L'Arsenale: maestranze e organizzazione del lavoro
L'estrema povertà dell'archivio dei patroni e provveditori all'Arsenal, per quanto riguarda le scritture relative al XV secolo, non consente di valutare in ogni suo dettaglio tutte le fasi d'una vicenda che dovette avere ben altri riscontri documentarii (1). A tali lacune s'è potuto, in qualche misura, sopperire grazie soprattutto all'indagine condotta sulle coeve fonti degli organi superiori dello Stato, in particolare le deliberazioni del pregadi ed i notatorii di collegio; va tuttavia tenuto presente che, quanto a quest'ultime, disponiamo soltanto delle "copie originali" a registro delle parti prese, non degli atti sciolti preparatori alle deliberazioni (parzialmente conservati soltanto dalla metà del Cinquecento). I provvedimenti relativi alla gestione quotidiana della Casa dell'Arsenal e ai criteri d'organizzazione delle maestranze ingaggiate, comunque, non richiedevano di regola l'intervento del senato o dei consiglieri e quindi - anche a livello di riscontro documentario - non potevano che essere registrati nell'archivio proprio dei patroni, nonché (almeno in parte, come si vedrà) nelle mariegole dei singoli corpi d'Arte.
Lacunosi, per tutto il Quattrocento e oltre, sono altresì gli archivi di quelle magistrature che più direttamente ebbero giurisdizione, con funzioni d'indirizzo, di controllo ed anche giudiziarie, sulle corporazioni di mestiere: da quello dei giustizieri (poi ufficiali, o provveditori, alla giustizia vecchia), che conserva le redazioni duecentesche di molti capitolari delle Arti, ma non quelle più tarde, a quello dei provveditori di comun, magistrato cui fin dal secondo Trecento venne affidato il controllo sull'importazione dei navigli provenienti dai cantieri extra Dogado, nonché il compito di favorire il ritorno a Venezia delle maestranze addette alla costruzione navale. Con deliberazione del pregadi del 6 settembre 1429 gli stessi provveditori di comun furono inoltre associati ai giustizieri vecchi - con funzioni di supervisione e controllo nel merito, limitatamente ai provvedimenti adottati da questi ultimi in materia di - Arti e così uniti diedero vita ad un collegio al quale si deve non poca della legislazione e normativa specifica elaborata tra il quarto decennio del Quattrocento e la metà del secolo successivo, nonché l'aggiornamento e la revisione di buona parte del corpus statutario relativo alle corporazioni di mestiere direttamente o indirettamente legate alla cantieristica navale (2). Anche la più antica produzione documentaria di quest'ultimo collegio è tuttavia andata in larga misura perduta nella sua redazione originaria, analogamente a quella delle due magistrature che lo componevano.
A siffatta carenza di fonti primarie possono supplire in qualche misura - anche se con riserve circa la correttezza delle trascrizioni - le copie delle disposizioni raccolte nelle mariegole quattro-cinquecentesche (o anche più tarde, come quella degli squerarioli) delle Arti in questa sede oggetto d'indagine.
La Mariegola dei calafai (la cui redazione originaria in volgare, risalente al 1437, è probabilmente andata perduta) è giunta fino a noi, ad esempio, in due copie coeve risalenti al tardo Cinquecento (3); in entrambe, ai 91 capitoli iniziali, ratificati dal neonato collegio fra provveditori di comun e giustizieri vecchi, sono aggiunte copie di parti di carattere generale (soprattutto del pregadi e del collegio), ma anche di ordini, terminazioni, ratifiche di parti del Capitolo generale dell'Arte, emanati congiuntamente dai due magistrati e non altrimenti rinvenibili. Queste trascrizioni risultano assolutamente preziose perché consentono di seguire con sufficiente continuità, per l'ambito cronologico indagato, l'evoluzione dell'atteggiamento statuale nei confronti delle corporazioni di mestiere legate all'Arsenale, attraverso l'ottica - seppur filtrata dall'intervento degli organi di controllo e, forse, anche dei vertici corporativi - dei capimaestri di tali categorie di lavoratori.
La quattrocentesca Mariegola dei marangoni da nave (di cui è attestata l'esistenza almeno fino alla metà del XVIII secolo) sembra invece essere irrimediabilmente perduta. I regesti di alcune disposizioni sicuramente contenute nella stessa sono trascritti nella tardo-settecentesca Mariegola dei squerarioli(4); in quest'ultima, oltre alle parti prese nel Capitolo generale, compaiono infatti, riordinate per materia, molte parti vecchie contenute nella loro prima matricola (redatta nel secondo decennio del Seicento e oggi, probabilmente, perduta), che, a sua volta, riprendeva in larga misura la normativa contenuta nella ricordata Mariegola dei marangoni da nave. Un'ulteriore conferma della stretta affinità fra le due categorie, chiarita dalla parte presa nel Capitolo generale degli squerarioli nel 1616:
Essendovi molte parti nella matricola nostra vecchia, quali appartengono non solamente alli marangoni da nave ma anco alli marangoni dall'Arsenal [...> si debbi far un estratto dalla matricola nostra vecchia delle leggi sottoposte all'Arte nostra, da esser poste tutte nella matricola nostra nova de squeraroli (5).
Questi ultimi, in origine semplici colonnelli dell'Arte dei marangoni da nave, avevano ottenuto una loro precisa autonomia giuridica soltanto nel 1607, con parte del consiglio dei dieci - contrastata dall'Arte-madre e dagli stessi patroni all'Arsenal - che dispose
sia concessa ad essi squeraruoli sí che possano errigger di loro una scola in questa città, con li capitoli et ordini che dal magistrato a tal erettioni di scole deputato li saranno dati, [concessione che tuttavia non doveva apportare limitazioni alla> libertà che hanno li marangoni dell'Arsenale di poter andar a lavorar fuori (6).
L'affinità di mestiere tra marangoni da nave e calafai (che per molti aspetti possono essere considerati due complementari colonnelli di un'unica corporazione, seppur giuridicamente sempre ben distinti) e, quindi, il costante ricorrere di parti e di disposizioni indifferentemente rivolte ad entrambe le corporazioni, consente infine d'acquisire, quanto ai primi, ulteriori notizie, dati, informazioni (che per altra via sarebbero inevitabilmente preclusi) raccolti nelle due mariegole cinquecentesche dei secondi.
La Mariegola dei segadori, ratificata da provveditori di comun e giustizieri vecchi nel 1445, ci è pervenuta in due copie cinquecentesche - delle quali una redatta nel quarto decennio, l'altra verso la fine di quel secolo - entrambe oggi conservate nella Biblioteca del Museo Correr (7). La Mariegola dei remeri, databile al primo decennio del Quattrocento, è invece basata sul testo del Capitulare remariorum, ratificato nel 1307 e successivamente integrato anche con disposizioni concernenti le categorie degli alboranti e antennanti, nei confronti delle quali l'Arte dei remeri diede vita ad un prolungato contenzioso (8).
All'inizio del Quattrocento calafai e marangoni da nave, che costituivano il nucleo di gran lunga più importante e numeroso della forza-lavoro complessiva nell'ambito del cantiere di Stato veneziano, sembrano godere di una "libertà di movimento" e di una capacità contrattuale notevoli. Le disposizioni emanate al riguardo dal pregadi o da altri organi della Repubblica sono, almeno apparentemente, inequivocabili. Nel 1407 venne deliberato "che chadaun marangon de nave possa ogni tempo de l'anno andar a lavorar a l'Arsanà al so piaxer" e per i maestri artigiani, oltre alla garanzia d'essere comunque ingaggiati presentandosi alle porte dell'Arsenale, sembrerebbe fosse al contempo liberamente consentito di poter abbandonare il lavoro intrapreso nella Casa al presentarsi di opportunità meglio remunerate all'esterno: "se infra domada i catasse mazor prexio fuora de la Caxa, sia in so libertade de andar de fuora a lavorar, come a quelli piaxerà" (9).
Siffatta, forse eccessiva anche per quell'epoca, "libertà d'azione", parzialmente ribadita con parte del pregadi nel 1422 ("quilibet marangonus navium possit omni tempore anni ire ad laborandum in nostro Arsenatu ad libitum suum") (10), induce peraltro ad ipotizzare la probabile esistenza di non meglio precisabili forme di regolamentazione e controllo, in merito alle quali, anche per l'accennata carenza di continuità documentaria nei coevi archivi delle magistrature competenti, non è rimasta traccia alcuna.
Tale accentuata libertà, con tutte le intuibili conseguenze in merito ad una efficace organizzazione del lavoro, provocò comunque, nei successivi decenni, l'emanazione in crescente progressione di provvedimenti restrittivi, ad opera non solo degli organi statuali, ma anche degli stessi vertici delle singole corporazioni di mestiere. Nel 1445 questi ultimi proposero ed in parte ottennero, infatti, una serie di correttivi volti ad ovviare alle lamentate disparità di trattamento tra quei maestri artigiani che, con criteri del tutto discrezionali ed irregolari ("con grande amistade ché i hanno da far pregar per loro con molte cautele e busie"), ottenevano l'esenzione dalle "fattion de Comun, e va lavorar dove li piace e dove li se ben pagadi" e quelli "obligati a Comun ", i quali invece di tale libertà non avevano modo di godere. Grazie ai correttivi proposti si sarebbe invece potuto garantire, ribadiscono i calafati, che "la nostra Signoria haverà meglio la maestranza a i suoi bisogni, perché noi saremo tutti in equalità" (11).
L'evolversi dell'atteggiamento governativo nei confronti delle maestranze (finalizzato per un verso, come talvolta esplicitamente affermato, ad ovviare alla cronica carenza di manodopera nei momenti di maggior necessità, per un altro associabile alle iniziative - costantemente perseguite nel corso di tutto il Quattrocento - tese a razionalizzare l'organizzazione del lavoro e la gestione delle risorse nel cantiere di Stato) deve, comunque, essere sempre valutato tenendo presenti anche le iniziative assunte dagli organi di governo nei confronti della cantieristica privata, complementare e non sostitutiva, nel cui ambito veniva soddisfatta quasi per intero la domanda di naviglio mercantile. Nel contempo non va neppure dimenticato che l'iniziativa privata nel corso del XIV secolo (e talvolta, previa autorizzazione in deroga, anche nel corso del successivo) (12) poteva in qualche misura sopperire, seppur saltuariamente e quando le ristrettezze dei tempi lo richiedevano, a quelle necessità di naviglio militare che il pubblico Arsenale non era in grado di assecondare.
In quest'ottica non vanno neppure ignorati quei provvedimenti normativi di natura protezionistica finalizzati - soprattutto dopo la metà del Quattrocento - a favorire la cantieristica lagunare e a garantire la permanenza in Venezia delle maestranze specializzate. Provvedimenti che appaiono esplicitamente rivolti a tutelare le maestranze della Dominante (o, al più, del Dogado) dalla crescente concorrenza, soprattutto nella produzione di piccolo e medio tonnellaggio, esercitata dai cantieri disseminati lungo i corsi d'acqua del Padovano, del Trevigiano e del basso Friuli: riprendendo - dopo la definitiva acquisizione dello Stato da terra - analoghe precedenti disposizioni che vietavano l'importazione in laguna di navigli acquistati altrove.
Sembra altresì delinearsi, nel corso del medesimo secolo, una sorta di specializzazione produttiva: nelle periferiche comunità dei veneti estuarii si continuavano a costruire, pur tra crescenti limitazioni, "barchas, burclos, maranos a lignamine consuetis in locis illis"; in Venezia - invece accanto alle "gondole" e alle altre imbarcazioni minori destinate alle diversificate esigenze cittadine, costruite nella miriade di squeri da sotìl disseminati lungo i margini e all'interno della città (13) - si metteva in cantiere, se non tutta, gran parte della tipologia navale di maggiore stazza lorda. I reiterati provvedimenti di natura protezionistica - ma al contempo sovente repressiva - nei confronti di calafai e marangoni della Dominante, trovano larga eco nei capitoli quattrocenteschi delle rispettive mariegole.
Alla fine del Quattrocento le posizioni di cent'anni prima si sono ormai capovolte. Per marangoni da nave e calafai il reclutamento, a giornata o a settimana, nei lavori de Comun non rappresenta più un diritto acquisito e magari una sorta di camera di compensazione alla quale liberamente rivolgersi nei ricorrenti periodi di stasi produttiva, comunque atta a garantire una paga ai confratelli meno capaci e quindi meno richiesti in ambito privato. Sono invece i patroni ed i quadri direttivi dell'Arsenale che provvedono giornalmente (o settimanalmente) all'ingaggio della manodopera ritenuta necessaria, costringendo di conseguenza gli organi direttivi delle singole corporazioni a meglio definire e a fissare rigidamente i criteri di turnazione (ruodoli) tra gli affiliati, al fine di consentire una più equa distribuzione delle opportunità di lavoro.
Tale radicale mutamento nell'atteggiamento statuale circa l'organizzazione del lavoro nella Casa può essere chiaramente riscontrato, ad esempio, nel decreto del pregadi preso l'11 luglio 1504, che stabilisce più rigorosi controlli sulla spesa, riduce o annulla una serie di privilegi e consuetudini da lungo tempo vigenti e richiama una più attenta osservanza nei criteri d'ingaggio delle maestranze, riaffermando altresì l'esclusiva competenza al riguardo di savii di Terraferma e savii agli ordini, tenuti "ad ogni rechiesta di patroni e proveditori redurse al Arsenal do volte al anno, videlicet el março et septembrio, per veder quelli che meriterano crescimenti et chi non" (14).
Analoga tendenza può essere colta nella parte presa in collegio il 31 marzo 1513, che diede facoltà agli stessi patroni di ridurre discrezionalmente la paga ai maestri meno "sufficienti" e di bandire ("sì ad tempus come perpetue") quelli che non "fosseno soliziti al suo lavor". Disposizione che si ricollega a quella - presa il giorno precedente - con la quale vennero revocate tutte le "gratie et concessione ad alcuni calafadi de poter lavorar al Arsenal" (15), costringendo i vertici corporativi a perfezionare ulteriori correttivi atti a meglio definire i criteri di turnazione ed avviamento al lavoro dei rispettivi affiliati (16).
Marangoni e calafai hanno ormai in gran parte perduto la loro antica autonomia e fortemente ridotto la loro capacità contrattuale, sia come singoli maestri artigiani, sia come struttura di mestiere organizzata: quanto mai emblematica è, al riguardo, oltre alle segnalate crescenti limitazioni, la parte presa nel 1502 che affida ai patroni all'Arsenal l'elezione del gastaldo dei calafati. Provvedimento del tutto inconsueto, anche nel pur rigidamente controllato mondo corporativo veneziano, con il quale si volle privare quell'Arte di una delle sue prerogative fondamentali, reprimendo duramente, nel contempo, proteste e sedizioni promosse dall'antica "aristocrazia operaia" arsenalotta, che vedeva sgretolarsi gli antichi privilegi e fortemente ridotti, se non messi in discussione, i relativamente alti salari del passato; proteste forse sfociate, nel primissimo Cinquecento, in episodii d'aperta "resistenza", che la scarsissima documentazione pervenutaci non ci consente peraltro di valutare nella loro effettiva portata (17).
Il graduale costituirsi in Venezia di strutture corporative organizzate, che riunivano quanti esercitavano il medesimo mestiere, può forse essere fatto risalire, allo stato attuale delle conoscenze, alla fine del XII secolo. Con maggior evidenza ai primi decenni del Duecento, quando la preesistente normativa consuetudinaria - di cui rimangono scarne tracce documentarie - inizia ad essere codificata nei primi capitolari delle Arti, statuti elaborati nella loro struttura essenziale in seno alle stesse associazioni di mestiere, quindi riordinati e, necessariamente, ratificati dallo Stato. Un riconoscimento giuridico cui si accompagnò un abbondante corpus legislativo specifico - di tutela ma, soprattutto, di controllo - perfezionato nel tempo, che non consentì mai al variegato microcosmo corporativo veneziano di assumere, anche indirettamente, ruoli di compartecipazione politica - o comunque di influenza o capacità di pressione e indirizzo - in qualche modo paragonabili a quelli altrove acquisiti nel mondo medioevale italiano (18). Provvedimenti sempre rivolti a garantire un efficace controllo politico sulle categorie artigiane (alle quali erano piuttosto demandate incombenze di natura assistenziale e previdenziale), quanto mai accurati e ricorrenti nei confronti delle corporazioni direttamente legate alla cantieristica navale, pubblica o privata; corporazioni alle quali Venezia riservò sempre, per motivi facilmente intuibili, attenzioni particolari.
Di tali provvedimenti rimangono riscontri saltuarii anche precedenti la redazione, nel 1271, del Capitulare magistrorum lignaminis naoium (19) e del coevo Capitulare callefatorum (20), nonché in quelli dei segadori (1262) (21) e dei remeri (22). Basterà ricordare la disposizione emanata nel 1227 che stabiliva "quod nullus marangonus neque calafadus audeat exire de Venecia causa laborandi absque licentia domini Ducis et Consilii" (23): forse il più lontano antecedente di analoghi provvedimenti assunti, come si vedrà, in epoche successive (in particolare nel tardo Trecento e lungo tutto il Quattrocento, ma anche nel 1308), sulla cui reale efficacia è tuttavia opportuno avanzare notevoli riserve (24). Riserve che trovano un'indiretta conferma nella reiterata emanazione di misure volte a favorire il ritorno in Venezia "sine molestia vel impedimento" delle maestranze, emigrate non solo alla ricerca di migliori occasioni di lavoro, ma anche a causa dei debiti contratti con privati o con lo stesso comune. Se nel 1308, infatti, si stabilì che i maestri artigiani "infra usque ad certos confines [non meglio precisati> non possint laborari, savornari et bruscari aliquod lignum" (25) - e si ribadì nel 1365 (26), poi nel 1374 (27), il divieto d'emigrare da Venezia "vel districtu" - con parte del maggior consiglio del 6 dicembre 1377, constatato che purtuttavia
multi marangoni et calafati, ac eciam marinarii, sunt extra Venetie in magno numero, et non audent venire Venetiae quia sunt debitores nostro Comuni et spetialibus personis. Et bonum ac pium et precipue moderno tempore sit reducere eos ad nos ad domum suam, pro bono Terre nostre et subventione eorum et familiarum suarum,
si consentì a tali maestranze di far ritorno liberamente nella Dominante, ove potevano "stare per unum annum secure, sine molestia vel impedimento alicuius", con l'obbligo di presentarsi all'ufficio dei provveditori di comun al fine di concordare i tempi e le modalità più appropriati per estinguere i debiti contratti. A questo magistrato vennero delegate ampie facoltà nell'intraprendere i provvedimenti e le soluzioni ritenuti più opportuni per garantire la permanenza in Venezia delle maestranze fuoriuscite (28).
A consimili disposizioni se ne associarono altre, di natura marcatamente protezionistica, esplicitamente rivolte a tutelare calafati, marangoni (e patroni, nella duplice accezione di privati imprenditori e/o di titolari di uno squero) veneziani dalla crescente concorrenza esercitata dai cantieri navali disseminati lungo i corsi d'acqua dell'entroterra padano o lungo le coste istro-dalmate. Si assiste, infatti, a un crescendo di limitazioni - sia nell'estensione territoriale di tali divieti, sia in quella delle tipologie e della portata del naviglio che poteva essere costruito o acquistato altrove (29) - che sembrerebbero precisate o rielaborate di pari passo all'evolversi di particolari vicende economico-produttive. La crisi congiunturale degli anni '60, protrattasi almeno fino allo scorcio del secolo, se ad esempio per un verso accentuò - come si vedrà - la riduzione in atto della "capacità contrattuale" delle maestranze e delle garanzie d'impiego loro offerte nell'ambito del pubblico Arsenale, dall'altro non mancò di generare, in rapida successione, provvedimenti a tutela della produzione locale; e così, se nel 1477 il collegio dei XII savii sopra i mestieri ("substituto loco consilii rogatorum"), al fine di "sustenir e mantener l'arte di fidelissimi nostri marangoni e calafadi, la qual sempre è stada et al presente è molto neccessaria et utile a questa nostra citade" ribadì che nessuno, veneziano o suddito, poteva "far lavorar né lavorar alcun navilio o barcha de cadauna portada in alcun luocho sotoposto alla nostra Signoria, dentro o fuora del Colpho da mar o da terra" (30), il pregadi, con parte del 10 novembre 1487, presa non senza contrasto (80 favorevoli, 7 non sinceri e 37 contrarii), riaffermò l'efficacia degli "ordeni stretissimi" stabiliti "per augumentar et mantener le maistranze in questa nostra cità et precipue i mestieri di marangoni et chalafadi" (ma anche, non si omise di rimarcare nella premessa alla parte dispositiva, "perché non siano fraudati i datii de la Signoria nostra"). Il decreto ordinava inoltre
che de cetero alguno nostro citadin over habitante in questa Terra et cadaun altro subdito nostro de i luogi devedadi non ardisca né presumi far, né far far, a nome suo over alieno, nave, marani et navilii, over alguno d'essi de portada da botte 5o in suxo, de alguna qualità et condition se voglia, sotto algun pretexto, color, forma over ingegno che dir over imaginar se possi, fuora de questa nostra cità, Muran, Torcello, Mazorbo, Buran de mar, Malamocho et Chioza.
Le preoccupazioni, non tanto di tutela delle maestranze quanto piuttosto d'ordine finanziario, emergono evidenti dal tenore del decreto:
Et perché al presente l'è multiplicado et moltiplica tanto numero de nave et navilii, burchi et barche d'ogni sorta fati fuora de qui, sì in terre et luogi nostri chome alieni, contra le lege et ordeni nostri, per modo che al presente in questa Terra non se lavora nave, né navilii de alguna sorta, né anche barche grosse; il perché le maistranze de questa Terra convengono redurse al nostro Arsenal et quello è obligato aceptarle, che sono de grandissima spexa a la Signoria nostra, overo convengono abandonar le loro fameglie et andar in terre et luogi alieni per aguadagnar. Et a questo modo manchano de qui tal mestieri et in le terre aliene habondano, cum detrimento de le chosse nostre et grandissimo dano di dacii nostri (31).
Due anni dopo, constatato che "ogni giorno è per multiplicar le spexe de la Caxa del nostro Arsenà per le maistranze che in quella ogni giorno sono acceptade, et questo per non haver fuor dicta Caxa da lavorar", con decreto del 23 ottobre 1489 il pregadi tentò di porre un freno all'acquisto di navigli costruiti in località esterne al Dogado, che con varii sotterfugi continuava ad essere praticato, decretando che
non se possi in Venetia per alcun Magistrato, né fori de Venetia per alcuno Rezimento, più meter a l'incanto né etiam per alcuna sententia intrometter, ma quelli [navigli> de facto, cum tuti i suo coriedi che qualunque sorte se sia andar debi al Arsenato nostro et quelli i patroni nostri de epso Arsenà immediate debino desfar et de quelo se trazerà, sì del corpo come de coriedi, immediate dar debi la mità al accusator (32).
Provvedimenti e limitazioni anch'essi, tuttavia, di controversa efficacia, sull'osservanza dei quali fin dal 1435 ebbero ampia giurisdizione, anche di natura repressiva, i provveditori di comun, ai quali era stata data la facoltà di far sequestrare e far bruciare navi e navigli fabbricati fuori di Venezia (33). Non mancarono, al riguardo, controversie e contestazioni; nella primavera del 1453, ad esempio, il collegio accolse due ricorsi concernenti le vendite al pubblico incanto di navigli costruiti extra Venetias, effettuate rispettivamente dal gastaldo di Palazzo e dagli ufficiali del Levante; la prima, relativa ad una nave proprietà di Sigismondo da Malatesta di Rimini, venduta a istanza dei creditori - che, secondo il parere dei provveditori di comun, essendo "fabricata extra terras nostras non poterit navigari, nisi sub certis gravibus oneribus et stricturis" - venne revocata, disponendo la restituzione di quanto già esborsato dagli acquirenti (34); circa la seconda, "quedam navicula ad quadram" che gli "officiales Levanti" pretendevano fosse demolita dopo la vendita, i consiglieri accolsero la supplica dell'acquirente, il "marinarius" Antonio Dominici, decretando "quod eam navigare possit ad libitum suum absque alia angaria" (35).
Non mancarono deroghe nemmeno al divieto di commissionare nuove costruzioni extra Venetias, come quella concessa al mantovano Antonio de Dossis, dal quale nel 1438 de mandato Dominii era stata acquisita "una sua plata pro construendo unum galeonum"; il collegio gli accordò infatti la possibilità di farne costruire un'altra, evidentemente in un cantiere esterno alla Dominante. La parte dei consiglieri dispose inoltre, per consentire al ricorrente di esercitare la sua attività, che per almeno quattro anni la sua nuova plata non gli potesse essere richiesta "occasione galeonorum nec aliter pro nostro Comuni". Disposizione forse poco nota, che conferma come lo Stato non solo non si peritasse di farsi committente o imprenditore di navigli commerciali - e, saltuariamente, anche militari - presso i cantieri privati esterni all'Arsenale, ma all'occorrenza provvedesse altresì ad acquisirne altri, anche "di seconda mano", da riadattare e rimodellare per pubbliche esigenze (36).
Non mancarono altresì i contenziosi nei confronti degli addetti alla cantieristica navale attivi in altre località del Dogado, in particolare a Chioggia e nell'arcipelago torcellano. Numerosi furono, infatti, i ricorsi presentati nel corso del Quattrocento - in varie sedi, singolarmente o congiuntamente - dalle corporazioni della Dominante. Marangoni da nave, calafai e segadori veneziani lamentavano forme di "concorrenza sleale" dei loro omologhi operanti in altre comunità degl'estuarii, accusati d'essere esenti non solo dai vincoli e dalle limitazioni cui essi erano invece soggetti, ma, soprattutto, da quelle consolidate e spesso gravose forme di "autotassazione", vigenti nell'ambito delle singole Arti della Dominante, volte a garantire sovvenzioni ed assistenza ai confratelli anziani e inabili. Nel 1420 marangoni e calafai "arsenalotti" ottennero l'imposizione delle angarie di vetrani anche alle corrispondenti maestranze del Dogado (37), onere successivamente esteso, sempre a beneficio dei vetrani di Venezia ("i quali tutti non si può metter al pevere (38), per buoni portamenti i habbino fatti ne i servitù della nostra illustrissima Signoria"), a tutti i costruttori o acquirenti di navigli "da Grado a Cavarzere" (39). Ma nel febbraio 1472 i consiglieri, "auditis marangonis et calafatis Torcelli et Contratarum, qui laborant maranos et burclos a lignis in parvo numero", consentono loro d'essere esentati da contributi a favore delle corrispondenti corporazioni veneziane (40). Precisando altresì (con parte del 25 maggio successivo, "laudata" concordemente dai tre avogadori intervenuti) che tali contributi, destinati "ad subventionem senum huius urbis", sarebbero eventualmente stati loro imposti soltanto nel caso avessero costruito o riparato tipologie di navigli diverse da quelle tradizionalmente prodotte in loco (41).
Pur operando in un'apparente condizione di privilegio, le maestranze della Dominante (cui era di fatto garantita l'esclusiva nella costruzione delle navi di maggior tonnellaggio) si rivelarono tuttavia particolarmente sensibili alle congiunture meno favorevoli, generando da un lato massicci fenomeni di emigrazione (particolarmente evidenti negli anni '60 e '70 del Quattrocento), dall'altro un abnorme accrescimento - svincolato da reali esigenze produttive ed oltremodo oneroso per lo Stato - dei "ruoli" dell'Arsenale. Facoltà, quest'ultima, consentita dall'ancor vigente normativa protezionistico-assistenziale cui s'è fatto cenno (perfezionata in tutt'altro contesto allo scorcio del secolo precedente), che garantiva lavoro e paga a tutti i marangoni e calafai che si fossero presentati nella Casa.
Opportunità d'ingaggio per i maestri delle due categorie (ma anche per i remeri) erano altresì offerte nell'ambito della flotta, non solo militare. Almeno dal tardo Trecento, se non prima, ogni "galera da mercato" era infatti tenuta ad imbarcare, fra gli altri, "unum marangonum, unum calafatum, unum remarium" (42), con paga mensile di lire venti (43); nel 1444 venne fatto divieto, a chi non fosse iscritto all'Arte, di "andar calafado de nave e de galia" (44), anche se una parte presa tre anni dopo nel segnalare la pratica evidentemente ancora diffusa, a discapito degli affiliati alla corporazione, d'imbarcarsi in qualità di marinaio, balestriere o rematore per poi operare "per calafado come per calafatin" ribadisce tale divieto, disponendo pene severe anche nei confronti dei patroni delle navi nelle quali fossero state trovate consimili maestranze "abusive" (45). Nel 1487, infine, venne fatto obbligo d'imbarcare, in qualità di balestrieri, tre marangoni e due calafai (46), cui s'aggiunsero in seguito uno e poi tre remeri (47).
L'imbarco nella flotta costituì, per molti aspetti, un privilegio per le maestranze, che garantiva loro una discreta paga esentandole nel contempo dalle prestazioni e gravezze cui gli affiliati della corporazione erano soggetti. Né è un caso, forse, che tali ingaggi "nominativi" fossero di regola deliberati (o ratificati) dal pregadi e, soprattutto, dal collegio (48), non mancando altresì di generare - soprattutto a cavallo fra Quattrocento e Cinquecento irregolarità ed abusi (49), nonché ricorrenti malumori negli stessi ranghi dell'Arte; quanto mai significativo è ad esempio il tenore di una parte presa nel Capitolo generale dell'Arte dei calafati e ratificata nel 1513:
El sono alguni del nostro mistier li quali per farsi ben a loro non se curano della ruina de' molti altri poveri dell'arte nostra, li quali, havendo mezo de qualche amicitia con qualche gran maistro, vanno dalli patroni delle galie et quelli paga chi li faccia trazer per balestrieri, et poi levarli per amicitia per compagni. Et a questo modo tuoi pan de man a molti altri che non vanno el numero della maistranza che die andar et valenthomini che sono andati compagni el tempo della vita sua, in grandissimo danno e vergogna dell'arte nostra. Et però l'anderà parte che alcuno, sia chi esser si volgia, che trazerà per balestrier et poi anderà per compagno delle galie, sia privo per anni diese dell'arte nostra ita che'l non possi haver né oficio, né beneficio, né lavorar del nostro mistier (50).
I ricordati provvedimenti restrittivi, gradualmente estesi fino al Quarnèr per i navigli superiori alle 100 botti di portata, sembra non avessero sortito altri esiti apprezzabili, se non quello di spostare fuori dai confini del Dominio la concorrenza: favorendo, ad esempio, lo sviluppo delle costruzioni navali, e segnatamente di una non secondaria flotta commerciale "da nolo", nell'indipendente Ragusa (51). Esplicito appare al riguardo un capitolo della Mariegola dei calafai, databile al 1437: nel ricordare come "altre fiade el fosse preso in Gran conseglio che alcun calafado over marangon non si possa partir da Venetia over del suo distreto per andar ad altra parte over luogo fuora de i nostri destretti a lavorar senza licentia della dogal Signoria", vengono richiamati il divieto (esteso agli stessi consiglieri, singolarmente considerati) di concedere nuove licenze, nonché la facoltà per le maestranze emigrate di far ritorno in Venezia "senza pena" entro due mesi, poiché
la Terra nostra soleva esser ben fornida de calafadi et de marangoni e mo' el ne è romasti puochi perché molti e molti son partiti, sì con licentia come non, e son andadi a lavorar altro e con gran danno e senestro de tutta la Terra, perché la che i navilii si doverave far lavorar in Venetia el se lavora in le terre d'altri, la qual cosa per nissun modo è da supportar (52).
La crescente concorrenzialità dei cantieri non veneziani, anche per le meno complesse periodiche operazioni di manutenzione, attirava inoltre gli stessi "cittadini over habitatori di Venetia i qual habitano qui, che con i suoi burchi overo navilii carghi vanno fuor del Vescovo di Venetia et fuor di confini di Venetia in Friul, a Padoa, Treviso, Mazorbo, Torcello, Buran, Muran e oltre, et fanno lavorar, conzar i ditti suoi navilii ". Paventando che in tal modo non solo "marangoni e calafadi", ma la stessa Casa dell'Arsenal "vegniria totaliter ad esser desfatta", con parte del luglio 1440 si stabilì "che da mo' in avanti algun, sì venetian come forestier, habitador di Venetia che stantia nel Vescovà di Venetia, che habia burchio, marciliana, navilio Brando over picolo, et cadaun generalmente altro navilio, non possi andar over mandar fuor del Vescovà di Venetia per conzar i ditti" (53).
Una qualche forma di consapevolezza dell'insufficiente peso (se non dell'inefficacia) che consimili provvedimenti di natura protezionistica potevano garantire, in ordine alla tutela e alla rivitalizzazione della cantieristica veneziana, sembra comunque trasparire dall'azione degli organi di governo, apparentemente condotta lungo due direttrici complementari. Finalizzata da un lato a non gravare ulteriormente l'Arsenale di maestranze (di fatto inutilizzabili nei periodi di stasi produttiva), dall'altro a garantire la permanenza delle stesse a Venezia, e non solo a motivo di più generali considerazioni d'ordine strategico, ma anche per aver assicurata un'adeguata disponibilità di artigiani specializzati nei prevedibili momenti di mobilitazione della flotta. In quest'ottica lo Stato, soprattutto nella seconda metà del Quattrocento, sembrò rivolgere la sua attenzione anche alla cantieristica privata, nel tentativo di conseguire due principali obiettivi: la costruzione di grandi navi commerciali, che si tentò di stimolare con prefinanziamenti e incentivi, e la definizione di una precisa normativa per certi aspetti mutuata da quella vigente nell'ambito della Casa - atta a favorire l'impiego e la turnazione, mediata e controllata attraverso i soprastanti delle rispettive corporazioni, dei maestri calafai e marangoni nell'ambito degli squeri privati. Sembra emergere, cioè, la consapevolezza che tali maestranze, alle quali sono da aggiungere anche i segadori, gli alboranti (54) ed i remeri, costituissero nel loro complesso un'essenziale forza-lavoro che poteva essere efficacemente tutelata assecondando (o comunque non ostacolando), innanzitutto, la naturale e spontanea capacità di interscambio della manodopera fra la produzione in ambito pubblico e quella in ambito privato; interscambio, anche entro lassi temporali ravvicinati, comunque soggetto alle "regole del mercato" e alle congiunture politico-militari che il legislatore doveva necessariamente assecondare.
Per il varo delle navi di maggior tonnellaggio i patroni all'Arsenal, già nella prima metà del secolo, erano tenuti a concedere in prestito gratuito le invasature, o altre attrezzature, che fossero state loro richieste da imprenditori privati (55) (ai quali venivano altresì concesse sovvenzioni a fondo perduto: "quando nostri cives fabricari volebant naves magnas, nostra Dominatio consueverat donare sibi ducatos mille" (56). Nei decenni successivi si segnala invece l'obbligo, esteso a tutti i "patroni di squero", di "dare receptum omnibus navibus qui vellent ostendere charinam" (57) e ricorrono frequenti in collegio le iscrizioni di quanti intendevano presentarsi "ad probam" per la costruzione di navi non inferiori alle 1.000 botti di portata (58). A questi ultimi, in deroga alla normativa vigente, venne talora altresì concesso di far tagliare e condurre, già ridotto in tavolame, il legname necessario (59).
Questi ed altri provvedimenti volti ad incentivare la cantieristica privata - che andrebbero sempre valutati associandoli alle coeve (e spesso contestuali) ricordate disposizioni di natura protezionistica - riflettono il più generale atteggiamento statuale in materia. Atteggiamento percepibile, ad esempio, in un decreto del pregadi del 1486 con il quale, constatato come "riducta è questa nostra cità ad tale bisogno et manchamento de nave grosse, che non solamente non ne sono più di quelle, che ognuno bene intende, ma etiam quelle de Comun fra brevissimo tempo sono per andar a la maza", vennero precisate le modalità di finanziamento per la costruzione in appalto di due nave grosse (60).
Parallelamente alla più generale produzione dispositiva del pregadi e delle magistrature con giurisdizione in materia, nel corso del Quattrocento si venne inoltre a definire, ampliato e precisato rispetto a quello preesistente d'impianto duecentesco, un sostanzioso corpus normativo predisposto all'interno delle singole corporazioni (anche se necessariamente soggetto a ratifica da parte degli organi di controllo deputati), in ordine soprattutto ai diritti/doveri reciproci fra maestri, protomaestri, "lavoranti" e garzoni, ai rapporti con la committenza privata, ai criteri d'ammissione nell'Arte ed alla tutela dei confratelli inabili.
Normativa rielaborata, aggiornando i capitoli codificati negli statuti più antichi, nelle nuove mariegole redatte soprattutto nel secondo quarto del XV secolo. Se nel 1407, ad esempio, "cadauno maistro proto e squerariol" era tenuto a pagare le maestranze prima di varare il natante in lavorazione, né poteva ingaggiarne altre prima di aver saldato quanto dovuto a quelle assunte in precedenza (61), nei capitoli della Mariegola dei calafai - ratificati nel 1437 - vengono precisati "li patti che se fa da paroni" (nell'accezione di protomaistri) "a maistri" (62), nonché fra "protomaistri" e "patroni del lavoriero" (cioè i privati imprenditori o committenti) (63), ai quali si fece espresso divieto di assumere più di un lavoro contemporaneamente (64), oppure di vendere un naviglio di nuova fabbricazione dopo averlo spalmato di pece:
che da mò avanti algun marangon de nave il qual lavorerà, over farà, alcuna nave over navilio nuovo sopra de sì non possa, per alcun modo over inzegno, far né far far, per sì over per altri per suo nome, vendeda de sifatta nave over navilio fatto da nuovo, altramente cha bianco e compido solamente della so arte de marangon. Né etiandio possa far vendeda, né prometter de far compir, algun dei ditti navilii de uovra che aspetta over podesse aspettar all'arte di calafadi (65).
Varie parti contenute nelle Mariegole quattrocentesche dei marangoni da nave e dei calafai evidenziano altresì ricorrenti contenziosi fra i due corpi d'Arte gemelli, in merito soprattutto ai limiti reciprocamente imposti (nell'ambito della cantieristica privata) nell'esercizio di specifiche fasi e tecniche lavorative; se infatti un capitolo del 1437 proibisce a tali maestranze di "tuor sopra di sé" o "ficcar d'agudi" (cioè inchiodare) lavori d'importo eccedente i 20 soldi (66), nel 1444 i consiglieri, richiamandosi ad una parte del pregadi che nel 1425 aveva concesso ai marangoni da nave facoltà di assumere super se la costruzione di galere (in contrasto con quanto prevedeva invece la Mariegola dei calafai), ne ribadiscono l'efficacia, poiché, ovviamente, "ordines contenti in matricula calafatorum non sunt illius efficatie cuius sunt partes capte in consilio rogatorum" (67).
Particolarmente accurati furono i provvedimenti presi nel Capitolo generale dell'Arte dei calafati in ordine alla tutela dei confratelli anziani e/o inabili, che i protomaistri erano tenuti ad ingaggiare settimanalmente (68) in numero proporzionato a quello dei maestri e con paga equivalente (69). Fin dal 1437, se non prima, "per sovvention delli poveri vetrani ", venne infatti disposto che:
ciascun che sarà protomaistro, che torà da maestri V. in suso, sia tenuto di tuor un homo vetran, cioè do per dosena, soto pena de livre III per ciascadun e per ciascuna fiada. E se'l protomaistro non la havesse tolto, che'l gastaldo habbia libertà di mandarli alle ovre [...> e che'l paron del ditto lavoriero non possa reffudar quello over quelli che per lo ditto gastaldo, over compagni over protomaistro, fosse tolti over mandati. E se'l paron li refudasse, che'l sia tenuto di pagarli
de tutta la dimanda, si come li havesse lavorado (70).
Un altro capitolo precisa che "ciascun squerariol che habbia fin a III maistri, in lo qual numero di tre maistri si debbia computar la persona del squerariol, el si debba mandar un vetran al ditto" (71); un altro ancora precisa ulteriormente la quota proporzionale di vetrani assegnata: due ogni sette maestri, tre ogni tredici. I giustizieri vecchi, constatata la mala consuetudine invalsa fra protomaistri e titolari di squero, che ingaggiavano "come e qual a lor par, per tal che alcun delli ditti vetrani veniva ingannati, perché quelli che toleva e tuoi i ditti vetrani toleva quelli che a loro piaseva e lassava i altri a chi più bisogno feva", avevano inoltre disposto "che da mò in avanti el si debba far tante cedole quante sarà i vetrani, in cadauna delle qual sia scrito il nome de cadaun per lo gastaldo e officiali so' e messe in un capello, over capuzzo over sachetto, ben messedade. E che cadauno che doverà tuor de alcun de ditti vetrani andar debba a tuor la sua cedola dal gastaldo" (72).
Forme di tutela, queste, che gli stessi patroni all'Arsenal, nonostante i tentativi messi in atto per evitarle, furono tenuti a rispettare: venendo quindi equiparati - almeno in tale specifico ambito normativo - agl'imprenditori privati, come verrà ricordato in una parte presa nel Capitolo generale dell'Arte dei calafati :
Con ciò sia che'l sia un ordene per mantener l'arte di marangoni e calafadi che ciascun che lavora, over lavorar farà della ditta arte, debba tuor tanti vecchi et huomini impossenti della ditta arte, segondo la quantità dei maistri i quali sono a sì necesarii per lavorar, et i patroni dell'Arsenal non voia tuor algun de questi vecchi. Va parte che i ditti patroni dell'Arsenal sia tenuti et debba tuor di ditti vecchi e fanti segondo le ovre e lavorieri le qual si fanno lavorar per quel modo e forma per il qual è tenuto tuor quelli i quali fanno lavorar fuora del Arsenal (73).
A favore di vetrani e infermi vennero inoltre disposti versamenti di denaro che, per ovviare ai lamentati abusi invalsi, dovevano essere consegnati ogni domenica esclusivamente al banco dell'Arte in Piazzetta di San Marco (74).
Anche tali provvedimenti di natura assistenziale, tuttavia, ebbero un'evoluzione analoga a quelli concernenti le maestranze attive, alle quali - come s'è visto - vennero gradualmente limitati prerogative, emolumenti e "libertà di movimento": sullo scorcio del Quattrocento e all'inizio del secolo successivo, infatti, vennero definiti criteri più rigidi per poter essere annoverati nei ranghi dei vetrani, limitando inoltre loro le consuete spettanze. Nel 1482 si stabilì che essi dovevano essere "conosciudi veramente per vechi et ch' non habino libertà d' portar fante [cioè garzone> alcuno" (75); quattro anni dopo, con l'intento di porre un freno ai molti giovani artigiani che "in rise, question et anco per suo mal viver vengono strupiadi e malmenadi, poi sotto tal pretesto di esser strupiadi si fano meter al benefitio di vecchi, cossa non conveniente", i rappresentanti dei calafati supplicano in collegio di limitare la categoria dei vetrani soltanto agli ultrasessantenni, fatta eccezione per quelli che "nelli servitii della serenissima Signoria nostra, o con sue nave o galie combatando con nemisi, fuseno guasti" (76). Nei primi decenni del Cinquecento furono ulteriormente precisati limiti ed emolumenti agli stessi spettanti: nel 1528 venne terminato "che de cetero algun non possi intrar in numero di vetrani nisi haverà le condition anotate segondo la forma della so mariegola" (77) e nel 1534 il pregadi, nel deliberare in merito ai criteri d'ingaggio "per alfabeto" nei lavori esterni all'Arsenale, decretò che fra i maestri vetrani che andavano proporzionalmente assunti "quelli veramente che sono strupiadi et malcondicionati che serano estratti, debbano haver solum la sua mità, sì come hano quelli che non lavorano de sua mano" (78). L'ormai troppo gravoso "ducato per settimana" imposto nel 1445 ai maestri, destinato ai "poveri infermi e bisognosi" dell'Arte, venne infine abrogato con parte presa nel Capitolo dei calafati il 13 marzo 1536, che stabilì in alternativa un'aliquota rapportata alle caratteristiche e dimensioni del lavoro eseguito:
De ogni nave che metteranno a basso del tutto lire una e soldi diese; item per cadaun navilio, schirazzo, burchio over marciliana, sia de qual sorte si volgi, che se metterà a charena in aqua soldi 15; item per cadauna nave, navilio, marciliana, burchio, over altro navilio de che sorte si voglia, che riunderanno soldi 10; item per cadauna nave, navilio, marciliana, burchio, over altro navilio de che sorte si volgia, conzaranno in terra soldi 15; item per cadauna nave de botte 300 in suso lire 1 soldi 10 (79).
Un'attenzione costante venne sempre rivolta ai criteri d'ingaggio, all'iter lavorativo ed alla formazione delle maestranze minori; le disposizioni in merito, già elaborate nei capitolari duecenteschi delle singole Arti, vennero riprese ed ulteriormente precisate in numerosi capitoli delle mariegole quattrocentesche. Fin dal 1361 il pregadi aveva disposto che la paga giornaliera prevista per i fanti dei protomaestri operanti nell'Arsenale (in precedenza erogata dalla stessa Casa dell'Arsenal) venisse detratta dal salario di questi ultimi, che venne al contempo raddoppiato affinché "si dia caxun a li prediti maistri, a nui così necessari, de procieder fedelmente e lialmente in li lavorieri del nostro Comun", con espresso divieto d'ingaggiare più d'un fante ciascuno (80). Nel 1437 ai maestri calafati venne consentito di "tenere et havere doi fanti et non più con seco ad imparar l'arte", i quali dovevano aver compiuto 14 anni (limite poi opportunamente abbassato a 12 (81) ed essere annotati negli appositi quaderni della giustizia vecchia; facevano eccezione i figli ed i figli di fratelli che, mutuando quanto già previsto dalla normativa duecentesca, potevano essere avviati al lavoro (anche alle dipendenze d'altri maestri) prima di aver raggiunto tale età (82) e, inizialmente, senza l'obbligo d'iscrizione alla giustizia (83).
L'opportunità di avviare al lavoro i garzoni in giovanissima età - ancor oggi empiricamente valutata, dagli ultimi maestri artigiani della cantieristica navale, condizione necessaria per un positivo apprendistato - trova un riscontro quanto mai illuminante nel divieto, ratificato nel 1482, d'ingaggiare fanti d'età superiore ai 14 anni, "per ch'el si habia a bonifficar e per muover il mistier nostro di calafadi d'ben in meglio, inperò ch' suoleno vegnir al mistier grand'huomeni de etade, over gioveni atempadi, ch' non puono ben e utilmente imparar" (84). Per ovviare ai "molti scandali e brige" insorti, era inoltre severamente vietato (anche in questo caso richiamandosi alle norme statutarie duecentesche) ingaggiare fanti di altri maestri, quando non avessero concluso il periodo d'apprendistato previsto (85), benché una coeva "correzione" dei provveditori di comun e giustizieri vecchi avesse comunque precisato che "da mò avanti tutti li calafadi che vegnerà con nave e Balie possa lassar i so fanti con altri maestri a imparar l'arte, non ostante alcuna parte inserta in questa nostra mariegola" (86). La ricordata esigenza di tutelare, nel loro complesso, le due principali categorie della cantieristica navale, emerge anche nei provvedimenti esplicitamente rivolti alle maestranze minori; non solo in quelli statutari delle singole corporazioni, cui s'è fatto cenno, ma anche in quelli degli organi superiori dello Stato.
Due disposizioni, approvate rispettivamente nel 1437 e nel 1465, appaiono particolarmente significative: l'una d'ordine strategico, volta ad impedire che stranieri e "infedeli", potenzialmente ostili, acquisissero nella Dominante cognizioni tecniche che avrebbero potuto esportare altrove, l'altra a garantire un'adeguata formazione alle maestranze veneziane. Nella Mariegola dei calafai si registra infatti la parte (presa "per ben commun de tutti e per schivar gran mali"), estesa a tutti i maestri di quell'Arte, nonché ai marangoni da nave, ai balestrieri ed ai corazzieri, che vieta loro di
tegnir over haver, per alcun modo over inzegno, così a lavorar, imparar, overo adoperar de alguna de le ditte arte, over cosa che aspetta alle ditte arte, algun schiavo o veramente che sia stato de generation de tartari, sarasini, over alguni altri infedeli. E chi havesse algun delli preditti al presente debba licentiarli, cioè che li non impara a dovrar over lavorar più delle ditte arte (87).
Con parte del 3 settembre 1465 il pregadi - constatato che "l'è multiplicado tanto numero de tal persone, la mazor parte non sufficienti, i qual poi, non trovando inviamento per la Terra, se chalano al Arsenà" e che vengono ingaggiati garzoni "i qual per la etade tenera non può, né non attende a imparar, ma va fazando infiniti mali per la Chaxa" - fissa una serie di criteri selettivi volti a garantire un'adeguata professionalità in quanti, concluso il periodo d'apprendistato, avrebbero dovuto accedere alla qualifica di maestro. Dal tenore della parte si percepisce, in sostanza, l'acquisita consapevolezza della necessità di un più serrato intervento statuale nella formazione e nel "passaggio di qualifica" delle maestranze, che non poteva continuare ad essere esclusivamente affidato ai vertici corporativi (i quali "hano rezevuto et rezeveno tuti indifferentemente, cussì che sapia lavorar chome quelli che non sa et che apena son sufficienti fenti; e questo per la utilità de uno ducato, che da chadauno i hanno che i rezeva in la scuola"). Si provvide di conseguenza a definire il periodo minimo d'apprendistato, fissato in sette anni, delegando contestualmente ai patroni all'Arsenal un'accentuata discrezionalità - analogamente a quella dei maestri - circa l'ammontare della paga giornaliera per i garzoni: "da soldi quatro fin octo al dì chomo a lor parerà i merita, considerado el tempo, el maisterio et la solicitudine de cadaun" (88).
Nell'ambito più propriamente dei rapporti intercorrenti fra gli squerarioli - che all'epoca vanno ancora sostanzialmente intesi nell'accezione di possessori o titolari di un cantiere navale, costituendo di fatto, se non ancora sotto il profilo giuridico, un colonnello dell'Arte dei marangoni da nave - e le maestranze dagli stessi squerarioli ingaggiate, la definizione di una normativa a tutela di queste ultime traspare soprattutto nei capitoli dell'Arte dei calafai (ma va ricordato che la quattrocentesca Mariegola dei marangoni da nave è andata, per quanto ne sappiamo, probabilmente perduta), nonché nelle deliberazioni del pregadi e del collegio. Provvedimenti che si intuisce essere in qualche misura complementari a quelli volti a regolamentare - limitando l'antica indiscriminata libertà di ammissione - i criteri d'ingaggio nel cantiere di Stato.
Nel 1495, ad esempio, una parte del Capitolo generale dei calafati stabilì che "per oviar molti scandoli e erori ch' tutto el zorno vien lamentation per i squerariol ch' vano lavorando per li squeri e tuono l'inviamento alli boni maestri che fano le sue angarie al nostro Arsenal [...>, da mò avanti nostri squerarioli no possa andar a lavorar fuora di suoi scqueri, ne' da altri squerarioli", imponendo loro inoltre d'ingaggiare esclusivamente maestri regolarmente iscritti all'Arte. Un'altra parte coeva presa in Capitolo (e ratificata, come di norma, dal collegio dei provveditori di comun e giustizieri vecchi), prevedeva rigidi criteri di turnazione per tutti gli affiliati all'Arte; criteri paragonabili a quelli adottati "per tessera" nella Casa - che già nel 1460, "per esser vegnudo el mistier in povertà", s'era tentato d'introdurre, probabilmente senza apprezzabili risultati (89) - ed esplicitamente rivolti a impedire, o quanto meno a controllare, le lamentate ingiustizie e l'eccessiva discrezionalità invalse anche nei criteri d'ingaggio in ambito privato:
da mo' avanti calafado che faza il mistiere deba andar a lavorar per tesera, in la qual sia scritto el suo propio nome e darla al nostro gastaldo, el qual deba meter tutte queste cetolle in un sacheto ben messedade. Et quando alcun patron over protomaistro vorà tuor alcuno calafado, andar debba dal ditto gastaldo e meter la man in dito sacheto e tuor tante cetolle quante serrà li homini ch' lui vorà. E quelli i qualli tocherà sia tenuti andar a lavorar da quel patron over mistro.
Ratificate dal collegio fra provveditori di comun e giustizieri vecchi nel 1497, le due parti se - per un verso - lasciano trasparire i mai sopiti contrasti fra le due Arti gemelle dei marangoni da nave e dei calafati (e vengono evidentemente adottate per garantire pari opportunità di lavoro a tutti i confratelli in un periodo di crisi congiunturale), dall'altro prevedono comunque garanzie al "patron over mistro" che avesse ricevuto per sorteggio maestranze non di suo gradimento: "intendando che ditto patron possi et habbia poter, essendoli tocado homini sufficienti e non faci el suo dover, d' poter caçar e reffudar quelli tal et iterum levar altretante zetolle quante di bisogno li farrà" (90).
Non mancarono i ricorsi presentati da maestri squerarioli e i controricorsi dell'Arte dei calafai, transitati in appello anche in quarantia civil e in avogaria di comun: furono frequenti soprattutto nel secondo e terzo decennio del Cinquecento, quando, come si è avuto modo di vedere, la "capacità contrattuale" delle maestranze era ormai notevolmente ridotta e l'Arsenale non poteva più configurarsi quale "camera di compensazione" per i momenti di stasi occupazionale. Avverso l'obbligo loro notificato alla fine del 1511 di non "acceptare aliquem squerarolum, neque dare de laborare in eius squero aliqui qui non sit de scola calafatorum" alcuni capi di squero ricorsero alla giustizia vecchia, ottenendo di poter lavorare "de arte calafatorum a milliariis 200 infra" nei loro cantieri, a fronte di una modesta "luminaria" annuale a favore della Scuola dei calafati (91). La concessione venne annullata l'anno successivo dalla quarantia civil in quanto "terminatio indebite et iniuste facte in damnum et preiuditium dictorum calafatorum" (92). Nel 1519 il pregadi salomonicamente dispose che "de cetero la maestranza toranno i squeraruoli per lavorar li navilii haveranno nelli suoi squeri da dusento miera in zoso, iusta la forma delle parte habino a tuor per mittà calafadi et mittà maestri fatti nelli squeri" (93) e, nel 1526, una terminazione dei giustizieri vecchi riaffermò che "alcuno sia chi esser si volgia, sí calafado che non sia in la scuola come marangon che non sia in scuola di calafai, non possa lavorar in alguno navilio da miera 200 in suso" (94).
Ma fu la parte presa in pregadi nel settembre 1534 che sanzionò l'ormai definita identità dei criteri d'ingaggio per le maestranze, sia nell'ambito della Casa che in quello della cantieristica privata (criteri che con alterni risultati si era già tentato d'introdurre sullo scorcio del secolo precedente), ordinando "che li ditti calaphadi del Arsenal et non altri de fuori via debino, semper che l'occorrerà andar a lavorar nave et navilii de fuori de l'Arsenal in questa cità nostra, farlo per alphabeto a tutte le opere, come vano nel tempo che se commandano nel Arsenal" (95).
Si è detto, più sopra, che, segnatamente negli anni a cavallo fra Trecento e Quattrocento, le maestranze dell'Arsenale ebbero garantita ampia facoltà sia di essere ingaggiate, senza apparenti limitazioni, quando si fossero presentate alla Casa, sia - forse con qualche correttivo o vincolo - di abbandonare ad libitum il lavoro loro assegnato in Arsenale per assumerne altro all'esterno, nell'ambito dell'evidentemente meglio remunerata cantieristica privata. La parte approvata in quarantia il 14 dicembre 1407 non sembra lasciare infatti dubbio alcuno al riguardo: se i marangoni da nave nel corso della settimana "i catasse mazor prexio fuora de la Caxa, sia in so libertade de andar de fuora a lavorar come a quelli piaxerà" (96).
Benché riferita esclusivamente ai marangoni, non vi è motivo alcuno per escludere che tale disposizione andasse implicitamente estesa anche ai calafai: le maestranze delle due principali corporazioni presenti in Arsenale erano infatti l'un l'altra perfettamente complementari e, di regola, operavano di concerto; le disposizioni emanate nei loro confronti dai patroni o dai superiori organi di governo, inoltre, sovente si riferivano (e si applicavano) indifferentemente ai due "corpi d'Arte". Diverso era invece lo status, e più limitati i privilegi, per altre categorie "arsenalotte": nel 1447, ad esempio, viene ricordato "quod magistri arborum et talearum non intelligantur esse marangoni, nec habere conditionem marangonorum"; analoga sorte dovettero probabilmente avere anche remeri, segadori e altre corporazioni minori, quali veleri e fabbri dell'Arsenale (97).
I sintomi di una persistente disaffezione delle maestranze verso il lavoro "statale" e, per un altro verso, del graduale precisarsi di una normativa meno permissiva in merito all'organizzazione del lavoro all'interno della Casa, emergono nella produzione dispositiva dei successivi decenni; e anche, di riflesso, nei "capitoli" approvati dalle singole corporazioni di mestiere. Proprio nel secondo quarto del Quattrocento, tra l'altro, venne radicalmente rielaborato il corpus legislativo e normativo in materia di Arti, in gran parte ancora basato sugli statuti duecenteschi; si abolirono le parti ormai desuete e si mantennero esclusivamente quelle ritenute "utiles et comodi pro Civitate nostra et pro augmento artium et misteriorum" (98); vennero redatte molte nuove mariegole in volgare (99) e si perfezionarono altresì specifici provvedimenti di natura protezionistica, disposti "pro augmentando artis marangonorum et calafatorum" (100).
Quanto mai illuminanti sono al riguardo alcuni "capitoli" della Mariegola dei calafai redatti nel 1437: da quello che dispose "che da mò avanti algun che sia comandado a lavorar in la Ca' de comun sia tenuto andar a lavorar alla detta Casa, né non osa andar a lavorar ad alguna spetial persona quel dì che lo doverà lavorar in la Ca' de comun" (101), a quello che fece divieto ai maestri dell'Arte di "moversi dal suo scafino" quando il gastaldo - che, fra le sue incombenze, aveva anche quella di garantire la disponibilità delle maestranze nel numero richiesto in Arsenale - si recava negli squeri privati "cercando o togliendo li maestri per l'opera de Commun" (102).
La radicata consuetudine di evitare le "fattion de Comun ", evidentemente diffusa soprattutto fra i maestri più capaci, quindi maggiormente richiesti altrove (i quali, quando assegnati "per alfabeto" nei ruoli della Casa, con vari sotterfugi e, probabilmente, in collusione con i "ministri" dell'Arsenale, ottenevano licenza di andare a lavorare altrove), non mancò di generare "gran scandolo" fra gli affiliati alla corporazione che tali opportunità avevano modo d'avere. Con la parte del 10 marzo 1445, presa in Capitolo, i rappresentanti dei calafai lamentarono infatti che
molti huomini sono dell'arte nostra che non vuoi obedir né far le fattion de Comun come fa i altri, ancor tien muodo, con grande amistade che i hanno da far pregar per loro con molte cautele e busie; et a questo modo i vien licentiadi da questa fattion de Comun e va lavorar dove li piace e dove li se ben pagadi et i guadagna più denari in una settemana che noi che semo obligati a Comun non femo in do. Arecordandove signori che l'è gran danno del nostro Comun perché el non se può far le vostre galie alli tempi debiti. Ancora occorre gran scandolo e lamento tra li huomini dell'arte nostra, imperò signori che noi poveri huomini che non havemo questa licentia convenimo far due fattion: prima la fattion nostra ancora convenimo far le fattion de questi che vien licentiati.
Per ovviare in qualche modo a tali disparità si stabilì che tutti gli affiliati all'Arte comandati in Arsenale, quando avessero ottenuto licenza di lavorare altrove, erano obbligati a versare un ducato ogni settimana "per sovention de nostri poveri infermi vetrani". Il maestro "licenziato" dall'obbligo in Arsenale era in ogni caso tenuto al pagamento del "ducato per l'amor de Dio" anche se non avesse lavorato altrove per la settimana intera e il gastaldo aveva facoltà di perseguire gli inadempienti: "a questo modo la nostra Signoria haverà meglio la maestranza a i suoi bisogni, perché noi saremo tutti in equalità e cessarà molti errori che se tutto il dì tra li huomini dell'arte nostra".
Una parte del 5 aprile 1446, registrata di seguito alla precedente, chiarisce le modalità pratiche che - durante il settimanale raduno della corporazione al molo di San Marco - regolavano le turnazioni delle maestranze e la possibilità per le stesse d'ingaggiare un altro confratello in loro vece; venne infatti stabilito di tracciare "altra man d' segni dellà da quei ch' noi si catemo da lavorar più inverso il ponte de la Pagia; e tutti quelli ch' serà comandadi a lavorar a l'Arsenal possa star dentro d' questi segni a suo piazer per trovar over per mandar un homo ch' vada a lavorar a far sua scusa al Arsenal". I maestri comandati in Arsenale non potevano recarsi "dentro i segni" previsti per quelli assegnati "di fuora"; questi ultimi potevano invece accordarsi con i primi per sostituirli, registrando il proprio nome dal gastaldo (103).
Nella seconda metà del secolo le condizioni lavorative per le maestranze cambiarono radicalmente e la precedente garanzia di essere comunque ingaggiati in Arsenale si trasformò in una concessione rigidamente regolata. Nel 1460, "per esser vegnudo el mistier in povertà", venne richiesta l'istituzione di una turnazione dei calafai per tessere nominative, conservate "in un sacheto ben mesedade" dal gastaldo, al quale i protomaestri erano tenuti a rivolgersi per avere, estratti a sorte, gli uomini richiesti (104) e con la parte del 3 settembre 1465 il pregadi, constatato che fra i "marangoni da nave [...> l'è multiplicado tanto numero de tal persone, la mazor parte non sufficienti, i qual poi non trovando inviamento per la Terra se chalano al Arsenà per vigor de le lege, che non se po' refudar" decreta "che da mo' avanti i nostri patroni de l'Arsenà non sia obligadi dar da lavorar ad algun che sia rezevudo in la scuola per el gastoldo [sic!> e conpagni se prima el non vien provado un'altra volta in l'Arsenà ai lavori de la Chaxa". Con tale provvedimento veniva pertanto garantita - pur in presenza d'una ancor vigente normativa protezionistica a favore dei carpentieri navali la possibilità per i patroni d'esercitare forme di controllo (e comunque di selezione qualitativa) sulle maestranze che si presentavano nella Casa; anche se, come si è avuto modo di vedere, tali criteri selettivi non mancarono di generare contenziosi, in ordine soprattutto alla tutela dei maestri anziani o inabili (105). E all'inizio del 1482, "perché i calafadi desiderando dedur i lavorieri del Arsenà in longo ogni dì più se strania, non se contentando de i presii consueti et non voiando vegnir a lavorar quando i son rechiesti", un'altra parte del pregadi rideterminò l'ammontare delle paghe giornaliere massime per i "boni maistri" (riducibili a discrezione di patroni e proti per le maestranze "che non fosseno cussì sufficienti"), con l'obbligo di "vegnir per texera a lavorar al dicto prexio" (106).
Contrasti nel merito dei provvedimenti da assumere permasero tuttavia anche in seno allo stesso pregadi, intuibili ad esempio - in occasione di particolari contingenze - in una contrastata successione di provvedimenti emanati (ma forse solo discussi) nel 1487. "Benché el fa gran bisogno al Arsenà al presente de quel mazor numero de calafadi che sia possibile, tamen perché etiam sumamente sono necessarie a questa Terra le nave per el cargar de i formenti et altre mercadantie necesariissime al viver", con la parte del 10 giugno venne fatto obbligo a tutti i calafati di Venezia e del Dogado di presentarsi in Arsenale, con la possibilità in deroga per i "patroni" privati d'ingaggiarne fino a quattro "per el concier de le nave da botte 400 in suxo" e fino a due per navigli inferiori a tale portata. Nel prosieguo delle discussioni i savi agli ordini proposero forti penalità per i patroni all'Arsenal che non avessero consegnato "le galie ai tempi debiti". Dopo solo due giorni, valutando che con l'adozione del precedente provvedimento "vien a manchar a l'Arsenà da 60 chalafadi da quello era consueto [...> la qual cosa quanto sia per esser non solamente vergognosa ma detrimentosa a questa Terra ognuno benissimo lo intende", tale ordine venne revocato e la facoltà di concedere maestranze ai privati rimessa - sotto la loro piena responsabilità - ai patroni all'Arsenal (107).
A tali iniziative se ne associarono contestualmente altre, di natura più strettamente protezionistica; è il caso di quelle, cui s'è fatto cenno, che, per non gravare l'Arsenale di un numero eccessivo di maestranze continuamente ingaggiate "per non haver fuor dicta Caxa da lavorar", vietarono la costruzione o l'acquisto di navigli extra Dogado (108) ovvero, al fine di garantire opportunità diversificate di lavoro, imposero l'ingaggio in ogni galera "da mercato" di 3 maestri marangoni e due calafati in luogo di altrettanti balestrieri (109).
La radicale inversione di tendenza dell'atteggiamento statuale rispetto - all'accentuata autonomia, alla "libertà di movimento" ed alla maggior capacità contrattuale delle maestranze, singolarmente o collettivamente considerate, all'inizio del Quattrocento - nei riguardi dell'organizzazione della forza-lavoro nella Casa appare ormai ben definita e, di fatto, irreversibile. Due provvedimenti presi all'alba del nuovo secolo appaiono al riguardo quanto mai illuminanti: con la parte del 2 maggio 1502 il collegio, valutati gli inconvenienti e i disordini perpetrati dai calafati dell'Arsenale - esposti dai patroni all'Arsenal e confermati dai sopracomiti della flotta che si riteneva, forse pretestuosamente, imputabili all'inettitudine del gastaldo di quella corporazione, dispose che l'elezione di tale carica venisse affidata agli stessi patroni all'Arsenal (110); quindi, con la parte dell' 11 luglio 1504, esplicitamente finalizzata a un rigoroso controllo della "excessiva spesa" per i salari delle maestranze, il pregadi revocò gli aumenti concessi negli anni immediatamente precedenti e fissò rigidi limiti nell'ingaggio delle diverse categorie di maestranze, nonché dei loro garzoni. Ingaggi non più discrezionalmente riservati ai patroni dell'Arsenal, bensì valutati congiuntamente dai savi di Terraferma e agli ordini, con inediti criteri di rigorosità che, se effettivamente applicati, dovettero sensibilmente ridurre il numero delle maestranze nell'ambito della Casa.
Le disposizioni contenute nella parte prevedevano infatti l'inammissibilità nei ruoli dell'Arsenale anche in mancanza di uno solo dei requisiti, spesso desueti o comunque precedentemente inapplicati, previsti dalla stessa normativa corporativa, quali ad esempio l'obbligo di aver lavorato in qualità di garzone per il numero di anni richiesto; ovvero, al contrario, il divieto d'appartenere a determinati colonnelli (quali gli squerarioli) o corporazioni (quali i marangoni da case, che per antica consuetudine erano saltuariamente ammessi nella Casa). Notevoli limitazioni, nel numero e nella paga, venivano altresì disposte nei confronti di altre categorie di salariati generici, quali i manoali, i facchini ed i custodi delle porte, nonché nelle spese per gli immobili che la Casa metteva a disposizione dei proti e di altri ministri:
Ognun intende de quanta importantia sia al Stato nostro la Casa del nostro Arsenal, da la regolation del qual depende gran benefitio a le cosse nostre et è converso gran disturbo. Et perhò essendo sta' da tre anni in qua tanto cresciuti li salarii di marangoni che lavorano, che ogni mexe la Signoria nostra paga più del solito lire 834, maxime che a molti de dicti marangoni li vien dadi da soldi 30 fin 42 al zorno. Et ulterius toltone molti non servata la forma de li ordeni nostri, adeo che sì per diete cause, come per altre spese superflue che in quello se fano, la Signoria nostra fa excessiva spesa cum pocho fructo de le cosse sue. Al che essendo necessario proveder cum diligentia, l'anderà parte che per auctorità de questo conseglio tutti li crescimenti facti a li soprascripti marangoni, da anni tre in qua, per le sue zornate, siano cassi et reducti a li pagamenti che solevano haver avanti li crescimenti. Ne' per altro modo pagar si possino, sotto pena al patron del Arsenal che contrafacesse de ducati 100 per chadauna volta; et al scrivan che tien el scontro de privation del offitio, el qual sia obligato redurli subito a li pagamenti i havevano za anni tre proxime passati. Ne' se possi crescer de cetero ad algun marangon la sua zornata, nisi cum intervento de do de li savii nostri de Terraferma et do de li ordeni per tessera apresso li patroni et proveditori del Arsenal, se ne sarano, a bossoli et ballote per la magor parte. Dechiarando che algun marangon non possi esser cresciudo de cetero ad più de soldi .XXIIII al zorno, ben siano obligati li savii de Terraferma et ordeni, ad ogni rechiesta di patroni et proveditori, redurse al Arsenal do volte al anno, videlicet el março et septembrio, per veder quelli che meriterano crescimenti et chi non; et sotto debito de sacramento debino dar la ballota contra a quelli per li qual serano sta pregadi. Siano similiter cassi tutti quelli marangoni che da tre anni in qua fusseno sta tolti non servata la debita forma de li ordeni del nostro Arsenal, nel tuor di qual sia de cetero servato el modo infrascripto, videlicet che algun non possi esser tolto se in effecto el non serà sta anni sette sotto el suo maistro et se non serano approbati per i castaldi, proti et altri deputadi, iuxta la forma de li ordeni nostri, presenti li proveditori, patroni et li savii deputati; i quali siano obligati sub debito sacramenti, da poi presa la presente parte, immediate far la revision de li predicti marangoni et tutti quelli troverano contra el presente ordine cassar, come è predicto. Et nel tuor di marangoni in futurum debano intervenir apresso li patroni et proveditori li savii suprascripti. Et similiter siano cassi tutti li fanti che fuseno sta dati da tre anni in qua a li marangoni. Item perché sono sta tolti ad lavorar ordinariamente ne la dicta Casa molti squeraruoli et marangoni de case, che per la forma de li ordeni nostri non pono lavorar in quella, ex nunc sia preso che tuti ditti squerarolli et marangoni da case siano cassi, ne' possino li appontadori quelli de cetero appontar sotto pena de privation del offitio. Preterea perché etiam sono sta açonti al numero di manoali che quotidianamente se toleno per i bisogni de la Casa li infrascripti che non fanno l'offitio de manoal, et tamen ogni setemana hano el pagamento suo infructuosamente, sia etiam preso che tutti li sottoscritti siano cassi, ne' più per algun modo haver debbano tal pagamento, intendendo che in advenir non possi esser salvo uno capo de manoali cum soldi disdoto al zorno, come per avanti far se soleva, attento che se ne trova do capi, uno cum soldi .XX et l'altro cum soldi XXII. [...> Preterea perché sempre el zorno che se fa la paga al Arsenal el da po' mandar se lavora poco over niente, et tamen tuti sono pagadi per tuta la zornata, ex nunc sia preso che quel zorno che se farà la paga quelli che lavorano non siano appontadi, salvo che per la matina per meça zornada solamente. [...> Et sia mandà copia de la presente parte al Arsenal et registrada per el scrivan aciò la sia inviolabilmente observada; et sia obligato sotto debito de sacramento leçerla a li sui signori, sempre che'1 vedesse contra far a quella (111).
1. Più in generale, in merito all'archivio dei patroni e provveditori all'Arsenal, si rinvia - in questo stesso volume - al contributo di Franco Rossi.
2. A.S.V., Senato, Deliberazioni miste, reg. 57, c. 152; cf. infra la n. 98.
3. Redatte rispettivamente nel 1597 e nel 1577-1579, sono conservate in Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. it. cl. VII. 560 (= 7501), d'ora in poi Mariegola dei calafai (Marciana) e, sempre a Venezia, in Venezia, Museo Correr, ms. cl. IV. 214, d'ora in avanti, Mariegola dei calafai (Correr).
4. A.S.V., Arti, b. 706. La Mariegola venne redatta nel maggio 1788 da Antonio Zoccolari per conto del gastaldo degli squerarioli Giuseppe Moroni.
5. A.S.V., Arti, b. 304, fasc. "Arte marangoni [da case> con diversi costituti anotati da marangoni del Arsenal con parte de li marangoni del Arsenal ratificata dal Colegio de le arte, che distinguano quali lavori sono proibiti a li marangoni da case", in copia di mano settecentesca (d'ora in avanti A.S.V., Arti, b. 304, làsc. Arte marangoni); la parte, registrata a c. 31, venne ratificata dal collegio fra provveditori di comun e giustizieri vecchi l'11 febbraio 1616.
6. A.S.V., Consiglio di dieci, Comuni, reg. 57, c. 81v; Cf. al riguardo Giovanni Caniato, L'arte degli squerarioli e Marangoni da nave, calafai e segadori, in Arte degli squerarioli, a cura di Id., Venezia 1985, passim.
7. Venezia, Museo Correr, ms. cl. IV, rispettivamente 185/1 (d'ora in avanti Mariegola dei segadori) e 185/2; cf. infra la n. 21.
8. Ivi, ms. cl. IV. 37 (d'ora in avanti Mariegola dei remeri); cf. infra la n. 22.
9. Parte del consiglio di quaranta del 14 dicembre 1407; cf. infra la n. 96.
10. Parte del pregadi del 3 marzo 1422, ripresa e "corretta" nel 1447 con parte del collegio; cf. infra le nn. 29 e 100.
11. ".MCCCCXLV., adì .X. marzo. Ancora quando la Signoria nostra de' far far comandamento al nostro gastaldo che debiemo andar a lavorar all'Arsenal et imperò che 'l nostro gastaldo convien obedir la Signoria nostra e far che'l sia ordene, acciò che siemo tutti in egualità, impercioché molti huomini sono dell'arte nostra che non vuol obedir né far le fattion de Comun come fa i altri, ancora tien muodo, còn grande amistade che i hanno da far pregar per loro con molte cautele e busie, et a questo modo i vien licentiadi da questa fattion de Comun e va lavorar dove li piace e dove li se ben pagadi. Et i guadagna più denari in una settemana che noi che semo obligati a Comun non femo in do, arecordandove signori che l'è gran danno del nostro Comun perché el non se può far le vostre galie alli tempi debiti. Ancora occorre gran scandolo e lamento tra i huomini dell'arte nostra, imperò signori che noi poveri huomini che non havemo questa licentia convenimo far due fattion: prima la fattion nostra ancora convenimo far le fattion de questi che vien licentiati. A questo modo l'arte nostra è in gran scandolo e accioché cadaun convegnia obedir la nostra Signoria e far la sua parte de queste fattion de Comun, è stà ordinado che tutti quelli dell'Arte de calafadi che sarà commandadi per lavorar all'Arsenal, o che li toccarà per l'alfabeto, andasse a lavorar con licentia in alcun luogo, che'l sia obligato ogni domada [ogni settimana> a dar un ducato per l'amor de Dio al nostro banco, cioè alla nostra scuola, per sovention de nostri poveri infermi vetrani, intendando questi che lavorerà con licentia, se l'avenisse che li non podesse lavorar tutta la settemana, sia cusì obligadi come se l'havesse lavorada tutta intieramente" (Mariegola dei calafai [Correr>, c. 38r-v).
12. Da segnalare, ad esempio, una concessione deliberata in collegio nel 1480: "Die .VIII. novembris .MCCCCLXXX. Infrascripti domini consiliarii dederunt licentiam viro nobili ser Petro Lando reverendissimi domini patriarche Constantinopolitani, quod elevari et fabricari facere possit extra domum Arsenatus unam galeam pro conducendis peregrinis ad Sanctum Sepulchrum, iuxta formam partis capte in rogatis die .XVI. maii .MCCCCLII."; A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 12, C. 138.
13. Per un primo tentativo di schedatura dei cantieri navali privati di Venezia cf. Giovanni Caniato, Squeri da grosso e squeri da sotil e Localizzazione degli squeri (secoli XII-XIX), in Arte degli squerarioli, a cura di Id., Venezia 1985, passim; Ennio Concina, nei suoi Structure urbaine et, fonctions des bdtiments. Une recherche à Venise, Venezia 1982 e Venezia nell'età moderna. Struttura e funzioni, Venezia 1989 (in particolare, per quanto attinente la materia specifica, nel capitolo "L'estremo delle contrade: terreni vacui e luoghi di lavoro") sintetizza e rielabora l'indagine sistematica a suo tempo condotta sull'archivio dei dieci savii sopra le decime in Rialto, offrendo un'inedita ricostruzione della Venezia rinascimentale nella quale sono tuttavia ben riconoscibili - anche per la cantieristica e le attività connesse - assetti più antichi, coevi all'epoca qui indagata.
14. A.S.V., Senato, Deliberazioni terra, reg. 15, c. 23.
15. Ivi, Collegio, Notatorio, reg. 17, c. 42; registrato, con numerose inesattezze nella trascrizione, in Mariegola dei calafai (Correr), c. 87v; la parte del 30 marzo ibid., c. 86v e in A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 17, c. 41 v.
16. In merito ai criteri di turnazione ed avviamento al lavoro delle maestranze, stabiliti nella seconda metà del Quattrocento dalle rispettive corporazioni, cf. infra alle nn. 89 e 90.
17. Va segnalato al riguardo il caso di un remer giustiziato nel 1501 per essere stato il promotore di una protesta contro i bassi salari in Arsenale; cf. Frederic C. Lane, Navires et constructeurs à Venise pendant la Renaissance, Paris 1965, p. 177 e Maurice Aymard, L'Arsenale e le conoscenze tecnico-marinaresche. Le arti, in AA.VV., Storia della cultura veneta, 3/II, Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, Vicenza 1980, pp. 289-315. Le difficoltà finanziarie nella gestione della Casa e l'irregolarità nell'erogazione delle paghe settimanali alle maestranze costringono altresì il pregadi ad intervenire con replicati stanziamenti, anche al fine di prevenire possibili focolai di sedizione; con la parte del 22 luglio 1505, ad esempio, vengono messi a disposizione dei patroni 600 ducati poiché "dieno haver le maistrançe del nostro Arsenal la sua mercede de septimane cinque, et questa è la sexta, et sabato proximo passato non se poté pagarle per manchamento di denari. Il che certamente cussì come è cosa miseranda, cussì merita debita merita [sic: ripetuto> provisione [...> açiò possino lavorar et servir la Signoria nostra cum solcitudine et diligentia"; A.S.V., Senato, Deliberazioni terra, reg. 15, c. 71 v; per altre analoghe coeve "provvidenze" cf. ibid., cc. 74v e 128.
18. Non è certo questa la sede per riproporre o semplicemente riassumere, anche in estrema sintesi, la secolare diatriba sul graduale svilupparsi di strutture corporative nel mondo medioevale italiano e sulla loro più o meno diretta supposta derivazione da modelli organizzativi più antichi; né in ambito veneziano la carenza di fonti anteriori al 1200 consente di ipotizzare la presenza di forme associative fra artigiani, create a tutela dei comuni interessi lavorativi o con finalità devozionali e di mutua assistenza, che si rifacessero a un già definito corpus normativo; i capitoli degli statuti corporativi tardo-duecenteschi (qui citati nelle note successive) e quelli delle più antiche promissioni dogali (Promissioni di Jacopo Tiepolo 1229, 6 marzo e di Renier Zeno 1253, 11 febbraio - A.S.V., Collegio, Promissioni I, reg. 1 che descrivono i servicia Comunis Veneciarum che calafati e marangoni erano tenuti periodicamente a fornire, analogamente ad altre categorie), se per un verso lasciano trasparire la presenza (talora esplicitamente richiamata) di norme consuetudinarie da tempo preesistenti, dall'altro non consentono di chiarire se le stesse fossero riferibili a un rapporto di natura personale fra il singolo artigiano ed il committente, pubblico o privato, ovvero a una struttura organizzata e giuridicamente riconosciuta con funzioni di intermediazione e/o di controllo.
19. Lo statuto fu ratificato il 24 novembre 1271 e intitolato semplicemente Capitulare de marangonis. Nel proemio venne tuttavia precisato essere "magistrorum lignaminis navium", forse per meglio distinguerlo dal coevo Capitulare magistrorum domorum, ovvero dei falegnami propriamente detti; A.S.V., Giustizia Vecchia, b. I, reg. 1, edito in I Capitolari delle arti veneziane sottoposte alla Giustizia e poi alla Giustizia Vecchia dalle origini al 1330, II, a cura di Giovanni Monticolo, Roma 1905, p. 195. Cf. anche, per le distinzioni (e le interrelazioni) fra i due corpi di mestiere, Giovanni Caniato, Arte dei marangoni da case, in Id.-Michela Dal Borgo, Le arti edili a Venezia, Roma 1990, pp. 179-196.
20. Capitulare callefatorum, ratificato dai giustizieri il 25 novembre 1271, il giorno successivo, quindi, alla ratifica di quello dei marangoni da nave; A.S.V., Giustizia Vecchia, b. 1, reg. 1, edito in I Capitolari delle arti veneziane, pp. 231 ss.
21. Il Capitulare seccatorum venne ratificato dai giustizieri nell'ottobre del 1262, edito in I Capitolari delle arti veneziane, p. 3. I capitoli dello statuto sono in larga misura dedicati a precisare qualità, provenienza e dimensioni dei legnami che i segadori provvedevano a ridurre in tavolame, nonché l'ammontare della mercede spettante, di regola calcolata "a filo", cioè per ogni singolo taglio longitudinale effettuato (ma ad diem quando ingaggiati dal Comune): il cap. IV, ad esempio, fa divieto di segare o far segare "aliquod lignamen albedi, zapini seu de laresso per pactum ad diem, nisi tantum illis qui requisierint laborare in servitio Comunis Venetiarum". In deroga alla più generale normativa corporativa, ai segadori viene concesso di "lineare lignamina et levare ipsa in canterio" anche "in dominicis diebus et aliis festivitatibus". Il Capitolare in volgare venne invece ratificato nel 1445 (cf. supra alla n. 7): al medesimo anno risale la più antica "insegna" dell'Arte, in deposito al Civico Museo Correr di Venezia (cl. I. 2133), come segnala la scritta in calce redatta in occasione del rifacimento del dipinto nel 1729: "al tempo de maistro Alberto Brunoro gastaldo e compagni fu fata l'anno 1445".
22. Capitulare remariorum, ratificato dai giustizieri nel 1307; edito in I Capitolari delle arti veneziane sottoposte alla Giustizia e poi alla Giustizia Vecchia dalle origini al 1330, III, a cura di Enrico Besta, Roma 1914, pp. 229-238. Il Capitolare in volgare venne redatto, probabilmente, alla fine del secondo decennio del Quattrocento (cf. supra la n. 8). Sull'Arte, più in generale, cf. Michela Dal Borgo, L'arte dei remeri, in Arte degli squerarioli, a cura di Giovanni Caniato, Venezia 1985, pp. 123-138.
23. 1227, 28 giugno; A.S.V., Liber Plegiorum; edito in Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di Roberto Cessi, I, Bologna 1950, p. 186, doc. 61. Disposizione ripresa, nella sua sostanziale identità, nel cap. 79 della Mariegola dei calafai, databile al 1437: "che alcun calafado over marangon non possa partirsi da Venetia over del destretto per andare ad alguna parte over luogo fuora del nostro destretto" cioè, si suppone, del Dogado "senza espressa licentia della Signoria, sotto pena de libre dusento per ciascadun e per ciascaduna fiada e de star mesi tre in preson"; Mariegola dei calafai (Correr), c. 28.
24. Riserve peraltro già proposte, fra gli altri, da Gino Luzzatto (Per la storia delle costruzioni navali a Venezia nei secoli XV e XVI, in Scritti storici in onore di Camillo Manfroni, Padova 1925, p. 43 [pp. nn.>) e Maurice Aymard (L'Arsenale, passim). Più in generale, in merito all'organizzazione del lavoro nella Casa (e nei cantieri privati) per l'epoca qui considerata, si rinvia a Frederic C. Lane, Venetian Ships and Shipbuilders of the Renaissance, Baltimore 1934 (e alla traduzione in francese dell'opera, con aggiornamenti: Navires et constructeurs); Ennio Concina, L'Arsenale della Repubblica di Venezia, Milano 1984; Id., La casa dell'Arsenale e La costruzione navale, in Storia di Venezia, Il Mare, a cura di Alberto Tenenti-Ugo Tucci, Roma 1991, pp. 147-258; Franco Rossi, Le magistrature, ibid., pp. 687-757; Jean-Claude Hocquet, Squeri e unità mercantili, ibid., pp. 313-354; Maurice Aymard, Strategie di cantiere, ibid., pp. 259-284; Id., L'Arsenale de Venise: science, expérience et technique dans la construction navale au XVIe siècle, in Giovan Battista Benedetti e il suo tempo, Atti del convegno internazionale di studio, Venezia 1987, pp. 407-418; Arte degli squerarioli, a cura di Giovanni Caniato, Venezia 1985; Robert C. Davis, Shipbuilders of the Venetian Arsenal, Baltimore 1991.
25. Parte del maggior consiglio del 1° giugno 1308, con la quale si decretò "quod quilibet magistrorum qui de cetero laboraverit vel fecerit aliquid de predictis infra predictos confines cadat in penam solidorum .C." estendendo così alle stesse maestranze la penalità precedentemente prevista solo per i privati committenti: era stato infatti rilevato che "multotiens occurat quod forenses, ignorantes ordinem ipsum, laborari fatiant ligna sua infra dictos confines et in hoc sunt magis culpabiles nostri qui eis laborant, quibus non est ignotum consilium ipsum et eis non detur aliquid pena"; A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 8, Magnus et Capricornus, c. 71v ( - c. 176v).
26. 1365, 28 maggio. "Quod cridetur quod aliquis calafatus vel marangonus non possit recedere de Venetiis vel districtu [...> pro laborando, sine expressa licentia". La parte concedeva facoltà ai fuoriusciti di far ritorno "senza pena" entro due mesi; ibid., reg. 19, Novella, c. 95v (= c. 106v). Con la parte del 31 luglio 1374 il termine entro il quale i maestri emigrati "possent venire secure Veneciis et se presentare provisoribus nostri Comunis" viene esteso a quattro mesi; ibid., c. 142 (= c. 153).
27. Parte del maggior consiglio 1374, 19 marzo con la quale, richiamandosi a quella del 1365 e rilevando che "sicut notum est, ubi Terra nostra solet de calafatis et marangonis esse bene fulcita, modo remanserunt pauci, qui multi et multi recesserunt, et cum licentia et aliter", andando a lavorare fuori dal Dominio con grave danno della Signoria ("quod nullo modo tollerandum est"), si decreta "quod aliquis calafatus vel marangonus non possit ullo modo recedere de Veneciis, vel districtu, pro eundo ad aliquam partem vel locum extra nostros districtus pro laborando", con obbligo per i fuoriusciti di far ritorno entro tre mesi e divieto ai pubblici magistrati di concedere deroghe e licenze in merito; ibid., c. 139v (= c. 150v).
28. Ibid., c. 162v; la parte è registrata, con imprecisioni nella trascrizione (ed anche nella data), in ivi, Provveditori di Comun, reg. 1, cc. 28 e 30v.
29. Nel 1374, ad esempio, "ut magistra[n>tia nostra habeat causam standi in Venetiis", si fece divieto a cittadini e sudditi di "laborare de novo, vel facere laborari aliquod navigium in aliquibus locis" esterni al Dominio (A.S.V., Provveditori di Comun, reg. 1, c. 27v). Divieto ribadito e precisato nel 1395: "Quod navigia cuiuscumque conditionis non possint fieri per aliquem aliquo loco nisi in locis subiectis Comuni Venetiarum, nec emere aliquo modo" (ibid., c. 40). E all'inizio del secolo successivo, quindi dopo la definitiva aggregazione dello Stato da terra al Dominio veneziano, essendo invalsa "per cives, fideles et subditos nostros" la consuetudine di far costruire "navigia et barchas cuiuscunque portate in locis nostris circumstantibus Venetiis, et iam a pauco tempore citra fuerunt conducte alique barche parve et magne de Portogruarii, quod expresse est contra intentionem nostram", una parte del pregadi del 1422 chiarì che tali limitazioni dovessero considerarsi estese a tutte le località esterne al Dogado (A.S.V., Senato, Deliberazioni miste, reg. 54, cc. 5-6v). E ancora, con le parti del 3 novembre 1467 (ivi, Senato, Deliberazioni mar, reg. 8, c. 144) e del 28 settembre 1469 (ibid., reg. 9, c. 19v) il pregadi dispose opportune limitazioni nella costruzione dei marani (navigli da carico di medio tonnellaggio) fuori di Venezia "perché el non se fa più nave in questa cità, ma l'è multiplicado e moltiplica a la zornada i marani de portada da 300 fin 500 e 700 bote, che tuol l'aviamento de le nave, i qual tuti se fano fuor de questa cità".
30. Parte del 1477, 18 giugno; registrata in Mariegola dei calafai (Marciana), c. 47v; in A.S.V., Patroni e provveditori all'Arsenal, reg. 6, c. 13V, e in ivi, Mariegola dei squerarioli, c. 11v.
31. A.S.V., Senato, Deliberazioni mar, reg. 12, c. 125.
32. Ibid., c. 187.
33. 1435, 26 novembre; A.S.V., Provveditori di Comun, reg. 1, c. 64v (26 ottobre in Mariegola dei squerarioli, c. 11). Va segnalata al riguardo la crescente giurisdizione - anche con funzioni di supervisione e controllo sull'operato di altre magistrature - dei provveditori di comun, cui il pregadi, con parte del 6 settembre 1429, aveva tra l'altro affidato l'incarico di rielaborare o aggiornare l'intero corpus normativo in materia di Arti (ancora basato, in larga misura, sulla legislazione statutaria duecentesca) e di rivedere e approvare, prima della loro "pubblicazione", i provvedimenti che gli stessi giustizieri intendessero adottare. Questo poiché "per officiales nostros justicie veteris, eorum propria autoritate, facti fuerunt per ellapsum et quotidie fiunt multi ordines super artificibus et misteriis civitatis nostre, cum tanta varietate et confusione quod non est aliquis qui se sciat intelligere propter varietatem talium ordinum" (A.S.V., Senato, Deliberazioni miste, reg. 57, c. 152); provvedimento che, di fatto, diede origine a un collegio congiunto fra i due magistrati, cui si deve gran parte della produzione normativa in materia. Ciò almeno sino alla creazione dei cinque savii sopra le Mariegole, collegio istituito dal consiglio di dieci nel 1529 e dotato nel 1541 di autorità delegata in merito alla revisione e rielaborazione, appunto, delle mariegole delle corporazioni artigiane.
34. A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 8, c. 184v; parte del 22 aprile 1453.
35. Ibid., c. 186; parte del 2 maggio 1453.
36. Ibid., reg. 6, c. 188; parte del 5 maggio 1438.
37. "MCCCCXVIIII, adì 9 de fevrer [m.v. = 1420>. De commandamento della dogal Signoria sier Andrea della Costa noder della Corte mazor refferì alli signori giustizieri vecchi che in li atti della giustizia vecchia dovesse far notar che la Signoria ha terminato che li marangoni e calaffadi de Chioza, Malamocco, Torcello, Mazzorbo, Caorle et a Grado Cavarzere debbiano sottosazer a tutte le angarie di vetrani di marangoni e callafadi di Veniesia, sì come sottosazeno lor medemi calaffadi e marangoni de Veniesia in pagar li suoi vetrani e che li spettabili signori giustizieri vecchi debbiano osservar tutte le leze contegnude nelle mariegole de' marangoni et calaffadi de Veniesia come le zase nel fatto di vetrani". A.S.V., Arti, b. 304, fasc. Arte marangoni, c. 40. Di seguito viene inoltre trascritta una ducale di Francesco Foscari ad Antonio Erizzo podestà di Torcello in merito ad una parte presa in quarantia, con l'intervento degli avogadori, che ribadisce la giurisdizione della giustizia vecchia in materia di Arti anche in quella podesteria: "cioè che questa littera scritta sotto di XXII zugno mille quattrocento XX per li [...> conseglieri de Veniesia, per la qual scrisseno al podestà de Torcello che ad instanzia delli giustizieri vecchi non dovesse molestar li calaffadi de Torcello, et si come littera scritta contra quello che far si poteva e doveva, in gran pregiudizio di calaffadi poveri de Viniesia, sia tagiada, cassada, revocada". La parte del consiglio di quaranta del 21 maggio 1349 viene altresì richiamata in una sentenza dell'avogaria di comun del 27 febbraio 1453 (registrata in Mariegola dei calafai [Marciana>, c. 35v). Anche il collegio che riuniva provveditori di comun e giustizieri vecchi, dopo aver preso visione della Mariegola dei calafati di Chioggia, aveva confermato nel 1451 che le maestranze della podesteria di Torcello erano tenute ad assolvere le ricordate angarie. Ibid., c. 34.
38. L'esistenza di un "ufficio" dei poveri del pevere, con funzioni di intermediazione nei contratti di compravendita del pepe (che garantiva un modesto "utile", successivamente sostituito da un'imposta) è attestata fin dallo scorcio del Trecento; l'ufficio veniva concesso per grazia a marinai o artigiani veneziani vecchi o inabili. Cf. al riguardo A.S.V., Cassiere della bolla ducale, Mariegola dei poveri del pevere, 1522-1799, con docc. in copia dal 1384. Fra i nove poveri al pevere eletti nel 1438 in consiglio di quaranta, ad esempio, compaiono 3 marangoni e 3 marinai; A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 6, c. 199.
39. Mariegola dei calafai (Correr), c. 34v; 1440, 4 luglio ("Che tutti quelli che farà navilii, overo farà far o comprarà fatti, da Grado a Cavarzere, debba pagar tutte angarie de vetrani"); la parte (che in Mariegola dei calafai [Marciana> e in A.S.V., Arti, b. 304, fasc. Arte marangoni, c. 38, è datata 13 luglio), benché rivolta espressamente a tutti quelli che "farà lavorar dell'arte de calafado", tenuti a contribuire a tutte le "angarie e fattion" previste "dentro il corpo de Venetia", s'intende estesa anche ai marangoni da nave.
40. Parte del 25 febbraio 1472. Marangoni e calafai di Torcello avevano infatti efficacemente chiarito di sostenere già "gravedines cum hominibus contratarum predictarum, et armant barchas ad mandata Dominii suis propriis pecuniis, et solvunt hominibus euntibus grandi precio ut serviatur Dominio a probis hominibus, non autem a gentibus forensibus inutilibus"; il collegio pertanto dispose "quod predicti marangoni et calafati Tortelli et Contratarum, attentis predictis, remaneant et serventur in suis consuetudinibus huc usque servatis. Et cogi non possint ad contribuendum de suis laoribus cum calafatis et marangonis venetiarum, sicut usque presentem diem non contribuerunt"; A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 11, c. 115v.
41. Ibid., c. 126.
42. "Primo ordinetur quod quelibet galea a mercato habere debeat, ultra patronum nobilem, unum comitum, unum patronum privatum, duos scribas, unum hominem Consilii, unum marangonum et unum calafatum, octo nauclerios, quindecim ballistarios in quorum sit unus remarius, centum et septuaginta unum hominem [sic> a remo" (A.S.V., Senato, Deliberazioni miste, reg. 44, c. 134v; 1399, 4 gennaio m.v.). Sostanzialmente analoga la parte presa una dozzina d'anni più tardi: "Primo ordinetur quod quolibet galea a mercato habere debeat, ultra patronum nobilem, unum comitum, unum patronum iuratum, unum hominem Consilii, duos scribas, unum marangonum, unum calafatum, unum remarium, octo nauclerios, viginti balistarios, centum et septuaginta unum homines a remo, unum cochum, unum caniparium et unum famulum patroni. Que tota zurma habere debeat expensas a galeis iuxta ordines nostros. Balistarii autem accipi debeant ad Bersalium, eo modo et cum illo pretio quod de tempore in temporis videbit disponendum et providendum". Ibid., reg. 49, c. 116v (= c. 114v); parte del 13 giugno 1412. Come si vedrà, alla fine del secolo si stabilì invece che, "in luogo de ballestrieri nel numero de quelli sono deputadi", dovessero andare imbarcati cinque fra marangoni e calafai (cf. infra, alla n. 46).
43. Nel 1430, ad esempio, la paga mensile per marangoni, calafai e nauclerii era di 20 lire, a fronte di 13 lire per gli "uomini da remo", 18 per i balestrieri e 40 per il comito (un ducato all'epoca equivaleva a lire 5 e soldi 5); A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 6, c. 5 (1429, 21 febbraio m.v.); paga ribadita in altre coeve disposizioni: ibid., cc. 23v, 37v, 58.
44. Mariegola dei calafai (Correr), c. 38; parte ratificata dal collegio dei provveditori di comun e giustizieri vecchi il 6 maggio 1444.
45. Ibid., c. 32; laudata nel collegio dei provveditori di comun e giustizieri vecchi il 9 gennaio 1446 m.v.
46. A.S.V., Senato, Deliberazioni mar, reg. 12, c. 116.
47. Mariegala dei remeri, c. 61v, parti 1506, 16 marzo e 16 maggio; per i "viaggi" de Alexandria e de Baruti, ad esempio, il 5 marzo 1529 i consiglieri dispongono l'elezione di 2 marangoni, 3 calafati e 3 remeri (A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 21, c. 1).
48. Illuminante è, ad esempio, una parte presa in collegio nel 1529: "Franciscus de Georgio, qui remansit marangonus cum galeis precedentis viagii Alexandrie et non ivit ad illud, ut iret ad servendum in classe cum viro nobili ser Dominico Bembo supracomito, sicut idem supracomitus iustificavit, fuit admissus in marangonum presentis viagii propter partem Senatus dici X iunii 1527"; A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 21, c. 1. Altre elezioni di maestranze ibid., c. 75 e passim.
49. Con parte del pregadi del 2 gennaio 1475, ad esempio, viene segnalata la mala consuetudine invalsa fra gli imbarcati nelle "galere sottili" di portare con sé, facendolo ingaggiare in altra qualifica, il proprio garzone ("se l'è marangon metter el so garzon per calafado", ecc.), creando così gravi inconvenienti, poiché "dove la Signoria nostra se crede haver ne le soe galie ai so stipendii homeni uteli, i ha garzoni et fanti grezi, i qual ne i bisogni occorrenti sono più presto de impedimento che de alcuna utilità". I1 capitano generale ed i provveditori da mar vengono incaricati di accertare e reprimere tali abusi; A.S.V., Senato, Deliberazioni mar, reg. 10, c. 31.
50. Mariegola dei calafai (Correr), c. 88; cap. ratificato dal collegio dei provveditori di comun e giustizieri vecchi il 5 luglio 1513.
51. Cf. F. C. Lane, Navires et constructeurs, pp. 98-100.
52. Mariegola dei calafai (Correr), c. 28v, cap. 80 ("Che non si possa mandar a lavorar fuora de Venetia").
53. Ibid., c. 34, 1440, 4 luglio ("Che niuno possi far conzar i so navilii fuora de Venetia, sotto pena di perder il quarto"). Nella Mariegola conservata in Biblioteca Marciana, c. 25, e in A.S.V., Arti, b. 304, c. 38, la parte è datata 13 luglio; nella settecentesca Mariegola degli squerarioli, c. 11, è datata 15 luglio. Venne con ogni probabilità presa sia nel Capitolo generale dell'Arte dei calafai, sia in quello dell'Arte dei marangoni da nave; non è stato tuttavia possibile rintracciare una precisa disposizione degl'organi statuali che l'avesse ratificata o ripresa (o comunque alla stessa collegabile), anche se il tenore della premessa alla parte appare molto simile a quello di coevi decreti del pregadi o del collegio: "Conciosia cosa che sia da vegiar de mantenir in colmo i mistieri i qual sono quelli fanno bone le terre, e in sta nostra città di Venetia sia da favorizar e mantenir in colmo do mestieri sopra tutti, i quali sono marangoni e calafadi, i quali sì come a tutti è noto sono utilissimi a 'sta nostra città e senza quelli far non si può, sí per le nave che de dì in dì se fa e lavorasa in sta Terra, come ancora per la nostra Ca' de Comun, la qual ai bisogni de le mude de le galie e altre facende occorre a quella Casa, non siando le ditte maestranze de marangoni e calafadi in 'sta Terra, vegniria totaliter ad esser desfatta. Et habiando respetto che'l sia da vegiar che le maestranze predette habita in 'sta Terra e facci i suoi mistieri come per il passà si soleva fa e non dar cason che vada su per le piazze desertandose, o veramente i vadano fuori de sta Terra a lavorar con le so fameie".
54. Con parte del luglio 1474 il consiglio di dieci aveva concesso ad alboranti e antennanti (cioè fabbricanti di alberature navali, che in precedenza formavano un colonnello dell'Arte dei remeri) di costituirsi in corporazione autonoma; a seguito di un ricorso presentato dai remeri, lo stesso consiglio di dieci, con parte del 13 marzo 1476, diede mandato a provveditori di comun e giustizieri vecchi affinché provvedessero a dirimere il contenzioso insorto, convocando "dictos remarios in contraditorio iudicio cum magistris arborum". Con deliberazione dell'11 luglio 1476 il collegio che riuniva i due magistrati dispose che ai remeri fosse consentito di "far e lavorar l'albori de passa nuove et da là in zoso, antene et timoni che preciedi a queli, si come per el pasado i ano fato, non obstante algun ordene contegnudo nella mariegola nuova di maistri d'albori in contrario"; tali disposizioni sono raccolte in copia nella citata Mariegola dei remeri, alle cc. 34v-35.
55. A.S.V., Senato, Deliberazioni mar, reg. 2, C. 109; parte del 12 ottobre 1445, deliberata a seguito di una richiesta avanzata da Orsato Giustinian. Si trattò sostanzialmente, come in altri casi, di concessione accordata a causa del "defectu vasorum qui apud speciales personas in hanc civitate non repperiuntur sufficientes".
56. Ibid., c. 180v; parte del 25 ottobre 1446.
56. Ibid., Deliberazioni terra, reg. 5, c. 179; parte del 28 febbraio 1467.
57. Cf., ad esempio, A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 11, c. 67v (1470, 2 aprile): "Prudens civis noster Antonius de Stephanus se obtulit facere unam navem buttarum mille" e c. 96 (1471, 8 giugno): Francesco di Stefano, sempre per una nave da 1.000 botti ed i fratelli Moro per "unam navem iam inceptam per eos [...> a buttis mille supra".
58. Ibid., c. 112v, 1472, 11 gennaio: "Per infrascriptos dominos consiliarios deliberatum et terminatum est quod viri nobiles Gentilis Contareno et fratres quondam ser Andree procuratoris, qui iuxta formam legum nostrarum intendunt fabricari facere unam navem a butis mille supra, possint incidi et conduci facere huc Venetias, pro hac vice tamen, lignamina secata pro fabrica dicte navis. Intelligendo semper quod sit a butis mille supra sicut predictum est et non aliter ullo modo". Sulla fluitazione e segagione del legname destinato alle costruzioni navali cf., per il bacino idrografico plavense, La via del Fiume. Dalle Dolomiti a Venezia, a cura di Giovanni Caniato, Verona 1993, passim.
60. A.S.V., Senato, Deliberazioni mar, reg. 12, c. 87v; parte del 13 settembre 1486. Gli assuntori dell'appalto avrebbero ricevuto quanto pattuito in tre rate, la prima una volta predisposto il cantier e l'ossatura portante ("levada et inforcada la nave"), la seconda quando fosse stata conclusa la messa in opera del fasciame ("serada e calcada") e l'ultima dopo l'impeciatura, il varo e la predisposizione delle alberature ("butada che la serà, negra, in aqua et inarborada").
61. A.S.V., Arti, b. 304, fasc. Arte marangoni, c. 35v ("exemplum"): "che da mo' inanti cadauno maistro proto e squerariol, marangon de nave, non olsa varar navilio alcun né burchio, né altro lavorier, se in prima non è pagadi li maistri sotto pena de lire 10 de piccoli per ciascadun e ciascaduna fiada. Et si per li ditti protomaistri ricevesse li ditti suoi denari, sia tegnudo infra terzo dì da poi riceudi darli a coloro che li ha meritadi, siando a questa medema condizion ogni lavorier de marangon, sì de nave come de altri lavorieri, sotto pena de perder altratanto del suo quanto lor averà receudo. Et oltra più che nesun protomaistro overo patron non olsa tuor maistri alcuna domada over giorno, se in prima li maistri tolti in prima non sarà pagadi, sotto pena de lire 10 de picioli al patron e de lire 5 al mistro proto". Il cap., trascritto dalla Mariegola in volgare dei marangoni da nave e ratificato dai giustizieri vecchi, viene ripreso anche nella coeva Mariegola dei calafai (Correr), c. 23v, cap. 68 ("Quando i squeraruoli vara siano pagati i maestri").
62. Mariegola dei calafai (Correr), c. 6v (cap. 22): "E perché lo testo della leze in più suoi luochi dechiara e dice che li patti che tra le persone se fa si debbian oservar, volemo et ordenemo che ciascun paron che farà o farà far algun lavoriero che a calafadi aspetta sia tenuto et debba osservar il patto che farà con li suoi maistri et non possa quelli per alcun muodo o ingegno licentiar dal suo lavoriero se prima non sarà compita tutta la dimanda, salvo se non havesse da darli da lavorare. Et se l'accadesse che algun patron desse combiato alli suoi maistri o ad alcun de quelli avanti che la dimanda sia compita, sia tenuto quel patron de satisfar quelli maistri over maistro tutta la dimanda sicome lavorato havesse. Et similmente volemo et ordinemo che nissun maistro, per alcun modo over ingegno, ardisca partirsi d'alcun lavoriero de alcun patron, né quello lassar se'l non compirà tutta la domanda. E se l'avvenisse che alcun de quelli se partisse da quella opera per andar a lavorar con un'altra persona, avanti che'l sia compida quella domada, caza de pena de soldi XL de pizoli per ciascuna fiata". I maestri ingaggiati, veniva quindi prescritto, dovevano essere pagati entro il terzo giorno di lavoro ("Chel si debba pagar i maistri che lavori, così in acqua como in terra, infra terzo dì"; ibid., c. 26, cap. 75) e, con parte del 1443 ratificata il 6 maggio 1444 "per obviar a i cattivi lavori", vengono autorizzati ad abbandonare (comunicandolo alla giustizia vecchia) il lavoro intrapreso alle dipendenze di un "patrone" che non consentisse loro di "far le ovre bone e sufficiente" (ibid., c. 37v).
63. Ibid., c. 6 (cap. 17): "Ancora che zascun protomaistro sia tenuto per sagramento de dir al patron del lavoriero ogni fraude che'l saprà et conoscerà, sì de calcadura come de legname. E de far la sua opera bene, lialmente". Doveva "zurar davanti il gastaldo e i compagni di far far buona ovra, in pena de libre XXV, intendando da miera .L. in su sì lavorier vechio come nuovo" (ibid., c. 32v, cap. 88) ed ingaggiare le maestranze soltanto in presenza del patron: "Ancora che algun protomaistro non ardisca per alcun modo o inzegno tuor algun maistro a lavorar alla sua opera se non presente il patron, over suo messo che per lui fosse mandato, in pena de soldi XX per ciascuna fiata" (ibid., c. 6, cap. 19). Era inoltre tenuto ad accordarsi anticipatamente circa l'ammontare della paga giornaliera: "A schivar molte question, le qual tutto il dì vien davanti li signori iustitieri, volemo e ordenemo che nissun di quest'arte de calafadi possa né debba lavorar ad alcuna persona a dì ad alcun lavoriero se prima non farà patto che'l paron de chi sarà lo lavoriero quanto dié haver lo dì. Et chi contrafarà debba haver solamente quello che al patron piaserà et non più" (ibid., c. 8v, cap. 28).
64. Ibid., c. 5v (cap. 15, "De non intrometter più d'un lavoriero"): "Statuimo che nissun di quest'arte non olse tuor sopra de sí, né intrametter, più d'un lavoriero sì vecchio come nuovo se quello che in prima haverà scomenzato non havesse finito, senza licentia delli signori iustitieri, in pena de lire .X. de pizoli. Men prometter algun non possa a doi persone per andar a lavorar alla sua opera. Quando prometterà a lavorar con doi persone pagar debba soldi .XL. de pizoli per ciascaduna fiata".
65. Ibid., c. 32, cap. 87 ("Che i marangoni e calafadi non olsi né presumi far vendeda delli navilii o nave negra se non bianca").
66. Ibid., c. 6v, cap. 20 ("De non tuor a ficar agudi sopra sí da soldi XX in su"): "nissun marangon né calafado ardisca tuor sopra di sé alcun lavoriero che apartenga a calafadi e etiamdio tuor a far ficcar d'agudi alcun lavoriero da soldi XX in suso. Nì olsa contradire ad alcuna persona che non possa ben fare a ficcar lo suo legno o nave a suo segno e volontade, in pena del bando intiero che son lire XXX, soldi XII, piccoli VI".
67. A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 8, c. 11v; parte del 10 luglio 1444: "Cum iustitiarii veteres condemnaverint aut condemnare vellent aliquos marangonos aliqua navium, qui acceperunt super se ad faciendum aliqua navigia a milliaribus ducentis infra, ex eo quod ipsi marangoni acceperunt etiam super se ad conplendum dicta navigia de arte calafatorum, vigore cuiusdam ordinis contenti in matricula calafatorum facti seu confermati per provisores Comunis et iustitiarios veteres, qui disponit quod aliquis calafatus non possit accipere aliquod laborerium supra se sed quod laborare debeat ad zornatam et cetera, infrascripti consiliarii, auditis provisoribus Comunis et iustitiariis veteribus, auditisque gastaldionibus et aliis de arte marangonorum navium et calafatorum, visaque quandam parte capta in consilio rogatorum die quarto ianuarii 1424, per quam conceditur quod marangoni navium et alii possint accipere et fabricare, seu fabricari facere, super se galeas, naves et alia navigia a ducentis miliaribus infra. Considerantesque quod ista talia navigia fabricata super se a milliariis ducentis infra de arte marangonorum non possunt dici navigia, nisi sint conpleta etiam de arte calafatorum et quod ordines contenti in matricula calafatorum non sunt illius efficatie cuius sunt partes capte in consilio rogatorum, neque condemnare dictos marangonos occasione predicta. Et quod per consequens ditti marangoni potuerint et possint laborare et facere laborari super se dicta navigia, a milliaribus ducentis infra, donec erunt completa et proiecta in aquam ita quod navigari possint".
68. Mariegola dei calafai (Correr), c. 23, cap. 67: "Che i squeraruoli die tegnir i vetrani che i tuol lo luni per tutta la dimada, senza andar in Piazza".
69. Nel 1437 viene stabilito "che i vetrani debbano haver tanto quanto i meglior maistri" (ibid., c. 19v, cap. 61); provvedimento ribadito nel cap. 85 (ibid., c. 31r-v, "Che'l si dia tanto ai vetrani quanto ai mior che lavora"), anche se il cap. 73 precisa "che i poveri vetrani che non può lavorar habbia la mittà di quello ha i mior maistri" (ibid., c. 25v).
70. Ibid., c. 18, cap. 56.
71. Ibid., c. 19, cap. 59.
72. Ibid., c. 20v, cap. 63. Il successivo cap. 64 (ibid., c. 21) precisa invece l'aliquota di "vetrani" in relazione al numero di maestri ingaggiati.
73. Mariegola dei calafai (Correr), c. 24, cap. 70 ("Che i patroni dell'Arsenal debba tuor e non refudar i vetrani"). Il cap. dispone altresì "che da qua avanti se i ditti patroni darà alguna galia a lavorar ad algun sopra de sì, quelli maistri li quali torrà delle ditte galie a lavorar sopra de sì siano tenuti et debbano tor dei ditti vecchi e fanti per modo è sopraditto, segondo le ovre le qual parerà ai patroni dell'Arsenal che voia le ditte galie, le qual i darà a far ad altri sopra de sì".
74. Ibid., c. 26v, cap. 77 (" Che'l si debbia portar i dinari dei vetrani ogni domenega al banco in Piaza et che'l gastaldo non olsi tuor") (in Mariegola dei calafai [Marciana> ha il nr. 76). Cap. adottato "per cagion di molti lamenti i quali si feva, fatti per li poveri vetrani [...> i quali denari per alguni gastaldi i giera usurpadi e ritenuti"; "così fatti denari non si possa recever se non la domenica el [sic = al> banco, quando il gastaldo sarà con li suoi compagni". Nel successivo (ibid., cap. 78, "Ordine sopra la ditta cagion") viene precisato che "perché i proti maistri ai quali fu dadi i ditti vetrani non cura pagare quelli come è debito, per la qual cosa i ditti poveri vetrani e impotenti non può viver e patisce de gran sinestri, per tanto, a voler che la ditta habbia suo luoco, de comandamento di signori iustitieri vecchi fu ordenato e aggionto in la mariegola che da mo' avanti il gastaldo che sarà, in pena de libre .X. de pizoli in li suoi proprii beni, debia comandar ai protimaistri ai quali lui darà i ditti vecchi che, in pena de soldi .V. per libra, i debbia portar i danari de i ditti vetrani al banco la prima domenega che vegirà [sic> e debia il ditto gastaldo far notar la ditta pena al so scrivan ne i suoi quaderni e scuoder quella dai contrafacenti. E se'l non la podesse scuoder debba notificarlo a i signori iustitieri vechi i qual procurerà di scuoderla".
75. Mariegola dei calafai (Marciana), c. 52 (1482, 24 maggio).
76. Ibid., c. 54 (1486, 19 maggio).
77. Terminazione del 28 settembre 1528, con la quale i giustizieri vecchi, accogliendo la supplica presentata da Antonio de Zuane strupiado, Mario di Polo etiam strupiado e Zuanmaria Zago orbo, consentono loro di non essere "cazzadi" dal novero dei vetrani, ordinando al gastaldo dell'Arte di non dare loro molestia alcuna; Mariegola dei calafai (Correr), c. 94.
78. Ibid., c. 97. Originale a registro in A.S.V., Senato, Deliberazioni mar, reg. 23, c. 21v.
79. Ibid., c. 98. La parte fu presa nel Capitolo generale dell'Arte dei calafati con 88 voti a favore e 3 contrarii, al fine di ovviare alle "differentie et controversie" provocate dalla normativa vigente. Venne ratificata dai giustizieri vecchi il giorno stesso, dai provveditori di comun il 21 giugno successivo.
80. A.S.V., Patroni e provveditori all'Arsenal, reg. 5, cc. 50-52.
81. Mariegola dei calafai (Correr), c. 17, cap. 53.
82. Ibid., c. 15, cap. 48, che ratifica inoltre una sensibile riduzione della "tassa d'ammissione" per i fanti; i loro maestri erano tenuti "infra tre dì presentarli al gastaldo e pagar soldi .V. de pizoli ciascadun, là che soleva pagar soldi .XL.". Il cap. 53 stabilisce l'età minima per i figli ed i nipoti di maestri in 10 anni.
83. Ibid., c. 16, cap. 51: "E che algun, sia de quanta buona e libera condition si voglia, non possa esser receputo et tenuto per alcun, a lavorar alcuna delle ditte arte, se prima el non sarà scritto alla Giustitia et con licentia e consentimento delli signori giustitieri [...> eccetto figlioli, fratelli e nepoti de ciascun maestro delle ditte arte, li quali se possa menar e haver deliberatamente con sì a lavorar". Ma il citato cap. 53 della Mariegola, al fine di consentire ai giustizieri d'accertare l'età minima prescritta, stabilisce che essi dovevano essere "presentati alli detti officiali et sia scritto segondo usanza", ordinando inoltre "che li ditti fanti, figlioli e nevodi, dal dì nel qual elli sarà scritti in la detta Arte in fino a doi anni in quella fiada prossimi, haver debba al dì soldi .IIII. per ciascadun". I privati committenti e gli stessi patroni all'Arsenal erano altresì tenuti ad accertare che almeno la metà dei calafati che provvedevano ad ingaggiare avessero con loro dei fanti, in pena di 100 soldi. Non potevano, comunque, "refudar alguno maistro il qual havesse fanti oltra la detta mittà".
84. Mariegola dei calafai (Marciana), c. 51 (s.d., ma registrata fra il 18 dicembre 1481 ed il 24 maggio 1482).
85. Mariegola dei calafai (Correr), c. 7v, cap. 24 ("Che nissun calafado possa menar alcun fante a parte o che'l maistro sia fuori della Terra") e c. 14, cap. 45 ("De non tuor fante de alcun maestro se'l non haverà satisfatto il suo tempo").
86. Ibid., c. 33v, cap. 91 ("Corretion fatta nel .XXIIII. capitolo, che i fanti possa romagnir a imparar l'arte con altri maistri").
87. Ibid., c. 16, cap. 51 ("Che nissun possa portar né insegnar quest'arte a nissun schiavo").
88. A.S.V., Senato, Deliberazioni terra, reg. 5, c. 134.
89. La parte, approvata nel Capitolo generale dell'Arte dei calafati il 6 marzo 1460 e ratificata da provveditori di comun e giustizieri vecchi il successivo 6 maggio, prevedeva, anche nei dettagli, le medesime modalità richiamate nel 1495: protomaestri erano infatti tenuti a rivolgersi al gastaldo dell'Arte - che doveva conservare "in un sacheto ben mesedade" le tessere nominative dei maestri regolarmente affiliati per avere, estratte a sorte nel numero richiesto, le maestranze necessarie; Mariegola dei calafai (Marciana), c. 37v.
90. Ibid., c. 58r-v.
91. 1511, 5 dicembre, terminazione del giustiziere "deputatus ad capsam" Pietro Marcello. Il provvedimento revocò la precedente proibizione, richiamandosi ad un cap. della Mariegola dei marangoni da nave del 28 aprile 1452 (registrato in forma di regesto nella settecentesca Mariegola dei squerarioli, c. 11v), che autorizzava i marangoni a lavorare da calafati nei loro squeri su navigli inferiori alle 200 miera; Mariegola dei calafai (Correr), c. 85v.
92. Ibid., 1512, 18 novembre. Il provvedimento della quarantia venne approvato non senza contrasti (18 voti favorevoli, 13 contrari e 2 "non sinceri"). La Mariegola dei calafai registra un ordine del successivo 8 gennaio intimato dai giustizieri vecchi "omnibus squerarolis infrascriptis, videlicet capitibus squeruum, quatenus in pena librarum 25 non debeant dare ad laborandum nisi calafatis"; ibid. L'elenco completo di tutti gli squerarioli cui venne notificato l'ordine, registrato in calce nella redazione originale della Mariegola, non è stato purtroppo trascritto nelle due copie cinquecentesche.
93. Registrata in Mariegola dei calafai (Correr), c. 96v; la parte, forse trascritta nella Mariegola con una data inesatta (1519, 30 giugno in pregadi) non è stata rintracciata nei corrispondenti registri (Deliberazioni terra e Deliberazioni mar) del senato.
94. 1526, 14 maggio; registrata in Mariegola dei calafai (Correr), c. 93v.
95. A.S.V., Senato, Deliberazioni mar, reg. 23, c. 31v; parte del 12 settembre 1534 (registrata in Mariegola dei calafai [Correr>, c. 97). Il decreto ribadisce e precisa inoltre le vigenti ricordate disposizioni, in merito sia ai criteri d'ingaggio per i vetrani ("quelli veramente che sono strupiadi et mal condicionati, che serano estratti, debbano haver solum la sua mità, si come hano quelli che non lavorano de sua mano"), sia alla facoltà per gli imprenditori e capi di squero privati di licenziare le maestranze non gradite: "Item quelli calaphadi che non farano il suo dover possino per li parcenevoli esser spontati, come è conveniente".
96. La parte originale della quarantia è andata perduta con la distruzione dei coevi registri di quel consiglio a seguito dei disastrosi incendi del palazzo dogale nel 1574 e 1577; la lezione qui citata è desunta dalla trascrizione conservata in A.S.V., Patroni e provveditori all'Arsenal, reg. 5, Capitolare I, c. 93v. La stessa viene altresì registrata nella settecentesca Mariegola dei squerarioli ("Che cadaun marangon de nave sia in libertà di andar a lavorar in Arsenal con la sua paga") (A.S.V., Arti, b. 706, c. 10) e nell'archivio proprio dell'Arte dei marangoni da case (A.S.V., Arti, b. 304, fasc. Arte marangoni, c. 37, in cui si segnala che "questa parte è scritta in tel primo San Marco carte 25"); la parte del 1407 viene inoltre esplicitamente richiamata in un decreto del pregadi del marzo 1422 (cf. infra alla n. 100) e ancora in una parte del collegio del 6 maggio 1447 che, pur ribadendo il diritto per le maestranze di essere liberamente accolte in Arsenale (ma, significativamente, omettendo con un "et cetera" il "libitum suum" di andarsene a piacimento previsto quarant'anni prima), introdusse dei correttivi meritocratici nell'ingaggio delle maestranze, discrezionalmente affidati ai patroni all'Arsenal: "Cum captum fuerit in consilio de XLta die .XIIII. decembris 1407 quod quilibet marangonus navium possit omni tempore anni ire ad laborandum ad Arsenatum ad beneplacitum suum et quod patroni Arsenatus teneantur eis dare grossos sex in die et famulis grossum unum cum dimidio, intelligendo quod dicti marangoni vadant ad Arsenatum ad laborandum in principio ebdomade et cetera; et per consuetudinem observatum maxime a 1445 citra videtur quod dicta solutio grossorum sex in die facta sit equaliter omnibus marangonis indifferenter, tam illis qui sunt boni magistri quam aliis qui non sunt sufficientes, quod non est conveniens, nec rationabilem est quod cum expensa et danno nostri Comunis, infrascripti consiliarii terminaverunt quod sit in libertate patronorum Arsenatus dandi et solvendi illis qui eis videbuntur magistri marangoni sufficientes et apti dictum precium grossorum sex in die. Et illis qui eis non videbuntur magistri, nec esse sufficientes, dare possint illud precium quod eis videbitur conveniens, a grossis sex infra usque soldos X, considerata qualitate et sufficientia quorumcunque"; A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 8, c. 56v.
97. Ibid., alla fine della parte del 6 maggio 1447.
98. Parte del pregadi del 6 settembre 1429, che delegò, come accennato, ampia giurisdizione in materia di Arti ai provveditori di comun, associandoli - con funzioni di controllo circa la produzione normativa specifica - agli ufficiali sopra la giustizia vecchia, imputati di aver emanato nel tempo un eccessivo e spesso contraddittorio corpus di "ordines super artificibus et misteriis Civitatis nostre, cum tanta varietate et confusione quod non est aliquis qui se sciat intelligere propter varietatem et multitudinem talium ordinum"; A.S.V., Senato, Deliberazioni miste, reg. 57, c. 152.
99. La nuova Mariegola dei calafai, ad esempio, venne ratificata nel 1437, in sostituzione del Capitolare del 1271; quella dei segadori nel 1445, in sostituzione del Capitolare del 1262. Cf. supra le nn. 3 e 21.
100. Parte del pregadi del 3 marzo 1422, con la quale, constatato che le vigenti disposizioni protezionistiche in materia venivano sistematicamente disattese "per cives, fideles et subditos nostros, qui faciunt fieri navigia et barchas cuiuscunque portate in locis nostris circumstantibus Venetiis [...> quod expresse est contra intentionem nostram", fu riaffermato il divieto d'importare in Dogado imbarcazioni costruite altrove. La medesima parte, inoltre, richiamandosi a quella presa in quarantia nel 1407, segnala che "quilibet marangonus navium possit omni tempore anni ire ad laborandum in nostro Arsenatu ad libitum suum et dicti patroni Arsenatus teneantur illos recipere"; va segnalata l'omissione della precedente facoltà concessa ai marangoni di abbandonare il lavoro in Arsenale "come a quelli piaxerà"; A.S.V., Senato, Deliberazioni miste, reg. 54, cc. 5-6v.
101. Mariegola dei calafai (Correr), c. 26v, cap. 76 ("De quelli che sarà comandà a lavorar all'Arsenal e andasse a lavorar a altra spetial persone"). La "motivazione" a premessa di tale disposizione conferma la consolidata consuetudine delle maestranze ad una mobilità, anche nell'ambito della stessa settimana lavorativa, fra lavori diversi - indifferentemente dentro e fuori l'Arsenale - che gli stessi vertici della corporazione valutano dannosa, per la qualità e continuità delle prestazioni, anche nei confronti della committenza privata: "Per honor e utele sì del Comun come de spetial persone, i signori iustitieri vecchi, havendo veduto per la longa esperientia che 'l non si osserva quello che se die per i calafadi, alli quali tocca le tessere ad andar all'Arsenal alla Casa de comun a lavorar alla Signoria nostra, perché de quelli che vien comandadi mò ne manca X, mò XII e alguna fiada XVI, la qual cosa vien in gran danno del Comun perché quando i die' lavorar a Comun i va a lavorar a spetial persone, e così le galie e le ovre de Comun non se poria haver a i tempi deputadi se non se provede sopra de ciò. Ancora in danno de gentilhomini de Venetia e altre spetial persone fa lavorar nave e navilii, perché i ditti calafadi, comandadi che lor vada il luni per la domada a lavorar a Commun, non va in la Casa anzi il luni va a lavorar a spetial persone e può il marti i die esser in li lavorieri che loro ha promessi a spetial persone e quelli va a lavorar in la Cha' de Commun. Si che le nave de spetial persone alle qual die esser atteso e andar driedo le so ovra promesse per lor viene abandonade, si che i nal [sic = mal> attende a Comun, mal a spetial persone".
102. Ibid., c. 9, cap. 30 ("De non se levar dal scagno"). La penalità di 10 soldi venne disposta sia per il maestro inadempiente, sia per il titolare del cantiere privato che non informava al riguardo il gastaldo: "e ciascun protomaistro de ciascuna opera sia tenuto et deba tutti quelli che se asconderà et de soi scagni se moverà accusar al gastaldo, sotto pena de soldi X per ciascadun il qual non accuserà". Chiunque, in assenza di "iusto impedimento", non si fosse presentato - quando richiesto - in Arsenale, incorreva in una multa di 40 soldi.
103. Ibid., c. 38. La parte è registrata anche in Mariegola dei calafai (Marciana), c. 29; la parte del 5 aprile 1446, registrata di seguito a quest'ultima (c. 30) non compare invece nella Mariegola del Museo Correr.
104. Mariegola dei calafai (Marciana), c. 37v.
105. A.S.V., Senato, Deliberazioni terra, reg. 5, c. 134. Il provvedimento preso in pregadi si riprometteva di ovviare alla "mala consuetudene in el mestier di marangoni da nave, et adesso cresuda più del uxado, che'l gastaldo de quel mestier chon i suo conpagni, i qual non doveria recever algun in quella schuola el qual non fosse sufficiente, fata diligente examination e prova hano rezevuto et rezeveno tutti indifferentemente, cussì che sapia lavorar chome quelli che non sa et che apena son sufficienti fenti [sic: cioè fanti, garzoni> e questo per la utilità de uno ducato che da chadauno i hanno".
106. Ibid., reg. 8, c. 136v.
107. Ibid., Deliberazioni mar, reg. 12, cc. 113v-114. La parte approvata il 12 giugno dispose infatti che "la licentia de concieder calafadi sia remessa a i patroni del Arsenà, i qual la dagano o no et de quanti a loro parerà, purché le galie siano fornite a i tempi, soto la pena statuida per li incanti. Né algun patron de nave et navilio possi tuor algun calafado senza licentia de i dicti patroni de l'Arsenà".
108. Ibid., cc. 125 e 187; parti del 10 novembre 1487 e del 23 ottobre 1489.
109. Ibid., c. 116; parte del 13 luglio 1487: "Sempre la maistranza de questa terra, zoè marangoni e calafadi, è stata in ogni tempo più apreciata et acceptata su le galie et navilii nostri perché in ogni bisogno de qualche sinistro dicta sorte homeni son più al proposito et necessarii che alguna qualità de homeni. Al presente mò el par pur che de dicta maistranza, che è cresuta, quando le galie de viazi sono fuora ne resta molti senza aviamento. Et perché per el beneficio sì de le galie che navegano, chome etiam per redur a la marinareza de dicta sorta homeni, proveder de allogar qualche numero de dicti marangoni et callafadi, l'anderà parte che de cetero quelli che anderano a sentar al bersaio siano tegnudi et obligadi elezer, su cadauna galia da mercado, marangoni tre da galie et nave et calafadi do, che siano scritti per maistri in la scuola et quelli meter in luogo de ballestrieri nel numero de quelli sono deputadi su cadauna galia. I qual do callafadi et tre marangoni rizevano el suo pagamento insieme cum i altri ballestrieri". Presa con 159 voti a favore, 2 contrarii e 2 "non sinceri".
110. "Quum comparuissent coram illustrissimo Dominio patroni Arsenatus et ei declarassent multa inconvenientia et disordines que fiunt et committuntur per calafatos laborantes in Domo nostra Arsenatus, qui ut ex litteris supracomitorum nostrorum et aliorum certificatum nobis fuit, ut plurimum mittunt triremes adeo male calcatas, ut semper sit necessarium eas reficere, cum periculo navigiorum nostrorum et amissione temporis. Et quia hoc malum principaliter nascitur ab earum capite, qui est gastaldio, qui non habet curam ut bene et fideliter laboretur, ut huic rei tam necessarie provideatur, infrascripti domini consiliarii deliberaverunt et terminaverunt quod de cetero gastaldio prefatorum calefatorum fieri ac creari debeat per patronos dicte Domus nostre, qui cognitis hominibus sufficientibus constituere habeant in earum gastaldionem aliquem probum et idoneum hominem". A.S.V., Collegio, Notatorio, reg. 15, c. 70v.
111. Ivi, Senato, Deliberazioni terra, reg. 15, c. 23; parte presa con 129 voti a favore e 5 contrarii.