L'architettura: caratteri e modelli. Sud-Est asiatico
di Janice Stargardt
Nel Sud-Est asiatico il principale metodo costruttivo, elaborato in funzione di materiali architettonici "vivi" (come paglia, legno o bambù), è quello fondato sul sistema pilastro-trave. Tale metodo, la cui diffusione e ampia distribuzione geografica sono confermate anche dai dati archeologici, è predominante rispetto ad altri sistemi strutturali impiegati tradizionalmente. Nella tecnica in questione, coppie di pilastri in legno venivano impiantate nel terreno, oppure occasionalmente in basi preformate in pietra o in mattone, e collegate alla copertura dell'edificio mediante giunti a tenone e mortasa. Nel diversificato repertorio tradizionale dei sistemi di copertura del Sud- Est asiatico il tetto è l'elemento di maggiore visibilità, pur restando integrato nel sistema pilastro-trave. Tetti a più livelli venivano realizzati in funzione di un'accurata riduzione dimensionale nell'insieme pilastro-trave. Nel senso dello sviluppo orizzontale il volume della struttura era infatti in diretta dipendenza del numero di coppie di pilastri impiegate, in un assortimento che spaziava dalle abitazioni a 4 pilastri (capanne, piccoli locali) a quelle a 6, a 8 (grandi case), a 12 pilastri e oltre (sale da cerimonia, grandi palazzi, templi). Poiché la luce media tra i pilastri era compresa tra i 2 e i 3 m, tale tecnica si prestava alla realizzazione di costruzioni e strutture assai differenti per grandezza e per robustezza. Negli edifici di piccole dimensioni i pilastri erano disposti agli angoli, in quelli di misure maggiori essi dominavano lo spazio interno, mentre i muri perimetrali non svolgevano alcuna funzione portante, ma solo quella di partizione. I pavimenti venivano inseriti, anche mediante tenoni praticati sui pilastri principali, a differenti altezze dal suolo in modo da ottenere isolamento termico e protezione dagli agenti naturali. In tutte le strutture grande cura era riservata all'installazione dei pilastri, delle travi e dei travetti, rispettando il senso del legno e la direzione di crescita dei tronchi e dei rami da cui questi erano ricavati. Si pensava che in tal modo gli elementi essenziali della nuova struttura ritenessero lo "spirito originale dell'albero", che assieme ad altre forze spirituali diveniva così parte della casa, intesa come un'estensione della coppia che la possedeva, mentre la sala cerimoniale o il tempio diveniva l'abitazione della divinità o degli spiriti. Nel senso dello sviluppo verticale, la prima coppia di pilastri era spesso ritualmente caratterizzata come maschio e femmina, in modo da conferire alla struttura forza e longevità sotto il profilo sia materiale sia cosmologico. In diverse aree del Sud-Est asiatico, al primo paio di pilastri venivano impartiti i nomi e conferito il rango degli antenati dei due sessi; ovunque tali componenti architettoniche occupavano una posizione d'onore e sempre veniva loro attribuita importanza rituale, in particolare in connessione con la nascita, la morte e il rinnovarsi della vita. Tali pilastri rappresentavano gli intermediari spaziali e spirituali tra la terra e il cielo, con tutte le conseguenti implicazioni religiose a loro collegate, tanto da assurgere al ruolo di axis mundi di queste sfere. La casa tradizionale del Sud-Est asiatico, dunque, racchiude in sé una valenza cosmologica più antica e diversa da quelle legate alle tre religioni storiche della regione: il buddhismo, l'hinduismo (introdotti nel IV-VI sec. d.C.) e l'Islam (introdotto nel XII-XIV sec. d.C.). Le più antiche testimonianze che riguardano le strutture abitative sono quelle rappresentate dai modellini bronzei rinvenuti in alcune tombe della cultura Dian nella Provincia di Yunnan (Cina), databili al III-II sec. a.C., dalle raffigurazioni sui tamburi di bronzo Dongson del Vietnam settentrionale e dai resti delle camere sepolcrali monumentali di Beikthano (Birmania), risalenti al II-I sec. a.C. e realizzate con legno e con mattoni. All'interno di questa antica tradizione regionale di architetture domestiche e cerimoniali fatte di materiali organici, penetrò gradualmente la consuetudine, di origine indiana, di costruire monumenti buddhistici e Hindu di pietra e di mattoni. Tale tendenza trovò inizialmente espressione negli stūpa e nei templi che vennero edificati in alcune ristrette zone del Sud-Est asiatico. Nelle aree interne del continente, nonché nelle Filippine e in Indonesia, proseguì l'antica tradizione di realizzare edifici cerimoniali con materiali organici. L'esempio forse più antico dell'influsso indiano sull'architettura monumentale del Sud-Est asiatico risale al IV sec. d.C. (Beikthano, Birmania); tale influenza si estese tra il IV e il VII secolo alla Thailandia, al Laos, alla Cambogia e al Vietnam, nonché probabilmente anche all'area meridionale di Sumatra e alle zone centrali di Giava. A Giava, nell'VIII secolo, il Borobudur rappresenta certamente la più originale forma di stūpa del Sud-Est asiatico, nonché uno dei maggiori monumenti della regione. Tra le molte innovazioni architettoniche legate alla tipologia dello stūpa, alcune sono particolarmente notevoli, come la realizzazione delle gigantesche torri-stūpa di Shrikshetra (Bawbawgyi, Payagyi, Payamagyi, VI-VIII sec.), la sovrapposizione dello stūpa al tempio (Bebegy, Lemyethna a Shrikshetra, VI-VIII sec.), successivamente perfezionata esteticamente e tecnicamente dai Birmani a Pagan nel tempio-stūpa di Abeyadana e in centinaia di altre strutture simili, l'introduzione di uno o, saltuariamente, di due ambulacri voltati circolari racchiusi all'interno della base dello stūpa, come a Pagan, e la convergenza dello stūpa e del tempio rastremati (prasada) in varie forme tra i Birmani, i Laotiani e i Khmer. Il cosiddetto "tempio-montagna" buddhistico o Hindu (che simboleggia il monte Meru, il centro del Cosmo) presenta diverse unità di copertura sovrapposte, di grandezza decrescente. Tale sovrastruttura piramidale era separata dal sacrario centrale del piano terreno mediante un solaio piatto realizzato con lastre di pietra o di legno. È ipotizzabile che la sovrastruttura contenesse, talvolta, un vano vuoto, benché lo stato di conservazione di questi templi non consenta di confermare tale supposizione; in alcuni rari casi in questo spazio veniva ricavata la cella del sacrario. La concezione religiosa e lo stile architettonico del tempio-montagna vennero introdotti nel Sud-Est asiatico a partire dal V-VI sec. d.C. Successivamente all'VIII secolo, un certo numero di templi in Thailandia, in Cambogia, in Vietnam e a Giava dimostra come i costruttori, pur mantenendo fedelmente l'aspetto dell'esterno secondo l'esempio indiano, riuscissero comunque a realizzare cortine murarie più sottili. In molti casi il vano elevato era parte del sacrario stesso, realizzato mediante un accorto impiego dell'arco di volta a cesto. A Giava, nell'area centrale dell'isola, venne edificato nel IX secolo un tempio a due piani, Chandi Plaosan, in cui trovò impiego l'arco di volta a cesto, con tre sacrari buddhistici della corrente Mahāyāna su ciascun livello. In Birmania l'arco vero e proprio, riscontrabile in solo 40 monumenti dell'India preislamica, venne impiegato a Shrikshetra nella costruzione dei templi Pyu a partire dal VI o dal IX secolo e venne poi ampiamente sviluppato a Pagan nel periodo compreso fra l'XI e il XIII secolo, con l'impiego di un ventaglio di archi a tutto sesto o a sesto dimezzato. Questo sistema consentì non solo la creazione di spazi interni, quali cappelle, scalinate e corridoi, ma permise anche la redistribuzione e lo scarico delle spinte statiche delle strutture monumentali sovrastanti, le quali sono riuscite a sopravvivere anche in zone sismiche come Ananda, Thatbinnyu e Sulemani. Il tempio-montagna Hindu più noto è quello, con cinque torri, di Angkor Vat (XI sec. d.C.), nella Cambogia centrale. Il tempio-montagna, con le sue terrazze e i suoi tetti piramidali ed elevati a gradini, trovò espressione in Birmania, in Indonesia, in Thailandia, nel Laos e in Cambogia, ma, significativamente, non in India. L'architettura cerimoniale delle altre aree del Sud-Est asiatico, compresi i monumenti Hindu-buddhistici ancestrali di Bali, continuò ad essere realizzata con materiali "vivi" e mediante il primitivo sistema costruttivo indigeno a pilastro-trave.
S. Paranavitana, The Stūpā in Ceylon, Colombo 1939; G. Nafilan et al., Angkor Vat, Paris 1969; G.H. Luce, Old Burma, Early Pagan, Ascona 1969-70; H. Sarkar - B.N. Misra, Nagarjunakonda, Delhi 1972; B.P. Groslier - J. Dumarçay, Le Bayon, Paris 1973; S. Charpentier - P. Clement, Éléments comparatifs sur les habitations des ethnies de langue thaï, Paris 1974; M. Pirazzoli t'Serstevens, La civilisation du royaume de Dian à l'époque Han, Paris 1974; J. Dumarçay - F. L'Hernault, Temples Pallava construits, Paris 1975; J. Dumarçay, Histoire architecturale du Borobodur, Paris 1977; R. Schefold, Spielzeug für die Seelen. Kunst und Kultur der Mentawai-Inseln (Indonesien), Zürich 1980; P. Atmadi, Some Architectural Design Principles of Temples in Java, Yogyakarta 1988; D. Chihara, A Study of the Arch as an Architectural Characteristic of the Monument in Pagan, in Study on Pagan, Research Report, Tokyo 1989, pp. 145-50; Min Wun, Re-evaluation of the Restoration Works of Pagan Monuments and Support Programs, ibid., pp. 113-30; J. Stargardt, The Ancient Pyu of Burma. I, Early Pyu Cities in a Man-Made Landscape, Cambridge 1990; R. Waterson, The Living House, an Anthropology of Architecture in South-East Asia, Singapore 1990; P. Pichard, The Pentagonal Monuments of Pagan, Paris 1991; Id., Inventory of Monuments at Pagan, I-III, Paris 1992-94; J. Dumarçay, Histoire de l'architecture du Java, Paris 1993; J. Stargardt, The Ancient Pyu of Burma, II. Pyu Kingdoms of the North and South, 4th-9th Century, Cambridge 1995.
di Nicoletta Celli
Le principali informazioni sui materiali e sulle tecniche costruttive impiegati nell'architettura del Sud-Est asiatico si ricavano dagli edifici a destinazione religiosa: nulla è infatti rimasto delle opere civili costruite con materiali deperibili, che non hanno resistito al tempo, né è nota l'architettura lignea d'ispirazione religiosa che ha preceduto le opere di pietra. Al vuoto di notizie sopperiscono in alcuni casi le descrizioni delle fonti epigrafiche e le immagini dei bassorilievi. Per contro, restano i grandi complessi religiosi edificati di pietra o di mattoni a partire, tendenzialmente, dal VI-VII sec. d.C. In generale, l'uso del mattone è ampiamente diffuso in tutta l'area, con sensibili variazioni della qualità e della durata del suo impiego. Nelle zone continentali si osserva l'uso di materiali diversi: mattoni cotti, laterite e arenaria, sostituiti in Indonesia dalla locale roccia vulcanica (andesite). Poche e diseguali sono le informazioni relative alle tecniche edilizie adottate: mentre in alcuni Paesi (Cambogia, Indonesia) l'anastilosi, impiegata nel restauro dei monumenti, ha consentito di formulare alcune ipotesi sui sistemi di costruzione e sugli strumenti utilizzati, assai meno si sa sulle tecniche impiegate nelle altre zone.
L'architettura birmana degli stūpa e dei templi buddhistici utilizza esclusivamente mattoni cotti, di grandi dimensioni, legati inizialmente con argilla e più tardi con malte. Uno spesso strato di stucco ricopre le superfici dei monumenti consentendo la decorazione incisa o dipinta, arricchita in alcuni casi da lastre di rivestimento in terracotta smaltata sulle pareti esterne e dalla decorazione dipinta su quelle interne. A distinguere le costruzioni birmane rispetto a quelle degli altri Paesi del Sud- Est asiatico è la volta, che può essere considerata l'elemento più significativo nell'organizzazione dello spazio e nella divisione gerarchica delle sale all'interno dei templi. Già diffuse nei templi di Shrikshetra, dove piccole volte a botte sono impiegate come copertura di spazi ristretti, a Pagan le volte appaiono tipologicamente più numerose e rivelano una maggior perizia tecnica: le volte a padiglione sono usate per le sale quadrate o rettangolari, quelle a botte e semibotte ogivale nei corridoi che circondano il santuario, mentre la cupola ricopre alcune sale a pianta circolare. Il particolare sistema di costruzione della volta, di origine probabilmente indiana, è ottenuto con l'avvicinamento di archi piatti, senza ricorrere all'uso della centina. L'antica architettura lignea si conserva solo negli edifici in mattoni che ne imitano le caratteristiche, come il Pitakat Taik (Pagan, 1058), il Mimalaungkyaung (Pagan, 1174) e l'Upali Thein (Pagan, 1250 ca.). Il ricordo delle tecniche dell'architettura leggera è particolarmente visibile nelle coperture di queste costruzioni a piani rientranti con gli angoli rialzati. Meglio nota è invece l'architettura lignea più tarda (XIX sec.), rappresentata dal celebre palazzo reale di Mandalay (di cui oggi resta solo il monastero Shwenandaw) che offre un bell'esempio di copertura a piani degradanti e da alcuni monasteri edificati su palafitte secondo i modi dell'architettura tradizionale (Shweyanmye di Yaunghwe, lago Inle).
Il mattone di grandi dimensioni legato da malta (o da argilla) domina l'architettura buddhistica thailandese dei primi regni Mon-Khmer (VII-XIII sec.) e di quelli Thai (XIII-XVIII sec.). Nel periodo più antico si riscontra una sostanziale unità di tecniche e materiali, rispetto alla quale si distingue però l'architettura di Lobpuri (VII-XIV sec.), che riflette le preferenze Khmer per la laterite impiegata da sola o in combinazione con l'arenaria e il mattone. Con l'epoca di Sukhothai (metà del XIII - metà del XV sec.) e Ayutthaya (XIV-XVIII sec.) si sperimenta l'uso di materiali diversi in combinazione: accanto al mattone, che continua a essere il materiale d'elezione nella regione, viene usata anche la laterite intonacata, secondo una tecnica di derivazione Khmer. Le coperture delle sale colonnate antecedenti le torri-reliquiario e i tetti di vihan e mondop hanno invece travature lignee oggi scomparse. Oltre allo stucco, principale mezzo della decorazione architettonica, compaiono la ceramica smaltata e la terracotta. Anche l'architettura del regno di Lan Na (Chiang Mai, XIII-XIX sec.) non si avvale dei materiali tradizionali, affermandosi soprattutto per le costruzioni lignee di grande eleganza. Mentre la parte muraria, peraltro assai ridotta, continua a essere in mattoni ricoperta di stucco, il legno è impiegato nella caratteristica copertura a tetti sovrapposti, variamente inclinati, e nel porticato decorato con pannelli scolpiti e traforati.
L'architettura del Laos si distingue per la povertà dei materiali e le tecniche elementari rispetto alle costruzioni dei Paesi confinanti, ma offre per contro esempi eleganti e insoliti nella decorazione. Delle sue creazioni è stata notata l'incoerenza tra il materiale impiegato e la forma degli edifici (H. Parmentier), al punto che la struttura di questi ultimi è parsa talvolta negare il piano architettonico formulato e ignorare le qualità proprie ai diversi mezzi. L'architettura laotiana non ha mai assunto proporzioni considerevoli, né ha tentato la costruzione di opere di materiali durevoli (tranne alcuni that, o torri-santuario). Realizzati esclusivamente in materiali leggeri, gli edifici laotiani sono frutto di una tecnica mista di carpenteria e muratura. L'uso della pietra è pressoché ignoto, pur essendovi disponibilità di granito, e solo la laterite è impiegata raramente in blocchi di piccole dimensioni. Più frequente è invece il legno, utilizzato per le coperture degli edifici a fianco del mattone, di qualità mediocre e di dimensioni modeste, legato con calce. L'opera muraria è sempre coperta da uno spesso strato di intonaco che, insieme alla terracotta, costituisce il principale mezzo di decorazione architettonica.
L'architettura preangkoriana e angkoriana dei templi-montagna predilige, fino al IX sec. d.C., il mattone come principale materiale da costruzione, sostituito nell'XI secolo dall'arenaria, materiale preferito dall'arte Khmer, e dalla laterite. La laterite viene impiegata per le fondamenta, gli interni delle piramidi, i basamenti e le cinte murarie. Il mattone, levigato per sfregamento e unito con un collante senza spessore, è invece riservato agli edifici principali (prasat). Prodotto localmente e di ottima qualità, il mattone presenta dopo la cottura una straordinaria robustezza che ne consente l'incisione decorativa e l'impiego nelle caratteristiche volte Khmer. Nel periodo più antico l'uso dell'arenaria è invece limitato alla decorazione delle colonnine e degli architravi e alle composizioni scultoree ospitate nelle nicchie delle pareti esterne. Una copertura di stucco finemente lavorata completa il rivestimento delle superfici esterne dei monumenti. Con l'edificazione del Phnom Bakheng (X sec.) si afferma l'uso dell'arenaria come materiale di costruzione per i santuari principali, in seguito esteso all'intero complesso (Prasat Ta Keo, inizi dell'XI sec.). I grandi blocchi di pietra sono disposti l'uno sull'altro, a connessure verticali alternate senza l'impiego di alcuna sostanza coesiva. Apposite scanalature preparate sulle pietre e persino l'inserimento di travi lignee o litiche costituiscono gli espedienti utilizzati per la maggior coesione dei blocchi a secco: soluzioni che riflettono un trattamento del materiale prossimo più alla carpenteria che alla lavorazione della pietra. Infine la decorazione scultorea, che ricopre buona parte dei complessi angkoriani, segue l'opera edificatoria che nell'assemblaggio delle parti non tiene conto del programma decorativo. Accanto all'elaborazione di piante sempre più complesse, i templi Khmer del periodo classico (XI sec. d.C.) si caratterizzano per la comparsa delle gallerie, elemento da qui in poi assai utilizzato ed elaborato nell'architettura monumentale. Inizialmente molto strette, data la scarsa ampiezza consentita dalla volta ad aggetti successivi (o incorbellata), divengono in seguito più ampie, insistendo da un lato sulla parte muraria e dall'altro su una teoria di colonnine che lascia filtrare la luce del giorno. La volta incorbellata, l'unico tipo usato dai Khmer nelle costruzioni sia di mattoni sia di arenaria e di fatto quello più diffuso nel Sud-Est asiatico, risulta dalla sovrapposizione di blocchi di pietra lungo i due lati dei muri fino al loro congiungimento. L'intradosso, dalla forma ogivale piuttosto slanciata, è in alcuni casi nascosto allo sguardo da un soffitto ligneo posto all'altezza dell'imposta dell'arco. Rispetto all'audacia delle costruzioni (in particolare dell'epoca del Bayon, fine XII - inizi XIII sec.) e all'ambizione delle piante dei monumenti, l'architettura Khmer rivela non pochi azzardi dal punto di vista tecnico: l'inosservanza nell'alternare i giunti verticali nell'epoca più tarda; lo spessore delle mura superiore al carico sopportabile e il peso delle volte caricato su architravi monolitici sostenuti da pilastri. Scarse sono le testimonianze sui metodi impiegati dagli architetti Khmer per raggiungere risultati così impressionanti in breve tempo. Le immagini dei bassorilievi in riferimento alla costruzione di edifici offrono delle indicazioni solo sulla messa in opera dei blocchi di arenaria. Le ipotesi avanzate dagli studiosi durante la ricostruzione dei monumenti di Angkor tengono conto, per l'innalzamento dei blocchi di arenaria, dell'impiego di piani inclinati e, forse, di verricelli e argani.
L'esordio dell'architettura Cham del Vietnam meridionale, come per gli altri Paesi del Sud-Est asiatico, sfugge alla conoscenza a causa del materiale deperibile impiegato nelle costruzioni. Questa architettura non conosce particolari variazioni delle tecniche e dei materiali impiegati nel corso dei secoli, mentre maggior varietà concerne la decorazione dei monumenti. Fedele sostanzialmente al mattone, di ottima qualità e usato con un legante, l'arte Cham affida all'arenaria una parte della decorazione architettonica dei templi Hindu e buddhistici (cornici delle porte e delle nicchie, guglie angolari, coronamenti delle sovrastrutture), elaborati sul modello della torre-santuario (kalan). Il pilastro e l'arcatella costituiscono gli elementi costanti dell'architettura monumentale, anche se nessuno dei due svolge una vera funzione statica: il primo scandisce il disegno delle pareti esterne dei templi dal basamento alla cornice, limitando le nicchie e incorniciando gli ingressi e le finte porte, mentre il secondo sovrasta gli ingressi veri e fittizi del corpo dell'edificio e della sovrastruttura, in un aggetto assai pronunciato. Per la copertura della sala dei santuari è impiegata una specie di volta prossima al tipo Khmer. Il periodo della dominazione cinese (I-X sec. d.C.) nelle regioni settentrionali del Vietnam è rappresentato esclusivamente dall'architettura funeraria, mentre non resta alcuna testimonianza dell'architettura civile, costruita in materiali deperibili. Di quest'ultima, tuttavia, è possibile avere un'indicazione in base ai modellini di terracotta ritrovati nei corredi funerari che raffigurano tipologie originali di edifici, non completamente assimilabili a quelle cinesi. L'architettura delle tombe del Tonchino e dell'Annam settentrionale ripete invece le forme ben note di quella cinese: segnalate in superficie da tumuli più o meno elevati, le camere sotterranee si compongono di uno o più ambienti coperti da volta a botte. La struttura muraria e quella delle volte sono interamente in mattoni cotti, di grandi dimensioni (cuneiformi nella volta) e sovrapposti a secco. Maggiori informazioni riguardano il periodo più recente, ovvero a partire dal XV secolo, a cui risalgono le opere dell'architettura religiosa, funeraria e civile propriamente vietnamita, dai caratteri estremamente originali rispetto agli altri Paesi del Sud-Est asiatico, sia per la scelta del materiale, sia per le tecniche edificatorie. Tra i materiali usati il legno occupa un posto di rilievo per qualsiasi tipo di costruzione, sostituito per ragioni economiche dal bambù. Diffuso è anche il mattone, impiegato per la costruzione dei muri, mentre il tetto degli edifici ha sempre l'intelaiatura lignea e può essere coperto con paglia, o materiali più pregiati. Raro è invece l'uso della pietra, che scarseggia nell'area del Fiume Rosso, e limitato a ponti, terrazze, balaustre e basi per le colonne lignee. I principi su cui si fondano le tecniche edificatorie assegnano particolare importanza alla scelta del sito, ovvero al rapporto dell'edificio con l'ambiente circostante, e alle cure geomantiche osservate prima e durante la costruzione, secondo un costume di derivazione cinese. Tutti gli edifici, a prescindere dalla loro destinazione, non hanno fondamenta: questa particolarità, diffusa soprattutto nella regione del delta, si spiega con la qualità del suolo particolarmente morbido nel quale vengono fatte affondare le colonne (vero e unico elemento portante dell'intera struttura). Su queste si regge infatti la copertura a capriate, dalle falde fortemente incurvate alle estremità, che più di ogni altro elemento distingue l'architettura vietnamita.
I materiali dell'architettura religiosa indonesiana sono costituiti dalla pietra (andesite) per tutto il periodo classico antico (VIII-X sec. d.C.), cui più tardi (X-XIII sec. d.C.) si affianca l'uso del mattone a Giava orientale, Sumatra e Bali. Nulla rimane invece dell'architettura civile e della precedente architettura religiosa, anch'essa edificata in legno e altri materiali leggeri, prima dell'VIII secolo. Il segno distintivo dell'arte architettonica è rappresentato dal taglio e dalla messa in opera delle pietre. Tagliati regolarmente e di dimensioni modeste, i blocchi di andesite sono giustapposti a secco e a giunti alternati (in alcuni casi è impiegato, negli interstizi, un impasto di argilla e scaglie di pietra): le pietre sono assicurate lateralmente l'una all'altra da incastri a coda di rondine, mentre la superficie superiore di ciascun blocco presenta un incavo che ospita la parte sporgente della superficie inferiore del blocco soprastante. La precisione dell'assemblaggio delle parti ha fatto supporre agli studiosi l'esistenza di modellini o disegni che indicassero le esatte proporzioni di ciascun blocco di pietra prima che questa venisse tagliata, anche se in alcuni casi (ad es., il Borobudur) i blocchi sono di dimensioni standard. Inoltre, a differenza di quanto si osserva nell'architettura Khmer, i blocchi litici sono sistemati in modo da poter ospitare il programma decorativo già stabilito, risultando così al servizio del rilievo, mai alterato dalle interruzioni della pietra o dalle dimensioni troppo ridotte delle superfici da scolpire.
In generale:
J. Boisselier, Il Sud-Est asiatico, Torino 1986; M. Bussagli (ed.), Architettura orientale, Milano 1988.
Birmania:
G.H. Luce, Old Burma, Early Pagan, New York 1969; R. Carmignani, Birmania. Storia, arte, civiltà, Firenze 1971.
Thailandia:
R. Le May, The Culture of South-East Asia, London 1954; A.B. Griswold, Towards a History of Sukhodaya Art, Bangkok 1967; H.G. Quaritch Wales, Dvāravatī. The Earliest Kingdom of Siam, London 1969; P. Krairiksh, Art Styles in Thailand, Bangkok 1977.
Laos:
H. Parmentier, L'art du Laos, Paris 1954.
Cambogia:
M. Glaize, Angkor, Saigon 1944; G. Coedès, Pour mieux comprendre Angkor, Paris 1947; H. Marchal, L'architecture comparée dans l'Inde et dans l'Extrême-Orient, Paris 1948; M. Giteau, Angkor. Un peuple. Un art, Paris 1976.
Vietnam:
Ph. Stern, L'art du Champa (ancien Annam) et son évolution, Toulouse 1942; L. Bezacier, L'art viêtnamien, Paris 1955.
Indonesia:
P. Mus, Barabudur, Hanoi 1935; M.C. Subhadradis Diskul, The Art of Śrīvijaya, Kuala Lumpur 1980; J. Dumarçay, The Temples of Java, Singapore 1987; L. Frédéric - J.L. Nou, Borobudur, Paris 1990.
di Roberto Ciarla
Scarsissime sono le evidenze archeologiche relative a strutture abitative in Asia sud-orientale. Tale mancanza è dovuta sia alle strategie di scavo fino ad oggi adottate in quell'area, principalmente mirate all'indagine di livelli necropolari e industriali, sia soprattutto all'elusività di tale tipo di testimonianza archeologica. È convinzione degli archeologi infatti che le strutture abitative nell'intero Sud-Est asiatico, dalla preistoria ai giorni nostri, siano state costruite con materiali deperibili non conservatisi in quelle particolari condizioni ambientali e climatiche. Le indagini archeologiche condotte da O. Janse (1936-37) nei loci 8, 9 e 9bis a Dong Son (Vietnam settentrionale) portarono alla luce i resti, notati per la prima volta da L. Pajot nel 1922, di pilastri e di piani in legno da riconoscere come la testimonianza, a tutt'oggi unica, di abitazioni databili intorno al II-I sec. a.C., costituite da piani rialzati su pilastri in legno. I buchi di palo solitamente rinvenuti in quasi tutti i siti archeologici preistorici dell'Asia sud-orientale sarebbero dunque da riferire ad abitazioni su pali; recenti ricerche italo-thailandesi nel sito di Tha Kae (Lopburi, Thailandia centrale) tendono però ad evidenziare una certa diversificazione nell'altezza dei pali e quindi dei piani delle abitazioni stesse dal suolo. Una testimonianza diretta di abitazioni, sebbene relativamente tarda (fine del I millennio a.C.), è offerta da alcuni modellini rinvenuti nella Provincia di Yunnan (Cina). Tra questi, un sarcofago di bronzo costituito da cinque lastre ad incastro, proveniente dalla necropoli di Dabona, riproduce una lunga capanna poggiante su tozzi pilastrini, coperta da tetto a doppio spiovente; più alti sono, invece, i pilastri dei modellini di abitazioni di bronzo rinvenuti in contesti sepolcrali nelle necropoli della cultura Dian. Ambedue i tipi testimoniano di modelli abitativi ancora largamente usati nell'intero Sud-Est asiatico, caratterizzati da piano abitativo rialzato su pilastri, tetto a ripido doppio spiovente (spesso incurvato e ornato in varie fogge), con struttura delle pareti e del tetto in bambù e stuoie.
O.R.T. Janse, Archaeological Research in Indo-China, III, Bruges 1958, pp. 28-32; R. Ciarla - L. Lanciotti (edd.), Dian. I bronzi del Regno di Dian Yunnan, Cina (secoli VI/I a.C.), Roma 1987; R. Ciarla - S. Natapintu, Verso una definizione dei processi di formazione di depositi archeologici in ambiente monsonico: alcune osservazioni preliminari, in G. Leonardi (ed.), Processi formativi della stratificazione archeologica, Padova 1991, pp. 176-79.
di Nicoletta Celli
L'architettura religiosa birmana è d'ispirazione buddhista ed è rappresentata principalmente dallo stūpa (zeti) e dal tempio (gu), cui possono essere annessi altri edifici, quali la sala delle ordinazioni e la biblioteca. Diverse sono le tipologie dello stūpa, che riflettono apporti locali (Pyu e Mon) e indiani. Da un'altezza inizialmente modesta gli stūpa, a prescindere dalla loro forma specifica, tendono con il tempo ad assumere un aspetto piramidale e monumentale, in conseguenza dell'ampliamento della base e dell'aumento del numero delle terrazze, mentre lo sviluppo della guglia (chattrāvalī), destinata a trasformarsi in una sorta di pinnacolo, rappresenta l'elemento decorativo caratteristico degli stūpa birmani. I tipi più antichi sono, raramente, di forma cilindrica (Bupaya, Pagan, IX sec. d.C.), più spesso "a bulbo" (Ngakywenadaung, Pagan, X sec. d.C.) o emisferici. Mentre alcuni stūpa conservano la struttura tradizionale indiana, con corpo emisferico e harmikā (Sapada, Pagan, XII sec.), lo stūpa birmano tipico, di cui si può considerare un prototipo lo Shwezigon (Pagan, XI sec.), ha corpo campaniforme, su base ottagonale sostenuta da terrazze quadrate. Negli esempi ispirati a questo stile (Mingalazedi, Pagan, 1284), lo sviluppo della forma a campana, in seguito sempre più svasata, e la riduzione dell'harmikā a favore della chattrāvalī coronata da una sorta di elemento-gioiello (hti) si uniscono, a partire dal XV secolo, alla pianta dentellata dei basamenti (Shwedagon, Yangoon, 1774), tipica degli stūpa di stile Mon. Infine, al XVIIIXIX secolo risalgono alcuni stūpa che si distinguono per l'originalità della pianta e le dimensioni più che monumentali: ne sono esempio lo stūpa colossale a base quadrata del re Bodawpaya a Mingun, rimasto incompiuto e danneggiato in seguito a un terremoto (fine del XVIII sec.), e lo stūpa Hsinbyume (Mingun, 1816) dall'elegante base a terrazze concentriche, intersecate da una scalinata coperta da una successione di portali ad arco, che conduce allo stūpa. Più vicini all'idea del santuario scavato e celato all'interno della montagna, come suggerisce lo stesso nome, gu ("grotta"), che a quella del tempio-montagna, i templi di Pagan appaiono come enormi corpi cubici coronati da una copertura piramidale. Il santuario vero e proprio, ospitato nel cuore del monumento, può consistere in una sola sala centrale con copertura a volta, visibile nei templi più antichi (tempio di Bebe, Shrikshetra). Più ricca di sviluppi appare però un'altra soluzione assai diffusa in due varianti. Secondo quest'ultima, il santuario è ricavato nella parte massiccia centrale, circondata da un corridoio a volta e trattata come un pilastro pieno, con nicchie su ciascun lato oppure a cella unica. Se non mancano esempi del primo tipo, a corpo centrale pieno con nicchie, da quello più antico di Lemyethna (Shrikshetra, VIII-IX sec.) a quelli di Pagan (Dhammayangyi, 1160 ca.; Thambula, 1255), gli sviluppi più interessanti paiono riguardare la seconda variante. Questa, visibile a Pagan (Patothamya, XI sec.; Abeyadana, XI-XII sec.) nei cosiddetti "templi di stile Mon", si caratterizza per la struttura massiccia trattata a cella e circondata da un corridoio a volta con finestre a claustra. La sovrastruttura, costituita da uno stūpa o da un coronamento a śikhara, conferisce a ciascun tempio una fisionomia specifica. Variazione su questa formula appare, ad esempio, la soluzione del tempio di Ananda (Pagan, 1105), che rappresenta da un lato l'originalità e l'ambizione della ricerca architettonica durante il periodo classico e dall'altro il punto di raccordo tra lo stile Mon e gli sviluppi del successivo stile birmano. Edificato su una base a pianta quadrata, il tempio è aperto su ciascun lato con imponenti vestiboli, che gli conferiscono la caratteristica pianta a croce greca. Il corpo centrale, formato da un massiccio pieno, ospita sui quattro lati le nicchie con statue del Buddha. Due gallerie parallele cingono il santuario, intersecate da corridoi, che le mettono in comunicazione con gli avancorpi e l'esterno. Sopra, la costruzione si sviluppa in altezza con tre terrazze delimitate agli angoli da edifici in miniatura che replicano la forma del coronamento centrale. Quest'ultimo è costituito dalla torre a forma di mitra (śikhara), con cuspide affusolata e sormontata dallo hti. Gli sviluppi seguenti segnano l'affermazione dello stile birmano, riassumibile nella formula del tempio a due piani con cella sopraelevata (in cui la separazione tra il santuario e il reliquiario è ben riconoscibile dall'esterno) e nella pianta dal corpo unico a croce greca. Il santuario viene in questo modo ad essere sollevato al secondo livello e sostenuto dall'imponente cubo in muratura e, da ultimo, coronato da uno stūpa su terrazze (Thatbinnyu, Pagan, 1144). A questa soluzione corrispondono i templi Gawdawpalin dai due livelli ben separati e dallo śikhara assai allungato (Pagan, fine XII sec.), Sulemani (Pagan, 1183) e Htilominlo (1218), l'ultimo monumento a due livelli edificato a Pagan. La decorazione architettonica dei templi riguarda la base e la cornice dei muri esterni, sempre costituite da una modanatura simmetrica. Particolare importanza è assegnata alle porte ogivali, sormontate da un frontone aggettante in muratura a forma di arco rampante polilobato, sostenuto da falsi pilastri e ornato da un disegno stilizzato. La decorazione della copertura si caratterizza invece per le riproduzioni miniate del monumento, disposte regolarmente nello spazio vuoto tra i piani decrescenti.
La complessa vicenda storica dell'odierna Thailandia, frammentata tra regni etnicamente e culturalmente diversi, precedenti l'unificazione Thai, e la conoscenza parziale dell'architettura più antica impongono una lettura che privilegi le tendenze espresse dalle diverse scuole d'arte, anziché seguire l'evoluzione tipologica dei monumenti. L'architettura religiosa dell'odierna Thailandia è nota solo parzialmente per il periodo più antico dalle diverse scuole locali di Dvaravati, Shrivijaya e dalla meglio conosciuta arte di Lobpuri. I resti dei monumenti buddhistici di Dvaravati (ca. VII-XI sec. d.C.), antico "regno" Mon sulla cui durata ed estensione vi sono ancora molti interrogativi, comprendono solo basamenti di stūpa e terrazze destinate a sorreggere costruzioni di materiali leggeri, entrambi rinvenuti nei principali siti indagati (Nakhon Pathom, Pong Tuk e U Thong). Gli stūpa (chedi) dalla pianta circolare nel periodo più antico, quadrata e ottagonale in seguito, dovevano avere probabilmente un corpo emisferico, sostenuto da un'alta base decorata a stucco. La decorazione architettonica, meglio documentata grazie ai numerosi frammenti ritrovati nelle nicchie dei basamenti, costituisce l'aspetto più originale e vivace di quest'arte, ricca di scene ispirate alla vita del Buddha o raffiguranti bodhisattva e divinità minori del Pantheon buddhista. Vestigia di monumenti d'ispirazione buddhista sono invece localizzate nella parte peninsulare del Paese, dove si estese l'antico "regno" di Shrivijaya (ca. VIII-XIII sec.). Queste sono rappresentate da basi di stūpa di mattoni, che probabilmente si presentavano nei due tipi a pianta quadrata e corpo cilindrico (tipo attestato a Shrikshetra) e a pianta ottagonale (tipo di Dvaravati). Infine, nel sito di Chaiya, si conservano i resti di un edificio-reliquiario di mattoni (Phra Boroma That Chaiya) dalla tipologia ricorrente nella penisola e con suggerimenti di origine indonesiana e Cham. I monumenti dell'architettura di Lobpuri rientrano invece nell'ambito della tradizione Khmer, ben attestata soprattutto nell'XI-XII sec. d.C. Lontana dall'essere un'espressione provinciale dell'architettura angkoriana, quella di Lobpuri va ricordata per alcune importanti sperimentazioni, apparse qui per la prima volta e in seguito adottate nelle forme classiche dell'Angkor Vat. In generale i principali santuari monumentali (Prasat Hin Phanom Wan, Prov. di Nakhon Ratchasima e Prasat Muang Tam, Prov. di Buriram, entrambi dell'XI sec.) sono affini all'arte angkoriana nell'organizzazione delle parti secondo una pianta orientata e nella disposizione di santuari, mentre rivelano la loro indipendenza nella scelta dei materiali (prolungato uso del mattone) e nella decorazione architettonica (in stucco e in arenaria). Le innovazioni più importanti consistono nella copertura delle torri-santuario (prasat) e nelle gallerie su pilastri. La prima, visibile nella torre-santuario del Prasat Hin Phimai (Prov. di Nakhon Ratchasima) dell'XI-XII secolo, si distingue per la curvatura ogivale e lo slancio verticale, caratteristiche che saranno in seguito elaborate nella torre-reliquiario (prang) di Ayutthaya. L'intero complesso di Phimai, costruito intorno al prasat dall'imponente avancorpo, è delimitato da una galleria con gopura assiali e padiglioni angolari che prelude alle gallerie classiche di Angkor, mentre una seconda cinta più esterna racchiude altri edifici di destinazione religiosa. Accanto alle architetture di Sukhothai e di Ayutthaya, che possono essere considerate rappresentative dell'arte propriamente thailandese, nel Nord del Paese fiorisce tra il XIII e il XIX secolo l'arte di Lan Na (Chiang Mai). Questo "regno" Thai, sorto sulle basi del precedente "regno" Mon di Haripunjaya, segue un percorso artistico indipendente e originale rispetto agli sviluppi più meridionali. L'attività architettonica riguarda stūpa dalle tipologie assai varie, edifici-reliquiario altrettanto diversificati, ma si esprime al meglio negli edifici destinati alla vita monastica (vihan) e nelle sale per l'ordinazione e le pratiche cultuali (ubosoth). L'interesse di questi edifici consiste nella elaborazione e nell'eleganza delle coperture lignee che ben rappresentano la tradizione locale. I tetti, infatti, costituiscono l'elemento distintivo degli edifici: costruiti a doppio spiovente e posti a diverse altezze, spesso sovrapposti e rientranti, sono decorati da cornici a fiamma lungo i bordi e da uncini ricurvi agli angoli. L'architettura di Sukhothai (metà XIII - metà XV sec.) pone non pochi problemi di datazione a causa del costume, diffuso in tutto il Sud-Est asiatico, di ricostruire i monumenti religiosi su edifici già esistenti o di restaurare questi ultimi intervenendo sulla decorazione architettonica. Uno degli esempi più significativi di questa tradizione è il Wat Mahathat a Sukhothai, immenso complesso che comprende le principali tipologie di edifici buddhistici, quali stūpa, prang, vihan, ubosoth e mondop, edificato nel XIII secolo su fondazioni Khmer, ingrandito nel XIV secolo e restaurato in tempi più recenti. In generale gli stūpa paiono distinguersi soprattutto per l'altezza del basamento quadrato, a gradini di dimensioni variabili oppure, a volte, a terrazze vere e proprie, scandite da nicchie o decorate con sculture di elefanti. Il resto della struttura riflette invece il modello singalese, con corpo massiccio sostenuto da piattaforme circolari, harmikā e chattrāvalī di forma conica assai elevata. La torre-reliquiario, uno dei monumenti più caratteristici dell'architettura di Sukhothai, si innalza su di un basamento quadrato, formato da piattaforme degradanti, di altezza considerevole. Su questa base si erge la torre, costituita da un basamento a tre livelli a pianta dentellata e da un coronamento a bocciolo di loto, culminante in una guglia allungata (Wat Chedi Chet Theo, XIV sec., Si Satchanalai). Altri prang invece, come ad esempio quelli del Wat Phra Pai Luang (Sukhothai), paiono derivare la loro forma dalla torre-santuario Khmer. Pur essendo tradizionalmente confinata nei limiti cronologici del regno, l'architettura di Sukhothai non si esaurisce con l'annessione da parte di Ayutthaya e i suoi riflessi sono evidenti nell'arte di quest'ultima, così come anche in quella di Lan Na. L'esordio dell'architettura di Ayutthaya (XIV-XVIII sec.) appare, quindi, sotto il segno di Sukhothai. Ricerche recenti hanno tuttavia sottolineato l'importanza dell'arte di Lobpuri, soprattutto nello sviluppo del prang, durante la fase di formazione dell'arte di Ayutthaya, nota come "stile di U Thong". Il prang, più che lo stūpa, rappresenta il monumento centrale, per disposizione e per importanza, dei primi complessi buddhistici del regno. Nel corso della loro evoluzione entrambi i monumenti riflettono un analogo sviluppo degli elementi comuni: pianta sempre più dentellata e base modanata sviluppata in altezza. Mentre la copertura del prang ha un corpo cilindrico e ogivale sulla sommità e i piani si moltiplicano, ma sono meno evidenti nella scansione (Wat Phra Ram, 1369, e Wat Ratchaburana, XV sec., Ayutthaya), il corpo dello stūpa replica inizialmente i modelli singalesi di Sukhothai (Wat Phra Si Sanphet, 1492). Un nuovo modello, dallo stile completamente innovativo, appare nel XVI secolo e si afferma nei secoli seguenti, divenendo il tipo caratteristico dello stūpa di Bangkok (Wat Po): sulla base dentellata molto alta, simile per certi aspetti a quella dei prang, anche per la presenza di nicchie assiali fortemente aggettanti, si innalza la sagoma campaniforme dello stūpa, il cui slancio verticale è accentuato dalla lunga chattrāvalī (Phra Chedi Si Suriyothai, 1549, Ayutthaya).
Rispetto ai Paesi confinanti, l'architettura buddhistica laotiana conosce delle soluzioni originali per i materiali impiegati e per alcune forme suggestive dei suoi edifici. Inoltre, nel Laos si conserva, sebbene in edifici recenti (XVI-XIX sec.), una tradizione lignea che rievoca le forme primitive dell'architettura leggera ormai scomparsa nel resto del Sud-Est asiatico. I principali edifici religiosi sono rappresentati dalla sala di culto (vihan o ubosoth) e dai numerosi edifici annessi, quali i that, le cappelle, le biblioteche e le abitazioni dei monaci. Le sale di culto si distinguono in due tipi, la cui forma dipende essenzialmente dalla copertura adottata. Il tipo più semplice si presenta come una sala con tetto a due falde, le cui estremità sono assai curve e sporgono per buona parte oltre i muri laterali. Questi sono molto bassi nella regione settentrionale di Luang Prabang e conferiscono così un aspetto caratteristico alle sale di questo tipo: l'effetto decorativo è assicurato dal movimento dei tetti che si dispongono a rientranze e sono spesso sovrapposti (Wat Xieng Thong, Luang Prabang). Il secondo tipo di sala possiede una copertura superiore a due falde, che sovrasta la navata e poggia sui muri, e una inferiore, formata dai quattro tetti a un solo spiovente, che coprono la veranda esterna intorno alla sala (Wat Si Saket, Wat Phra Keo). All'esterno, i tetti sono decorati con i tipici elementi angolari a forma di corno sinuoso e, lungo i bordi delle coperture, da cornici intagliate simili a ricami. Un ulteriore aspetto decorativo è costituito dai pannelli lignei traforati che chiudono parzialmente i portici anteriore e posteriore delle sale. L'interno, a una, tre o cinque navate divise da colonne, ospita sul fondo l'altare con la statua del Buddha. Le colonne sono prive di base, ma dotate di un capitello a foglie di loto lanceolate, caratteristico della sola architettura laotiana. Con il nome di that si intendono, oltre agli stūpa veri e propri, anche le torri-santuario e le torri-reliquiario assai diffuse nel Paese. Gli stūpa presentano una varietà di forme non raggiunta altrove, che ha come tratto comune il coronamento in forma di bocciolo di loto assai allungato. L'insieme comprende i tipi emisferico (That Mak Mo), piramidale (Wat Mai), a bulbo (Wat Xieng Thong), tutti a Luang Prabang, oltre alla forma unica del That Luang di Vientiane (1566). Quest'ultimo si differenzia dai precedenti per il simbolismo insito nella pianta: il monumento, costruito all'interno di un chiostro, è formato da un basamento a piattaforme degradanti, l'ultima delle quali è interamente delimitata da piccoli that che riproducono la forma del monumento principale. Il corpo di quest'ultimo, simile a una piramide curvilinea schiacciata, sostiene l'harmikā ornata da petali di loto, dalla quale svetta il coronamento in forma di bocciolo. Di grande interesse sono sia le biblioteche sia le cappelle: in alcuni casi estrema testimonianza dell'architettura leggera, più spesso edificate in legno e muratura. Le biblioteche sorgono su un basamento elevato, così concepito per isolarle dall'umidità, e hanno i muri inclinati verso l'esterno e riccamente decorati (Wat In Peng, Vientiane). Le cappelle invece, di piccole dimensioni, sono costruite a volta ogivale e si caratterizzano per la preziosa decorazione muraria di stucco con l'aggiunta di paste vitree che conferiscono all'insieme effetti di luce e colore (Cappella Rossa di Wat Xieng Thong, Luang Prabang).
I templi Khmer sono d'ispirazione prevalentemente hinduista, dedicati alle principali divinità del Pantheon indiano, Shiva e Vishnu, simbolicamente rappresentati dalle sculture poste nella cella. Soltanto nella fase più tarda della civiltà Khmer (fine XII - inizi XIII sec. d.C.), il buddhismo sostituirà il culto hinduista, senza peraltro modificare la concezione simbolica dell'architettura religiosa. Edificati durante il periodo angkoriano come immagine visibile del devarāja, il "re degli dei", ovvero il dio supremo con cui il sovrano era identificato, i templi evocano con la loro struttura il centro dell'Universo, rappresentato dal mitico monte Meru. Da questa concezione cosmologica dello spazio derivano alcune importanti costanti dell'architettura Khmer, quali la predilezione per le piante ordinate, la disposizione concatenata delle costruzioni e la posizione centrale del santuario edificato secondo il modello del tempio-montagna. L'immagine della montagna cosmica è richiamata sin dal primo esempio angkoriano del Bakong (881). Il santuario sorge all'interno di un'area sacra delimitata da tre cinte concentriche. Nella cinta più interna una piramide a cinque terrazze, intersecate da quattro scalinate assiali, sostiene il santuario centrale (prasat). Questo presenta una caratteristica struttura tripartita: la base a pianta quadrata e dentellata, il corpo cubico con un ingresso e finte porte identiche alla principale sugli altri lati e la copertura a piani sovrapposti e rientranti che imitano il modulo cubico del corpo. A un livello successivo di perfezionamento della formula corrisponde l'imponente Phnom Bakheng (X sec.), che si distingue per l'innovativa disposizione a quinconce del santuario, con prasat principale al centro e quattro secondari agli angoli della terrazza superiore. Alla stessa tipologia appartengono altri monumenti dell'epoca, quali il Pre Rup (961), dalle proporzioni eleganti, o il Banteay Srei (967), che annuncia già le composizioni classiche, sia nella disposizione delle parti sia nell'uso esteso dell'arenaria. I monumenti dell'XI secolo segnano il compimento delle concezioni simboliche nello sviluppo della pianta dei complessi templari. Elevato sull'imponente piramide a terrazze, il tempio-montagna rappresenta la città degli dei sul monte Meru, circondata dalle acque cosmiche, simboleggiate dai bacini (baray) e dai fossati che cingono l'area sacra, e collegata al mondo degli uomini dai viali sopraelevati che consentono l'attraversamento delle acque. Tradotta in pietra, questa architettura audace e visionaria dà i suoi frutti nel classico Prasat Ta Keo (1002), che annovera le principali novità tecniche dell'epoca: le gallerie a volta incorbellata e i prasat con avancorpi su tutti i lati. Le cinte concentriche sovrapposte sono ora formate da gallerie che si aprono negli imponenti portali d'accesso (gopura) dei quattro punti cardinali. Sulla terrazza delimitata dalla seconda galleria, una piramide a tre piani sostiene il santuario a quinconce, in cui il prasat centrale appare ulteriormente elevato rispetto agli altri e accessibile per mezzo di ripide scalinate in corrispondenza dei quattro ingressi. Sviluppato su scala monumentale, l'intero schema si rispecchia nella pianta dell'Angkor Vat, summa dei moduli architettonici classici armoniosamente composti e sperimentati in tutta la loro potenzialità. Quest'architettura dello spazio si traduce nelle immense proporzioni del viale-diga che, sospeso sull'ampio fossato che cinge il complesso, conduce all'ingresso della cinta esterna e si prolunga in un esteso camminamento sopraelevato, arrestandosi alla galleria del primo livello del tempio vero e proprio. L'armonia tra le parti è già composta a questo punto: un portico cruciforme unisce la galleria del primo livello a quella superiore che, come la prima, è interrotta da torri d'angolo e gopura assiali con copertura analoga ai prasat. Nello spazio delimitato dalla seconda galleria, il basamento del terzo piano si sviluppa in un accentuato moto verticale, suggerito dalla forte pendenza delle gradinate che danno accesso ai quattro santuari angolari, uniti ai gopura da gallerie. Il santuario principale, più elevato rispetto ai secondari ai quali è unito da gallerie, domina questo livello più interno e, per la prima volta, si svela interamente allo sguardo. A scandire il passaggio da un piano all'altro del complesso concorre la decorazione scultorea che ricopre l'Angkor Vat, a cominciare dalla celebre galleria di bassorilievi del primo livello. Delimitata sul lato esterno da una serie di colonne, la galleria riceve così luce sufficiente a illuminare i rilievi scolpiti sulla parete interna e ispirati ai miti dell'hinduismo e alle imprese del costruttore dell'Angkor Vat, il re Suryavarman II. L'immagine delle devatā costituisce l'altro tema decorativo che appare sulle pareti del complesso: divinità femminili di ordine e grado diverso, le devatā fanno mostra di sé soprattutto su pilastri e pareti. Rilievi leggeri, appena abbozzati ai livelli inferiori del tempio, le splendide figure femminili affiorano prepotentemente dalla pietra nei piani superiori, disposte a gruppi o isolate su tutti gli spazi intorno al santuario. L'architettura posteriore all'Angkor Vat segna il traguardo degli esperimenti Khmer ed è rappresentata principalmente dalla costruzione programmatica dell'Angkor Thom, la nuova Angkor del sovrano Jayavarman VII, e da alcuni complessi buddhistici assolutamente originali risalenti alla fine del XII secolo (Ta Prohm, Preah Khan, e Neak Pean). Le innovazioni più importanti interessano la pianta dei templi, assai più articolata nella concatenazione delle strutture, l'ampia diffusione delle gallerie e la ricorrenza dei monumentali volti umani sulle torri dei gopura e dei santuari del Bayon. Un celebre riferimento mitologico sottende il disegno dell'Angkor Thom, costruita intorno al suo centro ideale, il Bayon, come autentica "città degli dei". La pianta quadrata si apre all'esterno con quattro gopura monumentali sui cui lati sono scolpiti i volti enigmatici di divinità guardiane. Oltre i quattro ingressi, verso l'esterno, alcuni viali consentono l'attraversamento del bacino-fossato che circonda la cinta quadrata. Ciascun viale è delimitato da una balaustra formata da una fila di dei e, sul lato opposto, da una fila di demoni che stringono, tirandole ciascuno verso la propria parte, le estremità di un serpente: straordinaria citazione in pietra che fa riferimento a un mito di creazione hinduista ("il frullamento dell'oceano di latte"), perfettamente accordato all'apparire della nuova Angkor. Al centro della città, il Bayon (XII-XIII sec. d.C.), punto d'arrivo dello sviluppo del tempio Khmer, rispecchia la complessità delle piante di quest'epoca. Il tempio, concepito su tre livelli, non rievoca l'ariosità degli spazi e l'imponente verticalità dell'Angkor Vat. Parzialmente celato dalle innumerevoli gallerie di livello variabile che si snodano al secondo piano, formando due piante diverse, quadrata e cruciforme, il santuario sorge sulla terrazza del terzo livello circondato dalle torri angolari dei piani inferiori. Concepito a pianta circolare, con un avancorpo unico e otto cappelle disposte a raggiera, il santuario è coronato da una copertura a torri multiple con volti umani. Tutt'intorno, sulla terrazza, le torri d'angolo alternate ad altezze differenti ripropongono lo stesso volto, moltiplicandolo suggestivamente su ogni lato.
Anche se d'ispirazione hinduista, prevalentemente shivaita, l'architettura religiosa Cham dell'odierno Vietnam meridionale non conosce complessi monumentali, né un culto sofisticato come in Cambogia. I templi, dedicati a Shiva, alla devī e più raramente a Vishnu, sono per lo più riconducibili ad un tipo semplice di torre-santuario (kalan) indipendente da altre strutture, affiancata da altri edifici più semplici (maṇḍapa e gopura). Tuttavia, all'epoca in cui prevalse l'orientamento buddhista (fine del IX sec. d.C.) risale l'unico santuario monumentale Cham: il complesso di Dong Duong. Il costume diffuso di costruire per secoli nuovi santuari all'interno del medesimo sito (ad es., a Mi Son e Po Nagar), il reimpiego di materiali usati e la ricostruzione su edifici già esistenti hanno costituito i principali ostacoli alla datazione dei monumenti. Inoltre, essendo caratterizzata più per i cambiamenti della decorazione architettonica che per l'evoluzione formale degli edifici, quest'arte ha offerto pochi elementi per la conoscenza del suo sviluppo, almeno fino alla cronologia messa a punto da Ph. Stern (1942). Il criterio adottato da quest'ultimo per la datazione dei monumenti tiene conto dei due elementi in cui si riscontra con maggior evidenza l'evoluzione dei motivi ornamentali: l'arcatella, che comprende le arcatelle ornamentali dell'ingresso, quelle piccole delle false porte, delle sovrastrutture e dei basamenti, e il pilastro che decora i muri degli edifici. Il tipo caratteristico della torre-santuario è noto dai più antichi monumenti, risalenti all'VIII sec. d.C. e visibili nel Sud del Paese a Hoa Lai, e da quelli affini di Po Dam e Mi Son C7 e A2. Il corpo di questi si presenta come una massiccia costruzione cubica, movimentata dall'avancorpo dell'ingresso e dalle finte porte aggettanti. L'ingresso è inquadrato da alti pilastri che sostengono un'arcatella polilobata: la stessa soluzione è replicata su ciascun lato nelle finte porte. Una copertura piramidale all'inizio non particolarmente elevata, ma ben scandita da piani degradanti, corona l'edificio. La decorazione dei diversi livelli comprende le caratteristiche guglie, ovvero elementi dal profilo affilato scolpiti agli angoli dei piani, gli edifici in miniatura che ripetono la forma del kalan e si dispongono come coronamenti angolari e, infine, i motivi ad arcatella che si susseguono a ciascun livello in corrispondenza delle porte dell'edificio. Sui muri esterni del santuario si alternano invece i pilastri, allungati dalla base alla cornice, che formano sporgenze e rientranze lungo tutte le pareti. A Hoa Lai i pilastri annunciano, con l'inconfondibile banda centrale decorata da foglie tra due fasce piatte, la vivacità dello stile decorativo dell'epoca, che si riflette anche nel fregio a ghirlanda sotto la cornice. La fase successiva, detta "stile di Dong Duong", deve il suo nome al complesso più significativo dell'epoca. Noto altrimenti come Lakshmindra-Lokeshvara (fine del IX sec.), il santuario è importante per l'organizzazione della pianta dell'intero complesso e per l'adozione dei tipi tradizionali dell'architettura Cham in edifici destinati al culto buddhista. L'insieme si componeva di monumenti, oggi in parte distrutti, disposti in tre aree successive lungo l'asse est-ovest. Un imponente portale d'accesso (gopura) introduceva a una sala colonnata a tre navate, cui faceva seguito un'altra sala intermedia. Infine, attraverso un gopura monumentale si giungeva alla torre-santuario, aperta su quattro porte, al centro della quale era posta la statua del bodhisattva Avalokiteshvara cui era dedicato il santuario. Numerosi edifici secondari erano compresi all'interno delle cinte che delimitavano le tre aree. La decorazione, visibile nelle parti rimaste dei monumenti, appare assai più ricca della precedente, al punto da sopraffare l'architettura, e si sviluppa in motivi caratteristici: le arcatelle sono formate da fioroni che scendono sinuosamente, a partire da quello centrale, lungo i due lati; la decorazione del fregio si raddoppia in due bande di motivi vegetali e i pilastri, sempre tripartiti, sono decorati sulle due fasce esterne, mentre quella centrale appare liscia. Quasi per reazione all'esuberanza dello stile di Dong Duong, quello di Mi Son A1 sembra riportare l'arte entro i confini della sobrietà e della misura, moderando i prestiti Khmer e giavanesi e recuperando i caratteri autoctoni della decorazione. La premessa per la fioritura del nuovo stile è rappresentata dal tempio di Khuong My (inizi del X sec.). Le tre torri-santuario del complesso presentano una forma elegante ed equilibrata nelle proporzioni tra il corpo e la sovrastruttura, che qui raggiunge un'altezza maggiore che in precedenza. Mentre la decorazione conserva ancora la ricchezza di Dong Duong, il perfezionamento del nuovo stile, anche nella componente ornamentale, è pienamente raggiunto nel santuario shivaita di Mi Son A1 (metà del X sec.). La torre, più slanciata, acquista ancora maggior verticalità grazie ai lunghissimi pilastri binati, privi di decorazione, che scandiscono le superfici esterne del santuario nel numero canonico di cinque per lato. Altrettanto modificata appare l'arcatella, non più ondulata ma con lati dritti, decorati da motivi a foglia e, sulla sommità, da un fiorone che ricorda quelli di Dong Duong. Dopo il X secolo l'architettura Cham conosce un periodo in cui le soluzioni precedenti si ripetono stancamente senza originalità soprattutto nella decorazione quasi inesistente (kalan principale di Po Nagar, Nha Trang). Diversamente, all'epoca della supremazia politica Khmer sul Champa, altri edifici nella regione di Binh Dinh sottolineano l'imitazione di formule architettoniche proprie alla Cambogia. Ne sono esempio la collina artificiale costruita per le Torri d'Argento e la Torre d'Oro, l'introduzione della pianta dentellata per il kalan (Torri d'Avorio) e il profilo della sovrastruttura che imita la copertura ogivale del prasat Khmer (Torre di Rame). Con il santuario di Po Klaung Garai (XIII-XIV sec.) si assiste al recupero delle forme tradizionali, anche se assai semplificate: il kalan appare infatti di dimensioni modeste, con una copertura a piani alti ben separati, ciascuno coronato agli angoli dalle strutture in miniatura fortemente stilizzate. Alla stessa concezione appartiene anche il più tardo santuario di Po Rome, che conserva nella sagoma solo il ricordo delle forme antiche, privo ormai di grazia e spoglio di decorazioni. Fuori dell'area culturale Cham, gli edifici cultuali nelle regioni settentrionali del Paese comprendono tipologie diverse a seconda della tradizione religiosa cui appartengono. Tra i principali si contano il tempio buddhistico (chùa), taoista (dên), confuciano (văn miêu) e un particolare edificio con funzione al tempo stesso civile e religiosa, chiamato dinh. Il tempio buddhistico è delimitato da un muro di cinta con portico d'ingresso su un lato. All'interno, lungo gli altri tre lati, tre gallerie ospitano gli alloggi e gli spazi destinati alla vita comunitaria dei monaci. Il santuario, edificato al centro dell'area, si compone invece di tre sale in successione: la sala anteriore per i fedeli, la sala dei bruciaprofumi destinata alla lettura delle preghiere e la sala posteriore dove sono collocate le statue buddhistiche. In alcuni casi altri edifici possono aggiungersi al complesso: la torre-stūpa, sale di riunione e sale di culto secondarie. Un esempio del tipico tempio buddhistico del Tonchino è rappresentato dal complesso di Van Phuc a Phat Tich edificato su terrazze disposte a cinque livelli diversi. Simile per molti aspetti al chùa, il dên può essere dedicato a un genio nazionale o regionale. Come il tempio buddhistico, è cinto da un muro che si apre in un imponente portale e che ospita all'interno il santuario vero e proprio. Questo, costituito da alcune sale rettangolari variamente disposte, non possiede alcuna immagine sacra, ma tavolette che evocano simbolicamente la presenza del genio. Non sono rari gli esempi di templi buddhistici e taoistici riuniti in un unico complesso: questo è il caso del Chua Keo di Thai Binh che accorpa all'interno della stessa cinta muraria i due santuari edificati sullo stesso piano. Tempio della letteratura e dei letterati, il văn miêu è presente in ciascun capoluogo di provincia ed è dedicato al culto di Confucio, per questo sede degli esami per l'accesso alla carriera amministrativa dello Stato. Uno degli esempi più significativi è offerto dal văn miêu di Hanoi (1070), interamente ispirato al modello del tempio cinese di Qufu (Prov. di Shandong), villaggio natale di Confucio. All'interno di una vasta cinta rettangolare sono disposti lungo l'asse longitudinale gli edifici che costituiscono il complesso. Ciascuno è edificato all'interno di corti separate da muri e comunicanti attraverso una o più porte. Oltre ai santuari dedicati a Confucio, ai suoi parenti e ai suoi discepoli, gli ampi cortili conservano le caratteristiche stele inscritte che documentano il superamento delle prove da parte dei candidati ai concorsi ufficiali. Il dinh, l'edificio più rappresentativo dell'architettura lignea tradizionale, svolge la duplice funzione di luogo di riunione del consiglio amministrativo e di santuario del genio locale, identificandosi così nel centro della vita comunitaria per eccellenza. Isolato al centro del villaggio o ai confini di questo, è per le sue dimensioni imponenti e per la maestosità dei tetti uno degli elementi distintivi del paesaggio vietnamita. La sua tipica struttura su palafitta rivela il profondo legame con l'architettura tradizionale, di cui il dinh è l'unica testimonianza rimasta. Il corpo principale dell'edificio è costituito da due sale parallele all'interno delle quali hanno luogo le riunioni ed è disposto l'altare del genio tutelare. Altri edifici sono collocati perpendicolarmente ai due lati del corpo centrale e comprendono le cucine e gli ambienti per i preparativi delle cerimonie collettive.
I principali monumenti dell'architettura religiosa (buddhistica e hinduistica) giavanese si concentrano nelle pianure di Kedu e Prambanan durante l'antico periodo classico (metà dell'VIII-X sec. d.C.), mentre interessano la parte più orientale dell'isola, Sumatra e Bali durante il tardo periodo classico (X-XVI sec. d.C.). Le più antiche strutture che si conservano sono rappresentate dai caṇḍi, santuari religiosi di culto, hinduista o buddhista mahayanico, che costituiscono il tipo fondamentale dell'architettura indonesiana. Mentre molti sono gli aspetti ancora irrisolti sui primi monumenti rimasti (caṇḍi dell'altopiano di Dieng), vi è maggior chiarezza su quelli delle pianure centrali risalenti all'antico periodo classico. I caṇḍi di quest'epoca sono santuari isolati a cella cubica elevata su un basamento a terrazze e coronata da una successione di piani rientranti. L'interno della cella, a volta incorbellata, ospita l'immagine sacra cui è dedicato il santuario. L'ingresso, accessibile per mezzo di una scalinata con parapetti laterali, è costituito da un vestibolo, mentre, sugli altri tre lati, pannelli centrali lievemente aggettanti decorano i muri (Chandi Mendut). Nei templi della piana di Prambanan invece, la presenza su ciascun lato di avancorpi, assai sporgenti dal corpo dell'edificio, trasforma la pianta da quadrata a cruciforme (Chandi Kalasan, metà del IX sec.). La sovrastruttura dei monumenti di quest'epoca conta soluzioni diverse: negli spazi tra i piani rientranti sono poste alcune repliche miniaturizzate di caṇḍi o di stūpa, oppure la copertura si sviluppa in piani a pianta quadrata, ottagonale e circolare su cui sorge uno stūpa di grandi dimensioni (Chandi Kalasan). L'aspetto decorativo costituisce sin dai primi monumenti una delle note peculiari dell'architettura giavanese: confinata in spazi sapientemente predisposti, la decorazione si sviluppa durante il periodo antico con grande armonia ed equilibrio rispetto ai volumi architettonici. La preferenza è accordata alle linee orizzontali, come appare nelle profonde modanature dei basamenti, della base e della cornice del santuario e dei piani della sovrastruttura. Solo i pilastri, con il loro slancio sottolineato dalle superfici lisce, contrappongono un movimento verticale al resto della decorazione. Particolarmente suggestive appaiono le composizioni delle arcate che sovrastano gli ingressi, i passaggi e le nicchie, basate sui motivi del kāla ("il tempo" divoratore) e del makara (animale mitico acquatico). Sebbene declinate in numerose varianti, in generale le decorazioni presentano al centro dell'arcata la testa del kāla, dalle cui fauci si sviluppano le due curve dell'arco, concluse alle estremità da due makara rivolti verso l'esterno o affrontati. Accanto ai santuari isolati, ricorrono anche complessi costituiti da numerosi edifici. Caratteristiche di questi sono sia la pianta a cinte concentriche sia la tendenza ad affiancare il santuario principale con santuari secondari ed edifici annessi. Mentre i primi rientrano, insieme ai portali d'accesso delle cinte (gopura), nella tipologia del caṇḍi, i secondi sono costruzioni a due piani con pianta longitudinale. Ispirato per il santuario principale al Chandi Kalasan, il Chandi Sewu (metà del IX sec.) è un esempio di complesso a pianta centrale, formata da diverse terrazze concentriche, delimitate da cinte di tempietti identici che circondano il caṇḍi principale. La disposizione degli edifici secondo il disegno di un maṇḍala (psicogramma cosmico) rievoca la pianta del più celebre monumento dell'epoca nella piana di Kedu, il Borobudur (inizi del IX sec.). Spesso definito come maṇḍala architettonico, o come stūpa, il Borobudur è un monumento buddhistico di concezione sofisticata e ricco di simbolismi. Il monumento, dall'aspetto piramidale, si compone di piani decrescenti a pianta quadrata e dentellata, sormontati da tre terrazze concentriche che sostengono al centro uno stūpa. Quattro scalinate assiali consentono di raggiungere dalla base la sommità del monumento. Ciascun livello è concepito come una galleria senza copertura, lungo le pareti della quale si susseguono i bassorilievi ispirati alla dottrina buddhista. Tardo complesso shivaita dell'area di Prambanan, il Chandi Lara Jonggrang (IX-X sec. d.C.) annuncia già le novità architettoniche e scultoree del periodo successivo, come anche il prevalere dell'hinduismo. Il complesso conta più cinte concentriche all'interno delle quali sono racchiusi diversi templi. Il gruppo principale è costituito da tre santuari dedicati agli dei della trimūrti e da tre secondari dedicati alle cavalcature delle divinità. Una cinta quadrata, delimitata da numerosi tempietti, chiude il gruppo del santuario ed è a sua volta contenuta all'interno di altre cinte edificate su terrazze più basse. Il santuario dedicato a Shiva, centrale rispetto al gruppo di tre, presenta alcune caratteristiche dell'architettura più tarda: lo sviluppo in altezza dei monumenti, a partire dal basamento più elevato, dal corpo cubico apparentemente diviso in due piani da una modanatura e dalla copertura sempre composta da piani rientranti e coronata da un elemento a bulbo con costolature e guglia conica. I cambiamenti più importanti che si osservano durante il tardo periodo classico riguardano il disegno delle piante, non più a cinte concentriche ma successive, la trasformazione dell'alzato del caṇḍi e della forma del gopura. Inoltre, alla fine del X secolo risalgono le celebri vasche monumentali (o "piscine"), con funzione rituale, sulle pendici del monte Penanggungan (Jalatunda e Belahan), che si ritrovano anche all'interno di complessi come il più tardo Panataran (Giava orientale, XIII-XIV sec. d.C.). Innovazione e continuità coesistono nell'aspetto dei caṇḍi di questo periodo (Chandi Sawentar, inizi del XIII sec.; Chandi Kidal, 1260 ca.): mentre la pianta si mantiene quadrata o cruciforme, lo sviluppo in altezza interessa tutte le parti della struttura. La pianta del basamento accentua questa tendenza, sporgendo pochissimo oltre il santuario, che si innalza con il corpo diviso in due parti da una decorazione orizzontale. Infine un'ulteriore spinta verticale è assicurata dal profilo affusolato della copertura, i cui piani non appaiono più arretrati ma, in numero maggiore, ricorrono simili a fasce sovrapposte, modanate e decorate con elementi d'angolo e sormontate da un coronamento cubico. Nell'ambito decorativo si osserva una tendenza alla semplificazione dell'ornato, i cui effetti più rimarchevoli si notano nella scomparsa della decorazione delle arcate che avevano contraddistinto l'arte del periodo precedente. Le porte di quest'epoca sono infatti sormontate da un architrave privo di decorazioni sopra il quale si affaccia una testa di kāla di proporzioni enormi. Accanto ad altri due monumenti, che si discostano dalle tendenze indicate e presentano entrambi caratteri originali (Chandi Jago, fine XIII sec.; Chandi Singhasari, inizi del XIV sec.), il complesso di Panataran (XIV sec.) sembra invece riassumere tutte le innovazioni più significative dell'epoca. Spiccano infatti la disposizione irregolare delle cinte, l'importanza assegnata alle ripide scalinate d'accesso, l'imponenza dei santuari, la collocazione asimmetrica e isolata dei templi secondari e il nuovo tipo di porta con architrave e kāla sovrastante.
In generale:
J. Boisselier, Il Sud-Est asiatico, Torino 1986; M. Bussagli (ed.), Architettura orientale, Milano 1988.
Birmania:
G.H. Luce, Old Burma, Early Pagan, New York 1969; R. Carmignani, Birmania. Storia, arte, civiltà, Firenze 1971; J. Lowry, Burmese Art, London 1974.
Thailandia:
R. Le May, The Culture of South-East Asia, London 1954; A.B. Griswold, Towards a History of Sukhodaya Art, Bangkok 1967; H.G. Quaritch Wales, Dvāravatī. The Earliest Kingdom of Siam, London 1969; P. Krairiksh, Art Styles in Thailand, Bangkok 1977.
Laos:
H. Parmentier, L'art du Laos, Paris 1954.
Cambogia:
M. Glaize, Angkor, Saigon 1944; G. Coedès, Pour mieux comprendre Angkor, Paris 1947; H. Marchal, L'architecture comparée dans l'Inde et dans l'Extrême-Orient, Paris 1948; M. Giteau, Angkor. Un peuple. Un art, Paris 1976. Vietnam: Ph. Stern, L'art du Champa (ancien Annam) et son évolution, Toulouse 1942; L. Bezacier, L'art viêtnamien, Paris 1955.
Indonesia:
P. Mus, Borobudur, Hanoi 1935; M.C. Subhadradis Diskul, The Art of Śrīvijaya, Kuala Lumpur 1980; J. Dumarçay, The Temples of Java, Singapore 1987; L. Frédéric - J.L. Nou, Borobudur, Paris 1990.
di Nicoletta Celli
Accanto agli edifici riconosciuti come tombe vere e proprie di cui restano testimonianze in alcuni Paesi (Birmania, Vietnam, Giava orientale, Bali), alcuni monumenti del Sud-Est asiatico sono stati per lungo tempo considerati dagli studiosi anche come templi funerari, pur non trattandosi propriamente di tombe. Gli esempi, sui quali si è a lungo discusso se si trattasse di mausolei regali o meno, riguardano i monumenti di Angkor, in particolare l'Angkor Vat, i kalan Cham e i caṇḍi e le cosiddette "piscine" indonesiani. Il valore funerario dei monumenti venne suggerito dal ritrovamento di urne cinerarie, dall'orientamento dei templi aperti ad ovest, da interpretazioni epigrafiche, ma soprattutto dal tipo di religiosità, che in Cambogia, Indonesia e, almeno parzialmente, nel Champa si fonda sul culto del sovrano divinizzato; il re è identificato in vita e in morte con la divinità, il cui simulacro è ospitato nel tempio, che diviene pertanto luogo religioso e funerario-commemorativo allo stesso tempo. Simboli paralleli della divinità e della sua ipostasi terrena (il sovrano), i templi ispirati al culto della persona regale possono egualmente essere letti come espressione di un'architettura del potere, concepita per evocare l'unione tra il sovrano e il dio, anche se il loro valore rimane in primo luogo sacro, come testimonia la presenza dell'immagine divina. Per quanto concerne i monumenti indonesiani, la questione è stata chiarita dagli studi di R. Soekmono (1977), che hanno dimostrato come i templi edificati nella regione siano da considerarsi monumenti commemorativi privi di funzione funeraria. Un'analoga interpretazione riguarda anche i templi Khmer, per i quali resta tuttavia in attesa di conferme la possibilità che questi santuari regali contenessero anche le ceneri dei sovrani. Un dibattito più acceso è stato sollevato dal caso dell'Angkor Vat, considerato da alcuni in primo luogo una tomba (Przyluski 1937), da altri santuario e tempio funerario insieme (Coedès 1947). Lontana dalla soluzione definitiva del quesito, l'opinione corrente riconosce l'Angkor Vat come santuario dall'indubbio carattere funerario a causa dell'insolita apertura a ovest. Quest'ultima sarebbe propria degli edifici sepolcrali e indicativa della direzione tipica del rito funebre di origine indiana (prasavya) che procede nel senso opposto al moto del Sole (pradakṣiṇā).
La stretta osservanza da parte delle aristocrazie "birmane" delle consuetudini buddhiste e, in sporadici casi, Hindu relative ai rituali funerari ‒ ovvero la dissoluzione del corpo attraverso l'esposizione al fuoco ‒ e la scarsità delle prospezioni archeologiche condotte in Myanmar (Birmania) in tempi recenti sono le principali cause dell'esiguità di testimonianze archeologiche relative all'architettura funeraria birmana a partire dalla sua prima esposizione al buddhismo, probabilmente intorno all'inizio del I millennio d.C. Recenti indagini archeologiche stanno portando alla luce necropoli con semplici tombe a fossa riferibili al tardo I millennio a.C.; tuttavia, sino ad oggi i soli monumenti funerari che si conservano sono le tombe dei sovrani sepolti nelle tarde capitali di Amarapura ‒ come, ad esempio, le tombe di Bodawpaya e Bagyidaw ‒ e di Mandalay, databili tra il XVIII e il XIX secolo.
Le tipologie delle tombe del Vietnam variano a seconda del rango e del contesto religioso di riferimento: le più antiche testimonianze riguardano le tombe comuni, costituite da semplici tumuli, le tombe dei funzionari governativi e dei sovrani e, infine, le tombe dei religiosi buddhisti. Da un punto di vista architettonico le tombe più interessanti sono i monumenti funebri per le persone d'alto rango: durante l'intero periodo della dominazione cinese (I-X sec. d.C.), essi ne risentono fortemente gli influssi. Le camere sotterranee, di numero variabile da una a tre, sono ambienti a pianta quadrata o rettangolare, di grandi dimensioni nei periodi più antichi (I-VI sec.), più piccole e con un corredo modesto a partire dal VII secolo. Nei casi più elaborati le camere possono essere precedute da vestiboli e affiancate da ambienti laterali destinati a contenere il corredo funebre. I monumenti sepolcrali reali del periodo tra il X e il XV secolo, a differenza di quanto si osserva più tardi, non corrispondono alle piante delle tombe imperiali cinesi e costituiscono ciascuno un esempio di architettura a sé, originale sia per disposizione sia per forma. Tra le più importanti si annoverano quella del re Dinh Tien-hoang della dinastia dei Dinh (X sec.), posta sulla sommità del monte Ma Yen e costituita da un altare in pietra con un seggio, e quella del primo re dei Tran (XIII-XV sec.), eccezionalmente rappresentata da uno stūpa di tredici piani in mattoni (ma si conserva il basamento della struttura originale in pietra). L'architettura funeraria più tarda (XV-XVIII sec.) costituisce l'ambito più rappresentativo e originale entro il quale si esprimono i principi dell'architettura vietnamita, ovvero la composizione, fondata su considerazioni geomantiche, dell'insieme degli edifici in relazione al paesaggio. Questa attenzione particolare al rapporto con l'ambiente naturale, ereditata dalla cultura cinese, e l'osservanza delle norme della geomanzia nell'orientamento e nella disposizione degli edifici sono visibili, ad esempio, nelle tombe reali del XVIII secolo. Comune a tutti questi complessi funerari reali è la ricerca di un'armonia tra la composizione delle parti (tempio di culto del re defunto, padiglione della stele commemorativa dei principali eventi del regno, edifici annessi destinati alla sepoltura delle concubine o alla memoria degli antenati regali, tumulo funerario) e il paesaggio circostante, creato artificialmente (giardini, laghetti, boschetti, viali). In questo disegno d'insieme e nella particolare combinazione degli elementi che lo compongono consiste l'aspetto più originale dell'architettura funeraria vietnamita rispetto a quella cinese, da cui peraltro deriva il modello della tomba imperiale preceduta dalla cosiddetta "via dello spirito". Sostanzialmente immutata e piuttosto ripetitiva appare invece la tipologia degli edifici (padiglioni) che rievocano le forme dell'architettura civile dei palazzi. Completamente diversa è la sepoltura destinata ai religiosi buddhisti: questa è rappresentata dallo stūpa (thap), monumento funerario o commemorativo, dalla struttura assai elevata, edificato all'interno di un complesso buddhistico (qui spesso indicato con il nome di "pagoda") per contenere le spoglie di monaci eminenti o, eccezionalmente, di laici. Uno degli esempi più antichi, lo stūpa commemorativo di Binh Son (XI-XII sec.), offre un'immagine delle principali caratteristiche di questi monumenti. Tradizionalmente di pietra, almeno fino al XVIII secolo, quando venne impiegato il mattone, gli stūpa si presentano come le uniche costruzioni a sviluppo verticale dell'architettura vietnamita. Su un basamento elevato sorge il corpo dell'edificio a pianta quadrata che costituisce il modulo ripetuto nei piani successivi, separati l'uno dall'altro da una cornice aggettante e progressivamente rientranti, in modo da conferire alla torre un profilo leggermente rastremato verso l'alto. Un altro esempio notevole dello stile del Tonchino è rappresentato dallo stūpa di Ninh Phuc (But Thap) della metà del XVII secolo, a pianta eccezionalmente ottagonale, delimitata da un'elegante balaustra in pietra scolpita.
Al di là delle vasche monumentali edificate presso i santuari del monte Penanggungan, di cui è noto il simbolismo funerario- commemorativo, ben pochi sono gli edifici funerari veri e propri di cui si ha conoscenza. Informazioni certe sulla funzione dei 10 monumenti rupestri di Gunung Kawi (Tampak Siring, Bali) provengono dalle iscrizioni ritrovate in loco: queste hanno consentito l'identificazione dei 10 caṇḍi scolpiti a rilievo nella roccia come tombe reali della seconda metà dell'XI secolo. Le tombe, disposte in 2 gruppi di 5 lungo pareti rocciose separate dal fiume Pakrisan, sono costituite da nicchie poco profonde contenenti i caṇḍi, scavate alla stessa altezza al di sopra di un basamento modanato. A una tradizione profondamente diversa appartengono invece le tombe di Giava risalenti al periodo islamico (a partire dal XV sec.), nelle quali la componente musulmana si fonde con la tradizione decorativa indo-giavanese.
M.H. Parmentier, Anciens tombeaux au Tonkin, in BEFEO, 17 (1917), pp. 1-32; J. Przyluski, Is Angkor-Vat a Temple or a Tomb?, in JIndSocOrArt, 5 (1937), pp. 131-43; G. Coedès, Pour mieux comprendre Angkor, Paris 1947; L. Bezacier, L'art viêtnamien, Paris 1955; R. Soekmono, Chandi, Fungsi dan Pengertiannija [Caṇḍi, la sua funzione e il significato], Jakarta 1977; J. Fontein, The Sculpture of Indonesia, New York 1990; M. Glaize, Les monuments du groupe d'Angkor, Paris 1993.