L'architettura monumentale di templi e palazzi e la costruzione della citta
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La città, fin dalle sue prime formazioni e conformazioni, si compone principalmente di due nuclei; il settore templare, con i maggiori edifici sacri dedicati alle principali divinità e al dio poliade, e il complesso palatino, espressione del potere politico urbano, si dotano di architetture e costruzioni che definiscono e cambiano il paesaggio del territorio. Nel corso della storia del Vicino Oriente antico il palazzo e il tempio sono la manifestazione del potere laico e religioso che scandisce l’attività politica ed economica dei principali centri abitati della Mesopotamia e della Siria.
L’immagine ed il ruolo della città nelle culture del Vicino Oriente antico hanno una forte e incisiva influenza nella costruzione del pensiero politico, ideologico e religioso. Nella storia della Mesopotamia la fondazione della città è investita di una forte valenza mitologica: è il risultato di un’azione divina che stabilisce i centri urbani per porvi la sede del proprio tempio e quindi consegnare il potere e la regalità al sovrano. Ogni città è espressione e sede rappresentativa di una o più divinità e tutto il territorio mesopotamico è contraddistinto da questa fitta rete di agglomerati urbani che presentano tratti culturali comuni: l’architettura è uno di questi elementi distintivi e tra tutti è quello che meglio definisce la forma e la natura di una città separandola dal resto del territorio.
La città è infatti allo stesso tempo la sede del dio e del sovrano con specifiche aree deputate, di carattere spesso monumentale, ma è anche il luogo dove la popolazione in parte risiede e dove svolge le proprie attività quotidiane. In verità, i centri urbani indagati nel Vicino Oriente offrono scarsi esempi di quartieri di abitazioni e residenze private. È tuttavia plausibile ipotizzare che parte della popolazione viva all’interno del centro urbano, solitamente delimitato dalla cinta di fortificazione: in particolare quella parte della popolazione che è coinvolta direttamente nella gestione amministrativa e politica del palazzo (sede del potere temporale) e nelle attività di culto e cura dei templi (sedi delle divinità e del potere religioso). Il resto della popolazione vive, invece, all’esterno del centro urbano definito dalla linea di fortificazioni, magari nelle immediate vicinanze, in quartieri residenziali costituiti di abitazioni meno sontuose ed elaborate rispetto alle residenze archeologicamente documentate all’interno delle città, spesso in veri e propri agglomerati presso le strutture templari, come si verifica in alcuni centri del III millennio a.C. in Mesopotamia centrale e meridionale.
Templi e palazzi sono meglio noti dalle indagini archeologiche, che consentono di delineare lo sviluppo di tali architetture nel corso del tempo nonché di comprendere la loro funzione nel tessuto urbano e il loro ruolo nella definizione dell’immagine della città.
La città di Uruk, considerata il primo vero centro urbano dell’Antichità, mostra la presenza di edifici pubblici di dimensioni monumentali che circoscrivono il paesaggio urbano e, in quanto tali, costituiscono la manifestazione del potere. Uruk definisce e rende canonici gli schemi dell’architettura pubblica che si ritrovano già in centri leggermente più antichi quali Obeid ed Eridu. In particolare, il grande edificio tripartito, con una grande sala centrale a sviluppo latitudinale, comunemente interpretato come un edificio sacro (tempio), caratterizza l’architettura pubblica di questa fase storica e definisce il modello dell’architettura templare sumerica della fine del IV millennio a.C. con echi riconoscibili anche nella successiva fase storica del periodo protodinastico nel III millennio a.C.
Il centro di Uruk, dotato di una grande cinta muraria che viene fatta risalire al mitico re Gilgamesh, è caratterizzato dalla presenza di due grandi aree cultuali: la terrazza di Anu, con la costruzione di una ziqqurat, e la terrazza dell’Eanna, composta da una serie di edifici di carattere sacro e da alcuni edifici che potrebbero ipoteticamente essere i primi esempi di strutture palatine o comunque di costruzioni non esclusivamente deputate al culto e alla funzione religiosa.
Questi due complessi di edifici, posti su terrazze sopraelevate e quindi distinti dal restante territorio urbano, presentano strutture riccamente decorate con nicchie e lesene e pareti con inserzioni di coni che formano mosaici a motivi geometrici colorati. La studiata ubicazione topografica assieme alla voluta spettacolarità della costruzione definiscono l’intero complesso di edifici pubblici che rappresentano il potere politico e religioso della città di Uruk. Dalla bassa Mesopotamia, dove fu inventato, il modello di città fu poi esportato altrove. Anche se meno monumentali, terrazze artificiali poste su alture e in punti specifici dello spazio urbano si trovano in due nuove fondazioni in territorio siriano. Habuba Kabira e Jebel Aruda sono due città fondate nell’età di Uruk (alla fine del IV millennio a.C.) e di fatto vengono considerate due colonie della grande città della Mesopotamia meridionale. A Habuba Kabira, il complesso cultuale dei tre templi sorge su una collina separata dall’abitato della città principale, ma ad essa collegato con una strada che diparte da una delle porte di accesso alla città. A Jebel Aruba, la terrazza artificiale, sulla quale sono stati eretti i due templi, secondo lo schema architettonico degli edifici sacri di Uruk e con il medesimo tipo di decorazione esterna a nicchie e lesene e coni colorati a mosaico, sorge al centro dell’insediamento, in una posizione sopraelevata e separata dai quartieri di abitazioni.
Con la fine del periodo di Uruk e il disfacimento del sistema territoriale di controllo operato dal centro urbano della Mesopotamia meridionale, si assiste al fiorire di nuovi centri urbani che si dotano di strutture pubbliche, religiose e laiche e ridisegnano il paesaggio urbano del territorio mesopotamico. Nel periodo protodinastico, numerose città costellano la piana della Mesopotamia centrale e meridionale. Pur mantenendo, in alcuni casi, impianti architettonici simili, soprattutto per quel che riguarda l’architettura dei templi, le città subiscono una profonda trasformazione degli spazi con le aggiunte di ampie corti e spazi aperti presso le strutture templari e con la comparsa di veri e propri palazzi che si affiancano al tempio come sede del potere temporale del sovrano mesopotamico. Il re si fa promotore di una serie di attività edilizie di costruzione per ridisegnare e configurare lo spazio urbano che egli gestisce e governa. Città come Khafajah e Tell Agrab sono dotate di mura difensive all’interno delle quali il tessuto urbano è decisamente pianificato secondo uno schema regolatore che comprende settori di abitazioni private, edifici templari e palazzi. Il tempio non è più un edificio imponente isolato dal contesto urbano, ma è al contrario una densa fabbrica, pur sempre di dimensioni ragguardevoli, che si inserisce nel fitto dedalo di vie ed abitazioni della città. Il cosiddetto Tempio Ovale della città di Khafajah è contraddistinto da una recinzione, una sorta di temenos, di forma appunto ovale che definisce il limite della struttura e delimita un ampio spazio aperto di fronte al tempio vero e proprio, in cui avvengono quotidiane attività mercantili, di produzione e di vendita di prodotti e manufatti. Il tempio è una vera e propria fabbrica nonché una struttura economica del tessuto urbano e abitazioni, di dimensioni anche notevoli, sorgono immediatamente a ridosso del perimetro del tempio, in stretta relazione sia con la celebrazione del culto sia con le attività mercantili ed economiche che si svolgono nell’edificio sacro (nella corte antistante). Il tempio non si contraddistingue più per la sua posizione distinta e sopraelevata rispetto al tessuto urbano degli altri edifici: è inserito all’interno di tale sistema di altre costruzioni, ne è parte integrante e spesso costituisce il centro a partire dal quale il paesaggio urbano è costruito. L’edificio, caratterizzato dalla costante presenza della cella a sviluppo latitudinale e a volte di altre sale secondo uno schema tripartito che riprende il modulo architettonico dell’età di Uruk, è di fatto proiettato verso il tessuto urbano con la costruzione di corti antistanti che ne definiscono il perimetro e al tempo stesso lo raccordano al resto della città.
In questa fase della seconda urbanizzazione del III millennio a.C. il palazzo è l’edificio che, insieme al tempio, contraddistingue lo spazio urbano. Se nell’età di Uruk si può solo ipoteticamente definire la non religiosità di alcuni edifici, nel periodo protodinastico, già nella sua fase più antica e di passaggio dal cosiddetto periodo Jemdet Nasr (nei primi secoli del III millennio a.C.), vere e proprie residenze regali vengono costruite. Queste sono le sedi deputate al governo della città e del suo territorio: in questi edifici vive il sovrano della città che, con una cerchia di funzionari e di altro personale, gestisce l’economia, la politica interna e la politica estera, facendosi promotore di necessarie spedizioni militari di conquista o di difesa. Il palazzo è l’espressione fisica della regalità: è il luogo dove il re vive, dove governa ed esercita il potere e il luogo al quale egli costantemente ritorna dopo ogni spedizione di carattere commerciale o bellico.
Il palazzo reale di Kish è tra gli edifici palatini più significativi della Mesopotamia centrale: si tratta di una fabbrica composta di due settori, con un ingresso monumentale enfatizzato da recessi sul lato sud-orientale. Anche se non completamente conservato e scavato, il palazzo di Kish presenta elementi architettonici che codificano l’architettura palatina della Mesopotamia dei secoli successivi, come ad esempio lo sviluppo latitudinale della sala di rappresentanza o l’uso di corti e ampli spazi aperti con funzione di collegamento e di raccordo delle varie parti dell’edificio. È inoltre significativo che il primo palazzo documentato dall’archeologia mesopotamica sia quello di Kish, la prima città dove gli dèi decidono di far risiedere la regalità dopo l’evento del diluvio. I suoi sovrani sono legati ad un tempo mitico che pone le fondamenta della successiva storia di altri importanti centri urbani della Mesopotamia: in particolare il sovrano Mesalim è ricordato dai successivi sovrani di Lagash per aver per primo stabilito il confine tra le città di Lagash ed Umma, un evento che segna per alcune generazioni i rapporti tra queste due città della Mesopotamia meridionale per il controllo del canale d’acqua che le separa; proprio in questa fase finale del periodo protodinastico, il titolo di re di Kish è ambito da molti sovrani mesopotamici che se ne fregiano per sottolineare il potere acquisito con conquiste militari. Anche in periodi tardi della storia della Mesopotamia, come in età neoassira, il titolo di re di Kish ha ancora tale forte valenza ideologica e politica, tanto che il nome di Kish indica appunto la totalità ed essere re di Kish equivale quindi a nominarsi re della totalità.
È significativa la correlazione che esiste tra questa valenza ideologico-politica di Kish e la presenza di uno dei primi edifici palatini reali. Quest’ultimo rappresenta il valore del potere non solo del re ma della città più in generale. Il palazzo è un luogo altamente simbolico produttore di messaggi politici che riguardano la città stessa, il suo territorio e perfino un’intera regione, anche nel corso del tempo.
Al di fuori del territorio mesopotamico propriamente inteso, due siti meglio esemplificano questa pianificazione e progettualità delle città del III millennio a.C. con la presenza di un palazzo, sede del potere regale, e di templi, sedi del culto delle divinità della città stessa.
La città di Mari conserva resti di un palazzo, sul quale viene in seguito eretta la sontuosa residenza del sovrano Zimri-Lim (re dal 1775 al 1761 a.C. ca.) nel periodo paleobabilonese, l’epoca di Hammurabi di Babilonia. All’interno della città, sono costruiti templi dedicati a Ishtarat e Ninnizaza: questi edifici rispecchiano lo schema dei templi della Mesopotamia, con una cella ed un complesso di altri vani e corti che proiettano il tempio all’interno del tessuto urbano. Il tempio non è più un edificio di culto isolato ed astratto dal contesto, ma è un complesso di ambienti inseriti nella città e comunicanti con il restante spazio urbano. Di fatto la città di Mari è uno degli esempi meglio documentati dell’impianto di una tipica città mesopotamica del III millennio a.C. con la compresenza di palazzo e templi, ossia degli elementi che definiscono il paesaggio urbano e costruiscono l’immagine della città.
Il caso di Ebla è ancor più sintomatico per comprendere l’organizzazione dello spazio urbano, all’interno del quale le istituzioni del palazzo e del tempio interagiscono. La tipologia del tempio di Ebla rispecchia la caratteristica forma dei templi siriani che sono diversi dai coevi edifici sacri della Mesopotamia e di Mari stessa. Il tempio siriano, presente già nel Bronzo Antico e poi codificato e mantenuto anche nelle successive età del Bronzo e del Ferro, è una fabbrica singola con una cella longitudinale e ante sporgenti sulla facciata; a volte, l’edificio può essere articolato secondo uno schema tripartito longitudinalmente con la sequenza di un vestibolo, un’antecella e la cella vera e propria del tempio nella parte più interna. I templi di Ebla, datati al III millennio a.C. sono costruiti secondo questa tipologia. Un tempio è edificato sull’acropoli della città in stretta connessione con il palazzo reale; un secondo edificio sacro, di dimensioni monumentali, è invece costruito nel settore sud-orientale della città bassa presso le mura difensive e in prossimità di uno degli accessi alla città. Il palazzo di Ebla è costruito sul pendio occidentale dell’acropoli e sull’acropoli stessa, anche se in quest’ultimo settore l’edificio è solo parzialmente conservato. L’architettura del palazzo rivela un modello del tutto originale con, nella parte bassa ai piedi dell’acropoli, un’ampia corte aperta munita di un portico su almeno due (originariamente tre) lati: questo spazio aperto è di fatto una sorta di piazza, all’interno della quale i visitatori e le ambasciate in visita ad Ebla sono ricevute dal sovrano o dalla coppia regale. Per sua natura e costruzione, il palazzo della città è proiettato verso l’esterno e l’ampia corte alla base dell’acropoli funge da punto di passaggio e di raccolta nonché, tramite una scala monumentale che si apre al centro della parete porticata orientale, da collegamento con la parte alta della città.
Il palazzo e gli edifici sacri sono parte integrante del paesaggio urbano non solo perché occupano fisicamente spazio nella città, ma soprattutto perché costituiscono lo scenario di azioni rituali che il re e la regina di Ebla ciclicamente compiono per il rinnovo della regalità, in connessione con il mausoleo dove riposano gli antenati della casa regnante. Un testo rivenuto negli Archivi di stato nel palazzo reale descrive il percorso del re e della regina verso il mausoleo e il ritorno in città con le soste nel tempio di Kura presso le mura e la conclusione del rituale nel tempio di Kura in Saza – termine eblaita che propriamente indica il palazzo. L’edificio indicato nel testo come il tempio presso le mura corrisponde all’edificio sacro rinvenuto nel settore sud-orientale della città in prossimità del terrapieno difensivo, mentre il tempio in Saza corrisponde all’edificio costruito sull’acropoli e topograficamente collegato al palazzo reale.
In definitiva, si può affermare che la città ed i suoi edifici sono l’espressione concreta del potere del re e garanzia dell’immanenza divina nel territorio e nel paesaggio urbani.