L'armata Brancaleone
(Italia/Francia 1965, 1966, colore, 119m); regia: Mario Monicelli; produzione: Mario Cecchi Gori per Fair Film/ Les Films Marceau; sceneggiatura: Age e Scarpelli, Mario Monicelli; fotografia: Carlo Di Palma; montaggio: Ruggero Mastroianni; scenografia e costumi: Piero Gherardi; musica: Carlo Rustichelli.
In un momento imprecisabile del Medioevo, un gruppo di popolani sottrae a un cavaliere la pergamena che lo nomina signore del paese di Aurocastro. Contattano allora un nobile decaduto, Brancaleone da Norcia, perché si finga legittimo proprietario del feudo e li conduca a prenderne possesso. Il gruppo parte per le Puglie, ma durante il cammino si imbatte in una serie di disavventure. Prima sfuggono alla peste e si uniscono al santone Zenone, diretto in Terrasanta. Poi, sgominato un manipolo di banditi, devono condurre alle nozze una fanciulla illibata. La ragazza non resta tale e Brancaleone (innocente) viene messo a morte. Salvato dai suoi compari, cerca di ordire un tranello ai danni dell'imperatore di Bisanzio. Infine, giunto ad Aurocastro, scopre che il paese è oggetto delle scorribande dei pirati saraceni. Assieme alle sue truppe, la cui composizione si è modificata nel corso del viaggio, Brancaleone rischia di finire impalato dai mori e poi bruciato dai cavalieri che sono arrivati in soccorso, guidati dal legittimo cavaliere di Aurocastro. Si salvano grazie al ritorno di Zenone, che li vuole con sé alle Crociate.
Sulla genesi dell'Armata Brancaleone vi sono ricordi contrastanti. Per Mario Monicelli tutto nacque da un'idea di Scarpelli e da un 'film fallito', Donne e soldati (1955) di Luigi Malerba e Antonio Marchi, e l'ispirazione di fondo proverrebbe dalle rappresentazioni storiche realistiche o neorealistiche di Blasetti e Rossellini. Per Age, invece, l'ispirazione sarebbe venuta da film di genere che offrivano una prospettiva particolare su epoche eroiche per antonomasia (primo fra tutti, Yōjinbō ‒ La sfida del samurai, 1961, di Kurosawa). La critica, infine, ha messo in rilievo l'enorme quantità di riferimenti dei quali qui si avverte l'eco. Boccaccio, i poemi epico-cavallereschi, il Don Chisciotte, la grande tradizione del romanzo picaresco (che offre spunto ‒ come afferma Ettore Scola ‒ a buona parte della commedia all'italiana), perfino la vena satirico-grottesca dei vari Plauto, Ruzante, Molière, per non parlare delle contemporanee operazioni che Calvino svolgeva in sede letteraria.
In realtà, L'armata Brancaleone riprende fedelmente lo schema dei Soliti ignoti (1958) (perfino nell'attribuzione di alcuni ruoli-chiave, Gassman in primis), con un gruppo di simpatici perdenti che si imbarca in un'impresa rispetto alla quale è assolutamente inadeguato, coniugandolo con la parodia del grande affresco medievale di stile hollywoodiano. Il progetto si rivela il terreno ideale per l'esercizio del formidabile talento comico e della feroce vena goliardica di cui Monicelli ha dato numerosissime prove. Nel lungo periodo della sua gestazione, le idee si accumulano e si sedimentano: quando il produttore Mario Cecchi Gori accetta di riconsiderare la possibilità di finanziarlo (previa partecipazione di Monicelli stesso alle spese, prova ‒ peraltro ‒ della sua affezione verso l'idea del film), L'armata Brancaleone è cresciuto fino a raggiungere una sorta di scombinata perfezione e un'assoluta originalità, data dalla maniera di far convivere elementi tutt'altro che originali come quelli sopracitati.
Da un lato, allora, abbiamo un film capace di inventarsi una lingua completamente nuova, a metà strada fra la parodia delle reminiscenze del latino liceale e il dialetto marchigiano, un 'volgare' creato in laboratorio, comico e scenografico almeno quanto i costumi cenciosi e le tetre ambientazioni, perfettamente credibili nella loro autenticità e del tutto fantasiose per quanto riguarda la veridicità della ricostruzione storica. Il road-movie si ricongiunge al viaggio picaresco e la commedia all'italiana va in trasferta nel tempo, quasi a recuperare le radici antichissime della propria cialtronesca tradizione (compresa quella della Commedia dell'Arte, di cui Monicelli è da sempre estimatore) e a riflettere su di esse e l'antropologia che ne discende.
Dall'altro lato, però, la ferocia della sequenza iniziale e altri segni sparsi per il film fanno sospettare l'ambizione di offrire un contributo al rinnovamento della rappresentazione cinematografica (e non solo) della Storia. Il principio di realtà viene applicato con furia (perfino iperrealistica, per certi versi) a un Medioevo eufemistico e stilizzato che ‒ dopo questo film ‒ nessuno potrà più immaginare come tale. E, dietro al tono scanzonato dell'insieme, si cela forse il suggerimento di un metodo monicelliano di guardare al passato come al presente, alle cose vicine come a quelle lontane. Il successo del film (anche Nastro d'argento per costumi, fotografia e musica) fu tale che Monicelli, nel 1970, infranse la propria avversione per i sequel e realizzò Brancaleone alle crociate, cedendo qualcosa della spontaneità originaria. Si può anche dire che la dissacrazione culturale e storiografica di Monicelli abbia fatto scuola, ispirando tanto il Decameron (1971) di Pasolini quanto, assieme a quest'ultimo, una fitta schiera di commedie licenziose di ambientazione medievale che proliferarono nella prima metà degli anni Settanta ('i decamerotici').
Interpreti e personaggi: Vittorio Gassman (Brancaleone da Norcia), Catherine Spaak (Matelda), Gian Maria Volonté (Teofilatto dei Leonzi), Enrico Maria Salerno (Zenone), Carlo Pisacane (Abacuc), Maria Grazia Buccella (vedova), Barbara Steele (Teodora), Ugo Fangareggi (Mangold, lo svedese), Joaquín Diaz (Guccione), Gian Luigi Crescenzi (Taccone), Folco Lulli (Pecoro), Alfio Caltabiano (Adolfo Mano-di-Ferro), Luis Induñi (Luigi di Sangi), Philippa de la Barre de Nanteuil, Juan C. Carlos, Fulvia Franco, Pablo Tito García, Carlos Ronda, Luigi Sangiorgi, Pippo Starnazza.
F. Dorigo, L'armata Brancaleone, in "Cineforum", n. 54, 1966.
Age, Scarpelli, M. Monicelli, Il romanzo di Brancaleone, Milano 1984.
Mario Monicelli, l'arte della commedia, a cura di L. Codelli, Bari 1986.
G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano ‒ Dal miracolo economico agli anni novanta, 1960-1993, 4° vol., Roma 1993.
O. Caldiron, Maestri di sogni impossibili. L'immaginario picaresco, in Lo schermo eclettico. Il cinema di Mario Monicelli, a cura di L. De Franceschi, Venezia 2001.