L'Asia islamica. Anatolia
di Thomas A. Sinclair
Dopo l'invasione islamica dell'Anatolia e dell'Armenia (metà VII sec.) si delineò rapidamente una divisione territoriale che sarebbe rimasta stabile per due secoli. Il confine con l'impero bizantino si estendeva lungo i monti del Tauro dalla costa meridionale dell'Anatolia, a nord della pianura della Cilicia piegava verso nord-est lungo la catena dell'Antitauro, salendo poi verso il Munzur Dağ (a est dell'alto Eufrate, il braccio settentrionale del fiume); da qui continuava verso nord, in modo tale che la piana di Erzurum e il distretto di Tao-Klardgieti (l'angolo sud-ovest della Georgia) si trovavano sul lato musulmano del confine.
Lungo i confini (ṯuġūr) le autorità musulmane mantennero e dotarono di guarnigioni una serie di città e ne fondarono di nuove, ad esempio Tarsus e successivamente Haruniya in Cilicia, Hadath e Sumaysat/Samsat nell'Alta Mesopotamia, Malatya, più a nord sull'Eufrate, e, alle sorgenti di questo, Erzurum. Esistevano già altre città, come Edessa (ar. Ruhā), Harran, Amid (Diyarbakır) e Arsamasosata (ar. Šimšāṭ). Dalla metà del IX secolo l'impero bizantino intraprese la riconquista di gran parte dell'Anatolia orientale, che era sotto il controllo musulmano. Tale campagna prese avvio a nord, verso Erzurum e le pianure a est, per estendersi successivamente al distretto dell'Eufrate a nord del Tauro (a Malatya, avanzando fino alla regione di Van); gli eserciti islamici furono espulsi dalla Cilicia e da alcuni settori dell'Alta Mesopotamia (fine X sec.). Infine, nell'XI secolo, l'impero bizantino conquistò i territori controllati dai piccoli regni armeni situati più a est (Vaspurakan, nella regione del Lago di Van, Ani e Kars a nord-est di Erzurum). Tra le popolazioni turche che dall'Iran occuparono l'Anatolia nell'XI secolo occorre distinguere i Turcomanni, costituiti essenzialmente da tribù prive di autorità centralizzata e alla ricerca di pascoli e di bottini ottenuti con il saccheggio delle città, e i Selgiuchidi e le dinastie a essi associate. I Selgiuchidi che invasero l'Anatolia e vi si stabilirono costituiscono un ramo collaterale dei Grandi Selgiuchidi d'Iran, mai riconosciuti da questi. I Selgiuchidi di Rum, o dell'Anatolia, si insediarono a partire dal 1100 circa a Ikonion/Konya; in questa fase il loro territorio era limitato alla metà meridionale della vasta pianura anatolica. L'impero bizantino controllava le coste.
Agli inizi del XII secolo il resto della penisola era governato da numerose dinastie turche. Il principato più vasto era quello dei Danishmendidi (ca. 1097-1165), le cui sedi principali erano Sivas e Niksar (Neokaisareia); si estendeva fino ad Amasia a nord, ad Ankara a ovest, a Kayseri a sud-ovest e a Malatya a sud-est. Immediatamente adiacente al territorio danishmendide era il piccolo potentato dei Mangugiakidi (Mengücekooğulları), sull'alto Eufrate, i cui centri principali erano Arzingian/Erzincan, Kamakh/Kemah e Divrik/Divriği. Più a est, sulle rive del Lago di Van, vi erano i principati di Erzurum e di Ahlat. L'Alta Mesopotamia era retta dalle dinastie artuqidi, una delle quali era insediata a Mardin (che dominava da nord la pianura mesopotamica, 1108-1408) e l'altra a Hisn Kayfa/Hasankeyf (1101-1231); nel 1183 quest'ultima ottenne la città e il distretto di Amid/Diyarbakır da un'altra dinastia locale turca. A nord del Tauro la storia della Mesopotamia fino al decennio tra il 1232 e il 1242 fu caratterizzata dall'espansione dei Selgiuchidi verso nord ed est, che portò all'assimilazione di tutti gli Stati minori e di altri principati. Nello stesso periodo l'Alta Mesopotamia era teatro in primo luogo del conflitto con i crociati di Edessa/Urfa (che vennero infine cacciati nel 1146) e di Antiochia/Antakya, e secondariamente dei tentativi di Nur al-Din (1146-1174) e di Salah al-Din (Saladino, 1174-1193) di sottomettere e unificare i piccoli principati turchi. La dinastia artuqide di Mardin perdurò, mentre quella di Hisn Kayfa venne espulsa nel 1232 e sostituita da un ramo della famiglia di Salah al-Din, gli Ayyubidi; membri della stessa famiglia furono installati in molte altre città dell'Alta Mesopotamia, tra cui Harran ed Edessa.
Questa prima fase della storia turca in Anatolia si caratterizza come un'epoca di grande prosperità e di intense attività. I commerci tra Aleppo, da una parte, e l'Iran e l'Iraq, dall'altra, animavano una serie di città dell'Alta Mesopotamia; nell'Anatolia a nord del Tauro il commercio fra l'Europa occidentale e l'Iran iniziò a svilupparsi a partire dal decennio tra il 1165 e il 1175 circa ed esistevano intense relazioni economiche tra l'Anatolia e i porti della Crimea e della costa settentrionale del Mar Nero. In città quali Konya, Kayseri e Sivas, lungo la rotta tra Antalya (costa meridionale dell'Anatolia) e Samsun o Sinope (costa del Mar Nero dell'Anatolia), si intensificò l'attività edilizia e furono costruiti i caravanserragli selgiuchidi. Un analogo processo di sviluppo edilizio, attribuibile almeno in parte a movimenti commerciali (esistenti già molto tempo prima dell'unificazione a opera dei Selgiuchidi, come anche nelle epoche successive), si constata anche nelle regioni orientali e meridionali. Il selgiuchide Kay-Khusraw II fu sconfitto dai Mongoli nel 1243 e il suo regno divenne un protettorato del vasto impero dapprima mongolo e successivamente (dal 1258) ilkhanide dell'Iran e dell'Iraq, sino a scomparire verso il 1300. A partire dal 1260 circa lungo i confini occidentali e meridionali si era venuta formando, in parte anche ai danni dei possedimenti bizantini sulla costa egea dell'Anatolia, una serie di piccoli principati turchi. Dopo il crollo dello Stato selgiuchide tali principati (beylik) divennero per un certo periodo vassalli degli Ilkhanidi. Le regioni interne dell'antico Stato selgiuchide caddero sotto il dominio di governanti mongoli, che stabilirono la loro capitale a Sivas.
Nell'Alta Mesopotamia la dinastia artuqide di Mardin rimase fedele agli Ilkhanidi e perdurarono anche gli Ayyubidi di Hasankeyf. Più a ovest la regione dell'Eufrate fu teatro dei conflitti tra gli Ilkhanidi e i Mamelucchi, che nel 1250 erano succeduti agli Ayyubidi in Egitto e in Siria. Nel 1315 il sultanato mamelucco si espanse nel distretto di Malatya a nord del Tauro e in quello dell'alto Eufrate (soprattutto a Divrik/Divriği). L'intero periodo mongolo (1243-1349 ca.) rappresenta, prima dell'epoca moderna, l'apice dei traffici commerciali in Anatolia. Dopo il 1260 una rotta carovaniera si sviluppò dal porto di Ayas, in Cilicia, fino alle città di Sivas, Erzincan ed Erzurum e da lì fino alla capitale ilkhanide: Tabriz (Iran). A sud-est, i centri urbani della regione di Van e alcune città dell'Alta Mesopotamia orientale (Mardin, Giazira/Cizre) mantennero strette relazioni economiche con Tabriz, con il Golfo Persico e l'India, e con Baghdad. Nell'Anatolia occidentale i beylik godettero di grande opulenza grazie ai commerci con le repubbliche italiane, soprattutto Venezia e Genova. Dopo la scomparsa degli Ilkhanidi, nel 1349, l'Anatolia occidentale passò nelle mani dei beylik. I possedimenti dei governatori ilkhanidi si andarono gradualmente frammentando in principati autonomi, che ebbero i loro centri a Erzurum, Erzincan e a Sivas. L'Anatolia sud-orientale, e in particolare la regione del Lago di Van, riconobbe l'autorità dei Gialairidi (1336-1432), una dinastia di estrazione mongola che dominò sull'Iraq e sull'Azerbaigian dopo il crollo dell'impero ilkhanide. Sotto la loro ala si sviluppò una confederazione tribale turcomanna denominata Qara Qoyunlu ("Montone Nero"), che nel decennio tra il 1368 e il 1378 emerse come Stato autonomo in Armenia. Nei pressi di Erzurum si formò un'altra confederazione, quella degli Aq Qoyunlu ("Montone Bianco"), che iniziò a espandersi territorialmente e a contrapporsi ai Qara Qoyunlu dopo la spedizione di Timur (Tamerlano) in Armenia nel 1400, in cui quest'ultimo assegnò Amid/Diyarbakır agli Aq Qoyunlu.
Uno dei beylik dell'Anatolia occidentale era quello degli Ottomani, su cui si possiedono dati inerenti l'anno 1299. La Bitinia, in cui il nucleo tribale ottomano si era formato e aveva acquisito territori dall'impero bizantino, non era mai stata un territorio selgiuchide, ed è dunque errato ritenere gli Ottomani i successori diretti dei Selgiuchidi o gli eredi delle loro istituzioni. Fatta eccezione per le campagne di conquista nei Balcani, gli Ottomani ottennero il controllo dell'Anatolia in numerose fasi distinte. Alla fine del XIV secolo si spinsero lungo le coste occidentale e poi meridionale, assimilando in varie forme i beylik turchi. Sconfitti da Timur nella battaglia di Ankara (1402), persero tutti i possedimenti e quindi intrapresero nuove campagne di conquista agli inizi e alla metà del XV secolo, confrontandosi con gli Aq Qoyunlu, allora signori dell'Armenia, nel decennio tra il 1446 e il 1456, conquistando infine l'Anatolia orientale tra gli inizi e la metà del XVI secolo. Il vasto impero creato dagli Ottomani grazie a queste e ad altre conquiste (nei Balcani, nel Vicino Oriente e nell'Africa settentrionale) raggiunse una notevole prosperità nel XV e nel XVI secolo grazie a una solida ed efficiente amministrazione, a un'agricoltura altamente produttiva, ai commerci internazionali, soprattutto quello della seta con l'Iran: attraversando l'Anatolia la seta era venduta a Bursa dalla corte ottomana e ad Aleppo da commercianti stranieri. Il XV e il XVI secolo furono un'epoca particolarmente vitale: vennero intrapresi complessi progetti edilizi, membri della famiglia del sultano, visir e governatori provinciali commissionarono la costruzione di moschee, madrasa, imāret (cucine povere per la distribuzione di cibo agli indigenti) e castelli.
Sebbene nel corso del XVII secolo il commercio della seta fosse ancora attivo, fu in quello stesso secolo che l'efficienza dell'apparato amministrativo e militare iniziò a indebolirsi e nell'intero sistema di nomine si fece strada la corruzione. Nella maggior parte delle regioni dell'impero le strutture economiche e governative subirono un ulteriore declino nel XVIII secolo. Nel successivo, dopo molte riforme e campagne militari contro i derebey (signori locali feudatari indipendenti), la maggior parte dei territori venne ricondotta sotto il controllo centrale. La grande crescita economica verificatasi dopo la metà del XIX secolo interessò in qualche forma anche l'impero ottomano: l'attività costruttiva continuò sino alla fine di questo secolo, sebbene con caratteri diversi rispetto ai progetti edilizi del XV e XVI secolo; pur proseguendo la costruzione di moschee, iniziarono a essere realizzati anche edifici commerciali e infrastrutture quali caserme e stazioni ferroviarie. L'impero ottomano ebbe effettivamente fine con la sconfitta subita nella prima guerra mondiale.
In senso stretto la storia dell'archeologia islamica esordì in Anatolia con lo scavo del tepe nel villaggio di Çatal Hüyük (da non confondere con il più noto insediamento neolitico nei pressi di Konya) nella pianura dell'Amuq, vicino ad Antakya, eseguito insieme a quello di altri alla fine degli anni Trenta del Novecento da archeologi statunitensi; ma la pianura dell'Amuq fu annessa alla Turchia, insieme ai restanti sanǧak di Alessandretta (İskenderun), solo nel 1939. Gli archeologi erano evidentemente più interessati agli strati preistorici, all'età del Ferro e al periodo classico che alla stratificazione degli insediamenti medievali messa in luce nel tepe: distinsero una fase "bizantina" e una "medievale", il cui termine fissarono addirittura nel 1800. Lo stesso approccio caratterizzò lo scavo dell'unica trincea realizzata nel 1938 nella città bassa di Van da K. e S. Lake, anch'essi statunitensi.
La fase scientifica dell'archeologia islamica ebbe inizio con il breve scavo nell'Alaeddin Köşkü ("padiglione"), sul tepe della cittadella di Konya (v.), nel 1941. L'obiettivo principale di questa indagine era quello di stabilire se il köşk, in realtà una torre della cittadella trasformata in un padiglione, fosse parte di un palazzo ubicato al di là della cinta muraria. L'indirizzo dei successivi scavi fu tracciato dopo la seconda guerra mondiale dalle indagini di M. Zeki Oral a Kubadabad (1950-52), che imposero ai ricercatori delle due ‒ se non addirittura tre ‒ generazioni posteriori un interesse esclusivo per l'architettura di epoca selgiuchide in generale e per le strutture palaziali in particolare. Mentre erano in corso gli scavi di Kubadabad vennero intrapresi quelli di Harran (Alta Mesopotamia) da D.S. Rice, ricercatore della University of London. Nonostante i modesti risultati, a Harran e in altri siti vicini la collaborazione tra quest'ultimo e S. Lloyd, architetto e archeologo, fu molto produttiva. L'obiettivo principale degli scavi a Harran (v.) e nelle località adiacenti era quello di individuare il tempio del dio pagano Sin. Le ricerche presero avvio nel tepe di Aşağı Yarımca, nei pressi di Harran: quando fu accertata l'impraticabilità di un'indagine dei livelli preclassici, le ricerche si spostarono nel tepe di Sultantepe, più a nord. Le indagini di Lloyd e Rice nella cittadella di Harran (v.) condussero alla pubblicazione di un'eccellente mappa; negli anni successivi (1952, 1956, 1959) Rice scavò la Grande Moschea omayyade e realizzò inoltre un profondo sondaggio nel tepe nel settore centrale della città, che consentì di ipotizzare una sua destinazione residenziale (qui fu attestata anche la presenza del tempio di Sin).
Il principale oggetto degli scavi archeologici in Turchia fu rappresentato dalle indagini sui Selgiuchidi e sulle dinastie turche preottomane dell'Anatolia. L'indagine non si è mai orientata sullo studio delle città dei ṯuġūr o di altri centri urbani delle regioni interne. La fase più complessa prese avvio con l'identificazione di M. Zeki Oral, nel 1949, del complesso palaziale dei Selgiuchidi di Rum a Kubadabad (v.), nei pressi del Lago Beyşehir, circa 100 km a sud di Konya, la capitale selgiuchide. Oral, direttore del Museo di Konya, scavò (1950-52) il Büyük Saray e il Küçük Saray (il Grande e il Piccolo Palazzo). L'individuazione di questa località e la scoperta dei monumenti, rese possibili dalle indicazioni di una fonte scritta, accesero l'immaginazione di storici e storici dell'arte e per almeno 40 anni imposero all'attività archeologica un modello di ricerca (indagare, cioè, strutture selgiuchidi e complessi palaziali); anche le mattonelle recuperate nel corso degli scavi suscitarono un vivo interesse nella Turchia dell'epoca. Gli scavi, però, erano poco accurati e le relazioni di scavo inadeguate e scarsamente attendibili (ad es., sulle mappe non comparivano le porte di alcuni ambienti). Nel 1953 Oral, muovendo ancora una volta dalle indicazioni geografiche fornite da Ibn Bibi, uno dei principali storici della dinastia dei Selgiuchidi di Rum, individuò anche il complesso palaziale minore di Keykubadiye (v.), nei pressi di Kayseri. Tuttavia, se si escludono limitati sondaggi, Oral non condusse ulteriori indagini. Nel 1961 O. Aslanapa dell'Università di Istanbul ‒ lo studioso che fino alla fine degli anni Settanta avrebbe occupato un ruolo di primo piano nell'archeologia islamica ‒ condusse uno scavo integrale nel palazzo (o almeno la residenza di un sultano) artuqide sul tepe di Diyarbakır (Turchia sud-orientale, v.).
A questi fecero seguito gli scavi di İznik (v.), nel 1963-66. In questa celebre città bizantina e ottomana a est di Istanbul fu rinvenuta casualmente una fornace ottomana e sulla base di tale ritrovamento Aslanapa scavò una serie di fornaci con depositi di scarti che chiarirono alcuni elementi della storia locale. Quando gli scavi di İznik erano ancora in corso, Aslanapa iniziò le sue ricerche a Keykubadiye (1964), ripulendo i tre cosiddetti "chioschi". Il rapporto di scavo consente comunque di ritenere che i lavori furono scarsamente accurati. Negli anni successivi le attività di ricerca si intensificarono notevolmente. Dal 1965 al 1967 i due palazzi di Kubadabad vennero sottoposti a nuovi scavi a opera di K. Otto-Dorn e di M. Önder. Le ricerche, che si concentrarono sulle strutture architettoniche già identificate, furono condotte con grande accuratezza. Nel 1965-66 gli archeologi che lavoravano a İznik effettuarono lavori di ripulitura in una piccola madrasa selgiuchide di Afyon, la Hisarardı Medrese, e in un caravanserraglio e nei bagni di Kalehisar, a nord della vasta pianura anatolica.
Nel 1963 furono intraprese alcune campagne di scavo nell'area a est dell'Eufrate, nella Turchia orientale, a seguito dell'abolizione di alcune restrizioni di accesso. Le pietre tombali del vasto cimitero musulmano di Ahlat, sulle rive del Lago di Van, risalenti prevalentemente a partire dal tardo periodo ilkhanide, furono ripulite alla fine degli anni Sessanta da B. Karamağaralı. Negli anni 1965-67 nel sito di Ani, al confine nord-orientale della Turchia, furono scavati due bagni risalenti, secondo gli archeologi turchi, agli inizi del XII secolo e ascrivibili ai Selgiuchidi. Aslanapa condusse scavi (1970-72) nella Grande Moschea di Van (v.), già oggetto di ricognizioni e campagne fotografiche dopo la prima guerra mondiale, e la attribuì ai Qara Qoyunlu. Fu redatta una mappa notevolmente accurata e, a partire da questo periodo, tutti gli scavi sembrano essere stati condotti con estrema precisione. L'obiettivo di Aslanapa era probabilmente quello di indagare ulteriormente la pianta della moschea, di studiarne gli stucchi e le decorazioni di mattoni. Anche missioni straniere ottennero l'autorizzazione per operare nei pressi delle rive dell'Eufrate, seppure non a est del fiume. Nel corso dello scavo condotto nel tepe di Samsat (v.) nel 1967, l'archeologa statunitense Th. Goell tentò di individuare il palazzo del monarca tardoellenistico Antioco I di Commagene, ma rinvenne solo le dipendenze di un palazzo artuqide del XII secolo.
Dopo questa fase si aprì un altro periodo della storia dell'archeologia islamica in Turchia, quello degli scavi di emergenza realizzati in concomitanza con la costruzione di dighe. Gli scavi del periodo iniziale, a partire dal 1950, si protrassero per vent'anni (o trenta, se si considerano anche i lavori di Arık a Konya). Se si eccettuano gli scavi di Rice, relativi a un'altra fase dell'archeologia islamica, si può affermare che, con la sola eccezione degli scavi sulla ceramica di İznik, l'interesse delle ricerche archeologiche di questo periodo era rivolto principalmente alle strutture architettoniche selgiuchidi o a quelle relative a dinastie preottomane. Tali ricerche erano strettamente dipendenti dall'ambito degli studi storico-artistici: le indagini in edifici già noti o localizzati erano volte ad ampliare la conoscenza delle tipologie e delle forme architettoniche e a rinvenire manufatti (ceramiche e mattonelle). La tradizione degli studi storico-artistici in Turchia era centrata all'epoca su aspetti sostanzialmente formali, orientati all'individuazione di tipologie architettoniche; allo stesso modo si operava nello studio dei manufatti. Questo approccio accordava scarsissima attenzione al significato delle strutture architettoniche nel loro ambito sociale di appartenenza e alla contestualizzazione storica delle funzioni da esse assolte, nonché alle tecniche edilizie impiegate. Gli storici dell'arte tentavano di datare le strutture attraverso la loro collocazione in una determinata categoria: ad esempio, gli autori dello scavo dei ḥammām di Ani classificarono tali strutture come selgiuchidi risalenti agli inizi del XII secolo, sebbene i (Grandi) Selgiuchidi avessero occupato la città nell'XI secolo e solo per un periodo di tempo molto limitato.
Il motivo per cui, salvo gli scavi di Rice a Harran (unici per l'epoca), le ricerche archeologiche si sono concentrate quasi esclusivamente sull'epoca selgiuchide e di altre dinastie preottomane (ad es., i Qara Qoyunlu di Van), ignorando l'età ottomana (con l'eccezione di İznik), va ricercato, in termini storici, nel fatto che per l'impero ottomano l'archeologia fu un settore di studi importato. La prima generazione di archeologi (formatasi a partire dalla metà del XIX sec.) ricalcò fedelmente gli interessi degli archeologi europei che operavano sul territorio (e i cui interessi spaziavano in senso generale dagli Assiri all'Impero romano). Durante il periodo tra le due guerre, quando la repubblica turca si era appena formata dopo il crollo dell'impero ottomano, i siti classici continuarono a essere scavati, ma da ricercatori stranieri. Questa fu comunque l'epoca d'oro dell'indagine delle missioni straniere nei siti degli Hittiti: un popolo apparentemente autoctono il cui regno occupava grosso modo le regioni ritenute il fulcro dell'odierno Stato turco, ben adattandosi all'ideologia di quest'ultimo. D'altra parte, nonostante le ricerche storiche intraprese nello stesso periodo, l'impero ottomano, da cui le istituzioni secolari della repubblica turca stavano tentando di affrancarsi, era l'ultimo tema che un archeologo turco avrebbe pensato di trattare. Intanto scarsissimi erano stati gli studi sui Selgiuchidi e le dinastie associate.
Le ricerche di A. Gabriel, direttore dell'Istituto Archeologico Francese di Istanbul, richiamarono l'attenzione degli storici dell'arte turchi sui monumenti selgiuchidi (moschee, madrasa, ospedali, ecc.) di Kayseri, Sivas e di altre città e su quelli di dinastie turche a essi coeve, quali i Mengücekoğulları (Divriği, ecc.) e gli Artuqidi (Diyarbakır, Mardin, Hasankeyf, ecc.). Le principali fonti storiche sui Selgiuchidi vennero pubblicate in Turchia almeno a partire dagli anni Quaranta e successivamente, agli inizi e alla metà degli anni Cinquanta, gli storici ‒ e soprattutto O. Turan ‒ iniziarono a pubblicare opere scientifiche sul periodo selgiuchide. Dopo la seconda guerra mondiale l'ambito di ricerca privilegiato degli archeologi turchi rimase l'esplorazione delle strutture architettoniche selgiuchidi, il cui sultanato si confaceva ai modelli ideologici del periodo: ad esempio, la sua estensione coincideva con il cuore dello Stato turco. La storia dell'archeologia islamica mutò radicalmente con gli scavi di emergenza che presero avvio alla fine degli anni Sessanta soprattutto nel settore sud-orientale. Nonostante la presenza di missioni straniere e l'applicazione di strategie e modelli di indagine derivati dall'archeologia del Vicino Oriente, gli scavi non connessi con la costruzione di dighe furono scarsamente ricettivi a questi nuovi stimoli.
Fu nel 1974 che ebbero inizio scavi che esulavano dai progetti di emergenza: la campagna di O. Arık dell'Università di Ankara a Beçin Kale, una collina a 5 km da Milas, nell'entroterra della costa occidentale dell'Anatolia; le due città avevano costituito insieme una doppia capitale, quella del beylik Menteşe. Il sito era sostanzialmente libero da occupazioni moderne e conservava strutture medievali in vario stato di conservazione. Nel 1980 vennero intrapresi nuovi scavi a Kubadabad, questa volta sotto la direzione di R. Arık, anch'essa dell'Università di Ankara e moglie di O. Arık. Gli obiettivi della missione si concentrarono sullo studio del periodo medievale ed erano orientati a un approccio di tipo regionale. Il risultato fu in parte compromesso dalla necessità di proseguire lo scavo di due strutture architettoniche, i due palazzi. Venne realizzata anche una ricognizione di tutti i siti medievali limitrofi. Gli scavi a Kubadabad aprirono un capitolo nuovo nell'archeologia islamica della Turchia, ma di fatto nessun altro scavo ‒ a eccezione di quello di O. Arık a Hasankeyf (v.) ‒ si affrancò dai vincoli della tradizione storico-artistica.
A seguito della scoperta di un'altra fornace ottomana, avvenuta nel 1980 nel corso di ricerche nel teatro romano, a İznik vennero intrapresi nuovi scavi (1981-92). Negli anni successivi iniziò una campagna di scavi a Harran, che può essere ritenuta un'eccezione in più di un senso: la Grande Moschea è l'unica costruzione preselgiuchide a essere stata scavata da ricercatori nazionali. L'occupazione residenziale del XII-XIII secolo, identificata dagli archeologi sul tepe alle spalle della moschea, sebbene coeva ai Selgiuchidi, apparteneva a una fase di governo ayyubide nell'Alta Mesopotamia che non può in nessun modo essere considerata turca. Tra gli obiettivi degli scavi vi era un miglioramento delle condizioni di presentazione del sito ai turisti (un altro sito in cui gli scavi furono condotti con simili finalità fu quello di Van: lo scavo delle moschee della cittadella e della città vecchia e le attività di ripulitura condotte a Gevaş, di importanza minore per quanto riguarda la varietà dei monumenti islamici, furono parte di un vasto progetto di ripulitura dell'intero sito). A scopi "turistici" nella Grande Moschea, oltre alla ripulitura (comprendente parti non indagate da Rice), vennero coperte e consolidate le mura orientali della sala di preghiera.
L'interesse per le strutture palaziali emerge anche dalle attività di ricerca di O. Arık ad Alanya (1985-94; v.): qui fu integralmente riportato alla luce, in un angolo della cittadella, il palazzo selgiuchide, che fornì un contributo sostanziale alla conoscenza dei palazzi del periodo. Due anni più tardi le ricerche ad Ani ripresero sotto la direzione di B. Karamağaralı e sembrarono concentrarsi ancora una volta sulle strutture domestiche e su una palaziale.
Le ricerche si sono estese a strutture architettoniche di minore importanza o appartenenti a differenti tipologie. Nello stesso tempo sono state condotte anche da università diverse da quelle di Istanbul e Ankara, che avevano monopolizzato il campo fino al 1984, probabilmente a causa di un migliore accesso ai fondi stanziati dal Ministero della Cultura e in generale di una maggiore esperienza nel settore.
Le attività di scavo nel caravanserraglio Dokuzun Haní, nei pressi di Konya, da parte dell'Università Seljuk di Konya (1990-93) non hanno apportato dati innovativi, ma vennero riportati alla luce una zawīya (piccolo edificio per ṣūfī) e un ḫānqā (convento ṣūfī). L'Aegean University di İzmir ripulì (1993-96) un ḫānqā ad Aksaray. Nuovi scavi a Beçin Kale sono stati intrapresi nel 1995 sotto la direzione di Rahmi Hüseyin Ünal, anch'egli della Aegean University; le strutture scavate comprendono due ḥammām e un konak o castello. Nel cimitero della città medievale di Erciş, sulla riva settentrionale del Lago di Van, l'Università di Van ‒ che possiede un centro di ricerca dedicato alla regione ‒ scavò nel 1992 tre türbe (mausolei), uno dei quali è stato identificato come masǧid (moschea).
Tra gli scavi d'emergenza che, a partire dal 1967, furono eseguiti nell'area destinata a essere inondata dopo la costruzione della diga di Keban, sull'Eufrate, quello di Aşvan Kale, condotto da archeologi britannici, ha consentito di individuare un importante edificio, con ambiente centrale a quadrato (15 × 15 m), datato tra il 1300 e il 1350. è stato ipoteticamente identificato come madrasa, attribuzione non sicura a causa dell'assenza di un miḥrāb, dell'orientamento nord-ovest/sud-est e di altri elementi ancora. La struttura potrebbe essere stata una residenza, probabilmente di un funzionario ilkhanide incaricato anche dell'esazione di imposte per l'attraversamento dell'Eufrate. Sulla base della presenza di monete di Abu Sayd (1316-1335), si può affermare che il forte di Taşkun Kale, sull'altopiano a sud-est di Aşvan, sia stato costruito durante il regno di questo sovrano o poco tempo prima, per essere abbandonato subito dopo. Gli autori degli scavi conclusero che la popolazione cristiana del villaggio del tepe di Aşvan, vale a dire l'insediamento della fase di occupazione immediatamente precedente la residenza ilkhanide, venne costretta a trasferirsi fuori delle mura del forte di Taşkun Kale per esservi riammessa quando la residenza di Aşvan venne distrutta (1329 o poco dopo); ma in assenza di un'estensiva ricognizione nell'area tali spostamenti sono di ardua identificazione. Inoltre, la datazione di entrambe le strutture è certamente da correlare all'occupazione mamelucca di Malatya e Divriği, nel 1335.
Dopo gli scavi per la costruzione della diga di Keban trascorse un altro decennio circa prima che la progettazione di altre dighe più a valle dell'Eufrate offrisse nuove opportunità di ricerca. Gli scavi di emergenza effettuati per la costruzione della diga di Karakaya sui monti del Tauro, che ebbero luogo tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, portarono al recupero di una modesta quantità di manufatti di interesse islamico; quelli per la costruzione della diga di Atatürk, a sud del Tauro, iniziarono nello stesso periodo ma ebbero termine solo nella metà degli anni Ottanta. Il lungo sbarramento provocò la sommersione di un'area molto più ampia; fu recuperata una varietà maggiore di siti rispetto a quella identificata nell'area della diga di Keban, il più interessante dei quali è Samsat. Gli archeologi turchi si concentrarono sul vastissimo tell, e in particolare sulle mura difensive fatte erigere da una delle dinastie artuqidi (quella di Mardin o quella di Hasankeyf) alla metà o alla fine del XII secolo. Scarsissimi furono comunque i dati reperiti sulla città. Dopo Samsat, il sito di maggiore interesse era Tille, ubicato nel punto in cui la strada tra Kahta e Adiyaman attraversava l'Eufrate. Gli archeologi britannici operarono in modo tale da ottenere un quadro completo dell'insediamento sul tell in ogni fase del periodo islamico; durante la prima di tali fasi (forse dalla fine del XII al XIII sec.) esso comprendeva una vasta abitazione, residenza di alcuni capi locali, e le stalle relative; il villaggio era fuori del tell. Rispetto agli scavi per la costruzione della diga di Keban, partecipò comunque a tali ricerche, ad esempio a Samsat e Gritille (G. Öney e S. Redford), un numero maggiore di studiosi di arte islamica.
Gli scavi per la costruzione della diga di Atatürk hanno consentito di sondare caratteri e modelli di insediamento all'interno di un distretto che, in termini geografici, presenta una certa omogeneità (un settore della valle dell'Eufrate). Sono state rinvenute evidenze di un abbandono degli insediamenti, nel XIII secolo, che conferma quanto è noto dalle fonti letterarie sui conflitti in queste regioni tra Mamelucchi e Mongoli. Gli scavi delle dighe di Keban e di Atatürk hanno fornito testimonianze di tipologie ceramiche locali distribuite su una vasta area (ad Aşvan fu identificata una fornace in cui era prodotta una di queste tipologie locali, particolarmente significativa in quanto risalente a un'occupazione cristiana).
Nonostante ciò, due vasti siti urbani (Haraba/Shimshat negli scavi per la diga di Keban e Samsat in quelli per la diga di Atatürk) non sono stati sottoposti a scavi, se si eccettuano sondaggi limitati, ed è stata vanificata la possibilità di reperire dati sulla loro vita in epoca medievale.
Bibliografia
Storia (opere generali con bibl. e fonti ulteriori):
F. Taeschner - H. Louis, s.v. Anadolu, in EIslam2, I, 1960 (20042), pp. 461-94; M. Canard, s.v. Armīniya, ibid., pp. 634-50; B. Lewis, The Emergence of Modern Turkey, Oxford 19682; O. Turan, Doğu Anadolu Türk Devletleri Tarihi [Storia degli Stati turchi dell'Anatolia orientale], Istanbul 1973; C. Cahen, Pre-Ottoman Turkey. A General Survey of the Material and Spiritual Culture and History c. 1071-1330, London 1986; P.M. Holt, The Age of the Crusades. The Near East from the Eleventh Century to 1517, Harlow 19882; R. Irwin, The Middle East in the Middle Ages. The Early Mamluk Sultanate, 1250-1382, Carbondale - Edwardsville 1986; H. Kennedy, The Prophet and the Ages of the Caliphates. The Islamic Near East from the Sixth to the Eleventh Century, Harlow 19882, in part. capp. 9, 10, pp. 297-308; O. Turan, Selçuklular Zamaninda Türkiye [La Turchia all'epoca dei Selgiuchidi], Istanbul 19933; E.J. Zürcher, Turkey. A Modern History, London - New York 19942; H. Inalcik - D. Quataert (edd.), An Economic and Social History of the Ottoman Empire, 1300-1914, Cambridge 1994.
Archeologia:
Th.A. Sinclair, Eastern Turkey. An Architectural and Archaeological Survey, I, London 1987-90, pp. 159-64; M. Özdoğan, Arkeoloji nedir? Ne değildir? Ne olmalıdır? [Cos'è l'archeologia? Cosa non è l'archeologia? Cosa dovrebbe essere l'archeologia?], in Arkeoloji ve Sanat, 52-53 (1991), pp. 20-25; R. Matthews (ed.), Ancient Anatolia. Fifty Years' Work by the British Institute of Archaeology at Ankara, London 1998, pp. 85-96, 122-23, 163-66; M. Özdoğan, Ideology and Archaeology in Turkey, in L. Meskell (ed.), Archaeology Under Fire. Nationalism, Politics and Heritage in the Eastern Mediterranean and Middle East, London - New York 1998, pp. 111-23.
di Thomas A. Sinclair
Città medievale (ar. ῾Alā'iyya; gr. Kalonoros, "bella montagna") nella Baia di Antalya, sulla costa meridionale dell'Anatolia (Turchia).
Il sito è costituito da una città alta fortificata con una cittadella (iç kale) nell'angolo nord-ovest, su un'altura rocciosa che digrada verso sud in direzione del mare e presenta fianchi a strapiombo a ovest e a sud, e di una città bassa fortificata a est, ai piedi dell'altura, comprendente, tra le altre strutture architettoniche, un cantiere navale coperto. È questo l'assetto conferito alla città dai Selgiuchidi di Rum che, guidati da Alaeddin Keykubad I, l'avevano conquistata nel 1221/2.
Già prima che avessero inizio le indagini archeologiche si sapeva che un palazzo della città alta era stato costruito da Keykubad (1219-1237). Gli scavi, intrapresi nel 1985 sotto la direzione di M. Oluş Arık (Università di Ankara), furono preceduti dal rinvenimento, nelle fondazioni di una cisterna della cittadella, di un'iscrizione del successore di Keykubad, Giyaseddin Keyhüsrev II (Ghiyath al-Din Kaykhusraw, 1237-1245/6). Si rilevò che il palazzo, rettangolare, era nell'angolo orientale della iç kale esteso verso nord-ovest lungo il muro nord-orientale della città alta. Fulcro dell'edificio era un cortile circondato da un complesso di ambienti, comprendenti verosimilmente un īwān a sud-est, il lato breve, e un portico sui rimanenti lati. Le stanze all'estremità nord-occidentale del cortile furono aggiunte in un secondo momento. A sud, contro la cinta muraria, fu edificato un ambiente oblungo, dinanzi al quale un'altra serie di vani era disposta su un asse nord-ovest/sud-est, su entrambi i lati di quello che sembra essere stato l'īwān o altro ambiente alto e coperto affacciato sul cortile. Prima degli scavi i muri occidentali di tali ambienti, contro il muro sud-occidentale del palazzo, si erano conservati fino a una certa altezza. L'ambiente scavato nell'angolo orientale, a est dell'īwān, era stato di certo costruito dopo la prima fase edilizia.
La torre difensiva nell'angolo est del muro della cittadella non venne modificata, ma posta in comunicazione con l'ambiente oblungo. Pochi metri più a nord-ovest, una torre delle mura della cittadella fu trasformata in uno spazioso ambiente che si affacciava sul portico del cortile e forse dava accesso anche al vano oblungo tramite uno stretto corridoio adiacente alla facciata interna delle mura urbane. Nello stesso periodo la torre fu coperta da volte a crociera poggianti su pilastri incassati aggiunti alle mura e su due pilastri isolati al centro dell'ambiente. Successivamente nelle adiacenze della torre fu costruita una cisterna. Più a nord-ovest, ma in una fase ancora più tarda, un'altra torre fu trasformata in un sontuoso ambiente che gli autori degli scavi hanno identificato come köşk ("padiglione"), con copertura di tegole solo in parte conservata. Della volta in mattoni che fu aggiunta è rimasta solo una piccola parte del fianco nell'angolo orientale.
Il portale d'ingresso al cortile era al centro del muro nord-ovest del palazzo. Originariamente il cortile aperto si estendeva soltanto dalla torre del köşk appena citata al muro del portale; in seguito lo spazio fu modificato, forse contemporaneamente alla trasformazione in köşk della torre. Un ampio corridoio conduceva ora dal portale verso sud-est fino al cortile. Su entrambi i lati del corridoio (sud-ovest e nord-est) era una serie di tre ambienti: il primo a sud-ovest (nell'angolo ovest del palazzo) era certamente adibito a cucina. Al suo esterno si trovava una cisterna. L'ambiente adiacente era una dispensa. Sul lato opposto del corridoio rispetto alla cucina si trovava un vano destinato allo smaltimento delle acque di scarico convogliatevi dalla cucina mediante condutture, nonché da una latrina soprastante il vano. L'ambiente centrale del lato nord-orientale era costituito da un altro köşk, pavimentato con mattonelle quadrate; al centro si trovava un piccolo bacino rettangolare e alle pareti vi erano pitture.
Nel palazzo sono state rinvenute mattonelle (stellari e cruciformi) del rivestimento parietale, simili a quelle di Kubadabad. Sono stati rinvenuti anche esemplari esagonali e pentagonali, oltre a frammenti di un mosaico di mattonelle (triangolari e stellari). Sono stati inoltre recuperati resti di decorazioni di stucco. Tra gli altri reperti è degno di nota un sigillo di piombo di Alaeddin Keykubad I.
Dal momento che il viaggiatore Ibn Battuta fu ricevuto, nel 1332/3, in un palazzo fuori della città alta, gli autori degli scavi giunsero alla conclusione che in quell'epoca il palazzo della città alta dovesse essere crollato. Anche se non assolveva più funzioni palaziali all'epoca della visita di Ibn Battuta, la struttura potrebbe essere stata utilizzata per altri scopi, soprattutto se si considera che frammenti di tegole sono stati rinvenuti nelle strutture dell'angolo orientale del cortile. La data dell'abbandono resta a tutt'oggi sconosciuta.
Per i resoconti degli scavi negli anni 1985-87, 1990 e 1992-97:
M. Oluş Arık, in Kazi Sonuçlari Toplantısı, 8, 2 (1987), pp. 335-47; 9, 2 (1988), pp. 365-78; 10, 2 (1989), pp. 421-33; 13, 2 (1992), pp. 413-21; 15, 2 (1995), pp. 579-82; 17, 2 (1996), pp. 389-91; 19, 2 (1998), pp. 557-58; 20, 2 (1999), pp. 557-58.
Inoltre:
S. Lloyd - D.S. Rice, Alanya (῾Alā'iyya), London 1958; M. Oluş Arık, Alanya - Inner Citadel Excavations (1985-1991), in Anatolica, 18 (1992), pp. 119-35; Id., Alanya Içkale Kazıları (1985-1991) [Scavi della cittadella di Alanya], in Prof. Dr. Yilmaz Önge Armağanı, Konya 1993, pp. 13-27; J.M. Rogers, Seton Lloyd's and D.S. Rice's Survey of Alanya (῾Alā'iyya, ῾Alâ'iye), in R. Matthews (ed.), Ancient Anatolia. Fifty Years' Work by the British Institute of Archaeology at Ankara, London 1999, pp. 367-78.
di Thomas A. Sinclair
Città fortificata (gr. Amida; ar. Amid, Diyār Bakr; ott. Diyarbekır) dell'Alta Mesopotamia, su un pianoro che domina il fiume Tigri (Turchia).
Nel 1961, sotto la direzione di O. Aslanapa (Università di Istanbul), fu scavata la parte centrale di un palazzo o, più verosimilmente, il luogo di ritiro di un sovrano. La struttura sorge sulla sommità pianeggiante di un tumulo preistorico che formava parte delle strutture difensive della cittadella. Quest'ultima si trova nell'angolo nord-orientale della cinta muraria urbana (lunga 5,5 km) e risale verosimilmente alla prima metà del XIII secolo, in particolare all'artuqide Nasir al-Din Mahmud (1201-1222).
Alla base del tepe fu costruita la moschea della cittadella (nel minareto sono state ritrovate iscrizioni del 1156-1179); il palazzo fu edificato sul lato opposto del tepe, addossato alla cinta muraria urbana. Gli scavi hanno messo in luce un gruppo di quattro īwān ai lati di una piscina con fontana centrale. L'īwān sud, il più lungo (ca. 6,5 m), ospitava un'altra fontana, alloggiata in un piedistallo, che alimentava ‒ tramite canali ‒ la piscina centrale. L'īwān nord era poco meno profondo; quelli ovest ed est erano ancora più brevi (3,5 e 2,5 m), conferendo un marcato orientamento nord-sud all'intero spazio convergente sulla piscina centrale.
La natura delle altre strutture architettoniche non è stata a tutt'oggi chiarita. Nell'angolo nord-ovest vi era certamente una stanza comunicante con l'īwān occidentale mediante un corridoio che proseguiva verso sud fino all'angolo sud-ovest. Un corridoio simile si trovava a est, con una porta che indica la presenza, più a est, di altri ambienti. Il pavimento e i muri della piscina e della fontana centrale erano rivestiti da un mosaico di vetro e pietre con decorazione di elementi alterni: cerchi e motivi quadrilobati definiti da due linee ondulate intersecantesi a intervalli regolari; in ciascun angolo erano raffigurate due anatre affiancate da pesci. L'intera composizione sembra ispirata a mosaici del periodo classico e della Tarda Antichità.
O. Aslanapa, Diyarbakır Sarayi Kazısından Ilk Rapor (1961) [Rapporto preliminare degli scavi del palazzo di Diyarbakır (1961)], in Türk Arkeoloji Dergisi, 11, 2 (1961), pp. 10-18, tavv. I-XXXI; Id., Die Ausgrabung des Palastes von Diyarbakır (1961-1962), in Atti del Secondo Congresso Internazionale di Arte Turca (Venezia 1963), Napoli 1965, pp. 13-29; G. Bell, The Churches and Monasteries of the Tur Abdin, London 1982, pp. 66-69, pp. 108-109; Th.A. Sinclair, Eastern Turkey: an Architectural and Archaeological Survey, III, London 1987-90, pp. 190-93.
di Martina Rugiadi
Sito nel Diyar Mudar (Mesopotamia settentrionale, od. Turchia), dove un tempo s'incontravano le rotte carovaniere che univano l'Anatolia, la Siria e la Mesopotamia.
Quando venne occupata dagli Arabi musulmani nel 640 era una delle più importanti città del Diyar Mudar. Marwan II (750-755) vi trasferì la capitale del califfato omayyade. Gli abitanti, seguaci di una religione pagana dedita al dio lunare Sin, riuscirono a evitare la conversione forzata cui li avrebbe voluti costringere l'abbaside al-Mamun (813-833) asserendo di essere Sabei, tutelati dal Corano poiché Gente del Libro. Dalla fine del X alla fine dell'XI secolo H. fu sotto il controllo dei Numayridi, che riconoscevano l'autorità fatimide; nel 1081 i Selgiuchidi occuparono la città, nel 1127 venne annessa all'emirato zangide di Mossul. Gli Ayyubidi ne detennero il controllo dalla fine del XII secolo fino all'arrivo dei Mongoli, ai quali la città si consegnò pacificamente; questi ultimi, tuttavia, nel 1271 decisero di deportarne l'intera popolazione a Mardin (v. Diyarbakır), distruggendo moschee e altri edifici e murando le porte di accesso alla città. H. non venne più occupata; solo all'inizio del XIV secolo sembra che la cittadella svolgesse ancora un ruolo militare.
Le rovine islamiche comprendono tutta l'antica città, con il castello, la Grande Moschea, un'altra moschea, una basilica, un monumento absidato, abitazioni private e la cinta muraria con alcune delle porte d'ingresso.
Molti studiosi occidentali visitarono H. prima delle missioni archeologiche (Lloyd - Brice 1951). Campagne di scavo turco-britanniche furono condotte negli anni 1950, 1951, 1956 e 1959 prima da S. Lloyd (British Institute of Archaeology in Ankara), poi da D.S. Rice (School of Oriental and African Studies, SOAS, University of London). Gli scavi e i relativi reperti sono stati pubblicati solo parzialmente (Lloyd - Brice 1951; Rice 1951, 1957, 1960; Heidemann 2002), manca un rapporto finale; la scomparsa di Rice e la dispersione della documentazione ne rendono alquanto difficile un eventuale studio. I reperti islamici sono conservati nel deposito della SOAS a Londra (ceramica, vetri e un frammento di bronzo), nel British Museum (monete) e nel Museo di Urfa, in Turchia (ceramica e metalli). Durante la prima campagna venne effettuata una ricognizione della città islamica, della quale fu redatta una pianta. Particolare attenzione venne rivolta alla cittadella di cui fu elaborata una pianta; ne furono identificate quattro fasi costruttive (tutte caratterizzate da conci semplici fuorché la terza, con conci bugnati e scorniciati). La struttura, rettangolare irregolare, a tre piani, comprende cinque torri poligonali (a 11 lati), di cui quattro agli angoli e una, più piccola e appartenente alla fase di costruzione più antica, sul lato est. L'ingresso sul lato sud-est, relativo alla fase antica di costruzione, fu scelto nel 1951 per lo scavo vero e proprio: rivelò l'intero portale con l'arco a ferro di cavallo decorato ai lati con bassorilievi raffiguranti cani. Vennero alla luce anche frammenti di sculture ornitomorfe nonché di un'iscrizione datata 451 a.E. / 1059 d.C.
Gli scavi del 1956 nella Grande Moschea permisero di modificare la pianta elaborata precedentemente da K.A.C. Creswell: la moschea, in origine, aveva due o tre navate e nessun transetto. Tra i reperti si segnalano molti frammenti di decorazione architettonica di pietra. Nel 1959 venne completata la pianta della moschea, che misura 100 × 100 m, e vennero effettuati 13 sondaggi per comprenderne le fasi costruttive; le modifiche strutturali più tarde sono datate al 1174 da un capitello con iscrizione.
A nord della moschea è stata messa in luce una strada, con file di botteghe su entrambi i lati, marciapiedi e, a un livello ribassato, una pista per gli animali da soma; a un quadrivio sono stati rinvenuti tre archi crollati con iscrizioni in cufico non più tarde dell'inizio dell'XI secolo. Un sondaggio a sud della moschea, profondo 14 m, ha rivelato reperti di epoca medievale.
Dal 1981 gli scavi di H. sono stati ripresi, insieme con interventi di restauro, sotto la direzione di N. Yardimci (1987-95; 1993) e hanno interessato un'ampia zona intorno alla cittadella e alla base della Porta di Aleppo; sono venuti alla luce alcuni edifici abitativi caratterizzati generalmente da cortile interno, attribuibili al XII-XIII secolo in base a monete ayyubidi e selgiuchidi.
K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, I, Oxford 1932, pp. 406-409; S. Lloyd - W. Brice, Harran, in AnatSt, 1 (1951), pp. 77-111; D.S. Rice, Medieval Ḥarrān. Studies on its Topoghraphy and Monuments, ibid., 2 (1952), pp. 36-84; Id., A Muslim Shrine at Ḥarrān, in BSOAS, 17, 3 (1955), pp. 436-48; Id., Harran - Tektek Area, in AnatSt, 7 (1957), p. 6; Id., Harran, ibid., 10 (1960), p. 8; G. Fehervari, s.v. Ḥarrān, in EIslam2, III, 1967, pp. 227-30; K. Prag, The 1959 Deep Sounding at Harran in Turkey, in Levant, 2 (1970), pp. 63-94; Th.A. Sinclair, Eastern Turkey: an Architectural and Archaeological Survey, IV, London 1987-90, pp. 33-36; N. Yardimci, [rapporti di scavo], in Kazi Sanuçları Toplantisı, Ankara, VIII (1987), I.273-74 - IX (1988), I.135-37 - X (1989), I.287-88 - XIII (1992), 427 - XV (1995), II.517 [in turco]; Id., Excavations, Surveys and Restoration Works at Harran, in M. Frangipane et al. (edd.), Between the Rivers and Over the Mountains: Archaeologica Anatolica et Mesopotamica Alba Palmieri Dedicata, Roma 1993, pp. 437-49; S. Heidemann, Die Fundmünzen von Ḥarrān und ihr Verhältnis zur lokalen Geschichte, in BSOAS, 65, 2 (2002), pp. 267-99.
di Thomas A. Sinclair
Città sulle rive del Tigri, a valle di Diyarbakır (Turchia), datata tra il XII e il XVIII secolo.
H. (ar. Ḥiṣn Kayfā) includeva una città alta fortificata sulla sommità di un'altura, comprendente un palazzo, aree residenziali e altre strutture; una città bassa, appena a sud della riva del fiume, su un terreno in lieve declivio, dove sembra abitasse gran parte della popolazione e dove è conservato il maggior numero di moschee medievali; infine un settore periferico sulla riva settentrionale, collegata alla meridionale tramite un ponte del XII secolo. La città ebbe fortuna come centro mercantile con gli Artuqidi (1102-1232); successivamente vi si insediò una dinastia curda, del ramo degli Ayyubidi. Sotto questa dinastia (metà XIII-XV sec.), la città perse la vitalità di un tempo, tuttavia è in questa fase che fu edificata la maggior parte delle mosche.
Gli scavi nella città bassa furono indotti dal progetto di costruzione della diga di Ilisu, all'imbocco della gola del Tigri, non lontano dal confine con la Siria e l'Iraq. Gli scavi diretti da M.O. Arık (Università di Ankara, 1986) hanno interessato l'area limitrofa a due moschee tardomedievali: Sultan Süleyman Camii, costruita nel 1356 ma ampliata dal figlio del suo fondatore, Sulayman; poco distante: Koç Camii, la cui decorazione suggerisce una datazione alla fine del XIV o agli inizi del XV secolo.
La prima moschea comprende un ḫānqā, od ospizio per dervisci, con mausolei, un vasto īwān e una piccola sala di preghiera a sud di un cortile. Vi erano altri ambienti cupolati presso l'ingresso a sud-ovest. Gli scavi nel cortile hanno rivelato una pavimentazione in blocchi di pietra regolari, una piscina e condotti per la sua alimentazione. A ovest del cortile alcuni ambienti potrebbero essere stati adibiti a celle per i dervisci. Nel settore occidentale del complesso un altro cortile era circondato da varie strutture, tra cui una piscina; sembra che esso comprendesse anche latrine e un īwān, a nord. Sono state identificate molte decorazioni scolpite. Nello spazio tra le due moschee gli scavi hanno portato alla luce un complesso di strade pavimentate con grandi lastre irregolari, una delle quali correva lungo il lato meridionale del Süleyman Camii. Non è stata chiarita la funzione delle piccole costruzioni su entrambi i lati delle strade, generalmente prive di accesso sulle strade stesse. Non sembra avessero carattere residenziale.
I soli settori superstiti del Koç Camii sono la copertura a cupola dinanzi al miḥrāb lungo la parete sud e l'īwān, immediatamente a nord. Dinanzi all'īwān sono visibili i resti del cortile e dei portici che lo circondavano. Lungo ogni lato dell'īwān si trovavano ambienti a cupola; del cortile è stato riportato alla luce il pavimento di lastre rettangolari. Il portico e il cortile erano stati ricostruiti o restaurati nel corso di almeno tre fasi. A est della moschea è stata scoperta una duplice costruzione di data incerta, ma sicuramente successiva al Koç Camii (probabilmente del XVI sec.); il complesso è costituito a sud da un caravanserraglio (corte quadrangolare con fila di ambienti sul lato meridionale) e a nord da un insieme di botteghe lungo una strada coperta (un çarşı ottomano); i due settori comunicavano tramite una porta monumentale. Ancora più a est furono portati alla luce un probabile ḫānqā (un portico a sette archi e un piccolo ambiente cupolato con miḥrāb di pietra scolpita) e a nord di questo una piccola moschea con porticato interno a sette archi.
A. Gabriel, Voyages archéologiques dans la Turquie orientale, I, Paris 1940, pp. 55-81; Th.A. Sinclair, Eastern Turkey: an Architectural and Archaeological Survey, London 1987-90, III, pp. 230-39; O. Arık - M. Ahunbay, 1990 Yılı Hasankeyf Kazı, Araştırma ve Onarım Çalışmaları [Scavi di Hasankeyf del 1990. Ricerche e lavori di restauro], in Kazı Sonuçları Toplantısı, 13, 2 (1992), pp. 403-12; M.O. Arık, Hasankeyf Excavations and Salvage Project, in N. Tuna et al. (edd.), Salvage Project of the Archaeological Heritage of the Ilisu and Carchemish Dam Reservoir. Activities in 1998, Ankara 1999, pp. 795-804; Id., 1998 Excavations at Hasankey, in N. Tuna - J. Öztürk (edd.), Salvage Project of the Archaeological Heritage of the Ilisu and Carchemish Dam Reservoir. Activities in 1999, Ankara 2001, pp. 362-67; Id., 2000 Excavations at Hasankeyf, in N. Tuna - J. Velibeyoglu (edd.), Salvage Project of the Archaeological Heritage of the Ilisu and Carchemish Dam Reservoir. Activities in 2000, Ankara 2002, pp. 779-82.
di Thomas A. Sinclair
Città della Turchia, 30 km a est del Mar di Marmara. La posizione geografica di İ. si è rivelata particolarmente favorevole, sia per la breve distanza che la separa da Istanbul, sia per la sua argilla fine e bianca.
Denominata Nicea in epoca bizantina e annessa molto presto dagli Ottomani (già nel 1331), İ. comprende molti edifici bizantini e ottomani, nonché una cinta muraria ancora relativamente ben conservata. La città è nota principalmente per la ceramica che vi veniva prodotta nei secoli XV-XVII: nel XVI secolo le sue fornaci rifornivano di vasellame la corte ottomana.
Della ceramica prodotta in loco il periodo maggiormente conosciuto (XV e XVI sec.) può essere suddiviso in più fasi, note grazie ai molti esemplari completi conservatisi altrove, ma che trovano pieno riscontro negli scarti di produzione (in alcuni casi oggetti quasi integri), rinvenuti durante gli scavi delle fornaci. I tipi ceramici principali sono i seguenti: 1) ceramica monocroma con ingobbio bianco su corpo ceramico rosso; prima della seconda cottura vi veniva applicata un'invetriatura monocroma. Si ritiene che questa ceramica fosse prodotta a İ. nella seconda metà del XIV secolo. 2) La cosiddetta "ceramica di Mileto", con corpo ceramico di argilla rossastra; sopra un ingobbio bianco erano dipinti ornati piuttosto pesanti, per lo più in blu cobalto scuro. Nel XV secolo, fino al 1480 circa, İ. era il centro principale, ma non l'unico, nella produzione di questa ceramica. 3) Ceramica di İ., riconoscibile per il corpo ceramico a base di quarzo che includeva argilla bianca e altri elementi, di colore bianco-grigio dopo la cottura. L'ingobbio, sempre di quarzo, ha una consistenza molto fine e liscia; l'invetriatura, brillante e trasparente, è del tipo piombifero-alcalino.
In una prima fase, fino alla fine del XV secolo circa, gli ornati in bianco e blu sono piuttosto pesanti e traggono origine da quelli dei piatti cinesi o delle coppe metalliche ottomane. Nel primo quarto del XVI secolo la decorazione di piatti, coppe e lampade diventa più luminosa e ariosa. In una terza fase, tra il 1525 e il 1560 circa, fiasche, boccali, piatti, eccetera sono decorati da sottili anelli concentrici o da linee spiraliformi con ornati di piccole dimensioni; i colori, che includono il verde, sono dipinti in parte in rilievo. La quarta fase, quella classica e meglio conosciuta della ceramica di İ. (dal 1560 fino al 1600 ca.), include ancora colori in rilievo, anche il rosso, oltre al verde e ai blu e turchese di base. Gli ornati includono tralci di fiori o grandi tulipani che ricoprono l'intera superficie.
I primi scavi di fornaci a İ. risalgono agli anni 1963-66, furono poi ripresi nel 1981. Direttore della missione è stato O. Aslanapa, recentemente coadiuvato da A. Altun (entrambi dell'Università di Istanbul). Il museo di İ. ha inoltre effettuato un breve scavo, in cui fornaci riportate fortuitamente alla luce durante lavori edili sono state ripulite e conservate. Tutti i sondaggi di scavo sono stati compiuti all'interno della città, nelle vicinanze del Ayasofya Camii (originariamente la chiesa di Santa Sofia). Le fornaci erano principalmente di un solo tipo, in cui più cavità si aprono su uno spazio centrale allungato; da un lato è la fornace vera e propria o ateşhane ("casa del fuoco"). All'interno e nei pressi delle fornaci sono stati rinvenuti molti utensili per la cottura, come i distanziatori per il vasellame. Sono venuti alla luce anche depositi di scarti ceramici. Altre fornaci sono state scoperte (1980-92) nell'area del teatro romano, rivelatosi completamente riempito da depositi occupazionali e scavato. Nell'area di una di esse è stata rinvenuta insieme ceramica tardobizantina e ottomana, il che sembra suggerire una continuità nell'uso delle fornaci. Una di esse era articolata in due camere sovrapposte.
Durante gli scavi delle aree delle fornaci sono stati individuati alcuni edifici. L'Orhan Imareti, all'esterno delle mura, è stato scavato nel 1963 e nuovamente nel 1986: nelle immediate vicinanze sono state rinvenute in superficie tracce di una fornace. Tra gli altri edifici anche la şeyh Kutbeddin Külliyesi, una fontana (çeşme) e, intorno alle fornaci, le canalette di conduzione per l'ipocausto di un ḥammām.
J.H. Mordtmann - [G. Fehérvári], s.v. Iznīk, in EIslam2, IV, 1978, pp. 304-305.
Sulla ceramica:
N. Atasoy - J. Raby, İznik: the Pottery of Ottoman Turkey, London 1989 (con bibl. prec.); J. Carswell, İznik Pottery, London 1998.
Sugli scavi dal 1981 in poi:
O. Aslanapa, in Kazı Sonuçları Toplantısı, 4 (1982), pp. 419-22; 6 (1985), pp. 459-67; 7 (1986), pp. 637-50; 8, 2 (1987), pp. 315-34; 9 (1988), pp. 329-49; 10, 2 (1989), pp. 383-400; 11, 2 (1990), pp. 363-70; 13, 2 (1992), pp. 443-56; 15, 2 (1995), pp. 547-63; A. Altun - O. Aslanapa, ibid., 19, 2 (1998), pp. 625-37; 20, 2 (1999), pp. 539-55.
Scavi del Museo:
N. Ayas, İznik Çini Fırınlarını Kurtarma Kazısı, I [Gli scavi di preservazione dei forni delle ceramiche di İznik, I], in Anadolu, 20 (1984), pp. 161-232.
Scavi nel teatro:
B. Yalman, İznik tiyatro kazısında bulunan seramik fırınları [I forni ceramici che si trovano nello scavo del teatro di İznik], in Sanat Tarihi Yıllığı, 13 (1988), pp. 1953-997; Id., İznik Tiyatro Kazısı 1986 [Scavi nel teatro di İznik, 1986], in Kazı Sonuçları Toplantısı 9, 2 (1988), pp. 299-328; 10, 2 (1989), pp. 339-82; 11, 2 (1990), pp. 301-24; 13, 2 (1992), pp. 377-402; 15, 2 (1995), pp. 425-54.
di Thomas A. Sinclair
Con questo nome è indicato un complesso palaziale di piccoli padiglioni, o chioschi (köşk), circa 20 km a nord-ovest di Kayseri (Turchia), sulla riva di un lago artificiale poco profondo.
K. fu fondato dal sultano selgiuchide Alaeddin Keykubad I (1219-1237), probabilmente tra il 1224 e il 1226. Per un certo periodo il sultano vi risiedette e fu qui, secondo quanto riporta lo storico Ibn Bibi, che fu avvelenato e morì. Il sito fu scoperto da M. Zeki Oral, che disegnò le piante di alcune costruzioni ed effettuò limitati sondaggi. Scavi più estensivi vennero condotti nel 1964 da O. Aslanapa dell'Università di Istanbul; un'altra breve campagna di scavo ebbe luogo nel 1980.
Il köşk sulla riva del lago fu costruito su un piccolo promontorio; consta di tre strutture coperte da volta a botte, ognuna orientata in direzione est-ovest, e allineate da nord a sud. Ciascuna di esse era aperta alle due estremità (est e ovest); il peso della volta era sostenuto da archi poggianti su gruppi di pilastri. La struttura di minore ampiezza (larga poco più di 1 m), a destra del lago, era priva di sostegno ai due angoli settentrionali (in prossimità del lago): su questo lato la volta poggiava su un piccolo pilastro a circa 0,5 m dall'angolo nord-ovest e su un massiccio pilastro di circa 1 m dall'angolo nord-est, con una parte aggettante dello spessore di oltre 1,5 m. Lo scopo di questo ardito assetto era probabilmente quello di permettere la vista del lago, che altrimenti sarebbe stata impedita dall'arco. Gli autori degli scavi, tuttavia, ritengono che il pilastro più grande servisse per l'attracco di imbarcazioni. Il "piccolo köşk", circa 50 m più a sud, era in buone condizioni di conservazione e consisteva in una sola struttura coperta da una volta a crociera poggiante su quattro pilastri. Sul lato meridionale una scalinata dava accesso a una piattaforma superiore, sulla quale non sono state rinvenute strutture architettoniche.
Il "terzo köşk", il più grande, si trova 100 m più a sud. Prima degli scavi un solo ambiente era ancora in piedi: era originariamente quadrato, coperto da una volta a botte rinforzata da nervature su pilastri incassati nei muri; l'ingresso era sul lato sud-ovest. A nord-est di questo ambiente ve n'era un altro (6 × 10 m). A ovest, con l'angolo adiacente a quello della camera a volta, era una struttura di dimensioni minori con muri sorprendentemente spessi; la presenza di un forno suggerisce che questo ambiente fosse adibito a cucina. Dinanzi all'ambiente a volta vennero riportate alla luce altre due strutture, le cui funzioni non sono state identificate. La sala più vasta potrebbe essere interpretata come una sala da pranzo o una sala delle udienze. A eccezione di quello dell'ambiente con volta, la pianta non reca alcuna indicazione di ingressi e suggerisce invece la presenza di stretti passaggi tra le costruzioni, dell'ampiezza di solo 1 m. Nel corso degli scavi del piccolo köşk e soprattutto in quelli del terzo vennero recuperati numerosi frammenti di mattonelle con decorazioni geometriche (ottagoni, linee ondulate che formano una serie di motivi quali stelle a molte punte, e altri).
I due köşk con il lato aperto (quello sulla riva del lago e il piccolo köşk), le ridotte dimensioni dell'altro köşk (che probabilmente non dovrebbe essere considerato tale) e l'assenza di altre strutture (almeno secondo quanto a tutt'oggi hanno riferito gli autori degli scavi) suggeriscono che K. sia stata un'installazione molto limitata, difficilmente identificabile come palazzo. Le tre costruzioni rappresentarono molto più verosimilmente le sontuose strutture di un accampamento reale, stagionale o permanente.
Bibliografia
M. Zeki Oral, Kayseri'de Kubadiye Saraylari [I palazzi di Kubadiye presso Kayseri], in Belleten, 18 (1953), pp. 501-17; O. Aslanapa, Kayseride Keykubadiye köşkleri kazısı (1964) [Scavi dei köşk di Keykubadiye presso Kayseri (1964)], in Türk Arkeoloji Dergisi, 13, 1 (1964), pp. 19-22; H. Alkim, Explorations and Excavations in Turkey, in Anatolica, 1 (1967), pp. 41-42.
di Thomas A. Sinclair
K. fu la capitale dei Selgiuchidi di Rum. Le rovine della cittadella sono state riportate alla luce nel tepe piatto in superficie nel settore centrale della città.
Prima degli scavi eseguiti nel 1941 dalla Türk Tarih Kurumu (Fondazione Storica Turca) sotto la direzione di R. Arık erano visibili in superficie, a nord, una torre della cinta muraria che delimitava il bordo del tepe, pochi settori delle mura stesse e un edificio basso ma esteso, Alaeddin Camii, moschea ultimata nel 1220. La torre, denominata Alaeddin Köskü ("Padiglione di Alaeddin" o Ala al-Din Kayqubad I, il più celebre tra i sovrani selgiuchidi, 1219-1237), era stata trasformata in un padiglione da Kılıç Arslan II (1156-93) che l'aveva decorata con mattonelle minā'ī, pitture, leoni in marmo; Alaeddin la restaurò con pitture, mattonelle e decorazioni in stucco.
Gli archeologi scavarono intorno a tutti i lati della torre/köşk, constatando che si ergeva su un cumulo di colonne di marmo di reimpiego, sistemate alla base della fondazione. Originariamente la torre possedeva un'entrata sul retro, fiancheggiata da piccoli ambienti; per la conversione della struttura in padiglione sul livello superiore sia gli ambienti suddetti sia tutto l'interno della torre furono colmati di mattoni crudi. Furono recuperate numerose mattonelle invetriate con decorazione geometrica e in base alla loro quantità è stato ipotizzato che le tre facciate esterne della torre (nord, est e ovest) ne fossero rivestite. Altre mattonelle minā'ī, precedentemente prelevate dal köşk o dall'area a esso circostante, sono attualmente conservate presso il Museum für Islamische Kunst di Berlino e il Museo d'Arte Turca e Islamica di Istanbul. Sono di forma stellare, generalmente a sei punte, con soggetti antropomorfi (ad es., un suonatore di liuto); altri esemplari di forma quadrata facevano parte del rivestimento delle mura. Secondo l'opinione di Th.A. Sinclair tali mattonelle potrebbero provenire dall'interno del köşk. A Istanbul sono conservati anche alcuni frammenti di diversi fregi di stucco.
Dietro la torre, a sud, i ricercatori individuarono spesse fondazioni, rinforzate da due file di robusti pali di legno infissi nel suolo, ritenute quelle del palazzo del sultano; vennero individuati altri muri di fondazione, ma l'estensione dei sondaggi, piuttosto limitata, non consente di verificare quest'ipotesi. Inoltre gli autori degli scavi ritenevano, pur senza elementi probanti, che in epoca ottomana il palazzo fosse stato soggetto ad ampliamenti. A est del köşk vennero identificate strutture architettoniche di epoca più recente, costituite da abitazioni disposte intorno a piccoli cortili. Nel 1965 e nel 1966 la missione che stava effettuando scavi nelle fornaci di Iznik riportò alla luce una madrasa nel mausoleo di Tac-ül-Vezir.
Bibliografia
H. Alkım, Explorations and Excavations in Turkey, 1965 and 1966, in Anatolica, 2 (1968), p. 73; M. Akok, Konya'da Alâüddin Köşkü Selçuklu Saray ve Köskleri [Un palazzo selgiuchide e padiglioni. Il köşk di Alaeddin a Konya], in Türk Etnografya Dergisi, 11 (1969), pp. 47-73; R. Arık, Kubad Abad. Selçuklu Saray ve Çinileri [Kubadabad. Il palazzo e le ceramiche selgiuchidi], Istanbul 2000, pp. 23-41.
di Thomas A. Sinclair
Complesso palaziale selgiuchide situato su una bassa altura in una pianura alluvionale sulla riva sud-occidentale del Lago Beyşehir, circa 100 km a sud della capitale selgiuchide di Konya (Turchia). Il nome (dal persiano Qubādābād, "residenza di Qubad") fa riferimento al sultano Keykubad (ar. Ala al-Din Kayqubad, 1219-1237) dei Selgiuchidi di Rum, che lo fece edificare fra il terzo e il quarto decennio del XIII secolo.
Circondato da un apparato murario difensivo, il complesso comprende circa 20 costruzioni, tra le quali quelle di maggiore interesse ‒ e comunque le sole a essere state scavate ‒ sono il Büyük Saray ("Grande Palazzo") e il Küçük Saray ("Piccolo Palazzo"). Il primo si trovava all'estremità settentrionale e più alta del sito, il secondo su un promontorio del lato orientale, che formava una lieve sporgenza in quello che all'epoca era un lago e attualmente è la pianura. Tra le altre strutture vi erano un porto sotto il Büyük Saray e un cantiere navale coperto, sottostante il Küçük Saray. Il sito fu scelto da Keykubad nel 1227 circa e la costruzione del complesso dovette aver inizio poco dopo. Sembra che dapprima fu edificato il Küçük Saray, due o tre anni dopo fu la volta del Büyük Saray. Le mura interne delle due costruzioni furono rivestite (nel Küçük Saray forse solo in un secondo momento) di mattonelle con decorazione dipinta. Il Küçük Saray, all'estremità meridionale, la struttura più vicina al posto di guardia dell'intero complesso, potrebbe essere stata una sala delle udienze per scopi ufficiali e forse un ufficio regionale. Sebbene comprendesse una sala delle udienze, il Büyük Saray, sul lato opposto del complesso rispetto al posto di guardia, includeva anche un appartamento residenziale. Una sorgente nei pressi del Büyük Saray alimentava le complesse infrastrutture di approvvigionamento idrico del Küçük Saray.
Dopo i primi interventi, tra cui la costruzione dei due palazzi, l'attività edilizia proseguì fino al 633 a.E. / 1236 d.C., come attesta un'iscrizione nella moschea commissionata da un ufficiale di corte. Il palazzo venne utilizzato dai sultani selgiuchidi fino a Izz al-Din Kay Kaus II (1248-1257). Il rinvenimento di céladon cinesi (fine XIII - inizi XIV sec.) potrebbe attestare un utilizzo del complesso almeno fino a quel periodo (probabilmente, nel periodo terminale, non da parte della corte selgiuchide). La possibilità che intorno a questa data sia stato abbandonato è rafforzata dal rinvenimento, nel Küçük Saray, di una moneta (714 a.E. / 1314 d.C.) del sovrano ilkhanide Ülgiaytü. A giudicare dalla scarsità di oggetti d'uso domestico rinvenuti, l'abbandono definitivo sembra essere stato pianificato; non mancano tuttavia, nel Büyük Saray, chiare evidenze di una funzione residenziale del complesso anche dopo l'allontanamento della corte selgiuchide. Il sito fu identificato nel 1949 dall'allora direttore del Museo di Konya, M. Zeki Oral. Le prime indagini archeologiche furono condotte a Kız Kalesi, un isolotto roccioso del lago in cui sorgeva un'altra struttura residenziale del sultano. Il Küçük e il Büyük Saray furono oggetto di scavi poco accurati (1950-53); ne vennero redatte le piante e furono pubblicati alcuni reperti (mattonelle). Scavi più sistematici furono realizzati da K. Otto-Dorn e M. Önder (1965-66); quest'ultimo proseguì le indagini nel 1967. Nuove ricerche sono state intraprese da R. Arık (ora all'Università di Ankara) nel 1980.
Il Büyük Saray, di pianta rettangolare (50 × 35 m), era composto da due settori principali: il complesso residenziale a nord, con la sala delle udienze al centro e il cortile a sud. A quest'ultimo si aveva accesso tramite un portale di pietra e uno stretto corridoio. Sul lato sud del cortile era una serie di piccoli ambienti, probabilmente stanze per gli ospiti; nelle loro adiacenze una grande panca di pietra era utilizzata per montare a cavallo. Dal lato sud del cortile si accedeva al complesso residenziale tramite un portale e un vestibolo comunicante con la sala delle udienze, lunga circa 12 m e pavimentata con lastre di pietra. Ancora più a nord si trovava un īwān, leggermente rialzato rispetto al livello del pavimento della sala delle udienze, pavimentato con mattonelle. Sui lati est e ovest della sala erano due stanze destinate alla servitù. Nell'angolo sud-orientale della sala venne individuato un dotto che si alzava verticalmente dal pavimento e che forse alimentava una fontana. Nell'angolo nord-ovest del complesso, adiacente all'īwān ma accessibile dalla sala delle udienze, un ambiente ‒ probabilmente una sala da pranzo o un dīwān ‒ conservava ancora il suo rivestimento parietale e pavimentale in mattonelle. Sono stati recuperati molti frammenti di vetro e stucco, forse appartenenti a un lucernario montato su una intelaiatura di stucco. Il pavimento era leggermente rialzato, tranne contro i muri sud e ovest lungo i quali si creava una sorta di "corridoio" largo circa 1,3 m che proseguiva fino a un'apertura la quale dava accesso a una terrazza sul lato nord della costruzione.
A est dell'īwān e della sala delle udienze era l'ala privata del palazzo il cui fulcro era costituito da una sala (che si sviluppava da est a ovest) cui si aveva accesso dalla sala delle udienze, all'angolo nord-est dall'īwān, lungo un corridoio curvo. Ambienti si aprivano su questa sala a nord e a sud, mentre un'altra sala era raggiungibile dall'ambiente meridionale. L'elemento di maggior spicco del palazzo erano le mattonelle dipinte sotto invetriatura che originariamente rivestivano le pareti fino a un'altezza di 1,75 m. Lo schema decorativo era costituito da file alternate di elementi stellari a otto punte e cruciformi; le estremità di questi ultimi erano smussate per consentire l'incastro con le punte delle stelle. I soggetti delle mattonelle in forma di stella erano vari: aquile bicipiti o altri rapaci, cani, cavalli, sfingi, ecc.; personaggi maschili seduti a gambe incrociate e personaggi femminili. I colori dominanti sono turchese, cobalto e viola. Tra i rinvenimenti, un piatto in ceramica invetriata reca il nome del selgiuchide Kay-Khusraw II (1237-1246). Sulla piattaforma all'esterno del muro nord del palazzo sono stati trovati i resti di una torre la cui funzione era probabilmente quella di distribuire l'acqua convogliata dalle vicine montagne in alcuni settori del complesso. In un ambiente a ovest della sala delle udienze, in una panca di pietra, era collocata la canna fumaria di una stufa. Nel pietrisco utilizzato per la costruzione della panca sono stati individuati frammenti di mattonelle, indizio di una occupazione successiva all'abbandono della corte selgiuchide, ma di difficile datazione.
Il Küçük Saray sorge su un promontorio, preceduto a sud da una corte di forma irregolare con ingresso al palazzo nell'angolo sud-ovest. Una linea di fortificazione correva a sud-est. I muri del palazzo erano ancora in piedi, alcuni all'altezza originaria, sebbene i paramenti in ašlar delle facciate fossero stati depredati. Al centro del palazzo era una sala con volta a botte con orientamento nord-est/sud-ovest. All'estremità nord-est, come nel Büyük Saray, la struttura era integrata da un īwān. Su entrambi i lati si aprivano piccoli ambienti. La sala era preceduta da un'anticamera a sud-ovest, alla quale dava accesso un portale nell'angolo sud della costruzione; nello spessore del muro era ricavata una scalinata che lascia ipotizzare un piano superiore, forse solo una terrazza con parapetto. Le pareti erano rivestite di mattonelle, che nell'ornato presentano alcune differenze rispetto a quelle del Büyük Saray. Al posto dell'aquila compaiono iscrizioni come al-sulṭān ("il sultano") o al-mu'azzam ("il magnifico"), suggerendo che il Küçük Saray fosse destinato esclusivamente a funzioni pubbliche e non alla vita privata del sultano, di cui l'aquila era simbolo.
Il Kız Kalesi ("Castello della Vergine") è su un isolotto roccioso del lago, a circa 3,5 km dal complesso palaziale (lungh. 70 m lungo un asse est-nord-est/ovest-sud-ovest); il nucleo residenziale è paragonabile, nei suoi elementi costitutivi, a quello dei due palazzi della terraferma. Lungo la sponda un muro aveva funzione, almeno parzialmente, difensiva; dietro di esso, a sud, è un allineamento di ambienti, forse magazzini. Su una sporgenza della sponda meridionale dell'isolotto, addossato al muro difensivo, un piccolo ḥammām era utilizzato forse dal sultano e dalla sua famiglia: comprendeva un calidarium, un frigidarium, l'ipocausto e lo spogliatoio. Alcune mattonelle simili a quelle del Büyük Saray si conservavano ancora sulle pareti del frigidarium. Tutti i pavimenti sembra fossero di pietre tagliate; le facciate dei muri avevano paramenti in ašlar.
Il Malanda Köşkü, padiglione di caccia o struttura a uso del sultano o di altri dignitari, è situato sui monti a 6 km da K. Gli scavi hanno consentito di rilevare che il nucleo era costituito da una sala centrale comunicante con diversi ambienti secondari (tra cui una latrina). Anche questa costruzione era decorata da mattonelle simili a quelle del Büyük Saray.
Bibliografia
K. Otto-Dorn - M. Önder, Kubad Abad Kazıları 1965 yılı Ön Raporu [Rapporto degli scavi del 1965 a Kubad Abad], in Türk Arkeoloji Derğisi, 14, 1-2 (1967), pp. 237-43; K. Otto-Dorn, Bericht über die Grabung in Kobadabad 1966, in AA, 84, 4 (1969), pp. 438-506.
Sugli scavi recenti, si veda R. Arık, in Kazı Sonuçları Toplantısı, 5 (1984), pp. 301-5, 549-51; 7 (1986), pp. 651-56; 8 (1987), pp. 303-14; 9 (1988), pp. 351-64; 11 (1990), pp. 371-82; 13 (1992), pp. 457-71; 15 (1995), 533-46; 17 (1996), 393-408; 19 (1998), pp. 641-49; 20 (1999), pp. 559-63.
Si vedano inoltre:
M. Meinecke, s.v. Ḳubādābād, in EIslam2, V, 1986, pp. 285-86; R. Arık, Kubad Abad. Selçuklu Saray ve Çinileri [Kubad Abad. Il palazzo e le ceramiche selgiuchidi], Istanbul 2000.
di Thomas A. Sinclair
Vasto sito urbano (gr. Samosata; ar. Sumaysāṭ) sull'Eufrate, a valle del Tauro, in un importante tratto del fiume lungo il percorso tra le antiche Edessa e Melitene (odierne Urfa e Malatya).
Il tepe su cui fu costruita la cittadella ha una lunga storia di occupazione. La cinta muraria che delimitava il sito, almeno prima che fosse sommerso dalla diga Atatürk, è attribuibile ai Romani. Th. Goell, autrice degli scavi del santuario tardoellenistico di Nemrud Dağ, eseguì uno scavo parziale del tepe nel 1967. Nel corso degli scavi di emergenza (1978-87) nei siti della diga Atatürk gli archeologi turchi indagarono principalmente il tepe e la cinta muraria urbana. La città si trova su una terrazza alluvionale a ovest di un'ansa del fiume. Presentava una forma ad arco: a est il lato rettilineo della cinta muraria, lungo oltre 2 km, corre lungo l'orlo della terrazza. Il vasto tepe (lungh. totale 400 m) si trova nel settore mediano di questo lato, interrompendo la cinta muraria. La città si estendeva verso ovest fino a una distanza massima di oltre 1200 m. Tra la metà del X e la metà del XII secolo l'area occupata si ridusse e in alcuni tratti la cinta muraria fu ricostruita con un tracciato più breve. Nel 1150, dopo la caduta della contea crociata di Edessa, della quale S. aveva fatto parte, la città e il suo distretto vennero acquisiti dalla dinastia artuqide di Mardin. Successivamente, con tutta probabilità nel 1166, la città fu governata da Qara Arslan, sovrano della dinastia artuqide di Hisn Kayfa (Hasankeyf, v.). In epoca artuqide l'insediamento fu nuovamente fortificato e all'interno delle mura fu edificato il palazzo. La fase urbana di S. ebbe termine nel decennio tra il 1260 e il 1270 quando, dopo che gli eserciti ilkhanidi ebbero conquistato la regione, essa divenne teatro dei conflitti tra Mamelucchi e Ilkhanidi. Il sito non fu abbandonato che alla fine del XIV secolo.
Gli scavi di Goell consistettero essenzialmente in una sezione che attraversava il tepe da est a ovest nel punto più elevato. Il periodo islamico si sarebbe articolato in due fase principali, nei secoli IX-X e XII-XIV; sia prima sia nell'intervallo tra queste due fasi vi fu comunque un'occupazione, sebbene meno intensa. La struttura architettonica individuata nel lato orientale è stata interpretata come un palazzo del XII-XIII secolo (livello I), al di sotto del quale è stato riconosciuto il primo livello islamico (VII-X sec., livello II). Il palazzo, abbandonato alla metà del XIII secolo, era costituito da una corte circondata (tranne che sul lato ovest) da una serie di ambienti destinati principalmente ad attività produttive e a stoccaggio. I settori residenziali erano localizzati altrove; uno di essi era probabilmente il gruppo di ambienti nei pressi dell'estremità orientale della sezione scavata. Gli scavi degli archeologi turchi interessarono i lati nord e nord-ovest delle mura del XII secolo, poggianti sulla cinta d'epoca romana. In una delle torri della fortificazione è stato rinvenuto il frammento di un'iscrizione a nome dell'artuqide Qara Arslan (1144-1167). L'ipotesi più plausibile è che la costruzione del complesso abbia avuto inizio prima dell'ascesa al potere di questo sovrano (quindi sotto gli Artuqidi di Mardin) e che sia stata completata dai suoi successori.
Nella parte sud-orientale del sito sono state indagate strutture residenziali pertinenti ai livelli I e II, datati rispettivamente al XII-XIV secolo e al periodo protoislamico. Dal livello I proviene un deposito di 12.000 punte di freccia, alcune coppe di vetro, pani di vetro ‒ che consentono di ipotizzare l'esistenza di una officina vetraria nella città ‒, monete artuqidi, ayyubidi e dei Selgiuchidi di Rum, e un tesoretto di monete risalenti ai periodi precedenti, soprattutto abbasidi (un certo numero di monete proveniva dalla zecca di Baghdad, una era stata coniata a Samarcanda), ma anche omayyadi, hamdanidi e buyidi. La ceramica proveniente dal livello I comprende invetriata dipinta a lustro metallico, graffita e di importazione, soprattutto "ceramica di Raqqa" di varie tipologie e minā'ī. L'alta percentuale di lustri metallici, la varietà degli ornati e altri elementi sembrano convalidare l'ipotesi che almeno alcuni manufatti siano stati prodotti in loco, probabilmente a S. La ceramica del livello II (VII-X sec.) include invetraiata "a macchie" del tipo samarreno. Nella zona nord del sito gli archeologi turchi hanno indagato un posto di guardia nella cinta muraria medievale, in corrispondenza del quale la strada passava attraverso due torri. Un'altra torre rettangolare è stata identificata a ovest del posto di guardia.
N. Özgüç, Sümeysat Definesi [Il tesoro di Sümeysat], in Belleten, 49 (1985), pp. 291-94; Th.A. Sinclair, Eastern Turkey: an Architectural and Archaeological Survey, London 1987-90, IV, pp. 144-48 (con bibl.); T. Saatçi, Sümeysat Definesi Sikkeleri [Le monete del tesoro di Samsat], ibid., 451-65; G. Öney, Pottery from the Samsat Excavations, 1978-81, in R. Hillenbrand (ed.), The Art of the Saljuqs in Iran and Anatolia. Proceedings of a Symposium Held in Edinburgh in 1982, Costa Mesa 1994, pp. 286-94; S. Redford, Medieval Ceramics from Samsat, Turkey, in AIslam, 5 (1995), pp. 55-80.
di Thomas A. Sinclair
Città della Turchia orientale, sulla sponda sud-orientale del lago omonimo.
La cittadella si estende per 1 km, da est a ovest, sulla sommità di una ripida altura. La cinta muraria esterna, che seguiva il crinale settentrionale, racchiudeva una cittadella nella parte più elevata della collina. Sul lato orientale le mura proseguono dalla cittadella fino all'estremità orientale dell'altura. Dalle due estremità della cittadella si diparte la cinta muraria odierna che delimita un'area approssimativamente circolare (ca. 1 km da est a ovest e 600 m da nord a sud). A partire almeno dal 1300 la città fu sotto il controllo degli Ilkhanidi e successivamente fu retta da varie dinastie musulmane. La definitiva conquista ottomana ebbe luogo nel 1548. La città fu abbandonata nel corso della prima guerra mondiale e l'area fortificata è attualmente uno spazio aperto che ospita le rovine di abitazioni di mattoni, metà delle quali è crollata a causa dell'innalzamento del livello lacustre, oltre a poche moschee ‒ quelle ottomane sono state sottoposte a restauro ‒ e chiese. Nel 1938-39 gli archeologi statunitensi K. e S. Lake scavarono una trincea nella parte orientale dell'area cinta dalle mura, con l'intento di indagare i resti urartiani (IX-VI sec. a.C.) della cittadella. Immediatamente al di sopra del livello dell'età del Ferro fu identificato un deposito probabilmente pertinente all'epoca ilkhanide. La città vecchia e la cittadella sono ora un sito archeologico sottoposto a tutela; ciò facilita interventi di scavo e restauro. Dal 1983 lo scavo, il recupero e la conservazione del sito avvengono a cura di una missione archeologica dell'Università di Istanbul.
La piccola moschea Süleyman Han Camii, utilizzata dalle truppe della cittadella, fu fatta costruire dal sultano ottomano Süleyman il Magnifico (1520-1566) a ovest della piccola cittadella interna. Prima dello scavo (1987-88) erano visibili i muri della sala di preghiera, di pianta quadrata, e il minareto, sul lato orientale. Inizialmente la sala di preghiera aveva un pavimento di mattonelle esagonali, obliterato da una seconda pavimentazione in battuto d'argilla, forse dopo il terremoto del 1646. Il tetto poggiava su quattro pilastri, dei quali sono state individuate le basi, forse pertinenti alla ricostruzione piuttosto che all'impianto originario. Nella moschea sono stati recuperati alcuni documenti (fine XVIII - fine XIX / inizi XX sec.) all'interno di custodie di pelle: consistono in registri relativi ad acquisti di provviste, arruolamento di soldati e ricovero ospedaliero di personale dell'esercito. La Grande Moschea (Ulu Camii) si trova al centro dell'area fortificata. Poco prima della prima guerra mondiale W. Bachmann ne curò la documentazione grafica e fotografica. Era approssimativamente quadrangolare: il minareto di spessi mattoni circolari sorgeva dal muro meridionale e poggiava su un basamento quadrato; presso di esso si trovava il portale di accesso, all'estremità nord del muro occidentale. Dinanzi al miḥrāb, dalla ricca decorazione di stucco, era una campata definita da archi sostenuti da massicci pilastri di mattoni e coperta da una volta con muqarnas di mattoni; si era conservato l'angolo sud-orientale. Il resto della sala di preghiera era coperto da volte a crociera di mattoni poggianti su pilastri.
Gli scavi, condotti nel 1970-72 da O. Aslanapa, confermarono la pianta di Bachmann, tranne che in pochi dettagli. Fu osservato che i muri erano di pietra nella parte inferiore (da due e sette corsi) e di mattoni nella parte superiore. I pilastri erano di varie sezioni (quadrata, ottagonale, circolare) e di materiali diversi (soprattutto di muratura, ma in alcuni casi di pietrisco cementato). Il pavimento era in mattonelle esagonali. Oltre al miḥrāb, anche altre parti della moschea erano decorate da stucchi (motivi vegetali e iscrizioni). Gli autori degli scavi hanno attribuito la moschea a Qara Yusuf, della dinastia dei Qara Qoyunlu (fine XIV sec.); sembra tuttavia preferibile, sulla base di evidenti affinità con monumenti ilkhanidi dell'Iran, una datazione agli inizi del XIV secolo. La città di Gevaş (ar. Wustān, armeno Vostan), sul Lago Van circa 20 km più a ovest, intrattenne in epoca tardomedievale stretti legami con V.; ma durante la prima occupazione ottomana (XVI sec.) era solo un piccolo insediamento; la necropoli medievale è nei pressi della riva, a ovest dell'imboccatura della valle. Nel 1989 vi sono state individuate diverse pietre tombali, una delle quali recava una data corrispondente al 1300.
Th.A. Sinclair, Eastern Turkey: an Architectural and Archaeological Survey, London 1987-90, I, pp. 179-88 (con bibl.).
Per gli scavi nella città vecchia:
M. Korfmann, Die Ausgrabungen von Kirsopp und Silva Lake in den Jahren 1938 und 1939 am Burgfelsen von Van (Tušpa) und in Kalecik, in Berytus, 25 (1977), pp. 173-200.
Sul Süleyman Han Camii:
M.T. Tarhan, Van Kalesi ve Eski Van Sehri Kazıları - 1987 [Scavi nella cittadella e nella città vecchia di Van - 1987], in Kazı Sonuçları Toplantısı, 10, 1 (1989), pp. 369-428, in part. pp. 380-82; M.T. Tarhan - V. Sevin, ibid., 11, 1 (1992), pp. 355-75, in part. pp. 358-61.
Sulla Grande Moschea:
O. Aslanapa, 1970 Temmuz Van Ulu Camii Kazısı [Scavi del luglio 1970 nella Grande Moschea di Van], in Sanat Tarihi Yıllıgı, 4 (1970-71), pp. 1-15; Id., Kazısı Tamamlandıktan Sonra Van Ulu Camii [La Grande Moschea di Van dopo gli scavi], ibid., 5 (1972-73), pp. 1-25.
Su Gevaş:
Th.A. Sinclair, Eastern Turkey: an Architectural and Archaeological Survey, London 1987-90, I, pp. 222-23 (con bibl.); M.T. Tarhan et al., Van-Gevaş Tarihi Türk Mezarliği Kurtarma Kazısı Onarim ve Çevre Düzeni Çalışmaları - 1987 [Gli scavi conservativi del cimitero storico turco di Van-Gevaş, i restauri e i lavori di riordino del contesto - 1987], in Kazı Sonuçları Toplantısı, 12, 2 (1991), pp. 405-27.