L'architettura: caratteri e modelli. Vicino Oriente
di Francesca Baffi Guardata
L'attività archeologica che si è svolta fin dall'Ottocento nel Vicino Oriente e che si è notevolmente intensificata negli ultimi decenni del Novecento ha prodotto un'abbondante documentazione per ciò che riguarda gli edifici di tutta l'area ascrivibili alle più diverse categorie. Tale documentazione non è quantitativamente e qualitativamente omogenea per l'intero arco temporale (3500-535 a.C. ca.) e per tutte le regioni indagate per cause storiche e naturali diverse, nondimeno l'evidenza prodotta ha permesso una classificazione tipologica all'interno delle varie categorie di edifici, nonché un'analisi delle tecniche impiegate per realizzarli. La disomogeneità dei dati è dovuta molto alla diversa importanza attribuita dagli archeologi ad alcuni degli aspetti della vita che si svolgeva nei centri riportati alla luce, privilegiando, fino a relativamente poco tempo fa, le manifestazioni legate alla vita del palazzo e del tempio e trascurando invece quella più modesta delle abitazioni private. Le vicende politiche poi, che da sempre hanno condizionato quelle culturali, hanno nel tempo favorito o ostacolato l'attività in una regione piuttosto che in un'altra e hanno spesso determinato la scelta dei luoghi da indagare. L'architettura antica, dall'insieme delle situazioni sopra prospettate, esce grande protagonista dell'archeologia vicino-orientale e parla, con i suoi resti, del contesto sociale e culturale cui i diversi monumenti sono relativi, con la differente incidenza nella vita delle città dei vari ambiti templare, palatino e privato. Ogni edificio testimonia, con la dimensione, la planimetria e la tecnica costruttiva, non solo quale vita si svolgesse materialmente nella città, ma anche le credenze religiose e i rapporti politici interni ed esterni e delle varie classi sociali. Le categorie architettoniche, non tutte egualmente rappresentate, sono ascrivibili alle classi principali dei templi, dei palazzi, delle case private e del sistema difensivo, tali classi si sono espresse secondo caratteri regionali che, nel tempo, possono essersi evoluti secondo linee di sviluppo ancora percettibili o hanno avuto decisi e bruschi cambiamenti a testimoniare radicali mutamenti di tradizioni culturali. La Mesopotamia, a lungo considerata centrale tra le culture del Vicino Oriente, detiene ancora il primato della documentazione architettonica monumentale, oggetto di studi sistematici che ne hanno messo in luce le linee di sviluppo interno nonché le influenze da culture esterne che ne hanno, in determinati periodi, modificato le linee. La terra tra i due fiumi, pur nella indubbia unità culturale, ha sempre mostrato di utilizzare, in particolare a partire dal II millennio a.C., differenti planimetrie per ciò che riguarda l'espressione del culto; così i templi dell'Assiria e quelli della Babilonia sono stati concepiti secondo linee che si sono canonizzate all'inizio del II millennio a.C. e che, con rare eccezioni, si sono conservate poi fino alla fine della loro storia. L'architettura sacra è più di ogni altra espressione di una cultura, con una particolare attenzione allo svolgimento del rituale con cui il culto si professa, pertanto è particolarmente conservatrice; il mutamento che in essa si può riscontrare è indice di un mutamento culturale. In Mesopotamia autori dei cambiamenti planimetrici degli edifici sacri sono stati, più che le popolazioni che nel tempo si sono imposte al sostrato indigeno anche con ruoli dominanti, quali ad esempio i Cassiti oppure i Khurriti, i sovrani che con motivazioni diverse hanno proposto modelli da cui erano stati particolarmente colpiti. Esemplare a tale proposito è stata l'importazione nel Nord del Paese della ziqqurrat da parte di Shamshi-Adad I che, di origine amorrea, dopo aver a lungo soggiornato nella Babilonia assurse al ruolo di re di Assur. Se il tempio risponde all'esigenza di spiritualità di una società, il palazzo documenta il concetto che, nel tempo, quella stessa società ha espresso riguardo al ruolo di chi dovesse esserne a capo; pertanto i ritrovamenti relativi a prime strutture definibili palatine si collocano in un momento preciso della storia della Mesopotamia meridionale, la terra di Sumer. Il palazzo, espressione di una realtà di governo, è individuabile a partire dal Protodinastico maturo, momento in cui la società urbana viene ad essere guidata non più da un semplice capo della comunità, ma da un vero sovrano. La diversa articolazione della residenza di chi non solo la abitava ma gestiva dal suo interno il potere si accompagna al ruolo che il sovrano assunse nei diversi periodi, crescendo con quel ruolo. Altro concetto è quello della casa privata, nelle cui tipologie sono riscontrabili essenzialmente differenze regionali che determinano realtà legate a tre fattori principali: il clima, i materiali da costruzione disponibili e le attività economiche che nella casa, o in connessione con essa, venivano espletate. Mentre variabile poteva essere, nel tempo, il terzo fattore, i primi due, soggetti a cambiamenti in un arco temporale molto ampio, hanno prodotto sempre modelli abitativi secondo schemi che si sono conservati molto a lungo. Per ciò che riguarda le mura urbiche, primariamente espressione di esigenze difensive ma anche opere pubbliche caratterizzanti il ruolo del sovrano, esse non hanno al momento restituito una documentazione del tutto esaustiva, a causa essenzialmente del limitato interesse degli archeologi. Nondimeno esse sono note per le città principali, dove vennero realizzate secondo due principi fondamentali che tenevano conto della situazione topografica e del rapporto con cui la città si poneva rispetto al territorio circostante. Le influenze del mondo esterno vennero recepite solo eccezionalmente, come nel caso dell'Assiria, che durante la fase dei grandi imperi, nel I millennio a.C., elaborò modelli di porte urbiche, come ad esempio la Porta Tabira ad Assur, che risentivano molto dei modelli aramaici di alta Siria, ma la porta assira viene concepita secondo un concetto di monumentalità superiore a quello delle tipologie ispiratrici. Tra le aree occidentali, Anatolia, Siria e Palestina, l'ultima è indubbiamente la più indagata; architettonicamente essa ha prodotto una documentazione che ha caratteri di forte peculiarità per la fase del Bronzo Antico (BA; III millennio a.C.), mentre nel Bronzo Medio (BM; prima metà del II millennio a.C.) utilizza planimetrie e tecniche assimilabili alla tradizione siriana. Anche per l'area siro-palestinese i cambiamenti che si notano nell'architettura sono lo specchio di vicende sociali e politiche che vanno a mutare realtà preesistenti. Così in Palestina il nuovo assetto dei centri abitati riferibili al BA I prevedeva imponenti fortificazioni con mura di cinta, spesso intervallate da torri semicircolari o circolari, al cui interno edifici di carattere pubblico, indice di una forma di potere centralizzato, ripetono ed estendono su larga scala il modulo della casa privata, per il quale, in un panorama di tipologie diverse, prevale l'uso della pianta a broad room. Decisamente uniformi sono gli edifici sacri, che insistono su un modello non casuale e forse derivato da quello delle unità domestiche. In Siria, fino dalla metà del III millennio a.C., è attestata anche la tipologia palatina di grandi dimensioni e con accorgimenti tecnici e decorativi che le conferiscono un carattere di monumentalità non documentato in Palestina. Durante il BM il processo di urbanizzazione raggiunge il massimo sviluppo e nell'intera area siro-palestinese il sistema difensivo utilizza l'espediente del terrapieno in cui si aprono le porte a tenaglia peculiari del periodo. La mutata struttura urbana è l'espressione della nuova realtà sociale a componente etnica amorrea e della formulazione del territorio in Stati regionali indipendenti o relativamente indipendenti, con un proprio sovrano residente nel palazzo che diventa così il centro dello Stato, svolgendo più funzioni e costruito secondo le nuove tecniche che impiegavano massicciamente le pietre ortostatiche nei basamenti dei muri. Omogenea è in larga parte anche la tipologia templare ad una cella a sviluppo longitudinale, spesso in connessione con il palazzo ed il cui modello verrà utilizzato, senza grandi cambiamenti, fino all'età del Ferro. La dilagante potenza hittita da nord e la riconquista del proprio prestigio da parte dei faraoni da sud determinano una nuova realtà politica di cui ancora una volta in Siria e in Palestina se ne ha un riflesso nelle strutture urbane, che sono ben documentate per il Bronzo Tardo. I grandi palazzi in Palestina, ormai assoggettata all'Egitto, vengono sostituiti dalle residenze; ma la dominazione egiziana nelle sue diverse forme non determina modelli del tutto estranei alla tradizione locale, mentre tecniche egiziane siriane e anatoliche vengono largamente impiegate. La residenza, erede in parte delle funzioni del palazzo, è un fenomeno solo palestinese, mentre in Siria, ad esempio ad Ugarit, si utilizza ancora la formula del BM. Le nuove popolazioni insediatesi in Palestina (Ebrei) e in Siria (Aramei) danno decisamente un nuovo assetto alla topografia cittadina, ospitando nuove istituzioni politiche, legate più al modello di stati nazionali che non a quello di città-Stato. Mentre in Palestina si determina una ripresa dell'edilizia pubblica con largo impiego di ortostati, impiego che raggiunge il suo picco massimo nel IX sec. a.C. a Samaria, gli stati aramaici della Siria settentrionale creano la nuova tipologia palatina del bīt ḫilāni in parte erede della tradizione siriana del BM, con l'impiego costante di colonne e decorazione architettonica a rilievo. La conquista assira alla fine dell'VIII sec. a.C. e la conseguente divisione del territorio in province genera le costruzioni con pianta e tecnica neoassire. L'architettura monumentale documentata in Anatolia è prevalentemente quella del grande regno hittita, mentre per gli aspetti legati alla vita quotidiana si hanno più ampi riferimenti. La casa privata è nota da numerosi esempi e con tipologie diverse; le differenze dei vari tipi, in particolare per tutto il BM, si legano all'ambito regionale, e quindi climatico, in cui si costruivano gli edifici abitativi e all'attività economica che in essi si svolgeva. Così nel settore occidentale, che risentiva del clima ventilato mediterraneo, sono state rinvenute case porticate, mentre nei centri commerciali di Cappadocia (kārum) caratteristica è la casa dei mercanti a tre vani principali, di cui uno adibito a ufficio-archivio, uno di uso residenziale e uno di magazzino: alle tre funzioni non corrispondevano come ubicazione tre vani fissi, per cui nella stessa regione si avevano numerose varianti planimetriche. Con l'avvento del potere hittita nelle città maggiori si pianifica l'intera struttura urbana e l'impianto tradizionale della casa anatolica scompare per lasciare il posto ad unità modulari più razionali, mentre nei centri più piccoli persiste il vecchio modello, a cui fa riscontro un particolare contesto etnografico che determina anche l'uso dei materiali da costruzione. Esito ultimo dello sviluppo di tradizioni di cui non è stata stabilita l'origine è il tempio hittita, che si differenzia nettamente dalle altre tipologie sacre vicino-orientali per l'elevato numero di vani che lo compongono e per le frequenti aperture di porte e finestre. Il complesso che l'insieme dei vani genera non è omogeneo nei numerosi templi rinvenuti, di cui la maggior parte nella capitale Khattusha, ma costante è il ripetersi di alcune componenti, quali l'entrata monumentale al complesso sacro e la corte rettangolare. Per ciò che riguarda gli edifici palatini se ne conosce una diffusione ampia nella prima parte del II millennio a.C. in siti che hanno perso il loro ruolo con l'avvento del potere hittita; a seguito di ciò solo Khattusha ospita il centro del potere, che più che un palazzo è un insieme di edifici indipendenti racchiusi e uniti da una recinzione. Con il passaggio all'età del Ferro è nuovamente l'architettura a documentare il ritorno alla frammentazione regionale, che si manifesta nella regione centrale dell'altopiano anatolico con quanto prodotto dalla cultura frigia, documentata in tutte le antiche città hittite specialmente nel periodo compreso tra l'VIII e il VII sec. a.C., che tenne in gran conto la precedente tradizione, in parte assorbita dalla nuova popolazione. Nell'area di sud-est, invece, resistevano popolazioni di lingua hittita e luvia che, tra la fine dell'XI e l'inizio del X sec. a.C., diedero vita alla maggiore parte dei regni luvii e aramaici; in essi si realizzarono le strutture palatine del bīt ḫilāni, di cui si è detto sopra, e quelle sacre che, come documenta il tempio di Ain Dara, continuano la tradizione siriana del BM, la quale, a sua volta, aveva le proprie radici nelle costruzioni del III millennio a.C.
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di Francesca Baffi Guardata
Da sempre in architettura si è mirato ad ottenere il migliore risultato con il minore dispendio economico e non fa eccezione quanto è documentato nelle regioni del Vicino Oriente antico, dove sono state utilizzate tecniche che prevedevano l'impiego di materiali reperibili in loco o, quanto meno, il più vicino possibile. Le tradizioni legate all'arte del costruire restano radicate nel loro luogo di origine e difficilmente vengono esportate, come dimostrano i resti dei diversi edifici che raramente sono il risultato di sistemi non sperimentati sul posto.
La Mesopotamia, essendo la regione più indagata fra tutte quelle del Vicino Oriente, ha prodotto anche in campo architettonico un'abbondante documentazione che ha messo in luce gli aspetti della tecnica edilizia e i suoi mutamenti nel tempo. Nell'età protourbana (3500-3100 a.C.) ad Uruk, nell'area sacra dell'Eanna, nel livello VI che è il più antico, vengono sperimentati sistemi costruttivi che resteranno isolati nella tradizione mesopotamica per il dispendioso impiego della pietra non facilmente reperibile. Una tecnica più economica si riscontra nei livelli successivi (V e IV), allorché vengono impiegati i mattoni crudi rettangolari fabbricati secondo due diverse tipologie: una maggiore di 80 × 40 × 16 cm (Patzen), usata per le terrazze cultuali e per le mura urbiche, ed una minore (Riemchen) di 25 × 6 × 6 cm (oppure di 20 × 10 × 10 cm). Da questo momento in poi l'elemento prefabbricato in terra diventa il più utilizzato e nell'Eanna lo si ritrova in tutti gli edifici, le cui facciate non sono piatte ma articolate con lesene e profonde nicchie che ne aumentano la stabilità, oltre a creare un forte senso estetico, con l'arricchimento ulteriore della decorazione parietale a coni di argilla policromi. I mattoni venivano affiancati in filari che si sovrapponevano gli uni agli altri in modo tale che le giunture di un filare fossero sfalsate rispetto a quelle del successivo, così da evitare punti deboli costanti nel corpo del muro; i mattoni venivano coesi da malta di fango, oppure, in taluni casi, da bitume. La tecnica consolidata dell'uso dei mattoni Riemchen e della decorazione a coni venne esportata nelle colonie che i Sumeri fondarono in Occidente, lungo il corso dell'Eufrate, e resti significativi che ne illustrano le caratteristiche sono stati ritrovati in centri di Alta Siria. L'impiego dei Patzen e dei Riemchen scema decisamente con l'inizio del Protodinastico I (2900 a.C.), quando subentra quello del mattone planoconvesso. Il mattone crudo planoconvesso aveva la faccia inferiore piana e quella superiore bombata; la forma bombata è stata interpretata come l'omissione di una fase durante il processo di fabbricazione: nel Riemchen il sovrappiù di fango veniva eliminato oltre l'eccedenza dello stampo, mentre nel planoconvesso era lasciato per venire regolarizzato a mano. Il mattone planoconvesso aveva misure non costanti, in genere superiori a quelle dei Riemchen, e per la sua particolare morfologia richiedeva nella messa in opera una maggiore quantità di malta. La disposizione di questo tipo di mattoni avveniva su file sia orizzontali che verticali e inclinate, alternando la direzione dei filari successivi così da determinare una tessitura muraria a spina di pesce; il tipo di disposizione variava a seconda della funzione statica delle diverse parti della costruzione: nei punti di maggiore impegno i mattoni erano disposti di piatto, cioè orizzontali, mentre nelle pareti non portanti potevano essere di taglio, cioè verticali. I planoconvessi caratterizzano fortemente l'architettura palatina di Kish e di Eridu, ma il loro uso non è esclusivo nel periodo, tanto è vero che in altri casi venivano impiegati i mattoni di formato regolare che li soppiantarono poi decisamente alla fine del Protodinastico III (2350 a.C. ca.); i mattoni piatti, quindi, si conserveranno sempre, con variazioni solo dimensionali, per venire impiegati non solo per l'alzato dei muri ma anche, a volte, nelle fondamenta, come è il caso del palazzo di Naram-Sin a Tell Brak e del tempio paleoassiro di Tell er-Rimah, oppure per le pavimentazioni di vani coperti di numerosi centri. In quantità massicce i mattoni crudi trovano impiego, a partire dalla III Dinastia di Ur, nella costruzione della ziqqurrat; di tale tipo di struttura i mattoni crudi costituiscono il nucleo, mentre il rivestimento esterno e alcune parti con funzioni particolari vengono realizzati in mattoni cotti. La nostra conoscenza di questo tipo di mattoni, cotti in fornaci difficilmente identificabili archeologicamente, risale alla fase di Uruk VI, in cui una fossa di fondazione dell'Eanna aveva un rivestimento di quel materiale; il suo impiego si manterrà in tutti i periodi storici relativamente ad ambiti che necessitano di una particolare resistenza: fondazioni, pavimenti di corti o di bagni, zoccoli di muri e canalizzazioni. Il colore dei mattoni è un indicatore della temperatura cui essi sono stati sottoposti: 550-600 °C quelli più scuri e 800-900 °C i più chiari. Probabilmente i mattoni erano cotti in fornaci costruite rapidamente, in mattoni e con interstizi che permettessero il filtraggio dell'aria per la diffusione delle fiamme e dei gas caldi. Durante l'età della I Dinastia di Babilonia e in quella successiva, in Mesopotamia le tradizioni si consolidano in realizzazioni che mostrano una lenta divergenza tra il Sud e il Nord del Paese, dove inizia ad invalere l'uso della pietra per le fondazioni anche se non mancano eccezioni, tanto che ad Assur, nel tempio di Sin-Shamash sono in mattoni cotti e in quello di Anu-Adad in mattoni crudi con rinforzi di pietre agli angoli. La natura del terreno condizionava fortemente la scelta della tecnica costruttiva, per cui nel caso della città di Kar-Tukulti-Ninurta, fatta costruire da Tukulti-Ninurta I (1243-1207 a.C.) sulla riva sinistra del Tigri, i muri dei vari edifici, comprese le mura urbiche, non hanno fondazioni ma poggiano direttamente sul terreno alluvionale di ghiaia. Al di là dei casi sporadici, la documentazione archeologica mette in luce come in Assiria si proceda costruendo in mattoni crudi su fondazioni in pietra, mentre nella Babilonia la terra sia l'unico materiale impiegato. Il potenziamento dei diversi elementi si evidenzia nella prima metà del I millennio a.C., quando con l'esplodere della potenza militare ed economica di Assur gli edifici, specialmente nelle nuove capitali, impiegano massicciamente la pietra nelle costruzioni monumentali, usandola anche a scopo propagandistico per le lastre a rilievo che ornano riccamente la parte bassa dei muri dei palazzi. Nella regione meridionale e a Babilonia in particolare la muratura prevedeva unicamente l'uso dei mattoni, crudi o cotti a seconda del ruolo che si richiedeva loro; anche l'architettura monumentale era realizzata senza alcuna parte in pietra; così la doppia cinta muraria urbica utilizzava sia mattoni crudi che cotti, con la variante del tipo di legante: malta per i primi e bitume o asfalto per i secondi. Facciate di muri a cui si attribuiva particolare importanza, quali quelli fiancheggianti la Via delle Processioni o della Porta di Ishtar, erano decorate in parte da mattoni smaltati il cui insieme componeva teorie di animali, fantastici e non. Riguardo alle strutture verticali, altre tecniche documentate sono l'intonaco e il kisu. Da sempre utilizzato come rivestimento delle pareti interne ed esterne, l'intonaco di terra conferisce una protezione supplementare contro i vari effetti dell'erosione, e principalmente delle piogge, così esso prolunga la vita del muro, migliorandone contemporaneamente l'aspetto esteriore. L'intonaco poteva essere applicato sui muri in terra come su quelli in pietra; la sua composizione era analoga nel suo principio a quella della miscela che era servita nella costruzione dei mattoni, con l'elemento sgrassante per lo più vegetale, mentre il suo ultimo strato spesso conteneva calce. Da un'analisi degli antichi intonaci si è dedotto che esso veniva steso in due tempi: il primo strato era più grossolano, con una composizione assai simile a quella della terra da costruzione, mentre la seconda passata era più accurata e lo sgrassante vegetale più fine. A volte veniva aggiunta dell'argilla bianca più depurata mischiata alla calce o al gesso: in tal caso la superficie appare molto levigata, dura e di colore biancastro. Si è notato come l'impiego della calce fosse preferito in Anatolia, Siria e Palestina, mentre quello del gesso in Mesopotamia, Elam ed Egitto. Il kisu viene impiegato, forse per la prima volta, nell'architettura di epoca accadica (2350-2180 a.C.) e consiste nell'ispessimento della base dei muri esterni di edifici di culto. Tale ispessimento crea una sporgenza rispetto alla facciata, ha la funzione di rafforzarla e nel contempo isola la fabbrica sacra dal contesto circostante, come accade per il tempio di Shu-Sin ad Eshnunna. Per quel che concerne la documentazione connessa alla copertura del tetto rinvenuta in situ, essa è praticamente inesistente e pertanto a fini conoscitivi ci si deve basare su un'indagine concernente i resti rinvenuti a terra o su un confronto con quanto ancora oggi applicato in quelle regioni; nel caso in cui si rinvengano travature lignee, anche carbonizzate, cadute, si deve ritenere che quelle avessero costituito parte della tessitura orizzontale che, con il sussidio di altri travetti disposti ortogonalmente sui primi, formava la base su cui si reggeva il tetto piatto, nel sistema di copertura più utilizzato in zone poco piovose. Tracce di questo tipo di copertura sono state rinvenute un po' in tutte le epoche e già nel livello IV dell'Eanna di Uruk si hanno indicazioni in tal senso; un altro sistema prevede non già il tetto nettamente differenziato dal corpo dei muri, ma in proseguimento di quelli, con volta a conci radiali o ad aggetti (falsa volta). Nel secondo caso gli elementi sovrapposti sporgono uno rispetto all'altro senza esercitare spinte laterali, come accade invece per la vera volta. Di tale tradizione si è trovata documentazione nelle tombe reali di Ur, formate da una sottostruttura e da una sovrastruttura; la copertura della prima era costituita da mattoni che aggettavano servendosi di mensole lignee e pure i passaggi da un vano all'altro erano coperti da archi a mensole, mentre un architrave di legno correva per tutta la lunghezza del passaggio. Anche le tombe di Assur del periodo medio hanno una copertura del genere, ma la volta era sicuramente conosciuta in Assiria già dalla fine del III millennio a.C., com'è documentato nel sito di Tell er-Rimah in un sistema di volte ribassate, a sostegno di una terrazza e con i mattoni già disposti radialmente. I tipi di pavimenti non sembrano essere stati soggetti a grandi cambiamenti; i più semplici sono in terra battuta senza preparazione alcuna, mentre i più raffinati presentano un vespaio in piccoli ciottoli e piano di calpestio intonacato e ben lisciato, con l'aggiunta anche di calce. Il vespaio di pietre garantiva l'orizzontalità del pavimento creando anche un certo isolamento dall'umidità risalente. Anche i mattoni potevano concorrere a formare il piano di calpestio, sia crudi che cotti; questi ultimi in genere negli spazi a cielo aperto, come dimostra l'architettura domestica e non di Ur, in tutte le epoche. Un effetto più durevole lo si otteneva con l'impiego della pietra nei lastricati e basolati; questi sono a volte difficili da distinguere dalla preparazione per i pavimenti in terra battuta, quando gli elementi utilizzati sono di piccole dimensioni, mentre risultano più evidenti quando compaiono lastre maggiori e ben connesse tra loro. Elementi accessori, ma imprescindibili dell'architettura sono le aperture nei muri che consentono la comunicazione con l'esterno e dei vani interni tra di loro: gli edifici vicino-orientali generalmente ne documentano un numero proporzionalmente piuttosto scarso, con l'evidente scopo di non indebolire i muri e mantenere il grado di temperatura interna. A questo punto debole della struttura era riservata una cura particolare, inquadrandola con rinforzi in pietra e legno o anche con mattoni. Del legno utilizzato per l'architrave e per gli stipiti resta traccia nella muratura che ospitava l'antica sede. Le soglie, punto particolarmente sottoposto ad usura, si sono conservate bene se in pietra, come in genere negli edifici assiri dove sono realizzate anche in belle lastre squadrate, ma non mancano quelle in legno o in mattoni, connesse per lo più alle strutture della Babilonia. I cardini bronzei su cui ruotava la porta, di cui non resta praticamente traccia, erano ospitati nelle ralle, abitualmente in pietra e che erano di dimensioni considerevoli negli accessi urbici e in edifici monumentali; ad esempio i tre passaggi della Porta Tabira, ad Assur, erano chiusi da doppi battenti lignei che ruotavano alloggiati in ralle di pietra la cui altezza e il cui diametro medio superavano il mezzo metro. All'interno di queste si sono conservate tracce di ossido di rame, mentre nei medesimi passaggi resti di intonaco e legno di cedro offrono dati relativi alla natura della copertura. Le ralle delle porte di grandi dimensioni non venivano collocate all'altezza del piano pavimentale, ma ad una profondità anche di diverse decine di centimetri e si potevano avvalere di un rinforzo laterale, sempre di pietre ma di più piccole dimensioni. Nel caso di edifici modesti il cardine veniva semplicemente alloggiato in una cavità del terreno. I battenti non sono mai stati ritrovati, ma l'indicazione di alcuni elementi aiuta a ipotizzare il loro numero o tipo: così la presenza di due ralle indica che i battenti erano due, una ralla, un battente; essi erano sempre in legno o, più raramente in Mesopotamia, di canne. Le altre aperture sicuramente presenti, cioè le finestre, sono assai scarsamente documentate. Le differenze che si riscontrano tra l'architettura mesopotamica e quella più occidentale di Anatolia e Siria settentrionale da un lato e Siria meridionale e Palestina dall'altro sono dovute essenzialmente alla diversa proporzione nell'impiego dei materiali già noti; la maggiore disponibilità di alcuni di essi, pietra e legno, e il clima più fresco e piovoso, nel caso dell'Anatolia, influirono naturalmente sulle scelte dei costruttori, con l'aggiunta dell'ideologia che condizionò fortemente, in particolare, la cultura hittita. Il motivo che spinse a privilegiare, per i loro insediamenti, luoghi in cui la roccia fosse affiorante e ad inglobarla, come nel caso della capitale Boğazköy, nel contesto costruttivo, produsse indubbiamente una scuola artigiana di grandi capacità tecniche; peraltro in Anatolia, come in Siria e Palestina, l'elemento comune nella costruzione dei muri e sempre presente, se si escludono le fasi arcaiche dell'architettura domestica di Palestina, è il mattone crudo. In mattoni sono dunque i muri in tutte le epoche, disposti in modo tale che le giunture non si sovrappongano e coesi da malta di fango, mai da bitume. Le fondazioni sono sempre in pietra, eccezione fatta per quei muri che si innestano su edifici precedenti, per cui l'antica struttura, nella sua parte anche in mattoni, funge da fondazione alla nuova. Nei casi in cui i mattoni poggiavano sulla roccia, a Boğazköy si impiegavano travi lignee per creare una maggiore connessione e le tracce sono in una serie di fori in cui quelle erano infisse. Delle pietre della fondazione una parte sporge al di sopra del pavimento, formando uno zoccolo che in Siria e Palestina, nelle fasi del Bronzo Medio e Tardo, in ambiti palatini e templari utilizza pietre squadrate, in particolare per i passaggi delle porte. Esempi in tal senso si hanno nel palazzo di Tilmen Hüyuk, in quello del livello VII di Alalakh, nei palazzi e nei templi di Ebla, nel Long Temple e nel tempio degli ortostati a Hazor; le pietre nelle fondazioni, come nel basamento superiore, erano disposte in modo tale che quelle più grandi e regolari ne costituissero le due facce, mentre l'interno era riempito con scaglie miste a terra o anche inzeppate con frammenti di grandi vasi. Non è sempre chiaro se le pietre in facciata fossero assemblate a secco o con malta di fango, dato che spesso non si capisce la natura della terra che si trova tra di loro. Al posto della malta, come legante, più raramente veniva utilizzata la calce e questa è stata ritrovata tra i blocchi di pietra della porta del santuario rupestre di Yazılıkaya. Dato che la struttura in pietra risultava piuttosto disomogenea, la parte superiore si preparava così da offrire un regolare allettamento per i sovrastanti mattoni, disponendo un piano di piccole pietre o ghiaia. Un'altra particolarità riguarda le pietre ortostatiche delle porte urbiche o degli edifici monumentali, che venivano legate alla muratura in mattoni tramite elementi di congiunzione, forse in metallo, infissi in cavità che sono state notate sulla faccia superiore dei blocchi. Strutture comunemente utilizzate in Anatolia e in Siria settentrionale sono le intelaiature in legno presenti fin dal Bronzo Antico sia nei muri in pietra che in quelli in mattoni; il legno ha la proprietà di garantire elasticità all'intera costruzione e la sua presenza rende plausibile l'ipotesi di una sua relazione con la natura sismica degli antichi insediamenti. L'intelaiatura lignea rafforza l'alzato in mattoni in senso verticale e, in misura minore, in quello orizzontale, evitando cedimenti nella massa dei mattoni e incrementandone la resistenza alle scosse sismiche che tendono a creare fenditure orizzontali nel muro. Per quel che concerne i basamenti, l'utilizzo della pietra è ampiamente documentato a partire dal Bronzo Tardo, a testimonianza anche dell'aspetto celebrativo del potere politico dei sovrani hittiti. Sicuramente è questa la parte del muro che meglio si è preservata nel tempo, infatti in Anatolia, dove il clima non è così secco come in Mesopotamia, i mattoni si sono conservati scarsamente, ma la loro resistenza è aumentata nel caso che siano stati sottoposti ad incendio, come è accaduto a Boğazköy nei pochi edifici di cui è presente l'alzato in mattoni. In misura decisamente ridotta venivano utilizzati i mattoni cotti, impiegati a partire dalla fine dell'età hittita per le pavimentazioni e le canalizzazioni mentre eccezionalmente, dopo il 1000 a.C., sono attestati nei muri di Tell Halaf e ad Arslan Tash. In tutti i casi i muri venivano ricoperti di intonaco. Gli edifici in Siria erano costruiti nello stesso modo, con varianti legate alle situazioni ambientali: così le intelaiature lignee sono presenti in alcuni centri della Siria settentrionale quali Alalakh e Ugarit, oppure in città sul Medio Eufrate che possono considerarsi colonie hittite. I pavimenti sono del tutto simili a quelli di Mesopotamia, con la differenza che per l'esterno più raramente erano utilizzati i mattoni cotti; in casi isolati è indicata la presenza di un pavimento in legno. Anche nelle regioni occidentali sono gli elementi crollati sul pavimento a dare indicazioni relative alla copertura del tetto, ma concorrono a fornire elementi su come fosse sostenuta la struttura piatta orizzontale le basi di colonne o pilastri le cui sedi sono documentate sui pavimenti. Pilastri in legno su basi in pietra erano sicuramente utilizzati nell'architettura domestica di Palestina, dove il sostegno verticale serviva a spezzare una troppo ampia luce della copertura, dato che sul pilastro potevano convergere due travi di modesta lunghezza. Colonne circolari dovevano poggiare sulle basi della medesima forma nel palazzo di Niqmepa ad Alalakh, le quali basi avevano la funzione di impedire l'affondamento delle colonne; esse diventano particolarmente elaborate nei centri aramaici del I millennio a.C. In Palestina, per un arco di tempo che va dal X al VII sec. a.C., invalse l'uso nell'architettura monumentale del pilastro a base quadrata, sormontato dal cosiddetto "capitello protoeolico". La copertura a falsa volta in pietra veniva utilizzata per le postierle come ad Ugarit nel Bronzo Tardo; sempre nella città siriana è documentata una tecnica edilizia in cui la pietra, facilmente reperibile nelle vicine montagne alauite, era l'unico materiale da costruzione impiegato con il supporto di intelaiature lignee nei muri portanti. In quel caso pietre ben squadrate erano collocate lungo le facce esterne dei muri e nella loro parte più bassa, mentre l'alzato, relativo anche a due piani, era in pietre più piccole e irregolari coese da malta; l'intonaco che ricopriva tutte le pareti oltre ad avere funzione estetica serviva a salvaguardare il legno dall'azione degli agenti atmosferici. Una tecnica particolare riguarda le fortificazioni di Siria e Palestina del Bronzo Medio, allorché le città vennero munite con un sistema a terrapieno che raggiungeva uno spessore di 20 m difficilmente ottenibile dalle recinzioni in mattoni del Bronzo Antico; la terra veniva ammassata e pressata in modo da formare una scarpata esterna e una interna. Poteva essere presente, o meno, un nucleo di mattoni o di pietre a seconda della resistenza che si voleva attribuire al muro o alla situazione del terreno; sulla sommità del terrapieno poteva erigersi un muro in mattoni, rinforzato anche da torri costruite con analogo materiale.
Gli edifici di ogni tipo riportati alla luce dagli scavi archeologici in Vicino Oriente, riferibili alle diverse fasi storiche, hanno prodotto una serie ampia di dati relativi ai materiali impiegati nelle costruzioni; questi dati documentano una grande comunione di conoscenze tecniche e un impiego alquanto omogeneo delle stesse sostanze. I materiali da costruzione individuati con certezza sono la terra, la pietra, il legno e gli elementi vegetali; tutti questi elementi si rinvengono sotto forme diverse, impiegabili in posizioni differenti a seconda dell'apporto strutturale che veniva loro richiesto. Nelle regioni vicino-orientali la terra è la materia prima più ampiamente utilizzata, a causa della sua indubbia facilità di reperimento nonché di lavorazione, con il forte risparmio economico che il suo impiego comportava; a queste valutazioni di carattere oggettivo sono da affiancare quelle relative alla qualità della terra, le sue possibilità di offrire un buon isolamento termico e impermeabile e la sua resistenza ai venti e al fuoco, in quanto materiale refrattario. Questo elemento apparentemente povero allora come adesso, in quanto ancora impiegato da alcuni villaggi, deve essere sottoposto a trattamenti più o meno incisivi che lo modificano così da diventare atto a comparire nell'economia di una costruzione in percentuale superiore a quella di qualsiasi altro; quindi la terra, cioè il prodotto della decomposizione meccanica o chimica delle rocce mescolata a elementi organici, veniva lavorata in modo particolare, dopo essere stata reperita in zone in cui fosse presente un terreno possibilmente argilloso. La prima manipolazione, dopo la setacciatura necessaria a liberarla dalle impurità più grossolane, prevedeva l'aggiunta di sostanze sgrassanti, vegetali come la paglia o minerali come la sabbia, in percentuali assai variabili. Quindi si univa acqua in proporzioni non costanti e si mescolava a lungo il composto, con una pala o per calpestamento; tale azione andava ripetuta, con intervalli durante i quali il materiale vischioso veniva lasciato riposare per favorire la comparsa degli acidi lattici utili ad un'ulteriore presa. Quella che era dunque diventata terra da costruzione poteva essere utilizzata in due modi diversi: la si poteva mettere in opera ancora fresca, dandole durante la stessa fase di costruzione la forma che avrebbe conservata seccandosi in posto ed è questo il caso dei muri in pisé, della malta e degli intonaci dei muri e dei pavimenti; altrimenti la si impiegava sfruttando le sue capacità di solidificarsi seccandosi. La pietra costituisce il secondo materiale utilizzato e di essa restano tracce più visibili grazie alle sue particolari qualità: durezza, solidità e durevolezza; con l'eccezione della piana alluvionale delle basse valli del Tigri e dell'Eufrate, tutte le regioni del Vicino Oriente sono ricche di pietre che vennero utilizzate per le diverse costruzioni. Mancano purtroppo dati precisi relativi all'estrazione e al taglio delle pietre, che venivano effettuati con attrezzi prima in silice e quindi in bronzo, mentre con l'inizio del I millennio a.C. compaiono quelli in ferro. Il taglio non è il solo trattamento che poteva subire la pietra, essa poteva anche venire picchiettata e levigata, oppure frantumata, sottoposta cioè all'ultima tecnica di trasformazione meccanica; il calcare frantumato, una volta cotto a 700-800 °C, si converte in calce, necessaria per la preparazione dell'intonaco dei pavimenti e dei muri. La pietra nella costruzione degli edifici antichi svolge tre ruoli principali: i blocchi sovrapposti gli uni agli altri formano muri con funzioni differenziate; se la massa resiste ad una spinta laterale si ha un muro di sostegno, se è sottoposto ad un carico verticale il muro è portante, se divide lo spazio senza sostenere alcun carico è un semplice tramezzo. Qualora poi le pietre siano giustapposte orizzontalmente costituiscono una pavimentazione a lastricato e, comparendo come elementi isolati, appaiono sotto forme accessorie quali le colonne, soglie di porte o ralle di cardine. L'impiego della pietra nell'economia di un muro è decisamente differenziato tra le varie regioni del Vicino Oriente. L'altra grande funzione che svolge la pietra in architettura è quella in relazione ai pavimenti; in tal caso il suo ruolo può essere di due tipi: come rivestimento dello stesso piano pavimentale (lastricato o ciottolato) o come preparazione alla realizzazione di un pavimento in materiale diverso. Nel primo caso si ha una giustapposizione di lastre la cui parte superiore è regolare e pianeggiante a favorire la comodità del piano di calpestio; nel secondo pietre di medie e di piccole dimensioni servono a stabilizzare il suolo e impermeabilizzarlo, permettendo lo scolo delle acque; in tal caso la pietra non è a vista, ma è posta sotto il pavimento che può essere di terra battuta, calce o gesso. Ampiamente usata era la pietra in connessione ai sistemi di evacuazione dell'acqua piovana o di scarico o alla sua conservazione; infatti sotto i piani dei pavimenti interni delle case come sotto i piani stradali sono stati rinvenuti canali di scolo scavati nel terreno, foderati di pietre e ricoperti del medesimo materiale, mentre, ancora, pietre venivano utilizzate a contenere le pareti dei pozzi/cisterna in cui veniva serbata l'acqua per lo più ad uso domestico. La pietra più impiegata nel Vicino Oriente è il calcare, presente sotto le sue varie forme quasi ovunque, anche se in minore quantità in Iraq, tranne la zona settentrionale e la regione di Mossul; la pietra calcarea, peraltro, si presenta sotto aspetti assai differenti, così a quella chiara e relativamente porosa di Siria e di Palestina si contrappone il materiale dall'apparenza granitica, molto duro, grigio e non poroso degli edifici della capitale hittita, Khattusha, tipico della regione, mentre in altri siti dell'Anatolia, quali Troia, è del tipo più tenero e poroso. In Anatolia, Siria e Palestina in minore misura esistono grandi isole di pietre eruttive, pietre che furono ampiamente utilizzate nelle antiche costruzioni; in Anatolia era usata l'andesite, particolarmente a Kültepe, e quasi assente era il basalto, ben noto invece dagli edifici di Siria e Palestina. Il problema del trasporto era difficilmente risolvibile nel Vicino Oriente e solo i rilievi di Ninive del VII sec. a.C. forniscono notizie relative al trasporto per via fluviale. Raramente si ritrovano negli antichi edifici resti di origine vegetale, il che non deve far pensare ad una loro mancanza d'impiego o ad una eccessiva rarità dei medesimi; la documentazione che si ha è, nella maggior parte dei casi, al negativo, cioè si nota la mancanza di alcune parti nella tessitura dei muri che fa risalire alla natura di ciò che si è perso. Il ritrovamento, poi, di parti di legno carbonizzato ha in alcuni casi permesso l'individuazione dei diversi tipi di legname utilizzato, il che trova ampio riscontro nella varietà di alberi attualmente presenti nelle regioni vicino-orientali. Il legname tagliato veniva trasportato nei luoghi d'impiego, se possibile, per via fluviale, e nell'economia delle strutture dei diversi edifici assolveva compiti diversi; essenzialmente serviva a confezionare pali che venivano impiegati per due scopi: per essere sottomessi ad un carico verticale, e avere quindi un ruolo portante, o per servire da sostegno se ricevevano una spinta laterale. Lo stesso palo poteva svolgere le due funzioni e la loro antica presenza è documentata nello scavo dalle tracce che hanno lasciato sul piano e che consistono in fori o buchi nel pavimento, oppure, e questo accade essenzialmente per l'architettura anatolica e nord-siriana, per le regolari lacune che compaiono nella tessitura dei muri, in senso verticale come in quello orizzontale, a testimoniare una sorta di armatura realizzata in un materiale andato del tutto perso e di cui possono restare rare tracce carbonizzate. Nell'intelaiatura di muri in pietra e in mattoni i pezzi di legno avevano la funzione di assicurare stabilità ad un insieme composto di elementi discontinui; i piccoli travi venivano disposti orizzontalmente nel senso della lunghezza e della larghezza del muro o anche verticalmente. Quella che non si trova mai, se non caduta al suolo e quindi al di fuori della sua collocazione originaria, è la travatura del tetto, che doveva avere negli elementi lignei la sua imprescindibile realizzazione. L'albero attualmente più diffuso nel Vicino Oriente, il pioppo, era anche quello più impiegato in tutta l'antichità, grazie alle sue qualità, che lo rendono resistente alla flessione, alla trazione e alla pressione. Da esso si possono trarre travi lunghe da 2 a 6 m, con un diametro medio di circa 20 cm; assai diffuse erano poi anche le differenti specie di quercia ed il pino. Maggiormente documentato nei testi antichi di quanto non lo sia archeologicamente è, poi, l'uso del cedro del Libano, di cui la Bibbia (I Re, 6, 9-10) ricorda ripetutamente l'impiego per le travature del tempio di Gerusalemme fatto costruire da Salomone. Buona utilizzazione aveva, nella terra di Sumer, la canna che, a fasci, serviva a costruire edifici di modeste dimensioni come raffigurato sui sigilli cilindrici del periodo protostorico rinvenuti a Uruk; sotto forma di stuoie o a formare delle corde, le canne svolgevano una funzione importante nella costruzione delle ziqqurrat di Mesopotamia in tutto l'arco di tempo in cui rimase in uso questo particolare tipo di edificio. Un altro materiale ben documentato è il bitume, sotto il cui nome generico si designano prodotti naturali a base di idrocarburi; la sua varietà più impiegata in architettura è l'asfalto, che si trova allo stato naturale nella maggior parte delle regioni vicino-orientali. L'asfalto naturale, che non va confuso con quello artificiale prodotto dalla distillazione del petrolio e sconosciuto nell'antichità, è presente per trasudazione nella maggior parte delle regioni del Vicino Oriente; la documentazione più ricca del suo impiego in architettura proviene essenzialmente dalla Mesopotamia, dove aveva un duplice impiego. Il primo era quello di legante nelle strutture in mattoni, funzione altrimenti svolta dalla malta, e in quella veste non era utilizzato puro, ma accompagnato da un indurente vegetale (paglia) o minerale (sabbia, calcare, argilla); l'altro impiego, documentato anche fuori della Mesopotamia, nel Sud dell'Anatolia e nella Siria settentrionale, era quello d'intonaco impermeabile nelle costruzioni idrauliche o nei pavimenti di bagni o di vani a cielo aperto.
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di Stefania Mazzoni
Se tendenze diverse si confrontano da regione a regione, è pure comune la volontà di movimentare le superfici intervenendo sul volume e plasmandolo, dandogli risalto con elementi modanati o applicati o con il colore, con un ampio ricorso a tecniche polimateriche e a generi come il mosaico. Modellare le superfici è reso possibile dall'uso di materiali plastici, come l'argilla e i suoi derivati, come i coni infissi a teste dipinte o gli intarsi o i mattoni cotti modanati e smaltati. Policromia e colorismo variano le superfici attraverso decorazioni dipinte o affreschi, spesso con motivi che ricordano i tessuti e le stuoie, mentre il bassorilievo e perfino l'altorilievo dei programmi celebrativi scultorei regali negli edifici cerimoniali delle epoche più tarde sostituiscono al cromatismo policromo un gioco di ombre e di luci dagli effetti plastici e chiaroscurali.
Nell'età neolitica le prime pitture murali imitano i motivi geometrici di stuoie o di incannucciate in rosso e nero, come a Tell Mureibet, mentre figure umane e di animali appaiono a Buqras: tratti vivaci ha un gruppo di struzzi e un volto ha occhi intarsiati in ossidiana, prefigurando la tecnica ad intarsio che avrà grande fortuna nell'area. Nella cultura pre-Hassuna o di Umm Dabaghiya-Sotto (6500 a.C. ca.) a Umm Dabaghiya si affermano vive scene con animali selvatici. A Çatal Hüyük le pitture murali hanno una precoce affermazione, forse per funzioni magiche, con un effetto di vivace colorismo espressionistico in scene simboliche e naturalistiche, come la scena degli avvoltoi e quella dell'eruzione del vulcano; la sofisticata tecnica dell'intonacatura a calce e gesso è qui piegata alla creazione di un ricco armamentario decorativo plastico di stucchi parietali con figure femminili e bucrani dagli incerti valori simbolici. Coerente con il linguaggio architettonico carico di forti cadenze chiaroscurali del periodo di Uruk è la decorazione delle superfici delle grandi fabbriche cerimoniali con pitture e con mosaici (3500- 3000 a.C.). La pittura, in una tecnica forse a tempera, si afferma fin dai templi di Tepe Gawra (livello XIII) e raggiunge esiti di vivace cromatismo nel tempio di Tell Uqair, dove il podio e le pareti erano dipinti con scene animalistiche e con motivi geometrici simili a quelli ottenuti nei mosaici; anche a Malatya (periodo VIA), alcune pitture murali con figure umane e di animali in rosso e nero conferiscono colore alle superfici, con riferimenti simbolici e stilistici alla tradizione locale di Çatal Hüyük. La tecnica del mosaico polimaterico rappresenta un'espressione di forte richiamo visuale e ideologico, legata al prestigio e alla ostentazione di materiali diversi, anche preziosi, importati da lunghe distanze. Era infatti realizzata con l'inserzione di coni d'argilla in arenaria rossa, di alabastro, di calcare bituminoso grigio, con un effetto di stuoia a decorazione geometrica, come agli inizi a Uruk, nella terrazza di Susa e nel Tempio degli Occhi di Tell Brak. Ai coni inseriti nella struttura, talvolta in pannelli, talvolta in nicchie, si alternavano, almeno nella terrazza di Anu della fase III ad Uruk, placche in terracotta figurate a traforo o placchette con file di cerchi, forse a imitare graficamente i coni. Nel tempio di Tell Brak erano presenti insieme ai coni applicazioni in rame, oro, argento e un fregio con rosette in marmo, in ardesia e in calcare rosso. Questo preziosismo decorativo, con il suo carattere di ostentata capitalizzazione di materia pregiata, rimarrà a lungo vivo nell'ambiente mesopotamico trovando espressione nelle arti minori.
La decorazione del periodo protodinastico mostra non pochi spunti di rinnovamento. L'intarsio su pannelli rimane il genere più documentato; la tradizione policroma e polimaterica persiste ancora in qualche struttura templare, come nella facciata della terrazza del tempio di Ninkhursag costruito da Aannepadda di Ur I a Tell al-Ubaid, dove colonne a tronco di palma con tessere policrome legate da filo di rame su bitume, fregi con rosacee, una scena di latteria e di animali e un rilievo in bronzo con l'aquila leontocefala decoravano le porte e l'architrave, segnando la nascita del rilievo architettonico. I fregi ad intarsio presentano ora tematiche figurative e celebrative ed acquistano insieme spessore ideologico e visivo propri nel contesto architettonico; spesso dovevano essere inquadrati da cornici staccate o inseriti nelle pareti, come quadri e stendardi o come fregi di porte e di arredi diversi. I più antichi provengono dall'edificio in tauf di Uruk; ad essi si aggiungono in successione gli intarsi con scena di trionfo militare del Palazzo A di Kish, quelli più recenti del Palazzo Presargonico e dei templi di Ishtar e Ninni-zaza di Mari, il celebre stendardo di Ur e quello ora di Ebla. La tradizione del mosaico a coni sopravvive localmente; nel Palazzo Antico di Tuttul (Tell Biya), i coni parietali con testa decorata da una rosetta incisa rimandano agli esempi più antichi di Tell Brak. Allo stesso modo dovevano agire visualmente e funzionalmente nel corpo murario le placche con un foro centrale per l'inserzione, scolpite su più registri, dai temi diversi, celebrativi e cultuali. Occasionale, o solo meno documentata per motivi di conservazione, è la pittura murale, nota comunque nelle residenze siriane, come a Tell Suweihat, da un motivo con allattamento del vitello o, come a Tell Halawa B e a Tell Munbaqa, da elementi figurativi e vegetali, ma anche da inquadramenti geometrici.
La decorazione delle facciate dei templi è largamente ispirata alla tradizione plastica precedente e all'impiego di nicchie, lesene e semicolonne; dentro le nicchie vengono ora plasmate con i mattoni e con l'intonaco semicolonne tortili o a fusto di palma. Le prime testimonianze ricorrono ad Ur nel Tesoro di Sin-iddinam (1849-1843 a.C.) e nel bastione di Warad-Sin (1843-1823 a.C.) con colonne a tronco di palma ricoperte da uno spesso intonaco. Successivamente nel tempio di Shamash a Larsa, nei templi di Tell Leilan, Tell Brak e Tell er-Rimah, le colonne tortili e a palma si presentano a superficie a punta di diamante e lanceolata; il portale di Tell er-Rimah è arricchito da rilievi con la testa di Humbaba e con la dea fiancheggiata dalle palme. Come guardiani delle porte ricorrono ora le figure di leoni, realizzate sia in bronzo come nel tempio di Dagan di Mari, sia in terracotta come nel tempio di Tell Harmal. La decorazione del palazzo di Mari è costituita da pitture murali, forse a tempera (gouache) applicate sull'intonaco secco, come in Egitto, con scene celebrative di trionfo, di legittimazione della regalità e di culto. Una funzione architettonica d'inquadramento a pannelli, talvolta in sostituzione di altri materiali, è la decorazione a falso marmo del podio della Sala 64, con guilloches, o la decorazione a travature, che compare a Mari e nel palazzo coevo di Alalakh. Perdura anche la tecnica decorativa a mosaico, documentata nella Sala 70 di Mari da un mosaico con tessere in fritta, forse su base lignea con decorazione geometrica ad elementi cruciformi.
In alcune residenze ufficiali un intonaco dipinto poteva coprire gli ortostati, come nella sala interna porticata del palazzo di Yarim-Lim ad Alalakh, con una decorazione di inquadramento architettonico; frammenti di affresco in rosso scuro con elementi foliati e corna taurine provengono anche dal crollo sopra i magazzini a S della corte, forse da una sala residenziale colonnata al primo piano. Questa tecnica e i motivi stessi dell'affresco si possono ora mettere in relazione con l'attività di artisti minoici, documentata sia a Tell ed-Daba sia nel palazzo di Tel Kabri in Palestina, dove la pavimentazione di una sala era affrescata a decorazione floreale dentro una griglia rossa. Un preciso valore apotropaico era attribuito alle figure dei leoni guardiani, scolpiti sugli stipiti delle porte di templi, come a Ebla nel Tempio P2, in una tecnica caratteristica di questo ambiente con il muso a tondo e il corpo rappresentato a rilievo sul fianco.
Lo stesso gusto plastico e identica funzione simbolica caratterizzavano gli stipiti delle porte urbiche di Khattusha e di Alaca Höyük, scolpiti con le figure in grandi dimensioni di leoni e di sfingi, e il tempio III di Khattusha, di cui rimane solo una protome con le zampe. Il bassorilievo su lunghi fregi ortostatici inseriti nel corpo di facciata compare per la prima volta nella Porta esterna delle Sfingi di Alaca Hüyük con le processioni cultuali e con le scene di corte e di caccia sviluppate sui due angoli come segno ideologico del percorso. Ancora in funzione architettonica è il rilievo sulla chiusa alla sorgente di Eflatun Pinar, dove la struttura solida costruita a blocchi diviene massa plastica modellabile, con gli dei e i geni che sorreggono il sole alato. Del tutto occasionale è in questo ambiente il ricorso a decorazioni policrome, come a Maşat Hüyük, nel podio decorato a motivi geometrici con tessere di pietre diverse, in una tecnica ad intarsio di antica tradizione.
Nel Tempio degli Ortostati di Hazor (area H, strato IA) un leone scolpito su uno stipite basaltico decorava la porta, nella tradizione precedente; un altro leone di stile più sommario decorava la porta del tempio dell'area C; la testa di una leonessa doveva appartenere ad un edificio dell'area A, forse un palazzo. Anche ad Alalakh l'ingresso del tempio del livello IB era decorato da due leoni, forse recuperati dal tempio anteriore. D'incerta formazione è la decorazione del Tempio M2 di Emar a chiodi di argilla cavi in due forme, cilindrica e a puntale, che forse potevano servire per areare la struttura interna dei mattoni. Nell'ambiente palestinese si afferma la tradizione decorativa egizia; il tempio sull'acropoli di Lachish (strato VI) ha capitelli a forma di papiro e colonnine ottagonali al lato dell'altare, mentre resti di pitture documentano la presenza di dipinti murari.
Se a Tell Brak la facciata a semicolonne del tempio è chiaramente arcaizzante e ispirata alla tradizione assira anteriore, allo stesso modo la decorazione del tempio di Ishtar a Nuzi riflette il gusto pittorico e polimaterico precedente nelle placche parietali in terracotta smaltata a figure e motivi diversi, foglie d'oro e perle in fritta. La stessa tecnica e lo stesso gusto si ritrovano nel palazzo, le cui sale erano decorate dai chiodi di lontana origine sumerica e dalle placche smaltate a pomello (siqqātu) decorate, come a Tell Brak e a Tuttul, da rosette a stampo, presenti poi ad Assur e nella successiva età neoassira; né mancano le pitture murali sopra gli architravi e le porte, con fregi che suggeriscono inquadramenti architettonici o una tappezzeria, e con motivi metopali con bucrani, palmette e teste hathoriche. Le mattonelle smaltate con pomelli decorati a rosette in colori policromi adornavano ancora la porta regia di sud-est a Dur Untash (Choga Zanbil), nuova città vicino a Susa. Nel palazzo di Kar-Tukulti-Ninurta il gusto decorativo della tradizione mitannica permea i larghi pannelli che inquadrano le piante sacre, le gazzelle, le rosette in fasce metopali e il festone di palmette. Nel palazzo di Dur Kurigalzu nel settore HH (Aqar Quf ) traspare un nuovo spirito nelle pitture con teorie di cortigiani che si diramano lungo le porte (IIV) in fregi di 1 m di altezza, definendo in modo pittorico lo spazio della circolazione cerimoniale. È possibile che questo rinnovato interesse figurativo nella pittura parietale si colleghi con l'altra tecnica decorativa di questa fase, il rilievo con mattoni modanati delle facciate dei templi; esemplare è quello con dee con vasi lustrali e dei della montagna del tempio dedicato da Karaindash a Inanna nell'Eanna di Uruk, al quale si ispirava il fregio simile dall'area dell'apadāna di Susa.
La decorazione sottolinea la monumentalità delle fabbriche palatine assire e ne diviene dichiarata espressione ideologica. Due diversi, ma non contrastanti linguaggi e due tecniche distinte si affiancano: una tradizionale, l'altra fortemente innovativa, anche se con precedenti occasionali. La policromia delle pareti a mattoni smaltati è ancora un elemento importante della decorazione e viene adottata nel palazzo di Assur, nel tempio di Anu e Adad e nel tempio di Assur da Tukulti-Ninurta II per le prime scene narrative dedicate ad illustrare le campagne di vittoria del sovrano; la stessa tecnica sarà mantenuta dai sovrani successivi, ma sempre più confinata alla creazione di grandi pannelli decorativi di gusto architettonico, con fregi ad arco di palmette e rosacee che inquadrano scene rituali di legittimazione del sovrano, come nel Forte Salmanassar a Nimrud; le placche a pomello costituiscono un ulteriore elemento decorativo, come nel palazzo di Assur. La pittura sostituiva talvolta queste decorazioni, come nei fregi di Forte Salmanassar con teorie di dignitari o nella sala della Residenza K, dove sul triplice fregio di geni, animali ed elementi geometrici culminava il grande pannello con il re in adorazione davanti ad Assur o alla sua statua sul podio. Un ciclo di ampio respiro era invece costituito dalle pitture del palazzo del governatore Shamshi-ilu a Til Barsib (Tell Ahmar), con tema narrativo di omaggio e trionfo e con i fregi a fasce a rombi e cerchi; il palazzo sarà ancora decorato nell'età di Assurbanipal con un affresco con scena di caccia regale al leone. Pitture a fregi geometrici semplici erano realizzate anche in alcune delle grandi residenze della città bassa, come nell'Edificio T della città bassa media di Dur Katlimmu. Il gusto policromo si lega tradizionalmente alla tecnica polimaterica, che si esprime nell'uso di fasce di bronzo sbalzate a rilievo e di pannelli eburnei incisi e a rilievo nelle porte con temi di vittoria; celebri sono le porte del tempio di Mamu a Imgur-Enlil (Balawat). Anche le colonne sono ricoperte di foglie di bronzo sbalzato, come nei templi del palazzo di Khorsabad, con un effetto coloristico marcato. Questo gusto traspare nei pavimenti e in arredi diversi; in una residenza della città esterna di Til Barsib ciottoli policromi formavano un mosaico, mentre di incerta funzione architettonica, forse per bloccare le finestre, i terminali resi a pugno chiuso erano smaltati oppure ricoperti di bitume o di lamine metalliche. Il linguaggio pittorico dell'arte neoassira si manifesta compiutamente nel rilievo piano ortostatico con tema narrativo e rituale-celebrativo, che poteva anche essere arricchito in qualche caso da una limitata policromia nelle vesti e su parti del corpo. I grandi ortostati in alabastro di Mossul decoravano, prima in due fasce, poi in grandi pannelli continui, la parte inferiore delle pareti, creando un effetto di ombreggiatura sfumata dal bassorilievo stiacciato, che solo con l'età di Sargon II sarà sostituito, per le teorie di dignitari delle corti, da un altorilievo a forte effetto plastico e chiaroscurale. Un prezioso decorativismo si manifestava anche nell'uso di soglie scolpite a rilievo con fregi che imitavano i tappeti con nappe laterali di fiori di loto aperti e chiusi. Questa decorazione contribuisce a sottolineare la spazialità articolata e la volumetria solida delle ali monumentali dei palazzi, condensando un nuovo linguaggio ideologico e stilistico ed una forte espressività architettonica. Nel periodo neobabilonese prevale la tecnica del rilievo su mattone, che conosce nel lungo passaggio della porta di Ishtar almeno tre fasi costruttive e tre tecniche: una prima con mattoni cotti con animali a rilievo; una seconda con mattoni smaltati dipinti con le figure degli animali protettori; una terza finale con mattoni smaltati policromi a stampo con figure a rilievo di tori e di Mushkhush, il dragone di Marduk, in bianco e giallo su fondo blu. Nella facciata della sala del trono l'effetto decorativo di una balaustra è ottenuto da un pannello con fregio di leoni incedenti, da cui si elevano i fusti di palmette stilizzate e in alto fregi di fiori di loto antitetici e di rosacee.
Nel segno della tradizione anatolica le cittadelle luvie agli inizi del I millennio a.C. sviluppano la tecnica del paramento ortostatico o del basamento scolpito nelle porte per le figure di guardiani, leoni e sfingi o geni tutelari compositi e delle montagne, che venivano usualmente prelavorati nelle cave basaltiche della regione, come a Yesemek e a Sikizlar, messi in opera e rifiniti in posto. Il rilievo scolpito sarà poi adottato nelle facciate o lungo i fianchi degli edifici pubblici, palatini o templari, che si affacciano sulle piazze interne cerimoniali e nei portici dei palazzi-ḫilāni, con lunghi fregi celebrativi con scene di vittoria e di corte o teorie di divinità. Così in pietra sono anche realizzate cornici e balaustre decorate a guilloches e rosette, come nei templi di Ain Dara e Aleppo e nella cittadella di Hama della fase E, per l'inquadramento di porte e di finestre. Le colonne usualmente lignee costituiscono un elemento ormai costante delle facciate degli edifici maggiori; eccezionale è il caso dello ḫilāni di Kapara a Guzana (Tell Halaf ) con le sue cariatidi a figure divine sugli animali tutelari. Le basi di colonna sono spesso sostenute da leoni e sfingi, anche a coppia, e da cuscini a forma di loto, sia semplice che doppio, come a Zincirli e Karkemish. In Palestina e in Fenicia capitelli protoeolici con palmette a volute sono impiegati nei portici di edifici cerimoniali, come a Megiddo, Hazor, Dan, Samaria e Ramat Rahel, mentre le basi di colonne sono spesso decorate a fiori di loto, come nel sacello nella porta di Tel Dan. Nella fase persiana permangono i motivi decorativi tradizionali. Nel tempio di Amrit il coronamento superiore del porticato doveva essere decorato da un fregio a merlature a gradini crenellati, di stile mesopotamico. Le basi di colonne sono costituite da un cuscino decorato a foglie di loto stilizzate, come a Sidone, o da un semplice cuscino su gradoni con fusto costituito da diversi cilindri in pietra sovrapposti. In ambiente urarteo, la decorazione dei templi doveva essere ricca, con applicazioni in bronzo e in avorio, nonché con pitture; ad Erebuni si conservano resti di pitture a motivi geometrici nella sala colonnata del tempio, le cui pareti erano intonacate in azzurro; in rosso e blu erano decorate le pareti del tempio di Altin Depe, con figurazioni su fasce a motivi geometrici, palmette, melograni, leoni e divinità benedicenti; all'esterno il colore era proposto ancora in un pavimento a mosaico di ciottoli policromi. Colore e una qualche vivacità espressionistica caratterizzavano la decorazione architettonica frigia; nel Megaron 2 di Gordion il pavimento era in ciottoli policromi a motivi geometrici, come in ambiente urarteo ed assiro provinciale; teste di leone guardavano l'ingresso, che era ravvivato da blocchi incisi con scene di vita e facciate di edifici. Questo stile policromo perdura nel VI sec. a.C., quando il tempio ligneo sulla terrazza verrà decorato da placche in terracotta dipinte con scene del repertorio tradizionale orientale interpretate in stile locale, come la caccia dal carro, l'assalto dei leoni ai bovidi, gli arieti affrontati agli alberi sacri e con motivi geometrici con file di rombi. Questa decorazione è imitata nelle facciate scolpite nella roccia della città di Mida, che racchiudono semplici nicchie, contenenti in origine statue delle divinità o camere tombali; il rilievo mostra una grande varietà di motivi architettonici di inquadramento, come il meandro multiplo, i rombi e le rosacee, che tornano nella ceramica policroma locale.
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di Paolo Matthiae
I resti archeologici delle abitazioni domestiche delle civiltà del Vicino Oriente antico hanno, per la loro amplissima documentazione in ogni periodo preistorico e storico, dal Neolitico all'Ellenismo, un interesse primario per le sostanziali testimonianze fornite, in ambito sincronico, sia sul piano delle strutture insediamentali, sia su quello dell'organizzazione familiare. D'altro lato, in ambito prevalentemente diacronico, l'analisi delle abitazioni domestiche assume un valore particolare come indicatore privilegiato di processi culturali ed economici in un settore dell'architettura antica segnato da particolare conservativismo. Così, se l'assunzione di modelli planimetrici domestici estranei in una determinata cultura è il segnale esplicito di un indebolimento forte del peso della tradizione e di una sovrapposizione culturale radicale, in termini demografici o in termini economici, è frequente, o almeno frequentemente è stato postulato, il caso di influenza di tipologie planimetriche domestiche sulle tipologie templari e palatine. Soprattutto, l'articolazione degli spazi e la dilatazione delle superfici dei tipi di abitazioni nella documentazione archeologica sono un decisivo elemento di valutazione degli sviluppi socio-economici e di giudizio sulle strutture sociali fondate su base eminentemente egualitaria ovvero su differenziati accumuli di ricchezza. L'analisi storica delle abitazioni domestiche è fondata essenzialmente sulla considerazione tipologica dell'organizzazione degli spazi, sull'individuazione funzionale della loro destinazione d'uso, sulla valutazione degli elementi costruttivi, tecnici e decorativi, particolarmente incidenti sul risultato estetico dei prodotti edilizi. Tuttavia, mentre per il primo ordine di problemi i resti archeologici sono spesso sufficientemente indicativi, per il secondo la loro frequente carenza è supplita dalle indagini etnoarcheologiche, che forniscono importanti basi comparative nell'ambito dell'esistente, e per il terzo le usualmente modeste condizioni di conservazione raramente consentono conclusioni al di là dei livelli relativi alla tecnica edilizia. Le forme tipologicamente più elementari di abitazioni sono in generale le più antiche attestate, anche se un'evoluzione tipologica delle strutture domestiche dal semplice al complesso è fuorviante. Tra i tipi più antichi, infatti, oltre alle dimore seminterrate del Neolitico preceramico di Palestina ad Ascalona e del Neolitico ceramico di Gerico, ma anche del Neolitico preceramico del Kurdistan iracheno con dimensioni di 3,3 × 2,7 m e un interro di circa 1,5 m, sono ben attestate le abitazioni monocellulari a pianta circolare dal Neolitico preceramico al Calcolitico, con una diffusione ampia non tanto per quanto concerne la quantità degli insediamenti, ma piuttosto per l'estensione geografica della documentazione. Preceduti da capanne circolari della cultura natufiana del Neolitico, sono importanti gli insediamenti con tre livelli successivi di Gerico del Neolitico preceramico A, con abitazioni del diametro di 3 m, e quelli di Beidha VI-IV in Transgiordania, dove sono ben documentati sia la presenza di supporti centrali, sia l'uso degli ambienti anche per lavorazioni artigianali ed è probabile la copertura a cupola, supposta anche a Gerico. Questo tipo ebbe probabilmente una diffusione notevole sia in area siro-palestinese, sia nelle regioni pedemontane della Mesopotamia settentrionale, che deve essere all'origine della notevole documentazione di siti calcolitici antichi come Hassuna IC-II e di insediamenti successivi della cultura di Halaf, come Arpachiya. In questi stanziamenti calcolitici della regione di Mossul sviluppi importanti che sembrano caratteristici, nella tipologia delle abitazioni circolari, delle successive fasi calcolitiche nord-mesopotamiche, sono costituiti dalla dilatazione delle dimensioni rispetto agli esordi neolitici e dalla partizione dello spazio interno. Mentre a Hassuna si hanno anche tre tramezzi con due settori ricavati vicino all'entrata, una particolare monumentalità, che ha fatto pensare, non fondatamente tuttavia a impieghi religiosi, si osserva nelle cosiddette tholoi di Arpachiya, la maggiore delle quali raggiunge un diametro di circa 10 m con un lungo vano rettangolare di accesso di ben 19 m. È probabile che connesse a queste attestazioni dell'area di Mossul siano quelle, pure prevalentemente del Calcolitico, in Armenia, in particolare a Shengavit presso Yerevan, con focolari e arredi domestici, mentre una possibile continuità fino al Bronzo Antico è documentata sia, ancora in Armenia, con i quattro successivi livelli di abitazioni circolari con partizioni interne ortogonali e muri concentrici a Yani Tepe, sia in Anatolia a Etiyokuşu presso Ankara, dove pure il tipo circolare persiste nei livelli II, 1-2 e I. Benché sembri che non si siano conservate tracce archeologiche delle abitazioni circolari dopo il Bronzo Antico, questo tipo e quello unicellulare quadrato con copertura a cupola ebbero certo persistenze significative in Alta Mesopotamia e in Alta Siria, come è dimostrato, nel primo caso, dalle rappresentazioni nei rilievi di Ninive del tempo di Sennacherib (704-681 a.C.) e, nel secondo, dall'ampia ma ben delimitata diffusione geografica del tipo nei villaggi moderni. L'altra forma planimetrica elementare è ovviamente quella della casa monocellulare a schema rettangolare o quadrato, che ha in effetti attestazioni fin dal Neolitico preceramico, ma che presenta una frequenza e una continuità di documentazione molto più ampie del tipo circolare. Anche in questo caso sono storicamente importanti le varianti con partizioni interne dello spazio, che, almeno in un caso, quello del tipo cosiddetto "a megaron", hanno generato tipologie di lunga fortuna, di spiccata adattabilità e di forte caratterizzazione culturale. L'antichità maggiore di attestazione del tipo di abitazione monocellulare rettangolare nell'area palestinese fin dal Neolitico preceramico a Munhata, nell'area del Giordano e a Beidha II-III presso Petra, ma parallelamente in Siria meridionale a Ramad a sud di Damasco e in Siria settentrionale a Mureibet sull'Eufrate, oltre che dubitativamente a Tepe Guran V-N nel Luristan, deve dipendere dalla maggiore intensità delle indagini archeologiche più che da caratteristiche specifiche regionali. Infatti, durante il Neolitico il tipo è largamente attestato in tessuti insediamentali serrati anche in Anatolia, in particolare a Çatal Hüyük nell'area di Konya fin dal Neolitico protoceramico, con eccellente documentazione di abitazioni nei casi di maggiori dimensioni (5 × 7 m), caratterizzate da muri perimetrali indipendenti per ogni singolo vano, ingresso dal tetto tramite scale per lo più sulla parete meridionale, pitture parietali frequenti e presenza di numerosi elementi cultuali, oltre che da ricchi arredi domestici con banchette in argilla, focolari e forni, che hanno fatto presumere, da un lato, che alcuni vani fossero santuari e, dall'altro, che vi fossero in diversi casi destinazioni domestiche e sacrali coesistenti. Sempre in Anatolia, ma nell'area sud-occidentale, non meno importante è la documentazione insediamentale del Neolitico tardo di Hacılar VI, in cui le abitazioni sono sempre monocellulari, per lo più a sviluppo latitudinale anche di 5,5 × 8,5 m, con ingressi spesso al centro di uno dei lati lunghi e focolari di fronte, supporti per le coperture nella zona mediana lungo l'asse maggiore, luoghi cultuali connessi a riti della fertilità in uno degli angoli. Questa tipologia, elementare planimetricamente, ma funzionalmente ben strutturata, continua ad essere dominante durante tutto il Calcolitico sia in Anatolia, dove Hacılar IA-B documenta la transizione dal Neolitico finale, sia in Palestina meridionale, a Bir es-Safadi presso Beersheba, con abitazioni anche di grandi dimensioni, sia in Siria centrale, dove Hama L-K attesta alla fine del periodo il tipo rettangolare, isolato o iscritto nel serrato tessuto abitativo del villaggio. Una variante caratteristica del tipo, dalla diffusione geograficamente e cronologicamente limitata, è costituita dall'abitazione monocellulare rettangolare con un lato breve sostituito da una parete absidata, che sembra attestata soprattutto nelle fasi finali del Calcolitico, in Palestina settentrionale e sulla costa del Levante a Biblo. Un'altra variante dell'abitazione monocellulare rettangolare di ben diversa fortuna è il tipo a megaron, il cui schema di base è costituito da un vano a sviluppo longitudinale a ingresso assiale in uno dei lati brevi, preceduto da un vestibolo delimitato solo lateralmente da ante. Questa tipologia comincia ad essere documentata in Anatolia occidentale dagli inizi del Bronzo Antico e diviene lo schema di base di elaborazioni monumentali delle culture urbane arcaiche dell'area anatolica: Troia IB, dove è già attestato e dove sono documentati anche sviluppi del Bronzo Medio, con associazioni funzionali di diversi megara in strutture abitative pluricellulari; Thermi I-III nell'isola di Lesbo, dove sempre nel Bronzo Antico il vestibolo diviene un vano minore chiuso; Karataş Semayük, in cui già nel Bronzo Antico III si raggiunge in un caso la dimensione di 8 × 18 m; Beycesultan, dove la documentazione si estende dal Bronzo Antico al Bronzo Medio, ma con persistenze fino al Bronzo Tardo. La forte espansione anatolica del tipo è documentata anche a Tarso, nel Bronzo Antico II e III. Le più tarde e monumentali attestazioni sono quelle di Gordion, la capitale frigia, dove tra l'VIII e il VI sec. a.C. il tipo, pur intatto planimetricamente, viene adattato a funzioni particolari in ambito palaziale, da quelle originarie residenziali a quelle di sala di ricevimento e di tesoro palatino. Le tipologie di abitazioni prevalenti nelle culture storiche dell'Oriente antico dai periodi di formazione, di sviluppo e di diffusione della civiltà urbana, pur tenendo conto di varianti assai numerose, si rifanno a quattro tipi maggiori. Il primo, che ha avuto un forte sviluppo già nel Calcolitico, è rappresentato da unità domestiche con diversi vani, a struttura regolare o a sviluppo irregolare, prive di corte annessa. Il secondo tipo, che mantiene una certa autonomia, ma tende a dilatarsi confondendosi con il terzo, consta di vani raggruppati su un lato di una corte anteposta. Il terzo tipo, che spesso archeologicamente è difficile da distinguere dal quarto, è caratterizzato da un grande vano rettangolare centrale sulle cui ali si dispongono vani assai piccoli e molto irregolari, generando nel tempo formulazioni normalizzate con vani allineati su tre file. Il quarto tipo è quello che ha avuto maggiori, più variati e più complessi sviluppi e si caratterizza per una corte centrale di dimensioni più ampie, circondata da vani usualmente minori su tutti i lati. È il primo tipo nella variante a struttura regolare che sembra senz'altro frutto di progettazione programmata e che è attestato in forme organiche ed elaborate già nelle culture di Samarra e di Halaf, fino all'epoca di Ubaid, rivelandosi come originario della Mesopotamia nordorientale: il sito di maggiore documentazione è Choga Mami, con abitazioni a vani (fino a 8 o a 12), singolarmente piccoli e regolari, distribuiti su due o tre serie parallele entro un perimetro rettangolare, in alcuni casi anche con più accessi. Di dimensioni maggiori e di maggiore articolazione sono i complessi abitativi della cultura di Hassuna e di Samarra attestati a Tell es-Sawwan, nell'area di Samarra, dove le unità sono strutturate non su elementi modulari ripetuti, come a Choga Mami, ma su continue variazioni dimensionali disposte su fasce planimetriche affiancate di diverse dimensioni, con una prevalenza per schemi a T. La variante a sviluppo irregolare, invece, è quella che genera le strutture insediamentali definite "agglutinanti", in cui si ha assenza sia di perimetri regolari definiti, sia di spazi adibiti a corti per ogni unità domestica e dove i vani delle varie abitazioni, generalmente di dimensioni relativamente standardizzate, si intersecano e interferiscono. Questa modalità dell'uso del territorio insediamentale, in cui l'impressione del tessuto abitativo è di grande omogeneità e fluidità entro perimetrazioni molto irregolari e in cui gli spazi aperti dovevano essere comuni, è probabilmente quella che più diffusamente ha segnato le aree abitative di tutti i centri dell'antico Oriente dalla fine delle fasi preistoriche, soprattutto in Iran e in Mesopotamia. In area iranica esempi rilevanti di questi tipi sono quelli di Tepe Hissar, dall'età di Ubaid fino al periodo protodinastico, e di Tall-i Bakun del tardo Ubaid, mentre in Mesopotamia schemi di sviluppo insediamentale di modello agglutinante sono quelli che presiedono alla formazione dei tessuti abitativi di Eshnunna e di Adab nella Babilonia orientale protodinastica. Benché si affermino anche abitazioni strutturalmente diverse, come quelle pertinenti soprattutto al terzo tipo menzionato più sopra, è il modello agglutinante che presiede ancora alla formazione di settori consistenti di tessuti urbani tra i più importanti e meglio documentati dell'area mesopotamica, come quello della città bassa di Ur dell'età di Isin e di Larsa in area babilonese e quello più tardo di Nuzi III in area assira. È interessante che lo stesso modello si trovi attivo ancora in età neoassira nei grandi centri urbani dell'impero, sia ad Assur sia a Nimrud, come elemento di persistenza derivante dal metodo tradizionale di composizione delle preesistenze architettoniche anche non monumentali. È molto probabile, invece, che fosse del tutto assente nelle nuove grandi fondazioni urbane neoassire, come Dur-Sharrukin alla fine dell'VIII sec. a.C., e nelle estensioni del tessuto residenziale di grandi centri storici, come la Ninive del VII sec. a.C., così come certamente nella Babilonia ricostruita del VII e VI sec. a.C. Pur con diverse peculiarità, anche in Anatolia il modello agglutinante è documentato dal Bronzo Antico ad Alaca Höyük fino ai quartieri paleohittiti di Boğazköy- Khattusha, mentre in area siriana esso resta dominante in un centro fortemente conservativo come Hama dall'età di Ubaid fino al Bronzo Tardo e tende forse a regredire durante il II millennio a.C. ad Alalakh, così come già nei primi secoli dello stesso millennio a Ebla. Il secondo tipo di abitazioni con la corte preposta e, nello schema più semplice, con i vani disposti solo lungo il lato della corte opposta all'entrata o, negli sviluppi secondari, anche su due o tre lati, si trova ben attestato con numerose varianti in Anatolia agli inizi del II millennio a.C. nello stanziamento dei mercanti paleoassiri a Kültepe- Kanish II-IB. Elaborazioni di questa stessa tipologia sono documentate poco più tardi in alta Siria a Ebla e ad Alalakh e quindi in Anatolia a Boğazköy, mentre ancora in Siria e nella valle del medio Eufrate, da Emar a Tell Fray a Tell Hadidi, essa sembra dominante fino alla fine del Bronzo Tardo, mostrando persistenze nella stessa regione nel Ferro II, da Zincirli a Tell Halaf. Il terzo tipo, che ha una notevole documentazione soprattutto a Tepe Gawra XIX-XVIII in area assira, nelle fasi centrali e tarde della cultura di Ubaid, nelle forme più caotiche di giustapposizione dei vani minori alla grande sala mediana, è attestato anche dalla fine del Calcolitico all'età di Uruk, in rielaborazioni di sempre maggiore razionalizzazione e regolarizzazione, in centri importanti per lo sviluppo dell'urbanizzazione come Eridu e Uruk e nella regione della Diyala a Eshnunna ancora nel Protodinastico. È poi ancora in area assira che si hanno in piena età storica attestazioni notevoli del tipo anche in contesti urbani di forte articolazione, come è il caso di Nuzi II-III, ma soprattutto di Assur in periodo medioassiro. È ad Assur che elaborazioni particolarmente monumentali del tipo si trovano già in periodo assai antico, forse risalente all'età accadica, come è possibile che sia il caso della Casa sotto il Tempio di Sin e di Shamash, da taluni interpretata come una dimora del quarto tipo a corte centrale. Tuttavia, benché questa importante residenza di Assur sia molto probabilmente da interpretare come del terzo tipo e sia forse all'origine della persistenza del tipo stesso anche assai più tardi, è certo possibile che in questo, come in altri casi, vi siano state in ambienti mesopotamici già alla fine del III millennio a.C. una fusione e un'influenza notevole dell'abitazione a corte centrale scoperta sul tipo a vano maggiore coperto allungato centrale. Il quarto tipo a corte centrale sembra essere la tipologia residenziale urbana più caratteristica del mondo mesopotamico, che si presta sia ad una forte regolarità di concezione, sia ad un'organica progettazione, sia ad elaborazioni accentuatamente monumentali. Esso ha certo origine nel periodo di Ubaid finale, quando è attestato già a Redaw Sharqi presso Uruk e poi segna in maniera costante gli sviluppi piuttosto pianificati dell'urbanizzazione nei centri mesopotamici, soprattutto meridionali, del Protodinastico. Il tipo così si trova nei contesti insediamentali più regolari e più razionalmente sviluppatisi dei maggiori centri protodinastici, da Shuruppak a Khafagia, da Nippur a Ur. È in particolare nella Ur del periodo paleobabilonese che il tipo si definisce sempre più spiccatamente come un modello a struttura quasi modulare e come uno schema centrico a struttura regolare, semplice ed efficace sia nel dare una particolare omogeneità abitativa ad interi quartieri della città, sia nel raggiungere una standardizzazione evidentemente assai efficiente da un punto di vista funzionale. Lo schema paleobabilonese prevede, come elementi planimetrici stabili, la presenza della corte centrale e una sola linea di vani tutt'attorno, con il focolare nella corte stessa, l'ingresso normalmente su un vestibolo collocato generalmente su un vano d'angolo, un vano con scala su uno dei lati per l'accesso al secondo piano e ambienti irregolarmente alternati, brevi tendenzialmente quadrati e lunghi rettangolari, con funzioni varie, di riposo, di ricevimento, di immagazzinamento, anche se è da prevedere che gli ambienti realmente residenziali fossero in prevalenza al piano superiore. Il tipo si è prestato a rielaborazioni molto complesse nei periodi tardi della civiltà mesopotamica ed è servito di base per la progettazione delle grandi residenze delle classi agiate dell'Assiria e della Babilonia dell'età imperiale, per cui si hanno soprattutto ad Assur e a Babilonia formulazioni dilatate dello schema basilare, con moltiplicazioni delle serie di vani attorno alla corte centrale, creazione di una grande sala da ricevimento su uno dei lati della corte stessa, usualmente affiancata da altri vani minori sul retro, e differenziazione funzionale delle varie parti della dimora, che deve anche aver ospitato importanti attività economiche, con settori amministrativi e di immagazzinamento originariamente sconosciuti alla definizione funzionale. Nelle particolari dilatazioni e riformulazioni di questo tipo nell'età imperiale assira, un tipo che ha rilevanza solo per l'altissimo livello sociale in cui si è attestato è quello per cui lo schema utilizza la corte come elemento comune di organismi complessi e articolati, con diverse serie di ambienti su ogni lato e con la definizione di diverse unità domestiche, fino ovviamente a quattro, che convergono tutte verso la corte comune. Questo schema particolare si trova nella famosa Casa Rossa di Assur e soprattutto nelle residenze della cittadella di Dur-Sharrukin, dove il tipo viene adeguato alle esigenze di un'architettura abitativa connotata da elementi fortemente celebrativi e monumentali non solo nella dimora principesca del sovrano, ma anche nelle splendide case dei suoi più alti dignitari che circondano nella zona frontale il grande palazzo reale. È a Dur-Sharrukin che le residenze vengono elaborate in maniera che lo schema di base non solo viene dilatato, ma viene più volte ripetuto nell'ambito della stessa residenza, che di fatto risulta composta da parecchie unità abitative nel quadro di una società ormai opulenta ai livelli delle massime responsabilità di governo, cui sono da connettere le dimore della cittadella della grande nuova capitale di Sargon II.
In generale:
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di Rita Dolce
L'architettura monumentale compare in Mesopotamia già in età preistorica con prevalente, anche se non definitivamente accertato, carattere religioso e comunque destinata anche a funzioni pubbliche diverse da quelle cultuali e strettamente cerimoniali. Le testimonianze più significative in tal senso provengono dal sito settentrionale di Tepe Gawra, dove al V millennio a.C. risale il grandioso complesso di tre edifici prospicienti un ampio spazio aperto (livello XIII), secondo un progetto edilizio organico, che costituisce fino ad oggi il più antico esempio di piazza per attività collettive legate alla vita economica e sociale del centro. Ancora nella Mesopotamia settentrionale va almeno ricordata a Ninive la presenza intorno alla metà del IV millennio a.C., nell'area sacra della dea cittadina Ishtar, di un imponente edificio a pianta rettangolare provvisto di coperture a volta, molto verosimilmente destinato allo stoccaggio delle derrate alimentari. Sono da menzionare anche, a Tell Oueili nella Mesopotamia meridionale, i resti di un complesso costituito da un corpo maggiore quadrangolare e da una serie di vani monocellulari, di cui uno di particolare ampiezza e dotato di ingresso sul lato lungo, forse precursore delle strutture cosiddette "polifunzionali", frequenti dalla fine del IV millennio a.C. nell'area in questione, così come gli edifici sicuramente secolari sottostanti al grande tempio dipinto di Tell Uqair. La recente scoperta di mura urbiche tardocalcolitiche e di resti di insediamento ancora anteriori, nella Siria settentrionale, a Tell Afis (forse l'antica Khatarrika di età assira) conferma, nell'imponenza e nella tecnica di costruzione mista, l'alto livello dell'edilizia pubblica nel corso del IV millennio a.C. e la sua diffusione e persistenza per un ampio raggio areale, dalla Siria interna alla costa, dove Biblo, Sidone e Ras Shamra (Ugarit) ne attestano l'impiego. Se l'architettura pubblica in generale rispecchia fin da queste fasi formative del processo di urbanizzazione il sistema politico-economico e la struttura del potere che vi presiede, il palazzo, inteso come organismo portante della società accanto al polo del culto, costituisce la sintesi, spaziale ed ideale, e il punto più avanzato della costituzione dell'apparato statale, piuttosto che riduttivamente la residenza del re. Il palazzo è infatti la sede di molteplici e differenziate attività, da quelle amministrative e burocratiche a quelle ufficiali e cerimoniali, fino alle occupazioni artigianali e industriali mirate al mantenimento del livello di vita della comunità palatina e al profitto economico dell'élite al potere. Ma la concezione del potere, nonché l'assunzione e l'esercizio di quest'ultimo, sono naturalmente collegate nella cultura vicino-orientale alla sfera di valori e di funzioni che competono alla regalità come investitura divina e che si estrinsecano essenzialmente nell'immagine e nel ruolo del sovrano quale dispensatore benefico per i sudditi di pace, di benessere, di cibo e di protezione celeste. In questa prospettiva l'architettura pubblica secolare risulta una delle due facce del potere, parallelamente all'intensa attività di costruzioni templari e di culto in genere, che connota i regni dei maggiori sovrani e che conferisce loro prestigio e meriti agli occhi degli dei, come recitano le iscrizioni votive, i fasti e gli annali pervenutici. L'arco cronologico di più di tre millenni e l'ampiezza della documentazione, nonché la sua varietà tipologica e funzionale, esigono in questa sede una selezione essenziale ed esemplificativa delle fabbriche edili che fissi gli elementi peculiari all'interno delle categorie maggiori e i caratteri innovativi nel corso del loro sviluppo.
L'edilizia del potere e le strutture di gestione e di controllo - Dalle premesse avviate a partire già dall'età calcolitica in Mesopotamia e in Siria, si sviluppa una costante attività di fabbriche monumentali a carattere secolare nei centri maggiori della cultura sumerica protostorica e protodinastica (seconda metà del IV millennio a.C. - terzo quarto del III millennio a.C.) della Mesopotamia e nei centri sia di cultura o di influenza sumerica della Siria e dell'Anatolia, sia di impianto e fioritura locale. Le prime gerarchie sociali complesse e la piena urbanizzazione riconosciute per la prima volta ad Uruk, nel Paese di Sumer, in età protostorica (3500-2900 a.C.) contemplano edifici non adibiti al culto, spesso situati all'interno dell'area sacra maggiore, l'Eanna, come il Palazzo E, costituito da un ampio cortile quadrato su cui insistono quattro sale identiche fra loro. La fabbrica non presenta alcun carattere sacrale e, per le dimensioni e la disposizione nell'Eanna, può considerarsi uno spazio pubblico per l'accoglienza di grandi masse in occasione di eventi militari o cerimoniali. Di probabile carattere amministrativo per attività economiche connesse al Tempio D, ma non al culto, risulta l'Edificio B, unica altra fabbrica presente nella vasta area del livello IVa. La natura non cultuale di alcune fabbriche di Uruk protostorica indica la complessa articolazione della struttura di potere, la quale risulta essenzialmente gestita dall'apparato del clero in funzione del controllo amministrativo ed economico della città, ma non testimonia dell'esistenza di un vero e proprio palazzo, l'é-gal sumerico (Casa Grande) e, più incisivamente, l'ekallu accadico, la Casa Maggiore o Principale, che assomma al suo interno, oltre alle attività sopracitate che in parte corrispondono a quelle espletate già nella Uruk arcaica, gli spazi e le funzioni propri della regalità, quali le residenze della famiglia reale e della servitù stabile, l'harem, le cucine e le riserve alimentari, i magazzini per i beni deperibili e per quelli preziosi, nonché le sale di ricevimento per l'amministrazione della giustizia e per i rapporti diplomatici. Questo organismo, comunemente definito "polifunzionale", segnerà invece profondamente le culture urbane dal secondo quarto del III millennio a.C. in poi. Ad Eridu, sede del dio Enki, sorgono ancora i resti di due edifici di spicco non templari, situati accanto ai luoghi di culto; uno è la Casa H, a grande corte rettangolare e un grosso forno per la preparazione del bitume, che richiama la più recente Casa D di Khafagia e può essere parte di un complesso per gli scribi; l'altro è l'Edificio a Portico, una sorta di centro di raccolta per la tesaurizzazione dei beni non deperibili. Quartieri e alloggi per la classe dirigente, organici alla conduzione e al controllo politico-economico da parte del clero, sono anche attestati nelle cosiddette "colonie protosumere" tra la fine del IV e gli inizi del III millennio a.C., a Gebel Aruda, che indicano il diretto intervento della cultura protostorica del Paese di Sumer nella formazione stessa dei centri sul medio Eufrate e nel loro sistema organizzativo nel corso dell'espansione di Uruk. La presenza di strutture fortemente centralizzate caratterizza anche i centri maggiori di formazione protostatale nell'area anatolica, come Arslantepe (Malatya) dove, verso la fine del IV millennio a.C., si impianta un imponente complesso unitario costituito da un palazzo con funzioni gestionali ed amministrative, da una serie di magazzini connessi e da due templi. Edifici cerimoniali, non definibili propriamente di culto, compaiono inoltre anche in Siria, a Tell Hammam (livello VB); essi rispondono a quel processo di uniformità culturale locale verso la piena urbanizzazione che tocca gran parte dell'area del Vicino Oriente nell'arco del IV millennio a.C., dall'Anatolia meridionale alla regione costiera.
L'edilizia pubblica e le strutture dell'economia primaria - È ancora nella città di Uruk che ricorrono fabbriche imponenti e con lunga durata di impiego, per fini distinti sia da quelli amministrativi sia da quelli cerimoniali, seppure ipoteticamente connessi alla complessa conduzione dell'economia templare. A tale categoria appartengono di certo alcuni edifici: lo Stampflehmgebäude, sorto all'età di Uruk o, secondo una recente ipotesi, piuttosto alla fine dell'età protodinastica, articolato su tre cortili e su di una serie di gallerie periferiche, adibito all'accumulo e al successivo smistamento di beni di varia natura affluiti nel patrimonio della dea Inanna e probabilmente parte del circuito economico gestito dal clero dell'Eanna; il Riemchengebäude, a camera centrale rettangolare circoscritta da uno spesso muro preceduto da un secondo vano maggiore, ancora colmo di materiali di vario tipo al momento della scoperta; infine lo Steingebäude sulla collina di Kullaba, in posizione interrata, a tre serie concentriche di mura, stipato di materiali eterogenei, dalla ceramica alle armi. Al periodo di Uruk arcaico risale il particolare edificio a pianta circolare del livello XIa di Tepe Gawra, la Casa Rotonda, in posizione dominante rispetto all'insediamento. Le evidenze archeologiche indicano almeno due usi prioritari dell'edificio: di difesa della comunità in caso di emergenze e di riserva alimentare, come dimostrano i numerosi resti di granaglie all'interno e la disposizione del lungo vano centrale, fornito di un arredo fisso per la redistribuzione dei beni primari di consumo. Elementi di corrispondenza ricorrono nel più recente complesso circolare di Gubba, nello Hamrin, della fase di Uruk tardo, ove anche la funzione di granaio risulta prevalente, e a Grai Resh. La concentrazione di derrate alimentari in spazi deputati esclusivamente a tale scopo è invece attestata in Siria, a Tell Qannas, secondo il modello funzionale impiantato dai Sumeri di Uruk fuori dalla madrepatria. Fabbriche consistenti, sempre a pianta circolare e di straordinaria integrità conservativa, sono infine attestate a Tell Raqai, che si qualifica come un centro principale per la riserva, la lavorazione e la produzione alimentare, e a Telul eth-Thalatat, dove il grande granaio a dieci vani paralleli sta su uno zoccolo rialzato dal terreno per l'isolamento dall'umidità, in previsione di stoccaggio a lungo termine.
L'architettura del potere e della sua gestione - Sebbene ancora controversa nella funzione specifica, la natura secolare del complesso edilizio di Gemdet Nasr risulta sicura e attesta nella Mesopotamia settentrionale la presenza di edifici pubblici relativi all'esercizio del potere datati agli inizi del III millennio a.C. I resti architettonici si riferiscono a una piattaforma su cui si erge parte di un'ampia corte circondata su tre lati da una serie di vani, secondo un modulo planimetrico che sarà costante in seguito, e ad una rampa che conduce a un ingresso monumentale contraffortato. L'articolazione in più unità e la diversificazione di funzioni contraddistinguono l'edilizia propriamente palatina, che appare già nella fase protodinastica II (2700-2600 a.C. ca.) a Kish, nella Mesopotamia settentrionale, dove almeno due palazzi testimoniano il consolidato ruolo secolare nella gestione del potere: si tratta del Palazzo P, forse il più antico dei due, e del Palazzo A, concepito in due blocchi a pianta rettangolare, di poco sfalsati nel tempo, raccordati da uno stretto passaggio e accessibili da una sorta di propileo culminante in una monumentale porta a doppio recesso. L'uno, maggiore, a nord, era adibito a residenze private e alle attività connesse; l'altro, di dimensioni minori, conserva un portico sulla fronte orientale e, sul lato opposto, due ampi vani a sviluppo latitudinale comunicanti, di cui il maggiore provvisto in origine di colonne o di pilastri lungo l'asse mediano, che rappresentano il fulcro delle sale di rappresentanza in questo quartiere ufficiale in rapporto ad attività connesse alla funzione regale. Il dispositivo dei due vani principali e le decorazioni parietali a tema narrativo di un terzo vano attiguo al portico preludono ad alcuni caratteri salienti dell'architettura e dell'apparato decorativo dei complessi palatini di grandi regni dinastici, dai Cassiti agli Assiri. Il ruolo di Kish nella tradizione mitico-letteraria e nella storia politica del III millennio a.C. può certo avere condotto alla definitiva distinzione dei poteri, secolare e religioso, nella gestione del regno anche sul piano architettonico. Infatti, a partire dalla metà circa del III millennio a.C., nella fase protodinastica III, la documentazione archeologica ha restituito un cospicuo numero di complessi palatini, soprattutto nell'area mesopotamica e siriana: da Eridu (Tell Abu Shahrein) a Wilaya, a Mari (Tell Hariri), ad Eshnunna (Tell Asmar), ad Ebla (Tell Mardikh) a Nagar (Tell Brak), per citarne solo alcuni. Proprio a Eridu si stagliano i resti monumentali di un edificio a pianta rettangolare duplicata, realizzato secondo il criterio di varie unità raggruppate intorno a corti maggiori e definito da una doppia cinta di mura contraffortate. La prima grande fioritura di Mari nella fase protodinastica II-III è straordinariamente attestata da una serie di edifici palatini eretti in successione nella stessa area, i Palais Présargoniques (almeno quattro), sottostanti all'impianto della grande corte del palazzo di Zimri-Lim del II millennio a.C. e provvisti nel nucleo originario di una sorta di cappella palatina per le cerimonie di culto, l'enceinte sacrée. Proprio sul più recente complesso palatino si sviluppa infine la fabbrica monumentale dell'età di Sargon di Accad e della sua dinastia, nell'ultimo quarto del III millennio a.C., dopo la distruzione e il controllo del regno mariota, di cui sono stati recuperati ampi settori ufficiali e gran parte di una sala a pilastri, di concezione innovativa, forse la sala del trono. A Tell Biya (Tuttul), luogo strategico alla confluenza dell'Eufrate con il suo affluente Balikh, si ergeva un palazzo sopra i resti di un edificio analogo precedente, a corte centrale e vani lungo i lati, con ampie tracce della pilastratura lignea che doveva sostenere il soffitto, purtroppo largamente devastato da un violento incendio e riedificato all'età di Accad poco più a nord; sulle rovine esigue di quest'ultimo si eleverà il palazzo del II millennio a.C. Dal centro nord-siriano di Tell Chuera solo un edificio (lo Steinbau V), riccamente decorato lungo le pareti della corte interna e provvisto di scalinate monumentali che conducono agli ingressi, è qualificabile come cerimoniale-secolare. Documentazione esemplare e di straordinaria ricchezza è attestata a Tell Mardikh (Ebla) per l'età protosiriana matura, quando venne edificato un imponente complesso palaziale, recuperato per una estensione di 2600 m² circa e noto nella sua ultima fase d'uso e di attività edilizia prima dell'avvento di Accad, ma con evidenze archeologiche più remote. Si tratta del Palazzo G, composto da vari corpi di fabbrica impostati sull'asse nord-sud delle pendici dell'acropoli e adibiti a differenti funzioni: dalle residenze della famiglia reale, alle cucine, ai luoghi per la conservazione e la manipolazione delle derrate, fino alla sede dell'esercizio del potere e della regalità, di certo rappresentata dalla grande corte porticata con il podio per il trono e allestita, almeno per l'ultima parte del regno, con l'archivio di Stato per le attività politico-diplomatiche, commerciali e cerimoniali. L'accentramento e l'articolazione di molteplici funzioni lo connotano come polo primario nel tipo di città palatina cui risponde peculiarmente Ebla, per il carattere laico della sua gestione, sebbene non esaustivo delle esigenze di un'organizzazione complessa, come il resto dell'edilizia pubblica conservata sta ad indicare. All'estremità settentrionale della Siria, nella piana del Khabur, dove si addensano grossi centri regionali in continua rivalità, spiccano Tell Leilan (Shekhna nel III millennio a.C.), con resti di un grande edificio sull'acropoli e di magazzini centralizzati, e Tell Mozan (Urkesh), capitale di un forte regno di cultura khurrita, sede di un ampio edificio palatino. La rilevanza della scoperta, che apre nuove prospettive storiche e culturali nel quadro delle potenze maggiori tra Siria e Mesopotamia settentrionale, da Mari a Tell Brak ad Ebla, potrà essere corroborata dall'identificazione dell'archivio e del quartiere degli scribi. All'estremità occidentale del cosiddetto "triangolo del Khabur" a Tell Beidar, scavi recenti hanno restituito già strutture edilizie di un importante centro urbano, tutte finora di tipo secolare, tra cui va menzionata ai piedi dell'acropoli la sede palatina con un cospicuo lotto di tavolette iscritte, forse di poco anteriori alla documentazione eblaita, che può rappresentare un'unità di un più ampio complesso amministrativo o un ufficio scribale ove avvenivano alcuni tipi di registrazioni. Il grosso centro di Tell Brak sopracitato restituisce monumenti architettonici imponenti a partire dall'età di Accad, di cui il più noto è il palazzo-fortezza edificato da Naram-Sin, che può considerarsi come un avamposto militare e commerciale nonché come sede amministrativa regionale in posizione strategica per il controllo da parte dei sovrani accadici delle vie di comunicazione tra Anatolia e Mesopotamia. L'edilizia regale realizzata dai sovrani della III Dinastia di Ur, sebbene largamente sconosciuta a dispetto della documentazione enorme di testi coevi, esprime già nella scelta topografica nella capitale Ur, all'interno o nella zona contigua al temenos (secondo una recente ipotesi), e nella planimetria parzialmente restituita, conforme all'edificio maggiore del Giparu, di natura non esclusivamente cultuale, la caratterizzazione religiosa del regno in quest'ultimo secolo del III millennio a.C. in Mesopotamia. L'Ekhursag, fondato da Ur-Nammu e completato da Shulgi, presenta infatti pianta quadrangolare e struttura compatta, come l'edilizia di Tell Brak e quella del palazzo di Assur (quest'ultimo ancora dubitativamente attribuito all'età di Accad). I dati epigrafici provenienti dalla documentazione rinvenuta al suo interno documentano l'uso persistente del palazzo fino ai primi secoli del II millennio a.C., durante la supremazia delle dinastie di Isin e Larsa. L'immagine ufficiale di forte religiosità che impronta la dinastia di Ur III si afferma anche fuori della capitale del regno, nell'edilizia ufficiale, come accade nella sede provinciale di Tell Asmar (Eshnunna), dove sorge un palazzo dei governatori locali verso la fine della dinastia regnante, articolato su tre settori principali, direttamente collegato ad un tempio per il re Shu-Sin divinizzato. L'edilizia pubblica di rango regale compare nuovamente ad Ebla, che subisce solo una breve pausa dopo la distruzione della città protosiriana matura, come provano i più recenti risultati dell'indagine archeologica: nella città bassa settentrionale si eleva il Palazzo Arcaico, fondato nell'ultimo quarto del III millennio a.C. (BA VB) e in uso con pari funzione fino al pieno II millennio a.C. (BM I), quando Ebla torna ad occupare un ruolo di grande prestigio nello scacchiere vicino- orientale. La forma maestosa del Palazzo Arcaico si deduce dall'originaria facciata settentrionale scandita da tre grosse torri e dai resti di ampi vani, fino alla sala maggiore allestita con podio e banchetta sul lato settentrionale. L'area palestinese conobbe già una cospicua crescita di insediamenti nel processo di formazione protourbana, di cui esemplificativo per il livello di organizzazione centralizzata secolare risulta l'Edificio 1702 di Tell el-Areini (Tel Erani), nel centro maggiore della Palestina alla fine del IV millennio a.C. L'ulteriore processo di urbanizzazione produsse un diffuso e omogeneo livello culturale e di organizzazione sociale, da Gerico a Megiddo, da Arad a Bet Shan. La più antica attestazione di edificio secolare può comunque ritenersi quella di Arad, dove è attestata la stessa tipologia di unità abitativa per le numerose fabbriche che stanno all'interno di uno spazio circoscritto da un unico muro perimetrale ad andamento irregolare e prospiciente la strada pubblica, a vani rettangolari con accessi sul lato lungo, spesso con coperture sostenute da una colonna posta al centro, con basamento in pietra. Ma l'elaborazione compiuta del complesso palatino polifunzionale secondo la concezione propriamente locale si presenta a Tel Yarmuth, dove all'interno di un muro di cinta contraffortato nella faccia interna e spesso circa 2 m si apre un vasto spazio edificato solo per una parte esigua, costituito da una fabbrica maggiore aggettante con ingresso in asse sulla fronte meridionale del complesso e settori laterali, di cui quello a nord-est ripropone le pilastrature di sostegno del tetto e ospita numerose giare per la conservazione di derrate. Le evidenze archeologiche indicano certe per questo complesso le attività artigianali in senso lato e di manipolazione dei beni commestibili in particolare. Nel panorama delle città-stato palestinesi, Megiddo (Tell el-Mutesellim), in posizione strategica lungo le direttrici verso il Monte Carmelo, era sede sull'acropoli di un monumentale edificio palatino, di cui resta parte del quartiere meridionale e del muro di cinta; vi si riconosce il peculiare impianto bipartito, su due corti maggiori, che vincola in questa fase (BA III, seconda metà del III millennio a.C.) la fabbrica ad un organico progetto planimetrico. L'ubicazione sull'acropoli e la datazione allo stesso periodo sono certe anche per il palazzo ad Ai, costruito dove prima sorgeva il tempio maggiore del sito, ad indicare la connotazione secolare dell'apparato statale. Ad Abu Salabikh, prestigioso centro di cultura e formazione scribale, i testi economici e amministrativi provenienti dall'Edificio H indicano la presenza di strutture pubbliche, spesso residenze degli stessi scribi, per gli archivi di stato, non unificati in uno spazio architettonico, analogamente a quanto si rileva a Fara (Shuruppak), nella Mesopotamia centrale, nella fase di poco anteriore. Quest'ultimo centro, che marca un decisivo momento nello sviluppo della scrittura cuneiforme, ha restituito una serie di edifici-case occupati da grossi lotti di tavolette, tra i quali la Tablet House risulta l'archivio maggiore. L'archivio di Stato di Ebla, all'interno del Palazzo Reale G, ha restituito la documentazione ufficiale della vita del regno, almeno per la sua ultima fase, proveniente dall'Archivio Centrale, quartiere esclusivamente adibito alla registrazione e all'archiviazione dei documenti, che risulta il maggiore per entità con più di 6500 tra tavolette intere e frammenti, e dal Quartiere Amministrativo, oltre che da altri settori del complesso palatino.
L'edilizia pubblica e le strutture dell'economia primaria - L'approvvigionamento a lungo termine e l'immagazzinamento dei beni commestibili in strutture centralizzate costituiscono esigenze primarie della comunità organizzata che, nel corso del III millennio a.C., dalla Palestina alla Siria alla Mesopotamia, predispone edifici adibiti a questo scopo, come a Tell Leilan, che diventano complessi autonomi per le riserve centralizzate già ad Ebla, nel quartiere principale dell'Edificio P Sud. La polifunzionalità del palazzo risulta dunque efficace ma non esaustiva per l'accumulo e la redistribuzione delle risorse, che necessitano di una fitta rete di strutture sul territorio adibite alla parziale stazione e alla manipolazione delle derrate. Strutture pubbliche per le riserve e per la lavorazione degli alimenti topograficamente indipendenti dagli edifici a carattere pubblico impiantati su aree contigue sono stati rinvenuti ad Abu Salabikh, con forni di varie tipologie e funzioni differenti. Con i sovrani di Accad l'ubicazione topografica autonoma degli edifici pubblici diversi dalla sede palatina risulta evidente: nel centro di Tell Asmar (Eshnunna), ad esempio, campeggia l'Unfinished Building (deputato molto probabilmente a blocco per riserve e stoccaggi) e, all'estremità settentrionale, il Palazzo Nord, a pianta ad L, in un tessuto di case private, che accoglie dal tardo Protodinastico III all'età accadica attività artigianali differenziate. A Ur, all'epoca della I Dinastia, si riconoscono all'interno del temenos due edifici non di culto, ubicati lungo i lati nord-ovest e sud-est del recinto, che risultano consoni sia all'uso come magazzini per derrate e altri beni, sia come luoghi deputati alla trasformazione e alla cottura degli alimenti. Nel successivo e sostanzialmente definitivo assetto dell'edilizia nel temenos, all'età della III Dinastia, spicca invece un possente edificio quadrangolare, molto verosimilmente la sede centrale delle riserve di vario tipo incamerate nel quartiere maggiore di edilizia pubblica della città, che ormai ospitava anche il palazzo e le tombe regali. L'importanza e il prestigio della fabbrica sono provati dalla persistenza d'uso fino all'età di Nabucodonosor II (VI sec. a.C.) e dal nome stesso di Casa del Tesoro (E-nun-makh), che ben si addice a un luogo destinato ad accogliere beni di particolare pregio e varietà.
L'architettura del potere e della sua gestione - Tra la fine dell'egemonia di Accad e l'età di Ur III il regno che conosce ancora una duratura stabilità è quello di Mari, dove sotto il governo degli šakkanakku si impianta il primo nucleo del celebre palazzo di età amorrea, più noto come palazzo di Zimri-Lim dalla sua ultima fase d'uso nel pieno II millennio a.C., conservato in condizioni di straordinaria integrità. L'imponenza inusuale della fabbrica palatina, con 300 vani tra sale e corti, deve avere comportato, fin dalla sua prima fondazione, un impiego di forza lavoro di grande entità per una considerevole durata, che motiva probabilmente l'edificazione anche di un secondo edificio più modesto, il Palais Oriental, nell'area est della città, impiegato temporaneamente come palazzo reale, di cui sono stati messi in luce la sala del trono e un settore residenziale, successivamente adibito a necropoli dinastica. Al palazzo degli Shakkannakku appartengono gli affreschi parietali della Sala 132, già da tempo datati all'età di Ur- Nammu di Ur, mentre gli altri cicli pittorici nella Corte 106 o Corte della Palma si riferiscono al regno di Iasmakh-Addu e di Zimri-Lim (1780-1758 a.C.). L'ingresso principale, situato sulla fronte nord, dà accesso alla corte maggiore; la sede ufficiale e amministrativa del palazzo si trova a questo piano, a nord-est, mentre a nord-ovest si apre il percorso verso la sala del trono, preceduta dalla Corte della Palma con la raffigurazione dell'investitura di Zimri-Lim alla presenza di Ishtar, dea-signora del palazzo, che appariva nella stessa corte anche in una statua-fontana, forse superstite di una coppia, con l'ampolla della vita nelle mani, da cui sgorgava acqua zampillante. A sud-ovest era l'area di culto, inglobata nel palazzo come all'età protodinastica. L'attività di registrazione, contabilità e documentazione economico-amministrativa si svolgeva, come ad Ebla, nel palazzo. Il dispositivo della Corte della Palma e delle due sale di ricevimento (64, 65) prefigura infine lo schema classico dei settori di rappresentanza dei palazzi assiri, da quello di Assur a quelli di Nimrud e Khorsabad. L'affermazione degli Amorrei in Mesopotamia portò agli inizi del II millennio a.C. alla formazione di Stati-guida come quelli di Isin e Larsa, che prendono i loro nomi dalle rispettive capitali. A Larsa (Tell Senkereh), nell'area a nord dell'E-babbar, Nur-Adad intorno alla metà del XIX sec. a.C. fece costruire un palazzo reale rimasto incompiuto e mai abitato. Nella stessa zona meridionale della Mesopotamia, a Uruk, in età paleobabilonese Sin-Kashid realizzò fuori dall'Eanna un palazzo reale a pianta trapezoidale, fornito di un secondo piano per uso abitativo e amministrativo. Nella Mesopotamia settentrionale andrà almeno menzionato il palazzo di Assur (od. Qalat Sherqat): l'edificio iniziato forse da Shamshi-Adad I (1812-1782 a.C.) non fu mai completato. Esso riveste ruoli residenziali, amministrativi e di rappresentanza su un piano ultraregionale ed è costituito da almeno due settori principali: l'uno, attorno alla corte maggiore, a vocazione residenziale; l'altro, attorno alla corte minore, per le attività amministrative private. Nell'ordine dell'edilizia pubblica maggiore si situano ad Eshnunna, prima della sottomissione a Hammurabi di Babilonia, dubitativamente con Ibiqadad II, due corpi di fabbrica che inglobano ed estendono l'area del palazzo già costruito da Ituria e successivamente reimpiegato nelle ristrutturazioni di altre cinque fasi di occupazione. Del Southern Building sono state recuperate solo le fondazioni e l'ubicazione della porta principale, ma studi ulteriori lo classificano tra le fabbriche regali del tempo. A Tell Leilan, nell'età paleosiriana antica si avvia una nuova fase, la principale finora, di vita politica e culturale, con l'investitura della città a capitale provinciale del regno assiro sotto Shamshi- Adad I col nome di Shubat-Enlil. Vi sorgono due complessi nella città bassa: il Palazzo Est, con impronte di sigilli al nome del sovrano amorreo, e la sala principale rivestita di mattoni e provvista di un podio posto sulla parete di fronte all'ingresso. Di qualche decennio anteriore è invece il palazzo del grande centro nord-siriano di Tell Biya (Tuttul sul Balikh), con impianto planimetrico simile, seppure più ridotto, a quello del palazzo di Mari, reimpiegato dall'età del sovrano amorreo come laboratorio per cotture a temperature diversificate. Più a sud, sulla riva destra dell'Eufrate, Tell Ashara (Terqa), ridotta sotto il dominio di Mari agli inizi del II millennio a.C., torna due secoli più tardi all'indipendenza come capitale del regno di Khana con una serie di edifici secolari di funzione pubblica, alcuni di certo sede di archivi, nella fase complessiva di forte potenziamento dell'urbanizzazione, tra il pieno BM I e gli inizi del BM II. È proprio all'età paleosiriana arcaica e matura (BM I-II) che si riferisce una notevolissima documentazione di edilizia palatina in centri- guida nella formazione della tradizione architettonica della Siria: a Tell Atchana (Alalakh), sede di una dinastia locale, il palazzo del livello VII, ancorché incompleto nella sua esposizione, doveva estendersi per 100 m circa con due ali principali giustapposte, raccordate tra loro da una corte contraffortata lungo la parete breve ovest. Nell'ala a nord-ovest la zona ufficiale-cerimoniale si distingue per un peculiare dispositivo planimetrico costituito dalla sala di ricevimento, un portico a pilastri sulla fronte tra due vani, e da un terzo vano di fondo, che chiude l'impianto architettonico, preludio del bīt ḫilāni classico della Siria nel I millennio a.C. Il secondo floruit di Ebla all'età paleosiriana arcaica e matura ha rivelato una serie di notevoli edifici palatini, tutti con caratteri e funzioni differenziate: nella città bassa, nell'area per il culto maggiore di Ishtar, sta il Palazzo Nord (BM II), orientato verso la porta di sud-ovest, con l'ingresso sulla fronte occidentale. La qualità di residenza palaziale ufficiale-cerimoniale è indicata soprattutto dalla grande sala, da cui provengono resti di intarsi in avorio con la figura del re, allestita con una serie di arredi cerimoniali. Questa sala di ricevimento ufficiale è anche collegata a due lunghi vani che recano in situ 30 grosse giare da provviste per il consumo interno dell'élite e degli ospiti. Il Palazzo Nord costituisce la costruzione più recente di una fabbrica assai più ampia, che giace nei livelli inferiori, il Palazzo Intermedio, costruito verso la fine del BM I, che collega la sequenza d'occupazione di questa area e la sua univoca destinazione d'uso al Palazzo Arcaico. Ancora nella città bassa è situato il Palazzo Occidentale fondato nel corso del BM I, come il Palazzo Reale E sull'acropoli. Nel primo caso si tratta a tutt'oggi del complesso più ampio del sito, con un'estensione di 7500 m². La destinazione d'uso del palazzo come residenza ufficiale del principe ereditario, proposta sulla base della glittica reale rinvenuta al suo interno, assume un ruolo centrale nel rapporto tra la regalità e il mondo ctonio degli antenati illustri, per la sua ubicazione tra i templi B di Rashap (dio degli inferi e della guerra), B2 (forse per il culto dei re defunti) e la necropoli reale, situata estesamente al di sotto dello stesso complesso palatino. Il Palazzo Reale in senso stretto, come residenza dei dinasti eblaiti, è invece ubicato sul versante nord dell'acropoli ed è stato esposto solo parzialmente. Non è escluso che in questo settore risieda una parte cospicua dell'archivio eblaita dell'età paleosiriana, per la presenza di frammenti di tavolette paleosiriane lungo il pendio corrispondente dell'acropoli. Alla fine del BM II risale il palazzo più antico della città di Ras Shamra (Ugarit) sulla costa siriana, il Palazzo Nord, con la porta monumentale sul lato est, esposto interamente nel perimetro delle mura, nei suoi 29 vani con 2 corti interne e nel portico colonnato, collegato ad una di queste. Già in questa fabbrica provvista di un piano superiore per lo spicco della scala nella corte interna, alcuni vani erano esclusivamente adibiti alla cancelleria regale, con testi di carattere amministrativo. Ruolo politico e culturale di primo piano è esercitato fin dal BM I-II da Tell Mishrife (Qatna) nella Siria centrale, sede di un palazzo nei secoli XV-XIV a.C. con una grande corte delle udienze antistante gli appartamenti reali e accessibile da un portale principale sulla fronte sud del complesso. Dopo la crisi dell'urbanizzazione negli ultimi secoli del III millennio a.C., in Palestina si registra agli inizi del II millennio una notevole ripresa, secondo un'organizzazione in città-stato su modello antico mesopotamico, dove si fondano i Primi Palazzi. Proprio in questa prima fase (BM IIA) a Ras el-Ain (Afek) si erige un palazzo sull'acropoli, il Palace I, coevo alla più antica cinta urbica, di identico spessore nelle fondazioni e nello spicco dell'alzato, esposto per l'ala dei servizi e dei magazzini. Alla fase tarda del Bronzo Medio (BM IIB), culmine del floruit palestinese, va invece attribuito il monumentale palazzo reale sull'acropoli, il Palace III, dall'ingresso sontuoso con la soglia e gli stipiti monolitici in pietra; la qualità palaziale della fabbrica è anche indicata dalla struttura della sala centrale, con due imponenti pilastri in pietra a sostegno dell'originaria copertura. Anche Megiddo presenta nella fase più antica l'edilizia pubblica palatina sulla cittadella, riservando un'area al palazzo reale distinta dal resto del tessuto urbano; più recente (BM IIB) è l'impianto del cosiddetto Nordburg, costituito da tre fabbriche palatine successive, residenze del capo della città. Il Nordburg sviluppa il nucleo ufficiale in una spaziosa sala dalle proporzioni esemplari, che hanno richiamato le sale dei palazzi di Ebla e di Qatna. Nel XVII sec. a.C. si assiste a una significativa innovazione, sia strutturale che topografica, con l'impianto di due edifici palatini, l'uno ancora nel quartiere pubblico e l'altro presso la porta urbica nord, dove il muro è parte integrante della cinta muraria cittadina. Quest'ultima fabbrica, a corte centrale, doveva svolgere funzioni propriamente palatine di ricevimento e di rappresentanza, mentre la fabbrica superiore era riservata alle aumentate attività politiche e amministrative. La posizione strategica di Sichem conferì a questo centro un ruolo da protagonista, che si evince dalle imponenti strutture pubbliche fin dagli inizi del BM, tra cui il complesso palaziale con quattro fasi di impiego (già definito impropriamente Courtyard Temple), composto da due settori ben distinti da un percorso e probabilmente adibiti, a sud, a residenza privata e alle attività artigianali e a nord ai compiti ufficiali. Le soluzioni urbanistiche e di decentramento della gestione politica già rilevate a Megiddo ricorrono anche a Sichem, dove un'ampia area edificata per funzioni pubbliche si sviluppa accanto alla porta urbica: si tratta del Palast, presso la porta cittadina, connesso alla monumentale Sala a Colonne, secondo un progetto che collegava al potenziamento delle fortificazioni il forte segno del potere al culmine dello sviluppo della città. Di più alto prestigio godeva Hazor, capitale settentrionale di un regno forse interlocutore di quelli di Ebla e Qatna e di certo in contatto con Mari, sede di un importante centro amministrativo sulla cittadella e di un palazzo reale in uso fino al Bronzo Tardo (BT). Rilevanti strutture del BM sono state anche individuate a Lachish (Tell ed-Duweir), capitale indiscussa della Palestina meridionale: un grande palazzo, esposto per molti vani, ma non definito nei suoi limiti, risale alla fine del BM (IIC), ma è l'esito di più antiche edificazioni. L'avamposto di Tell el-Aggiul, città-stato tra costa e piana meridionale, venne dotato sulla sommità dell'insediamento di un edificio palaziale, il Palace I, contiguo alle mura urbiche e al terrapieno di contenimento, restituito nei paramenti ortostatici impiegati alla base dei muri, in sintonia con i principi costruttivi delle grandi fabbriche siriane di Ebla e più tardi di Alalakh (livello IV). Recenti ricerche archeologiche tra l'entroterra e la costa, infine, hanno rivelato la presenza di un palazzo a Kabri, il maggiore centro palestinese dopo Hazor, sul litorale nord, risalente agli inizi del BM, ma pertinente alla sua fase finale nella realizzazione più recente e integra: si tratta del Palazzo degli Affreschi, la cui sala 611 ha il pavimento e le pareti decorati a fresco a motivi geometrici e floreali policromi di influsso minoico; da un altro vano (il 723) provengono centinaia di frammenti consimili. Ma l'edificio si connette anche alla tradizione architettonica palaziale siriana e palestinese per la presenza di un portico a due colonne, per il dispositivo planimetrico di rappresentanza e, nuovamente, per l'ubicazione accanto alla porta urbica quale esempio significativo di sincretismo culturale. Poco prima della metà del millennio la supremazia di Yamkhad (Aleppo) oscura regni come Qatna ed Ebla; sarà con le incursioni hittite negli ultimi venti anni del XVII sec. a.C. che la grande urbanizzazione in Siria subirà una forte contrazione, che risparmierà però in parte i siti costieri. Proprio sulla costa, ad Ugarit, sorse nel BT uno dei più ampi complessi palatini noti del Vicino Oriente, esteso per 6500 m² ed edificato in pietra, con ingressi monumentali a portico colonnato e numerose scalinate che conducevano al piano superiore. L'edilizia regale non si limitò a questo imponente complesso; nell'area a sud di una grande piazza pubblica sorge un secondo palazzo, più modesto, con pianta a corti multiple e due grandiosi porticati a colonne nella tradizione siro-palestinese più arcaica. Intorno alla metà del II millennio a.C. (XVI-XV sec. a.C.) il predominio dello Stato di Mitanni nella Mesopotamia settentrionale ha influito sulla cultura architettonica della Siria e della Mesopotamia nei primi secoli del I millennio a.C., mentre scarse sono le testimonianze coeve nell'edilizia pubblica, come a Nuzi (Yorgan Tepe; l'antica Gasur nei testi del III millennio a.C.), nel regno di Arrapkha, non eletta capitale, ma sede del palazzo del governatore, dell'età di Shaushatar (metà del XV sec. a.C.); il quartiere ufficiale, con pitture parietali policrome, è incentrato attorno alla corte e ai due vani della sala delle udienze e del vestibolo; ancora di spicco risulta il Palazzo Verde nel centro minore di Tell el-Fukhar (Kurrukhanni), con ingresso monumentale con torrioni e lunga sala di ricevimento aperta sull'archivio. Alla grande cultura architettonica paleosiriana segue, all'età di Mitanni, una fase di edilizia pubblica in centri già eminenti nel III millennio a.C.: Tell Brak, che recupererà un ruolo centrale nello scenario vicino-orientale (forse come Taidu), è ora sede di un palazzo impiantato secondo lo schema usuale, con le residenze al piano superiore, che venne distrutto insieme alla città, nel XIII sec. a.C. nel corso delle campagne medioassire, forse ad opera di Adad-nirari I. L'edificio mostra i caratteri dell'edilizia palatina maggiore, con una corte, la sala delle udienze accessibile da due portali monumentali e la sala del trono. La proposta identificazione con Taidu tocca anche un altro centro nel cuore del Khabur, Tell al-Hamidiya, che conserva i resti imponenti di un edificio palaziale di lunga vita, tra il XVII e il IX sec. a.C., innalzato su tre terrazze degradanti e circoscritto da mura di oltre 12 m di spessore, dove ogni terrazza risponde a un quartiere palatino con precise funzioni. Centro di un altro regno mediosiriano, quello di Mukish, è in questo periodo Alalakh, che presenta, nel livello IV, il palazzo reale attribuito a Niqmepa, con due corpi di fabbrica adiacenti, ma non comunicanti, e portico colonnato in facciata, che risulta il prototipo più vicino al bīt ḫilāni ricorrente nel I millennio a.C. La nuova fondazione di Emar (Meskene) ad opera dei sovrani hittiti nel XIV sec. a.C. si sviluppa in un denso tessuto urbano abitativo, dove il palazzo del governatore locale, arroccato su di un promontorio, presenta la forma di un tipico bīt ḫilāni, con portico colonnato e piano superiore. La rinascita assira segna la ripresa edilizia nella capitale Assur: il palazzo reale della città viene ricostruito da Assur-uballit I (XIV sec. a.C.) e battezzato Palazzo Nuovo. La politica edilizia di Tukulti-Ninurta I (metà XIII sec. a.C.) potenzia, accanto ai templi, le fabbriche secolari, quali la residenza nella capitale storica, significativamente appellata "casa del re, signore di tutti i Paesi", e il grandioso palazzo reale nella nuova capitale da lui fondata, Kar-Tukulti-Ninurta, innalzato su una terrazza di 120 corsi di mattoni e definito "la casa dell'universo", precorrendo la magniloquenza degli apparati testuali e architettonici dei successori del I millennio a.C. Nella nuova capitale è invece ancora conservato il Palazzo Nord, interpretato come parte di un tempio secondo una recente ipotesi. Contemporaneamente alla fioritura medioassira, nella Babilonia dominata dai Cassiti il progetto architettonico di maggiore rilievo risulta la fondazione della nuova capitale, Dur Kurigalzu, da parte del sovrano omonimo, e l'edificazione di un vasto complesso palaziale regale realizzato per aggregazione dei corpi di fabbrica e incentrato su un sistema di corti multiple, nonché di quello definito Painted Palace, strutturalmente indipendente, con pitture parietali policrome a tema cerimoniale che precorrono i cortei di dignitari nei rilievi dei palazzi neoassiri. Nell'area anatolica dopo due secoli di costruzioni e distruzioni alternate, la capitale Khattusha raggiunge l'apogeo nel XIII sec. a.C., costituendo uno dei centri maggiori per estensione e per monumentalità dell'edilizia urbana a carattere prevalentemente secolare. Sul colle di Büyükkale si impiantavano, all'interno di tre corti successive, numerosi edifici a carattere amministrativo e di rappresentanza, tra i quali si menziona il complesso D. Questo palazzo rivestiva certo ruoli ufficiali, mentre le residenze reali sono riconoscibili nelle due fabbriche E ed F, versioni locali degli schemi planimetrici mediosiriani e in particolare dell'adozione del bīt ḫilāni. La scelta di articolare le strutture edilizie secondo moduli costanti, accomuna l'architettura della capitale hittita a quella di numerosi altri centri dell'impero, come la stessa Kültepe, Alaca Hüyük, Tarso e Maşat Hüyük, la residenza periferica e temporanea della dinastia nel XV sec. a.C. Il ridimensionamento dei caratteri urbani effettuato in Palestina a partire dal XVI sec. a.C. sotto il controllo egiziano si manifesta nell'ambito dell'edilizia pubblica, nella presenza di fabbriche palatine in alcune delle ormai poche città-stato superstiti, a favore di numerose residenze di locali governatori-sudditi del faraone. In questo panorama i centri di Hazor e di Megiddo restano comunque imponenti sedi di palazzi, quali un edificio (P. 2041), già impiantato tra la fine del XVI e gli inizi del XV sec. a.C. presso la porta urbica nord, a pianta trapezoidale, parte di un complesso assai più ampio e articolato che ha come estremo opposto un secondo edificio (P. 5020), di carattere secolare, ma non sicuramente regale. L'emergenza di una diversa edilizia pubblica nell'ambito delle strutture del potere, le residenze dei governatori- sudditi locali, che proliferano da Taannek a Tell el-Aggiul, da Gezer a Tell es-Saidiyeh, conferma l'assunzione, tra XVI e XIII sec. a.C., di un apparato di rappresentanza ufficiale di valore e concezione distinti da quelli del palazzo, forse già presente fin dal III millennio a.C. in alcune fabbriche più modeste della Mesopotamia. Ciò che accomuna e caratterizza parte di questi edifici palestinesi è, dal punto di vista della planimetria, l'ubicazione laterale-angolare della corte e, dal punto di vista della struttura, il carattere fortificato, come nel Western Palace di Tell es-Saidiyeh e nel Canaanite Castle di Gezer. La presenza di edilizia pubblica, ma solo di tipo palatino-cerimoniale e religioso, ricorre anche nella storica capitale dell'Elam, Susa, che conosce un periodo di rinnovato splendore e potere in età medioelamita, dal XIV al XII sec. a.C., fino all'intervento di Nabucodonosor I, attestato tuttavia solo dalle coeve fonti scritte. È piuttosto Dur Untash (Choga Zanbil), la nuova capitale del regno circa alla metà del XIV sec. a.C., che testimonia un grandioso progetto urbanistico di stampo regale dove spiccano quattro complessi palatini lungo le mura urbiche. I dati più interessanti degli scavi recenti riguardano il centro di Tall-i Malyan, identificato con Anzan, evocato nei poemi sumerici e citato fin dalle iscrizioni di età accadica, per la scoperta di un edificio, l'EDD, quasi certamente palaziale. La fabbrica s'incentra su di una corte con porticato a pilastri squadrati da cui si accede ai vani circostanti pregevolmente allestiti, con pomi smaltati per le porte, da cui provengono circa 300 tavolette a carattere economico e amministrativo che informano del ruolo della città come centro focale nel commercio dei metalli. Nel corso del X sec. a.C. si registra in Siria la formazione di nuovi regni luvii e aramaici, che nelle rispettive capitali attestano edifici palatini la cui spiccata uniformità è rappresentata da un portico in facciata colonnato, convenzionalmente definito bīt ḫilāni (dal termine impiegato nelle iscrizioni neoassire per indicare un tipo di architettura di probabile origine siriana, assunta nelle fabbriche imperiali). Dei numerosi bīt ḫilāni documentati, il palazzo monumentale di Tell Halaf (l'antica Guzana, capitale del regno di Bit-Bakhiani) risulta il più esauriente e meglio conservato, con funzioni di rappresentanza e ben distinto dalla residenza privata regale. L'edificio, costruito dal re Kapara nel IX sec. a.C., assume un ruolo di peculiare importanza nell'edilizia palatina canonica dell'età del Ferro (in particolare tra il XII e il IX sec. a.C.), sia nella definizione di uno schema planimetrico riconducibile a quello dei palazzi di Alalakh IV e Khattusha E, tra il XIV e il XIII sec. a.C., sia nell'elaborazione dei programmi scultorei delle botteghe imperiali assire. Fabbriche palatine di simile impianto di base ricorrono a Tell Tainat, Zincirli (Samal) e Tell Afis. Di particolare favore risulta questo tipo di architettura nel centro di Zincirli, ove ricorre, con alcune varianti, almeno in sei edifici tra il IX e l'VIII sec. a.C., e nel centro di Tell Tainat, la città di Unqi menzionata nelle fonti assire contemporanee. Vanno infine menzionati i palazzi-ḫilāni di Tell Fekheriye, vicino a Tell Halaf, e di Sakçegözü, per la presenza in entrambi di un portico ad una sola colonna. Un monumento architettonico a se stante risulta infine il palazzo di Hamat (Hama) a pianta rettangolare, con un muro perimetrale contraffortato sulla fronte principale e una grande sala bipartita a due serie di colonne, vero cuore della fabbrica. Dalla eterogenea compagine etnica convenzionalmente raccolta sotto la definizione di Popoli del Mare, solo in parte responsabile dell'estinzione delle culture del BM nel XII sec. a.C., spiccano i Filistei, di cui finora le attestazioni archeologiche più salienti riguardano il centro di Tell Qasile; ne resta il complesso composto da un'ampia corte aperta, che accoglie al centro un grande focolare. È piuttosto con l'affermazione delle tribù di Israele, tra il XIII e l'VIII sec. a.C., nella Palestina interna, che si individuano centri urbani come Megiddo e Sichem, già fiorenti nell'età del Bronzo e nuovamente sedi regali, come attesta il Palazzo 2072 di Megiddo. Gerusalemme, conquistata da David, fu oggetto di un imponente progetto edilizio da parte di Salomone, che vi fece erigere, oltre al celebre tempio, complessi palatini, tra i quali il suo stesso palazzo denominato "casa del Libano" e due altre fabbriche annesse, il "vestibolo delle colonne" e "il vestibolo del trono", definito nei testi come la sede dell'esercizio della giustizia. L'attività edilizia di Salomone non può considerarsi tuttavia onnicomprensiva dello sviluppo architettonico in Palestina, nel periodo compreso tra il X e il IX sec. a.C., quando il carattere e il ruolo dei palazzi riflettono piuttosto la natura locale del singolo capo nell'esercizio del potere. Diverso è il caso di Megiddo, con il Palazzo 6000 e il Palazzo 1723, forse entrambi versioni più o meno elaborate dell'impianto tipo del bīt ḫilāni, e di Lachish, dove proprio al centro della cittadella era collocato un palazzo, il Palazzo B, aggiunto al precedente Palazzo A distrutto da Sennacherib nel 701 a.C. È la nuova capitale del regno settentrionale di Israele, Samaria, che offre nel IX sec. a.C. un esempio di edilizia monumentale di grande respiro, avviata dal re Omri e ultimata da Achab; il complesso palaziale era inscritto in una cortina muraria e comprendeva distinti blocchi di fabbriche, tra cui l'"edificio degli ostraka" e il palazzo reale.
In Assiria Assurnasirpal II (IX sec. a.C.) inizia una lunga stagione di profondi cambiamenti legati a grandiosi progetti di edilizia pubblica. È con lui infatti che la modesta città di Kalkhu (Nimrud), già medioassira, assurge a nuova capitale del regno al posto di Assur. Qui fu eretto il Palazzo Nord-Ovest, che si affacciava originariamente su di un'ampia corte esterna al complesso, con il babānu, il quartiere ufficiale incentrato sulla grande sala del trono (B) a sviluppo longitudinale, a cui si accedeva da tre portali turriti; il podio regale era posto su uno dei lati brevi della grande sala, secondo un percorso ortogonale analogo a quelli dei grandi santuari mesopotamici del IV millennio a.C. Esso constava di otto settori, appellati secondo il tipo di legno pregiato che li decorava e completati con rilievi in mattoni policromi invetriati e in pietra scolpita. Al di là dell'impianto di base sulle due corti, babānu (ED) e bitānu (Y), sono riconoscibili a sud e a sud-est i quartieri residenziali reali, che accoglievano al di sotto delle pavimentazioni alcuni ipogei di regine vissute tra il IX e l'VIII sec. a.C. Il carattere più peculiare del Palazzo Nord-Ovest risiede nella posizione delle due corti e nel dispositivo della sala del trono maggiore, che fa da filtro spaziale ed ideale, secondo un modulo che da qui in poi resterà canonico nell'edilizia imperiale neoassira. L'attività edilizia del grande sovrano si estende anche ad Assur e a Ninive, sedi di fabbriche palatine ormai quasi interamente perdute. La forza innovativa impressa da Assurnasirpal II nell'edilizia è esaltata dall'introduzione di sculture ortostatiche parietali a temi mitico-religiosi e storico-narrativi, su ispirazione delle decorazioni analoghe degli edifici delle capitali dei regni di Siria e dell'Alta Mesopotamia, che permarrà quale componente essenziale nel programma architettonico dei suoi successori, fino alla fine dell'impero (612 a.C.). L'opera di ricostruzione intrapresa dal figlio e successore Salmanassar III (IX sec. a.C.), soprattutto ad Assur, è associata all'amplissimo palazzo sulla cittadella minore di Kalkhu stessa, definito Forte Salmanassar, sua residenza ufficiale (impreziosita di rilievi a carattere narrativo solo alla base del podio regale) e adibito di certo anche ad arsenale militare. Sebbene l'opera non presenti la complessità architettonica del palazzo paterno, la sua articolazione risulta fortemente originale e in parte sarà accolta nell'impianto del palazzo di Sargon II a Khorsabad (l'antica Dur-Sharrukin). Solo più tardi, con Adad-nirari III (IX-VIII sec. a.C.) riprende l'edilizia pubblica, forse già nel nucleo del Palazzo Centrale sulla cittadella maggiore di Kalkhu, costruito da Tiglatpileser III (VIII sec. a.C.), di cui nulla ci è pervenuto tranne alcuni rilievi e la memoria su di un'iscrizione. Con il nuovo corso della politica imperale assira avviata da Sargon II alla fine dell'VIII sec. a.C. si realizza un nuovo e sempre più grandioso progetto di fondazione urbana a Dur-Sharrukin, secondo numerose fabbriche monumentali gravitanti nella cittadella sul palazzo reale, fortemente innovativo per concezione dello spazio e della funzione. L'edificio si ergeva su un'imponente terrazza munita ed elevata per oltre 150 m lungo il perimetro delle mura urbiche, accanto alla ziqqurrat del dio maggiore Nabu e ad una seconda fabbrica secolare, l'Edificio Isolato, forse un annesso per attività specifiche nell'esercizio del potere. La particolarità del palazzo di Sargon II sta sia nella sua ubicazione, al centro di numerosi edifici minori secolari, le "residenze" dei notabili e funzionari (tra cui la Residenza K, forse sede del principe ereditario), sia nella concezione spaziale, che tende ad una forte coesione tra "esterno" e "interno" e ad una conseguente e inconsueta permeabilità nella circolazione, favorita dalla costante assialità degli ingressi nell'intero complesso. Tra gli altri edifici secolari di Khorsabad è di particolare interesse il Palazzo F nella cittadella secondaria, fuori dall'area maggiore del complesso regale e articolato planimetricamente sul modello del più antico Forte Salmanassar di Nimrud, a sua volta forse ispiratore dell'ekal masharti di Ninive dell'età di Sennacherib e di Esarhaddon (VII sec. a.C.). È quest'ultima città di tradizione plurimillenaria che assurge a nuova capitale dell'impero assiro su iniziativa del figlio di Sargon II (fine VIII-VII sec. a.C.). Sennacherib infatti vi edificò il suo "Palazzo senza uguali" che supera per monumentalità, articolazione spaziale e concezione strutturale l'indubbio modello ispiratore della fabbrica paterna a Khorsabad. Il "Palazzo senza uguali" (la cui compiuta elaborazione risale al 693 a.C.) potenzia infatti la simmetria e l'assialità nella disposizione e nella moltiplicazione dei vani e degli accessi, amplificando al massimo il senso dello spazio aperto del complesso, esteso per oltre 500 × 240 m, di cui purtroppo assai scarse sono le testimonianze archeologiche; restano tuttavia la sala del trono (I) e l'impianto di base del monumentale complesso retrostante, che gravitano su più corti interne (bitānu, XIX, VI) e la cui funzione, ipotizzata come cerimoniale e di rappresentanza, appare ancora dubbia. L'attività edilizia del figlio e successore Esarhaddon (VII sec. a.C.) non sembra invece avere inciso fortemente nel corso della tradizione architettonica, sebbene il suo impegno prioritario si volgesse alla ricostruzione della grande Babilonia distrutta dal padre e al restauro degli edifici templari di Assur; all'edilizia pubblica attribuita a questo sovrano dalla complessa e inquieta personalità vanno ricondotti anche l'ekal masharti a Ninive, la fondazione del suo palazzo nell'antica capitale Nimrud, il Palazzo Sud-Ovest, e un grande arsenale a Tell Nebi Yunus, la seconda acropoli di Ninive, tutti assai scarsamente documentati dai resti archeologici. L'ultimo potente segno nell'architettura neoassira alle soglie del declino definitivo è offerto da Assurbanipal (VII sec. a.C.), che oltre a restaurare vari edifici dei suoi predecessori, erige il Palazzo Nord a Ninive, di cui si conoscono solo i quartieri centrali e l'ala occidentale, per lo più attinenti all'attività cerimoniale e ufficiale del suo lungo regno; vi spiccano la sala del trono (M), che richiama nell'impianto quella del Palazzo Nord-Ovest di Assurnasirpal II, e l'ingresso colonnato, nell'angolo di nord-ovest, riservato al sovrano per le attività venatorie, che costituiscono anche il fulcro dei rilievi di molte sale della reggia (S, C). L'evocazione dell'ultima fabbrica palatina reale si riconosce infine nelle residenze private di altissimi dignitari ad Assur, come la Casa Rossa e la Casa Grande, secondo lo schema classico del bitānu e del babānu, che testimoniano al contempo l'estrema fase di floridezza dell'impero e la sua distruzione. Alla scarsità di dati archeologici e testuali dalla Mesopotamia meridionale agli inizi del I millennio a.C. si aggiunge il clima di forte instabilità che pervade l'intero Paese a causa delle incursioni aramee e del succedersi al potere di brevi dinastie a carattere locale, circostanze che relegano spesso la stessa città di Babilonia ad un ruolo secondario. Solo dagli inizi del IX sec. a.C. la Babilonia, e la sua capitale omonima, emerge di nuovo ad entità potente e antagonista dell'impero assiro, rispettivamente al tempo di Nabu-shum-ukin I e di Assurnasirpal II, controbilanciandone spesso le sfere di dominio, fino alla rimonta temporanea nell'VIII sec. a.C. con il capo della tribù di Bit-Yakin Eriba- Marduk. Ma è tra l'VIII e il VII sec. a.C. sotto la diretta egemonia assira che rifiorisce la cultura propriamente babilonese, fino alla grandiosa ricostruzione urbanistica e architettonica al tempo dei sovrani assiri Esarhaddon e Assurbanipal. Su questo solco si pone alla fine del VII sec. a.C. l'opera di Nabopolassar, salito al trono di Babilonia nel 623 in opposizione al dominio assiro, protagonista della definitiva caduta di Ninive del 612 insieme agli alleati Medi e Sciti. Così si apre la stagione dell'incessante attività edilizia che culmina nelle celebri opere di segno laico, come il Palazzo Meridionale in Babilonia, completato dal figlio e successore Nabucodonosor II. Più incisiva ed estensiva appare l'attività edilizia di quest'ultimo illustre sovrano, evocata fino alla Tarda Antichità, consistente in almeno tre fabbriche palatine disposte in tre punti strategici della cinta muraria. Tra queste costruzioni secolari spicca il Palazzo Meridionale, impostato su cinque unità maggiori e altrettante corti sulle fondazioni della residenza paterna; oltre a quelle del re e della regina il palazzo contemplava le residenze dei funzionari, i settori amministrativi e, forse, la sede del tesoro del regno, ipotizzata in due blocchi contrapposti con coperture a volta a botte. I paramenti decorativi dei portali erano anch'essi maestosi e culminavano nella corte principale, detta "il luogo che risplende", citata nei testi. Il carattere prioritariamente difensivo dei centri urartei informa l'edilizia pubblica e lo sviluppo urbanistico anche delle città maggiori e, in età matura attorno all'VIII sec. a.C., risulta evidente nei sistemi alternati di contrafforti e torrioni e nei basamenti squadrati in pietra e con spicco in mattoni crudi. Di questa tipologia è esempio eminente la capitale, Tushpa, arroccata sulla rupe di Van entro un'imponente barriera fortificata. Il centro di Erebuni (Arin-Berd), munito sia nel circuito triangolare delle mura sia nella porta urbica, è costituito da una serie di fabbriche e di corti delle quali la maggiore, che conduce alla sala del trono, è porticata. È il sistema delle corti, moltiplicate e colonnate, che distingue l'edilizia monumentale non specificamente difensiva del regno urarteo e che prelude alla grande architettura di età achemenide. Ancora una cittadella, Argishtihinili, completa l'attività costruttiva sul sito del sovrano omonimo Argishti I, che risponde a compiti residenziali e di ricevimento. La linea dei successori al trono prosegue analogamente con le costruzioni sul sito fortificato di Chavustepe (opera di Sarduri II) e di Bastam (fondata da Argishti II), all'estremità orientale del regno, lungo il fiume Arasse. Questo è forse il maggiore e il più articolato dei centri urartei tra l'VIII e il VII sec. a.C.; esso è costituito da tre insediamenti a distinti livelli, nei quali si riconoscono i magazzini, il luogo per la raccolta delle guarnigioni e per i ricoveri dei cavalli (Edificio Est) e le aree di rappresentanza presso la Porta Nord. Ancora di impianto irregolare, con la cittadella trapezoidale, risulta il complesso palatino maggiore dell'età di Rusa II (metà VII sec. a.C.) e dei suoi successori a Teshebaini, dove l'assetto fortificato scandisce sia la corte sia i corpi di fabbrica al suo interno. Attraverso due ampie corti, l'una esterna e l'altra interna al complesso, e da una specie di galleria si accedeva a una serie di edifici, per lo più impiegati ai piani inferiori per l'immagazzinamento e ai piani superiori per il ricevimento, collegati da un sistema di rampe. L'associazione nello stesso edificio, ma su due piani sovrapposti, delle sale delle udienze pilastrate e degli ambienti con funzioni di servizi è confermata dal complesso palatino di Kef Khalesi, sempre di Rusa II, molto probabilmente promotore di una tale innovativa concezione architettonica.
In generale:
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di Francesca Baffi Guardata
La presenza di templi è documentata fin dalla fase preistorica, o per lo meno di edifici che sicuramente non svolgevano un ruolo privato, a partire dalla fase definita Ubaid. Ad Eridu ed Uruk si seguono le tappe di un processo formativo che porta alla canonizzazione di una planimetria tipica di questa regione della Bassa Mesopotamia: un ampio vano centrale (rettangolare) circondato da ambienti minori che si aprono sui lati lunghi a costituire un edificio a tre navate; le facciate, su cui si aprivano varie porte, si articolavano in nicchie e aggetti realizzati tramite lesene e contrafforti, ma questa forte articolazione tende con il tempo a diminuire. Buona documentazione è offerta dai livelli XVI-VII di uno stesso edificio sacro di Eridu e dai templi sotto la terrazza di Anu ad Uruk. Il succedersi delle ricostruzioni nella medesima area produsse un innaturale innalzamento del terreno, una sorta di basamento su cui veniva eretto il nuovo tempio; tale basamento diventava, ovviamente, sempre più alto, da qui la necessità di una scalinata di accesso che determinava la priorità di una facciata rispetto alle altre. L'ingresso avveniva da uno dei lati lunghi e si procedeva dunque nella cella secondo un percorso a gomito. Questa tradizione meridionale trova un riscontro al Nord nel centro di Tepe Gawra dove, nel livello XIII dell'acropoli, sorgeva l'Edificio Nord poggiante sui resti della costruzione tripartita del livello XIV. Durante la fase protourbana nella città di Uruk, nell'Eanna, cioè nell'area destinata al culto del dio Anu, vennero elaborati modelli e utilizzate tecniche architettoniche che non ebbero poi seguito nella successiva tradizione; così nel livello VI si colloca il tempio a mosaico di coni di pietra, con cella centrale e vani laterali adiacenti ai lati lunghi. Relativo al livello V è il tempio definito "di calcare" dal tipo di lastre utilizzate nella costruzione della parte bassa dei muri; esso consiste in un vano rettangolare e in vani che si svolgono sui due lati lunghi ed uno dei cortili, variante quindi dei templi a tre navate di età preistorica. Le facciate presentano ancora nicchie e lesene. Lo schema tripartito è sempre presente nel Tempio C del livello IVa. Durante l'ultima fase del periodo urbano, nel livello III dell'Eanna, vengono abbattute le costruzioni precedenti e viene ripianificato lo spazio distribuendo diversamente gli edifici e mutandone le caratteristiche planimetriche. Centro del culto diventa la terrazza alta, la cui esistenza è stata appurata da sondaggi effettuati nel massiccio della ziqqurrat: essa era la risultante di una serie di alte terrazze, ognuna delle quali aveva ingrandito la propria dimensione inglobando i resti della fase precedente. I frammentari resti di edifici fanno intendere come non esistano più strutture monumentali ma soltanto piccole e fitte costruzioni, con funzioni sussidiarie o amministrative, intorno alla terrazza templare. Il secondo grande santuario era il Tempio Bianco, tripartito e con facciate interne ed esterne a lesene; esso sorgeva sull'alta terrazza di Anu, che aveva le pareti oblique decorate a lesene e nicchie piatte coronate in alto da una fascia orizzontale riempita da vasi a siluro infissi nell'intonaco con la bocca verso l'esterno. Particolari sono i templi di Sin a Khafagia (I-V), in relazione ai quali importanza crescente assume la corte antistante. Al di fuori della Mesopotamia irradiazione della cultura di Uruk si ritrova nelle colonie protosumeriche dei centri della Siria nord-orientale, dove si riproducono i modelli della madrepatria; a Habuba Kabira (Tell Qannas) gli edifici sacri equivalgono a quelli dell'Eanna di Uruk, con strutture tripartite su alte terrazze. Durante il periodo protodinastico (PD, 2900-2350 a.C.) si elaborano i vari elementi culturali della fine del periodo urbano; così a Khafagia il tempio di Sin VI (PD I, 2900-2700 a.C.) differisce dal V, sui cui resti era stato costruito, solo per l'uso dei mattoni planoconvessi ma non per il tipo di pianta; viene abolita l'ala posteriore e si pone in ulteriore risalto la corte antistante. Caratteristica del PD II è la creazione dei cosiddetti "templi ovali", quali quelli di Tell al-Ubaid e Khafagia; l'aggettivo ovale si riferisce alla forma della recinzione dell'area sacra in cui sorgeva il tempio. Per il periodo accadico manca architettura religiosa innovativa; vengono restaurati o ricostruiti i templi della fase protodinastica e si hanno quindi costruzioni eredi della precedente tradizione a Tepe Gawra, livello V, e a Gasur. Durante il successivo periodo neosumerico la situazione che si viene a verificare nelle città di antica tradizione sumerica, che riacquistano la propria indipendenza, vede un'intensificarsi dell'attività edilizia con oggetto le fabbriche sacre; ad Ur, durante i regni dei sovrani della III Dinastia (2112-2004 a.C.), l'Eanna è oggetto di grandi opere di restauro ed ospita la più famosa struttura attribuita al fondatore della dinastia, Ur-Nammu: la ziqqurrat. Questa consiste in una costruzione massiccia di mattoni crudi, di forma rettangolare (62,5 × 43 m), articolata in tre terrazze in successione, di cui quella inferiore alta 11 m, le altre due più basse, sull'ultima delle quali sorgeva il tempio alto, ora perso, accessibile tramite tre scalinate monumentali, di cui una, centrale, ortogonale alla facciata e le altre due convergenti addossate alla facciata medesima. Di dimensioni minori e quasi quadrata era la torre templare di Nippur, dedicata al dio Enlil. Le ziqqurrat, esito ultimo delle terrazze del periodo protodinastico erano racchiuse all'interno di propri recinti, isolate e nello stesso tempo integranti i complessi santuari dedicati alle maggiori divinità cittadine. La funzione particolare del tempio costruito sull'ultima terrazza non è del tutto certa; esso era accessibile solo a pochi eletti e, non essendosene conservato nessuno, non se ne conosce in alcun modo la planimetria, mentre è nota quella dei templi che, più o meno contemporaneamente, erano stati costruiti nelle città. Si nota, come caratteristica del periodo, che i nuovi edifici hanno abbandonato totalmente l'impianto del Protodinastico, con cella lunga ed entrata a gomito, per adottare una planimetria che diventa una costante a Babilonia nei periodi successivi: cella larga con ingresso in asse perfetto. Aderente a questo modello è il tempio fatto costruire ad Ur da Amarsin e Rimsin, dedicato al dio Enki, ad Eshnunna quello dedicato al culto dei sovrani divinizzati Ur-Nammu e Shulgi e almeno uno di quelli edificati all'interno del Gipar di Ur. Nella Mesopotamia settentrionale la regione assira non offre una documentazione così ricca; nondimeno da quanto conservato appare evidente come la sua tradizione inizi a manifestare peculiarità fortemente distintive nelle nuove fabbriche, mentre in quelle di antica costruzione i rifacimenti ripetono il vecchio impianto: è questo il caso del tempio di Ishtar ad Assur del livello D, paleoassiro, che rinnova lo schema del periodo protodinastico con cella lunga ed entrata a gomito. Tra i prototipi del nuovo schema è il tempio fatto costruire da Shamshi- Adad I (1815-1782 a.C.) di Assiria a Shubat-Enlil (Tell Leilan), in cui la cella lunga e stretta è preceduta da un'antecella larga, secondo un modello che a partire dal XVI sec. a.C. diventerà canonico dell'architettura sacra assira. Particolare e fortemente innovativo per l'Assiria è l'impianto di Tell er-Rimah, l'antica Kattara: un complesso templare caratterizzato da cella e antecella larghe, di tipo quindi babilonese, è addossato ad una ziqqurrat, elemento quest'ultimo fino a quel momento proprio solo dell'architettura sacra meridionale. La planimetria templare di Tell er-Rimah, babilonese, ha uno stretto parallelo nell'impianto di uno dei maggiori santuari dedicati a Shamash, l'E-babbar di Larsa, in cui la successione di corti conferisce grande enfasi al complesso sacro che culmina nel massiccio della ziqqurrat. Durante il periodo medioassiro sui più importanti troni di Mesopotamia siedono esponenti di gruppi etnici non indigeni e apportatori di tradizioni non sempre evidenziate, appiattite su quelle locali più profondamente radicate. Al Nord, nel regno di Mitanni, il sito meglio documentato è tuttora Nuzi: il suo tempio, che offre una buona documentazione di architettura sacra del periodo (XV sec. a.C.), è un tempio doppio, dedicato a Teshup, dio delle manifestazioni atmosferiche, e a Shaushga dea dell'amore. I due luoghi di culto, quasi gemelli, sono indipendenti e con lo stesso schema planimetrico, che ripropone la pianta del periodo accadico con cella longitudinale ed ingresso su un lato lungo con asse a gomito; un muro di recinzione delimita una corte antistante i templi e ospita vani accessori. Contemporaneamente, al Sud, i re cassiti si impegnavano in grandi opere di restauro dei santuari maggiori, ed in particolare a Ur, mantenendo gli impianti originari. Ma la adesione alla tradizione locale non è una costante e nell'area dedicata al dio Enlil nella nuova capitale Dur Kurigalzu, accanto alla ziqqurrat quasi quadrata vennero costruiti vari cortili sicuramente funzionali al culto; uno di questi era dedicato a Ninlil, paredra di Enlil, ma nei vani che circondano i quattro lati dei cortili non se ne individua alcuno in cui possa riconoscersi la cella. Del tutto particolare è il piccolo tempio di Inanna fatto costruire ad Uruk dal re cassita Karaindash alla fine del XV sec. a.C.; il sacello, eretto in uno dei cortili esterni dell'Eanna, consiste in una piccola struttura rettangolare di 14 × 18 m, a sviluppo longitudinale e con entrata in asse; doppi contrafforti angolari conferiscono movimento all'esterno. L'interno è scandito dalla lunga cella preceduta da antecella poco profonda e da due lunghi corridoi laterali praticabili sia dall'antecella che direttamente dalla cella, che viene così ad avere tre ingressi. L'impianto planimetrico è più prossimo alla tradizione assira che non alla tradizione babilonese. Ad Assur, in Assiria, già alla fine del periodo paleoassiro, nel XVI sec. a.C., uno dei più imponenti luoghi di culto, il tempio doppio di Sin e Shamash, eretto nel cuore della città vecchia, su uno slargo della via processionale, presentava compiutamente realizzato lo schema modulare con cella lunga preceduta da antecella larga, il tutto ripetuto in due complessi speculari affacciati su una medesima grande corte rettangolare. È quindi Tukulti-Ninurta I (1243-1207 a.C.) il sovrano che ha lasciato la più ricca documentazione della propria attività di re-costruttore di fabbriche sacre, con edifici che presentano caratteri innovativi e di decisa rottura con la tradizione. Il tempio di Ishtar ad Assur diventa doppio, con una cella dedicata ad Ashshuritu e l'altra ad una sua ipostasi, Dinitu: gli spazi per il culto delle due divinità erano di dimensioni diverse, ma si manteneva la pianta della cella rettangolare, lunga e con entrata a gomito. Nella riproposta dell'asse spezzato si rinnova la pianta dell'antico tempio di Ishtar ad Assur ed il medesimo impianto verrà adottato da Ashshur-resh-ishi I (1132- 1115 a.C.) per il nuovo santuario della dea, costituito da un semplice vestibolo, corte centrale e lunga cella. Dei numerosi luoghi di culto che Tukulti-Ninurta ricorda di aver costruito nella nuova capitale Kar-Tukulti-Ninurta solo due sono stati per il momento individuati; si ritiene che fosse dedicato ad Assur il monumentale tempio costruito nel settore occidentale della città interna. Questo edificio era composto da un tempio basso e da un tempio alto, strettamente collegati tra di loro, dato che la parete di fondo della cella, di impianto babilonese, era addossata alla faccia orientale della ziqqurrat ed in questa parete rientrava la profonda nicchia per la postazione divina, preceduta da una breve scalinata. La cella, come gli altri vani complementari, si affacciava su una corte regolare, formulando così un complesso che ricorda molto il tempio di Tell er-Rimah, all'epoca ancora in funzione. Del tutto diverso era il santuario eretto nella città esterna e rinvenuto sul Tell O; qui l'edificio sacro si esprimeva in una cella lunga di tipo assiro, con larga antecella. Dopo la morte di Tukulti-Ninurta I solo l'attività di Ashshur-reshishi e di suo figlio Tiglatpileser I (1114-1076 a.C.) produsse un'opera monumentale di cui è rimasta documentazione: è il santuario doppio di Anu e Adad, in cui due ziqqurrat sono unite a due templi bassi e per non creare un insieme disarmonico, data l'adozione della cella a pianta assira, la torre templare non viene accostata al tempio tramite la parete di fondo, ma attraverso una parete laterale, così da creare un doppio complesso a sviluppo allargato, in cui all'antecella larga se ne sostituisce una articolata in due parti, per lo meno in fondazione. Durante il periodo neoassiro gli edifici sacri presentano tutti una cella lunga, preceduta da antecella larga, che differenzia il sancta sanctorum non più con la presenza di una nicchia ma con una sorta di restringimento del passaggio. Il santuario di Nimrud è un complesso comprendente due gruppi di due celle affiancate, che rispondono ai canoni sopra espressi, e vani secondari, sempre preceduti da corti; un settore maggiore ospitava le celle di Nabu e della paredra Tashmetu, uno più piccolo quelle di una coppia di divinità minori. Tutti gli altri templi di Nimrud insistono sulla medesima planimetria. Con il tramonto della potenza assira, alla fine del VII sec. a.C., si riafferma la tradizione babilonese, dominante nell'area vicino-orientale per tutto il VI sec. a.C. Nella città di Babilonia, rifondata da Nabopolassar (625-605 a.C.), il maggiore tempio cittadino era l'Esagila; sede del culto di Marduk sorgeva in prossimità del fiume Eufrate, immediatamente a sud della ziqqurrat Etemenanki. Le notizie al riguardo sono fornite da Erodoto e da un testo cuneiforme di età seleucide; quest'ultimo documento ricorda una struttura a pianta quadrata di 91,5 m di lato e altrettanto di altezza, formato dalla sovrapposizione di sette terrazze alte rispettivamente, partendo dal basso 33,55 m la prima, 18,3 m la seconda, 6,1 m le altre dalla terza alla settima. Su quest'ultima terrazza sorgeva il tempio, alto 15,25 m. Questo testo cita anche una "camera superiore", accessibile tramite una scala, e questa dovrebbe costituire l'ottavo ripiano menzionato da Erodoto; l'autore ricorda anche una scala che girava tutt'intorno, tuttavia ciò è smentito dal ritrovamento di resti di una scala non già elicoidale, ma ortogonale alla facciata. Scala quest'ultima forse già distrutta allorché nel 458 a.C. Erodoto visitò Babilonia. I templi maggiori che sorgevano nella città nel VI sec. a.C., oltre all'Esagila sede della maggiore divinità cittadina, Marduk, erano quelli dedicati a Ishtar, Ninurta, Gula e Ninmah; caratteristica comune era la presenza di una corte accessibile dall'esterno tramite un vano-vestibolo. Sulla corte si apriva la larga antecella che precedeva la cella di medesimo impianto. L'Esagila aggiungeva a questi elementi comuni, sulla fronte della corte, un avancorpo costituito da uno spazio a cielo aperto a cui era parallela una seconda corte, più piccola e non in comunicazione diretta.
La cultura architettonica sacra di Siria mostra una indubbia continuità di linee evolutive, dal III al I millennio a.C., che è documentata dai ritrovamenti in numerosi centri settentrionali, dalle sponde del Mediterraneo al medio corso del fiume Eufrate. Tra questi Tell Chuera risulta essere uno degli insediamenti di maggiore estensione in una zona in cui nel III millennio a.C. erano vitali numerosi centri anche di grandi dimensioni. Al centro della città alta sorgeva il cosiddetto Kleiner Antentempel, luogo di culto di secondaria importanza, con cella rettangolare a sviluppo longitudinale (4,5 × 6,7 m); esso risale alla metà del III millennio (PD II-III) e aveva al suo interno banchette e tavola offertoria presso il muro di fondo; un vestibolo in antis precedeva la cella ed era accessibile tramite quattro scalini. Questo ingresso rimase in uso, con modifiche minime, durante le tre fasi successive. Nel II millennio a.C. questo tipo di impianto venne ampiamente utilizzato a Ebla, dove, sull'acropoli in un'area consacrata al culto della dea Ishtar, sorgeva l'imponente Tempio D ad accentuato sviluppo longitudinale, con vestibolo in antis, breve antecella e cella lunga, nel muro di fondo della quale era ricavata una nicchia preceduta da una banchetta. La planimetria templare a cella unica longitudinale in questo sito amorreo era adottata anche per gli altri edifici di culto che, a corona, si disponevano nella città bassa attorno all'acropoli. L'impianto a cella unica longitudinale con entrata in asse, presente a Tell Chuera a partire dal III millennio a.C., si mantenne a lungo e durante il Bronzo Tardo (1550-1200 a.C. ca.) venne adottato ad Emar in due templi affiancati, in antis, con banchetta presso il muro di fondo e tavola offertoria a gradini nella cella. Nella medesima regione, lungo il corso del medio Eufrate, si ritrova questa tipologia peculiare dell'architettura sacra di Siria a Tell Fray (forse l'antica Shipri). La variante della tipologia monocellulare, nell'area del medio Eufrate, è quella con vani adiacenti ad uno dei lati lunghi della cella e praticabili attraverso quella: questa situazione è documentata con il Tempio M di Emar e con il Tempio Nord di Tell Fray, dove l'accesso al santuario si apre secondo un asse spezzato insolito in Siria e piuttosto vicino a modelli mitannici (tempio di Nuzi) o medioassiri (tempio di Ashshuritu e Dinitu ad Assur). Contemporaneamente a questa tipologia templare, che ha stretti paralleli con modelli dei centri di Palestina del Bronzo Medio e Tardo, in Siria venivano elaborate planimetrie differenti non riconducibili tutte ad un'origine comune; in esse si nota come allo sviluppo longitudinale si sostituisca una tendenza ad una contrazione massiccia della struttura; ascrivibili a questa categoria sono i templi di Alalakh che, a partire dal livello XIV (Bronzo Antico I, 3100-2900 a.C.) per finire con quello del livello I (Bronzo Tardo finale, 1200-1190 a.C. ca.), nelle varie fasi meglio conosciute si presentano tutti secondo un insieme pressoché quadrato articolato internamente in cella e antecella, le cui dimensioni nel tempo non si sono mantenute costanti, come peraltro lo spessore dei muri. Ad Ugarit i due maggiori templi cittadini si possono collocare in una categoria intermedia tra quelli a sviluppo longitudinale e quelli massicci di Alalakh. Nei due edifici, dedicato a Baal il primo e a suo padre Dagan il secondo, la pianta è costituita da due parti distinte: vestibolo e cella, il primo più stretto della seconda a formare, quindi, un corpo avanzato. È evidente dunque come l'articolazione in due vani sia una costante e la presenza di una scala spesso attestata (Alalakh XIV, XII, III e II e i templi di Baal e Dagan ad Ugarit) dimostra l'uso di un piano superiore, o meglio della terrazza, a scopi cultuali, come peraltro documentano testi rituali rinvenuti ad Ugarit. Estranei a qualsiasi tradizione sono alcuni edifici sacri che presentano un numero più elevato di vani destinati al culto: il tempio del livello IV di Tell Chuera, formato dall'unione di cinque ambienti irregolari sorti forse in fasi distinte anche se ravvicinate nel tempo; il Santuario B2 di Ebla nella città bassa occidentale, con una cella maggiore con banchette lungo i muri e grande podio al centro, due minori con nicchie e vani accessori, di cui uno funzionale alla preparazione del cibo, o meglio delle offerte di origine vegetale. Del tutto particolare il tempio di Dagan a Mari, dell'inizio del II millennio a.C., con portico praticamente in antis e cella allungata che lo apparenterebbe ai templi di più attestata tradizione siriana, ma la presenza di due piccole sacrestie nella parte finale del vano e la stretta adiacenza ad una terrazza ne fanno un esempio unico nel contesto della tradizione architettonica di Siria. Un unicum è anche il tempio di Reshef a Biblo, della fine del III millennio a.C., con tre celle quadrate adiacenti l'una all'altra e tutte provviste di ante. Dunque in Siria prevale la tipologia del tempio monocellulare, con vestibolo in antis o meno, che dal BA si mantiene fino all'età del Ferro, e quella del tempio di Tell Tainat, ultimo esempio di una tradizione che ha il suo precedente nel Tempio D di Ebla, appare come il parallelo più prossimo al tempio di Salomone, per come esso è descritto nella Bibbia. Si è spesso collegata la tipologia del tempio in antis a quella del megaron e ci si è quindi posti il problema della sua origine. Nel Vicino Oriente i megara conosciuti sono quelli dell'Anatolia, ed in particolare gli edifici di Troia II, rettangolari e molto allungati, con un grande vano a sviluppo longitudinale avente su uno dei lati brevi un portico in antis, a volte colonnato, e con accesso in asse. Nel caso dei templi di Siria, a questi elementi base può aggiungersi un piccolo vano tra il portico e il vano grande. Gli edifici, numerosi, di questo tipo o simile rinvenuti in Anatolia e riferibili all'età del Bronzo hanno indubbiamente carattere laico, mentre quelli di Siria, contemporanei, ospitano luoghi di culto; quindi in due settori geografici assai prossimi ma culturalmente differenziati, uno stesso tipo architettonico era utilizzato in ambiti totalmente diversi. All'interno del tempio le installazioni fisse ricorrenti sono: una piattaforma sopraelevata nella zona di fondo della cella, anche all'interno di una nicchia, banchette lungo i muri laterali, altari o meglio tavole offertorie per lo più lungo l'asse mediano della cella. Si è notato inoltre come il tempio a sviluppo longitudinale sia spesso da collegarsi al palazzo, sia in Siria (Ebla, Tell Tainat) che in Palestina (Hazor, Gerusalemme). Del tutto diverso è l'impianto del tempio di Kumidi, nella valle della Beqaa, in cui la superficie si dilata verso la fine del Bronzo Tardo con due complessi sacri adiacenti, comprendenti entrambi un'ampia corte con bacini lustrali. Due celle secondarie, a sviluppo longitudinale, erano ciascuna adiacente ad uno dei complessi e queste celle si rifanno alla tradizione siriana, mentre il santuario a tre celle ricorda il tempio di Reshef a Biblo; le due colonne libere sono forse un precedente di quelle citate dalla Bibbia in connessione con il tempio di Gerusalemme: Yakin e Boaz. Tra gli edifici più antichi dell'età del Ferro si colloca il tempio di Tell Ain Dara (XI sec. a.C.), che ripete nella pianta la struttura assiale dei santuari di ben consolidata tradizione. Il tempio consiste in una cella quadrata di circa 18 m di lato preceduta da un'antecella profonda circa 3 m. È questa la conferma della solidità di una tradizione prettamente locale che non si mantiene in un altro tempio dell'età del Ferro, quello dedicato al dio della Tempesta, ospitato nel centro monumentale di Karkemish.
Le funzioni cultuali di alcuni edifici sono state individuate fin dal Calcolitico (4330-3300 a.C.) essenzialmente sulla base del ritrovamento della posizione della statua divina; indicativo della planimetria adottata è il tempio di Engeddi, con cortile recinto accessibile da un ingresso articolato e in salita. Di fronte a questo era il tempio e a sud-est sorgeva una piccola struttura destinata forse ad ospitare il sacerdote. Al centro del cortile era una installazione circolare, da connettere a riti di libagione, e collegata ad un canale distrutto con l'abbandono del tempio. Questo era costituito da un solo vano largo e aveva un altare semicircolare opposto all'entrata principale, mentre un'entrata secondaria si apriva nella recinzione a nord-est. Simile è il contemporaneo tempio di Megiddo, dello strato XIX, rimasto in uso fino alla fine del BA I (3150-2850 a.C.). Templi con un temenos simile sono documentati anche ad Ai e Biblo. Durante la fase iniziale del Bronzo Medio (BM IIA, 2000-1800 a.C.) nessun edificio è stato identificato con sicurezza come destinato al culto, ad eccezione forse dell'area sacra di Nahariya, dove è stata rinvenuta una cella quadrata (6 × 6 m) con accanto un alto luogo (bamah) di 6 m di diametro. Durante il BM IIB-C (1800-1550 a.C.) l'attività edilizia all'interno delle nuove e vecchie città si intensifica e si canonizza secondo nuovi schemi regolari. Oltre a questi edifici, di cui alcuni riportati alla luce in buono stato, sono documentati luoghi aperti destinati ad ospitare culti particolari; si può ascrivere a tale categoria il campo con le stele di Gezer, che presenta una serie di undici monoliti allineati nord-sud in un'area di 40 × 50 m. La categoria peculiare del periodo del Bronzo Medio è senz'altro quella dei templi definibili "siriani", monocellulari a sviluppo longitudinale, che vengono eretti nel Bronzo Medio e restano in uso fino al Bronzo Tardo. Tra i più notevoli si citano il Tempio 2048 di Megiddo e, nell'area A di Hazor, sull'acropoli, un tempio simile, anche se meno imponente, che, quasi sicuramente, come ad Alalakh e a Megiddo durante il Bronzo Medio, sorgeva nei pressi del palazzo reale. Sempre a Hazor, nell'area H, presso il limite settentrionale della città bassa, sviluppo longitudinale aveva un altro tempio, nel quale però lo spazio interno era suddiviso in modo tale da determinare vani più larghi che lunghi. Esso subì rimaneggiamenti durante le fasi in cui rimase in uso. Ai templi monumentali e simmetrici di Megiddo, Sichem e Hazor sono da aggiungere quelli eretti nei luoghi di culto di piccole comunità quali quelli di Tell Kittan, nella valle del Giordano, e a Tell el- Hayyat, ad est del medesimo fiume, costruiti nel BM II; entrambi sono a megaron, monocellulari e con entrata in asse. L'origine dei maggiori templi sopracitati è da ricercare negli edifici sacri di Siria del BM I e II, in particolare in quelli di Ebla, che costituiscono l'espressione di una tradizione che fu sentita fino all'età del Ferro II. Pur rimanendo in uso i templi monumentali del BM, le città di Palestina si espressero anche con nuove fabbriche, nel Bronzo Tardo e Ferro I (1500- 1000 a.C. ca.), che presentano numerosi elementi di differenziazione. Si mantiene, nondimeno, la tradizione dei luoghi di culto aperti: esemplare è quello nell'area F di Hazor (strati XIV-XIII: BT II), con una piazza pavimentata che sale ad una piattaforma. A Megiddo il Tempio 2048 subisce modifiche sostanziali durante il Bronzo Tardo ed il Ferro I, anche se è difficile stabilirne la data: due torri vennero costruite ai lati di un portico a due colonne. Assimilabili tra loro sono due edifici, costruiti nel Bronzo Tardo e caratterizzati dal fatto di avere il sancta sanctorum sopraelevato, il che ne costituisce una categoria a sé stante. Questi due edifici di Bet Shan e Lachish hanno in comune la divisione interna, le dimensioni e le proporzioni della grande cella, il sancta sanctorum elevato e raggiungibile tramite gradini, collocato in una nicchia architettonica, nonché alcuni elementi architettonici presenti nei due santuari (in particolare i capitelli delle colonne di pietra). Sempre alla fase BT-Ferro I appartiene una disomogenea serie di edifici sacri ognuno con caratteristiche proprie, entrata indiretta e pianta decisamente irregolare. Emblematici al riguardo sono il tempio di Tell Mevorakh e il Fosse Temple di Lachish; infine, di particolare interesse per il riferimento al culto filisteo sono i templi degli strati XI e X di Tell Qasile. Questi edifici sacri di pianta irregolare, pur nella loro disomogeneità, presentano non pochi elementi comuni: in molti casi non sono edifici indipendenti; hanno l'entrata angolare o indiretta che impedisce di vedere il sancta sanctorum dalla porta; hanno banchette lungo i muri; il tetto è sostenuto da colonne; il sancta sanctorum è una piattaforma sopraelevata; hanno stanze posteriori (tesoro o magazzini). È questo un tipo di tempio che si sviluppa nella terra di Canaan durante il BT, resta in funzione durante il Ferro I e viene adottato anche dai Filistei; in esso è forse ravvisabile qualche analogia con templi del XIII sec. a.C. del mondo egeo e di Cipro, ma non è escluso che la terra di origine sia proprio la Palestina. Un'ulteriore categoria, non assimilabile a nessuna di quelle finora esaminate, comprende templi piccoli e con entrata diretta; questi sono stati individuati nell'area C di Hazor (Tempio delle Stele), nello strato XII di Tell Qasile e, forse, a Timna. Questi tre templi possono considerarsi un sottotipo di quelli monumentali simmetrici, con accesso diretto alla statua divina. Durante il Ferro II (X-VI sec. a.C.) scarsi sono in Palestina gli esempi di architettura sacra e tutti con caratteristiche a se stanti. Il più noto è indubbiamente il tempio di Gerusalemme, di cui non restano dati archeologici significativi, ma solo l'ampia descrizione che ne dà la Bibbia, che lo vuole costruito da maestranze fenicie (I Re, 6, 1-34); esso era di pianta rettangolare, di grandi dimensioni (25 × 50 m). L'ingresso in asse avveniva attraverso una grande stanza porticata; la cella terminava nel sancta sanctorum, vano perfettamente cubico, e questo era separato dalla cella tramite un tramezzo o forse una struttura leggera. Il paragone più prossimo l'edificio lo ha con il tempio di Tell Tainat e appartiene quindi ai templi di tradizione nord-siriana. Nel tempio di Gerusalemme è singolare la presenza dello stretto corridoio che ne circonda il perimetro (ayerat). Perso dunque il tempio di Gerusalemme, l'unico tempio israelita conosciuto in Giudea è quello sepolto nella cittadella di Arad, con corte a cielo aperto divisa in due settori e con altare per offerte combuste. Da un'analisi dell'orientamento dei templi di Palestina si è notato come non sia stata seguita un'indicazione costante: la maggior parte dei templi è orientata verso ovest, ma esistono numerose varianti. Così sono emerse due linee parallele nell'evoluzione dell'architettura sacra di Palestina: i templi a pianta simmetrica e con accesso diretto, monumentali, costituiscono la categoria maggiore con linee di sviluppo interno che procedono dal Calcolitico fino al Ferro II. Essi sono per lo più indipendenti e racchiusi in un temenos, ma in alcuni casi esiste un legame con il palazzo. Difficilissimo è individuarne la titolarità. Questa categoria, ispiratrice della costruzione del tempio di Salomone, ha come sottospecie i piccoli templi con accesso diretto. La grande varietà di tipi rappresentata dai templi del BT e del Ferro I, è risultante, forse, della varietà di composizione delle popolazioni di Palestina, etnicamente differenti e apportatrici di proprie tradizioni.
La documentazione più completa dell'architettura sacra di Anatolia è quella riportata alla luce nella capitale hittita e in fase con l'ultimo periodo di vita della città del BT. Rare e incomplete sono le testimonianze riferibili all'Antico Regno hittita, mentre quelle del Grande Regno mostrano i segni di un'evoluzione compiuta in un percorso di cui non si è individuato il punto di partenza. A Khattusha sono stati individuati ben ventinove templi che confermano una grande omogeneità di formulazione planimetrica. L'edificio maggiore, il Tempio I (XIV-XIII sec. a.C.), sorgeva nella città bassa e costituiva il più articolato dei complessi sacri, nel quale il tempio vero e proprio occupava la parte centrale. Era a doppia titolarità e vi si veneravano il dio Tarhunta e la dea solare di Arinna; si sviluppava su una superficie di 140 × 160 m. Numerosi vani lunghi e stretti determinavano il recinto all'interno del quale sorgeva il tempio che aveva le costanti degli altri santuari cittadini: entrata monumentale articolata in tre vani in successione, grande corte centrale e cella più grande di tutti gli altri ambienti chiusi. Nel Tempio I le celle sono due ed una conservava la base della statua divina presso il muro di fondo. Peculiari dell'architettura sacra hittita sono le numerose finestre, che si aprono anche nell'adyton; il settore è formato dalla cella, dall'antecella e il vestibolo è preceduto da un largo portico d'entrata. Nella corte era ospitata una piccola edicola, elemento questo attestato sporadicamente in altri templi. Il Tempio I era il santuario maggiore della città e il più importante. Tutti gli altri edifici sacri sorgevano nella città alta meridionale e, pur presentandosi secondo planimetrie apparentemente diverse, determinate dal diverso aggetto dei numerosi vani, ripropongono le costanti cui si è accennato sopra: hanno tutti entrate monumentali, in due casi (Tempio III e V) enfatizzate da scalinate di accesso; elemento centrale è sempre la corte su cui si affacciano gli ambienti, anche se mediati da portici a pilastri; in particolare la zona porticata è sempre davanti al portale d'accesso dall'esterno. La variante dell'edicola è presente solo nella corte del Tempio V che, peraltro come il Tempio I, ha due celle, ma non disposte parallelamente tra loro. Tutti i templi hanno un elevato numero di ambienti, evidentemente non tutti funzionali al culto, ma anche alla vita dei sacerdoti e all'immagazzinamento dei beni. L'ambiente maggiore è sempre l'adyton, che non si trova mai sull'asse longitudinale del tempio ma leggermente spostato. La posizione, con l'eccezione del Tempio IV, è dominante l'area circostante; in particolare il Tempio I era eretto su una terrazza formata da blocchi di pietra. I templi II, III e IV sfruttavano terrazze naturali ampliate e regolarizzate artificialmente. Le edicole dei templi maggiori hanno entrambe la porta che si apre di fronte al portico relativo al passaggio alla cella; l'uso di queste edicole, anche se non ancora chiarito, doveva essere sicuramente finalizzato al culto. Gli scavi in altri centri anatolici hanno riportato alla luce, in particolare, i templi di Yazılıkaya e di Ku¸saklı (l'antica Sarissa); in quest'ultimo centro il santuario ha forti analogie con le fabbriche sacre di Khattusha. Gli elementi propri dell'architettura sacra di Khattusha si ritrovano anche nel particolare santuario rupestre di Yazılıkaya, a 2 km circa dalla capitale. In questo sito, già precedentemente consacrato al culto, il successore di Tudkhaliya IV (1250-1220 a.C.) creò un santuario sfruttando le camere naturali entro la roccia e inglobandole in un settore costruito secondo gli schemi già noti nella capitale; da un portale monumentale articolato in due ambienti larghi e fiancheggiato da due coppie di vani si passava, tramite una scalinata, alla corte rettangolare con edicola in un angolo. Da qui un vestibolo porticato immetteva nel sancta sanctorum ricavato in un corridoio naturale (camera A) delimitato da rocce su cui erano ricavati rilievi riproducenti, in due cortei convergenti, le divinità maschili e femminili del Pantheon khurrita. Due camere minori (B e C) erano ricavate in altrettanti anfratti rocciosi. Sui lati della corte, costruita, si aprivano vani di taglio regolare che, complessivamente, andavano a formare aggetti nella facciata ovest. Dopo la caduta del Grande Regno hittita le sue tradizioni culturali sembrano andare totalmente perdute e all'interno dei regni che si formarono tra la fine dell'XI e la metà del X sec. a.C. e che vengono definiti "neohittiti", le tradizioni architettoniche non mostrano alcun punto di contatto con quanto elaborato nei secoli XIV e XIII nei centri hittiti, ma si rifanno piuttosto alla tradizione siriana.
Mesopotamia:
H. Frankfort - S. Lloyd, Presargonid Temples in the Diyala Region, Chicago 1942; E. Heinrich, Die Tempel und Heiligtümer im alten Mesopotamien, Typologie, Morphologie und Geschichte, Berlin 1982.
Siria:
C.-F.A. Schaeffer, Ugaritica I. Études relatives aux découvertes de Ras Shamra, Mission de Ras Shamra III, Paris 1939; C.L. Woolley, Alalakh: an Account of the Excavations at Tell Atchana in the Hatay, 1937-1949, London 1955; J.- Cl. Margueron, À propos des temples de Syrie du Nord: sanctuaires et clergés, Strasbourg 1986, pp. 11-38. Palestina: Th. Busink, Der Tempel von Jerusalem, Leiden 1970; B. Hrouda, Die "Megaron" Bauten in Vorderasiens, in Anadolu, 14 (1972), pp. 1-14; A. Ben-Tor, Plans of Dwellings and Temples in Early Bronze Age Palestine, in ErIsr, 11 (1973), pp. 97-98; Z. Herzog, Broadroom and Longroom Haus Type, in TelAvivJA, 7 (1980), pp. 86-88; M. Ottosson, Temples and High Places in Palestine, Uppsala 1980; A. Biran (ed.), Temples and High Places in Biblical Times, Jerusalem 1981; J. Dunayersky - A. Kempinski, The Megiddo Temples, in ZDPV, 89 (1983), pp. 161-86.
Anatolia:
K. Bittel - R. Naumann, Yazilikaya. Architektur, Felbilder, Inschriften und Kleinfunde, Lepzig 1941; Iid., Boğazköy-Hattusa I, Architektur, Topographie, Landeskunde und Siedlungsgeschichte, Stuttgart 1952; P. Neve, Hofturme in den hethitischen Tempeln Hattushas, in IstMitt, 17 (1967), pp. 78-92; M. van Loon, Anatolia in the Second Millennium B.C., Iconography of Religion, XV, Mesopotamia and the Near East, 12, Leiden 1985.
di Lorenzo Nigro
Lo sviluppo di un'architettura funeraria nel Vicino Oriente antico è un fenomeno legato direttamente alla progressiva affermazione della società urbana complessa e all'emergenza di classi dominanti che tendono a distinguersi in modo chiaramente visibile anche in ambito funerario. Monumenti spesso isolati nello spettro diacronico o geografico testimoniano l'esistenza di diverse tradizioni nell'edilizia funeraria, la cui articolazione storica è ancora difficile da cogliere a causa della disomogenea distribuzione spazio-temporale dei ritrovamenti. Le prime attestazioni di monumenti funerari nel Vicino Oriente antico risalgono al periodo protostorico, vale a dire a quella fase d'urbanizzazione incipiente nella quale la struttura sociale e politica della città non si è ancora pienamente affermata, eppure già esistono classi dominanti per le quali l'ideologia funeraria è un elemento fondante nel proprio sistema di riferimento religioso e politico. D'altra parte già alcune testimonianze del periodo neolitico, come la nota torre di Gerico, sono state da alcuni considerate legate ad aspetti funerari. Non è un caso che due dei maggiori monumenti del complesso sacro di Uruk, la prima grande città del Vicino Oriente, il Riemchengebäude nello strato VI dell'Eanna, e, soprattutto, lo Steingebäude, intenzionalmente interrato alla base della collinetta di Kullab, sede del tempio del dio Anu, siano stati considerati cenotafi, edifici eretti in memoria di importanti personaggi defunti, ovvero dove potessero svolgersi rituali di tipo funerario, atti a rinnovare la vita. Entrambe le strutture hanno una planimetria rettangolare e una suddivisione interna labirintica, ma solamente il secondo è costruito in pietra (fatto inusuale nella città mesopotamica e indice della grande importanza ad esso attribuita dai costruttori) ed è stato ritrovato con l'ingresso intenzionalmente bloccato.
Nel III millennio a.C. tombe costruite di carattere monumentale non sono note, anche se la ricca sepoltura del principe di Arslantepe, datata alle soglie del III millennio a.C., e 13 tombe a fossa di Alaca Hüyük, coperte da tavole lignee su cui erano stati ritualmente deposti crani e zoccoli di bovini, contenenti ricchissimi corredi con vasi d'oro, gioielli, diademi e specialmente stendardi, probabilmente ornamenti di carri, testimoniano la floridezza di una società stratificata nella quale il controllo dell'industria metallurgica fu uno degli elementi caratterizzanti la prima fioritura urbana. Come l'analoga necropoli di Horoztepe, le tombe di Alaca Hüyük si datano nell'ultimo quarto del III millennio a.C. Nel II millennio i regni anatolici prima e quello hittita dopo sono governati da aristocratici che danno grande importanza all'autorappresentazione nell'edilizia funeraria, come è testimoniato dalla capitale Khattusha/Boğazköy. Lo stesso vale per la dinastia dei sovrani del regno di Urartu nei primi secoli del I millennio, per i quali, tuttavia non si hanno ancora testimonianze dirette. Nel breve periodo in cui si colloca la massima fioritura del regno dei Frigi (fine VIII - inizi VII sec. a.C.), nel cuore dell'Anatolia, abbiamo la straordinaria testimonianza del tumulo di Gordion, il cui nucleo, foderato da una complessa struttura di travi lignee alternate a paramenti in blocchi di pietra, celava una camera rettangolare nella quale era stato stipato un ricco corredo di vasi metallici di pregiata fattura. Si tratterebbe del mausoleo reale di Mita di Mushki, il re Mida delle fonti classiche.
La documentazione della Mesopotamia protodinastica (2900- 2370 a.C.) è varia e mostra tuttavia una netta differenziazione tra la popolazione comune, per la quale si adotta per tutto il III millennio a.C. la sepoltura terragna, spesso al di sotto dei pavimenti delle case e comunque all'interno dell'area urbana, e le classi dominanti, che invece scelgono settori dell'abitato in prossimità dei templi cittadini, per impiantarvi ampie necropoli principesche. A Ur il Cimitero Reale è forse il più noto dell'antico Oriente. Si tratta di più di 1850 tombe, che datano dal Protodinastico I all'età neosumerica, localizzate nell'estremo settore sud-orientale del recinto sacro neobabilonese del santuario di Nanna/Sin. Le tombe sono scavate in profondità, con fosse rinforzate da pietre e assi di legno, in un terreno di scarico, per cui è stato molto difficile chiarirne la stratigrafia. L'accesso è attraverso un pozzetto, ovvero, nelle tombe più monumentali, un dromos. Le più antiche appartengono ai sovrani della I Dinastia di Ur e, all'epoca in cui vennero scavate, si trovavano immediatamente fuori del recinto sacro. Sedici sepolture sicuramente reali hanno restituito corredi ricchissimi. Fra queste veramente straordinarie sono le tombe del re Mesanepadda (del quale è stato ritrovato il sigillo), del principe Meskalamdug, con il proprio caschetto d'oro, del sovrano Abargi e della principessa Pu-Abi. Si tratta di camere ipogee foderate di assi di legno e di muri in pietra, non più grandi di 3 × 2 m, precedute da un ampio dromos, lungo più di 12 m e largo fino a 6 m. Il dromos, pavimentato in terra battuta, era lo spazio impiegato per il rituale funerario, dove, nel caso di Abargi e Pu-Abi erano stati sepolti nell'ordine soldati equipaggiati di elmetti e lance, carri con bovidi ed equidi, aurighi e stallieri, decine di attendenti, ancelle riccamente adornate e guardie. Altri esempi di tombe protodinastiche si hanno nei siti della regione del fiume Diyala: in particolare la necropoli di Khafagia ha restituito 28 tombe costruite con murature ipogee in pietra chiuse a falsa volta e corridoio o pozzo d'accesso. Tali caratteristiche strutturali evidenziano l'esistenza di una forte differenziazione sociale. Per quanto riguarda la Mesopotamia settentrionale, nella vasta necropoli di Tepe Gawra (livelli XIX-VIII), con circa 400 tombe (313 di fanciulli), 217 a incinerazione in vasi e 137 a inumazione; solamente 8 tombe sono costruite con una semplice struttura muraria perimetrale. Nel periodo accadico le tombe sono spesso costruite in mattoni o circondate da pietre e contengono uno o più inumati. Alla fine del millennio, il grande impegno costruttivo dei sovrani della III Dinastia di Ur (2112-2004 a.C.) si riflette anche nell'edilizia funeraria, come mostrano i mausolei eretti nella regione già occupata dal Cimitero Reale del recinto sacro del Santuario di Nanna/Sin. Come per altri monumenti funerari vicino-orientali non è stato chiarito se si tratti di cenotafi o di ipogei destinati ad ospitare le spoglie dei sovrani, mai utilizzati per circostanze a noi ignote. Il mausoleo maggiore, edificato da Shulgi, è un edificio rettangolare (35 × 27 m), con gli angoli orientati come gli altri del recinto sacro secondo i punti cardinali. Ad esso durante il regno di Amar-Sin furono aggiunti a nord-ovest e a sud-est due corpi di fabbrica minori di planimetria simile, ma di dimensioni ridotte. L'ingresso si apre sul lato nord-orientale, spostato verso est, e introduce in un ambiente centrale quadrato che distribuisce la circolazione in una serie di vani rettangolari. Sul lato nord-occidentale è aggiunta una seconda fila di vani, probabilmente destinati allo svolgimento dei rituali funebri. Il perimetro esterno dell'edificio, interrato per più della metà della sua altezza (7,5 m), è articolato con nicchie e lesene; le murature sono a bastioni, con la faccia esterna leggermente inclinata e gli angoli stondati. Il piano inferiore interrato inglobava due camere ipogee accessibili attraverso un dromos, poi murato, contenenti numerose sepolture. Gli ipogei avevano murature di 3,4 m di spessore che si chiudevano in alto con una falsa volta forse rinforzata da strutture lignee. Al momento del saccheggio della città da parte degli Elamiti i mausolei furono distrutti e le sepolture violate. I resti hanno tuttavia permesso di ricostruirne la sontuosa decorazione interna, con rivestimenti lignei decorati da foglie d'oro, lapislazzuli, agata. I soffitti erano decorati con rivestimenti di lapislazzuli e oro imitanti la volta celeste e gli astri. Un altare con rivestimento in oro e bitume serviva presumibilmente per bruciare olii profumati, che percolavano dal mausoleo superiore nel sottostante ipogeo. I mausolei reali della III Dinastia, sebbene abbiano subito un violento saccheggio, sono tra i più importanti monumenti funerari della Mesopotamia. La planimetria, che riproduce quella di una residenza regale, mostra come la tomba fosse considerata l'abitazione per la vita ultraterrena. Nel II millennio a.C. le testimonianze dalla Mesopotamia sono numerose e mostrano una frequenza relativamente maggiore dell'uso di tombe costruite rispetto alle altre aree del Vicino Oriente. Una delle necropoli più rappresentative è quella di Assur, la capitale dell'Assiria, dove in età medioassira, cioè dalla metà del millennio, accanto a numerose tipologie di tombe a fossa si distinguono due tipi di tombe costruite. Si tratta di camere ipogee in mattoni crudi (nel caso di committenza ordinaria) o cotti (nel caso di personaggi di rango) con copertura a falsa volta e accesso attraverso una scala o un dromos in asse con il lato lungo della tomba. A volte gli ipogei si articolano in più camere. A est solamente Nuzi ha restituito qualche caso isolato di tomba costruita, mentre la tipologia domina decisamente nei centri meridionali (Ur, Nippur, Borsippa, Isin, Larsa), in particolare nelle residenze delle classi medioalte. Anche qui si tratta di camere ipogee rettangolari voltate, cui si accede attraverso un ripido corridoio, assai spesso realizzate in mattoni cotti, ovvero rivestite internamente di bitume, in modo da garantirne la impermeabilità. Per il I millennio a.C. sono note vaste necropoli dai maggiori centri della Mesopotamia meridionale, da Uruk a Ur, Nippur, Borsippa, Babilonia, dove generalmente i cimiteri si trovano in aree non edificate all'interno delle mura urbiche, spesso in prossimità dei santuari maggiori. La maggioranza delle sepolture è a fossa, mentre le tombe dei membri dell'aristocrazia e dei sovrani in particolare continuano ad essere localizzate sotto i settori residenziali dei palazzi. Questa tradizione è confermata dalla recente scoperta di alcune tombe di regine al di sotto della Sala 49 del Palazzo Nord-Ovest di Nimrud. La tomba della regina Tabaya ha restituito un corredo ricchissimo, con più di 10.000 pezzi di oreficeria minore e 119 pezzi maggiori d'oro e argento, insieme ad unguentari, boccette e strumenti da toletta. Il corredo personale della regina, la corona d'oro, i bracciali tempestati di pietre preziose fanno di questa tomba una delle più ricche di quelle mai ritrovate nel Vicino Oriente. Nonostante le numerose testimonianze iscritte ritrovate nelle tombe, non è stato ancora possibile chiarire se la regina fosse stata la moglie di Assurnasirpal II o di Sargon II.
Un capitolo a parte è costituito dalle necropoli rinvenute nell'isola di Bahrain (l'antica Dilmun). Estese necropoli della fine del III millennio a.C. sono note a Sar el-Gisr e nelle vicinanze della città di Rifaa; nello stesso periodo si datano i grandi tumuli di Ali che, alti circa 15 m e con un diametro alla base di 30 m, sono tra le strutture più monumentali dell'archeologia del Golfo Persico; non stupisce dunque che nell'Epopea di Gilgamesh (Poema di Enki e Ninkhursag) Dilmun fosse considerata l'isola dei morti. Comunque è nel II millennio a.C. che l'utilizzazione delle grandi necropoli con tombe in pietra a impianto circolare nell'isola di Bahrain raggiunge la sua massima estensione; nell'isola sono state scavate anche tombe di età neoassira e achemenide (Qalat Bahrain, Janussan e Karzakan), che si contraddistinguono per l'inumazione in pithoi o in grandi bacini fittili. Una delle prime culture note nella penisola dell'Oman è la cultura detta "di Umm an-Nar" (2500-2000 a.C.), che è rappresentata principalmente da necropoli con monumentali tombe circolari costruite in lastre di pietra, con un diametro oscillante tra 5 e 13 m, suddivise internamente da camere sepolcrali in numero compreso tra due e dieci. In questa regione l'architettura funeraria subisce un nuovo sviluppo nel periodo detto Wadi Suq (2000-1300 a.C.), con una serie di esiti monumentali della tipologia ad impianto circolare. Le tombe collettive più note sono quelle di Shimal, Ghalihah e Khatt, caratterizzate dalla fisionomia allungata e dalla presenza di una massiccia spina centrale. SIRIA Anche la Mesopotamia settentrionale e la Siria alla metà del III millennio a.C. hanno restituito importanti testimonianze di architettura funeraria. Tra le scoperte più recenti si annovera il ritrovamento di un'estesa necropoli principesca della seconda metà del III millennio a.C. a Tell Banat, sull'Eufrate, notevole sia per i corredi sia per le caratteristiche architettoniche. Le tombe sono camere ipogee scavate nella roccia e coperte con grandi lastre monolitiche. La struttura planimetrica si articola ai lati di un corridoio di distribuzione con varie camere destinate al corredo e una per le inumazioni. Analogamente interessante è, dal punto di vista architettonico, la tomba reale a doppia camera scoperta sotto i pavimenti del settore residenziale del Palazzo Reale G a Ebla. Costruita con blocchi squadrati di calcare bianco, era coperta da una falsa volta, della quale resta solamente l'attaccatura in pietra (la chiusura in alto era invece in mattoni crudi). A causa dello stato di conservazione non è possibile sapere se questa tomba sia stata utilizzata oppure fosse pronta per l'impiego al momento della distruzione della città da parte degli Accadi (2300 a.C.). Tombe simili all'ipogeo reale di Ebla, più recenti e costruite interamente in mattoni, sono state scoperte a Tell Biya (antica Tuttul) al di sotto del Jungen Palast, e a Mari, sotto le pavimentazioni del Palazzo dei Governatori del XXII sec. a.C. L'ipogeo di Tuttul è delimitato da un muro su tutti i lati e chiuso da una falsa volta con un'apertura al centro. La tradizione degli ipogei costruiti al di sotto delle pavimentazioni di edifici palatini prosegue anche nei primi secoli del II millennio a.C. a Mari, come testimoniano alcune tombe gentilizie. Tuttavia, accanto all'elemento più propriamente palatino, che impiega questi ipogei, è presente una classe militare che invece ha necropoli proprie, come mostra la ricca necropoli di Baghuz, sulla sponda opposta dell'Eufrate. Le tombe sono scavate nella roccia riutilizzando le cavità naturali presenti lungo i fianchi di un wādī e i corredi si contraddistinguono per l'eccezionale stato di conservazione dei reperti che consentono di datarle tra 1950 e 1750 a.C. La documentazione eblaita ha restituito le più ricche tombe della Siria amorrea, i cosiddetti Ipogei Reali di Ebla, realizzate riadattando una serie di cavità naturali e cisterne al di sotto dei pavimenti del Palazzo Occidentale. La più recente Tomba del Signore dei Capridi, databile tra 1750 e 1700 a.C., è composta da due camere e vi si accedeva originariamente tramite un pozzetto. Nell'anticamera era originariamente disposto il corredo vascolare, simile nella composizione a quello della Tomba della Principessa, e resti di un carro, mentre la seconda camera, in realtà una cisterna semicircolare riutilizzata, ospitava l'inumazione, alcuni piatti con offerte alimentari e importanti oggetti simbolici della regalità, tra i quali oltre ad armi, i resti degli elementi decorativi di bronzo di un trono configurati in forma di capridi, un talismano in avorio con figurine applicate, nel quale è raffigurato il banchetto funebre, e lo scettro del faraone Harnerjhotef Hotepibra, che regnò tra 1770 e 1760 a.C. Spostandosi verso sud, a Hama, sono state ritrovate a qualche centinaio di metri dall'acropoli della città tombe a camera sotterranea realizzate riadattando cavità sotterranee e dotandole in genere di un dromos. Analoghe strutture funerarie sono documentate nella regione di Homs, con ricche deposizioni rinvenute a Qatna (Tomba I). Sulla costa, le tombe ipogee di Ugarit e la sepoltura multipla scoperta a Tell Sukas a sud di Lattakia illustrano la fine del Bronzo Medio II, mentre per avere corredi del periodo precedente si deve scendere fino in Libano, con le tombe recentemente scoperte a Beirut, con numerosi oggetti di bronzo e vasi in alabastro e quelle di Ruweise, Lébéca, Kafer Giarra e Qrayé, vicino a Sidone. Un caso a parte è naturalmente rappresentato dalle nove tombe reali di Biblo, che si dispongono a semicerchio oltre il limite nord-occidentale della città, sul pendio rivolto verso il mare. Si tratta di camere accessibili attraverso un pozzo verticale che può raggiungere la profondità di 5 m. L'area delle tombe doveva essere coperta da una struttura simile ad una maṣṭaba. Le spoglie dei defunti erano deposte, secondo l'uso egiziano, in monumentali sarcofagi di granito, chiusi con grandi lastre munite di quattro prese. La ricchezza e la complessità dei corredi e la monumentalità delle tombe testimoniano lo status del tutto particolare che la città di Biblo ebbe come porto preferito dall'Egitto nella costa del Levante. Dopo gli sconvolgimenti politici che segnano la fine del Bronzo Medio, le tradizioni funerarie subiscono alcune trasformazioni. Nella Siria nord-orientale le tombe costruite restano una esclusiva caratteristica delle residenze principesche e la massa della popolazione si avvale di sepolture a fossa (si adottano anche in quest'area le tipologie viste per la Mesopotamia settentrionale ad Assur), variamente dotate di fodere in pietra o in mattoni. Esemplare è da questo punto di vista la necropoli medioassira di Tell Chuera. In Occidente prende sempre più piede la tipologia della tomba ipogea con corridoio di accesso a gradini, impiegata come tomba familiare da più di una generazione. L'esempio più eclatante di questa tradizione è rappresentato dalla città di Ugarit, nella quale non soltanto il palazzo reale, ma anche le residenze dei mercanti e quella del gran sacerdote sono dotate di ipogei costruiti secondo tale tecnica. Il ripido corridoio d'accesso, in genere chiuso da una lastra, introduce in una camera coperta da una falsa volta costruita in blocchi squadrati rifiniti dopo la messa in opera. Piccole nicchie per le lucerne si aprono sui lati lunghi della camera sepolcrale. All'interno le deposizioni venivano sovrapposte e i corredi, assai ricchi, comprendevano oltre al comune repertorio di vasi ceramici, anche ceramica dipinta importata da Cipro o dall'Egeo (pissidi micenee, brocchette cipriote), unguentari in alabastro dall'Egitto, sigilli cilindrici, gioielli, armi e suppellettili in bronzo e arredi in avorio, dando così testimonianza dell'intensa attività economica e dei contatti commerciali degli abitanti del porto siriano. Anche il palazzo di Alalakh IV (1450 a.C.), ha restituito una tomba ipogea analoga a quelle di Ugarit localizzata al di sotto della Stanza 17. Nel I millennio a.C. l'affermazione in Siria e Libano del rito dell'incinerazione e, conseguentemente, della sepoltura entro olle biconiche o urne fittili ha come conseguenza una forte diminuzione delle attestazioni delle tombe costruite, che restano appannaggio della sola classe dominante. Tale tradizione si conserva solamente lungo la costa, dove è rappresentata in età persiana dalle due tombe monumentali di Amrit.
Le testimonianze relative al III millennio a.C. possono solo marginalmente essere incluse in un excursus sull'architettura funeraria. In questa regione, infatti, dove il modello urbano si era a fatica affermato attorno alla metà del millennio, le sepolture continuarono ad essere effettuate in cimiteri extramurali, in genere in tombe a camera familiari scavate nella roccia, con ricchi corredi ceramici nel BA II e III (Gerico, Tell el-Farah Nord, Tell es-Saidiyeh). Gli scavi e l'esplorazione archeologica in Palestina hanno restituito dati numerosi sui culti funerari durante il II millennio a.C. Nella prima parte del BM, tuttavia, non si conoscono tombe costruite e la sistemazione funeraria più monumentale resta quella in tombe rupestri scavate nella roccia, come quelle di Ain Samiya, località dove vi è una continuità d'occupazione tra BA IV e BM I. Nella fase finale del BM e all'inizio del BT (1650-1500 a.C.), mentre si compie il completo assoggettamento della Palestina alla dominazione egiziana, le città-stato governate da un'aristocrazia militare raggiungono il loro massimo splendore. I palazzi di quest'epoca, come confermano le recentissime scoperte di Hazor, prevedono la presenza sotto di essi di monumentali tombe costruite in pietra destinate ad ospitare i membri della famiglia regnante. Nel I millennio a.C. il panorama offerto dagli scavi in Palestina è ampio e articolato. I cimiteri non sono più intramurali, ma si trovano al di fuori degli abitati, anche se in genere in prossimità di essi. Mentre lungo la costa prevale la tradizione delle sepolture a fossa, all'interno si preferiscono le tombe a camera scavate nella roccia, che si sviluppano anche in forme monumentali, come tombe rupestri con facciate monumentali. Nel Ferro II esempi di tombe rupestri monumentali si hanno nella necropoli di Silwan a Gerusalemme, nonostante le camere scavate nella roccia siano state successivamente abitate da monaci bizantini. Si distinguono tombe a camera singola, ovvero a camera preceduta da un andito d'ingresso, con arcosoli e a volte sarcofagi per le sepolture. Il gruppo di tombe più monumentali è costituito da tombe a dado, dove la camera è scavata interamente nella roccia. Le due tombe maggiori, caratterizzate dall'impiego di una cornice a gola concava di tipo egizio, sono quelle dette Tomba della Figlia del Faraone e Tomba del Maggiordomo. La presenza di iscrizioni sulla facciata consente di datare le tombe in un arco cronologico compreso tra l'VIII e il VI sec. a.C.
Anatolia:
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Mesopotamia:
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