L'architettura domestica nel mondo greco, etrusco-italico e romano
DI Ernesto De Miro
Non è senza significato che a Creta, dove la persistenza della civiltà minoico-micenea si fa sentire sin dentro il periodo geometrico-orientalizzante, è possibile cogliere forme complesse e definibili di abitazione già in epoca così antica. Dopo la fine del mondo miceneo, nel quadro di un nuovo assetto territoriale, siti e città del Protogeometrico (900- 810 a.C.), del Geometrico (810-700 a.C.) e dell'Orientalizzante (700-600 a.C.) si stabilirono sopra o in prossimità di insediamenti minoici.
Karphì, un insediamento risalente al Tardo Minoico IIIC, offre nell'organizzazione urbana, sino alla fine del X sec. a.C., una chiara testimonianza del sovrapporsi e del giustapporsi delle culture minoica e geometrica. È evidente il passaggio da un'urbanistica "agglutinante" di tradizione minoica ad un'urbanistica più recente, di concezione "geometrica" nella disposizione e nell'allineamento degli edifici, nella chiarezza planimetrica, nella rigorosa ortogonalità dei muri dei singoli ambienti, che determinano sia il tipo a semplice oikos rettangolare sia il tipo ad ante di lontana ascendenza elladica. Molto vicino al settore orientale di Karphì nella sua concezione è il complesso geometrico di Kavousi, piccolo insediamento montuoso di età protogeometrica e geometrica dominante l'istmo di Hierapetra, in cui sono stati messi in luce ambienti rettangolari del tipo long-house, Breithaus e oikos semplice, dei quali restano i muri di fondazione in pietre irregolari legate con argilla. Il continente greco e le isole egee offrono esempi di non sempre facile lettura. Accanto ai più comuni edifici a pianta rettangolare sono attestati edifici con andamento curvilineo in età protogeometrica, come a Nichoria, in Messenia (X-IX sec. a.C.), ad Antissa (X-VIII sec. a.C.) o a Lefkandì, in Eubea (X-IX sec. a.C.). In età geometrica domina l'edificio rettangolare più o meno allungato, ad oikos o ad ante. Abitazioni a pianta rettangolare allungata con un complesso a più ambienti quadrati disposti intorno ad un cortile sono conosciute a Tsikkolario, nell'isola di Nasso, mentre sull'isola di Donoussa, sede di una colonia commerciale greco-orientale, diverse piccole case di uno o due ambienti hanno restituito ceramica del Geometrico medio. Ad Emporion, nell'isola di Chio, gli edifici abitativi sono caratterizzati dalla presenza del vestibolo e dalla bipartizione interna con colonne, come, in particolare, nel cosiddetto Megaron Hall, di notevoli dimensioni, nel quale è stato riconosciuto il palazzo del monarca di questo piccolo centro. A Zagora, nell'isola di Andros, sul modesto abitato domina la casa con pianta ad H fornita di due cortili, probabilmente il palazzo del signore. Ad Atene, in una zona compresa tra l'Areopago e l'Agorà, una casa a pianta ovale (11 × 5 m) databile entro il IX sec. a.C. sembra essere stata, nel corso del VII sec. a.C., trasformata in edificio sacro, secondo quanto indica un ricco deposito votivo, per il quale si è proposta l'identificazione con l'heroon di Akademos. Il sito di Latouresa può essere considerato un esempio dell'organizzazione di una piccola comunità attica tardogeometrica. L'area abitata, cinta da un muro spesso 1,5 m che si estende per 210 m con un'altezza massima di 1,5 m, comprende 24 piccole case e un santuario. Le case sono di forma curvilinea o a forma di oikos e di megaron; un'area libera a settentrione è dominata da una costruzione circolare (l'Edificio VIII) detta tholos, di carattere probabilmente sacro, e da un complesso asimmetrico di quattro vani, detto anaktoron, composto da un oikos rettangolare, da un vano absidato, da un piccolo locale rotondo e da un vano semicircolare aperto verso sud che potrebbe essere la residenza del capo (Lauter 1985). Il maggior numero di abitazioni (le case XIII-XXIV), con pianta curvilinea o rettangolare, fornite di banchina, si trova nella zona a sud.
In questo periodo, in cui l'architettura domestica appare defilata in un panorama dove domina quella sacra e pubblica, emerge con particolare spicco il tipo di casa a pastàs di cui precedenti significativi si possono cogliere a Thorikos. Particolarmente interessante, anche dal punto di vista dell'organizzazione urbanistica, è l'impianto di Egina con abitazioni connesse con il santuario; sulle vie di accesso si trovava un gruppo di tre case orientate in senso nord-sud e formate da due stanze affiancate e aperte sul vestibolo trasversale (pastàs). Simile risulta la Casa dei Sacerdoti a Delfi, posta entro il recinto del santuario di Marmarià, quasi annessa al tempio di Atena e anch'essa composta da due stanze aperte su un corridoio. Questa struttura di base appare più articolata in Attica, nella Casa dei Sacerdoti del demo di Vouliagmeni, presso il temenos di Apollo Zoster.
Con l'età classica aumentano sia le testimonianze letterarie che la documentazione archeologica sull'edilizia privata in Grecia. La grande semplicità e modestia delle abitazioni intorno all'Acropoli di Atene trova testimonianza in Senofonte (Mem., III, 6, 14), dove si menzionano le 10.000 case che affollavano la città, nonché in un frammento più tardo di Eraclide Critico, che descrive le strade strette e tortuose, le case vili e scomode, indegne della famosa polis degli Ateniesi (FHG, II, p. 264). Al contrario, la descrizione platonica della grande e ricca casa di Callia al Pireo (Prot., 310b-c; 314-316b) e l'orazione di Lisia per l'uccisione di Eratostene (I, 9-14), con la descrizione più precisa della casa di Eufileto (I, 22-24), offrono la possibilità di ricostruire rispettivamente l'abitazione urbana propria della ricca aristocrazia e quella della borghesia ateniese tra V e IV sec. a.C. Le scoperte archeologiche attestano la fortuna in questo periodo della casa a pastàs accanto a quella comune con cortile centrale. Sono meglio conosciute le abitazioni di Atene e le case di campagna dell'Attica. Per le prime, citiamo le case scoperte nel distretto dei marmorari nel quartiere di Melite, lungo la strada dell'Areopago, tra quest'ultimo e la collina della Pnice. Qui si distinguono in particolare due abitazioni (dette C e D) della seconda metà del V sec. a.C., di cui una grande di dieci ambienti, con cortile centrale, ampliata nel IV sec. a.C. con un impianto artigianale. Nel V sec. a.C. ad Atene la casa a pastàs è la tipologia che caratterizza l'abitazione di prestigio, sia la "casa sacra" sia la casa di campagna preferita dalla ricca aristocrazia ateniese. Nel primo caso la testimonianza è fornita dall'edificio delle Arrephorai, lungo il muro settentrionale dell'Acropoli; nel secondo caso da due fattorie oggetto di scavi rigorosi: la Dema House e la fattoria di Vari, a carattere più residenziale che di installazione agricola. La Dema House, al centro di un esteso e fertile podere 12 km a nord-ovest di Atene, fu in uso nel penultimo decennio del secolo. Di notevoli dimensioni (22 × 16 m), è articolata su due piani, di cui quello inferiore comprende cinque stanze aperte sul portico colonnato della pastàs. La fattoria di Vari, il cui impianto risale al VI sec. a.C., con caratteri spiccatamente residenziali nel V sec. a.C. e produttivi nel IV sec. a.C., si trova nell'Attica meridionale, nell'antico demo di Anagyrous. Di dimensioni più contenute (17 × 13 m) e mancante del piano superiore, si direbbe di struttura semplificata, se non fosse per la doppia pastàs disposta sui due lati nord e sud e per la torre a due piani ricostruibile all'angolo sud-occidentale dell'edificio. Le nostre conoscenze sarebbero state maggiori se lo sviluppo urbanistico della città moderna non avesse impedito l'esplorazione del Pireo, dove comunque è ancora possibile riconoscere l'impianto ippodameo. Olinto, nella Calcidica, rappresenta una testimonianza eccezionale dell'organizzazione urbana di una città classica durante il volgere di appena tre generazioni, dalla ricostruzione sulla collina settentrionale nel 432 a.C. ad opera del re macedone Perdicca alla distruzione della città nel 348 a.C. per mano di Filippo II di Macedonia. La città in età arcaica occupava il limitato terrazzo (6 ha) della collinetta meridionale con un'embrionale organizzazione urbanistica; si estese quindi ad occupare, all'interno di un nuovo circuito murario, la collina settentrionale. Dopo la fine del V sec. a.C., con l'aumento della popolazione (da 7000 a 10.000 abitanti), la città si ampliò ulteriormente verso est, con un quartiere al di fuori delle mura. La casa tipo di Olinto, generalmente a pianta quadrata con lato di 17 m circa, comprende la stanza di soggiorno (oikos) con annessi il bagno e la cucina, l'andròn con anticamera, diverse stanze minori, una bottega con ingresso indipendente e, in particolare, un cortile con corridoio trasversale sul fondo (pastàs) con annessa una piccola camera, forse da identificare come locale per le provviste (tameion). Vi sono tre varianti, definite in base alla posizione dell'andròn: le case della parte meridionale dell'insula hanno l'andròn posizionato a sud come il cortile centrale, a cui si perviene attraverso uno stretto vestibolo; le case del settore nord dell'isolato presentano l'andròn a settentrione e il cortile accessibile dal lato opposto attraverso un corridoio chiuso; le case d'angolo hanno invece l'andròn alla testata e il cortile nelle due disposizioni. Presso l'angolo sud-occidentale del cortile si trova l'imposta della scala per il piano superiore, esteso su tre lati. Altro tratto caratteristico delle case di Olinto è un unico accesso dalla strada nel cortile, mentre in quelle più tarde si riscontrano accessi separati. Le ville suburbane presentano un impianto più complesso e ricco, adatto a soddisfare le esigenze utilitaristiche e residenziali, come è il caso della Villa dei Commedianti e della Villa della Buona Fortuna. Quest'ultima, a due piani, è composta da nove camere che si aprono sul cortile, monumentalizzato a peristilio, con una variante della pastàs che avrà fortuna in età ellenistica e romana; nella Casa dei Commercianti appare per la prima volta adottata la soluzione dell'impluvio mosaicato al centro del peristilio. Altro esempio di organizzazione urbana di età classica, per più aspetti vicina ad Olinto, è dato da Kassope, nell'Epiro. La prima organizzazione della città si può cogliere alla fine del V sec. a.C., con uno sviluppo nel IV sec. a.C. e una storia che continua nel periodo ellenistico- romano sino ad Augusto. Città medio-grande, era percorsa da 2 plateiai est-ovest e da 15 stenopoi nord-sud che determinano isolati di diversa lunghezza e larghi in media 30 m, contenenti complessivamente circa 500 case organizzate in insulae con coppie di abitazioni separate da ambitus, accesso diretto dalla strada sul cortile, su cui si aprono l'andròn all'angolo nord-ovest o sud-est e un oikos con focolare. Le abitazioni di Colofone ricalcano le case di Olinto, ma con tratti propri talora più rispondenti ad un abitato rustico. Sul pendio di una delle colline della città è stato scoperto un quartiere di case alle spalle della grande stoà angolare, che bordava due lati dell'agorà. Per la conoscenza della casa ellenistica punto di partenza è stato per lungo tempo la descrizione di Vitruvio (VI, 7), su cui A. Rumpf (1935) si basò per la sua nota lettura e restituzione delle case che componevano l'isolato della Maison des Masques di Delo. In verità la casa vitruviana non sempre regge al riscontro archeologico, anche recente, delle varie testimonianze sparse nel bacino del Mediterraneo, dalla Sicilia all'Asia Minore. Generalmente la casa ellenistica appare caratterizzata da una tendenza allo sviluppo orizzontale e dall'articolazione in tre distinti settori: a) gynaikonitis, con aulè centrale e pastàs o prostàs, oecus fiancheggiato dalle camere del thalamos e amphithalamos nella parte settentrionale, con altre stanze minori intorno al resto del cortile; b) andronitis, quartiere residenziale privilegiato, con peristilio colonnato e andròn a settentrione; c) hospitalia annessi ai lati dei settori principali della casa. A Delo il nuovo piano urbanistico, databile tra il 166 e il 69 a.C., presenta caratteri che sono stati definiti "anti-ippodamei", con le case distribuite in insulae, ma senza un vero reticolato di strade, generalmente strette, impervie anche se lastricate. La casa tipo presenta una struttura quadrata a due piani, che nelle abitazioni maggiori copre una superficie di 600 m², pertanto superiore a quella della casa tipo del periodo classico (200-300 m²), ed è caratterizzata dalla presenza del peristilio. Un esempio a parte è offerto dall'isolato della Maison des Comédiens, presso il quartiere nord della città, insolitamente regolarizzato. La attigua Maison aux Frontons, ristretta e a sviluppo verticale con pyrgos (torre), è stata riconosciuta come alloggio annesso riservato agli ospiti (hospitalia). Ben diverso è il caso di Priene nella Caria, esempio modello di città ippodamea medio-grande del tardo periodo classico; gli isolati comprendono due serie di quattro lotti lunghi e stretti, orientati nord-sud. La casa tipo di Priene presenta al centro un cortile quadrato con accesso diretto (o mediante un vestibolo) dalla strada, a nord del quale sono le stanze principali con oikos preceduto da prostàs (vestibolo) a nord-est e andròn a sud-est, mentre a sud sono i locali di deposito e di bottega con accesso indipendente.
La conoscenza delle abitazioni in Magna Grecia è piuttosto limitata, nonostante le recenti ricerche. Il modello è pur sempre quello greco, sin dal periodo altoarcaico. I più antichi esempi di edilizia privata, databili nella seconda metà dell'VIII sec. a.C., sono quelli messi in luce nell'Isola di Ischia (Pithecusa) in località Mazzola, con i resti di un complesso artigianale fatto di piccole stanze rettangolari e absidate, in una delle quali è stato identificato il thalamos. Tra la fine del VII e il VI sec. a.C. la colonia achea di Sibari, in località Stombi (su cui non si sono sovrapposte le strutture di Thurii), presenta un quartiere periferico, abitativo e artigianale, disposto in modo regolare. Qui si distingue una costruzione rettangolare (8 × 15 m) con un largo spazio libero a L su cui si aprono due stanze, l'una quadrata, l'altra rettangolare di dimensioni minori. Un discorso più organico può farsi per le case di età ellenistica, per quanto attiene all'organizzazione urbanistica, all'articolazione degli isolati in lotti e alla loro struttura interna. A Locri, in località Centocamere, esterna alla città vera e propria, le case sono generalmente semplici, di carattere abitativo- artigianale, con dimensioni che variano dai 120 ai 220 m², con gli ambienti disposti intorno ad un cortile; quest'ultimo ha forma ora rettangolare, ora quadrangolare, ora a L. Accanto alle case di tipo più semplice, si conta l'esempio più complesso e ricco della Casa dei Leoni, di 400 m², che ripropone la tipologia planimetrica della casa a pastàs, con l'ampio loggiato rettangolare che collegava il cortile alla parte abitativa settentrionale, in cui spicca un ambiente identificabile con l'andròn. Altri esempi ci vengono da Caulonia, dall'impianto regolare con una serie di isolati stretti e allungati, comprendenti sei lotti per ciascuna delle due metà divise da un ambitus; qui le case hanno la pastàs ad ovest anziché a sud, in rispondenza all'orientamento degli isolati. Meglio conosciuta è la casa greca in Sicilia, grazie a scavi che hanno sistematicamente affrontato tale specifico aspetto archeologico. Le testimonianze più antiche, dell'VIII sec. a.C., vengono da Megara Hyblaea, da Siracusa e da Eloro. Le abitazioni di Megara, nel quartiere dell'agorà arcaica, sono in genere composte da un singolo vano quadrangolare con focolare interno, aperto su uno spazio libero a sud; a questo, nel VII sec. a.C., si aggiunse un altro vano allineato sulla strada. Lo spazio su cui insistono le case ed alcuni piccoli ambienti annessi è delimitato dal recinto del lotto (120 m² ca.). Case quadrangolari, allineate secondo l'orientamento della strada e inserite in un isolato largo 25 m, sono venute alla luce a Siracusa, nel primo impianto coloniale di Ortigia; analoga situazione è stata riscontrata nelle fondazioni siracusane di Eloro e di Casmene. Nel VI sec. a.C. è documentato uno sviluppo dell'unità edilizia articolata in due o più vani che si affacciano su un corridoio trasversale, secondo una tipologia embrionale della pastàs riscontrata anche in Magna Grecia; così a Megara, a Naxos, a Selinunte (contrada Manuzza), a Monte San Mauro di Caltagirone. Per le case del V sec. a.C. non disponiamo di testimonianze monumentali di edifici di lusso, come indicherebbero le fonti letterarie a proposito di Siracusa e di Agrigento. Nella zona centrale di Naxos, in prossimità della Plateia A, gli isolati attestati sulle strade principali risultano divisi in quattro settori nel senso della lunghezza, ognuno dei quali comprendeva 12 lotti di 9 × 12 m ciascuno (48 unità abitative per ogni isolato). Le case sono modeste e presentano uno schema con articolato cortile di accesso dalla strada e stanze laterali che vi si affacciano. Di particolare interesse un'abitazione dell'isolato C4, di 180 m², in cui si individuano due cortili, l'uno interno confinante con l'ambitus, l'altro con accesso diretto dalla strada, sul quale si aprivano attraverso la pastàs gli ambienti a nord, mentre ai lati sono state identificate stanze di riunione e di banchetto. A Gela nell'organizzazione urbana dell'acropoli si individuano settori di isolato e strutture abitative. Le case presentano un particolare vano-recinto rettangolare, periferico e a contatto con la casa attigua, nonché un cortile a L lungo due muri perimetrali. Ad Agrigento gli esempi più notevoli di questo periodo sono attestati nel settore ovest della Collina dei Templi, nella zona sacra compresa tra il tempio di Zeus e il santuario delle divinità ctonie. Le abitazioni, evidentemente legate al funzionamento stesso dei santuari, presentano il vano bottega all'angolo, il cortile a L e vani maggiori a nord che si affacciano sul corridoio-pastàs. A Imera, dove l'impianto urbano datato dopo il 480 a.C. è formato da lunghi isolati in senso est-ovest divisi in due settori, si hanno prevalentemente case quadrate di 16 m di lato, con una dislocazione del cortile interno ora al centro, ora spostato verso la parte più interna dell'abitazione, presso l'ambitus. È completamente assente l'articolazione strutturale del loggiato-pastàs. Un esempio di continuità della casa di tipo classico nel periodo ellenistico del IV-III sec. a.C. viene da Agrigento, dallo scavo sulle pendici dell'acropoli in prossimità di Porta II. L'architettura domestica nel periodo ellenistico in Sicilia si può esemplificare come compresa tra due poli: Eraclea, colonia selinuntina, e Morgantina, centro interno nella valle del Dittaino. Questi, per differente situazione socioeconomica e politica, diversamente rispondono alle sollecitazioni della cultura ellenistica con manifestazioni architettonicamente significative o con soluzioni planimetrico-distributive scarnificate e meno permeate di tale cultura. A Morgantina, dopo la distruzione dell'abitato arcaico ad opera di Ducezio nel 459 a.C., la città venne ricostruita nella seconda metà del IV sec. a.C. con un regolare piano urbanistico. Nelle case è costante una struttura chiusa con distribuzione interna dei vani intorno ad uno spazio libero centrale, piccolo atrio, cortile o peristilio, a cui si accede dalla strada mediante uno stretto passaggio o vestibolo. Le case di impianto più antico, risalenti al IV-III sec. a.C., lasciano riconoscere, pur attraverso le modifiche successive, una struttura con cortile e pastàs a nord (Casa delle Monete d'Oro, Casa Pappalardo, Casa del Magistrato, Casa della Cisterna ad Arco). Nel III sec. a.C. predominante è la casa con peristilio, di cui l'esempio più noto è la Casa di Ganimede. È da osservare che anche a Morgantina si può assistere all'evoluzione della casa a pastàs nella casa a peristilio. Assai vicino all'esempio di Morgantina, nel contesto della penetrazione della cultura greca, è il centro indigeno di Monte Iato nella Sicilia occidentale, l'antica Iaitas. Tra importanti costruzioni di tipo greco, eccelle la cosiddetta Casa con Peristilio a Colonne, un'imponente costruzione a due piani con numerosi e vasti ambienti intorno al cortile, delimitato da un peristilio a doppio ordine, uno per ciascuno dei piani della casa. Le case di Eraclea Minoa del IV-III sec. a.C. hanno invece struttura semplice e compatta, con ambienti che gravitano intorno ad un atriolo o cortile centrale, con vano bottega all'angolo e talora con ambienti meglio decorati al piano superiore. Nel periodo tra la prima e la seconda guerra punica il lessico delle forme architettoniche offerto in Sicilia appare segnato anche nelle abitazioni da complesse influenze ellenistiche e italiche, a cui non rimarrà estranea l'esperienza formale di Roma.
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di Giuseppe M. Della Fina
Nel tracciare una sintesi dello sviluppo dei modi di abitare nel mondo etrusco-italico e romano è necessario segnalare in premessa alcuni limiti e condizionamenti dovuti alla storia degli studi. I dati di scavo sono numerosi per determinati periodi e scarsi per altri, altrettanto squilibrato è il rapporto fra le aree geografiche non indagate nella stessa misura. È conosciuto sufficientemente lo sviluppo delle abitazioni dei ceti più abbienti della società, mentre è lacunoso quello relativo alle dimore delle classi più povere. Gli scavi hanno interessato quasi sempre singoli edifici, trascurando il tessuto urbano di cui facevano parte, con significative eccezioni soggette, in quanto tali, al rischio di essere enfatizzate e di trasformarsi in modelli di una realtà che dobbiamo immaginare invece ben più ampia e diversificata. Inoltre va richiamata anche la divergenza notevole tra la concezione antica e la nostra: l'abitazione moderna è uno spazio privato riservato ai membri della famiglia, quasi isolato dalla sfera pubblica, mentre la domus antica costituiva un "centro di comunicazione sociale e di autorappresentazione" (Zanker 1993). Essa prevedeva al proprio interno ambienti di rappresentanza aperti ai visitatori e vani a carattere funzionale. Ad un orizzonte di VIII sec. a.C. risalgono le prime abitazioni documentate archeologicamente a Roma; le capanne rinvenute sul Palatino dovevano presentare una pianta ovale con l'alzato realizzato in fango, paglia e canne, rafforzato da pali di legno e impermeabilizzato da uno strato di argilla. La copertura era eseguita con gli stessi materiali e sostenuta da uno o due pali; un'apertura praticata in essa consentiva la fuoriuscita del fumo prodotto dal focolare. La porta si apriva in uno dei lati corti e, talvolta, era protetta da un portico poco profondo. Una canaletta tracciata lungo il perimetro esterno assicurava il deflusso delle acque di scolo. Va ricordato che la tradizione collocava proprio sul Palatino la casa Romuli, di cui si è recentemente proposta l'ubicazione presso il tempio della Magna Mater. Non esiste comunque un modello unico di capanna, come indicano bene i risultati di un interessante scavo condotto presso Tarquinia, in località Monterozzi: l'indagine ha restituito le tracce di 25 capanne, ma soltanto per 11 di esse è stato possibile ricostruire le piante, delle quali 4 ovali e 7 rettangolari. Le prime presentano una superficie di 80 m², le seconde di 35 m². All'interno delle abitazioni si riscontra di regola una partizione interna che ne isola il fondo all'altezza dell'ultima coppia dei sostegni: vi si può riconoscere il thalamos presente nella casa greca. A giudizio degli scavatori, la forma differente segnalerebbe una diversità di funzione e non di epoca, ma per altri studiosi la capanna rettangolare avrebbe affiancato e, alla lunga, sostituito quella ovale. La generalizzazione del tipo rettangolare sarebbe un portato del Villanoviano medio e recente. La contrazione dello spazio aperto segnalerebbe l'affermarsi della famiglia nucleare in luogo di quella allargata. La capanna a pianta circolare, forse più antica di ogni altra, è poco rappresentata nell'Etruria meridionale, mentre è ben attestata nel Lazio (un esempio rinvenuto a Satricum è stato datato al pieno VIII sec. a.C.) e nel territorio bolognese. Capanne a pianta ovale sono presenti nella Messapia (Cavallino), nella Daunia, nella Peucezia (Gravina, Monte Sannace), nella Lucania (Serra di Vaglio) e nel Bruzio (Francavilla Marittima). La capacità di adeguare le abitazioni al variare delle condizioni ambientali può essere testimoniata dal villaggio del Gran Carro (IX sec. a.C.), presso la sponda orientale del Lago di Bolsena: gli abitanti sostituirono le capanne con le palafitte per fare fronte all'innalzamento delle acque. Durante la successiva fase orientalizzante, a partire dal 670 a.C., si verificarono trasformazioni radicali nelle tecniche di costruzione e nelle tipologie abitative, sotto l'influsso di modelli greci e orientali, in coincidenza significativa con l'affermarsi del ceto aristocratico nelle aree più sviluppate della penisola, come l'Etruria. Si assiste al passaggio dalla capanna alla casa: i muri presentano ora il basamento in muratura e l'alzato in mattoni crudi o a telaio ligneo con tamponature di pietrame; i tetti di lì a poco saranno coperti con tegole disposte secondo il sistema misto laconico-corinzio, che prevedeva l'alternarsi di tegole e coppi, secondo un metodo attestato in Asia Minore, ma diffuso soprattutto in Sicilia. Nello stesso periodo si gettano le basi della coroplastica architettonica, finalizzata alla decorazione degli edifici civili e delle abianni recenti. L'ipotesi è stata avanzata sulla scorta dei risultati dello scavo di due centri dell'Etruria interna: Acquarossa (Viterbo) e Murlo (Siena). Le case di Acquarossa sono di due tipi: ad oikos con un grande vano rettangolare allungato (zona F, Casa G), oppure a tre vani affiancati paratatticamente in larghezza (zona G, case B e A). Quest'ultimo tipo è il più diffuso e può prevedere, sempre in presenza di un cortile sulla fronte, il vano centrale come vestibolo per gli altri due, nonché i tre ambienti comunicanti non tra loro, ma con un corridoio antistante. Questo secondo sottotipo è più innovativo e sembra ispirarsi ad esperienze greche. In entrambi, comunque, il mutamento nella direzione dell'asse di sviluppo, passato da quello longitudinale al latitudinale, segna una rivoluzione nell'impianto planimetrico e spaziale in grado di condizionare le innovazioni successive. Nei due centri sono stati scavati anche i palazzi dove risiedeva la gens che controllava il potere. A Murlo l'edificio sembra risalire alla seconda metà del VII sec. a.C., ma venne ricostruito completamente con una pianta diversa (o, almeno, meglio nota) intorno al 580 a.C. Una fastosa decorazione in terracotta ornava l'intero palazzo, che è stato confrontato con modelli orientali, come ad esempio quello cipriota di Vouni. La "reggia" di Acquarossa nel suo assetto finale, raggiunto negli anni 560-550 a.C., presentava due edifici tripartiti e porticati (A e C), disposti sui lati est e sud e collegati tra di loro da un'ulteriore struttura denominata B (una recente ipotesi che prospetta l'indipendenza strutturale e funzionale dei due edifici non sembra da accogliere). Il lato settentrionale era chiuso da altre costruzioni poco conosciute. Anche ad Acquarossa si fece largo ricorso alla decorazione fittile. Tali scoperte hanno consentito di comprendere meglio la stessa Regia di Roma. L'edificio, innalzato negli ultimi decenni del VII sec. a.C., venne ricostruito più volte, fino a raggiungere un impianto planimetrico destinato a durare e ad essere rispettato anche nel rifacimento augusteo dovuto a Domizio Calvino. La pianta prevedeva un ampio cortile (nel quale si può riconoscere il primitivo vestibulum dove si raccoglievano i clientes), in fondo al quale sorgeva il fabbricato articolato in tre ambienti; la stanza centrale fungeva da ingresso e consentiva l'accesso alle altre due, nelle quali è stato identificato il sacrarium di Ops Consiva e di Marte. Il ruolo di abitazione dell'edificio venne meno alla fine dell'età monarchica, quando prevalse la funzione cultuale. In proposito si deve ricordare che la Regia costituiva solo una parte di una dimora più ampia comprendente l'Atrium Vestae e la Domus Regis Sacrorum; la sua separazione dal resto del palazzo fu un atto politico della Repubblica. Il modello palaziale incontrò fortuna notevole lungo il VI sec. a.C. in Apulia e nella Lucania: le località di Cavallino, Monte Sannace, Rutigliano, Conversano, Canosa- Toppicelli, Lavello e Braida di Serra di Vaglio hanno restituito strutture riferibili a residenze principesche. Testimonianze sull'edilizia domestica dell'epoca sono offerte da due scavi recenti. L'équipe diretta da A. Carandini ha indagato le pendici settentrionali del Palatino, una delle zone nevralgiche di Roma abitata da esponenti delle élites aristocratiche. Le dimore scoperte erano inserite in un'area residenziale, avevano dimensioni rilevanti (800 m² ca.) e presentavano uno schema tipologico simile: profonde fauces davano accesso ad un ampio ambiente centrale scoperto, delimitato lateralmente da altri vani. Nella stanza rettangolare aperta sul lato di fondo si può riconoscere il tablinum, la cui presenza era ritenuta ormai necessaria. Un ambito del tutto diverso è quello documentato dallo scavo condotto da G. Camporeale presso il Lago dell'Accesa, nelle vicinanze di Massa Marittima. Le ricerche hanno portato alla luce settori di un abitato nato per iniziativa di persone legate a vario titolo allo sfruttamento delle risorse minerarie della zona. Le numerose abitazioni rinvenute risultano aggregate per quartieri distanti alcune centinaia di metri tra loro. Ognuno di questi presenta un proprio assetto urbanistico (le case sono riunite comunque in gruppi di una decina di unità) ed è affiancato da una necropoli. Le costruzioni hanno dimensioni differenziate: il numero dei vani varia da uno a sette, segnalando la presenza di un'articolazione sociale. Un'immagine ben definita di centro urbano è offerta da Cavallino, nella Messapia, dove a partire dal secondo quarto del VI sec. a.C. le case si sostituiscono alle capanne e l'agglomerato viene cinto di mura. La tipologia delle abitazioni è ampia: gli scavi hanno restituito, oltre al palazzo rinvenuto in località Aiera Vecchia, numerose case di 200 m² circa e altre più piccole a pianta rettangolare o quadrata. L'esempio di abitato meglio noto per il V sec. a.C. e per lo scorcio iniziale del successivo resta invece Marzabotto, anche se non gli va attribuito un valore paradigmatico come si è fatto in passato. Qui l'impianto urbano venne tracciato all'inizio del V sec. a.C., secondo un disegno unitario confrontabile con quelli di Olbia sul Mar Nero, Megara Hyblaea, Selinunte e Metaponto. Le fondazioni delle case erano realizzate con ciottoli fluviali e l'alzato in blocchetti di argilla parzialmente cotta, associati probabilmente ad un'armatura in legno; i tetti erano rivestiti di tegole, ma privi di decorazioni. Dimensioni e planimetrie variano sensibilmente tra i diversi settori. Le domus avevano un solo piano, erano accessibili da un corridoio stretto e profondo e gravitavano su un cortile interno attorno a cui si organizzavano le altre stanze, tra le quali era il tablinum. I cortili presentavano, in alcuni esempi, un tetto compluviato. Le unità abitative accoglievano vani, affacciati sulla strada, riservati specificatamente alle attività artigianali e commerciali. Le case portate alla luce indicano che la tipologia della domus, quale apparirà nel IV sec. a.C. a Pompei, è già delineata nel secolo precedente. Non si devono comunque sottovalutare le divergenze riscontrabili tra i due centri, quali l'assenza di impluvi a Marzabotto e la notevole differenza nella lunghezza degli ingressi. Esempi originali, dovuti alle particolari condizioni ambientali, sono documentati a Spina. La città era composta verosimilmente da più nuclei; nel settore situato in località Valle di Mezzano è accertata l'esistenza di un impianto ortogonale, con le vie sostituite da canali navigabili. Le case, ricostruite più volte tra la fine del VI e la prima metà del III sec. a.C., avevano un alzato interamente in legno spesso con le tamponature a incannucciato e i tetti privi di tegole per alleggerirne il peso (queste verranno utilizzate solo in epoca ellenistica). Confronti possono essere istituiti con le case, costruite sempre in legno e in opus craticium, di Forcello, presso Bagnolo San Vito sul Mincio, dove si sviluppò un vasto abitato fiorente nel V sec. a.C. La documentazione più consistente, relativa ai secoli IV e III a.C., proviene dai centri di Ercolano e, in particolare, di Pompei, dove un esempio significativo è costituito dalla Casa del Chirurgo (seconda metà del IV sec. a.C.). La casa ad atrio non esaurisce i modelli abitativi attestati, in quanto essa fu una prerogativa della classe dirigente. Sempre a Pompei, in particolare nella regio I, sono state scavate abitazioni appartenute ai ceti medi e medio-bassi. Esse erano disposte a schiera: il fulcro era rappresentato da un vano centrale (atriolo) intorno al quale si disponevano al massimo quattro stanze, due nella zona anteriore e le altre, più ampie, in quella posteriore; oltre queste ultime era situato un piccolo hortus. L'ingresso avveniva tramite un corto corridoio compreso fra i vani anteriori e la superficie raggiungeva i 150- 160 m², ma è probabile la presenza di un piano superiore al quale si poteva accedere da una scalinata in legno posta nell'atriolo. Monte Sannace, un centro della Peucezia, ha restituito per il IV sec. a.C. una vasta gamma di tipologie abitative: case modeste di due vani a pianta quadrata o rettangolare; abitazioni di media estensione a più ambienti aperti verso un cortile; residenze estese fino a 600 m². Anche a Serra di Vaglio, in Lucania, è stata riportata alla luce una dimora di grandi dimensioni (700 m² ca.); nei pressi si trovavano case più comuni con planimetrie diversificate (due vani affiancati e portico antistante; due ambienti in asse; un solo vano quadrato). Abitazioni prive di sfarzo sono state scavate a Cosa, una colonia latina fondata nel 273 a.C.: sono attestate domus a schiera imperniate su un ambiente centrale, forse coperto e circondato da vani di misure diseguali. La superficie totale superava di poco i 100 m². A Roma le dimore signorili rinvenute di recente sul Palatino non mostrano modifiche sostanziali dell'impianto o migliorie particolari lungo l'età altorepubblicana: una conferma della contrazione dei consumi e della scarsa propensione per l'ostentazione della ricchezza. Più consistenti interventi ricostruttivi iniziarono sul Palatino alla fine del III sec. a.C. e si accompagnarono all'introduzione dell'opera a sacco; il rilievo dato all'area centrale scoperta risulta confermato. Sempre a Roma e a partire almeno dalla fine del III sec. a.C. l'edilizia popolare iniziò a prevedere l'esistenza di caseggiati a più piani, realizzati con pilastri in pietra (pilae lapideae), strutture murarie in mattoni (structurae testaceae) e pareti in conglomerato cementizio (parietes caementiciae). Un'attenta rilettura critica delle testimonianze letterarie ha consentito di retrodatare tali edifici ritenuti in precedenza degli inizi dell'età imperiale. I decenni compresi tra la vittoria su Annibale (202 a.C.) e l'inizio della guerra sociale (91 a.C.) ‒ il secolo della luxuria asiatica ‒ videro un arricchimento notevolissimo dei gruppi dirigenti di Roma e dell'intera penisola, che comportò un mutamento nei modi dell'abitare. Gli esempi sono numerosi e alcuni ben noti: la Casa dei Grifi a Roma, quella del Fauno e la Villa dei Misteri a Pompei o, su un piano diverso, le case dello Scheletro e del Criptoportico, rispettivamente a Cosa e a Vulci, la cui fama è peraltro spesso dovuta ad uno dei rifacimenti successivi. Ci si limiterà quindi a richiamare le linee generali di sviluppo, quali la tendenza ad accorpare le unità abitative aumentandone la superficie in modo considerevole (la Casa del Fauno raggiungeva i 3000 m²), la profonda ellenizzazione indicata soprattutto dall'affermarsi del peristilio e l'introduzione di raffinate decorazioni pavimentali e parietali. La superficie maggiore è dovuta in particolare alla costruzione di atri doppi, di triclini multipli, di oeci, di terme e di interi settori riservati alle strutture di servizio. Contemporaneamente venne introdotto l'uso su vasta scala della colonna, utilizzata nei peristili e negli oeci più lussuosi. In proposito si deve ricordare che le case della nobilitas presentavano spazi riservati agli abitanti (loca propria) e altri aperti ai clientes (communia loca) e che in esse si tenevano publica consilia, processi e arbitrati. La necessità di controllare una clientela sempre più ampia nella lotta politica e negli affari contribuisce a spiegare la grandiosità delle dimore, destinata ancora a crescere. Nel medesimo orizzonte cronologico fecero la loro apparizione le villae urbanae, residenze prestigiose edificate all'interno delle città o nelle loro immediate vicinanze, come la Villa dei Misteri a Pompei, che presentava un'inversione nella normale successione atrio-peristilio. Il termine villa era usato generalmente per designare fabbricati lontani dai centri urbani e poteva essere riferito sia a fattorie (villae rusticae), sia a residenze di lusso legate all'otium. Le due caratteristiche potevano anche essere riunite nella medesima struttura. Le classi sociali subalterne continuarono peraltro a vivere in abitazioni ben diverse: a Pompei la Casa VI 2, 29 occupava 100 m² e presentava un ingresso, un cubicolo, una sala per i pasti, la camera per il riposo dei proprietari e un vano, utilizzato come cucina e latrina, senza copertura in corrispondenza del bacino di raccolta dell'acqua piovana. Una scala conduceva al piano superiore, composto da tre ambienti. Abitazioni simili non appartenevano comunque ai ceti meno abbienti: vi era chi viveva nelle pergulae, soppalchi ricavati all'interno delle tabernae. Le tendenze individuate proseguirono nel I sec. a.C. L'accorpamento di unità abitative è testimoniato per Roma dalla casa alle pendici del Palatino, per la quale si è proposta l'identificazione con la domus di Emilio Scauro. Uno dei risultati maggiori dello scavo è stato il riconoscimento di alloggi per gli schiavi nelle circa 50 stanzette ricavate nel piano seminterrato posto in corrispondenza dell'atrio. La Casa del Citarista, ampia quasi quanto quella del Fauno, conferma il fenomeno a Pompei, dove continua ad avere fortuna la moda delle villae urbanae realizzate sfruttando anche settori delle mura urbiche, ormai inutili ai fini della difesa, come nel caso della villa di Fabio Rufo. È a Roma logicamente che si hanno gli esempi di maggiore impegno: la villa degli Horti Sallustiani, appartenuta prima a Giulio Cesare poi a Sallustio, e quella degli Horti Luculliani proprietà di Licinio Lucullo. Un esempio diverso è offerto dalla villa di Settefinestre presso Cosa, dove le funzioni residenziali e agricole coesistono. L'edificio venne costruito poco dopo la metà del I sec. a.C. in funzione di un fundus ed è preceduto da una corte attorno alla quale erano disposte le stanze destinate agli schiavi e ai magazzini. Il corpo centrale della costruzione era suddiviso nelle partes urbana e rustica: la prima prevedeva la successione di un atrio e di un peristilio attorno ai quali ruotavano numerosi ambienti decorati finemente, tra i quali un ampio oecus corinzio; la seconda accoglieva un modesto impianto termale, la cucina e soprattutto i torchi oleari e vinari. Il settore di lusso era ornato da un elegante loggiato che si apriva su un giardino recintato da mura imitanti quelle urbiche. L'edilizia popolare dell'epoca è testimoniata bene dalla Casa a Graticcio di Ercolano: la stessa tecnica di costruzione (l'opus craticium), sconsigliata da Vitruvio, suggerisce la presenza di operazioni di tipo speculativo, già presenti nel secolo precedente. È una domus plurifamiliare, a due piani, considerata il precedente delle case a più piani attestate ad Ostia. Le piante e i caratteri dell'architettura residenziale romana si ritrovano, in epoca tardorepublicana, al di fuori della penisola italiana: le case presentano il caratteristico schema ad atrio a Emporiae (Ampurias) e a Glanum. Nei due centri provinciali si riscontrano precocemente accorpamenti di più unità abitative (Casa di Villanueva) e apparati decorativi di particolare impegno (Casa di Silla). A Pompei, la Casa del Menandro di D. Octavius Quartio e quella dei Vettii testimoniano meglio di altre i decenni che precedettero l'eruzione del 79 d.C. La prima riproduce lo schema tradizionale atrio-peristilio, ma accoglie al proprio interno un apposito quartiere servile, l'abitazione del procurator e terme private. La seconda presenta spiccate caratteristiche di originalità, ospitando un sacello dedicato al culto egizio di Iside e due canali artificiali predisposti per straripare nel giardino della domus, ad imitazione del Nilo. Una singolarità si può riscontrare ad Ercolano nella Casa del Rilievo di Telefo, appartenuta a M. Nonius Balbus: in essa l'atrio diviene simile al peristilio e le colonne sorreggono il piano superiore, secondo un modello ellenistico attestato a Delo. Il repertorio più vasto per il II sec. d.C. è offerto da Ostia. Un carattere sperimentale va riconosciuto nelle Casette Tipo di età traianea: case costruite in serie e articolate in un piano terreno e in un mezzanino. Ogni appartamento prevedeva un ingresso, due cubicoli, una stanza per i pasti, una sorta di oecus e i servizi. La medesima soluzione planimetrica venne utilizzata in domus di maggiore impegno, come nell'esempio adrianeo dell'Insula delle Pareti Gialle, dove l'ingresso è trasformato in una sala-atrio e il primo piano è riservato ai cubicoli. Un impianto simile si ritrova nelle cosiddette "case a giardino", che, come suggerisce la denominazione moderna, erano costruite al centro di una zona verde. La Casa di Diana segue invece una tipologia diversa (attestata già in età flavia con la Domus Fulminata), che prevedeva un cortile porticato interno attorno al quale si disponevano gli appartamenti. L'edificio di quattro o cinque piani ospitava botteghe nel pianterreno. La penetrazione dei modelli abitativi romani nelle province è ben attestata, almeno al livello delle classi dirigenti: segno della loro completa adesione a Roma. La domus ad atrio e peristilio, pur con varianti regionali, fu l'abitazione preferita dalle élites dello sterminato Impero. A Colonia è stata scoperta una residenza (inizi del III sec. d.C.) avente una superficie di 3400 m², superiore a quella della Casa del Fauno a Pompei. Sempre in Germania, Xanten ha restituito case costruite a schiera, riunite in isolati e articolate su due piani; ognuna aveva un proprio orto nel retro. Anche in esse si può riconoscere l'influsso di schemi planimetrici elaborati altrove. Un interesse particolare riveste la Casa del Delfino a Vasio Vocontiorum (Vaison-la-Romaine) nella Gallia Narbonese. La fase di età augustea presenta un impianto a pastàs-peristilio d'influenza greca, mediato attraverso Massalia, mentre nelle fasi successive arrivò a prevedere la successione atrio-tablino-peristilio. Altri esempi di ricezione del modello romano sono offerti da Italica, in Spagna, dove le abitazioni riportate alla luce sono comprese tra il II sec. d.C. e l'età dei Severi. Tra le più notevoli sono la Casa dell'Esedra e la Casa degli Uccelli: la prima domus presentava un ampio vestibolo che consentiva l'accesso a un cortile porticato ornato da una fontana e attorno al quale si disponevano le stanze; la casa comprendeva anche una seconda corte, una piscina, un impianto termale e uno xystus. Situazioni simili a quelle menzionate finora sono riscontrabili nell'Africa settentrionale: a Timgad, la residenza di M. Plautius Faustus Sertius, vissuto in epoca severiana, aveva una superficie di 2500 m²; presentava un portico in facciata (una caratteristica ricorrente nelle domus africane), un vestibolo, un peristilio dotato di una fontana monumentale e contornato dalle stanze di rappresentanza, un secondo cortile colonnato posto al centro della zona privata dell'abitazione. La domus di Sertius ha diversi punti di contatto con quella di Castorius a Cuicul: il portico lungo la facciata, il vestibolo monumentale, il peristilio. A Volubilis, invece, le residenze signorili di II-III sec. d.C. comprendevano un settore dedicato alle attività produttive. Ancora diverse sono le dimore di Bulla Regia, che presentano un piano sotterraneo con le stesse caratteristiche di quelli emergenti. La Casa della Caccia, ad esempio, aveva un pianterreno canonico dal quale, tramite una scalinata, si scendeva nella zona ricavata al di sotto del piano stradale, zona caratterizzata dalla presenza di un ulteriore peristilio, attorno al quale si disponevano stanze decorate con grande finezza. Un influsso dell'architettura imperiale si può ritrovare nelle grandi dimore possedute in età tardoantica da alcuni esponenti dell'aristocrazia: la Villa del Casale nei pressi di Piazza Armerina in Sicilia è una di queste. Presentava una planimetria complessa costituita da un corpo centrale articolato in un ingresso monumentale a ferro di cavallo, un vestibolo, un peristilio circondato da numerose stanze, un corridoio stretto e lungo ornato dal celebre mosaico della Grande Caccia, una basilica delimitata da più ambienti di rappresentanza. A tale complesso si aggiungevano le terme e un settore riservato al ricevimento di ospiti di rango particolarmente elevato.
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