), la moschea di Ahmed ibn Tulun (876 ca.). Della grande città del Cairo, la più notevole realizzazione dei Fatimidi, restano le moschee di al-Azhar (970-972) e di al-Hakim costruita fra il 975 e il 1021. Sembra opportuno accomunare in uno sguardo d'insieme Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, oltre che per motivi storico- culturali, anche per una certa uniformità di materiali e di tecniche costruttive che si ritrova nella regione. Poco sopravvive in quest'area del periodo della conquista e del califfato omayyade. Strutture islamiche molto antiche, ma non datate con certezza, restano a Sigilmasa e ad Agadir, nel Marocco meridionale, dove la città santa di Mulay Idris conserva il mausoleo del fondatore della dinastia locale degli Idrisidi (789-926) resasi indipendente dal governo abbaside. Fra le costruzioni più antiche del periodo abbaside restano a Fez, nel Marocco settentrionale, la Grande Moschea dei Qarawiyyin (850) e a Susa, nella Tunisia nord-orientale, la moschea Bu Fatata (838-841), il ribāṭ (convento fortificato; 821/2) e la Grande Moschea (850/1). Ancora in Tunisia la città di Kairouan conserva varie costruzioni del IX secolo: la Grande Moschea, con il cortile circondato da gallerie su tre lati e da una profonda sala di preghiera sul lato sud, la moschea cosiddetta "delle tre porte" e i monumentali impianti idrici con le cisterne circolari, di cui la più grande misura ben 130 m di diametro. In Libia oltre alle antiche strutture della città-oasi di Ghadames, per le quali la datazione permane incerta, sono stati riportati in completa luce da scavi archeologici i resti monumentali di una moschea e di un palazzo del periodo fatimide ad Adjdabiya, centro carovaniero sul lato orientale del Golfo della Sirte.
I resti architettonici della cultura arabo-siciliana, che ebbe inizio nell'826 circa con la conquista araba dell'isola, sono riconducibili all'XI secolo, nel periodo della piena dominazione normanna, durante la quale la forte tradizione costruttiva precedente non solo continuò ma ricevette nuovo vigore. I monumenti più rappresentativi sono la Cappella Palatina, i palazzi della Zisa, la Cuba, la Favara, il Ponte dell'Ammiraglio in Palermo, il bagno di Cefalà Diana e le abitazioni e la moschea recentemente scoperte presso l'acropoli di Segesta. L'arte della Sicilia araba rappresenta uno sviluppo autonomo della tradizione fatimide, arricchita da forti influenze locali e da una ancora non del tutto chiarita componente mesopotamico- selgiuchide.
Sottratta dall'esercito musulmano al dominio dei Visigoti nella prima metà dell'VIII secolo la regione restò con piccole variazioni territoriali sotto il dominio islamico fino al 1492. Questo lungo periodo di prevalenza arabo-musulmana lasciò segni indelebili in ogni aspetto della cultura, anche se la società cosmopolita del tempo annoverava importanti e numerose comunità cristiane ed ebraiche. Il sorgere della dinastia abbaside segnò nel 750 la fine del potere degli Omayyadi, ma determinò al tempo stesso, con la fuga in Occidente di un sopravvissuto discendente del califfo Hisham, il sorgere del ramo spagnolo della dinastia omayyade, che doveva estinguersi solo nel 1031. Di questi tre secoli di storia esistono pochi ma importanti monumenti: la Grande Moschea di Cordova (784-786, in seguito frequentemente restaurata, ampliata e infine ristrutturata come chiesa), i resti del palazzo di Madinat az-Zahra presso Cordova (936-976), il minareto incorporato nella chiesa di S. Giovanni a Cordova (930), la cittadella di Mérida (835) e la moschea di Bab al-Mardun a Toledo (1000), convertita in chiesa dopo la conquista della città da parte dei cristiani nel 1085. La grande importanza dell'architettura musulmana di Spagna sta soprattutto in costruzioni più tarde e di vario genere, quali i giardini del Generalife, presso Granada (XIV sec.), i bagni termali di Ronda (XII e XV sec.), il palazzo di Aljafería di Saragozza (1046-1081), la Grande Moschea di Siviglia (1171-1176) e soprattutto il grande complesso residenziale fortificato dell'Alhambra (XIII-XIV sec.), presso Granada, nel quale colpisce particolarmente il contrasto fra la rude potenza delle opere difensive e la raffinata eleganza delle strutture architettoniche interne, delle opere idrauliche dei giardini e della decorazione.
Tali Paesi corrispondono con qualche approssimazione alle provincie orientali dell'Impero romano, dove l'eredità della Tarda Antichità romana e del periodo bizantino si è incontrata con ricche tradizioni costruttive locali, con la tradizione mesopotamico-iranico-achemenide, partica e sasanide e infine con l'interesse per una nuova architettura giunto con l'espansione islamica. Esemplare risultato di questo fecondo amalgama di esperienze è indubbiamente la Cupola della Roccia, nota anche come Moschea di Omar, a Gerusalemme (685-692). L'edificio, che copre e incastona il culmine della montagna da cui sarebbe asceso al cielo Maometto, rappresenta la prima fase dell'islamizzazione di Gerusalemme, con la quale si materializza in un unico complesso monumentale, racchiuso dal "temenos islamico" del Haram ash-Sharif (715), la visione ebraico-cristiano-musulmana della tradizione biblica. Altri importanti monumenti del periodo protoislamico nella regione, a parte la moschea al-Aqsa, che è compresa nel Haram ash-Sharif, sono: il palazzo di Khirbet al-Mafgiar (740-750), il Qasr al-Hair al-Sharqi e il Qasr al-Hair al-Gharbi (721), la città di Angiar (714/5), parte della cittadella di Amman (fine del VII sec.) sul sito di un santuario preislamico, numerosi edifici residenziali appartenenti a vere e proprie aziende agricole a coltura intensiva. Ricordiamo tra questi Qasr al-Kharani, Qasr al-Hallabat, Qusair Amra, Qasr at-Tuba e Qasr Mshatta, tutti costruiti attorno alla metà dell'VIII secolo. Il monumento forse più rappresentativo di questo periodo è la Grande Moschea di Damasco, nota comunemente col nome di Moschea degli Omayyadi (709-715), un grande edificio a navate trasversali, preceduto da un vasto cortile, costruito su una chiesa che aveva utilizzato il sito e i resti di un tempio pagano dedicato a Giove Damasceno, che aveva a sua volta rimpiazzato un tempio dedicato al dio siriaco Hadad. Il tempio è importante anche per i ricchi mosaici e per la particolare pianta a T della sala di preghiera.
Le prime manifestazioni architettoniche islamiche risalgono al periodo selgiuchide e costituiscono in ordine di tempo la seconda grande immissione della cultura centroasiatica nelle terre centrali del califfato, dopo il caso di Samarra e dell'appendice tulunide in Egitto. I Selgiuchidi di Rum (o occidentali), che predominarono in Asia Minore fra il 1070 e il 1308, introdussero un gusto architettonico molto particolare, con un uso sapiente della pietra e del mattone impiegati nell'apparecchio di murature spoglie ed essenziali, ravvivate in alcuni punti da una ricca e spesso esuberante decorazione a rilievo. Fra i monumenti più rappresentativi e meglio conservati risaltano molte opere di pubblica utilità, quali i ponti, i caravanserragli, i bagni e gli ospedali (ad es., il caravanserraglio di Ansaray, 1229; i ponti di Batman Su, grande opera di 150 m circa di lunghezza costruita attorno al 1147 sui fiumi Silvan e Bitlis; la scuola detta Cifti Minare di Erzurum, del 1253, e l'ospedale con annessa moschea, edificato nel 1229 a Divrigi per interessamento della dinastia locale dei Mengüyükidi). Fra gli edifici religiosi dovuti all'attività costruttiva dei Selgiuchidi spiccano, oltre alle moschee (ad es., la straordinaria moschea Esreföglu di Beysehir, del 1297, con tetto piano sostenuto da 48 altissime colonne lignee, o la moschea di Ala ad-Din a Konya, del 1156-1220 ca.), le caratteristiche tombe a pianta centrale dalle tipiche proporzioni slanciate. Valga come esempio la Doner Kunbet (1276 ca.) dall'alto zoccolo a pennacchi che collegano la base quadrata al fusto cilindrico della costruzione. IRAQ La grande pianura dei due fiumi fu tra le prime regioni propriamente esterne al territorio dell'Arabia ad essere raggiunta dall'espansione islamica. Fra le più antiche moschee costruite ad uso dei guerrieri islamici furono quelle di Basra e Kufa, risalenti nelle forme originarie rispettivamente al 635 e al 638, ma presto sostituite (rispettivamente nel 665 e nel 670) da edifici più grandi e accuratamente costruiti, che però mantenevano la stessa pianta basata sul semplice schema di un grande cortile centrale circondato da gallerie. Il materiale e le tecniche prevalenti, data la vegetazione molto scarsa e la pressoché totale mancanza di alberi ad alto fusto, sono il mattone, generalmente cotto, ma spesso anche seccato al sole, e la volta a cupola eseguita con la tecnica diffusa in Iran della costruzione su piano inclinato, senza centina. Tipici edifici a piccoli mattoni cotti di colore giallognolo sono la Madrasa al-Mustansiriyya di Baghdad (1233, in seguito molto restaurata), la tomba cosiddetta "di Zubaida", attribuita alla moglie del califfo Harun ar-Rashid (786-809), ma forse risalente a un periodo più tardo (1179-1225 ca.).
Malgrado la profonda unità spirituale del mondo islamico, bisogna notare che nel campo artistico e architettonico, oltre alla diffusa varietà di forme, gusto e tecniche costruttive regionali a cui si è già accennato, esiste una notevole differenza fra l'area occidentale e l'area orientale. Di quest'ultima, che comprende un vasto mosaico di culture esteso dalla Mesopotamia al bacino del Tarim, dal Lago d'Aral all'Oceano Indiano, l'Iran è indubbiamente il centro vitale. L'Islam portò a est dei monti Zagros un'idea araba della moschea e vari aspetti dell'architettura secolare, mentre le ripetute invasioni turcomanne e mongole portarono a occidente dell'Amu Darya un gusto particolarissimo del tratto e uno sconosciuto senso del colore. L'antica tradizione artistica e costruttiva persiana seppe arricchire la semplice architettura islamica delle origini, anche con l'uso di diversi materiali e il ricorso alle tradizioni tecniche locali. D'altro canto bisogna osservare che gli invasori turchi centroasiatici e mongoli finirono semplicemente per dare vita a nuove dinastie iraniane e ad un'arte fortemente legata alla tradizione locale. La costruzione che presenta forse le linee più arcaiche e certamente più vicine ai prototipi arabi è la Tariq Khana di Damghan (Khorasan), costruita nel 750, la più antica moschea dell'Iran. Altri monumenti di questa fase antica, sia pure con aggiunte e rimaneggiamenti, sono la Grande Moschea di Isfahan (VIII sec.), la Grande Moschea di Nayin (X sec.) e la straordinaria Gumbadh-i Qabus (1007), una tomba a torre cilindrica dalle linee originalissime, uno dei prototipi di un genere che diverrà diffusissimo nei secoli successivi. Le tombe a pianta quadrata e coperte a cupola hanno come antecedente più illustre e meglio conservato il mausoleo dei Samanidi a Bukhara (X sec.), a pianta quadrata e sormontato da una cupola, caratterizzato dal notevole gioco decorativo dei piccoli mattoni cotti con cui è costruito. Le strutture più nuove e interessanti risalenti al periodo selgiuchide sono i minareti con fusto almeno parzialmente cilindrico, quali quello di Kirat (Khorasan, XI sec.) o quello, isolato e splendido, di Jam (Afghanistan, XII sec.). Importante, anche per le decorazioni pittoriche e a stucco, è il grande palazzo di Lashkari Bazar (Afghanistan, XII-XIII sec.). Una delle più tipiche costruzioni delle pianure dell'Iran e dell'Asia Centrale, diffusasi lungo le vie carovaniere specialmente in epoca selgiuchide e ghaznavide è il caravanserraglio (ad es., quello a Dayakhatin sul fiume Amu Darya, dell'XI sec., e il Ribat-i Sharif, del 1114).
Toccata nella zona costiera del Sind da alcune spedizioni militari dall'Oman già durante il califfato di Umar, l'India venne conquistata nella parte settentrionale solo nella seconda metà del XII secolo. La penetrazione avvenne per opera dei Ghaznavidi e poi dei Guridi e rappresentò l'incontro fra la cultura delle genti turche iranizzate e la cultura delle popolazioni Hindu e Jaina. Dal connubio derivarono nel campo costruttivo la cosiddetta "architettura indo-islamica" e l'adozione d'impianti urbanistici regolari con una rete viaria ad incroci ortogonali. Nell'architettura comparve un forte interesse per la "facciata", elemento sconosciuto nell'architettura protoislamica araba, ma presente in modo embrionale in taluni edifici persiani. I monumenti islamici più antichi si conservano nel territorio del Sultanato di Delhi (1197-1526) e annoverano la moschea Quwwat al-Islam (1197 ca.) e il Qutb Minar, una meravigliosa torre a pianta circolare di 15 m di diametro alla base, che si eleva per ben 72,5 m. L'architettura islamica più antica in India è spesso opera di architetti stranieri, per lo più iraniani, come nel caso della semplice e pur elegantissima moschea di Gulbarga nel Deccan (1367): una foresta di pilastri che sostiene arcate ad ogiva ortogonali, che a loro volta sostengono una copertura di 75 cupole.
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di Paolo M. Costa
Le tecniche costruttive adottate nel mondo islamico riflettono la varietà delle condizioni ambientali e dei materiali presenti in un territorio vastissimo. La scelta delle tecniche dipende in parte dai materiali a disposizione, ma è anche legata a fattori economici, culturali e sociali. Particolarmente rilevante è in questo rispetto il tipo di vita, di economia o di comportamento delle popolazioni, che nell'area islamica sono sia sedentarie che nomadi. Il nomadismo, anche nel caso di spostamenti limitati territorialmente, impone la scelta di tecniche costruttive che comportano l'uso di materiali leggeri, per lo più di origine vegetale o animale, che consentono facile trasporto e montaggio delle strutture portanti e di copertura. In altri casi, in genere molto primitivi, il nomadismo, o seminomadismo, si attua con l'uso passivo di ripari naturali (alberi o caverne) che non comporta l'impiego di tecniche evolute. La più grossa difficoltà per lo studio delle tecniche costruttive del mondo islamico delle origini è dovuta alla scarsità di notizie dettagliate sulla costruzione di edifici, con il loro costo, l'origine e la disponibilità dei materiali impiegati, e dalla pressoché totale mancanza di documentazione grafica anche sommaria. Solo in epoca tarda, verso la fine dell'impero ottomano, si hanno modellini in scala ridotta di edifici, realizzati per lo più in materiali semipreziosi e quindi più a scopo decorativo che illustrativo. L'impiego di materiali di origine vegetale non va riferito esclusivamente a popolazioni nomadi: lo si ritrova infatti anche presso comunità sedentarie che abitano zone in cui questo tipo di materiali viene scelto sia per la mancanza di altri materiali da costruzione sia per particolari condizioni climatiche e comunque ove vengano a mancare o siano giudicate secondarie le esigenze di difesa. L'uso di materiale arboreo per costruzioni particolarmente complesse e raffinate si trova nelle paludi dell'Iraq meridionale, lungo le coste dell'Oman nord-orientale (Batina) e sulla pianura costiera dello Yemen (Tihama). Le costruzioni delle paludi dell'Iraq sono essenzialmente formate da strutture portanti, elementi di chiusura e recinzione, coperture. Le strutture portanti consistono in robusti fasci di canne palustri infissi nel suolo e utilizzati come sostegni verticali o legamenti orizzontali. Questi fasci sono anche la componente fondamentale di grossi natanti atti anche alla navigazione d'alto mare (si vedano le imbarcazioni rappresentate nella glittica sumerica e la ricostruzione di Thor Heyerdahl, il Tigris). Gli elementi di chiusura e recinzione sono generalmente pannelli a griglia formati dagli steli principali delle foglie delle palme da dattero tenuti in posizione e rinforzati da legature di fibre. Gli elementi di copertura consistono in spesse stuoie di foglie di palma da dattero intrecciate, fissate sugli elementi portanti della costruzione a formare il tetto e le pareti. Le stuoie destinate al tetto sono più fittamente intrecciate per assicurare sufficiente tenuta alla pioggia e al vento. Tipico e monumentale prodotto dell'architettura vegetale delle paludi della Mesopotamia meridionale è il mudhif o "casa per gli ospiti". L'ambiente unico di pianta rettangolare, che può raggiungere le dimensioni di 18 × 6 m, è coperto con stuoie adagiate e fissate su una serie di fasci piegati ad arco e con le due estremità infisse nel terreno, in modo da formare una volta a botte, sostenuta dalla fitta successione delle robuste costolature. I due lati terminali di questo grande ambiente sono chiusi da pareti a fitta griglia in cui si aprono la porta centrale e due o più finestre. Quattro robusti fasci, o pilastri, verticali che superano sensibilmente la sagoma dell'arco, scandiscono queste pareti che assumono l'aspetto di vere e proprie facciate di gusto vagamente goticizzante. Nella Batina, la fertile piana che si sviluppa per oltre 300 km lungo le coste dell'Oman settentrionale, la costruzione vegetale detta bayt al-zur o "casa dello stelo" (della foglia di palma) è meno grande e monumentale del mudhif iracheno e vi si impiegano come elementi portanti dei tronchi di palma, invece che fasci di canne, la copertura è a doppio spiovente, e non è rara la presenza di un secondo piano. Nella Tihama dello Yemen e dell'Arabia Saudita sud-occidentale (Asir) l'abitazione è di pianta circolare coperta da tetto conico e completamente intonacata all'interno con una malta di argilla, paglia e sterco. Questa finitura che si estende anche al pavimento e a una piccola area antistante l'ingresso è illeggiadrita sulle pareti, e in specie sulla cupola, da disegni e pitture vivaci; tali raffigurazioni, frutto di lavoro convenzionalmente femminile, rappresentano, fra modanature e cornici, fiori e oggetti d'uso. Le comunità, generalmente pastorali, che conducono vita propriamente nomade, utilizzano di frequente la tenda (ḫaymah o più semplicemente bayt al-ša'ar) composta da stuoie di pelo di capra e/o cammello sostenute da elementi lignei. Questo tipo di riparo è esclusivamente vincolato dall'ottimale esposizione media ai raggi del sole e alla direzione del vento prevalente. L'unica articolazione della pianta è la stuoia appesa verticalmente (qata' ) per separare due o più zone d'uso. Generalmente la qata' divide la zona delle donne da quella degli uomini e degli ospiti e si collega perpendicolarmente all'apertura frontale della tenda. I materiali da costruzione più diffusi nel mondo islamico sedentario sono la pietra, il mattone cotto e il mattone essiccato al sole. Negli edifici costruiti con questi materiali un complemento importante è costituito dal legno, che può essere utilizzato sia all'interno delle murature per creare catene e tiranti liberi, sia naturalmente per le porte, gli infissi in genere, le cornici e i sostegni dei piani e del tetto. Dalla resistenza di questi elementi lignei e specialmente dalla loro inattaccabilità o meno, da parte di umidità, termiti, tarli e altri insetti, dipende in larga parte la durata delle strutture murarie. Il mattone cotto è molto diffuso nelle zone in cui è disponibile l'argilla e la vegetazione spontanea è sufficiente ad assicurare l'alimentazione delle fornaci. È forse superfluo osservare che il mattone cotto è particolarmente adatto alla costruzione in zone umide e molto piovose, dove d'altronde la vegetazione è fortunatamente più abbondante. Il mattone essiccato al sole (preparato in stampi a cassetta con argilla setacciata, impastata con paglia sminuzzata) è molto diffuso nelle zone aride in cui la pioggia è talvolta forte, ma normalmente di breve durata. Una tecnica particolare di costruzione con l'argilla impastata con paglia è lo zabūr, nel quale l'impasto non è usato per formare mattoni, ma è disteso come massa plastica in filari orizzontali su fondamenta in pietrame. Ogni corso dell'impasto viene disteso in uno spessore costante di circa 60 cm, battuto con spatoloni di legno e lasciato essiccare in opera. Le più belle costruzioni in zabūr si trovano nelle regioni di Sadah (Yemen del Nord) e del Najran (Arabia Saudita meridionale). Le strutture in pietra vengono apparecchiate con conci squadrati su cinque lati (ad es., le strutture del periodo preislamico nello Yemen e nello Hadramaut) oppure soltanto sul lato esterno in vista (come nell'architettura tradizionale dello Yemen e dell'Asir). Nel secondo caso i conci vengono messi in opera a piombo sulla faccia esterna e tenuti in posizione da scaglie e riempimento nei lati interni sbozzati a forte sottosquadro. Le pietre possono anche essere messe in opera con gli spigoli di andamento irregolare, ma questi vengono poi ritoccati in modo da combaciare perfettamente con quelli delle pietre vicine (questo tipo di costruzione risale alla cd. "cultura di Umm an-Nar" nell'Arabia orientale, della seconda metà del III millennio a.C.). La muratura in pietra è apparecchiata quasi esclusivamente a secco o con malta nelle parti interne. Nell'architettura sudarabica del periodo sabeo e del periodo protoislamico si trova di frequente, specie nelle strutture che devono offrire forte resistenza come fondazioni, dighe e argini, un tipo di apparecchio cosiddetto "a gradini" in cui i conci sono arretrati di 4-5 cm rispetto a quelli del corso sottostante. È molto diffusa anche la muratura a corsi di pietre ricavate da formazioni che tendono naturalmente alla sfaldatura tabulare. Le pietre sono quasi esclusivamente sbozzate sulla faccia esterna, normalmente a taglio piano o in curva nel caso si tratti di torre cilindrica o edificio a pianta circolare, scelte per la messa in opera in corsi di spessore decrescente verso l'alto. Chiaramente l'architettura in pietra richiede pari abilità sia da parte dello scalpellino che da quella del muratore che mette in opera i conci. Spesso le due tecniche sono eseguite dalla stessa persona. Comunemente il costruttore utilizza pietre informi che presentano un lato liscio, ma bordi irregolari. Questo pietrame è impiegato nell'apparecchio della faccia esterna del muro, che può essere semplicemente lisciata o coperta da uno strato di intonaco. Le malte sono per lo più a base di gesso o calce; per i tetti piani, gli intonaci esposti agli agenti atmosferici e le superfici interne di canali e cisterne, viene invece preparata una malta idraulica ad alta resistenza che, con nomi diversi, si trova pressocché ovunque in Medio Oriente, in Asia Centrale e in India. I muri interni sono quasi generalmente finiti a gesso, che consente anche la decorazione in rilievo, eseguita a intaglio o a stampo.
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di Basema Hamarneh
Il legno venne impiegato nelle strutture architettoniche solo a partire dal VII-VIII secolo, allorquando si definì una tradizione architettonica islamica vera e propria. Strutture lignee appaiono sia nella doppia cupola costolonata sopra il minbar della moschea al-Aqsa a Gerusalemme che in quella a doppio involucro della prima fase della Grande Moschea di Damasco (distrutta da un incendio); della medesima tipologia sono le strutture interne originarie della copertura della moschea al-Aqsa di Gerusalemme a tre sezioni con travi in legno. In Iraq prende forma la moschea ipostila a tetto piano sorretto da colonne prima in legno, poi sostituite col marmo; a questa tipologia appartiene la prima moschea costruita a Kufa, la copertura a capriate della moschea di Basra edificata nel 665 e quella del palazzo al-Ukhaydir a Baghdad edificato nell'VIII secolo. Alla stessa epoca si attribuisce l'uso della maqṣūra, ovvero di un recinto, generalmente in legno, all'interno della moschea congregazionale nei pressi del miḥrāb (nicchia nella parete indicante la qibla, la direzione della preghiera verso la Mecca). Influenze persiane sono percettibili negli interni del palazzo Jawsaq al-Khaqani edificato dal califfo al-Mutasim (833-842) dove compaiono rivestimenti di legno di teak dipinto e dorato. Il contatto con la tradizione centroasiatica influenza la decorazione architettonica specialmente nel rivestimento delle pareti con pannelli intagliati (Samarra, IX sec.). In Spagna nel X-XI secolo compare l'uso del legno policromo lavorato secondo una tecnica detta artesonado. Al XII secolo sono datate le cornici di legno sporgenti intorno ai portali chiamati alero, analoghi probabilmente a quelli nordafricani della porta della qaṣba degli Udaya a Rabat. Tra gli esempi più significativi dell'apporto della tradizione islamica nel contesto italiano è il soffitto della Cappella Palatina all'interno del palazzo reale di Palermo, opera promossa da Ruggero II, iniziata nel 1132 e terminata prima del 1149. In epoca mamelucca (1250-1390) il legno venne utilizzato in misura minore, privilegiandosi invece il marmo e il mattone, ed esso fu impiegato per i particolari decorativi: nella madrasa- türbe e nel maristān (ospedale) di Qalaun al Cairo vennero riutilizzati i pannelli lignei intagliati con scene cortigiane provenienti dal palazzo occidentale fatimide del Cairo, mentre la tomba del sultano stesso era coperta da trombe a muqarnas, con cupola e miḥrāb di legno scolpiti e dorati. Il complesso più articolato di questo periodo è forse quello della madrasa-türbe del sultano Hasan al Cairo, terminato nel 1359, dove la camera funeraria, descritta da Pietro della Valle nel 1616, aveva una cupola lignea a bulbo. Le tradizioni dell'Asia Centrale, sotto i Ghaznavidi (977-1186), ispirarono la costruzione di moschee selgiuchidi con tetto piatto sostenuto da colonne in legno. In area nordafricana, sotto i Marinidi (1196-1549), soprattutto nel XIV secolo si verifica l'uso costante del legno come parte integrante dell'edificio, soprattutto nelle strutture di carattere religioso. Le più antiche si trovano a Fez in Marocco e mostrano l'utilizzo del legno di cedro con esiti decorativi diversificati come nella Madrasa al-Attarin edificata dal sultano Abu Said Othman nel 1323-1325, dove appaiono gallerie laterali in cedro finemente scolpito e dorato, mentre nella Madrasa Meshrabiyya (1346/7) e nella Madrasa Bu Inaniyya (1350-1355) appare la sala di preghiera dotata di copertura a volte parallele con pannelli di legno artesonado intagliato a stella.
E. Kühnel, Der Mamlukische Kassetensil, in KuOr, 1 (1950), pp. 55- 68; L.R. Mayer, Islamic Woodcarvers and their Works, Geneva 1958; F. Gabrieli et al., Il medioevo arabo e islamico dell'Africa del Nord, Milano 1991; G. Curatola (ed.), L'eredità dell'islam. Arte islamica in Italia, Milano 1993; M. Abu Khalaf, Woodworking in Early Islamic Palestine, in Studies in the History and Archaeology of Jordan, 5 (1995), pp. 289-98; La Arquitectura del Islam Occidental, Barcelona 1995; Trésors fatimides du Caire, Paris 1998.
Sergio Martínez Lillo, Fernando Sáez Lara
Il reimpiego di materiali edilizi provenienti da edifici precedenti, soprattutto nei primi secoli dell'espansione musulmana, si concretizzò prevalentemente nell'uso di elementi di sostegno, quali fusti, capitelli, basi, pilastri e talora anche pannelli decorativi, costringendo ad adattare le misure dei pezzi reimpiegati alle necessità spaziali dei nuovi edifici. Dagli ordini classici gli architetti musulmani derivarono solo l'aspetto esterno, imitando a lungo i motivi vegetali corinzi e le volute ioniche, rendendoli sempre più stilizzati e giungendo a copiare i modelli romani dell'ordine composto. Un esempio dell'evoluzione dei capitelli musulmani è offerto dai diversi tipi utilizzati nelle varie fasi della moschea di Cordova (VIII-XI sec.). Gli archi appoggiati su colonne, secondo l'esempio delle strutture basilicali di tradizione classica e bizantina, costituirono la soluzione preferita per coprire ed organizzare grandi spazi, dalle cisterne alle ampie sale di palazzo o religiose. La necessità d'innalzare i tetti, a volta o architravati, costrinse ad elevare sui colonnati muri più o meno alti, a seconda della lunghezza dei sostegni reimpiegati. Per rendere tali muri più diafani, le colonne vennero collegate da grandi archi, poggianti su un blocco trapezoidale e su un piccolo pilastro posti al di sopra dei capitelli. L'equilibrio precario delle arcate così ampie, favorito dalle sproporzioni tra i vani e gli elementi di sostegno, fu rinforzato mediante la sistemazione di contrafforti e di travi di legno nella linea d'imposta degli archi (come a Amr ibn al-As ad al-Fustat, VII sec.; nella Cupola della Roccia a Gerusalemme, VII sec.; a Medina, VIII sec.; a Kairouan, VIII sec.). Nella moschea di Cordova le travi di legno furono sostituite da archi a ferro di cavallo: tale sistema offriva una maggiore solidità agli archi e permetteva di aumentarne la luce. Questa soluzione si ispirava forse alla struttura di alcuni acquedotti romani (ad es., quello di Milagros a Mérida) e, nelle moschee, sosteneva anche le grondaie dei tetti a doppio spiovente delle navate. Negli intercolumni, l'arco superiore era a tutto sesto, mentre quello inferiore, più stretto e inserito nella struttura del pilastro, era a ferro di cavallo. Questa forma, che si fa risalire all'architettura ispanica precedente, presentava il vantaggio di offrire una maggior altezza tra l'apice dell'arco e la linea d'imposta e quindi di aumentare la luce delle arcate. Queste soluzioni iniziali, condizionate dall'uso di elementi costruttivi reimpiegati, segnarono l'evoluzione successiva dell'edilizia musulmana. Quando i capitelli e i fusti erano realizzati da artigiani locali, mantenevano le piccole proporzioni e i piedistalli sulla linea d'imposta, come negli ampliamenti della moschea di Cordova e in alcune realizzazioni mamelucche del Cairo. Anche quando si avevano a disposizione elementi di grandi dimensioni, come nel caso dei capitelli della sinagoga di S. María la Blanca a Toledo (XII sec.), questi venivano combinati con altri di minori proporzioni. A partire dalle grandi costruzioni abbasidi in mattone, la tradizione medio-orientale preferì invece, come soluzione al problema dell'appoggio delle grandi arcate, un tipo di pilastro più robusto e meno stilizzato, ma che evitava il rischio di modificazioni statiche della struttura. L'architettura ottomana, erede di quella bizantina, costituì anche in questo caso un'eccezione: le sue proporzioni erano infatti molto più allungate e le sue forme più verticali delle precedenti. L'arco ebbe una grande importanza nell'architettura musulmana: oltre alle sue proprietà tecniche e stilistiche (possibilità di ottenere vani più stilizzati, spazi diafani, migliori combinazioni estetiche), la sua scelta potrebbe anche essere considerata dal punto di vista simbolico. Non casualmente il miḥrāb era costituito da una cavità ad arco; nelle costruzioni musulmane sono rare le aperture architravate, comunque accompagnate da un arco di scarico, come nella moschea al-Aqsa di Gerusalemme (VIII sec.) o nell'ingresso al palazzo di Qasr al-Hair al-Gharbi, in Siria (VIII sec.). Questa soluzione edilizia si trovava già nell'architettura civile romana tardoimperiale, ad esempio nella Porta Aurea del palazzo di Diocleziano a Spalato (inizi del IV sec. d.C.). Di solito, gli archi sono compresi all'interno di un pannello quadrangolare ricavato nella muratura o realizzato in costruzione, come nel caso degli īwān medio-orientali, oppure costituito da uno spazio decorato, come i caratteristici alfices andalusi; negli ultimi due casi la superficie costituisce il supporto di un ricco programma decorativo. Nell'architettura islamica si trovano molti tipi di arcate cieche sulle facciate, nicchie rompono la monotonia dei muri con l'alternanza di volumi ed ombre, porte, balconi e finestre sono sormontati da archi; ci sono inoltre archi inseriti in cornici, tipici dell'edilizia indiana; archi a sostegno di cornici, di corridoi elevati e di balconi; archi di scarico in diversi tipi di strutture, soprattutto torri (un intreccio di archi permette ai sottili minareti ottomani di superare i 50 m di altezza); archi compresi in tanti schemi decorativi, non solo in ambito architettonico, come ripetizione di motivi geometrici. Nell'architettura omayyade gli archi a tutto sesto convivevano con quelli a sesto acuto e a ferro di cavallo. Durante il periodo abbaside si svilupparono archi a sesto acuto a quattro centri, cioè archi nei quali la curva è costituita da quattro segmenti che girano attorno a quattro punti teorici diversi, due per lato. Questo tipo di arco finì per essere uno dei più caratteristici delle opere di tutto il Medio Oriente, dalla Porta di Baghdad a Raqqa (X sec.) alla maggior parte degli īwān selgiuchidi e ilkhanidi. In Andalusia l'arco a ferro di cavallo tradizionale divenne più acuto oppure più basso, mentre si generalizzò, come in tutto il Nord Africa, l'arco polilobato, molto usato nell'architettura abbaside. Questo nuovo tipo prevedeva la trasformazione della linea dell'intradosso in un numero variabile di piccoli archi o lobi. In questo periodo, l'arco si scompose in molteplici linee, nascondendo la sua vera struttura, le sue linee di forza; sono note arcate doppie e triple, come nel palazzo di Madinat az-Zahra a Cordova (X sec.). La finestra gemina, con una piccola colonna nello spartiluce, ebbe grande successo in Andalusia e nel Nord Africa, dal cosiddetto "Minareto di S. Juan" a Cordova (X sec.) alla tomba di Hamuda Pasha, in Tunisia (XVII sec.). Sono documentati archi di tutti i tipi, a ferro di cavallo, a sesto acuto, polilobati, che incrociandosi generano nuovi punti di appoggio e forme complesse che ingannano l'occhio dello spettatore. Gli archi della terza fase della moschea di Cordova (X sec.) ispirarono le complesse arcate cieche decorative dell'architettura almohade; il programma accennato nei pannelli del minareto della Kutubiyya di Marrakesh (metà del XII sec.) venne poi sviluppato in quelli delle moschee di Hasan a Rabat (fine del XII sec.) e di Siviglia, il cui minareto (fine del XII sec.) è detto "la Giralda". Stessa tendenza seguono gli archi mistilinei, che combinano linee curve con angoli retti; sono particolarmente audaci quelli dell'Aljafería di Saragozza (XI sec.), imitati dall'architettura successiva del Maghreb. Infine ci sono gli archi scomposti in muqarnas (nicchiette ad alveoli), come quelli dell'Alhambra di Granada (XIV sec.). I tetti in legno erano piuttosto diffusi: nell'edilizia popolare vennero utilizzati anche tronchi di palma arcuati, come nella moschea di Zaria, in Nigeria. Prevalsero comunque le coperture piane, con travatura lignea a vista, oppure celata da rivestimento a sua volta ligneo, come nel caso delle muqarnas; più tardi, nell'edilizia mamelucca, merinide o nasride, si preferirono i tetti a spiovente, in genere anch'essi nascosti da pannelli o da soffitti a cassettoni. Nelle coperture furono spesso abbandonate le travature lignee e vennero usate volte in pietra e in laterizio, sia per non sovraccaricare una struttura i cui elementi di sostegno avevano un equilibrio abbastanza precario, sia per realizzare più rapidamente le costruzioni; uno degli esempi più riusciti è la Torre della Rauda dell'Alhambra, a Granada (XIV sec.), costituita da sedici segmenti di volta. Per non sovraccaricare le volte, soprattutto se era previsto un piano superiore, si tentò di lasciare vuoto lo spazio interno, le cosiddette "reni" della volta, mediante l'uso di piccoli segmenti di volta, oppure di archi di scarico. Comunque, la soluzione più frequente, sia nelle coperture di pietra che di mattoni, fu l'uso di archi analoghi a nervature che aggiungevano effetti decorativi; tale soluzione era già stata sviluppata nell'architettura omayyade orientale (sala del trono di Qusair Amra, in Giordania, VIII sec.), in quella occidentale del califfato andaluso e in quella selgiuchide (moschea di Isfahan, in Iran, XIII sec.). L'uso delle cupole si diffuse soprattutto nell'edilizia ottomana, mentre in precedenza erano state impiegate solo nelle costruzioni monumentali. La letteratura musulmana fa supporre che esse fossero tra le realizzazioni architettoniche più ammirate, probabilmente sia per la loro complessità tecnica che per il loro carattere simbolico. In alcuni casi, come per le cupole dorate della città circolare di Baghdad, ci sono pervenute avvolte in un'aura mitica per la loro perduta bellezza, ricordata con nostalgia, e per lo splendore di una civiltà che non ha più ritrovato l'unità politica che esse rappresentavano. I più antichi esempi conservati, come quello costituito dal santuario della Cupola della Roccia a Gerusalemme, mostrano come anche in questo aspetto l'architettura dell'Islam seppe adattare le scoperte tecniche delle culture precedenti, pur dotandole di un carattere proprio. Per la loro realizzazione venivano usate strutture lignee che, durante la costruzione, dovevano servire a sostenere la muratura; i problemi strutturali furono risolti mediante l'uso di graffette tra le pietre, di anelli di rinforzo alla base, oppure con l'appesantimento ulteriore degli angoli. Il sistema più riuscito fu la sovrapposizione di due calotte indipendenti, unite solamente da un intreccio di setti murari, come nella Cupola della Roccia. Svariate furono le soluzioni adottate per collegare la cupola alla parte inferiore della costruzione: dalla tradizione bizantina furono ripresi i peducci, come nel padiglione di Qusair Amra, in Giordania (inizi dell'VIII sec.); alla tradizione persiana si rifanno le volte sporgenti, in genere combinate con la sovrapposizione di corpi poligonali contrapposti. Questa soluzione portò all'esistenza di due o più livelli di volte sporgenti con appoggi alterni; la stilizzazione dei piccoli archi produsse muqarnas sempre più piccole e numerose, passando da una sezione quasi semicircolare a forme polilobate e a combinazioni di pieni e di vuoti, di luci e di ombre. Tali archetti, che inizialmente occupavano solo la zona di transizione tra i peducci e le muqarnas, finirono col ricoprire l'intera cupola; persero quindi la funzione di elementi di sostegno e vennero utilizzati per nascondere altre soluzioni strutturali. Dopo il XIII secolo si diffusero in tutto il mondo islamico: il loro successo era dovuto alle possibilità decorative, nell'abbellire i materiali più poveri e nella capacità di diffondere la luce, riempiendo lo spazio con molti riflessi. All'esterno il sistema strutturale di copertura veniva mascherato sia da tetti a due o quattro spioventi, sia, più frequentemente, da terrazze pavimentate. Le cupole rappresentano un'eccezione: le più piccole, ricoperte da una semplice stuccatura, a volte non oltrepassano l'altezza delle strutture quadrangolari su cui sono poste, ma le magnifiche cupole degli edifici a pianta centrale erano generalmente ricoperte da placche di metallo (Cupola della Roccia, moschee ottomane), oppure da piastrelle policrome (moschee selgiuchidi ed ilkhanidi). Il colore delle famose cupole verdi di Baghdad sarebbe stato prodotto dall'ossidazione delle placche di bronzo che le ricoprivano.
Gli architetti delle prime opere omayyadi raccolsero il lascito ellenistico e bizantino in maggior misura rispetto a quello persiano, di lontana tradizione mesopotamica; gli artefici della successiva dinastia abbaside proseguirono questo processo, sebbene sotto l'influsso dell'eredità sasanide. Probabilmente molti architetti non erano arabi, ma erano certamente musulmani quelli che contribuirono all'originalità dell'arte siculo-normanna e che parteciparono allo sviluppo dello stile mudéjar nella Penisola Iberica. I Turchi selgiuchidi diffusero le soluzioni edilizie provenienti dalle steppe medio-orientali, mentre l'invasione mongola mise in contatto diretto l'architettura musulmana con la ricca tradizione cinese e indiana. L'architettura ottomana riprese la tradizione bizantina e si aprì alle influenze del neoclassicismo europeo e di altre tendenze successive, sebbene i trattati classici di architettura non siano mai stati sconosciuti negli ambienti intellettuali musulmani. Alcune caratteristiche conferiscono comunque unità a questo vasto insieme, come mostrano edifici distanti nello spazio e nel tempo, ma costruiti secondo soluzioni tecniche molto simili. Ad esempio, la piccola moschea di Bab al-Mardum a Toledo (XI sec.) si è ispirata alla distribuzione delle volte della Grande Moschea di Cordova; i califfi andalusi hanno imitato gli Abbasidi nell'edificare Madinat az-Zahra, una città-palazzo indipendente, sita ad una certa distanza dalla loro capitale. Nell'XI secolo una dinastia di origine berbera, i Banu Hud di Saragozza, fece erigere un palazzo che riproduceva, tre secoli più tardi, la pianta dei castelli omayyadi. Possono essere comunque definiti nell'architettura musulmana alcuni aspetti più generali, che le hanno conferito una certa unità di carattere. Uno di essi è la tendenza alla ricerca di soluzioni strutturali diafane. Nel panorama dell'architettura religiosa, tralasciando gli edifici ispirati alla pianta centrale di tradizione bizantina e quelli costruiti attorno ad un oggetto di culto (come il santuario della Cupola della Roccia a Gerusalemme, i mausolei di Samarra, i mausolei selgiuchidi, le moschee ottomane), la maggior parte delle costruzioni islamiche si configura nella ripetizione di un singolo elemento a navata longitudinale, senza un orientamento preferenziale: le navate possono essere infatti parallele o perpendicolari alla qibla (la direzione verso la quale è orientata la preghiera). Il simbolismo religioso è concentrato su questo muro, orientato verso La Mecca, e sulla nicchia (miḥrāb) che è posta di solito al centro, come sottolineano le nude celle-oratori del ribāṭ (convento fortificato) di Guardamar del Segura, presso Alicante (IX sec.). La pianta della moschea, e ancor più quella della sala di preghiera, rimase libera da gerarchie strutturali, tranne che per la presenza di uno spazio funzionale, capace, teoricamente illimitato e in origine aperto (muṣallā). Questo modello di sala di preghiera non rimase inalterato, ma venne col tempo modificato da elementi interni, come le due navate a T che spostano l'asse di simmetria verso la qibla e il miḥrāb (Kairouan, IX sec.) oppure, nelle moschee selgiuchidi e ilkhanidi, dall'īwān, una sala con copertura a volta e preceduta da una grande esedra, posta davanti al miḥrāb. Questa tensione gerarchica non si manifesta solo nella pianta dell'edificio, ma talora anche nei sistemi di copertura, mediante una sofisticata distribuzione dell'altezza e della complessità delle volte (moschea di Bab al-Mardum, Toledo). Probabilmente la struttura dell'īwān era già stata utilizzata nella costruzione di madrasa: ad esempio la Grande Moschea di Isfahan in Iran (XII sec.) segue, con quattro īwān disposti a croce attorno al cortile, la disposizione adottata da tante madrasa (dove ciascuno degli īwān rappresenta una delle quattro scuole dell'ortodossia sunnita) e anche da altri edifici, come alcuni caravanserragli. Comunque, nonostante l'aggiunta di tali disposizioni assiali, venne mantenuta una certa flessibilità nella planimetria della struttura, come dimostrato dalle moschee di Isfahan, di Cordova e di al-Azhar al Cairo (X sec.), che subirono successivi ampliamenti e modifiche senza perdere il loro carattere unitario. La totalità dell'insieme strutturale della moschea deriva dalla felice convivenza di tre elementi molto diversi: la sala di preghiera (ḥarām), il cortile (ṣaḥn) e il minareto (manār/mi'ḏanah). Ciascuno di essi aveva avuto e continuò ad avere un'evoluzione autonoma; fu così possibile adottare le varie sperimentazioni architettoniche in contesti diversi, senza per questo modificare gli altri elementi costruttivi, come nel caso dell'introduzione degli īwān nelle moschee selgiuchidi o della trasformazione tipologica della sala di preghiera in quelle ottomane. I minareti, benché si fossero moltiplicati e stilizzati nel periodo ottomano, continuarono il processo iniziato nell'architettura ilkhanide, nella quale fiancheggiano la sala principale. Questa sovrapposizione di elementi diversi è caratteristica sia di costruzioni minori, come il bagno (ḥammām), che di strutture più complesse. L'edificio residenziale è costituito da diversi elementi che, benché dotati di una logica geometrica, di una concezione tecnica e di un equilibrio interni, sono relativamente indipendenti tra loro. I complessi palatini di Samarra (IX sec.), di Madinat az-Zahra a Cordova (X sec.) e di Qala dei Banu Hammad in Algeria (XI sec.) o la qaṣba di Aleppo (XII sec.) sono alcuni degli esempi di questa tendenza; a volte il disordine apparente è determinato dalle evoluzioni e dalle aggiunte successive. L'architettura musulmana si apre verso l'interno: i muri limitano la struttura e sottraggono lo spazio interno a quello esterno. Solo pochi portici sono rivolti all'esterno: le aperture sono ampie soltanto nella parte più alta delle facciate e dei minareti, i balconi, i parapetti e gli ajimeces si affacciano su alte mura o su ripide pendenze. La luce entra dai tamburi delle cupole o dai vani aperti sul cortile; questo, vero spazio comune, è di dimensioni maggiori rispetto all'edificio al quale appartiene ed è il luogo della distribuzione dell'acqua, con fonti, pozzi, cisterne. Un altro tratto saliente dell'architettura islamica è la tendenza a nascondere le soluzioni tecniche, ricoprendo la nudità dei materiali, con l'eccezione della pietra, soprattutto quella da taglio, considerata un materiale nobile. Quando si cominciò a fare uso intensivo del mattone furono adoperate soluzioni decorative (pannelli e fregi di stucco, giochi di linee a rilievo) che ne abbellissero le superfici e vi creassero giochi di luci ed ombre, dotandole di una certa dose di simbolismo. È il caso delle vaste costruzioni di Samarra, dell'architettura almohade del Nord Africa e dell'Andalusia, delle realizzazioni ilkhanidi medio-orientali, nelle quali le piastrelle rivestono anche gli esterni. Questa tendenza non è il frutto dell'horror vacui, ma della particolare mentalità islamica, in base alla quale tutte le manifestazioni artistiche sono espressione della religiosità o delle istituzioni che la personificano e devono pertanto costituire il supporto per le rappresentazioni dei simboli di questo spirito.
M. Dimand, Studies in Islamic Ornament, I. Some Aspects of Omaiyad and Early Abbasid Ornament, in ArsIsl, 4 (1937), pp. 293-337; K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, II. Early 'Abbasids, Umayyads of Cordova, Aghlabids, Tulunids and Samanids, A.D. 751-905, Oxford 1940; L.A. Mayer, Islamic Architects and their Works, Geneva 1956; E.J. Grube, The World of Islam, New York 1967; K. Otto-Dorn, L'art de l'Islam, Paris 1967; K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, Oxford 1969²; L. Golvin, Essai sur l'architecture religieuse musulmane, Paris 1970-76; R.A. Jairazbhoy, An Outline of Islamic Architecture, Bombay 1972; O. Grabar, The Formation of Islamic Art, New Haven - London 1973; B. Spuler - J. Sourdel-Thomine, Die Kunst des Islams, Berlin 1973; D. Kuban, Muslim Religious Architecture, Leiden 1974-85; J. Hoag, Islamic Architecture, New York 1977; G. Michell (ed.), Architecture of the Islamic World, London 1978; D. Gye, Arches and Domes in Iranian Islamic Buildings: an Engineer's Perspective, in Iran, 26 (1988), pp. 129-44; R. Hillenbrand, Islamic Architecture. Form, Function and Meaning, Edinburgh 1994.
di Giovanna Ventrone Vassallo
La decorazione degli edifici è uno dei tratti che più caratterizzano l'architettura islamica; nessuna tecnica sembra prescindere da un valore prevalentemente ornamentale, nel quale è presente anche un significato simbolico affidato a temi particolari, tra i quali emerge la scrittura "dono di Dio". In ogni monumento tende a predominare una precisa tecnica decorativa, anche se non mancano esempi di veri e propri musei delle tecniche in uso, come la Grande Moschea di Cordova. La decorazione non è esclusiva di alcune zone dell'edificio, tuttavia è privilegiata in quelle parti di cui si vuole sottolineare l'importanza (come, ad es., il lato qibli della moschea, quello verso cui si indirizza il fedele nella preghiera, e le sale di rappresentanza nelle residenze reali). Una distribuzione più uniforme della decorazione garantisce inoltre "l'unità globale del monumento". Il mosaico occupa un posto preminente nei monumenti religiosi più significativi del periodo omayyade, quali la Cupola della Roccia di Gerusalemme (691/2) e la Grande Moschea di Damasco (706-715). Per la Grande Moschea di Cordova sembra che un maestro siriano sia stato richiesto esplicitamente dal califfo al-Hakam II (961-976) all'imperatore bizantino. Tali mosaici, eseguiti da maestranze siriane, perlopiù cristiane, denotano un sapiente uso del colore, utilizzato in mille sfumature, spesso su un fondo dorato, nonché la padronanza di un repertorio vasto, ricco anche di significati simbolici. Un repertorio in prevalenza geometrico, assai vario e ricercato, dispiegano i mosaici di alcuni dei cosiddetti "castelli" omayyadi, ad esempio Khirbet al-Mafgiar (metà dell'VIII sec. ca.), dove si trova forse l'unico mosaico figurato islamico. Alla tradizione locale si ricollegano i mosaici in bianco e nero di Raqqada, residenza aghlabita del IX secolo in Ifriqiya, e quelli della capitale fatimide al-Mahdiyya (X sec.), che utilizzano anche il rosso e l'ocra. In quello che è a tutt'oggi il più antico esempio di pittura murale, a Kufa, la sopravvivenza dello stile sasanide si coglie nell'ornato a losanghe campito da elementi floreali e da palmipedi. L'influenza delle culture precedenti è ben evidente nelle famose pitture del piccolo bagno di Qusair Amra (711-715) e ancora l'Occidente bizantino è il riferimento culturale predominante delle pitture, appena abbozzate in bruno su fondo chiaro, del cosiddetto "secondo palazzo" di Hisham (724-743), presso l'antica Sergiopoli (Rusafa). La supremazia culturale dell'Iran, sempre più manifesta con l'avvento degli Abbasidi a partire dalla metà dell'VIII secolo, è documentata dalle pitture dei palazzi di Samarra e in particolare da quelle dell'harem del palazzo di Jawsaq (836-838), dove vistose cornici di perle circondano rappresentazioni di guardie turche e di personaggi di corte vestiti alla persiana, con pose e atteggiamenti caratteristici dell'iconografia iranica. Alla cultura samanide del X secolo appartengono i pannelli rinvenuti a Tepe Madrasa (Nishapur), sui quali sono raffigurati prevalentemente motivi astratti di difficile definizione, ma caratterizzati da nastri serpentiformi e da melograni campiti da squame. Al repertorio iranico più convenzionale si possono riportare invece le figure del cavaliere-falconiere e del suo attendente, rinvenute in un ambiente di Vineyard Tepe (Nishapur). Sia pure mediata dall'arte fatimide d'Egitto, fu piuttosto la scuola abbaside fortemente influenzata dal cerimoniale iranico a fornire la maggior parte dei temi e a suggerire il trattamento estetico delle pitture del soffitto della Cappella Palatina di Palermo (seconda metà del XII sec.), che sono a tutt'oggi la testimonianza più completa giunta fino a noi di decorazione dipinta islamica. Prive quasi del tutto di immagini figurate, ma prevalentemente di contenuto vegetale e geometrico sono invece le pitture recuperate in Maghreb, come quelle della Qala dei Banu Hammad, dell'XI secolo, e del qibli della Kutubiyya di Marrakesh, del XII secolo. Una decorazione pittorica che interessa sia le cupole che i soffitti lignei, a cassettoni e con vistose travature, ricorre nell'ex Yemen del Nord, nelle grandi moschee di Sanaa e di Shibam Kawkaban, ma anche in moschee ed oratori di medie e piccole dimensioni sparsi sul territorio. Le pitture delle cupole sono testimoniate a partire almeno dal periodo rasulide (1229-1454) e appartengono sia a moschee di grandi centri come Taizz, sia a quelle di piccoli villaggi come al-Farawi. Nella Grande Moschea di Damasco e nella Cupola della Roccia pannellature di marmi preziosi sono disposte in modo da creare disegni speculari. Pavimenti in marmo si intravedono nei palazzi reali di Samarra (seconda metà del IX sec.), dove intorno alle pareti figurano anche pannelli marmorei, talora arricchiti da inserti in madreperla e in vetro. Marmi colorati sono stati rintracciati nel Maghreb, per il periodo fatimide ad al-Mahdiyya e per quello hammadita alla Qala. Per le province orientali è ben nota la ricca documentazione relativa alla dinastia dei Ghaznavidi (977-1186), i quali fecero grande uso di marmi scolpiti anche su ampie superfici. Molto diffusa è anche la decorazione in pietra scolpita, applicata su vaste superfici e su edifici sacri e profani: i numerosi frammenti di Khirbet al-Mafgiar, l'elegante architrave di Qasr at-Tuba e soprattutto la facciata del palazzo di Mshatta. Nell'Occidente islamico le decorazioni in pietra dei due monumenti omayyadi più importanti di Spagna, la Grande Moschea di Cordova e il palazzo di Madinat az-Zahra, entrambi del IX secolo, si rifanno alla tradizione siriana intrisa di riferimenti classici, tra i quali l'acanto è predominante. Una vera innovazione sarà, al tempo degli Almohadi (1130-1269) in Marocco, la comparsa del reticolo di losanghe a rilievo sulle facciate dei minareti, ad esempio quello incompiuto di Hasan a Rabat, nonché le composizioni con archi concentrici ed elementi vegetali, anch'essi scolpiti a rilievo, di alcune porte delle città imperiali. Lo stucco ha avuto particolare fortuna nelle decorazioni degli esterni e soprattutto degli interni, fin dai monumenti omayyadi della Siria, come Qasr al-Hair al-Gharbi, Qasr al-Hair al-Sharqi e Khirbet al- Mafgiar, probabilmente grazie alla sua malleabilità ed economicità, oltre che alla sua illustre tradizione iranica. Tra le testimonianze più antiche sono i resti di Khirbet al-Mafgiar, costituiti non solo da rivestimenti parietali, ma anche da elementi a tutto tondo. La decorazione in stucco con elementi stilizzati e naturalistici ottenne un nuovo impulso a partire dal 750, con la dinastia abbaside di Baghdad. È della metà del IX secolo la nascita dei cosiddetti "tre stili" individuati tra i resti di Samarra, emblematici della fortuna di questa tecnica. Ad essi si rifanno infatti gli stucchi del Cairo, sia quelli della moschea di Ibn Tulun (876), sia quelli delle moschee fatimidi, nonché i legni intagliati recuperati nei monumenti, anche laici, della capitale egiziana.Nelle province orientali la decorazione in stucco si arricchisce di altri colori quali il nero, il blu, il rosso e il giallo oro. Gli stucchi rinvenuti nei vari siti dell'area di Nishapur documentano come la tradizione iranica si sia perpetuata ed arricchita alla corte dei Samanidi. Alcuni miḥrāb venuti alla luce su monumenti dell'altopiano iranico testimoniano anche per i periodi selgiuchide, ilkhanide e timuride (secc. XI-XV) la continuità di questa tecnica raffinata. La stessa tradizione riaffiora sul litorale del Golfo Persico, a Siraf, con ritrovamenti che vanno dalla metà del IX secolo al periodo safavide. Nel Maghreb estremo, e in particolare in Andalusia, sembra che sia ancora l'arte abbaside, sia pure filtrata attraverso l'esperienza fatimide, a condizionare gli ornati degli stucchi che figurano, accanto alla pietra e al mattone, nella moschea di Cordova e nelle sale di Madinat az-Zahra. L'uso del mattone si diffonde a partire dall'Iran e dalle regioni mesopotamiche; di misura varia e sagomato prima della cottura in forme diverse, può essere disposto di piatto o di taglio per formare motivi vari. Gli esempi più antichi si troverebbero nella moschea di Damghan (Iran) forse dell'VIII secolo e nelle residenze di Ukhaidir e di Atshan (Iraq) anteriori al IX secolo. Di mattoni sono le caratteristiche nicchie di coronamento della porta di Baghdad a Raqqa (fine VIII sec.), i pilastri della moschea a nove cupole di Balkh (IX sec.), gli edifici samanidi (minareto di Tepe Madrasa a Nishapur), il mausoleo di Ismail (892-907) a Bukhara, che può essere considerato il capolavoro del genere. Con i Selgiuchidi, dalla metà dell'XI secolo, il brick-style si diffonde e si arricchisce di ornati in stucco, stampati e/o intagliati, che abbelliscono i giunti tra i mattoni, come nel caso di Gunbadh-i Qabus (1006-1007), delle tomb-towers di Damghan (1027 e 1056), dei mausolei di Kharraqan (seconda metà dell'XI sec.), del mausoleo di Sanjar a Merv (1152), del Gunbad-i Qabud di Maragha (1197), dei minareti ghaznavidi. Nell'Occidente islamico l'esempio più noto è la moschea di Bib Mardum (chiesa di Cristo de la Luce) a Toledo, del 1000. Di antica tradizione, il rivestimento ceramico compare in Iraq nel IX secolo, per poi diffondersi nelle province occidentali. Assente in Egitto, questo tipo di decorazione ritorna nelle province orientali a partire dalla metà dell'XI secolo, con l'avvento dei Selgiuchidi. Agli inizi, la comparsa della ceramica smaltata è modesta; utilizza una gamma di colori, dal verde-turchese al blu, e si inserisce nel paramento in mattoni o con forme geometriche, come tasselli quadrati, stelle, poligoni, o floreali stilizzate, o, infine, epigrafiche. Con l'avvento dei Mongoli questa decorazione annovera, accanto all'azzurro e al blu, il bianco, il violetto e, dal 1340, anche il giallo; si arricchisce poi di tecniche come il lustro metallico e viene impiegata sia all'interno che all'esterno degli edifici. Tra il XIII e il XV secolo si colloca anche la comparsa nello Yemen del Nord di una decorazione molto caratteristica, che utilizza coppette e piccoli globi turchesi come inserti nelle facciate degli edifici sacri. Per ottenere ornati tappezzati su superfici sempre più ampie, in Iran le mattonelle saranno sagomate, a croce o a stella, o ridotte in pezzi minuti per formare un mosaico. Della fortuna di questo tipo di decorazione, che si può considerare tipico dell'architettura islamica almeno a partire dal XIV secolo, sono testimoni monumenti famosi in Occidente (l'Alhambra di Granada) e in Oriente (il Rigistan di Samarcanda).
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di Anna Sereni
Fino ad epoca recente l'archeologia islamica ha privilegiato l'analisi dell'edilizia religiosa e di quella civile a carattere monumentale, lasciando in secondo piano l'edilizia residenziale corrente, nota soprattutto attraverso esempi molto tardi. Ciò ha comportato in passato un'immagine appiattita delle differenze regionali, sociali e cronologiche, evidenziate invece dalle ricerche archeologiche più recenti, sebbene ancora limitate ad alcune aree. Sintesi parziali sono state proposte per il Mediterraneo occidentale (Maghreb e Andalusia); informazioni maggiori sulla scorta di indagini archeologiche e fonti scritte si hanno per l'Egitto (al-Fustat), mentre l'Iraq e l'Iran si conoscono soprattutto attraverso le indagini condotte a Samarra e a Siraf. L'abitazione delle origini nelle regioni islamizzate è legata al carattere seminomade di molte popolazioni: sembra che alcune residenze dei califfi omayyadi, campi semipermanenti con giardini e riserve di caccia racchiuse da mura, conservassero almeno in parte questo carattere. Qusair Amra (715 ca.), ad est di Amman, era dotata soltanto di un bagno e di una sala per le udienze: si ritiene che i membri del seguito alloggiassero in tende. Tuttavia negli studi più recenti si tende a ridimensionare le posizioni che negavano l'esistenza di una tradizione architettonica autonoma. La casa di Maometto a Medina, nota attraverso le fonti scritte, è uno degli esempi più antichi di dimore stabili. Completata nel 623 d.C. (II anno dell'Egira), era circondata da un recinto alto 3,5 m in mattoni di argilla essiccati al sole che delimitava un cortile quadrangolare di 50 m per lato. Sul lato meridionale vi era un portico coperto con rami di palma, sul lato orientale erano le abitazioni delle mogli del Profeta, aggiunte progressivamente e di altezza ridotta. Cinque di esse avevano un unico ambiente ed erano costruite con rami di palma impastati con fango, quattro erano articolate in più vani e costruite in mattoni. È dubbio se gli spazi riservati alle donne fossero all'esterno del recinto, ma con apertura verso l'interno, oppure, più probabilmente, addossate al muro interno del cortile, secondo uno schema diffuso nel Maghreb e altrove. A questa tipologia appartengono alcune case di Sétif (Algeria), di metà X - metà XI secolo: i fabbricati, addossati alla parete interna del muro di cinta, si dispongono su una o due ali attorno alla corte centrale; un solo edificio, più tardo, doveva avere un piano superiore. Gli ambienti erano raramente in comunicazione tra loro e prendevano aria e luce dalla porta sul cortile. L'ala nord era usata per vani di servizio (stalla, granaio, latrina, talvolta il vestibolo), mentre le stanze di soggiorno, preferibilmente rivolte a sud e ad est, erano riscaldate da piccoli bracieri posti accanto alla porta. Non è certa l'identificazione degli spazi destinati alle donne. In diversi casi si ritiene che gli ambienti avessero un carattere plurifunzionale, elemento comune nelle abitazioni islamiche di tipo popolare. Un elemento ricorrente è l'accesso ad angolo retto all'unità residenziale. Ad un mutamento nelle tecniche di carpenteria rispetto a quelle di età romana si attribuisce la modesta ampiezza degli ambienti, caratteristica comune a tutta l'architettura islamica del Maghreb. Ad Ashir e nel Qasr as-Salam della Qala dei Banu Hammad si hanno esempi di architettura palaziale del X-XI secolo, il cui impianto sembra replicare in scala maggiore un modulo con caratteri analoghi. Questo schema influenzò anche le regioni islamizzate della Spagna: a Cordova, il palazzo di Madinat az-Zahra sembra aver compreso alcune case di questo tipo. Altri elementi, già ritenuti caratteristici delle abitazioni correnti dell'area ispano-musulmana, quali la sala rettangolare allungata con alcove alle due estremità, il patio a croce centrale con fontana e giardino, le arcate di accesso, il portico addossato, appartengono in realtà ai contesti di tipo palaziale. Nelle abitazioni ordinarie dell'Andalusia, pur con diverse varianti, è attestato il tipo pluricellulare, i cui elementi strutturanti erano il muro periferico (ḥayṭ barrānī), che definiva un'area rettangolare con una sola porta di accesso, e il cortile, centrale o laterale (wasṭ al-dār), attorno a cui si disponevano a U o a L le cellule abitative. Questo tipo coesisteva, talvolta negli stessi insediamenti, con abitazioni monocellulari, aggregate in maniera anche serrata attorno ad uno spazio aperto (Mollet, Marinet). Nell'architettura rurale dell'Andalusia orientale è invece diffuso un tipo che ha come modulo di base un edificio a pianta rettangolare, con copertura a terrazza (Capileira). Per la Sicilia le indagini archeologiche indicavano impianti a corte pluricellulare, non meglio definibili a Calathamet (X-XI sec.); e del tipo a U o a L a Segesta/Monte Barbaro. Nello stesso Maghreb, tuttavia, questa tipologia non sembra autoctona, mancando forti elementi in comune con quanto si conosce della tradizione abitativa berbera. Appare superata anche la posizione che, negando l'esistenza di un'architettura autonoma araba preislamica, proponeva una derivazione dalla tradizione romana per la presenza della corte centrale, assimilata all'atrium. Nelle abitazioni islamiche gli ambienti risultano infatti nell'area recintata e ad essa subordinati, secondo caratteristiche forse derivate dalla struttura dei caravanserragli (ḫān), le stazioni di sosta lungo le grandi vie di comunicazione, dotate di ampi recinti e piccoli ambienti. La rilettura dell'insediamento di Umm el-Gimal (Giordania settentrionale) ha mostrato l'esistenza già nel mondo arabo preislamico di abitazioni del tipo attestato più tardi nel Maghreb. Nel Mediterraneo orientale forme simili sono note già in epoca precedente, ma allo stato attuale delle ricerche non si è in grado d'individuare un'unica matrice. L'ampia diffusione di questo modello sembra tuttavia coincidere con quella del dominio islamico. Si ritrova infatti anche in Iran (a Siraf, dal IX all'XI sec.), dove costituisce un elemento di rottura con la precedente tradizione sasanide. Quest'ultima sembra essere stata il tramite della diffusione nelle regioni orientali dell'Islam dell'īwān, grande sala di ricevimento voltata, con un'estremità interamente aperta, direttamente o attraverso un portico, verso la corte centrale. Già presente nei palazzi sasanidi in Iraq e nell'Iran occidentale, divenne un elemento dominante nell'architettura islamica delle regioni orientali, dall'Afghanistan (ad es., a Ghazni, XIII sec.) all'Egitto. A Samarra (Iraq) le case in mattoni presentano spesso un ingresso coperto che dà accesso ad un cortile rettangolare. Nelle dimore più ampie, talvolta dotate di bagni, su un lato sono allineati l'īwān e due vani minori ad esso affiancati, comunicanti con il cortile tramite un portico a tre aperture. L'associazione di questi elementi si ritrova anche in alcune abitazioni coeve di al-Fustat in Egitto, talvolta replicata sul lato opposto del cortile e con nicchie destinate ad ospitare un letto o un divano. Ambienti di servizio e soggiorno componevano le altre ali attorno al cortile, che poteva essere arricchito al centro da una fontana (fasqīyyah), alimentata da un pozzo. In epoca successiva, nelle case del Cairo si affermarono nuovi schemi architettonici, quali il cortile cruciforme (dal periodo fatimide), alle cui estremità si alternano un īwān e una profonda nicchia con piccola fontana (šādrawān). Dal XII secolo è attestata la qā῾a, una sala rettangolare caratterizzata da un lucernario nel soffitto come unica fonte di luce, talvolta con una fontana al centro, più tardi adottata anche in Andalusia. Le fonti scritte del X e dell'XI secolo (al-Istakhri, al- Muqaddasi, Nasir-i Khusraw) documentano l'esistenza nello stesso centro di un'edilizia abitativa di tipo intensivo, con caseggiati a vari piani composti da locali in affitto (rab῾ ). Complessi di questo genere, ma più tardi (XV e XVI sec.), presentano al piano terra un cortile centrale, su cui affacciano locali a scopo commerciale.
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di Vincenzo Strika
L'Islam nell'interpretazione più diffusa è contemporaneamente Stato e religione; ne consegue che i sovrani che si sono succeduti al potere difficilmente hanno potuto prescindere da questa definizione. Nella concezione islamica, il califfo era il vicario di Dio sulla terra, ma la sovranità era di Dio; l'intera legislazione era di origine divina. Pertanto nel mondo islamico non vi fu nulla di assimilabile alla divina maiestas; l'architettura del potere non ha dunque potuto, salvo rare eccezioni, esprimersi nei canoni conosciuti altrove. Basterà ricordare che nei primi secoli della civiltà islamica il palazzo del califfo formava un corpo unico con la moschea, per permettere al capo della comunità musulmana di presiedere alla preghiera in comune e ricevere i fedeli. Tra i due era la moschea l'edificio più importante, con le sue molteplici funzioni pubbliche e di potere. L'Islam si presentò inoltre come una rivoluzione egalitaria, nella quale l'edilizia pubblica a beneficio della comunità aveva una ragione di essere anche religiosa; se dunque nel mondo islamico l'architettura del potere, almeno in teoria, fu osteggiata, venne al contrario favorita al massimo grado l'edilizia volta a scopi sociali, per i quali venne creato l'istituto del waqf (fondazione pia) che ben presto diede un'impronta religiosa a tutta una serie di edifici di carattere civile. Con l'atto volontario del waqf un musulmano (wāqif ) poteva contribuire al benessere pubblico costruendo edifici volti a questo scopo, facendosi carico del personale necessario e della loro manutenzione; inutile dire che il waqf diveniva a sua volta espressione di potere, poiché talvolta il finanziamento era indirizzato a veri e propri complessi architettonici ed era talmente cospicuo che solo il sovrano poteva sostenere. Il concetto di edilizia religiosa, del potere e pubblica assume dunque nel mondo islamico caratteri propri.
Le primissime moschee, come quelle di Bassora e di Kufa, si ispirarono in modo diretto all'atteggiamento del Profeta, per il quale la Terra tutta era un tappeto per la preghiera, che quindi non necessitava di un edificio particolare. Per rispondere a questa semplicità esse erano semplicemente delineate sul terreno e la stessa direzione della preghiera (qibla) veniva indicata di volta in volta con il lancio di una freccia. Il fatto che la moschea sia poi divenuta un'espressione così rilevante dell'architettura musulmana è da ascriversi all'espansione dell'Islam che ha portato la nuova religione a contatto con le civiltà bizantina, persiana e sudarabica, ognuna delle quali ha dato il suo contributo agli sviluppi successivi. Non bisogna per contro sottovalutare il ruolo della prima moschea, che fu la casa stessa di Maometto a Medina. Quando Medina divenne la capitale di uno Stato teocratico, la moschea finì con l'adempiere a diverse funzioni che a lungo rimarranno tipiche dell'edificio, come tipici saranno i suoi accessori, il miḥrāb, il minbar e il minareto, questi ultimi apparsi, però, in epoca più tarda. Peraltro, mentre sul piano architettonico e artistico la moschea si evolverà in modo differenziato a seconda dei diversi Paesi e della loro importanza nella storia dell'Islam, le funzioni dell'edificio rimarranno abbastanza costanti, almeno nei primi secoli. Una distinzione va tuttavia fatta tra la Grande Moschea (al-masǧid al-ǧāmi῾), dove avveniva la preghiera del venerdì, e il semplice masjid, una moschea minore legata al suǧūd, l'atto di prostrazione caratteristico della preghiera musulmana. Un terzo tipo di moschea fu la muṣallā (isola di preghiera); questa poteva essere all'aperto, in sintonia con la concezione religiosa di Maometto, ma poteva anche costituire una sorta di "cappella" privata di un palazzo o di un castello. L'architettura omayyade ne ha lasciato alcuni esempi, come a Khirbet al-Mafgiar, ad Angiar, a Qasr at-Tuba. La circostanza per cui, nella formazione dell'Islam, la religione si mescola alla politica influenzando funzioni e forme architettoniche ha alimentato teorie molto diverse sull'origine della moschea. Per taluni questa sarebbe nata con una connotazione esclusivamente sacra, derivata appunto dalla casa del Profeta a Medina, mentre per altri la moschea sarebbe stata una sorta di cittadella, con funzioni militari. Secondo J. Sauvaget (1947) le origini andrebbero invece ricercate nella tipologia della sala d'udienza, in cui il miḥrāb era l'abside del trono e il minbar il trono stesso, che solo in un secondo tempo sarebbe stato dissociato dall'abside. La moschea comunque, sin dall'inizio, cercò di distinguersi nelle sue funzioni da chiese e sinagoghe, anche se singoli elementi architettonici di queste finiranno con l'essere assorbiti. Va infatti ricordato che le moschee furono a volte associate ad edifici di altre religioni, come sembrano indicare alcuni testi per la basilica di S. Giovanni a Damasco e, forse, per la chiesa di S. Vicente a Cordova. All'evoluzione successiva del tipo edilizio contribuì poi l'imperativo politico di creare un edificio centrale per la comunità, in modo da eliminare le piccole moschee tribali (maǧlis), simbolo del particolarismo arabo e quindi simbolo di dissenso dall'autorità centrale transtribale e universale. Il periodo omayyade (661-750 d.C.) rappresenta un momento di evoluzione nella struttura della moschea. Il potere centrale appare relativamente consolidato: la Grande Moschea di Damasco con il palazzo del governo ne è l'espressione maggiore. Sempre nel periodo omayyade si diffondono i masǧid anche nelle bādiyah (sorta di stabilimenti agricoli). Altrove, poiché l'emergente classe mercantile era considerata con favore dalla nuova religione, comparvero moschee collegate con l'organizzazione corporativa assunta dall'attività economico-industriale. Alla diffusione delle moschee non legate al potere centrale contribuirono vari fattori, innanzitutto necessità pratiche: nei grandi centri e nei villaggi un masǧid distinto dalla Grande Moschea era infatti più adatto alla preghiera, in considerazione della molteplicità delle funzioni svolte dal masǧid al-ǧāmi ῾. Un altro tipo derivò dalla casa di mistici e asceti, ciascuno dei quali aveva un gruppo di seguaci. L'abitazione era un luogo di preghiera già durante la vita del maestro e, alla sua morte, diveniva una meta di pellegrinaggio. Ebbe così origine uno dei più diffusi tipi di moschea, quella cioè collegata alla tomba, nota perciò come "moschea funeraria", edificio alquanto anomalo per il rigorismo islamico. Benché lo stesso Profeta avesse espresso la sua disapprovazione verso questa tipologia, qualificandola di origine cristiana, la moschea funeraria ebbe grande diffusione, a cominciare da quella di Medina, dove è sepolto il Profeta. La tomba ne costituiva la parte più importante, con varie denominazioni, come qubba (cupola) o maqām; nel mondo sciita prevalse il termine mašhad, specialmente in relazione ai santuari dove sono sepolti gli imām sciiti, meta d'intenso pellegrinaggio, come a Najaf, a Kerbela, a Kazimiyyah in Iraq e a Mashhad in Iran. Gli interessi economici che gravitavano attorno a questi santuari fecero sorgere complessi architettonici, per effettuare beneficenza e ospitare istituzioni culturali; il tipo si diffuse specialmente nell'impero ottomano, ma anche in Egitto. Le funzioni della moschea variarono a seconda del luogo e del momento storico. Ad esempio le moschee di Baghdad, capitale dell'impero abbaside nel periodo d'oro della civiltà islamica (750- 1258 d.C.), assolsero funzioni diverse dalle moschee situate nelle altre città. La città, centro della legittimazione culturale e religiosa islamica, vide l'arrivo di predicatori e intellettuali che svolgevano la loro attività prevalentemente nelle grandi moschee. Non per questo cessarono le funzioni religiose, come la preghiera del venerdì, talvolta presieduta dallo stesso califfo. Con la creazione della madrasa, verso l'XI secolo, la moschea diventa prevalentemente un edificio religioso; essa però, probabilmente per la semplicità del culto musulmano, non sarà mai consacrata: ad esempio, un viaggiatore o un mendicante vi poteva trovare ospitalità al bisogno. Come centro religioso, la moschea non tardò a sviluppare un suo particolare simbolismo, accentuato dal divieto di rappresentarvi figure umane. Il fenomeno riguardò soprattutto la cosiddetta "moschea del venerdì" e appartiene specialmente al periodo di maturità dell'Islam, quando si andava perdendo il tipo di moschea cosiddetta "araba", con la prevalenza del cortile. In ambito sciita, la moschea prese la denominazione di "soglia sacra", donde l'importanza che assunse il portale, vero pezzo di bravura dell'architetto, caratteristica che si diffuse anche nell'Egitto sciita del periodo fatimide. La nicchia che indicava la direzione della preghiera, il miḥrāb, assumerà anch'essa un significato particolare: una decorazione a nicchie concentriche sembra indicare il percorso verso Dio. In ambito sunnita, a Mossul in un miḥrāb è rappresentata una porticina, simile al tabernacolo e forse ispirata a edifici cristiani, essendo la città un centro importante per le chiese orientali. Significato simbolico poteva assumere anche il minareto, come nel caso delle moschee di Samarra, dove il minareto a spirale (malwiyah), difficilmente poteva servire soltanto all'appello della preghiera (aḏān). In taluni Paesi, come in India nel Qutb-Minar, il minareto era anche torre di vittoria e, all'occorrenza, di osservazione.
Le origini - L'Islam è una religione di città e nelle città nacque infatti l'edificio pubblico di maggior rilievo, la moschea, alla quale nei primi tempi era collegato il palazzo del governo, la dār al-imāra. Gli storici arabi ricordano come dopo la conquista di una città, il vincitore vi erigeva un maǧlis al-ǧāmi ῾ (termine che è stato variamente tradotto con "moschea congregazionale", "moschea del venerdì", "moschea cattedrale"). In realtà l'edificio, come prima manifestazione del potere, aveva uno scopo politico ben preciso: convogliare nella moschea principale i credenti, impedendo che le moschee minori, i masǧid, divenissero luoghi di sedizione. Lo sviluppo della moschea è dunque altamente significativo per conoscere l'evoluzione del potere. La moschea non era soltanto un luogo di preghiera; almeno fino al X secolo essa assolse a molteplici funzioni, tra cui l'insegnamento. Essa era inoltre la sede, sia pur non esclusiva, dove si amministrava la giustizia e dove si discuteva di religione e politica; non a caso è stata assimilata all'agorà greca e al foro romano. È chiaro dunque che già all'origine le principali moschee erano espressione del potere califfale; il complesso moschea-palazzo del governo costituisce dunque il centro amministrativo e finanziario della comunità, ma dove si esercitano anche la politica, la religione, l'amministrazione e la gestione delle finanze. Il tesoro era conservato infatti nel bayt al-māl, generalmente sotto una cupola sostenuta da pilastri; soltanto in un secondo tempo l'amministrazione passerà nel suo dīwān. Il palazzo del governo, la dār al-imāra, generalmente veniva eretto dietro la moschea. Nel 638 d.C. a Mossul il governatore Utba ibn Farqad eresse entrambi gli edifici. Con il periodo omayyade si definisce una vera e propria architettura di potere. Secondo la tradizione il fondatore della dinastia, Muawiya, costruì un edificio noto come qubbat alḫaḍrā' ("cupola verde"), termine che sarà poi usato per indicare i palazzi del governo anche dai suoi successori, come pure dai governatori di provincia. Non è noto se si trattasse realmente di un edificio a cupola né tantomeno se questa fosse di colore verde; si tratta piuttosto di una simbologia ben radicata nell'antichità, essendo il verde il colore della prosperità, mentre la cupola è tradizionalmente associata al potere e alla religione. In sintonia con l'ideologia corrente, l'edificio era collegato alla Grande Moschea. Il califfo assisteva alla preghiera in comune dalla maqṣūra, una loggia all'interno della sala della preghiera, dove non è escluso ricevesse i fedeli. Un esempio più significativo è quello rappresentato dalla Cupola della Roccia (qubbat aṣ-ṣaḫra) di Gerusalemme, eretta da Abd al-Malik (685-705 d.C.) per celebrare l'ascensione al cielo di Maometto. L'edificio, a pianta ottagonale, fu costruito in un momento particolare del califfato, quando l'anticaliffo Abd Allah ibn az- Zubayr aveva reso difficile e imprudente il pellegrinaggio alla Mecca e Medina. Altri studiosi (Grabar 1987) ritengono che la Cupola della Roccia avesse diverso significato, vale a dire quello di sottolineare il coronamento della rivelazione monoteista con l'avvento dell'Islam in un luogo già santo ad Ebrei e cristiani. L'edificio è situato nel ḥarām aššarīf (spazio sacro), non lontano dalla moschea di al-Aqsa eretta da Walid I (705-715), al quale si deve anche la ricostruzione della moschea di Medina e soprattutto la Grande Moschea di Damasco. Quest'ultimo edificio è il più antico esempio di maǧlis al-ǧāmi῾ giunto sino a noi nella forma originaria. Esso era collegato al palazzo califfale che venne costruito a ridosso del muro della qibla. Nella sua funzione di capo della comunità musulmana, l'intervento del califfo nella realizzazione delle Grandi Moschee è determinante. L'omayyade Hisham costruì nel 724 il famoso minareto della moschea di Kairouan, nella quale intervenne poi l'aghlabita Ziyadat Allah intorno al 736. La moschea di Cordova fu iniziata da Abd ar-Rahman I nel 785 e allargata dai suoi successori. Anche in questo caso per un lungo periodo l'edificio religioso era collegato al palazzo di governo, come nella moschea di Ahmad ibn Tulun al Cairo del IX secolo. Al periodo omayyade risalgono la pianta e le strutture principali della dār al-imāra di Kufa, la più antica giunta sino a noi. L'edificio era strettamente collegato alla moschea, ma era inserito all'interno di un recinto circondato da torri. Al centro si apriva un cortile da un lato del quale si passava ad una sala basilicale che dava a sua volta accesso a un piccolo vano coperto da una cupola, evidentemente il luogo dove il governatore riceveva in forma privata. Analoga sistemazione troviamo a Wasit, dove però è stata scavata soltanto la moschea. Fatto piuttosto eccezionale, la dār al-imāra era più grande della moschea, poiché ospitava una guarnigione. Al centro esisteva, secondo le fonti storiche, una struttura per l'udienza sul modello di quella di Damasco, che i testi chiamano qubbat al-ḫaḍrā'. Una tipologia architettonica caratteristica del periodo omayyade, del quale sono andati purtroppo perduti i palazzi della capitale Damasco, è quella della bādiyah, oggi interpretata come uno stabilimento agricolo. Soltanto nel tardo periodo omayyade si costruirono complessi palazzo-moscheabagno di una certa monumentalità, il più importante dei quali è quello di Khirbet al-Mafgiar in Cisgiordania. Il castello di Mshatta, attribuito a Walid I, prevedeva una vasta area residenziale, rimasta incompiuta. Nella parte centrale è la sala d'udienza a forma basilicale con sul fondo un triconco; la facciata, dalla ricca decorazione (oggi all'Islamisches Museum degli Staatliche Museen di Berlino), è probabilmente legata al valore simbolico della "porta" nel mondo islamico.
Il periodo abbaside - La dinastia abbaside regnò dal 750 al 1258, ma il periodo di maggior prestigio culturale fu quello tra l'VIII e il X secolo: un eccezionale sviluppo economico consentì la fioritura dello stile imperiale abbaside, caratterizzato dalla monumentalità e influenzato in diversa misura dai precedenti mesopotamici e dall'arte persiana. La cosiddetta "rivoluzione" abbaside ebbe anche un carattere religioso di cui il califfato dovette tenere conto, mantenendo l'unità tra moschea e palazzo del governo, come nella "rotonda" di Baghdad, il nucleo iniziale della città eretto tra il 762 e il 766. In questo periodo l'influenza persiana agirà sull'evoluzione ideologica del potere che, pur mantenendo le distanze dalla divina maiestas, avrà un carattere sempre più distaccato dal popolo. La residenza califfale sarà quindi separata dalla moschea, alla quale il califfo si recherà non più dalla sua abitazione, ma in processione solenne (mawkib). Il fondatore della nuova capitale, al-Mansur, tuttavia costruì al centro della "rotonda" il suo palazzo accanto alla moschea, noto come bāb aḏ-ḏahab ("la porta d'oro"), che richiama il simbolismo della porta nell'Oriente antico: la più celebre "porta" sarà il palazzo residenziale di Costantinopoli, assimilato al governo e noto come la Sublime Porta. A questa residenza al-Mansur ben presto aggiunse il palazzo denominato al-Ḫuld ("l'eternità"), sulle rive del Tigri, il primo di una serie di palazzi, di cui non sono note le caratteristiche, ma che nelle denominazioni tāj ("corona"), firdaws ("paradiso"), ṯurayyā ("Pleiadi"), alludono al potere. La Grande Moschea di al-Mansur, oggi scomparsa, si allargherà con le ricostruzioni e gli ampliamenti di Harun ar-Rashid e al-Mutadid a danno del palazzo califfale, che aveva perso le sue funzioni pubbliche e di potere. La moschea rimase a lungo la più prestigiosa della città, ma soltanto come centro di discussione e studi religiosi, né mancheranno nella città edifici altrettanto significativi, come la Grande Moschea di Rusafa sull'opposta sponda del Tigri, che sembra potesse accogliere 100.000 fedeli. La separazione del palazzo dalla moschea aveva anche motivi di sicurezza: è noto che nel X secolo dalla moschea di al-Mansur prese le mosse una rivolta militare. Tutti questi edifici sono andati perduti. Non così quelli di Samarra (capitale dall'836 all'892), i quali probabilmente seguivano i modelli elaborati a Baghdad. Il fondatore della nuova capitale, al-Mutasim, non venne meno alla tradizione di erigere una Grande Moschea, ma maggiore attenzione fu dedicata all'area residenziale; la vera Grande Moschea di Samarra (la moschea più grande del mondo) fu eretta da al-Mutawakkil (847-861). Allo stesso califfo si deve la Grande Moschea di Abu Dulaf ad al-Jafariyya; nella loro monumentalità queste moschee ben esprimono il potere. Sotto il profilo architettonico, si ricollegano al tempio a corte larga mesopotamico, come il minareto a spirale ha i suoi probabili antecedenti nelle ziqqurrat. L'estensione della moschea e soprattutto del cortile sottolinea le sue funzioni assembleari atte a ospitare una moltitudine di fedeli nelle occasioni solenni, come la visita del califfo, mentre all'interno nulla è previsto per l'udienza. Il potere si esercitava infatti dal palazzo, ben distante da un luogo assembleare e perciò pericoloso, come la moschea. Ad Abu Dulaf dietro la moschea sorge un piccolo edificio da intendere piuttosto come un luogo per il ristoro del califfo dopo il tragitto dal palazzo residenziale e non certo come la dār al-imāra. Nel periodo abbaside la sala d'udienza non è più a pianta basilicale ma cruciforme con una sala centrale a cupola, con indubbio significato glorificante. L'architettura imperiale abbaside è ricostruibile specialmente dai monumenti di Samarra. Nei due palazzi residenziali, il Jawsaq al-Khaqani e il Balkuwara, la sala d'udienza è di forma cruciforme, e i quattro rami a pianta basilicale formano al centro un vano ricoperto da una cupola. Anche l'entrata assume forma solenne, al Jawsaq al-Khaqani si accede dalla bāb al-'āmma, a triplice fornice. La pianta cruciforme di origine preislamica, che tanta fortuna avrà nell'architettura musulmana, comparve per la prima volta nella dār al-imāra di Abu Muslim a Merv che sembra essere stata il prototipo degli edifici di Baghdad e Samarra. Al-Wathiq (842-847) costruì il palazzo al- Haruni, mentre al-Mutadid eresse il Qasr al-Ashiq, di struttura molto diversa. Un cenno a parte per la sua monumentalità merita il castello di Ukhaidir, d'incerta datazione, in cui la parte centrale era la corte d'onore con sul fondo una sala d'udienza. Con il ritorno della sede califfale a Baghdad venne eretta sulla sponda orientale del Tigri una nuova zona residenziale che prese il nome di dār al-ḫilāfa; di questa nuova residenza, però, si ha soltanto qualche cenno nei testi scritti. Si conosce con precisione soltanto l'ubicazione, vicino alla Madrasa Mustansiriyya. Già in questo periodo la residenza del sovrano è costituita, più che da un palazzo centrale, da una serie di edifici inseriti in un vasto giardino, caratteristica che si ritroverà più tardi nell'Alhambra a Granada e nel Topkapı Saray di Costantinopoli. Durante il complesso periodo della frammentazione dell'impero abbaside prevalsero, come naturale, gli influssi locali. L'influenza dell'arte di Samarra è tuttavia avvertibile in alcuni edifici: dalla moschea di Ibn Tulun al Cairo a quella di Balkh in Iran, ai palazzi ghaznavidi in Afghanistan. Dopo il X secolo la perdita di talune funzioni tipiche del periodo delle origini accentuò il carattere religioso della moschea, ma non venne perduta la monumentalità dell'edificio, che poteva comunque assolvere a funzioni di potere. La moschea a corte larga, del tipo samarriano, sarà sempre più rara. L'Iran divenne il Paese musulmano culturalmente più importante ed è infatti in Iran che si sviluppò la moschea a pianta cruciforme, mentre la cupola diventa l'elemento caratterizzante dell'edificio. Il tipo si definisce nel periodo selgiuchide con la moschea di Isfahan, per proseguire nei secoli seguenti. Circa nello stesso periodo, in Egitto, i Fatimidi (969-1171) diedero vita a un'architettura religiosa che nelle maggiori realizzazioni è anche chiara espressione del potere, come nella moschea di al-Azhar, costruita subito dopo la conquista, tra il 970 e il 971, e nella moschea di al-Hakim (996-1021), in cui è già evidente il simbolismo della porta che si accentuerà nel periodo mamelucco. L'Occidente islamico seguì un suo percorso, in parte autonomo, ma negli edifici maggiori, come nella vastissima moschea di Hasan a Rabat del periodo almohade, l'edificio religioso rimane espressione del potere.
Le fasi più tarde - Il periodo mongolo, malgrado le molte distruzioni, vide anche una fase di ricostruzione, specialmente dopo la conversione all'Islam di Ghazan nel 1295, nella quale si applicò in forme monumentali quanto elaborato in architettura in epoca selgiuchide. Il sistema dei waqf rimase il motore per la realizzazione di una serie di edifici, spesso isolati, ma che talvolta costituivano veri complessi edilizi sorti per volontà di un sovrano o gradualmente attorno a una tomba, come nel caso dei santuari sciiti. Tipico è il caso del santuario dell'imām Alì ar-Riza a Mashhad, in Iran. Accanto alla tomba, che è il nucleo del complesso, troviamo la moschea e altre strutture, quali la madrasa, il bagno, l'ospizio, l'orfanotrofio. Durante l'ultimo periodo di splendore dell'Islam, nel XVI secolo, quando la maggior parte del mondo islamico era diviso in tre grandi imperi, l'impero ottomano, l'impero safavide in Persia e l'impero Moghul in India, l'architettura del potere si esplicò soprattutto nella grandiosità dei monumenti nei quali la moschea mantenne comunque il suo ruolo principale. I contatti con l'Occidente appaiono evidenti soprattutto nell'arte ottomana che, successivamente alla conquista di Costantinopoli nel 1453, subirà l'influenza dell'architettura bizantina.
Il bagno, in arabo ḥammām, è stato fino all'epoca recente uno degli edifici più caratteristici della città musulmana. Gli innumerevoli bagni che si diffusero nel mondo musulmano furono fondati il più delle volte come waqf, più raramente con scopi di lucro. Esistevano tuttavia bagni privati. Nella ripartizione dei vani (apoditerio, tepidario, calidario) è facile riconoscere l'origine romana, con le ovvie varianti; esso peraltro non assunse mai il carattere monumentale e le funzioni delle terme romane. Generalmente il bagno era composto da una sala di riposo con abitacoli per svestirsi e latrine, seguita da un vano di passaggio che portava alle sale calde. Tali caratteristiche conobbero comunque varianti, specialmente riguardo ai locali ausiliari. Il bagno si affermò per ragioni sia climatiche che religiose, dovendo il musulmano compiere le abluzioni rituali prima della preghiera; ciò spiega il gran numero di bagni presso le moschee e la costruzione di ḥammām già nelle prime città fondate dagli Arabi. Se netta era la separazione dei sessi, talvolta lo stesso bagno era usato in ore diverse da uomini e donne. Il periodo omayyade (661-750) ci offre una serie di edifici di grande interesse, perché giunti a noi nella forma originaria. Il bagno di Qusair Amra, in Giordania, sicuramente appartenne a un califfo, con ogni probabilità Walid I. Accanto ai locali del bagno propriamente detto si apre una sala di riposo, adattata all'occasione alla funzione di sala d'udienza, con a lato una rappresentazione dei sei sovrani sconfitti dall'Islam e, sul fondo della navata centrale, una delle rare rappresentazioni del califfo. Nel bagno di Angiar, in Libano, una sala, certamente non destinata all'udienza, accompagna i vani riscaldati. Al tardo periodo omayyade appartiene il bagno di Khirbet al-Mafgiar, in Cisgiordania, in cui i vani riscaldati sono affiancati da un'ampia sala che presenta su uno dei lati una piscina, unico esempio di frigidarium dell'epoca. La sala ha un pavimento in mosaico e la parte centrale è ricoperta da una cupola che, assieme all'entrata dominata dalla scultura del califfo, allude al potere. Meno informati siamo sui bagni abbasidi dei quali non sono definite le caratteristiche, salvo per quanto affermato dalle notizie dei cronisti circa l'iperbolico numero degli ḥammām che Baghdad avrebbe avuto tra il IX e il X secolo; è noto comunque che a Cordova sarebbero esistiti 300-600 bagni. La gestione dei bagni rientrava nelle competenze del muḥtasib, un ispettore che ne doveva controllare il regolare funzionamento e le condizioni igieniche. Dopo il periodo omayyade, i monumenti giunti sino a noi sono piuttosto scarsi. La Spagna musulmana e il Maghreb presentano tuttavia un certo interesse per talune varianti rispetto allo schema generale: poiché il bagno rappresentava anche un luogo d'incontro, se le dimensioni rimasero modeste, la sala per svestirsi e di riposo divenne più ampia. L'epoca ottomana diede grande impulso all'edificio, a cominciare dal bagno di Mahmud Pashà costruito nel 1466, poco dopo la conquista di Istanbul nel 1453. L'evoluzione del bagno ottomano comportò una ridistribuzione dei locali a vantaggio delle sale di ristoro che, sormontate da una cupola come nel bagno Khaseki a Istanbul, conferirono carattere monumentale all'edificio.
Gli Arabi divisero le scienze in "arabe" e "straniere", queste ultime importate specialmente dal mondo greco, come la filosofia e la medicina. Le scienze arabe erano invece lo studio del Corano, i detti del Profeta, la grammatica in quanto lingua del libro rivelato. Non si hanno notizie precise sul sistema di istruzione nei primi tempi dell'Islam. L'arabizzazione dell'amministrazione avvenuta al tempo di Abd al-Malik (695-705) dovette comportare una sede per l'istruzione, di cui non ci è giunta notizia. La fiorente vita intellettuale abbaside si esplicava attorno alla corte e per ciò che riguarda le scienze religiose nella moschea, dove l'insegnamento avveniva col sistema della ḥalqa, "circolo", secondo il quale il maestro si sedeva per terra all'orientale con attorno gli allievi. A Baghdad le maggiori moschee ospitavano talvolta fino a cinquanta ḥalqa. Il termine madrasa ("scuola") fu usato dapprima per indicare il settore della moschea assegnato all'insegnamento. Luoghi d'insegnamento divennero anche le case degli asceti e dei mistici. Talvolta un maestro rinomato insegnava nella propria casa che diveniva così una sorta di scuola privata. Anche ai ḫān, nella versione cittadina, era talvolta collegata una scuola, formando il complesso masǧid-ḫān, generalmente per studenti provenienti da altre località. Carattere eccezionale ebbe la dār al-ḥikma ("la casa della saggezza") eretta a Baghdad da al-Mamun (813-833) e considerata da taluni la prima università del mondo. In realtà si trattava di un istituto per traduttori di opere greche, dal siriaco, con annessa una biblioteca, ma è probabile fosse anche un centro di studi in relazione alle altre civiltà e alle novità rappresentate dalle scienze che venivano a mano a mano introdotte nella cultura islamica, come l'astronomia, per la quale venne istituito un celebre osservatorio. Un'altra dār al-ḥikma fu eretta al Cairo dal fatimide al-Hakim nel 1005 con lo scopo di diffondere il credo sciita; venne chiusa dagli Ayyubidi, che erano sunniti, nel 1171. L'istituzione scolastica si definisce a partire dal periodo selgiuchide, con la decadenza del califfato e l'imperativo di tramandare un bagaglio dogmatico e giuridico che si riteneva definitivo. La madrasa nacque in ambiente sunnita; tra gli sciiti l'istituto equivalente era la dār al-῾ilm e aveva una struttura diversa. La genesi della madrasa va ricercata comunque nella moschea stessa, che in certi casi mediante adattamenti successivi diveniva una madrasa, cumulando col tempo le due funzioni, come nel caso della moschea di al-Azhar al Cairo che risale al X secolo ed è oggi la più famosa università teologica islamica. Nel periodo selgiuchide viene fissato il tipo canonico per merito del gran visir Nizam al-Mulk (XI sec.) per ordine del quale vennero costruiti numerosi edifici del genere, i più famosi dei quali sorsero a Nishapur e Baghdad e dal fondatore furono chiamati Nizamiyyah. A Baghdad esistevano una trentina di madrasa, oggi scomparse, ad eccezione della Mustansiriyyah, eretta nel 1234 dal califfo al-Mustansir e sopravvissuta alla conquista mongola del 1258. L'edificio è giunto ai nostri giorni e gli scavi svolti nelle vicinanze hanno messo in luce altri edifici, quale la dār al-Qur'ān, l'istituto specifico sul Corano, un ospizio e una farmacia. La Mustansiriyyah era a pianta cruciforme con al centro un vasto cortile, i bracci della croce erano formati da altrettanti īwān, uno dei quali, orientato alla Mecca, era anche sala di preghiera. Si è pensato che i quattro īwān corrispondessero a ciascuna delle scuole del diritto musulmano, ma il fatto che uno di essi fosse l'entrata non sembra avallare tale ipotesi, certamente valida per altri edifici. Al secondo piano si trovavano le stanze per gli studenti. È probabile che la pianta seguisse quella della Grande Moschea sviluppata in epoca selgiuchide, specialmente, in Iran. D'altra parte madrasa e moschea erano talvolta lo stesso edificio. Ancora a Baghdad il cosiddetto Qasr Abbasi a due piani, del tardo periodo abbaside, ha un solo īwān ed era verosimilmente un istituto di studi con biblioteca. La madrasa fu introdotta in Egitto da Saladino (1138-1193), campione dell'ortodossia che curò anche le costruzioni di madrasa nelle città sante e a Gerusalemme. In Egitto la tradizione continuò anche nelle epoche seguenti. La Zahiriyyah di Baybars (1262-63) che spicca per l'eleganza del portale era a quattro īwān. Celebre è il complesso mausoleo-madrasa-ospedale eretto da Qalawun nel 1285, nella vicinanza del quale il successore Nasir Muhammad costruì nel 1295 una madrasa a quattro īwān. Spesso la madrasa era collegata al mausoleo del fondatore, come nel caso della madrasa di Sultan Hasan (1356-1363) al Cairo, splendido edificio a quattro īwān. Al periodo di Qayt-Bey (1468-1496) appartengono molti edifici, tra i quali spicca la Madrasa Ashrafiyya a Gerusalemme del 1482, costruita lungo il muro del ḥarām aš-šarīf. Altre madrasa dello stesso sultano furono erette alla Mecca e Medina, molto probabilmente per contrastare l'emergente potenza ottomana dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453. In Iran dopo le opere di Nizam ul-Mulk, la più antica madrasa giunta sino a noi è la Madrasa-i Imami a Isfahan del 1325. Un cenno a parte merita la "città universitaria" ar-Rashidiyyah, eretta a Tabriz da Rashid ad-Din, il celebre ministro di Ghazan, l'imperatore mongolo che si convertì all'Islam nel 1295. Questo tipo di edificio fu oggetto di rinnovato interesse in epoca timuride; venne infatti ripreso il tipo a quattro īwān, con biblioteche e locali ausiliari. Ricordiamo la madrasa di Ulugh Beg eretta tra il 1417 e il 1420. Nella Isfahan dell'epoca safavide (1501-1736) ricordiamo almeno la Madar-i Shah, anch'essa a quattro īwān. Nel Maghreb e nella Spagna musulmana l'edificio non ebbe altrettanta fortuna, forse perché in questa parte del mondo musulmano le controversie religiose furono minori. In Spagna l'insegnamento verosimilmente avveniva nella moschea. Del periodo degli Almoravidi e degli Almohadi è rimasto ben poco. Grandi costruttori di madrasa furono invece i Merinidi (1269-1465) che ci hanno lasciato una serie di edifici di elevato valore artistico con i vani che si articolano attorno al cortile, tra i quali spicca la sala di preghiera usata anche per l'insegnamento. La più antica di esse è la Saffarin a Fez in Marocco istituita nel 1271, seguita dalla Bu Inaniyya, dalla Attarin, dalla Qarawiyyin. Talvolta gli edifici hanno il minareto, manca invece il mausoleo del fondatore che troviamo in molti edifici egiziani e in Siria. Dopo il periodo merinide la madrasa decadde. In India la madrasa si diffuse a partire dal XIII secolo con la fondazione del sultanato di Delhi che in ambiente Hindu aveva un programma di islamizzazione. Gli edifici più cospicui appartengono anche in questo caso al periodo Moghul (XIII-XIX sec.) che nella sua apertura, fino a Aurangzeb, ad altre religioni favorì l'insegnamento anche dell'agricoltura e delle scienze naturali, permettendo l'accesso a studenti non solo musulmani. Nella ristrutturazione di Delhi, Shah Giahan (1628- 1657) costruì una grande madrasa accanto alla Grande Moschea.
L'elevato tenore di vita e lo sviluppo della medicina portarono alla grande diffusione degli ospedali (in arabo maristān, dal persiano bimāristān) nel mondo islamico. Questo tipo di edificio, di cui il primo esempio è fatto risalire a Walid I, si sviluppò anche per l'impulso della scuola di medicina di Giundishapur nel Khuzistan. Dall'epoca di Harun ar-Rashid (786-809) si hanno notizie più certe. A Baghdad sarà celebre il maristān di Adud ad-Dawla, aperto nel 982, che sembra avesse un'organizzazione molto avanzata con reparti per le varie malattie e i relativi specialisti. Spesso nelle madrasa esisteva un dipartimento per l'insegnamento della medicina, il che spiega come entrambi gli edifici facessero talvolta parte dello stesso complesso architettonico. In Egitto il maristān apparve nel IX secolo con Ahmad ibn Tulun e poi con Saladino, mentre del periodo mamelucco è celebre quello del sultano Qalawun eretto nel 1284. A Damasco ricordiamo il maristān di Nur ad-Din (Norandino) del 1154. L'edificio si diffuse anche nell'Occidente islamico; il più noto è l'ospedale dell'almohade Yaqub al-Mansur (1184-1199) a Marrakesh. In Turchia gli ospedali erano anche chiamati dār aš-Šifā' (casa di cura"). Ricordiamo quelli eretti da Maometto II (1451-1481), Bayazid (1481- 1512) con annesso un 'imāret (cucina pubblica per poveri). Solimano il Magnifico eresse accanto alla dār aš-Šifā' una scuola di medicina. Anche queste opere erano realizzate con il sistema dei waqf ; è interessante ricordare che l'Occidente venne a conoscenza degli edifici di questo tipo soltanto al tempo delle crociate. I GIARDINI Il giardino si diffuse nel mondo musulmano sia per ragioni climatiche, sia per l'influenza delle civiltà antecedenti. Dai precedenti mesopotamici e sasanidi derivò il giardino islamico che, nella sua evoluzione, subirà comunque l'influenza delle tradizioni locali. I giardini omayyadi si riconducono alla bādiya, ma nulla sappiamo delle loro caratteristiche, come pure poco noti sono quelli di Samarra, ma che sicuramente erano molto vasti con una rete di canali provenienti dal Tigri. Il Jawsaq al-Khaqani coi suoi giardini si estendeva per 150 ha. Esisteva sia il parco di caccia che il giardino vero e proprio. In epoca ghaznavide (X-XII sec.) nel Ta'rīḫ Bayhaqi sono riportati i nomi di alcuni giardini famosi. Nell'Occidente islamico vanno ricordati i giardini di Raqqada in Tunisia di epoca aghlabita (IX sec.) e soprattutto i giardini merinidi in Marocco, generalmente collegati alla residenza del sovrano e talvolta associati alla coltivazione di alberi da frutto. Il giardino interno alla residenza (riyād ), spesso riprodotto nelle miniature, a volte prevedeva un padiglione circondato da canali con piante ornamentali. A questa tipologia si possono far risalire i giardini andalusi, dai quali è derivato il patio spagnolo, come era ad esempio in origine il cortile dei leoni nell'Alhambra, la residenza nasride a Granada famosa per il Jannat al-Arif (Generalife).
In generale:
F. Sarre - H. Herzfeld, Archäologische Reise im Euphratund Tigris-Gebiet, Berlin 1911-20; K.A.C. Creswell, The Muslim Architecture of Egypt, Oxford 1952; G. Marçais, L'architecture musulmane d'Occident, Paris 1954; J. Terry, Indo-Islamic Architecture, London 1955; K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, Oxford 1969²; G. Goodwin, A History of Ottoman Architecture, London 1971; O. Grabar, The Formation of Islamic Art, New Haven - London 1987; V. Strika - J. Khalil, The Islamic Architecture of Baghdad, in AnnOrNap, Suppl. 52 (1987); E. Hillebrand, Islamic Architecture, Edinburgh 1994.
Per la moschea e gli altri edifici:
J. Sauvaget, La mosquée omeyyade de Médine, Paris 1947; S. Bettini, Il castello di Mshattà nell'ambito dell'arte di "potenza" tardoantica, in Anthemon. Studi in onore di C. Anti, Firenze 1955, pp. 321-66; A. Dietrich, Die Moscheen von Gurgan zur Omaijadenzeit, in Der Islam, 40 (1964), pp. 1-17; Munir ad-din Ahmed, Muslim Education and the Scholar Social Status up to the 5th Century Muslim Era in the Light of Ta'rikh Baghdad, Zurich 1968; V. Strika, Origini e sviluppi dell'architettura civile musulmana, Venezia 1968; Id., Caratteri della moschea irachena dalle origini al X sec., in RendLinc, 28 (1973), pp. 867-911; Nuha N.N. Khoury, The Mihrab. From Text to Form, in International Journal of Middle Eastern Studies, 1 (1998), pp. 1-27. Per i ḥammām: A. Musil, Kuseir 'Amra und andere Schlösser östlich von Moab, Wien 1902; E. Pauty, Les hammams du Caire, Caire 1963, Ch. Le Coeur, Les Bains de Damas, I-II, Beyrouth 1942-43.
Per la madrasa:
H. Terrasse, Médersas du Maroc, Paris 1927; A. Godard, L'origine de la madrasa, de la mosquée et du caravansérail à quatre īwān, in ArsIsl, 15-16 (1952) pp. 1-9; G. Makdisi, Muslim Institutions of Learning in the Eleventh Century Baghdad, in BSOAS, 24 (1961), pp. 1-56; Khaliq Ahmed Nizami, Studies in Medieval India History and Culture, Allahabad 1966; Munir ad-din-Ahmed, Muslim Education and the Scholar Social Status up to the 5th Century of Muslim Era in the Light of Ta'rikh Baghdad, Zurich 1968; D. Brandenburg, Die Madrasa, Ursprung, Entwicklung, Ausbreitung und künstlerische Gestaltung der islamischen Moschee Hochschule, Graz 1978. Per i bimāristān: Ahmed Isà Bey, Histoire des bimaristans (hôpitaux) à l'époque islamique, Caire 1929.
Per i giardini:
C.M. Villiers-Stuart, Gardens of the Great Moghols, London 1913; J. Gallotti, Le jardin et la maison arabe du Maroc, I-II, Paris 1926.
di Basema Hamarneh
I cimiteri islamici offrono una variegata tipologia di strutture architettoniche che però si definiscono come tali solo a partire dall'VIII-IX secolo. Infatti l'austerità e la semplicità che accompagnano i primi secoli dell'Islam sono riflesse dalle costruzioni funerarie, volutamente differenziate da quelle cristiane ed ebraiche. I cimiteri più antichi sembrano mancare del tutto di strutture in elevato, situazione indotta dalla rigorosità degli ḥadīṯ (tradizione che riferisce gli atti e i detti del Profeta) e dalla interpretazione dei fuqahā' (giureconsulti). Le tombe, infatti, si presentano come una sorta di tumulo poco emergente dal terreno, prive di decorazioni o iscrizioni, a volte identificate solo dalla presenza di un segnacolo sul quale mancavano sia il nome del defunto che la data del decesso. Questo rigore del periodo delle origini non distingueva tra tombe privilegiate e non. Tuttavia tale anonimato non durò a lungo: nel corso dei secoli si assiste infatti alla formazione di un vero e proprio Pantheon religioso con i personaggi venerati quali il Profeta, i suoi familiari, i ṣaḥāba (seguaci), i šuhadā' (martiri) e i ṣāliḥūn (santi), nonché al contatto con altri popoli e tradizioni funerarie che portò gradualmente alla creazione di una vera e propria tradizione architettonica. Inizialmente si verificò un dualismo tra moschea e sepolcro quando le prime tombe venerate dell'Islam vennero monumentalizzate dalla costruzione di moschee, come avvenne ad esempio per le tombe di Maometto e di Fatima, inglobate nella Grande Moschea di Medina detta appunto al-Haram an-Nabawi nell'VIII secolo. In seguito ebbero modo di diffondersi, tra i ceti sociali più in vista, strutture funerarie complesse come i mausolei, detti qubba (pl. qibāb) riferendosi alla copertura a cupola (che poteva essere rotonda, conica od ottagonale), le torri funerarie di forma cilindrica con copertura emisferica o a cono diffuse soprattutto in area iranica, le moschee-mausoleo, le türbe (termine turco per mausoleo o tomba) e le madrasa-türbe (di area siriana, egizia e anatolica), i marabet o marabut (mausolei di area nordafricana) e infine i rawḍa (recinti con giardino e fontane intorno ai mausolei come in India). Mentre le sepolture dei villaggi continuarono a perpetuare la tradizione delle origini, con tombe elevate rispetto al suolo, a gradino o a cassa in muratura, intonacate e contrassegnate da pietre tombali, tra i gruppi più ortodossi restò l'uso delle sepolture anonime. La più antica struttura funeraria del mondo islamico è la Qubbat as-Sulaybiyya edificata intorno all'862 a Samarra, in Mesopotamia, dal califfo al-Muntasir per sua madre. Si tratta di un mausoleo ottagonale, con cupola e ambulacro, la cui struttura architettonica elaborata è riconducibile per certi versi al modello della Cupola della Roccia di Gerusalemme. Altre strutture autonome con copertura a cupola sorsero alla Mecca, entro il cimitero di el-Hagiun, sopra le tombe di Amina, madre del Profeta, e di Khadigia, una delle mogli. Analoghe volontà di monumentalizzazione si verificarono in ambito sciita, presso i grandi santuari divenuti meta di costanti pellegrinaggi. Infatti le tombe martiriali vennero inglobate da strutture complesse dotate di moschee, madrasa ed edifici sussidiari, come ad esempio quelle sorte a Karbala intorno al mausoleo di al-Husayn datato al VII secolo, quelle dell'imām Ali Rida a Mashhad del IX secolo (che divenne poi anche centro di potere politico), quelle di Fatima a Qum del IX secolo. Di area nordafricana sono invece gli esempi di mausolei venerati (marabut) di Tlemcen in Algeria e quello di Mulay Idris II a Fez in Marocco. Nel periodo tardomedievale si diffusero le sepolture presso le istituzioni religiose, come le madrasa e le ḫānaqāh ("ostelli" generalmente riservati ai mistici) edificate dai sovrani della dinastia ayyubide e dai dignitari di corte in Siria e in Egitto. Al XII-XIII secolo sono relative le tombe a cupola di Damasco annesse alle madrasa collocate all'interno delle mura. Questo dualismo è spiegato dall'iscrizione funeraria della Sultaniya ‒ la tomba del Zahir Ghazi (620 a.E.) ‒ dove si fa riferimento alla costante lettura del Corano che accompagna l'eterno riposo del pio personaggio. Della medesima tipologia sono la sepoltura di Saladino presso la Madrasa Aziziyah, la tomba di al-Malik al-Adil presso la Madrasa Adiliyah e quella monumentale edificata dal sultano mamelucco az-Zahir Baybars (1260-1277) presso la Madrasa az- Zahiriyah, mentre l'architettura della Madrasa Nuriyah, dove venne sepolto l'ātābeg Nur ed-Din, si distingue per la particolare cupola di ispirazione iranica. L'impianto architettonico di queste strutture presenta una corte centrale; a volte vi possono essere due īwān, una sala per la preghiera e piccole celle per gli alloggi degli studenti e dei maestri; in un angolo della costruzione, visibile dalla strada, sorge il mausoleo del fondatore. La planimetria dei mausolei sopraindicati è semplice: si tratta infatti di un'ampia stanza quadrata coperta da una cupola poggiante su raccordi a muqarnas e dotata spesso di più di un miḥrāb. Le türbe più antiche di Damasco sono la Mukaddamiya e quella detta "di Ala ad-Din" del XII secolo, di forma ottagonale priva di finestre; in seguito si affermò il tipo composito, formato da un vano rettangolare, con alloggio per gli archi nei muri e quattro nicchie, sormontato da un tamburo coperto da una cupola traforata da finestre e costruita interamente in mattoni. Vi sono tuttavia tipologie più semplici come il mausoleo di Shuhaib Rumi nel cimitero di Raslan e Kubbat al-Naser entrambi a Damasco. In Egitto si diffusero le strutture a pianta quadrata coperte da cupole di piccole dimensioni, mentre la mancanza di spazio portò alla costruzione di edifici con sviluppo prevalentemente verticale, come si evince dai monumenti datati all'epoca fatimide del X-XI secolo presenti al cimitero cittadino di al-Qarafa. All'epoca ayyubide vanno riferiti i numerosi mausolei del Cairo composti da base cubica, coperta da una cupola raccordata alla base mediante passaggi a trifoglio di ispirazione iranica. Si segnala, a questo proposito, quello dell'imām Shafii nel cimitero di al-Qarafa datato al 1211 d.C. Strutture simili sembrano poi essersi diffuse anche a Kairouan e a Tunisi. La tradizione architettonica continuò anche in epoca mamelucca quando la base quadrata venne sormontata da una struttura ottagonale, come nel caso delle tombe dei califfi abbasidi sepolti al Cairo, datate al 1242/3 d.C., particolarmente importanti per la ricca decorazione interna. Tra il X e l'XI secolo si diffusero in area iranica le strutture funerarie a torre con cupola emisferica e planimetrie circolari, ottagonali o a stella; la base della torre accoglieva la sepoltura, mentre un ambiente superiore era destinato alla preghiera come si evince dalla costante presenza dei miḥrāb. I più celebri esempi sono Pir-i-Alamdar a Damghan e l'Imamzade Abdallah Lagim; vi sono poi torri dotate di copertura conica con il fusto movimentato da speroni triangolari come nel caso di Gunbad-i Qabus di Gurgan, datato al 1006. Della medesima ispirazione sono la tomba a torre del mistico Farid ad-Din a Nishapur, datata al XII secolo, ed altre del XIV secolo presenti a Bistam e Kishmar. Le tombe a torre ebbero una considerevole diffusione anche in Anatolia come testimoniano quelle di Erzurum e Ahlat datate al XIII secolo. Gli edifici sepolcrali della Mesopotamia sono principalmente a pianta ottagonale sormontati da un'alta cupola conica a muqarnas come i mausolei di Baghdad, quali Zumurrud Khatun, Sitta Zubayda, edificato presso il santuario di al-Kazimiyah nel 1199 d.C., e quello di Umar as-Suhrawardi datato al 1234. Di analoga tipologia è quello dell'imām Dur, edificato nel 1085 tra Takrit e Samarra, con base parallelepipeda e angoli segnati da colonnine. Alla tradizione preislamica dell'area sudarabica appartengono le strutture funerarie dello Yemen dove sono presenti tombe con forme miste tra le quali i mausolei a baldacchino cupolati come a Tihama, mentre a Saada, nello Yemen settentrionale, sono presenti mausolei di tipo aperto a cupola. L'architettura funeraria subì tuttavia uno sviluppo diversificato in area iranica. Infatti l'uso costante del mattone come materiale predominante permise l'edificazione di strutture che spiccano per la loro plasticità e ricchezza decorativa. È noto l'esempio del complesso detto Tomba dei Samanidi (892-907) a Bukhara, in Turkmenistan, dove la struttura quadrangolare a cupola sembra leggermente rastremata verso l'alto, arricchita da colonne angolari in laterizio e da una galleria superiore con cupolette angolari, soluzione che dissimula il passaggio da corpo quadrato a cupola. La decorazione a tessitura geometrica sia all'interno che all'esterno dell'edificio è stata ottenuta invece grazie all'accostamento dei mattoni a vista, che conferisce un aspetto monumentale. Un particolare arricchimento della struttura con l'impiego di elementi decorativi si nota nel mausoleo di Sultan Sanjar, a Merv in Uzbekistan, del 1157, mentre l'uso dello stucco è attestato a Baba Hatim; la terracotta incisa appare nel mausoleo di Uzgend, l'uso dello smalto a Bukhara. Alla pianta di base i Samanidi aggiunsero il cosiddetto pīšṭāq, ovvero un portale monumentale ad arco che comparve per la prima volta nel mausoleo di Arab Ata, forse del IX-X secolo, in Uzbekistan, poi in quelli di Sarakhs, Mihna e Tus, datati al XIV secolo, di area iranica orientale e dell'Asia Centrale. In epoca ilkhanide (1256-1353) spiccano fondazioni come Öljeitü Khundabanda a Sultaniyya, dove una grande struttura ottagonale costituisce la base di un mausoleo con notevole sviluppo verticale, sormontato da un tamburo coperto da una cupola di aspetto ovoidale, circondata da otto sottili minareti posti agli angoli, infine rivestita da un manto di maioliche turchesi. Strutture affini anche se meno imponenti si trovano nella stessa Sultaniyya come il mausoleo più antico di Çelebi-Oghlu del 1310 ed altre strutture ottagonali del Pakistan come Rukn-i Alam a Multan. A questo variegato panorama vanno aggiunte le strutture funerarie timuridi (1335-1405) presenti a Samarcanda e Bukhara. Si tratta della necropoli di Shah-i Zinda composta da sedici tombe, dalla planimetria assai semplice che presenta un vano quadrato con cupola bassa all'interno, mentre esternamente poggia su un alto tamburo con fitta decorazione esterna a smalti policromi. Le tombe di Tamerlano e dei suoi familiari, datate al 1405, presentano una cupola a bulbo con costole verticali ricoperte da un manto geometrico di ceramiche invetriate. Più grandi sono i mausolei di Bukhara come Bayyan Quli Khan del 1357 e Ahmed Yasavi del 1394/5 in Turkmenistan anche se mantengono la medesima planimetria.
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