L'architettura nel mondo greco, etrusco-italico e romano: gli ordini architettonici
La somma delle conoscenze e il panorama degli studi riguardanti gli apparati decorativi dell'architettura del mondo classico si compongono di vaste e analitiche trattazioni specifiche circa ogni singolo aspetto (dalla decorazione architettonica vera e propria, litica e in terracotta, al rilievo, alla statuaria, ai rivestimenti murari e alle decorazioni parietali, figurate e musive). Su tali argomenti si rimanda a quanto esposto nelle singole voci dell'Enciclopedia dell'Arte Antica Classica e Orientale, alle quali si potrà fare riferimento anche per le indicazioni bibliografiche. In questa sede appare peraltro opportuno trattare il tema degli ordini architettonici quale essenziale aspetto caratterizzante l'architettura pubblica e privata del mondo classico per quanto riguarda le sue radici culturali e la sua morfologia. Con il termine ordini architettonici (lat. ordines) si definiscono i sistemi architettonici caratterizzati essenzialmente da peculiare proporzione, sintassi, forma e decorazione delle membrature pertinenti a strutture trilitiche. I tre principali ordini architettonici di età classica (dorico, ionico, corinzio) sono di origine greca e vengono puntualmente descritti nel III e nel IV libro del celebre De architectura di Vitruvio; esistono peraltro alcune varianti (ad es., l'eolico e il composito), meno coerenti e organiche, che riguardano soprattutto la decorazione del capitello. Nella sostanza, tuttavia, tali sistemi per morfologia e per proporzionamento possono essere ricondotti a due ordini maggiori: dorico e ionico.
È l'ordine architettonico proprio della madrepatria dove ha origine e si sviluppa. La struttura colonnata, che costituisce la maglia statica e morfologica dell'architettura classica, è articolata in basamento, colonna, coronamento. Lo spiccato presenta una base uniforme (gr. euthynteria) costituita da un piano omogeneo, continuo e regolarizzato di blocchi che coprono la fondazione; di questo filare è resa percepibile solo la piccola sezione sommitale che, anche per il tipo di materiale impiegato, normalmente di qualità migliore di quello sottostante, prepara il passaggio dal piano di calpestio esterno alla struttura visibile dell'edificio. Sull'euthynteria si imposta la crepidine (gr. krepìs) apparecchiata con conci ben squadrati, su più filari e disposti in modo da ottenere gradoni perimetrali continui. Il numero delle alzate può variare da uno a quattro, a seconda della cronologia, delle caratteristiche geologiche e dell'ambito culturale: ad esempio negli edifici più antichi il gradino è unico; in alcuni templi sicelioti e peloponnesiaci la crepidine ha quattro alzate. Il numero più consueto in età classica è invece tre. Il gradino sommitale è in alcuni casi più alto degli altri. L'orditura del piano sommitale della crepidine, lo stilobate (gr. stilobates), tiene conto della posizione assegnata alle colonne; è apparecchiato cioè con conci, le cui dimensioni sono in funzione del diametro e dell'interasse di quelle: in alcuni casi i blocchi costituiscono una sorta di plinto quadrato sotto alla colonna, in altri vengono giustapposti in corrispondenza del suo asse. La giacitura dello stilobate non è perfettamente orizzontale; si è potuta osservare e minuziosamente misurare in alcuni edifici templari una doppia inclinazione: sia dall'interno verso l'esterno, sia dalla mezzeria dei quattro lati verso le estremità; l'osservazione è stata confermata anche nel caso di portici colonnati. Tale anomalia geometrica, che sembra improntata da esigenze ottiche al fine di correggere apparenti distorsioni di orizzontalità nella osservazione dell'edificio (Vitr., III, 4, 5), risponde anche alla esigenza pratica di agevolare il deflusso delle acque eventualmente presenti all'interno del colonnato. Le colonne di ordine dorico si impostano direttamente sullo stilobate, senza interposta base, e sono articolate in fusto e capitello. Il fusto (gr. kion, stylos; lat. scapus), originariamente un ritto ligneo, nei primi edifici in pietra continuò ad essere monolitico, mentre successivamente venne apparecchiato con più elementi cilindrici (rocchi o tamburi), il cui numero risulta in funzione del materiale impiegato e delle dimensioni della membratura. La conformazione del fusto non è esattamente cilindrica, ma presenta una rastremazione tra base e sommità regolamentata in rapporto all'altezza complessiva della colonna e all'intercolumnio: piuttosto tozzo in periodo arcaico, il suo sviluppo tende a diventare sempre più slanciato per suggestione del fusto ionico. Il profilo, inoltre, non ha rastremazione lineare, ma presenta un andamento parabolico con il punto di maggiore flesso ad altezza variabile: tale rigonfiamento intermedio (gr. enthasis; lat. adiectio), probabilmente indotto da cause naturali nel ritto ligneo e molto pronunciato negli esempi più antichi, era capace di attenuare illusioni ottiche di assottigliamento eccessivo del fusto e di suggerire una reazione elastica della membratura alle sollecitazioni verticali. A criteri simili di correzioni ottiche rispondono, inoltre, l'inclinazione dell'asse delle colonne verso l'interno o la variazione intenzionale del loro diametro in rapporto alla posizione lungo la peristasi; gli stessi canali che solcano verticalmente il fusto appaiono finalizzati all'accentuazione plastica delle superfici. Queste scanalature si affiancano con regolarità lungo tutto il perimetro circolare della colonna, si giustappongono a spigolo vivo e presentano in alto una terminazione piatta o leggermente arcuata. Il loro numero aumenta progressivamente nel tempo (dalle 16 del periodo arcaico, si passa alle 20 del periodo classico) e, a partire dall'età ellenistica, vengono in qualche caso separate da un listello piatto, come nel fusto ionico, oppure si trasformano, nell'imoscapo, in semplici sfaccettature piane alte circa un terzo dell'altezza complessiva della colonna. Quasi alla sommità del fusto e in corrispondenza del piano di appoggio del capitello le scanalature sono intercettate da alcune incisioni orizzontali, in grado di minimizzare l'incidenza di eventuali scheggiature del rocchio superiore nella fase di posa in opera della membratura sovrapposta. Il tratto finale, con le scanalature che proseguono oltre questi anelli, prende il nome di collarino ed è ricavato nello stesso blocco del capitello. Quest'ultimo (gr. epikranon; lat. capitulum) è articolato in anelletti, echino e abaco. I primi sono listelli progressivamente aggettanti, che negli edifici più antichi vengono sostituiti da un tondino associato o rimpiazzato da una gola (lat. scotia) variamente decorata, a ricordo del coprigiunto in metallo posto alla giustapposizione tra fusto ligneo e capitello. In periodo classico il profilo dei tre anuli ricorda i denti di una sega, mentre negli esempi più tardi diventa plastico e arrotondato, risolto con tondini o listelli verticali. L'echino assume la forma di un bacile o cuscino circolare il cui profilo, dapprima a curva policentrica espansa e schiacciata, diventa progressivamente più rigido fino ad assumere una conformazione troncoconica. All'echino è direttamente sovrapposto l'abaco, una lastra quadrata parallelepipeda. A partire dalla prima metà del IV sec. a.C., sotto l'influsso ionico, compare una piccola modanatura a coronamento della lastra: tale modanatura si riscontra sempre più frequentemente nell'ordine dorico di Asia Minore e poi del mondo romano. Sovrapposta alla colonna è la trabeazione, suddivisa in architrave, fregio e cornice. L'architrave poggia direttamente sull'abaco, per cui la lunghezza dei blocchi litici è correlata all'interasse delle colonne. Sulla sua superficie liscia viene sovrapposto un continuo listello aggettante, la tenia, nel cui sottosquadro sono appese, a intervalli cadenzati dal ritmo delle colonne e dei soprastanti triglifi, le regulae: brevi listelli decorati inferiormente da una fila di gocce (lat. guttae). Il fregio è costituito da un'alternanza di triglifi e metope, legata al ritmo degli interassi delle colonne. I triglifi sono membrature piatte a sviluppo verticale, caratterizzate da scanalature verticali (due intere al centro e due mezze agli spigoli), che prendono appunto il nome di "glifi" per via della loro particolare sezione convergente, disposte in alternanza a strette superfici piane (lat. femur). Le metope sono lastre piane e quadrilatere tese tra i triglifi, giacenti su un piano leggermente arretrato e destinate, per la loro natura originariamente non portante, ad accogliere decorazioni figurate; spesso sono membrature indipendenti incastrate in appositi alloggiamenti laterali e realizzate anche in materiale diverso. Il fregio è coronato da una tenia, che rispecchia puntualmente l'aggetto discontinuo delle due sezioni. La membratura di coronamento è suddivisa in una fascia-gocciolatoio molto aggettante (gr. geison; lat. corona) e in una modanatura sommitale assimilabile alla linea di gronda (lat. sima). La corona è a superficie piana e si protende allo scopo di proteggere dalla pioggia le sottostanti strutture. Il suo sottosquadro, mediante incavi, è diviso in scomparti rettangolari, inclinati verso il basso (lat. mutuli), decorati da diverse file di gocce e disposti in corrispondenza dell'asse dei triglifi e delle metope. La sima, posta a chiusura del coronamento, ha lo scopo di raccogliere l'acqua piovana del tetto e di regolarne il deflusso attraverso gocciolatoi, regolarmente intervallati e già dal periodo arcaico conformati a protome leonina.
È indubbio che le forme dell'ordine ionico siano più slanciate ed eleganti rispetto a quelle dell'ordine dorico, ma la priorità cronologica non sembra poter essere sostenuta su base archeologica. Come il precedente, anche questo sistema architettonico palesa un'origine lignea delle strutture, sebbene organizzate in maniera differente. Caratteri propri dell'ordine ionico si osservano sia nella colonna e nel coronamento sia nell'esuberanza dei partiti decorativi. Nella sintassi delle modanature e nell'articolazione di alcune membrature, inoltre, è possibile evidenziare alcune differenze tra l'area geo-culturale asiatica e quella continentale. La colonna assume connotati peculiari sia per la presenza di una base, assente nell'ordine dorico, sia per il trattamento del fusto e per la forma del capitello. Nel periodo classico la base della colonna ionica può essere di due tipi diversi: quello asiatico, usato soprattutto in Asia Minore e nelle isole egee, e quello attico, frequentemente adoperato nella Grecia continentale e poi nel mondo romano. La base di tipo asiatico è articolata in due sezioni: quella inferiore è un alto cilindro, orizzontalmente solcato da una serie di piccole scozie comprese a volte tra tondini; la parte superiore è risolta in una massiccia modanatura torica (gr. toros) a superficie liscia o scanalata. La base di tipo attico è più semplice, articolata da una sola scozia compresa tra due tori ad aggetto decrescente; la superficie del toro superiore, più piccolo, è a volte scanalata in orizzontale. Il fusto della colonna, che presenta una rastremazione lineare accentuata dal suo notevole slancio, è privo di entasi; la sua superficie è scandita da una fitta successione di scanalature a sezione semicircolare e nella maggior parte dei casi separate da un listello piatto, anziché direttamente connesse a spigolo vivo come nel caso delle colonne doriche. Nelle colonne di tipo asiatico la parte inferiore del fusto può portare rilievi figurati (lat. columna caelata); in qualche caso, tutto il fusto è sostituito da una figura umana. Il capitello è la membratura più articolata e caratteristica dell'ordine ionico; si divide in tre parti: un echino decorato, un cuscino avvolto alle estremità in modo da generare due volute simmetriche ricadenti, una lastra d'abaco bassa e sagomata. Il capitello ionico non è quindi a simmetria circolare e risulta compositivamente inadatto ad una peristasi. L'elaborazione di un capitello angolare a due fronti consecutive agevola la risoluzione del problema, a scapito tuttavia della simmetria strutturale della voluta comune sull'angolo esterno. Alla base del capitello non sempre è presente un collarino. L'echino, sovrapposto al fusto, è decorato da un kymation ionico costituito da una successione di ovuli racchiusi entro gusci e separati da lancette; due palmette raccordano lateralmente l'echino torico alle due volute. L'area dei centri geometrici di tracciamento della voluta (lat. oculus) è normalmente decorata da un bottone emisferico o da un fiore, così come ornato è il balaustrino, cioè la superficie laterale del cuscino. La sovrapposta lastra d'abaco, quadrilatera, non presenta uno spessore eccessivo ed è di norma decorata da un kymation. La trabeazione, similmente a quella dorica, è suddivisa in due o tre parti (architrave, fregio, cornice), ognuna con partiti modanati molto articolati; in particolare, nell'ordine ionico asiatico la membratura intermedia, corrispondente al fregio, è assente. L'architrave è suddiviso in due o tre fasce piane ad aggetto e altezza crescente, coronate da un kymation. Il fregio nell'ordine ionico è continuo e spesso decorato con bassorilievi e concluso da un kymation ionico o lesbio. La sezione inferiore della cornice è articolata da dentelli: elementi parallelepipedi aggettanti e ritmicamente intervallati da cavità, i quali possono ricordare i travetti di sostegno di un soffitto ligneo; a questi è sovrapposto un ulteriore kymation. La membratura di coronamento termina con un gocciolatoio aggettante (gr. geison) liscio e la sovrastante sima.
In periodo arcaico, nelle colonie eoliche d'Asia Minore si diffonde uno stile che, seppure molto vicino all'ordine ionico, non si risolve in un organico sistema architettonico. È probabile che, partendo da una base architettonica comune, alla fine del periodo orientalizzante l'uno si sia sviluppato in maniera indipendente dall'altro per poi subirne progressivamente il fascino. L'eolico perde ogni seguito alla fine del VI sec. a.C. con il decadere del ruolo politico di quelle colonie e il sorgere della supremazia ionica. La colonna presenta per base un toro a superficie liscia, coronato da un tondino e da un anello di raccordo al fusto, anch'esso liscio e molto slanciato. Il capitello prende spicco da un'ampia superficie torica, decorata da foglie piegate verso il basso, la quale rispecchia un parallelo nell'echino del capitello ionico. È articolato in due volute a sviluppo verticale, simmetricamente avvolte verso l'esterno, e in un'ampia palmetta che occupa la superficie triangolare intermedia; il canale della voluta può essere liscio o a superficie convessa. Gli orizzontamenti sono totalmente in legno con rivestimento in terracotta, similmente a quanto adottato per le corrispondenti membrature dell'ordine ionico nel periodo arcaico. Per la singolare forma del capitello sono stati richiamati precedenti medio- orientali ed egiziani, che tuttavia non sembrano costituire una indiscussa base stilistica e cronologica; inoltre suggestiva, ma ancor più improponibile sotto il profilo cronologico, è l'ipotesi di un suo travaso morfologico in alcuni dettagli del capitello corinzio (corone di foglie alla base, volute angolari, fiore centrale).
Non è possibile enucleare un ordine corinzio in senso proprio, in quanto la sintassi delle sue modanature e il proporzionamento generale sono ampiamente mediati dall'ordine ionico. Nella trabeazione, del tipo con zooforo continuo, una delle presenze tipiche sarà costituita dalle mensole aggettanti nel sottosquadro della cornice. La base della colonna richiama quella ionica di tipo attico, con l'aggiunta di un plinto quadrangolare; soltanto il capitello presenta caratteristiche totalmente innovative già dalle origini. L'ordine corinzio compare in pieno periodo classico dapprima come ordine colonnato interno (ad es., nel tempio di Apollo a Bassae); si impone quindi in quelli esterni sugli altri due ordini che vengono progressivamente abbandonati. Secondo Vitruvio, la creazione del capitello corinzio si deve all'ateniese Callimaco (seconda metà del V sec. a.C.) e trae il nome dalla città di Corinto, dove lo scultore trovò lo spunto per questa insolita elaborazione. L'insieme viene così articolato: il nucleo interno di supporto ha una forma campanata (gr. kalathos), alla quale aderiscono due ordini di foglie d'acanto disposte in alternanza; i germogli si dipartono dal sommo delle foglie inferiori e si risolvono, in alto, in due viticci nastriformi nascenti da un calice a doppia foglia che ne sorregge lo sporto e rivolti simmetricamente verso l'asse mediano della fronte e verso gli spigoli della lastra d'abaco. Sull'asse, dalle elici contrapposte si sviluppa un fiore che arriva anche a sovrapporsi alla lastra di coronamento, l'abaco, conformata come una tavoletta falcata, a quattro lati introflessi e con bordi modanati.
Le tuscanicae dispositiones sono citate da Vitruvio non come un sistema architettonico autonomo, ma come un insieme di regole capaci di rispondere meglio e in maniera più diretta alle esigenze cultuali e di gusto delle genti italiche. In realtà l'esposizione vitruviana sul proporzionamento generale, sull'articolazione sintattico-morfologica di queste membrature e sulla caratterizzazione delle componenti edilizie rimanda ad un sistema omogeneo e organico, proprio di un ordine architettonico. Il trattato prende in considerazione l'impianto planimetrico del tempio e in particolare le peculiari caratterizzazioni della colonna; singolare è la presenza di un podio al posto della crepidine. Non sappiamo, tuttavia, in che misura tali indicazioni aderiscano puntualmente ad una consuetudine costruttiva italica e romana. La base ha un plinto circolare ed un ampio toro; il fusto, a superficie liscia, presenta un'accentuata rastremazione e una modanatura (apofige) al sommoscapo e all'imoscapo. Il capitello è suddiviso in tre sezioni: un hypotrachelion, un echino, che ricorda quello dorico, decorato ad ovuli, e un abaco o un plinto (lat. plinthus) a coronamento. La trabeazione, totalmente costruita in legno, è suddivisa in due membrature: un architrave a semplice fascia e un gocciolatoio, particolarmente aggettante per proteggere la struttura lignea.
Ad una fase di età romana più matura e più esuberante rispetto all'ordine corinzio si deve l'adozione di singolari partiti decorativi, che tuttavia non ne alterano sostanzialmente l'aspetto generale. In particolare, ci si riferisce ad un tipo di capitello realizzato per sovrapposizione di un capitello ionico (diagonale) al calato di un capitello corinzio, decorato soltanto con le corone di foglie d'acanto. Sopra l'echino, decorato con kyma ionico, il capitello presenta le volute piegate sulle diagonali; quindi, per l'assenza del balaustro, viene generato un capitello a quattro fronti eguali, similmente al corinzio. Le volute sono tra loro collegate da un canale rettilineo, oppure possono risultare indipendenti ed essere, in tal caso, originate dal fiore d'abaco impostato direttamente sopra l'echino.
W.B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, Batsford 1950; R.A. Tomlinson, The Doric Order: Hellenistic Critics and Criticism, in JHS, 83 (1963), pp . 133-45; M. Wegner, s.v. Ordini architettonici, in EAA, V, 1963, pp. 713-25; B. Wesenberg, Kapitelle und Basen, Düsseldorf 1971; J.J. Coulton, Towards Understanding Doric Design: the Stylobate and Intercolumnations, in BSA, 69 (1974), pp. 61-86; Id., Towards Understanding Greek Temple Design: General Considerations, ibid., 70 (1975), p. 59; Ph.P. Betancourt, The Aeolic Style in Architecture, Princeton 1977; J.J. Coulton, Doric Capitals: a Proportional Analysis, in BSA, 74 (1979), pp. 81-153; M. Mertens-Horn, Die Löwenkopf-Wasserspeier des griechischen Westens im 6. und 5. Jahrhundert v.Chr., Mainz a. Rh. 1988; G. Morolli, L'architettura di Vitruvio, una guida illustrata, Firenze 1988; P. Pedersen, The Parthenon and the Origin of the Corinthian Capital, Odense 1989; M. Wilson Jones, Designing the Roman Corinthian Order, in JRA, 2 (1989), pp. 35-69; B.A. Barletta, An "Ionian Sea" Style in Archaic Doric Architecture, in AJA, 94 (1990), pp. 45-72; O. Bingöl, Das ionische Normalkapitell in hellenisticher und römischer Zeit in Kleinasien, Tübingen 1990; K.S. Freyberger, Stadtrömische Kapitelle aus der Zeit von Domitian bis Alexander Severus, Mainz a. Rh. 1990.