di Massimo Campanini
Già dalle prime settimane dopo lo scoppio della rivolta in Egitto il 25 gennaio 2011 fino alla conclusione della rivoluzione il 3 luglio 2013, i rapporti tra Fratellanza musulmana ed esercito sono stati conflittuali. La Fratellanza musulmana, che non aveva partecipato alle prime giornate dei moti ma che era in seguito scesa in piazza intuendo le potenzialità sovvertitrici delle folle di piazza Tahrir, ha perseguito un percorso di legittimazione dopo le repressioni degli anni di Mubarak e di conquista dell’egemonia che ha attraversato varie fasi. Dapprima ha appoggiato il processo costituzionale imposto dall’esercito attraverso lo Scaf (Consiglio supremo delle forze armate) a tal punto che, sbagliando completamente l’interpretazione, si è parlato degli «islamisti che mettevano il cappello sulla rivoluzione controllata dai militari», ma poi ne ha preso le distanze seguendo una via sua propria che la ha condotta a vincere le elezioni politiche e infine a eleggere alla presidenza della repubblica il suo candidato Mohammed Mursi. L’esercito, da parte sua, aveva, appunto, cercato di controllare la rivolta al fine di conservare le strutture del regime mubarakiano, pur senza Mubarak, e di garantire il mantenimento dei propri privilegi sociali ed economici. Ma questa scelta lo poneva inevitabilmente in rotta di collisione con la Fratellanza musulmana, proiettata a far trionfare l’islamismo nella temperie successiva alla dittatura. Quando Mohammed Mursi, nell’estate 2012, ha defenestrato il capo dello Scaf, il maresciallo Tantawi, il conflitto ha raggiunto la sua acme e pareva momentaneamente risolversi a favore degli islamisti. Ciò tuttavia apriva la strada al generale al-Sisi.
Abdal Fattah al-Sisi è nato nel 1954 nel popolare quartiere cairota di Gamaliyya. Ha frequentato l’accademia militare dove si è diplomato col grado di sottotenente a ventitré anni. Ha poi percorso la carriera nell’esercito con buon successo fino ad arrivare al grado di generale. Essendo l’ultima guerra dell’Egitto stata combattuta nel 1973 (la guerra dello Yom Kippur), al-Sisi non ha maturato una esperienza vera e propria di combattimento, ma ha affinato le sue abilità tattiche. Nel 2011 era il più giovane membro dello Scaf anche se, sconosciuto al grande pubblico, non pareva destinato a ulteriori passi in avanti. Il momento topico è accaduto allorché Mursi ha defenestrato Tantawi, sostituendolo proprio con al-Sisi il 12 agosto 2012 come ministro della difesa. Al-Sisi infatti aveva fama di uomo profondamente religioso ed evidentemente Mursi ha creduto di poter trovare in lui una sponda che gli avrebbe permesso ad un tempo di manovrare l’esercito e di proseguire nell’islamizzazione dello stato. Al-Sisi invece è diventato acerrimo avversario della Fratellanza musulmana. Tra il 2012 e il 2013 si è consumato il rovesciamento della situazione. La Fratellanza musulmana e Mursi hanno tentato di porre sotto controllo la magistratura e hanno imposto una nuova costituzione non condivisa. Queste forzature anti-democratiche, unite all’incapacità del governo di affrontare i gravi problemi dell’economia, hanno suscitato contro Mursi le proteste e la mobilitazione di una vasta opposizione. Presentandosi come vindice delle rivendicazioni popolari contro il malvisto governo islamista, l’esercito guidato da al-Sisi ha proceduto il 3 luglio 2013 con un colpo di stato ad abbattere e incarcerare Mursi e a disperdere la Fratellanza musulmana.
La data del 3 luglio segna la fine della rivolta o rivoluzione di gennaio (2011) perché ha interrotto un esperimento di trasformazione delle istituzioni politiche in Egitto che, pur nelle sue storture e contraddizioni, costituiva un interessante laboratorio non solo di potere civile (il primo dopo la nascita della repubblica tra il 1952 e il 1953), ma soprattutto di ascesa legale alla guida del più importante paese arabo di un partito islamista moderato. Al-Sisi è stato frettolosamente promosso feldmaresciallo, ma ha presto deposto la divisa per poter concorrere alle nuove elezioni presidenziali, che ha vinto iniziando il suo mandato l’8 giugno 2014. Dopo il 3 luglio 2013, al-Sisi ha deciso di procedere a una nuova repressione della Fratellanza Musulmana, soffocando le manifestazioni pro-Mursi e incarcerando perfino la guida suprema dell’organizzazione Mohammed Badie. La durezza di questa repressione è stata in parte motivata dal timore che la Fratellanza musulmana potesse essere il cavallo di Troia dell’infiltrazione in Egitto di un islamismo più radicale, ma le sue conseguenze potrebbero essere imprevedibili fino al punto di destabilizzare il paese.
Al-Sisi non è Atatürk, né l’esercito egiziano ha rappresentato un bastione del secolarismo come quello turco. Piuttosto al-Sisi – e lo ha esplicitamente rivendicato – ha di fronte a sé la strada e l’esempio di Gamal Abdal Nasser, il quale governò laicamente lo stato pur nel quadro di un riferimento etico all’islam e la formazione religiosa di al-Sisi potrebbe proprio andare in quella direzione. In ogni caso egli ha di fronte a sé l’oneroso compito non solo di tranquillizzare una nazione ansiosa e agitata, ma anche di intraprendere un cammino di progresso economico e sociale e di recupero del prestigio dell’Egitto sulla scena internazionale