L’arte contemporanea come bene rifugio
Il 29 giugno del 2011 un’asta battuta da Sotheby’s ha raggiunto il record storico per un lotto di arte contemporanea, tra cui 34 tele della collezione Dürckheim di artisti tedeschi degli anni Sessanta, che è stato venduto a Londra per oltre 172 milioni di dollari. Ottimo risultato complessivo, che conferma la ripresa della seconda metà del 2010, mantenendo, però, sempre contenuti i prezzi delle singole opere. Era successo così anche il 14 ottobre del 2010, giorno dell’apertura della fiera Frieze, quando Christie’s ha inserito nel lotto principale il più grande dei suoi Butterfly painting di Damien Hirst, venduto per 3 milioni di dollari. Un buon risultato, che ha segnato il via della ripresa globale, ma comparativamente deludente visto che nel 2008 un quadro della stessa serie grande la metà era stato battuto per 160.000 dollari in più. Cosa che non sorprende se si tiene conto che Hirst – nel 2008 record assoluto di vendite per un artista vivente con 230 milioni di dollari – aveva visto crollare i propri valori del 92%. Analoga la sorte degli altri artisti su cui si era esercitata la speculazione. Il 10 novembre 2010 Jeff Koons ha venduto uno dei suoi Balloon Flower a 15 milioni di dollari, 8 milioni in meno di un altro esemplare battuto nel 2008.
A beneficiare maggiormente della ripresa, così, sono stati investimenti di indubbia reputazione ma meno quotati come dimostrano i sei record per Felix Gonzalez-Torres, Cindy Sherman, Lee Lozano, Robert Morris, Rudolf Stingel e Thomas Schütte, battuti a novembre 2010 da Phillips de Pury & Company per cifre milionarie. Tendenza confermata anche dalle fiere del 2010 che hanno visto il ritorno a valori più convenzionali e hanno privilegiato artisti moderni e del dopoguerra, come indica la classifica dei più rappresentati ad Art Basel, dove in vetta ci sono Warhol, Picasso, Calder, Sol LeWitt e Miró e dove i protagonisti degli anni del boom (2007-08) sono assenti dai primi 50 posti.
La vendita da Christie’s, nell’ottobre 2010, per 2,7 milioni di due mascotte manga di Takashi Murakami, altro artista danneggiato dallo scoppio della bolla speculativa, ha provocato polemiche nell’ultimo scorcio dell’anno. Poco prima della vendita il Museo di Versailles aveva celebrato l’artista contemporaneo giapponese con un’imponente retrospettiva, secondo i più critici segno di una sempre maggiore intersecazione e uniformità estetica di istituzioni e mercato. Il dibattito ha trovato il suo alveo naturale a giugno del 2011 nella 54ª Biennale d’Arte di Venezia dell’austriaca Bice Curiger, curatrice al Kunsthaus di Zurigo, dove la proposta di un contropotere istituzionale nella promozione degli artisti ha dovuto fare i conti con il nuovo allestimento della collezione Pinault e con l’inaugurazione della collezione Prada a qualche giorno dal debutto del marchio in borsa a Hong Kong. L’attivismo attorno all’arte contemporanea è giustificato da un trend storico che torna a emergere con la ripresa: la diminuzione del fatturato dell’arte del 19° secolo alle vendite d’asta che oggi rappresenta il 9,6% del totale e che nel 2000 era del 28,3%. Da dieci anni, cioè, per effetto della diminuzione dei pezzi disponibili, ma anche a causa di un cambiamento dei gusti e della natura dei simboli di status, l’arte contemporanea è chiamata a svolgere un ruolo crescente e ad attrarre sempre maggiori investimenti anche nelle alterne vicende del mercato, visto che dal 2000 al 2010 le vendite d’asta di questo settore sono passate dal 2,8 al 10,2% del totale. Particolarmente tra i nuovi collezionisti orientali, al punto che il fatturato di artisti cinesi viventi quali Zeng Fanzhi e Chen Yifei insidia già firme occidentali come Jeff Koons e Richard Prince. La globalizzazione dell’arte contemporanea e dei suoi circuiti commerciali, infine, trova corrispondenza nell’altra tendenza in atto, la finanziarizzazione, che comporta la diffusione delle vendite private e on-line nelle case d’asta e, per fiere e gallerie, la fusione e la nascita di poli internazionali, come dimostra l’acquisto della nuova fiera di Hong Kong da parte di Art Basel a maggio 2011. Dopo una prima fase di ripensamento, cioè, la ripresa sta accelerando la segmentazione dell’arte su pochi artisti trattati come brand, commercializzati da pochi soggetti e acquistati a uso promozionale dai protagonisti delle élite globali.
10 milioni di euro per il Renoir con Camille
Tra le opere più importanti messe in vendita all’asta nel corso del 2011 si colloca, senza dubbio, il dipinto intitolato Femme cueillant des fleurs (Donna che raccoglie fiori) eseguito da Pierre-Auguste Renoir nel 1874. Oltre a rappresentare una delle rare elaborazioni impressioniste del pittore delle Bagnanti, il quadro ha per soggetto la prima moglie di un artista altrettanto celebre: Claude Monet. La donna in azzurro e cappellino al centro della tela, infatti, è Camille Doncieux, che Monet aveva sposato nel 1870 e che aveva ritratto come modella in diversi quadri, tra gli altri anche in La femme à la robe verte (Donna in abito verde, 1866) e in Le déjeuner sur l’herbe (Colazione sull’erba, 1866). Camille sarebbe morta di cancro, prematuramente nel 1879, e subito dopo la sua scomparsa Monet si sarebbe legato sentimentalmente ad Alice Hoschedé, sposandola in seconde nozze nel 1892 (ma, secondo alcuni biografi, la relazione sarebbe nata negli ultimi anni di vita di Camille). E fu proprio questo personaggio femminile a rendere, inconsapevolmente, ancora più prezioso il dipinto di Renoir: la gelosia nei confronti del primo amore del marito, infatti, spinse Alice a distruggere la maggior parte delle immagini fotografiche e pittoriche di Camille; così, il dipinto di Renoir è rimasto uno dei suoi pochi ritratti. Dal 1933 di proprietà dello Sterling and Francine Clark Art Institute di Williamstown negli Stati Uniti, l’opera, rimasta per diversi anni fuori mercato, è stata messa in vendita nel mese di marzo presso il Tefaf di Maastricht, importante fiera del settore, alla cifra di 15 milioni di dollari, pari a circa 10 milioni di euro.
Militarismo e guerra: la storia di Gharem
Quella di Abdul nasser Gharem, uno degli artisti emergenti più quotati del momento, è una vicenda umana e artistica complessa e singolare. Nato nel 1973 a Khamis Mushait, città del Sud-Ovest dell’Arabia Saudita, Gharem impersona il doppio ruolo dell’artista concettuale e del tenente colonnello di artiglieria dell’esercito saudita. Esordì nel 2007 alla biennale Sharjah presentando Flora and Fauna (2006), in cui inserì sé stesso come elemento dell’opera, avvolgendosi in un enorme sacco di plastica insieme a un esemplare di Conocarpus, albero molto usato nell’arredo urbano delle città saudite ma che sembra avere effetti disastrosi sul resto della flora locale. Gharem sopravvisse per ore respirando unicamente l’ossigeno prodotto dalla pianta. Così, fin dal principio la sua arte si dimostrò dirompente, ma anche una scelta e un linguaggio on the road, in costante rapporto con l’urbanità, la realtà sociale e la dimensione di vivibilità del proprio paese e delle sue città. Altrettanto efficace fu il progetto Manzoa (2007): l’artista si trasferì per alcuni giorni in un quartiere residenziale in cui molti edifici erano prossimi alla demolizione per lasciare spazio a un’edilizia più moderna: Gharem annunciava con scritte apodittiche, sulla facciata delle case, il loro destino, riportando tali messaggi anche sulla sua maglietta. In seguito ha partecipato a numerose mostre internazionali e, recentemente, alla Biennale di Venezia del 2011. L’opera Message/Messenger, venduta a Dubai da Christie’s nell’aprile 2011 per 700.000 dollari, gli ha guadagnato grande notorietà mediatica.