L'arte amarniana
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Akhenaton è il personaggio più controverso della storia egiziana: c’è chi lo vede come un visionario pacifista o un precursore del monoteismo, chi come un fanatico totalitarista, un irritante egocentrico o un folle. La riforma religiosa da lui attuata pone il culto di Aton al centro di tutto, ma lo scopo dello stravolgimento è soprattutto politico: porre un freno allo smisurato potere dei sacerdoti di Amon, i quali alla sua morte si presero la rivincita, facendo di tutto per cancellarne il ricordo. La rottura con la tradizione è ben evidenziata dall’arte, talmente diversa da quella del passato da suscitare fin dalla sua scoperta reazioni contrastanti fra gli egittologi.
El-Amarna è il nome moderno dell’antica città di Akethaton, “l’orizzonte di Aton”, fondata e costruita nel XIV secolo a.C. da Akhenaton (sovrano dal 1360 al 1343 a.C. ca.) per essere la nuova capitale dell’Egitto. Costruita a una velocità quasi impensabile, è altrettanto rapidamente distrutta e pochi dei suoi edifici scampano alle devastazioni compiute dai faraoni successivi.
Lo smantellamento della città è reso più semplice dall’innovativa tecnica edilizia ideata per la sua costruzione. Per rendere più veloci i lavori, infatti, sono stati impiegati soprattutto mattoni ricoperti da piccole lastre di pietra, più leggere e di dimensioni nettamente inferiori rispetto ai pesanti blocchi normalmente utilizzati nelle costruzioni faraoniche. Queste lastre larghe tre spanne, e per questo chiamate talatat, “tre” in arabo, possono essere rimosse da Horemheb e da Ramesse II con la stessa facilità con cui sono state montate, per poi essere riutilizzate per la costruzione di nuovi edifici. Nonostante questo la planimetria della città è la meglio conosciuta di tutto l’Egitto, sia perché molti edifici sono stati costruiti su una base in gesso sulla quale sono rimasti visibili i segni delle fondamenta sia perché il sito non è più stato insediato dopo l’epoca di Akhenaton.
La città viene edificata su un suolo, non contaminato da precedenti insediamenti umani e dai loro dèi, lungo 13 km della riva orientale del Nilo, mentre sul lato occidentale del fiume si trovano i campi coltivati che servono al sostentamento dei suoi abitanti. È circondata da 14 stele inscritte che illustrano le motivazioni della sua fondazione e il desiderio del faraone di non abbandonarla mai. Al suo interno ci sono palazzi, quartieri amministrativi e militari, aree residenziali e molti templi dedicati ad Aton.
Lungo Il palazzo più importante della città sorgeva nel quartiere centrale, davanti all’Ufficio della Corrispondenza Reale, dal quale provengono le numerose tavolette note come “lettere di el-Amarana”, inviate al faraone dai grandi re di Hatti, Mitanni, Babilonia, Assiria e dai piccoli re degli stati siro-palestinesi.
Il Grande Palazzo era diviso in due aree, separate dalla strada principale che attraversa la città. Una era riservata agli ambienti privati del faraone mentre l’altra, collegata alla prima da un ponte, era dedicata agli appartamenti di stato. Dietro l’entrata si trovava un’enorme corte, un tempo circondata da colossali statue in granito di Akhenaton, affiancata da altre piccole corti rettangolari colonnate. Molti ambienti avevano le pareti ricoperte da piastrelle colorate e invetriate, altri erano affrescati sui muri in mattoni crudi e avevano i pavimenti coperti da stucco di gesso dipinto.
Notevolmente diversa da quella delle epoche precedenti è la concezione dello spazio sacro. I templi di Amon, il “nascosto”, si sviluppavano in una serie lineare di ambienti in salita (pilone, corte, sala ipostila, vestibolo e cella), con i soffitti progressivamente più bassi e un graduale passaggio dalla luce al buio. Una struttura simile non sarebbe stata adeguata per un edificio dedicato ad Aton, il “disco solare”, per cui nel più importante tempio di el-Amarna, il Tempio Lungo, che sorgeva orientato ovest-est sulla strada principale, poco a nord del palazzo, sono utilizzati architravi spezzati, cioè aperti al centro, che permettevano alla luce solare di inondare tutti gli ambienti. Dietro ad un monumentale portico colonnato, c’erano una serie di piloni e corti in successione, seguiti da una sala ipostila, le cui colonne, lotiformi o palmiformi come quelle del palazzo, erano ricoperte da intarsi in pasta vitrea e da dorature. L’ultimo ambiente, invece di una cella, era una corte aperta, nella quale si trovavano decine di altari.
La tomba del faraone si trova qualche chilometro fuori dall’insediamento, costruita in una rientranza della valle che ospita le tombe degli altri abitanti della città. Dietro l’ampio portale volto verso est, una ripida scalinata in discesa conduce a un corridoio lungo 30 metri sui lati del quale si aprono alcuni ambienti. L’ultimo, posto alla fine del corridoio, è formato da un gruppo di tre stanze: la prima è un vano quadrato decorato sulle pareti da scene a rilievo dipinte, nelle quali si vedono il faraone e la consorte Nefertiti in una camera mortuaria piangere per la morte di una principessa che giace sul letto funebre.
La camera mortuaria del faraone, larga 10 metri e alta 3,5, si trova alla fine del lungo corridoio, preceduta da un’altra ripida rampa di scale e da un’anticamera-pozzo, che serviva a proteggere la tomba da eventuali inondazioni. Il pozzo fu parzialmente riempito con i mattoni di calcare che chiudevano la tomba quando il corpo del faraone fu trasferito nella Valle dei Re.
Fuori della città è stato scoperto un villaggio, costruito per ospitare gli operai addetti alla costruzione della città. Il villaggio ha una forma quadrata di 70 metri di lato, con case tutte uguali arrangiate lungo cinque strade parallele; solo una casa è più grande e potrebbe essere quella del responsabile dei lavoratori. Villaggi simili, che dovevano essere abbastanza comuni nei pressi dei grandi cantieri edili, sono conosciuti solo a Deir al-Medina, nella Valle dei Re, e ad al-Khaum.
Oltre 10 mila talatat decorate con scene a rilievo e poi dipinte, originalmente utilizzate per rivestire le pareti di templi e palazzi di el-Amarna, furono trovate a Ermopoli, dove Horemheb e Ramesse II le avevano riutilizzate come riempimento per le fondazioni di due piloni del tempio di Amon, forse come ultimo sfregio al faraone e al culto di Aton.
Il rilievo delle talatat è a incavo, cioè ottenuto scavando profondamente le figure nella superficie della pietra, e le scene più ricorrenti mostrano Akhenaton e l’inseparabile Nefertiti inondati dai raggi del sole, che porgono offerte ad Aton con le principesse, oppure mentre si affacciano alla finestra con la folla acclamante o ancora sul carro mentre sono diretti al tempio. Le divinità tradizionali antropomorfe sono totalmente assenti, mentre il disco sole Aton è onnipresente, raffigurato coi suoi raggi terminanti in mani che vicino ai volti della coppia reale reggono lo ankh, simbolo di vita.
Una delle innovazioni dell’arte amarniana è l’introduzione nelle composizioni del movimento e dell’interazione fra i personaggi. Le scene di folle che acclamano il faraone erano già utilizzate dall’arte egiziana tradizionale, ma ad el-Amarna i personaggi si animano e interagiscono, toccandosi e sovrapponendosi fra loro. Nella Stele della famiglia, la composizione è simmetrica e saldamente costruita sulle diagonali: Akhenaton e Nefertiti si fronteggiano seduti su sgabelli, ma le piccole che tengono in braccio gli si sovrappongono, coprendoli. Il faraone bacia una delle figlie, mentre la bambina al centro, seduta in grembo alla regina, fronteggia il padre e lo indica, ma girando il volto verso la madre fa da “figura di contatto” e unisce la composizione in un insieme coerente.
L’eleganza sobria che contraddistingueva le raffigurazioni dei faraoni precedenti non esiste più, sostituita da una forte caratterizzazione e da un manierismo che tende quasi al grottesco. I corpi dei personaggi non sono più assiali, i lunghi colli tendono all’avanti, gli zigomi e i menti sono aguzzi e sporgenti, le labbra carnose, gli occhi a mandorla, gli arti sottili e gli abiti svolazzanti. Gli stessi elementi caratterizzano anche le statue, spesso giunte a noi frammentarie perché realizzate in maniera composita, cioè assemblando elementi in materiali diversi: il calcare bianco per i corpi ricoperti dalle vesti, il quarzo o il granito per gli arti e i volti e i metalli per le decorazioni.
La deformazione grottesca è particolarmente evidente nelle opere realizzate durante i primi anni di regno di Akhenaton, quelli precedenti al trasferimento della capitale ad Akhetaton, ad esempio nei colossi del faraone che adornavano il tempio di Aton a Tebe, mentre si attenua nelle opere più tarde, pur senza scomparire del tutto. Il famoso busto di Nefertiti, scolpito in calcare, stuccato e dipinto con colori brillanti, trovato ad el-Amarna nell’atelier dello scultore Tuthmosi, appartiene a questa seconda fase, ma il collo è ancora innaturalmente lungo e sottile, sproporzionato rispetto alla testa grande e dagli zigomi sporgenti.
Nell’arte amarniana la regina assume un ruolo impensabile nell’arte tradizionale e sembra condividere le stesse caratteristiche fisiche del faraone: la carnagione non è differenziata in maschile e femminile da diverse tonalità di marrone, le cosce e i ventri sono larghi, le spalle strette e i seni prominenti. Nelle composizioni entrano le emozioni e l’intimità della vita familiare: Akhenaton che bacia la figlia, Nefertiti che siede in grembo al faraone, la famiglia reale che pranza o i due sposi che passeggiano nel giardino.
Per questi motivi l’arte amarniana è stata definita spesso “realista” e molti hanno interpretato le particolarità dei tratti del faraone come la resa fedele del volto di un sovrano affetto dalla sindrome di Froelich. Uno dei colossi del tempio tebano che rappresenta una figura nuda, priva di genitali maschili, col ventre rotondo, è stata spiegata da illustri egittologi di inizio Novecento in svariati modi: Mariette riteneva che il faraone fosse stato castrato in uno scontro militare, mentre Lefébure pensava che il sovrano fosse in realtà una donna, travestita e trattata da uomo, come era accaduto un secolo prima con la regina Hatshepsut (regina dal 1473 al 1458 a.C.). Si tratta, però, di congetture non supportate da altre prove ed è più verosimile che la scultura non ritraesse il faraone bensì la regina.
Probabilmente, più che riprodurre fedelmente la realtà, lo scopo degli artisti di Akhenaton è visualizzare con le loro opere la sua rivoluzione politico-religiosa. Più che nelle epoche precedenti i monumenti dell’epoca amarniana sono tutti di argomento regale e uno degli artisti, Bak, dichiara, in un’iscrizione sulla sua tomba, di essere stato istruito ed educato direttamente dal faraone. I vecchi dèi e i miti a loro collegati sono spariti, sostituiti dalla coppia reale e dal loro quotidiano ed è possibile che, come gli antichi dèi erano riconoscibili da caratteristiche fisiche particolari o da elementi tipici, i nuovi canoni utilizzati per rappresentare la famiglia reale servissero proprio a renderla immediatamente identificabile.