di Evgeny Utkin
«Il conservatorismo non impedisce il movimento in avanti e verso l’alto, ma blocca il movimento all’indietro e verso il basso, verso il buio caotico, il ritorno allo stadio primitivo». Prendendo in prestito le parole del filosofo Nikolaj Berdjaev, il presidente Vladimir Putin ha cominciato a disegnare l’ideologia sulla quale desidera fondare la Russia del futuro, la ‘sua’ Russia. Viene naturale chiedersi all’interno dello spazio post-sovietico che ruolo avranno i movimenti di protesta e di espressione, che hanno già trovato le loro icone nelle Pussy Riot e negli attivisti di Greenpeace.
Analizzando la realtà russa lasciando da parte le lenti occidentali, ci si rende conto che il timore di assistere alla nascita di una nuova dittatura fondata sullo strapotere del capo del Cremlino è infondato. Lo dimostra la storia. Il passato insegna che tutti i movimenti di opposizione e di protesta nel mondo si sono rafforzati e hanno fatto proselitismo proprio laddove capi di stato e di governo avevano scelto la strada della ‘conservazione’. È successo negli Stati Uniti di Ronald Reagan, che portò ai massimi livelli il tasso di conflitto con gli attivisti per i diritti umani e civili, e probabilmente accadrà anche nella Russia di Putin.
L’apparente paradosso si spiega con l’analisi del passaggio da una società chiusa a una società aperta. La caduta del Muro di Berlino nel 1989 ha spaesato gli oppositori dell’ex regime sovietico. Improvvisamente, il grande ‘mostro’ contro il quale avevano combattuto per una vita non c’era più. La società, economicamente fragile, doveva trovare una nuova unità e darsi nuovi obiettivi. Meglio: una pluralità di obiettivi che prima erano inimmaginabili.
Una democrazia appena nata cammina sulle gambe fragili di un bambino. Così, nel corso degli anni dominati prima da Boris El’cin e poi da Vladimir Putin, la società russa è cresciuta e, contemporaneamente, ha visto crescere l’orizzonte delle sue possibilità, di pari passo con quello delle sue necessità.
Non si può parlare di ‘libertà di espressione’ in Russia senza osservare qual è la forza che tiene insieme i diversi gruppi di protesta, quali sono le loro idee, qual è la loro visione del mondo, quali sono – in sostanza – i loro desiderata. Greenpeace, Pussy Riot, opposizioni politiche al Cremlino, omosessuali che combattono per i loro diritti: la Russia del dopo-Muro si trova a vivere un caleidoscopio di realtà diverse che, oltre a volersi affermare, chiedono di più. Più riconoscimento, più diritti, più libertà.
È un processo che hanno attraversato tutte le democrazie del mondo. Il braccio di ferro tra Vladimir Putin e i movimenti di protesta che sono esplosi in Russia alla fine del 2011 non si configura come un banale scontro tra un uomo di potere autoritario e una massa che chiede libertà. Ma costituisce invece un passaggio fondamentale e necessario per raggiungere la piena apertura di una società che solo fino a qualche anno fa era trincerata dietro una cortina di ferro, ed era oppressa al suo interno da quegli stessi meccanismi con i quali si difendeva dall’esterno.
Conservatorismo non significa dittatura e, come dice Berdjaev, non impedisce il movimento in avanti e verso l’alto. E questo non lo sa solo la politica, ma lo confermano anche i dati economici. La Russia ha già oltrepassato la linea rossa del reddito pro capite di 10.000 $, un limite superato il quale – come sanno bene i sociologi – la popolazione generalmente si aspetta una maggiore democratizzazione del sistema.
Da qui il fiorire di gruppi e movimenti di opposizione e l’esplosione di proteste di piazza. Ma parlare di una ‘Primavera russa’ sulla falsariga delle rivoluzioni del mondo arabo non è corretto e presta il fianco a previsioni da bancarella e a scenari da fantascienza.
Se andiamo a guardare la realtà, scopriamo che la popolarità di Vladimir Putin in Russia è molto alta, nonostante i brogli fisiologici di un sistema democratico ancora giovane. E, inoltre, Mosca non è certo Tunisi o Tripoli, dal momento che nella capitale della Federazione esiste un’incredibile abbondanza di opportunità economiche da cogliere. Da qui, l’impossibilità di una rivoluzione violenta contro lo stato autoritario e, allo stesso tempo, la necessità della nuova classe media russa di darsi una direzione e di riempirsi di contenuti e di valori, in un paese dove finalmente ognuno può scegliere in cosa credere o non credere, cosa seguire oppure no.
Certo, non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla palese tendenza del capo del Cremlino ad accentrare nelle sue mani ogni ramificazione del potere, da quello legislativo a quello giudiziario e dell’informazione, ma allo stesso tempo proprio questa sua propensione nettamente ‘conservativa e conservatrice’ produce l’effetto di fortificare le opposizioni e gli stessi movimenti di protesta, che avranno la possibilità di strutturarsi meglio per combattere il potere centrale.
Sarà un processo lungo, ma non si tornerà al caos e alle antiche purghe staliniane, come molte Cassandre sostengono. Il passato sovietico è sepolto sotto il Muro e la vitalità dei movimenti di espressione e di protesta in Russia aumenterà con il passare del tempo e favorirà il consolidarsi del pluralismo e di una dialettica sociale indispensabile per la vita di una democrazia moderna. E questo lo sa bene anche Vladimir Putin.