L'Asia islamica. Iraq
di Simona Artusi
In età protoislamica il nome Iraq (di origine mediopersiana) si riferiva solo alla regione posta fra i due fiumi Tigri ed Eufrate (fra l'area di Baghdad e il Golfo Persico), mentre il territorio a nord era chiamato al-Ǧazīra (lett. "isola"). Quando, a partire dal X secolo, le dinastie "iraniche" ampliarono il loro dominio fra Mesopotamia e Persia, il nome Iraq fu esteso anche alla Media (da cui la distinzione tra al-῾Irāq al-῾arabī, Iraq arabo, e al-῾Irāq al-῾aǧamī, Iraq persiano).
Durante gli anni del califfato di Umar (634-644) la presa dell'antica capitale dei Lakhmidi, al-Hira (633), e le vittorie conseguite dall'esercito musulmano contro la Persia (Qadisiyya: 636, Seleucia-Ctesifonte: 636, Gialula: 637, Nihawand: 642) aprirono la strada alla conquista definitiva dell'Iraq. I primi due accampamenti militari islamici (amṣār) in Iraq ‒ destinati a diventare subito dopo i due centri più importanti della regione ‒ furono stabiliti a Basra, sullo Shatt al-Arab (638), e a Kufa, sulla riva destra dell'Eufrate (639), città che Ali, l'ultimo dei califfi ortodossi, preferì a Medina come sede di residenza. La salita al potere della dinastia omayyade (661) conferì alla Siria una preminenza sull'Iraq. Negli anni del califfato di Muawiya (661-680) l'intera regione fu retta tra il 670 e il 673 da un unico governatore (wālī), Ziyad b. Abihi, che estese i propri poteri anche sull'Arabia e sulle regioni orientali; gli successe il figlio Ubayd Allah, uno dei responsabili della morte di Husayn, figlio di Ali, avvenuta a Karbala (680), all'epoca del califfo omayyade Yazid. Negli anni della rivolta dell'anti-califfo Abd Allah b. al-Zubayr, Musab b. al-Zubayr fu nominato wālī di Basra e fu costretto a sedare la rivolta di al-Mukhtar (685-87) che, con l'appoggio delle masse popolari, si era impadronito di Kufa. La restaurazione del potere omayyade avvenne grazie all'abilità politica di al-Haggiaǵ b. Yusuf che ricevette il governatorato di Kufa nel 694 e fondò nel 702 la città di Wasit, destinata a diventare in breve tempo il principale centro amministrativo, militare e commerciale della regione, nonché una delle principali zecche di epoca omayyade, poco dopo la riforma monetaria attuata dal califfo Abd al-Malik. Seguirono anni d'instabilità causata dall'abbandono delle terre da parte degli agricoltori, che si rifiutarono di continuare a pagare i medesimi tributi a cui erano soggetti prima della conversione. L'ordine fu ristabilito dal califfo Hisham (724-743) che si avvalse della valida collaborazione di Khalid b. Abd Allah al-Qasri e tentò di valorizzare le terre di proprietà governativa (ṣawāfī), attraverso il perfezionamento dei sistemi di canalizzazione.
La presa del potere da parte degli Abbasidi comportò lo spostamento della capitale da Damasco a Kufa, prima, e a Baghdad, poi. Sin dai primi anni gli Abbasidi affidarono la funzione coordinatrice e decisionale dell'esecutivo al "visir", una nuova figura destinata a divenire un vero e proprio "rappresentante" del califfo. Tra i principali visir del primo periodo abbaside, i Barmecidi, si distinse Khalid al-Barmaki, a lungo governatore del Tabaristan e di Mossul, a cui fu conferita una proprietà feudale a Suwayqa, nel quartiere al-Shamasiyya di Baghdad, dove fece costruire la propria residenza. In quegli anni l'Iraq conobbe uno sviluppo economico considerevole malgrado le numerose rivolte dovute a un'instabilità politica, religiosa e sociale. La salita al potere di Harun al-Rashid (786) e la caduta dei Barmecidi (808) diedero inizio al processo di disgregazione del califfato che portò alla nascita di numerose dinastie, le quali si resero più o meno indipendenti dal potere centrale. L'Iraq fu teatro dei conflitti tra i due figli di Harun al-Rashid, al-Amin e al-Mamun, e con la morte di quest'ultimo si concluse il periodo più brillante del califfato abbaside. Il successore al-Mutasim (833-842) decise di abbandonare la città di Baghdad nell'835 e trasferì la capitale a Samarra (che ricoprì tale ruolo fino all'872).
Una nuova era ebbe inizio nel 936 con la nomina di amīr al-umarā' ("comandante dei comandanti") conferita dal califfo al-Radi a Ibn Rayq che divenne la guida del governo, con competenze sia civili sia militari. Questo evento trasformò l'Iraq in una semplice regione all'interno della compagine politica degli sciiti Buyidi, che esercitarono un potere assoluto. Il buyide Adud al-Dawla (978-983) garantì un lungo periodo di stabilità politica: il commercio riprese vigore e Baghdad conobbe una rinascita urbanistica. Tuttavia, alla sua morte, nessuno dei suoi successori, continuamente in conflitto tra loro, fu in grado di garantire la solidità dell'esercito grazie alla quale i Buyidi erano riusciti a costruire la propria fortuna. L'Iraq cadde quasi interamente nelle mani dei nomadi Banu Uqayl e Baghdad fu vittima di bande di briganti e malfattori. La conquista selgiuchide del Khurasan mise fine nel 1062 all'emirato buyide di Shiraz e avviò il progressivo ripristino dell'ortodossia sunnita. Il ramo selgiuchide che risaliva a Mahmud b. Muhammad, nipote di Sangiar (1118-1157), stabilì un nuovo regime che durò fino all'arrivo delle orde mongole nel 1258, anno della caduta definitiva del califfato abbaside.
Il periodo compreso tra la conquista mongola e quella ottomana fu caratterizzato da un declino politico che durò fino a oltre il XVI secolo. Durante l'epoca ilkhanide (1256-1353) Baghdad, benché divenuta capitale provinciale, conservava ancora un certo fervore intellettuale e religioso ed esercitava il controllo sulle sole regioni della Bassa Mesopotamia, poiché l'Alta Mesopotamia dipendeva da Mossul. La divisione dell'Iraq in due distinte unità amministrative, spesso in conflitto, durò fino alla conquista ottomana. Agli Ilkhanidi succedettero i mongoli Gialayridi che esercitarono la propria autorità anche sull'Alta Mesopotamia e sull'Azerbaigian ed ebbero due capitali, una a Baghdad e una a Tabriz. A partire dal 1393 Tamerlano conquistò a più riprese i domini gialayridi ‒ senza tuttavia ottenere un potere stabile (1393-1394; 1401-1402; 1403-1405) ‒ e devastò Baghdad nel 1401. Furono le confederazioni turcomanne dei Qara Qoyunlu (1380-1468) e Aq Qoyunlu (1378-1508) a reggere successivamente il potere fino all'avvento dei Safavidi, la cui dominazione in Iraq (1508-1534) fu caratterizzata da una pesante crisi economica e dall'indebolimento del governo centrale. Dall'inizio del XVI secolo i territori iracheni costituirono il centro della potenza ottomana contro i sovrani di Persia, i Curdi del Nord-Est e le tribù arabe dell'Ovest e del Sud-Ovest.
L'interesse archeologico per l'Iraq è nato, in un primo momento, da una volontà di ricerca e di verifica di tracce delle antiche civiltà, in particolare quelle menzionate nei passi biblici, attirando per molto tempo l'attenzione degli studiosi e mantenendo l'esclusiva sulle ricerche scientifiche. È solo agli inizi del Novecento che si fa risalire una maggiore sensibilità da parte degli studiosi nei confronti dell'archeologia islamica. Ufficialmente, nel 1884, una legge ottomana sulle antichità ha dato inizio al periodo degli scavi sistematici in Iraq e nel 1921 è stato istituito il Dipartimento delle Antichità. A seguito della formazione dello Stato iracheno (1931), al fine di evitare l'uscita indiscriminata di opere d'arte, nel 1934 le scoperte archeologiche sono state classificate come patrimonio dello Stato. Le prime ricerche sul campo sono avvenute sotto forma di sopralluoghi su ampia scala: l'opera più completa, compiuta nel 1907-1908 e ancor oggi considerata estremamente valida, è quella di E. Herzfeld e F. Sarre (1911-20). Ulteriori ricognizioni riguardanti l'intera area della Crescente Fertile sono state effettuate nel 1909 da G.L. Bell, la quale ha ripreso in parte il lavoro di Herzfeld e Sarre. Inoltre A. Musil, nella sua opera del 1926 sulla topografia storica del Medio Oriente, ha introdotto un nuovo sistema di investigazioni sistematiche sul campo.
Un'attenzione rilevante è stata data anche ai sopralluoghi mirati: M. von Oppenheim, in Von Mittelmeer zum Persischen Golf (Berlin 1900), ha descritto dettagliatamente le rovine di Samarra; G. Le Strange ha pubblicato The Lands of the Eastern Caliphate (London 1905) in cui le informazioni contenute nei testi dei geografi musulmani vengono applicate al contesto territoriale; nel 1907 viene affidata all'Institut Français d'Archéologie Orientale du Caire una missione di esplorazione guidata da L. Massignon il quale, l'anno seguente, si dedica alla prospezione della regione centrale dell'Iraq a ovest di Baghdad, rivolgendosi principalmente al sito di Ukhaidyr; le ricerche dell'American School of Oriental Research negli anni 1925-26, condotte nella parte meridionale della Babilonia, e gli studi di T. Jacobsen del 1953 nella regione dell'antica Accadia, sono stati ripresi e inseriti in un quadro più ampio da R. Mac Adams della University of Chicago; G. Reitlinger, dell'Università di Liverpool, si è occupato nel 1938 dei siti islamici nel distretto del Singiar; nel 1953 R.S. Solecki visitò i dintorni di Basra e iniziò lo scavo di al-Zubayr; M.G. Gibson ha lavorato nella regione di Kish (1966-67); P. Costa (Istituto Orientale di Napoli) si è concentrato sullo studio delle tombe della regione lungo il canale Shatt al-Nil; infine, nel 1973, B. Finster e J. Schmidt si sono proposti di identificare sul terreno gli insediamenti fortificati menzionati nelle fonti arabe.
Le spedizioni archeologiche intraprese in Iraq dalla comunità internazionale e dal D.G.A. (Directorate General of Archaeology) hanno riguardato prevalentemente le grandi città del periodo islamico delle origini come Kufa (v.), Basra (v.), Wasit (v.) e quelle di epoca abbaside quali Baghdad (v.), Samarra (v.) e Ukhaydir (v.). Purtroppo, in alcuni di questi casi sono state effettuate ricerche parziali mirate all'analisi di singoli edifici (dār al-imāra di Kufa, Grande Moschea di Wasit, palazzo di Ukhaydir) oppure, come nel caso di Baghdad, ci si è concentrati per lo più su studi urbanistici nonché sulla catalogazione di monumenti esistenti (missione italo-irachena del 1971) piuttosto che su scavi veri e propri. Il programma di ricerca di maggior spicco è risultato essere l'investigazione archeologica condotta a Samarra che ha comportato sondaggi, lavori di scavo, progetti di restauro, ricerche urbanistiche a fini archeologici e studi topografici.
Le istituzioni governative irachene si sono occupate dei siti islamici mediante sopralluoghi estensivi e indagini di superficie, i cui risultati sono confluiti nella redazione di una carta archeologica dell'Iraq (una prima edizione è del 1959). È con lo stanziamento, da parte dello Stato, di fondi per grandi progetti di costruzione e ripristino delle strutture idriche che, alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, una politica per la salvaguardia dei siti archeologici ha cominciato a delinearsi uniformemente su tutto il territorio: si segnalano i progetti nella piana di Shahrazur, nel bacino del Dukan (unica eccezione poiché effettuati da una missione americana), quello sui canali di epoca abbaside nella regione a est di Baghdad, del wādī Ṯarṯar, di al-Qaim sull'Eufrate e del Musayyab i quali misero in luce siti fino ad allora sconosciuti. La seconda serie di progetti, tra gli anni Settanta e Ottanta, per la realizzazione di grandi dighe (Hamrin, Qadisiyya e Iski Mawsil) ha portato a una nuova concezione del lavoro archeologico in Iraq: seguendo l'esempio dei paesi vicini (come l'Egitto per la diga di Assuan), la S.O.A.H. (State Organisation of Antiquities and Heritage), le Università di Mossul e di Baghdad hanno fatto appello per la prima volta alla cooperazione internazionale e si sono avvalsi dell'aiuto di archeologi stranieri. I risultati di questi progetti sono stati pubblicati nella rivista Iraq, nei numeri speciali del periodico Sumer (specialmente nella sezione di lingua araba) e nella rivista al-Āṯārī, realizzata per l'occasione.
La difficoltà di accesso alla documentazione (spesso non reperibile nel circuito europeo, ancora non pubblicata oppure pubblicata parzialmente nei rapporti preliminari) non ha facilitato le indagini. Oltre all'opera di Herzfeld e Sarre sono efficaci strumenti: K.A.C. Creswell (1932-40) e il catalogo di R. Ellis (1972; anche se, privo di indice, ne resta difficile l'utilizzo). Utile alla consultazione è l'Atlas of the Archaeological Sites in Iraq, riedito nel 1976, pubblicato dalla D.G.A.; in Atlas du monde arabo-islamique à l'époque classique IXe-Xe siècles (Leiden 1985) G. Cornu indica una divisione per province accompagnata da materiale cartografico. A eccezione di Samarra, Baghdad, Kufa e Wasit, le monografie sono praticamente inesistenti. Ai fini di una corretta interpretazione dell'archeologia islamica in Iraq è molto valida la lista, sotto forma di schede analitiche, dei siti investigati dal 1842 al 1971 fornita da A. al-Haik in Key Lists of Archaeological Excavations in Iraq (Miami 1968-71). Una delle opere più complete e di recente pubblicazione è quella di M.-O. Rousset, che convoglia il lavoro archeologico operato nei secoli precedenti in una sintesi accurata e attendibile.
La città di Mossul (ar. al-Mawṣil) fu conquistata nel 641 e si sviluppò sotto il califfo Marwan II (744-750); nel X secolo possedeva una cinta muraria semicircolare e la Moschea del Venerdì aveva già subito numerosi interventi di restauro. Sotto gli Zangidi, che nel 1127 ebbero la meglio sui Selgiuchidi (1077-1307) per il controllo della città, Mossul conobbe un periodo di prosperità.
Gli scavi, condotti dalla State Organisation of Antiquities and Heritage irachena e iniziati nel 1981, hanno interessato diverse aree della città, benché uno studio sistematico non sia mai stato effettuato. La maggior parte delle ricerche di scavo, topografiche e di restauro, sono state effettuate da S. al-Diwahgi (nella rivista Sumer, dal 1947 al 1964, in lingua araba), il quale si è occupato principalmente dell'analisi archeologica delle mura di cinta (XIII sec.), di specifici quartieri (bāb al-Sirr, bāb al-Ṭūb e bāb Ligiš, secondo Yaqut [XII-XIII sec.] in tufo e marmo con copertura a cupola), della cittadella (nell'articolo del 1954 al-Diwahgi analizza gli stadi di evoluzione della fortezza), di alcune moschee (la Ǧāmi῾ al-Kabīr di al-Nuri del 1170-1172, di tufo e pietra calcarea con parti in marmo, quelle di Shaykh Qadib e al-Mugiahidi) e madrasa (solitamente contigue a mausolei o moschee; per il periodo degli atābeg al-Diwahgi ne classifica 17). Le fonti arabe menzionano la cittadella in più di una occasione: al-Maqdisi (985) riferisce che il nome è al-Murabbaa (Rousset 1992, p. 43), mentre secondo Ibn Giubayr (m. 1184) la fortezza, sul luogo più alto della città, sarebbe denominata Bāš Ṭābiyya; Yaqut sostiene che la sua distruzione è avvenuta nel 904.
Il progetto della diga d'Iski Mawsil (a nord-est di Mossul lungo il Tigri) è stato iniziato nel 1981 e terminato nel 1985-86; al momento del riempimento del bacino, tale progetto ha generato il maggior numero di scavi relativi al periodo islamico, ben 35, alcuni di questi sono segnalati qui di seguito.
A Tell Baqaq (scavato dalla S.O.A.H.) è stata rilevata una struttura di mattoni crudi, verosimilmente un forte ottomano a pianta quadrata, con quattro torrioni circolari angolari e un ingresso fortificato in pietra. A est del sito sono stati rinvenuti i resti di un ḫān di pietra e malta, con entrata aggettante. Internamente su tre lati di una corte centrale si collocano degli īwān. Fra i reperti vi sono lampade in ceramica e frammenti di ceramica invetriata, incisa e graffita.
Nello strato superiore (età tardoislamica) di Tell Bir Hami sono stati individuati i resti di strade e sezioni abitative con sottili mura in pietra; un ambiente mostra i segni della presenza di una possibile copertura voltata. Anche a un livello inferiore (omayyade/protoabbaside) vi sono evidenze di abitati in pietra.
A Khirbat al-Bustan sono visibili tre livelli occupazionali (proto- e tardoabbaside, tardoislamico) con mura in crudo e un probabile palazzo in pietra.
A Kharabuk (sull'argine orientale del fiume Baqaq) l'unico edificio portato alla luce (di grandi dimensioni, 75 × 45 m) è di pietra, costituito da una corte centrale circondata da un corridoio aperto su diversi ambienti. La fase originaria apparterrebbe al periodo abbaside (come suggeriscono i reperti monetali); una seconda fase (con vasca al centro della corte e condutture in terracotta) sarebbe riconducibile all'epoca ilkhanide. Provengono dagli scavi ceramica invetriata, con ornati incisi o stampati, alla barbotina, lampade, stucchi, vetri.
La ricerca a Khirbat Mshrafa ha interessato il ḫān tardoabbaside utilizzato fino al periodo ilkhanide. La struttura fortificata, di pietra, è quadrata con ingresso nel lato sud e un cortile centrale, su tre lati del quale si affacciano degli ambienti. La zona est fu riutilizzata in epoca successiva come stalla. I reperti comprendono giare di ceramica invetriata, alcune con ornato a stampo, una lampada di metallo e monete ilkhanidi e ottomane.
Resti di insediamenti, comprendenti in alcuni casi aree di combustione, si riscontrano in numerosi siti della zona quali Aqar Babira (mura e pavimenti lastricati), Qasr al-Bint/Banat (edificio a pianta rettangolare di 72 × 8,5 m, con ambienti ai lati sud-est e nord-ovest), Tell Fisna, Giamrash, Khirbat al-Malali (ambienti intorno a una corte), Khirbat Salih, Shaykh Qubba (struttura amministrativa di epoca tardoislamica), Tell Silal (fortificazioni e torri), Tell Umran e Zahra Khatun.
Le indagini riguardanti strutture funerarie hanno interessato i siti di Khirbat Dayr Sittun, Tell Giqan, Tell Shabu e Khirbat Salih, Tell Siqbad.
Per quanto concerne lo studio della ceramica sono stati numerosi i siti oggetto di raccolte di superficie. Il sito di Shanidar (Kurdistan), nella omonima valle, è stato investigato da molteplici missioni: D.G.A. e americani nel 1953 e 1960. Interessanti i resti di ceramica cosiddetta Christian Ware, ceramica stampata, croci, reperti in vetro e metallo che indicherebbero una datazione protoislamica (omayyade/abbaside; Solecki 1958). Nella stessa valle, nel sito di Giundi Shkaft la missione dello Smithsonian Institute e della University of Columbia hanno rinvenuto (1951-57) reperti di ceramica, vetro, ferro e bronzo.
Il progetto britannico a Tell al-Hawa (nord della Giazira), supervisionato da T.J. Wilkinson, ha condotto al reperimento di officine ceramiche (con resti di invetriata monocroma turchese e verde con pasta marrone o rossa, ceramica grossolana, ceramica di pasta dura di colore verdastro e ceramica con decorazione intagliata) e di una struttura con mura di cinta che tracciano un perimetro rettangolare di età protoislamica (Ball - Tucker - Wilkinson 1989). A Tell Shamshara (sulle montagne curde, a nord-est della piana del Dukan) gli scavi danesi e iracheni hanno riportato alla luce strutture per l'approvvigionamento idrico di epoca mongola (una cisterna di mattoni cotti e 75 condutture in terracotta) e ceramiche cinesi importate d'epoca Ming.
A Tell Arbat (piana dello Shahrazur) gli archeologi iracheni hanno rilevato sette livelli islamici (XII-XIV sec.), in tre dei quali sono apparse recinzioni di pietra con torri semicircolari ed entrate nel lato sud. La maggior parte dei reperti ceramici sono del tipo Kurdish Ware, giare polite dipinte di rosso destinate a uso domestico (Salmān 1979). Yasin Tepe (1 km a nord del fiume Tangieru, inserito nel progetto di salvataggio della piana dello Shahrazur) appartiene probabilmente al periodo compreso tra l'XI e il XII secolo; sono visibili le rovine di una fortezza con mura di cinta, ambienti intorno a una corte centrale e i resti di un miḥrāb. Il ritrovamento di 65 dīnār (fatimidi e abbasidi) è stato particolarmente utile a una datazione del sito (Salmān 1979). A Tawuq (antica Daquq, a sud di Kirkuk), l'attenzione degli studiosi della D.A.G. è stata catalizzata dalla moschea ipostila con pianta ottagonale e minareto databile al periodo abbaside (1167-1238). I reperti sono costituiti soprattutto da ceramiche invetriate dipinte e stampate.
Il progetto della diga di Qadisiyya (1978-84; sino al 1983 noto come "Progetto del bacino di Haditha") si è proposto una serie di sopralluoghi lungo gli argini dell'Eufrate. Archeologi iracheni, tedeschi, francesi, britannici, canadesi, italiani e polacchi hanno indagato una dozzina di siti islamici di cui tre rispettivamente su tre isole. I siti di maggiore interesse sono Ana, al-Khaliliyya e Anba.
Ana (un'isola adiacente all'argine occidentale del fiume) è il centro principale della regione; ha rivelato evidenze di una moschea e annessi di epoca abbaside (IX sec.; Le Strange 1905; Sarre - Herzfeld 1911-20; Musil 1927). La struttura, di pietra e mattoni cotti, mostra segni di alterazioni e ricostruzioni successive, forse dovute a un riutilizzo in epoca ottomana. La moschea, sotto la quale sono stati individuati muri di epoca precedente, è costituita da un unico ambiente con miḥrāb semicircolare e una fila di colonne; nella fase successiva, datata al XII secolo, si constata un ingrandimento e cambiamento nella pianta, con una sala ipostila (tre file parallele al muro qiblī) che si apre su un lato della corte centrale, con riwāq sugli altri lati. L'ingresso principale è a est, così come il minareto, nell'angolo nord-orientale, caratterizzato da gradini lastricati. Nella corte, un pozzo è chiuso all'imboccatura da una lastra di pietra reimpiegata che reca un'iscrizione cuneiforme. La S.O.A.H. si è occupata dello spostamento del minareto (13 km a sud della città) al fine di proteggerlo dalle inondazioni stagionali. Nella zona settentrionale dell'isola gli archeologi hanno rinvenuto le tracce di un edificio, presumibilmente la residenza di un alto dignitario. La missione britannica (1981-82), guidata da A. Northedge e M.D. Roaf, ha classificato un gruppo di ceramiche databili dall'epoca sasanide a quella tardoislamica (Northedge - Bamber - Roaf 1988, con bibl. prec.). Uno sviluppo cronologico molto simile è stato identificato nel sito di al-Khaliliyya, dove sono stati indagati i resti di due moschee (una di piccole dimensioni, l'altra più grande con minareto ottagonale di epoca ottomana) con corte centrale e sala di preghiera rettangolare. Ad Anba gli scavi hanno portato alla luce i resti di un palazzo lungo più di 60 m, articolato in tre corti su cui si affacciano file di stanze con colonne in stucco addossate alle pareti, disposte a forma di L. Una moschea palatina, individuata all'interno, è formata da un unico ambiente con miḥrāb sormontato da una cupola. Lungo il lato sud del cortile orientale vi sono evidenze di nicchie (largh. 2,5 m, alt. 2 m) con arcate. La ceramica suggerisce una datazione omayyade.
Rinvenimenti significativi si segnalano nei siti di Tell al-Zawiya (un edificio rettangolare di 50 × 20 m, ceramica invetriata e non, alla barbotina, giare; periodi omayyade, abbaside e ottomano), Fuhaymi (abitazioni con ambienti distribuiti su due lati della corte e installazioni idrauliche in due livelli occupazionali, abbaside e ilkhanide) e Baygian (antica Haditha; il quartiere abitativo di epoca abbaside scavato da M. Gawlikowski ha rivelato un'area commerciale). Ceramica islamica è stata rinvenuta presso Tell Abu Tor (dove è stata trovata anche una noria) e nell'isola di Talbis (tre livelli: proto- e tardoabbaside, ilkhanide). Aree cimiteriali sono venute alla luce a Kifrin (Wartke 1983) e Sahliyya (ibid.).
Nell'ambito del progetto della diga di Hamrin (lungo il fiume Diyala), i lavori per il recupero della omonima piana (1977-82) hanno coinvolto squadre internazionali: austriaci, belgi, americani, francesi, britannici, italiani e giapponesi. Grazie alla sua posizione geografica l'area è risultata di grande interesse insediativo: la quantità dei corsi d'acqua l'ha infatti resa una regione fertile all'interno di un contesto per lo più desertico o montagnoso, con i monti Zagros a est. Tale posizione strategica ha facilitato, in epoca islamica, il passaggio della via carovaniera che raggiungeva la provincia iranica del Khurasan.
Sono stati riscontrati più di una ventina di siti di occupazione islamica, di cui più della metà caratterizzati dalla presenza in superficie di tombe: Tell al-Ababra, Abqa (età tardoislamica), Tell Abu Husayni (Invernizzi 1980; Tusa 1984), Tell Qubba (rinvenute 500 tombe; presenza anche di ceramica), Tell Razzuq, Tell Sabra (Gasche 1979), Tell al-Sadiyya (periodo protoislamico; Kozlowski - Bielinski 1984). I sondaggi stratigrafici effettuati hanno rivelato tracce insediamentali nei siti di Tell al-Sarah (epoca protoislamica con resti di mura, zone di combustione, ceramica con invetriatura monocroma blu; Invernizzi 1980; Valtz 1984), Tell Shaykh Giasim (ceramica protoislamica), Tulul Graysh (strutture abitative ilkhanidi), Mehin Tawa (opere idrauliche: canalizzazioni e una diga) e Tell Abu Khazaf (rovine di edifici, lampade, frammenti di vetro, ceramica invetriata monocroma blu e giare con corpo conico; v. ῾Abbūd 1984). Tell Abu Ghab si estende su un tell ovale (200 × 275 m) e presenta resti di un edificio (30 × 19,5 m) con corte centrale su cui si affacciano undici ambienti. La struttura è di mattoni crudi (32 × 32 × 8 cm e 37 × 37 × 8 cm). I reperti ceramici e numismatici hanno contribuito all'attribuzione islamica del sito. Gli scavi della missione italiana degli anni 1979-80 a Tell Mahmud hanno riportato alla luce una cinta muraria rettangolare di pisé (40 × 40 m) che racchiude una serie di ambienti lungo la parete nord-orientale, tre dei quali con forni. La ceramica comprende giare mono- o biansate, esemplari incisi e alla barbotina e data il sito al periodo protoislamico.
Le indagini archeologiche nel sito di Abu Gir (regione di Kish) hanno interessato un edificio fortificato tardoabbaside/postilkhanide di pietra, quadrato (42 × 42 m) con torri angolari e una serie di ambienti che si affacciano sulla corte centrale. A ovest della struttura vi sono resti non della città come ha ipotizzato G.L. Bell (1911, pp. 124-27), bensì di altre due residenze (Finster - Schmidt 1975, p. 84). La ceramica comprende anche esemplari del medesimo tipo di quelli rinvenuti a Samarra.
La costruzione della centrale elettrica di al-Dura è stata l'occasione per dare inizio agli scavi (iracheni, 1976-77) a Tell Abu Sukhayr (antica Dayr al-Aqul, 3,5 km a sud di Baghdad sulla riva ovest del Tigri). Un'area di 40 × 40 m aperta sulla sommità del tell ha rivelato un insediamento abitativo (con strade, strutture di mattoni cotti e un bagno nel settore nord-est), tombe e reperti di età abbaside-ilkhanide (Adams 1965). La ceramica rinvenuta è sia non invetriata sia invetriata, con decorazione a stampo; di particolare interesse è stato il ritrovamento di 75 dīnār e 630 dirham ilkhanidi (XIV sec.), da confrontare con i 227 dirham coevi rinvenuti presso Aqar Quf (a ovest di Baghdad).
Nei dieci anni (1977-87) di attività di scavo della Délégation Archéologique Française a Harba (30 km a sud di Samarra), sotto la direzione di A. Rougelle, sono state individuate le vestigia di una città che attestano tre fasi di occupazione, fra il XIII e il XIV secolo. La costruzione di maggior interesse è una moschea (45 × 56 m) di tauf (argilla fluviale), rinvenuta nel settore nord; la sala di preghiera ipostila, caratterizzata da un miḥrāb con iscrizione coranica e tracce del minbar, occupa un lato della corte centrale (26,5 × 32,5 m, pavimentata con mattoni cotti), mentre lungo gli altri lati corrono dei riwāq. Si segnalano i resti di un ponte che reca l'anno di edificazione (1232), di una birka (cisterna/piscina) e di abitazioni di terra cruda (Rougelle 1987).
I ritrovamenti sui tell 3 e 4 di Tulul al-Habibiyya (a est di Baghdad; S.O.A.H. 1978-81) hanno rilevato una moschea privata, strade, sezioni abitative (con corte centrale e ambienti ai lati forniti di pozzi, bagni, canalizzazioni, pareti intonacate e stucchi) e ceramica abbaside.
Si segnalano resti di insediamenti abitativi presso i siti di Giurat Hamid (4 km da Ishan Darwish; resti di strutture in mattoni cotti e crudi, ceramiche alla barbotina); Tell Yasub al-Din (Babil, 6 km da Hilla; un ambiente di 78 × 85 m con torri angolari, mura in crudo e cotto e installazioni idrauliche: quattro livelli abbasidi; ceramica graffita e incisa); Tell Umm Arayf (nei pressi di al-Hira); infine Ayn Shayi (12 km a nord-ovest di Nagiaf; ambienti abitativi, cisterne, un edificio religioso risalenti al VII-IX sec. [Fuji 1987-88] e ceramica incisa) e, nelle vicinanze, il tell Abu Skhayr che ha rivelato aree cimiteriali.
Nella zona di Ctesifonte gli insediamenti riportati alla luce coprono un arco cronologico compreso fra l'epoca abbaside e quella ilkhanide; si segnalano i siti di Ali al-Hiti al-Kabir (S.O.A.H. 1981), Tulul al-Sudayra (dove scavi iracheni degli anni 1982-83 hanno trovato ambienti con tracce di pitture murali in giallo e blu, pavimenti e canalizzazioni, ceramica incisa e alla barbotina) e Tell Baruda (antica Coce), in cui nel 1928-29 O. Reuther, della missione tedesca, ha rilevato la presenza di livelli di epoca islamica: zone di combustione, muri, pozzi e ambienti aperti su una corte centrale.
Per quanto riguarda la ceramica, presso Ishan Darwish (35 km a ovest di Baghdad) e Tell Chawkhah è la Fritware a essere stata reperita in maggior quantità; ad Abu Sudayra, nella regione di Kish, è attestata la ceramica del tipo "Samarra" (tardoabbaside/ilkhanide); presso Tell al-Maarid (area di Ctesifonte) è stata rinvenuta ceramica color crema dipinta in blu e ceramica graffita del XIII secolo. La presenza di ceramica protoislamica ad al-Madain/Tell Umar (antica Seleucia), a sud-est di Baghdad, testimonia un'occupazione islamica su livelli tardosasanidi (Finster 1976); infine, a Tell Abu Sarifa (17 km a nord-est di Nippur) sono stati riconosciuti, grazie agli studi di R. Adams sulla ceramica (non invetriata, con invetriatura monocroma blu/verde o bianco/blu, verde scuro, violetto e turchese, a macchie, a lustro e graffita), quattro livelli occupazionali di epoca islamica: omayyade/protoabbaside (650-800), protoabbaside (800-950), buyide (950-1100) e selgiuchide (1100-1150; Adams 1970).
I sondaggi diretti da R. Ghirshman e H. de Genouillac della missione franco-tedesca a Tallu (a est di Nasiriyya) negli anni Trenta del Novecento hanno riportato alla luce ceramica protoislamica (Genouillac 1934-36). Il sito di al-Hiba (a sud di Tallu; un'antica città di epoca sumera e babilonese, conosciuta con il nome di Lagash), che è stato investigato dal Metropolitan Museum of Art di New York e dalla University of California a partire dal 1984, si sviluppa su una vasta area di circa 3,6 × 1,9 km; nel settore orientale del tell sono state rinvenute rovine di strutture residenziali e ceramica di epoca islamica.
Storia:
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Iraq settentrionale
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Iraq occidentale:
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Iraq orientale:
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Iraq centrale:
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Iraq meridionale:
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di Barbara Finster
Città fondata nel 762/3 dal califfo abbaside al-Mansur (754-775) sulle rive del Tigri, nell'area nord-occidentale della città di Ctesifonte, residenza regale sasanide, in un luogo animato da mercati. Il fondatore la chiamò madīnat al-salām (la Città della pace), forse come allusione al Paradiso (Corano, sure VI.127; X.26) o riprendendo il nome del luogo.
La pianta urbana descriveva un cerchio circondato da due cinte murarie fortificate con torri e inframmezzate da un fossato. Un ulteriore fossato circondava il muro esterno. Quattro porte si aprivano in corrispondenza degli assi nord-est/sud-ovest e nord-ovest/sud-est, denominate Bab al-Shamasiyya, Bab Khurasan, Bab al-Kufa e Bab al-Basra. Dopo un ingresso assiale a gomito si apriva la grande porta della cinta muraria interna che immetteva in una rahba (piazza) dalla quale, tramite una terza porta e un corridoio assiale voltato, si accedeva all'interno. Dopo questa prima sezione, la cosiddetta ṭāqat (le "arcate"), si giungeva, attraversando un'altra piazza e una porta, a un breve corridoio, che costituiva l'accesso finale all'area centrale. All'incrocio dei due assi ortogonali, in un'ampia piazza circolare che forse ospitava altri due edifici, sorgeva il palazzo con la moschea. Nella prima zona di passaggio si trovavano in origine i mercati, più tardi trasferiti nei sobborghi. Lo spazio compreso tra le due cinte murarie era occupato da palazzi destinati alla famiglia regnante e da residenze per i maggiorenti vicini alla corte e il loro personale di servizio (non se ne conoscono né disposizione né pianta). Singoli tratti di vie o isolati potevano essere chiusi da una porta, ma non esisteva alcun collegamento con il palazzo posto al centro.
Gli edifici della città furono costruiti con mattoni crudi rinforzati, secondo la tecnica tradizionale, tramite stuoie e laterizi. Mansur portò via cinque porte dalla città-palazzo di Haggiaǵ ibn Yusuf, Wasit, e altre porte dalla Siria e da Kufa come segno della vittoria sugli Omayyadi. Per costruire B. Mansur chiamò artigiani e architetti da ogni regione e si fece anche inviare materiale edilizio. Il nome del capo architetto tramandato è Haggiaǵ ibn Artat; quattro ulteriori supervisori sorvegliavano la costruzione dei singoli quartieri. Secondo al-Giahiz (IX sec.), la pianificazione urbanistica era perfetta "come creata di getto". Il perimetro della cinta muraria raggiungeva 16.000 cubiti (ca. 8000 m), le mura si alzavano a 35 cubiti (ca. 17,5 m) con uno spessore di 20 cubiti (10 m). Le torri e le porte superavano di 5 m le imponenti mura. Le porte della cinta vera e propria erano coronate da ambienti a cupola, sulla sommità delle quali sventolavano immagini talismaniche. Condotti coperti a volta conducevano l'acqua all'interno della città. B. appartiene alla tipologia delle città-palazzo alle quali il popolo non aveva accesso, come ad esempio Wasit in epoca precedente; oltre alla residenza del califfo, era qui che si trovavano l'intera amministrazione e la zecca. Il modello della pianta circolare può essere ricercato in centri sasanidi quali, in particolare, Firuzabad o Darabgird, nella Perside. Una porta urbica assiale a gomito è attestata nella città partica di Hatra, ma non il duplice vallo difensivo con i fossati, per il quale il modello fu probabilmente fornito da Firuzabad. La cinta muraria di Raqqa, in Siria, messa in luce dagli scavi può fornire un'idea dell'impianto.
Il Qaṣr al-ḏahab (il "Palazzo d'oro") era quadrato (ca. 200 m di lato); con la sua ala di rappresentanza con īwān (15 × 10 m) e l'ambiente adiacente con copertura a cupola (10 × 10 m) rispecchia il modello dell'architettura palatina tradizionale, esemplificato dal dār al-imāra di Kufa. Sull'ambiente cupolato si elevava una seconda cupola, la famosa Qubbāt al-ḫaḍrā (Cupola verde), coronata da una figura di cavaliere probabilmente apotropaica. Nel complesso la cupola raggiungeva un'altezza di circa 40 m; crollò nel 941. Al palazzo era collegata la Moschea del Venerdì di mattoni crudi, a pianta quadrata (100 m di lato) con colonne lignee che formavano una maglia regolare di 16 pilastri disposti in cinque file. Due file di pilastri circondavano il cortile a ovest e a est, forse anche sul lato nord. È da ipotizzare un soffitto piatto, poggiante direttamente sui capitelli lignei intagliati. Il miḥrāb era probabilmente la bella nicchia di calcare del più tardo Ǧāmi῾ al-Ḫāṣṣakī (all'Iraq Museum di B.); le fonti nominano un minareto. Già Harun al-Rashid fece sostituire la moschea nell'807/8 con un più ampio e solido edificio di laterizi con pilastri e un soffitto di tek. Le dimensioni furono raddoppiate sotto il califfo al-Mutadid (892-902); in quell'occasione il muro qiblī tra il palazzo e la moschea fu abbattuto e una parte del palazzo inclusa nella moschea. Miḥrāb, minbar e maqṣūra furono trasferiti nel nuovo edificio. Quando la città-palazzo divenne troppo angusta, al-Mansur fece erigere un palazzo fuori le mura, a est, circondato da giardini e denominato "al-Khuld". Pochi anni dopo (768-773) fece costruire per suo figlio al-Mahdi un'altra città-palazzo cinta di mura sul lato orientale del Tigri, Rusafa.
La città di B. raggiunse l'apice della sua estensione, della fama e della prosperità fra il IX e gli inizi del X secolo; si calcola che si estendesse per 7,25 × 6,5 km. Famoso era il mercato di Karkh; particolarmente fiorente era l'artigianato di stoffe, tappeti, articoli di pelle e la produzione di carta. Nuovi significativi palazzi e quartieri, come quello dei Barmecidi alla Porta Shamasiyya, sorsero sulla riva orientale del Tigri, collegata alla riva opposta tramite un ponte. Nel 1094 il califfo al-Mustazhir fece erigere un muro a difesa della città orientale.
A differenza del padre Harun al-Rashid che si era trasferito a Raqqa, il califfo al-Amin (809-813) si insediò nel palazzo centrale della città circolare, vi aggiunse un'ala e fece realizzare un maydān (piazza) intorno al palazzo. B. risentì dei conflitti tra i due pretendenti al trono, al-Amin e al-Mamun, e solo con il secondo (813-833) ritrovò il proprio splendore. Al-Mamun si stabilì nel palazzo dei Barmecidi, nella zona orientale, facendovi aggiungere un ippodromo sul modello bizantino e uno zoo. Successivamente il palazzo fu donato al visir Hasan ibn Sahl, che a sua volta lo lasciò in eredità a sua figlia Buran, moglie di al-Mamun. Sotto quest'ultimo fu fondato il dār al-ḥikma, che come biblioteca e centro di traduzioni coltivò e trasmise le scienze e la filosofia greche. Il trasferimento della sede califfale a Samarra, con al-Mutasim (833-842), non pregiudicò l'importanza di B. come centro culturale e artistico. Quando nell'892 il califfo al-Mutamid tornò a B. pretese e ottenne il palazzo di Buran, che in seguito al-Mutadid ampliò, e cinse di un muro l'intero impianto. Con questi interventi fu definitivamente istituito il dār al-Ḫulāfa, il palazzo dei califfi: non era più, come prima, un corpo edilizio continuo, ma si componeva di diversi padiglioni. Particolare fama acquistarono il Palazzo Taǧ del califfo al-Muqtadir Billah (908-932), il Palazzo Thurayya, il Palazzo Firdus e il dār al-Šaǧǧara in cui un albero d'argento era popolato di uccelli artificiali cinguettanti. Tutti gli edifici erano circondati da giardini e separati dal mondo esterno con mura. Il Ǧāmi῾ al-Qaṣr, costruito dal califfo al-Muktafi nel 902, fu utilizzato da allora come moschea congregazionale all'interno dell'area palatina.
Quando la sede califfale si trasferì sulla sponda orientale del Tigri iniziò il declino della città rotonda, nella quale si insediò una popolazione più povera; solo la Moschea del Venerdì rimase in uso. Con il governo dei Buyidi sciiti, giunti dall'Iran nel X secolo, il califfo e la città di B. persero il loro significato politico. Solo il sultano Muizz al-Dawla (945-967) fece di B. il centro del suo potere in Iraq e vi fece costruire un palazzo con un maydān ed estesi giardini presso la Porta Shamasiyya. Adud al-Dawla (978-983) fece edificare, con grande dispendio economico, un dār al-imāra e curò il restauro della città, dei mercati, dei ponti e dei canali. La sua opera più importante fu il māristān (ospedale) Adudi, sulla riva occidentale del Tigri. Il primo sovrano selgiuchide, Tughril (1038-1063), fece ampliare il dār al-imāra e lo cinse di mura. Suo figlio Malikshah (1072-1092) aveva concepito per la città un piano di sviluppo architettonico ‒ con la costruzione ex novo di un intero quartiere ‒ che a causa della sua morte non andò a compimento; unica eccezione fu la moschea, Ǧāmi῾ al-Sulṭān (1092). Con la nuova madrasa shafiita Nizamiya, costruita nel 1065 dal visir Nizam al-Mulk sulla riva orientale del Tigri, B. tornò a essere un centro politico e religioso. Ulteriori donazioni, anche da parte di privati, arricchirono la città di moschee e ribāṭ (strutture per comunità religiose), oltre ai ḫānqāh per i ṣūfī. La città si concentrò intorno al palazzo del califfo, fatto costruire da al-Mustarshid nel 1123 sulla sponda orientale del Tigri, mentre la B. occidentale cadde in rovina. La conquista di B. da parte del mongolo Hülägü nel 1258 decretò la fine del califfato e della città. Gli abitanti furono uccisi, gli edifici distrutti.
Nel 1339 B. cadde in mano gialairide; sebbene fosse scelta da questa dinastia come residenza regale, non raggiunse più la prosperità di un tempo. Ulteriori devastazioni furono provocate dalle armate di Timur (Tamerlano) nel 1393 e nel 1401. Diverse dinastie (Qara Qoyunlu, Aq Qoyunlu e Safavidi) occuparono l'Iraq e B. fino a che, nel 1534, la città fu presa dal sultano ottomano Sulayman (Solimano il Magnifico). Nel XVIII secolo C. Niebuhr ebbe difficoltà a riconoscere la città rotonda di Mansur e a rintracciare i palazzi sulla riva orientale. Nelle vicinanze del palazzo di al-Mustarshid fu eretta la madrasa al-Munstasiriyya (1233).
Il cosiddetto Palazzo Abbaside è un complesso incompiuto sulla riva del Tigri, nell'area della cittadella turca: di recente invece ne è stata proposta l'identificazione con la madrasa al-Bishiriyya, verosimilmente costruita intorno al 1255, o con la madrasa di Sharaf al-Din Iqbal al-Sharabi del 1237. Della costruzione originale, a pianta rettangolare (40 × 50 m), si sono conservate solo le ali est e sud; le altre due, le cui vestigia sono state oggetto di scavo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, sono ricostruite. Nella planimetria sono evidenti le affinità con la madrasa al-Mustansiriyya. Sui lati nord e sud del cortile di forma pressoché quadrata è disposta la serie di celle tipica della madrasa, dinanzi alle quali corre un portico ad arcate. Quest'ultimo prosegue sul lato orientale, presentando un motivo a trifora in corrispondenza del grande īwān e dei due piccoli ambienti che lo affiancano. Di fronte all'īwān, sul lato occidentale, è un'ampia sala, anch'essa con un motivo a trifora. In essa va presumibilmente riconosciuta una moschea.
Fra i monumenti superstiti di B. si segnalano la tomba di Zubayda (o Zumurrud Khatun), un sepolcro ottagonale costruito, secondo E. Herzfeld, nel XIII secolo dal califfo al-Nasir nel sito ove era stata sepolta Zubayda (m. 831), moglie di Harun al-Rashid; il minareto nel sūq al-Ghazi (1279); la madrasa Mirgianiyya e il Khan Mirgian (anche Khan Ortma, o al-Urtuman), ultimati rispettivamente nel 1357 e nel 1359, in epoca gialairide.
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di Barbara Finster
Primo insediamento islamico in Iraq, sorto nel 635 come postazione militare con accampamenti e case di canne, sulle rovine di un sito sasanide (al-Khuraiba, "piccolo rudere", probabilmente in origine la città sasanide Vahištābāḏ Ardašīr), distante circa 15 km dal Tigri.
L'insediamento ricevette una forma precisa sotto il governatore Abu Musa al-Ashari nel 638/9. Punto finale della rotta transarabica e luogo adatto a controllare la via marittima, la città divenne un importante nodo commerciale già sotto il governatorato di Abd Allah ibn Amir (646-657; 661-664). Il dār al-imāra ("palazzo del governo") e la Grande Moschea di mattoni, costruiti da Ziyad ibn Abihi, governatore nel 665, le conferirono il prestigio di una città di rappresentanza. Le mura di cinta con fossato furono costruite nel 771/2, all'epoca del califfo abbaside al-Mansur. Durante il IX e agli inizi del X secolo B. era la città più vitale e ricca dell'Iraq e ne rappresentava il centro culturale e intellettuale. Con la fioritura di Kufa sotto Ziyad ibn Abihi (m. 675) e in seguito la fondazione di Baghdad nel 762/3, B. vide attenuarsi la propria indipendenza e importanza. A causa delle diverse sommosse, come quella dei Qarmati nel 923, B. perse la sua ricchezza e divenne un centro insignificante. Nell'XI secolo, tuttavia, vi fu costruita una madrasa, la Nizamiya (sul mirbad, distrutta nel XIV sec.); probabilmente sotto i Mazyadidi (X-XII sec.) la città raggiunse un nuovo benessere. Secondo Ibn Giubair, nel 1142 numerosi importanti edifici erano andati distrutti e all'epoca di Ibn Battuta (metà XIV sec.) la città era in rovina. All'inizio del XVIII secolo fu fondata la B. moderna nell'area dell'antica Ubulla. Secondo C. Niebuhr nel 1765 dell'antica B. erano visibili soltanto i resti di un muro di cinta.
Secondo Muqaddasi (X sec.) B. aveva la forma di un "panno rettangolare" (ṭailasān). Nel IX secolo misurava 2 × 1 farsaḫ (al-Yaqubi) o 2 × 2 farsaḫ (Ibn al-Faqih). Fulcro della città era una grande piazza aperta, al centro della quale si trovavano il dār al-imāra e la moschea congregazionale. I quartieri erano suddivisi in ḫums (quinti). L'anello interno che circondava la piazza era abitato dagli ahl al-῾āliya ("le famiglie più illustri", secondo D. Whitcomb); i quattro quartieri all'intorno erano abitati dalle quattro tribù Bakr ibn Wail, Tamim, Azd e Abd al-Qays. Ciascun quartiere era dotato di moschee, sūq, bagni e aveva il proprio cimitero. Il sūq originale, il cosiddetto mirbad, si trovava a ovest. Le acque di una sorgente (un farsaḫ più a sud) venivano convogliate tramite tubi di piombo in una piscina sulla piazza. Il cimitero al-Giabbana era situato a sud del mirbad. La cosiddetta sikkat al-mirbad, una strada molto larga (forse 20 m), presumibilmente assiale, conduceva dal centro della città al mirbad; lungo di essa sorsero diversi sūq e palazzi. A est vi era un porto, che poteva accogliere 2000 imbarcazioni. I canali Ubulla e Maqil, che vi portavano l'acqua, furono integrati da una serie di altri canali quali il Nahr Iggiana di Abu Musa, il canale Umm Abd Allah e il Nahr Bilala nel 729, utilizzato soprattutto come idrovia.
Oltre all'istituzione di una zecca (sikka), Ziyad ibn Abihi fece costruire il dār al-rizq (granaio), il proprio dār (dimora) e sette moschee, ognuna circondata da una piazza. Nei diversi quartieri i mercati erano numerosi e, sin dai primi tempi, specializzati ciascuno in un tipo di merce (seta, cotone, perle, gioielli, profumi, spezie, acqua di rose). Sorsero inoltre quartieri industriali per la lavorazione di vetri, stoffe (seta, cotone), tappeti e oggetti di legno. Il cristallo di rocca veniva importato dall'Oceano Indiano e lavorato artisticamente. Conformemente alla tradizione locale, le prime abitazioni erano di canne. Stando alle fonti, la prima moschea era delimitata solo da una recinzione di canne e anche il dār al-imāra, a nord-est, doveva essere di canne, presumibilmente simile a un maḍīf (locale per gli ospiti). Questi impianti, fatti erigere da Utba ibn Ghazwan (m. 638), furono sostituiti nell'anno 638/9 da costruzioni di crudo per merito di Abu Musa al-Ashari; inoltre, la moschea fu ingrandita e ‒ lo sappiamo con certezza ‒ ricevette una copertura di ramaglie e argilla. Assunta la carica di governatore di B., Ziyad ibn Abihi nel 665 ampliò ulteriormente la moschea con mattoni cotti e malta e/o pietra; nella stessa occasione fece spostare il dār al-imāra sul lato della qibla della moschea. La sala di preghiera presentava cinque file di colonne di pietra, molto alte e sottili, con copertura in legno di tek; è incerto se anche il cortile fosse porticato. Il pavimento era in acciottolato. Sul lato nord la facciata, irregolare per la presenza di una casa privata, fu rettificata sotto Ubaydallah ibn Ziyad (m. 683) e la moschea fu completata da un minareto di pietra. In seguito fu ulteriormente ingrandita dal califfo al-Mahdi (775-785), mentre Harun al-Rashid (786-809) la collegò con il dār al-imāra.
Non sono state tramandate né pianta né informazioni sull'aspetto del primo dār al-imāra, tuttavia è possibile che la sua architettura si ispirasse a quello di Kufa. La sua distruzione è da attribuire a Haggiaǵ ibn Yusuf (m. 714); solo all'epoca del califfo Sulayman ibn Abd al-Malik (715-717) venne ricostruito in mattoni sulle fondamenta dell'edificio precedente. Dopo aver fatto ampliare la moschea vicina al dār al-imāra, Harun al-Rashid fece costruire un dīwān (sala delle udienze) e una prigione, mentre il califfo al-Mansur (754-775) vi fece erigere il suo palazzo (qaṣr); Sulayman ibn Ali (m. 756) realizzò un bacino idrico per l'acqua potabile. Si sono conservati diversi "palazzi" (quṣūr), il più importante dei quali è quello di Hajjaj ibn Yusuf nel maḥall mirbad, edificio forse di epoca sasanide. Il più antico dei 14 bagni conosciuti è quello di Abd Allah ibn Uthman ibn al-Abi al-As (m. 686), nel giardino di Sufyan ibn Muawiya (governatore all'epoca del califfo al-Saffah, 750-754) a Khuraiba. Altri bagni erano il ḥammām al-fīl (il "bagno dell'elefante") di un mawlā (governatore) di Ziyad ibn Abihi, il ḥammām Mingiab ibn Rashid; il ḥammām al-imāra si trovava nei pressi del dār al-imāra.
Poiché il sūq al-mirbad, sorto spontaneamente nella parte occidentale della città, era troppo lontano, Abd Allah ibn Amir ne fece costruire uno sul canale Umm Abd Allah. Nel 729 il governatore Bilal trasferì questo sūq sul nuovo Nahr Bilal. Oltre al sūq al-mirbad, il più importante, vi erano mercati specializzati in merci quali prodotti farmaceutici, profumi, papiri, pigmenti, piume per scrivere, ecc. Il sūq al-kallā' si trovava presso il porto, nella zona orientale della città, assieme al dār al-rizq (o madīnat al-rizq), una costruzione chiusa e provvista di quattro porte. Nelle vicinanze erano situati anche il sūq al-ṭa῾ām (dei generi alimentari), il sūq degli animali e quello del foraggio. Nei pressi del porto venivano vendute anche le imbarcazioni. Il sūq bāb al-ǧāmi῾ era situato a nord-ovest della Grande Moschea, costruito da Uthman ibn al-As al-Thaqafi; più tardi fu acquistato e ricostruito da Ubaydallah ibn Ziyad. Da qui, lungo il sikkat al-mirbad, si snodavano file di botteghe (rivendite di vino, macellerie, cambiavalute ma anche librai, orafi e venditori di schiavi). Il sūq al-kabir (il mercato grande) era identico al sūq nahr Bilāl, che riuniva soffiatori di vetro e commercianti di perle, cristallo di rocca e pietre preziose, ramai, commercianti di ferro e falegnami. Vi erano poi il sūq per le stoffe (ḫazz e bazzāz), seta, cotone e materassi, e molti altri mercati minori con mercanzie diverse. Sotto Ziyad ibn Abihi i negozi furono provvisti di grate per conservare le merci negli scaffali di legno o mattoni crudi (si trattava dunque di vere strutture architettoniche). Erano disponibili anche ḫān, in cui si potevano conservare le merci come, ad esempio, il Khan al-Zubayr nel sūq al-kallā'. Nel X secolo, quando al-Muqaddasi visitò B., vi erano tre mercati: sūq bāb al- ǧāmi῾, sūq al-kallā' e sūq al-kabir. Anche Nasir-i Khusraw parla di tre mercati, che tuttavia indica con nomi diversi.
Bibliografia
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di Barbara Finster
Secondo insediamento musulmano in Iraq posto a ovest dell'Eufrate, circa 12 km a nord-est della città araba preislamica di al-Hira e 156 km a sud di Baghdad, sorto nel 638 o 639 per volere del califfo Umar. Il toponimo è di probabile derivazione persiana, ma secondo Yaqut il nome originario della città era Surastan.
Sad ibn Abi Waqqas (m. 671), il conquistatore della Mesopotamia, aveva effettuato una fondazione rituale: un arciere, da un'altura al centro della futura città, tirando con l'arco nella direzione dei quattro punti cardinali delineò l'area centrale dell'insediamento che doveva comprendere la Moschea del Venerdì e il dār al-imāra (palazzo del governo). Secondo un'altra tradizione il lancio delle frecce avrebbe stabilito soltanto i limiti della futura moschea. Cinque arterie larghe 40 cubiti (ca. 20 m) conducevano da nord verso la piazza della moschea e il dār al-imāra, intersecate da vie secondarie trasversali; altre quattro da sud e tre da est e da ovest portavano al centro della città. I quartieri destinati alle 11 tribù (con le relative sottotribù) costituivano ognuno unità distinte dotate di moschee, mercati (sūq), bagni (ḥammām) e cimiteri (ǧabbānāt). Nella prima metà dell'VIII secolo si contavano 53 moschee. Dai 20-30.000 abitanti del periodo iniziale (all'epoca del califfo Ali, 656-661) nel 670 la popolazione di K. era passata a 140.000 abitanti. Le costruzioni di maggiore rilievo erano il dār al-rizq (il deposito nei pressi dell'Eufrate), il ponte (qanṭara), la zecca (sikkat) e la Porta dell'Elefante (bāb al-fīl).
K. raggiunse l'apice dello sviluppo sotto i governatori omayyadi, nell'VIII secolo. Ziyad ibn Abihi (m. 675) fece realizzare numerosi canali, in particolare il Nahr al-Giam, e fece ricostruire un ponte d'epoca preislamica. Il governatore Khalid al-Qasri (723-737) fece riparare lo stesso ponte e costruire un nuovo sūq, bagni, una muṣallā (recinto per la preghiera) e una chiesa per la propria madre. Il governatore Yazid ibn Umar ibn Hubayra (VIII sec.) si fece costruire una madīna (città) nei pressi di K., che aveva dovuto abbandonare per ordine del califfo Marwan II (744-750); fece erigere il Qasr Ibn Hubayra presso il ponte Sura, nel quale si sarebbe in seguito stabilito il primo califfo abbaside al-Saffah (750-754), che ribattezzò la residenza al-Hasimiya. Dopo averla abbandonata, questi ne fece costruire una seconda di fronte alla prima, dandole lo stesso nome. Con la fondazione di Baghdad nel 762 K. perse d'importanza, pur rimanendo sede della guarnigione militare. Nel 772 il califfo abbaside al-Mansur (754-775) circondò la città interna con un muro e un canale, usato anche come via di trasporto. Nel X secolo i Buyidi (945-1055) assegnarono K. agli Uqaylidi (990-1169) come feudo (iqṭā῾). Con le irruzioni dei Qarmati (905, 924, 927) e di altre tribù la città fu devastata; Ibn Giubayr riferisce che nel 1184 la gran parte della città era in rovina. Nel 1360 del dār al-imāra si conservavano solo le fondamenta, tuttavia la città era dotata di mercati (Ibn Battuta). Sotto gli Ottomani, nel XVI secolo, K. è una nāḥiyya (distretto).
A K. esistevano cinque bagni rinomati: il ḥammām A῾yan costruito da Sad ibn Abi Waqqas, il ḥammām Umar da Umar ibn Abi Waqqas; gli altri erano donazioni di Khalid al-Qasri. Il sūq centrale, organizzato presumibilmente in base alle mercanzie, si trovava a est della moschea e sul suo lato nord, probabilmente lungo le vie principali. Quella che originariamente era la discarica (kunāsa) divenne mercato degli animali, ma anche punto d'incontro delle carovane. Khalid al-Qasri fece costruire un nuovo sūq di mattoni con copertura a volte. Vi erano inoltre altri sūq, frutto di donazioni, come quello di Asad al-Qasri o quello di Yusuf ibn Umar (737-743), governatore del califfo Hisham (724-743). Intorno al 718 il sūq di K. doveva estendersi fino ad al-Hira. Il čahār-sūq (incrocio cupolato di due sūq) denota l'influsso architettonico del bazar persiano.
La prima opera fatta realizzare da Sad ibn Abi Waqqas fu la moschea a nord del dār al-imāra, probabilmente quadrata: una sala per la preghiera (larga oltre 100 m) con corte antistante. Colonne di marmo reimpiegate da al-Hira formavano navate coperte da tetti a spioventi; diversi erano gli ingressi. Secondo alcuni autori Mughira ibn Shuba (661-670) ampliò la moschea nel 661, mentre Ziyad ibn Abihi (670-672) l'avrebbe ricostruita nel 670. La nuova moschea (affidata a un architetto che aveva lavorato per i Sasanidi) fu trasferita sul lato nord-occidentale del dār al-imāra: cinque file di colonne (alte oltre 15 m in pietra di Ahwaz, Iran) suddividevano la sala di preghiera e una duplice fila circondava la corte (Ibn Giubayr). Secondo un'altra testimonianza il trasferimento della moschea sarebbe stato ordinato già da Sad ibn Abi Waqqas e Ziyad ibn Abihi l'avrebbe solo rimaneggiata. Ziyad volle costruire una maqṣūra (recinto nella sala di preghiera riservato al capo della comunità) che fu rinnovata, insieme ad altri edifici, nel 732 da Khalid al-Qasri. Nel 694 Haggiaǵ ibn Yusuf fece restaurare diversi muri della moschea e ampliare l'edificio. La moschea odierna non corrisponde alla costruzione originaria i cui muri perimetrali, come risulta dalle indagini archeologiche, misuravano 110 (sud) × 109 (nord) × 116 m (est e ovest), conservati per un'altezza di 5,5 m. Ogni muro esterno era provvisto di quattro torri semicircolari (alte 20 m ca.) su zoccoli quadrati. Un capitello bizantino del VI secolo rinvenuto nelle abitazioni meridionali e una colonna in marmo risalgono alla prima o alla seconda fase della moschea, mentre due capitelli con foglie d'acanto sono da attribuire al periodo omayyade. Il piano di calpestio originario della moschea si conserva nel luogo di culto della cosiddetta safīna (arca di Noè).
Nel 638 Sad ibn Abi Waqqas fece costruire il dār al-imāra nel centro della città, a sud della moschea, separato da questa tramite una strada. Sad ibn Abi Waqqas avrebbe trasferito nella propria dimora, circondata da un recinto di canne, una porta da al-Madayn (metropoli sasanide a sud-est di Baghdad), fatta poi bruciare dal califfo Umar. Al-Balami racconta che Sad si sarebbe ispirato al celebre Palazzo Bianco di Ctesifonte, il cui portale avrebbe inserito nel proprio palazzo, suscitando la condanna del califfo. Sad abbandonò K., ma vi ritornò nel 644. Il dār al-imāra è stato portato alla luce dal Dipartimento delle Antichità iracheno nel corso di cinque campagne di scavo (1938-67). Il primo strato (fase I) ha restituito le fondazioni di un impianto quadrato (ca. 114 m di lato) di mattoni gialli (36 × 36 × 9 cm). Diversamente da quella interna, la facciata esterna è ben rifinita: le torri della fase II poggiano esattamente su quelle della fase I. L'aspetto delle facciate dunque, scandite da quattro torri, è quello originario; vi sono anche torri angolari. Sul lato nord sono state trovate le fondazioni di una porta leggermente decentrata verso est. Il pavimento è stato distrutto dalle fondazioni della fase II, tuttavia all'esterno delle mura di cinta è stato recuperato un pavimento originario di gesso e frammenti di mattoni.
L'architettura del secondo strato (fase II) è composta da un nucleo interno e da un muro circostante (168 × 170 m, spessore 4 m). Oltre a quelle angolari, sei torri scandiscono ogni facciata a eccezione di quella nord, dotata di sole due torri e priva della torre angolare occidentale; il muro nord-occidentale corrisponde alla parete qiblī della moschea. La costruzione interna rivela una pianta quadrata (110 m di lato); le fondazioni poggiano a una profondità di 50 cm. L'entrata era situata a nord, in posizione assiale, fiancheggiata da due bastioni in seguito sostituiti da torri con pianta a quarto di cerchio; l'entrata, la cui ampiezza fu ridotta a 3 m, era dotata di panche all'interno e all'esterno. Quattro torri semicircolari scandivano ogni lato della facciata e torri con pianta a tre quarti di cerchio rinforzavano gli angoli. L'interno della struttura è suddiviso in tre settori lungo l'asse nord-sud; quello centrale, di rappresentanza, è articolato su una corte quadrata (37 m di lato), con tre arcate su ciascun lato (con arco centrale più ampio) e false nicchie su tutta la lunghezza delle pareti. Sul lato nord è una sala d'ingresso attraversata in larghezza da un muro divisorio (86). L'ambiente centrale con portico era circondato da stretti vani. Sul lato est, alle spalle del portico, era un "bayt iracheno", con ambiente centrale suddiviso da una parete e affiancato da altri ambienti; ognuno di questi si apre su un cortile antistante (72). In modo analogo possono essere ricostruiti gli impianti a ovest, anche se rimaneggiamenti successivi causarono la soppressione degli ambienti.
Il settore sud, sull'asse principale del complesso, costituisce la zona di rappresentanza con sala a tre navate da sei colonne, originariamente unite da arcate che terminavano, sulla parete posteriore, con semicolonne. Alla navata centrale corrisponde in facciata un'ampia arcata centrale; le arcate laterali poggiano su semicolonne. Le dimensioni dell'arco centrale fanno ipotizzare un pištāq (ingresso monumentale) che enfatizzava l'importanza della sala, sui lati lunghi della quale tre porte conducevano agli ambienti annessi. Seguendo l'asse centrale si accedeva a una stanza quadrata cupolata (34). Più a sud la corte 6, fiancheggiata da camere, immetteva in altri cortili a ovest e a est; ancora più a sud erano gli ambienti fra le cinte murarie. Nell'angolo est del palazzo ha inizio la fila meridionale di ambienti annessi con tre costruzioni longitudinali, da interpretare come magazzini. Seguono camere e cortili rettangolari, accessibili da corridoi, distrutti probabilmente durante la fase III. Il cortile 102, fra l'entrata e le camere 73, 76 e 74, mostra quattro nicchie sulla facciata sud. Sul lato nord del cortile 10, negli ambienti 26 e 31, è stata rinvenuta abbondante ceramica, oltre a canali per le acque di scarico: probabilmente si trattava della cucina. Presso l'angolo nord-ovest un grande cortile presentava pareti suddivise da false nicchie. Le ricostruzioni successive modificarono radicalmente la zona adiacente a sud. È da segnalare un "bayt siriano", con sala centrale e quattro ambienti laterali, aperti su un cortile; il cortile adiacente nell'angolo sud-ovest è circondato da diverse stanze e comunica con i cortili a nord e a est.
Nella prima età abbaside l'impianto della fase II continuò a essere utilizzato, ma fu arricchito da nuove costruzioni assegnabili alla fase III.1. Le case fra le due mura di cinta furono restaurate e ripavimentate. Nell'angolo nord-ovest fu creato il grande cortile 100 con pareti scandite da false nicchie e delimitato a sud da una grande sala (55), coperta con volta a botte, e dagli ambienti attigui; la sala si apriva sul cortile con una triplice arcata e a sud conduceva al vecchio cortile 54. Contrariamente alla tecnica muraria utilizzata in precedenza, le strutture furono realizzate con mattoni disposti di taglio. Venne costruito un sirdāb (cisterna) e l'ambiente d'ingresso 99 fu convertito in bagno. Ora il dār al-imāra possedeva cinque uscite. Nella fase III.2 nel muro nord della cinta interna venne creata una nuova porta; l'intera entrata e la facciata ovest del cortile centrale 91 furono soppresse per dare spazio a un nuovo cortile a L pavimentato con mattoni cotti (22 × 22 × 4 cm), con bordura in mattoni. Nella fase IV il dār al-imāra venne utilizzato per altre funzioni; la sala ipostila fu trasformata in forno. Nella fase V il complesso testimonia di un nuovo insediamento, caratterizzato da un'architettura di mattoni e configurato come residenza riconducibile al tipo ḥīrī (cioè tipico della città di al-Hira). Le stanze sono raggruppate intorno a due cortili pavimentati con mattoni; un ambiente a nord comunica direttamente con la moschea. Diverse vasche di mattoni cotti rivestite di bitume, una piattaforma e il passaggio verso la moschea inducono a pensare che si tratti di un bagno imġaysil, utilizzato per le abluzioni dei defunti.
Negli ambienti 26 e 31 e a nord del cortile 10 sono state rinvenute grandi quantità di ceramica e vetro omayyadi e protoabbasidi, nonché ceramica di colore giallo chiaro, incisa e in parte decorata, con anse serpentiformi. Esemplari di ceramica ilkhanide testimoniano un insediamento più tardo. Decorazioni di stucco eseguite a stampo e intagliate, trovate nella sala di rappresentanza 83 e nel "bayt iracheno" 95-103, sono attribuite dagli archeologi a epoca abbaside; mancano però elementi probanti. Molti ornamenti vegetali e la finta arcata nel cortile 91 sono sicuramente preislamici o omayyadi. Non si può escludere che la decorazione figurata risalga al periodo omayyade. Nell'ambiente 8 dell'abitazione adiacente al cortile 10 sono stati rinvenuti resti di pitture murali: una maglia di losanghe che racchiudono rosette, fiori di loto, melagrane e uccelli. I confronti più pertinenti sono forniti dai tessuti e la datazione è da collocare nella fase più antica. Dai resti di intonaco si evince che tutte le pareti erano dipinte. Fra i reperti vi sono frammenti di marmo tagliati in forme precise, per rivestimenti in opus sectile.
Una moneta d'oro dell'imperatore bizantino Eraclio (610-641) fu trovata nei pressi della torre sud-occidentale, 45 cm sopra al livello delle fondamenta. Le monete di rame dei califfi al-Saffah del 136 a.E. / 753/4 d.C. (cortile 100) e al-Mahdi del 167 a.E. / 783/4 d.C. datano la fase finale del sito. Dal punto di vista cronologico, le strutture murarie della fase I sono da considerare preislamiche o, più verosimilmente, come fondazioni del dār al-imāra di Sad ibn Abi Waqqas. Nella fase II si distinguono due situazioni: la nuova costruzione del dār al-imāra da una parte e le modifiche successive (quali, ad es., l'aggiunta e la costruzione dell'ingresso) dall'altra. La prima è da attribuire a Ziyad ibn Abihi (670-672). L'archeologo A.M. Mustafa sostiene, tuttavia, che la fase II abbia inizio con Sad ibn Abi Waqqas (644/5): le trasformazioni sarebbero da attribuire all'occupazione omayyade. La fase III coincide con l'età protoabbaside. La fase IV corrisponde all'abbandono del dār al-imāra, probabilmente a seguito di un incendio, nel corso del califfato di al-Mahdi, come testimoniano le ultime monete del 783/4; da allora il complesso fu utilizzato con altre funzioni. Come attestano sia i reperti numismatici ‒ in particolare un conio di Arghun Khan emesso a Baghdad nel 684 a.E. / 1285 d.C. ‒ sia la ceramica, il bagno e la distruzione dell'insediamento risalgono a epoca ilkhanide. Al di sotto di questo orizzonte sono state ritrovate otto abitazioni che si ritiene datino al periodo selgiuchide.
Bibliografia
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di Francesca Leoni
Città sulla riva orientale del Tigri, a circa 125 km a nord di Baghdad. Il nome deriverebbe da un'abbreviazione nel linguaggio comune del nome ufficiale della città in età islamica, surra man ra'ā ("colui che la vede gioisce"; Yaqut, XII-XIII sec.). Interpretazioni recenti propendono per una arabizzazione di uno dei toponimi preislamici (ad es., il siriaco šūma῾rā).
S. è stata oggetto di numerose ricerche archeologiche nel corso dell'Ottocento (L. de Beylié, H. Viollet), ma furono F. Sarre ed E. Herzfeld a ricevere l'autorizzazione da Costantinopoli e dai Musei Imperiali di Berlino a intraprendere l'esplorazione della città. Il loro lavoro fu preceduto da un lungo viaggio di ricognizione tra il Tigri e l'Eufrate (1907-1908) che produsse, tra l'altro, una dettagliata mappa della zona per scopi archeologici. Lo scavo, in due stagioni tra gli inizi del 1911 e la metà del 1913, si concentrò principalmente sul dār al-ḫilāfa, sul Tell Aliq, sul Balkuwara, sulla Grande Moschea, sul Qasr Ashiq e un'area a ridosso della moderna S. dove furono esaminate una quindicina di case private. L'impresa fu titanica: solo nel dār al-ḫilāfa fu scavata una superficie di circa 11.000 m2 tra l'area del trono e il cosiddetto ḥarām, oltre ad altri 3000 m2 in altre zone. Herzfeld tornò ancora a S. nel 1923, ma solo per constatarne i danni bellici. Molto sopravvive grazie ai diari, gli appunti e i disegni che egli aveva messo insieme durante i mesi di scavo, oggi divisi tra vari musei, soprattutto la Freer Gallery di Washington (D.C.). Il successivo intervento nel sito (1936-39) è dovuto al Dipartimento delle Antichità iracheno; fu rilevante per la documentazione dell'area della "grande spianata" e per il rinvenimento di due nuovi palazzi nell'area di Huwaysilat. A partire dal 1940 iniziarono anche i lavori di ristrutturazione della moschea di Abu Dulaf seguiti, negli anni Sessanta, dagli interventi nella Grande Moschea di al-Mutawakkil, nel Qasr al-Ashiq e nella Qubbat al-Sulaybiyya. A partire dal 1981 il Dipartimento delle Antichità iracheno continuò il programma di restauro, interessando anche le zone del sirdāb, del bāb al-῾āmma e altre sezioni del dār al-ḫilāfa. Lo scavo ha investigato anche aree residenziali non lontane dalla Grande Moschea di al-Mutawakkil, rivelando soluzioni architettoniche (case con cortile centrale), costruttive e decorative di contesti privati e architettura domestica. Negli stessi anni anche A. Northedge, insieme alla British School of Archaeology in Iraq, ha iniziato la sua attività a S.: le sue indagini, dal 1989 in poi, hanno riguardato la zona meridionale, intorno al Husn al-Qadisiyya. Negli anni Novanta l'attività si è estesa anche ad altri settori più noti, dal dār al-ḫilāfa al palazzo al-Giafari, esplorando anche peculiarità come le piste associate a questi maggiori complessi.
La storia del sito precede la fondazione dell'836 di S. come capitale degli Abbasidi, condizione che mantenne fino all'892, raggiungendo un'estensione di circa 57 km2. Nell'area, occupata sin dall'era calcolitica (VI millennio a.C.), gli Abbasidi avevano già creato opere importanti: alla fine dell'VIII secolo il califfo Harun al-Rashid (786-809) costruì un canale, il qāṭūl abīl-ǧund (che si aggiunse a quello realizzato dal sasanide Khusraw Anushirwan, 531-578, il qāṭūl al Kisrawī). A Harun al-Rashid è attribuito anche il cosiddetto al-Mubārak (od. ḥuṣn al-Qādisiyya), un palazzo (o città) ottagonale abbandonato prima di essere ultimato nel 796. Il centro tuttavia non acquisì particolare rilevanza fino alla prima metà del IX secolo quando, a seguito dei contrasti tra la popolazione di Baghdad e la guardia califfale turca, al-Mutasim (833-842) decise di cercare una capitale alternativa. S. restò una città con forti implicazioni simboliche, i cui maggiori edifici furono strutturati seguendo rigide regole di cerimoniale. Essa consisteva di una sequenza di agglomerati concentrati in più punti su una stretta fascia di parecchi chilometri lungo entrambe le sponde del Tigri. Nonostante questa apparente frammentazione, la pianificazione seguì precisi criteri: il principale fu quello di separare la popolazione dai corpi militari per evitare quanto accaduto a Baghdad pochi anni prima. L'isolamento fu mantenuto anche tra i singoli gruppi militari e accentuato dalla creazione di strutture come moschee, bagni e mercati all'interno degli accampamenti in modo da renderli autonomi. Le conseguenze tuttavia furono gravi: la mancanza di istituzioni urbane e di interazioni sociali profonde fu tra le principali cause della rapida decadenza della città.
S. fu fondata sull'area di un complesso monastico che, secondo Yaqubi, al-Mutasim acquistò da monaci cristiani ivi residenti. Con lui si inaugurò un programma architettonico che raggiunse il picco nei tre decenni successivi sotto al-Mutawakkil (le fonti parlano di una spesa di circa 294 milioni di dirham). Al fondatore va riferito il primo complesso palatino, indicato nelle fonti come dār al-ḫilāfa (o dār/qaṣr al-ḫalīfa o, ancora, dār al-sulṭān) e più comunemente noto come Giawsaq al-Khaqani, dal nome dell'architetto turco Khaqan Urtuǵ che curò l'edificazione della sezione privata del palazzo. Posto sulla riva orientale del Tigri e occupato continuativamente dall'836 ‒ anno della fondazione ‒ all'884, è costituito da due unità principali (ca. 125 ha) che negli anni hanno subito rimaneggiamenti e aggiunte. La sezione meridionale, detta anche dār al-῾āmma, consiste di un rettangolo di circa 180 × 200 m che include l'entrata trionfale (bāb al-῾āmma), una successione di vestiboli e sale di ricevimento culminanti in una sala del trono cruciforme cupolata, la sezione del ḥarām e un vasto cortile noto come "grande spianata", seguito, all'estremità orientale, da una sorta di terrazza e una tribuna per assistere alle attività nella pista antistante (polo, corse dei cavalli, ecc.), una delle tante, associate ai complessi palatini della città. Il blocco settentrionale o Giawsaq, ulteriormente separato dal complesso da un'ulteriore cinta muraria, costituisce l'area della residenza del califfo e del suo entourage (gli appartamenti e un'ulteriore area di ricevimento destinata a udienze più intime e informali).
Tra questi due blocchi principali una serie di altre strutture articolavano il complesso in una successione di edifici più o meno indipendenti. A ovest del palazzo meridionale restano tracce di un vasto giardino che, in base alle testimonianze archeologiche e alle ricognizioni aeree, si estendeva fino al Tigri. Vi si accedeva dal lato ovest del palazzo attraverso una scalinata monumentale che procedeva dal bāb al-῾āmma e si estendeva intorno a un grosso bacino (115 × 130 m) seguito da un ampio viale delimitato da mura, presumibilmente esteso fino al fiume e usato per le entrate trionfali e le processioni ufficiali del califfo. Tra le sezioni privata e pubblica del complesso è visibile un largo bacino scavato (il "grande sirdāb", come lo chiamò Herzfeld) replicato in dimensioni ridotte più a est, interpretabili come luoghi di refrigerio. Infine, a sud della grande spianata vi sono i resti di una struttura con īwān contigua all'area che, nell'opinione di Northedge, potrebbe essere stata l'entrata principale del complesso nei primi tempi.
La pianta del nucleo originario di S. resta difficile da identificare. Dal palazzo aveva origine un viale ‒ šāri῾ Abī Aḥmad ‒ che procedeva verso sud per circa 3,5 km fino all'area del mercato e della prima moschea, realizzati sempre all'epoca di al-Mutasim. A est e a ovest di questa arteria si trovavano i vari quartieri militari (qaṭī῾a, plurale qaṭā'ī῾) organizzati secondo le etnie. Fuori città sorgevano altri accampamenti militari, come quello di Ushrusaniyya nell'area di al-Matira (od. al-Giubayriyya, 4 km a sud della città moderna) e quello presso Karkh Fayruz (od. Shaykh Wali). Al breve regno del successore di al-Mutasim, al-Wathiq (842-847), viene solitamente attribuito un edificio usato alternativamente al dār al-ḫilāfa: si tratta del palazzo al-Hārūnī (identificato con al-Quwayr), circa 2 km a ovest del primo, di cui restano tracce mal preservate. È incluso in un rettangolo irregolare di circa 646 × 253 m in cui è stato possibile identificare diverse sale di ricevimento. Il criterio di distribuzione resta quello della separazione tra la zona pubblica e privata (confermata da Yaqubi).
La fase costruttiva più importante per S. ebbe inizio nell'847, con l'avvento di al-Mutawakkil (847-861). Riferimenti al numero complessivo degli edifici eretti sotto il suo patrocinio sono contenuti in varie fonti. Oltre alla Grande Moschea, per secoli la più grande del mondo islamico, si stimano almeno 19 palazzi tra i quali al-Istabulat e Balkuwara, piste per le corse dei cavalli e una sostanziale estensione del centro della città con la successiva costruzione della cosiddetta "città gemella", al-Mutawakkiliyya, a nord dell'area abitata e ugualmente dotata di numerosi edifici residenziali e religiosi. Il palazzo al-Istabulat (al-iṣṭabulāt, al-῾arūs), tra i pochi sulla riva ovest, è rettangolare (ca. 235 × 520 m) e guarda verso il fiume, sede del palazzo vero e proprio, seguito da un ben più grande complesso di 1721 × 575 m tagliato longitudinalmente da un ampio viale e suddiviso in tre quadrati suddivisi in quattro sezioni. Il tutto è incluso in una più vasta area circondata da un recinto di 15,5 × 4,5 km circa; si trattava presumibilmente di una riserva di caccia, ma non si esclude l'ipotesi di un ulteriore quartiere militare. Il palazzo Balkuwara, considerato l'ultimo e più sistematico esempio di "palazzo-città" di S., è molto più a sud-est rispetto all'area con maggiore concentrazione urbana, nella zona della moderna al-Manqur. Fu costruito per il figlio al-Mutazz tra l'849 e l'859 e fu più di una semplice residenza, essendo il cuore di un ampio complesso circondato da accampamenti militari, non diversamente dall'Istabulat. Organizzato all'interno di una cinta muraria rafforzata da contrafforti (ca. 1165 × 1171 m), risulta suddiviso in due metà: la prima, a sua volta tripartita, comprende nella sezione centrale una sequenza di cortili ed entrate che scandiscono il progressivo approccio, nella seconda metà, alla sala del trono cruciforme, attorno alla quale ruotano altri ambienti privati e accessori.
Sono legati ad al-Mutawakkil i due monumenti religiosi più rappresentativi di S., la Grande Moschea e la moschea di Abu Dulaf. La prima, costruita tra l'847 e l'859, ha la forma di un enorme rettangolo di 240 × 156 m posto all'interno di un più grande recinto di 376 × 444 m nel cui spazio intermedio (ziyāda) erano concentrati ambienti destinati a diverse funzioni, dalle latrine ai magazzini. La moschea, ipostila, ha un ampio cortile centrale circondato da portici sui tre lati e una profonda sala di preghiera con navate perpendicolari al muro qiblī di cui quella centrale, terminante nel miḥrāb, più ampia; sullo stesso asse, a circa 30 m dal muro perimetrale, sorge il caratteristico minareto a spirale (al-malwiya). La moschea di Abu Dulaf fu edificata invece come moschea congregazionale nella nuova città, al-Mutawakkiliyya, quindi presumibilmente tra l'859 e l'861. Ugualmente imponente nelle dimensioni (350 × 362 m il cortile esterno, 213 × 135 m il santuario vero e proprio) ricalca la Grande Moschea con il suo schema ipostilo e il minareto, una copia ridotta di al-malwiya, ma introduce novità che verranno ampiamente ripetute altrove: la navata assiale, più larga delle altre, interseca perpendicolarmente le due navate parallele al muro qiblī, creando una T e dando vita a una variante della moschea ipostila.
Yaqubi descrive la massima espansione di S. menzionando le sette maggiori arterie tra le quali la šāri῾ al-a῾ẓam, la principale, che Northedge afferma coincidere con l'antica via che collegava Baghdad a Mossul. All'estremità meridionale si erigeva il dīwān al-ḫarāǧ al-a῾ẓam; verso nord-ovest, invece, si trovavano le stalle reali, il mercato degli schiavi, la sede della polizia urbana, la prigione, l'area commerciale associata alla prima moschea (eretta da al-Mutasim e poi sostituita dalla moschea di al-Mutawakkil) e le residenze dei servitori del dār al-ḫilāfa, dove il viale si interrompeva. Sembra invece che la principale strada usata durante il regno di al-Mutasim, la šāri῾ Abī Aḥmad, avesse ridotto la sua portata e terminasse di fronte all'entrata meridionale del palazzo califfale (bāb bustān o bāb aytāh). I restanti viali erano allineati a est dell'arteria principale e individuavano i diversi quartieri dei vari corpi militari dell'esercito califfale.
Nell'859 al-Mutawakkil iniziò la costruzione di una nuova città poco più a nord di S.: al-Mutawakkiliyya, altresì chiamata Ǧa῾fariyya (Yaqubi) o al-Māḥūza (Tabari). Principale fondazione residenziale di questo nuovo centro fu il palazzo, Qasr al-Giafari, a pianta rettangolare di 838 × 1060 m articolato in file parallele di nuclei abitativi con cortile centrale e dotato, lungo il fianco rivolto al Tigri, di un edificio quadrato di circa 115 m di lato, costituente la principale sala di ricevimento. Secondo Tabari fu qui che al-Mutawakkil venne assassinato nell'861. Facevano parte del complesso anche numerosi magazzini ed edifici accessori, nonché un campo (maydān) per il gioco del polo provvisto di una loggia per gli spettatori simile a quanto visibile nel dār al-ḫilāfa.
Dopo l'assassinio di al-Mutawakkil seguì a S. una fase di instabilità e di progressivo indebolimento economico che culminò in una guerra civile tra l'865 e l'866 e nel rapido susseguirsi di quattro califfi. Le colossali imprese architettoniche dei decenni precedenti avevano causato un forte impoverimento del tesoro, con effetti pesanti sulla stabilità sociale e politica del califfato. Il solo edificio databile con sicurezza al periodo successivo è il Qasr al-Ashiq (o Mashuq) eretto da al-Mutamid tra l'878 e l'882. Posto sulla sponda occidentale del Tigri, rappresenta il palazzo in miglior stato di conservazione dell'intero sito: è un edificio di 140 × 93 m eretto su di una piattaforma artificiale, all'interno di un secondo recinto più ampio (230 × 178 m). All'interno un cortile precede la zona ufficiale che comprende una sala cupolata, fiancheggiata da due ambienti colonnati, e un ampio īwān. Questo fu l'ultimo rilevante monumento della città. Tabari parla di scorribande di beduini e briganti sin dall'880; dopo la morte di al-Mutamid (892) i califfi successivi abbandonarono S. per tornare a Baghdad. Tuttavia l'evidenza ceramica e soprattutto numismatica segnala una decadenza più lenta: l'ultima moneta coniata localmente è del 341 a.E. / 953 d.C. (Miles 1954). La città, notevolmente contratta, acquisì importanza come luogo di pellegrinaggio associato alle tombe dei due imām sciiti Ali al-Hadi (m. 868) e al-Hasan al-Askari (m. 874), erette a partire dal 944 da Nasir al-Dawla al-Hamdani e costantemente arricchite nel corso dei secoli. L'estensione di S. si ridusse maggiormente fra il XII e il XIII secolo quando, a causa del cambiamento del corso del fiume verso est, la principale strada commerciale tra Baghdad e Mossul venne spostata sulla riva occidentale del Tigri con conseguente contrazione del traffico commerciale.
Il materiale emerso dagli scavi, databile con buona sicurezza, fornisce punti di riferimento importanti per alcune categorie di manufatti, le tecnologie a essi associate e la loro produzione in altre aree islamiche. La ceramica e il vetro, in particolare, collocano la città nel clima di fermento e sperimentazione che interessò l'Iraq nel IX e X secolo; alla stessa conclusione porta l'esame delle tecniche costruttive, dominate dall'uso del mattone crudo e cotto, in associazione al gesso e, soprattutto, allo stucco per il rivestimento interno. Quanto alla ceramica, la notevole varietà di invetriature (piombifera e stannifera) e di tecniche decorative (dal lustro metallico alla ceramica graffita e "a macchie") hanno fatto concludere che l'esperienza di S. ha rappresentato un momento rivoluzionario per la storia della ceramica del mondo islamico e uno spartiacque per la produzione di diverse categorie di oggetti. Questa convinzione è stata rafforzata dalla datazione proposta per alcune classi ceramiche, riferita al periodo fra l'836 e l'892 in cui la città fu capitale. Vista la centralità di S. e la grande produttività connessa con il centro del califfato, Sarre postulò anche che tale varietà fosse stata interamente prodotta localmente, conclusione che condizionò gli studi a lungo. Certamente la presenza della corte fu un fattore di grande importanza per la produzione locale e l'importazione di ceramica di lusso, come le ceramiche cinesi gialle e verdi di epoca Tang; la presenza di determinati prodotti fu a sua volta uno stimolo per la sperimentazione di nuove tecniche tese a imitarne la qualità (ad es., l'invetriatura bianca opaca associata alle principali formule decorative, dal lustro ai motivi dipinti di blu cobalto, verde).
Grazie agli scavi degli ultimi trent'anni in altri importanti centri dell'Iraq e dell'Iran ‒ Susa, Basra, Siraf ‒ è ora possibile avere un visione più obiettiva dell'esperienza di S. e della sua collocazione nella storia della produzione ceramica. Un'importante conclusione riguarda una cronologia più estesa per i materiali emersi inizialmente, che precede il momento di massima fioritura della metà del IX secolo e prosegue dopo lo spostamento della capitale a Baghdad. Inoltre la ceramica con invetriatura bianca opaca dipinta di blu e/o verde, considerata la più caratteristica del sito, allo stato attuale degli studi è più facilmente associabile a Basra come luogo principale della sua produzione e Siraf, dove pure è stata attestata a partire dall'825; la sua apparizione nel contesto di S. risulta di fatto molto più tarda, intorno all'880 circa. La ceramica a invetriatura bianca opaca con motivi in verde, giallo e manganese, forse influenzata dalla coeva decorazione a macchie, continuò a essere prodotta almeno fino alla fine del IX secolo, nel periodo di abbandono della città e ben oltre in altre aree dell'Iraq e del territorio islamico.
Fra gli altri materiali occupa un posto di rilievo il vetro: non furono prodotti solo oggetti ‒ di cui si notano peraltro nuove forme e formule decorative, come variazioni di decorazione incisa, intagliata a rilievo e il cosiddetto "vetro cammeo" ‒ ma fu ampiamente utilizzato anche come materiale di rivestimento. A tal proposito si è parlato anche di una ripresa di tecniche in uso nell'arte romana delle province orientali sin dal II-III secolo e in disuso da secoli, come il millefiori o le composizioni miste di vetro e madreperla, emerse durante gli scavi di Herzfeld nel Giawsaq al-Khaqani. Un materiale largamente impiegato come rivestimento nell'architettura domestica di S. è lo stucco. Herzfeld individuò tre stili: I, II e III (ribattezzati da K.A.C. Creswell "A, B e C", invertendo l'ordine fra il primo e il terzo, come sono più comunemente noti), con ornati ispirati dal linguaggio vegetale e geometrico della Tarda Antichità e realizzati con tecniche differenti (particolare è lo stile C, o "smussato", il più caratteristico di S.). Nonostante la varietà dei motivi e la progressiva astrazione, la successione cronologica resta difficile da stabilire, anche per il loro apparire simultaneo. Lo sviluppo della decorazione in stucco samarrena ebbe effetti visibili sia a est sia a ovest, dall'Egitto tulunide all'Iran samanide.
Fonti:
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Studi:
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di Barbara Finster
Insediamento a circa 7 km dall'odierno villaggio di al-Zubayr (antica Basra).
L'unico edificio di Basra la cui pianta ci sia pervenuta è il complesso di T.al-Sh. Gli scavi nel tell 1 hanno portato alla luce un edificio (qaṣr) rettangolare di 69 × 58 m, i cui angoli sono orientati verso i punti cardinali. La cinta muraria (spess. 1-1,2 m) è di mattoni crudi. Quattro torri semicircolari su zoccolo rettangolare scandiscono le pareti nord-est/sud-est e sud-ovest a intervalli regolari di 10-11,5 m; le torri angolari sono a tre quarti di cerchio, mentre l'ingresso (largh. 3,7 m) posto sul lato nord-occidentale è fiancheggiato da torri semicircolari. La porta è posizionata a nord-est. All'interno una corte quadrata (35,75 × 35,4 m) è circondata su tre lati da arcate che si aprono su ambienti rettangolari (5 × 4 m ca.). Su ogni lato, in posizione assiale, si apriva un īwān (ca. 9 × 4 m) con colonne ai lati dell'ingresso, comunicante con i vani laterali. Al centro della facciata est si trovava un "bayt iracheno" con arcate, ossia un īwān piuttosto largo affiancato da ambienti laterali (ca. 15 × 12 m). Dall'īwān centrale si accede a una corte quadrata (10 × 10 m), delimitata lateralmente da īwān. Gli angoli del lato orientale sono occupati da vani più piccoli, probabilmente destinati a lavatoi. Gli īwān erano decorati da stucchi che, nell'ornato e nello stile, ricordano quelli dei castelli omayyadi siro-palestinesi.
Gli scavi nel tell 6, 400 m a nord-ovest del precedente, hanno messo in luce la planimetria di una costruzione quadrata di mattoni crudi (77,5 m di lato; spess. del muro 2,4 m). Cinque torri scandiscono ogni facciata, oltre a quelle angolari. L'entrata si trovava sul lato nord-orientale (largh. 1,75 m), anch'essa fiancheggiata da torri semicircolari. All'interno sui lati di una corte quadrata (64 × 64 m) si affacciava una serie di ambienti, interrotta in corrispondenza degli assi da altri più grandi i cui ingressi erano sostenuti da pilastri di mattoni cotti. Il sito è stato oggetto di scavi d'emergenza, pertanto non si dispone di rapporti e piante dettagliati.
D. Maǧhūl, Maǧmū῾a tulūli al-šu῾aība [Raccolta su Tulul al-Shuayba], in Sumer, 28 (1972), pp. 243-46; K.A.C. Creswell - J.W. Allan, A Short Account of Early Muslim Architecture, Aldershot 1989, p. 222.
di Barbara Finster
Catena di colline a nord-ovest di Ukhaydir, di là dalla sponda settentrionale del Wadi Ubayyid. A circa 2,5 km da Ukhaydir un'area coperta di rovine (220 × 170 m) presenta al centro un tell artificiale quadrato.
Brevi scavi (1973-74) della costruzione centrale hanno rivelato un muro esterno con torri angolari con pianta a tre quarti di cerchio. All'interno due file di stanze circondano un cortile centrale posto a un livello leggermente ribassato. Il settore di rappresentanza è costituito da una sala con colonne (10 × 11 m) sull'asse centrale dell'edificio; dietro di essa uno spazioso ambiente presenta una nicchia in asse, inserita in un'arcata su colonne. La sala richiama gli ambienti di rappresentanza sasanidi, noti da Damghan e Kufa. La sala colonnata è suddivisa in tre navate; due file, di tre colonne ciascuna, erano collegate con arcate, riprese da semicolonne sulla parete posteriore. La navata centrale ‒ e probabilmente anche quelle laterali ‒ erano voltate a botte. Le pareti recavano anche decorazioni in stucco, relative a rifacimenti successivi. È stata riportata alla luce anche un'area amministrativa, con ornati geometrici in rilievo e dipinti. Nella zona meridionale è stata scoperta una moschea e, sul retro, alcuni ambienti usati come depositi. Le decorazioni di stucco includono frammenti di arco dal profilo dentellato e colonne scanalate, che testimoniano della presenza di arcate minori nel cortile. Altri frammenti recano ornati vegetali, a volte molto stilizzati. Un pannello rinvenuto in situ reca simboli cristiani; su una placchetta è raffigurata una croce. Nella moschea e nella parte amministrativa si sono conservati resti di stucco colorati di rosso e frammenti d'intonaco rosso-violaceo.
Nella sala colonnata e nell'ambiente adiacente sono stati ritrovati frammenti di iscrizioni cufiche su intonaco, graffiti del periodo omayyade e un frammento in scrittura siriaca. La forme ceramiche sono molte: grosse pentole con motivi punzonati, coppe giallo chiaro incise. La ceramica invetriata comprende vasellame monocromo blu, verde muschio e verde-blu, con superficie interna in genere grigio-gialla. Numerosi i frammenti di vetro, relativi a oggetti sia di uso comune sia di lusso; vi sono anche vetri soffiati, con decorazione pizzicata, applicata e a dischi, smaltati e millefiori. Tra le forme prevalgono tazze, bottiglie, brocche e coppe. Fra i reperti numismatici si segnalano una moneta di rame precedente la riforma di Abd al-Malik, con effigie imperiale bizantina, e due monete: 108-130 a.E. / 726/7-747/8 d.C. e 101 a.E. / 719 d.C.
La costruzione quadrata centrale ha rivelato diverse fasi costruttive. La fase I corrisponde all'epoca di costruzione, quando fu usata come residenza dal committente, Muqatil ibn Hasan, della stessa famiglia del poeta Adi ibn Zayd, entrambi della tribù cristiana degli Ibaditi di al-Hira (secondo Yaqut). La fede cristiana del committente e della sua famiglia è testimoniata dai frammenti di iscrizioni siriache sulle pareti e dai simboli cristiani. A partire dalla metà del VI secolo, verosimilmente l'epoca della costruzione, il Qasr Bani Muqatil viene menzionato ripetutamente nelle fonti, a riprova dell'importanza del suo ruolo nella zona. Nella fase II la costruzione conserva la funzione residenziale, ma è abitata da altri; i rimaneggiamenti si limitano all'aspetto esteriore. Negli interni si constata un nuovo stile; i settori di rappresentanza vengono decorati con stucchi, l'intera costruzione viene intonacata e i pilastri della sala sono lisciati. Per quanto riguarda la datazione si constata la comparsa, da un dato momento in poi, di iscrizioni islamiche sulle pareti dell'edificio. A questo periodo (dopo il 715) risalgono anche le due piccole moschee costruite all'esterno del nucleo del castello, nonché le decorazioni in stucco dal tipico repertorio omayyade, la ceramica, i vetri e le monete. Al termine di questo periodo l'edificio viene abbandonato e resta inutilizzato per qualche tempo. Nella fase III gli ambienti più spaziosi vengono trasformati in piccole abitazioni, sono allestite cucine e forni e scavate fosse per le derrate. La fase IV corrisponde all'abbandono dell'insediamento, a causa di una distruzione deliberata: alcune parti furono rimosse o spianate. Secondo le fonti, Isa ibn Ali, zio dei califfi abbasidi al-Saffah (749-754) e al-Mansur (754-775), lo fece abbattere per costruire una nuova struttura nella pianura più a sud: il palazzo di Ukhaydir (il quartiere abitativo della fase III sorse per dare alloggio agli operai del nuovo palazzo).
B. Finster - J. Schmidt, Tulūl al-Uḫaiḍir. Erster vorläufiger Grabungsbericht, in BaM, 8 (1976), pp. 57-150; Iid., Tulul al-Ukhaidir, in Sumer, 32 (1976), pp. 203-16.
di Jürgen Schmidt, Barbara Finster
Il complesso palaziale (qaṣr) di U. è a circa 65 km da Kerbala in direzione sud-ovest.
La costruzione quadrata (168,5 × 169 m) è di pietra con uso selettivo di mattoni cotti e quasi interamente rivestita di intonaco. Al centro di ogni facciata aggetta una porta simile a una torre; la principale è a nord. Tra le porte e le torri angolari, su ogni lato, vi sono cinque torri con pianta a tre quarti di cerchio; nell'insieme la cinta muraria è dotata di 48 torri. L'impianto fu concepito come fortificazione e mostra caratteristiche tecniche tipiche di una struttura difensiva (casematte, cammini di ronda, ecc.). A una distanza di circa 80 m dal qaṣr correva una cinta esterna di cui sono riconoscibili i terrapieni a ovest, a sud e a est, nonché la posizione delle porte. Le mura erano di mattoni crudi, rinforzate da bastioni semicircolari. A est e a sud vi erano porte di mattoni, fiancheggiate da locali. Il palazzo, all'interno del qaṣr, è rettangolare; dalla porta nord si estende nell'area racchiusa dalle mura, che si è rivelata priva di costruzioni salvo un edificio secondario nella sua metà orientale. Esso si sviluppa in modo simmetrico rispetto all'asse mediano nord-sud. Dal punto di vista architettonico l'impianto è costituito da due rettangoli concentrici separati da un corridoio perimetrale. La zona di rappresentanza era quella centrale, mentre gli ambienti laterali avevano carattere privato. In entrambi i settori vi sono cortili di dimensioni e funzioni diverse.
Dal blocco della porta principale, caratterizzato da un'articolata suddivisione interna e provvisto di due piani superiori, ha origine un corridoio in asse, con un ambiente quadrato al centro, sovrastato dall'unica cupola riscontrata a U., con nervature di stucco. Attraverso un'altra porta si giunge in una grande sala che si sviluppa su due piani ed è coperta da una volta a botte impostata, al piano inferiore, su semicolonne collegate da arcate che si congiungono alla parete posteriore tramite semicupole. La parete frontale settentrionale è interrotta da un triplice arco a sesto acuto per il passaggio della luce. Attraversato il corridoio perimetrale, il primo ambiente al quale si accedeva, nel rettangolo interno del palazzo, era il "cortile d'onore", che dal punto di vista architettonico e per la facciata può essere considerato il fulcro del complesso. Le mura perimetrali sono scandite da arcate cieche (con archi e semicupole in mattoni). La facciata d'ingresso, rivolta a sud, si sviluppa su tre piani. Il primo, aggettante, presenta un'elaborata suddivisione con nicchie ad arco, con tre false nicchie sul fondo. L'arcata principale è incorniciata da archetti. Ogni coppia di archi si alterna a una finestra. Secondo la ricostruzione di O. Reuther, l'ala nord, a tre piani ed estesa su tutta la larghezza dell'edificio, era coronata da una fila di merli, sovrastante false nicchiette. L'asse centrale dell'edificio prosegue verso sud in un īwān, che dà accesso a un ambiente quadrato circondato da un corridoio a U e, infine, un piccolo cortile. Lateralmente si dispongono vani di servizio, in parte suddivisi da colonne.
Il rettangolo esterno è articolato secondo uno schema simmetrico e regolare. Accanto a quelli più piccoli, vi sono quattro grandi cortili con passaggi coperti verso le mura esterne, mentre sul lato interno presentano quattro colonne ciascuno. Intorno ai cortili sono raggruppati sei o dieci camere o piccoli ambienti, i cosiddetti "bayt iracheni", che stretti corridoi collegano con le mura del palazzo. Nell'angolo nord-ovest del rettangolo interno una moschea inglobata nel palazzo interrompe la simmetria dell'impianto; vi si accede attraverso due passaggi dal corridoio nord; si tratta di una tipica moschea con corte, lungo i lati (salvo a nord) una fila di colonne forma riwāq voltati, di cui quello meridionale più largo e architettonicamente più ricco. Al centro della parete qiblī si trova la nicchia poco profonda del miḥrāb, di pianta rettangolare e sormontato da una semicupola. La lavorazione del soffitto del riwāq principale è peculiare, mentre le pareti sono semplicemente intonacate. La volta a botte sembra dissolversi a causa di un effetto ottico ottenuto con l'esecuzione di piani orizzontali nell'intonaco, un motivo utilizzato anche in altre parti del qaṣr. Le superfici a vista dell'arco sono decorate con motivi geometrici impressi a forma di rombi dal profilo spezzato che racchiudono una rosetta, come nelle volte del primo piano. Quarti di cupole con costoloni radiali costituiscono la sommità della calotta. La fascia di parete sottostante le scanalature presenta trombe negli angoli ovest, ma non in quelli est. Tra i motivi decorativi si trovano false nicchie a sesto acuto, rosette concentriche e merli a gradini. È imputabile alla geometria della pianta generale l'orientamento non esatto della moschea: la qibla è deviata di 14°.
Nel 1963 fu portato alla luce dagli archeologi iracheni, all'estremità meridionale del corridoio orientale, un impianto termale di mattoni composto da diversi ambienti. Il vestibolo, accessibile dal corridoio, è coperto da una volta a crociera; segue un ambiente con panche originariamente rivestite di marmo. L'ultimo vano della fila ha, sul lato corto, un'abside chiusa da una semicupola. Il bagno fu inserito nella struttura del qaṣr in un secondo momento.
La cosiddetta "costruzione interna" è un edificio situato nella parte orientale dell'area compresa tra la cinta muraria e il palazzo. Vi si accede da sud tramite un atrio la cui parete posteriore ha un'apertura con pilastri che immette in un ambiente stretto e alto. Seguono, lungo l'asse centrale, un ambiente quadrato con volta a crociera e una lunga sala oblunga fiancheggiata da vani secondari. Una costruzione adiacente provvista di una scala implica la presenza di due o più piani.
A circa 10 m a nord del qaṣr si trova l'"edificio settentrionale" rinvenuto nel 1975 dall'Organizzazione statale irachena per le Antichità e il Patrimonio (Hasan 1977). Si compone di due parti distinte: la prima a sud, quasi quadrata, a sua volta suddivisa in due parti; l'altra è occupata da una sala con orientamento nord-sud, coperta da una volta a botte, e cinque ambienti più piccoli, bassi, anch'essi voltati, ciascuno con accesso indipendente dall'esterno. A ovest è il cosiddetto "cortile gioiello", la cui parete esterna occidentale è decorata da false nicchie e da finestre tripartite dalla ricca ornamentazione. Sul lato del cortile è una sala con colonne e copertura a volta. Una stretta scala separa questo edificio da un blocco suddiviso in otto parti di uguali dimensioni e coperte da volte. I singoli vani sono accessibili separatamente da est, mentre un passaggio centrale interrompe la sequenza degli ambienti. La planimetria indurrebbe a considerare l'"edificio settentrionale" un caravanserraglio. Uno scavo condotto dalla medesima organizzazione (1980-82) ha portato alla luce, a circa 300 m a nord-ovest del qaṣr, un piccolo forte rettangolare (68 × 57 m) con fondazioni di pietra ed elevato in crudo, con tracce di torri lungo le mura. I reperti (anche numismatici) lo datano a epoca abbaside.
La ceramica trovata a U. è di colore giallo pallido con motivi incisi e punzonati, come quella rinvenuta a Tulul al-Ukhaydir. Vi è inoltre ceramica non invetriata decorata a stampo e un frammento di ceramica dipinta "a macchie"; infine, due lampade: una piccola in argilla e una in steatite. Anche i reperti di vetro sono simili a quelli di Tulul al-Ukhaydir: prevalgono frammenti di piccoli bicchieri e piccole bottiglie di colore verdastro e bluastro, ma vi è anche qualche frammento decorato.
La cronologia può essere desunta sulla base delle fonti e della ceramica rinvenuta. Secondo Yaqut (XII-XIII sec.), committente della costruzione dovette essere Isa ibn Ali, zio dei califfi abbasidi al-Saffah (749-754) e al-Mansur (754-775), il quale avrebbe fatto distruggere il Qasr Bani Muqatil (v. Tulul al-Ukhaydir) per edificarne uno nuovo.
O. Reuther, Ocheïdir nach Aufnahmen von Mitgliedern der Babylon-Expedition der Deutschen Orient-Gesellschaft, in WVDOG, 20 (1912); G. Bell, Palace and Mosque at Ukhaiḍir. A Study in Early Mohammadan Architecture, Oxford 1914; W. Caskel, al-Uḫayḍir, in Der Islam, 39 (1964), pp. 28-37; M.B. al-Ḥusaynī, al-Uḫayḍir, in Sumer, 22 (1966), pp. 79-89; T. Alyawi, Versuch einer neuen stilistischen Einordnung des Wüstenschlosses al-Ukhaidir (Diss.), Mainz a.Rh. 1968; K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, Oxford 19692; K.I. Ḥasan, Taḥarriyāt āṯāriyya qurb al-Uḫayḍir [Indagini archeologiche presso Ukhaydir], in Sumer, 33 (1977), pp. 119-25; Excavations in Iraq 1981-82, in Iraq, 45, 2 (1983), pp. 199-224; K.A.C. Creswell - J.W. Allan, A Short Account of Early Muslim Architecture, Aldershot 1989, pp. 248-58; M.-O. Rousset, L'archéologie islamique en Iraq. Bilan et perspectives, Damas 1992, pp. 187-88.
di Barbara Finster
Sito nei pressi di Qut al-Amara; in epoca preislamica il suo nome è attestato nella forma Wāsiṭ al-Qaṣab, "situato nelle vicinanze". Il termine wāsiṭ è comunemente interpretato come "situato a metà strada tra Basra e Kufa".
Il governatore delle province orientali all'epoca del califfo Abd al-Malik, Haggiaǵ ibn Yusuf, fondò la città sulla sponda occidentale del Tigri, di fronte alla città preislamica di Kaskar abitata da Persiani e Aramei. Per la fondazione sono fornite date diverse (694, 702 o ancora 703), così pure per il completamento della città, oscillante tra il 697 e il 705. Per la costruzione di W. Haggiaǵ verosimilmente spese tutto il denaro derivante dalle imposte di cinque anni in Iraq, una somma di 43 milioni di dirham. Egli saccheggiò le città del circondario e trasportò nella nuova fondazione le porte delle città di al-Zandaward e al-Danqara, dal monastero Ma Sergios, da Saratit e da altre località. Nei primi tre secoli la città ha beneficiato notevolmente della sua posizione fra Ahwaz, Baghdad, Basra e Kufa, dedicandosi ai commerci, ma anche all'agricoltura. Nel 1441 cominciò il declino provocato dalle aggressioni fino a quando la città non rimase spopolata. Un'altra città dello stesso nome fu costruita nelle vicinanze e più tardi se ne aggiunse una terza a ovest, che resistette fino al XIX secolo.
Negli anni 1936-42 vi si sono svolti scavi da parte del Dipartimento delle Antichità iracheno, diretti da F. Safar, che si concentrarono soprattutto sulle moschee.
Non sono state tramandate notizie sulla pianta della città; tuttavia si deve ipotizzare un impianto ben pianificato. Secondo Yaqut W. era circondata da un muro con porte e due fossati, mentre il più antico Bahsal (IX sec.) menziona due muri e un fossato. Al centro della città era il palazzo, il famoso Qubbat al-Hadra, adiacente al lato settentrionale della moschea. Il palazzo era accessibile tramite quattro porte alle quali conducevano quattro vie larghe 80 cubiti (ca. 40 m). Davanti al dār al-imāra si estendeva una piazza avente una superficie di 300 × 300 cubiti (ca. 150 × 150 m). Vengono menzionate altre due piazze, una delle quali misurava solo 200 × 100 cubiti (100 × 50 m). Haggiaǧ vi fece scavare due canali (denominati Nilo e Zabi), e fece insediare nella città abitanti di Kufa, Basra e Damasco. Nelle vicinanze del palazzo aveva allestito un sūq, provvisto di tutte le mercanzie disposte secondo le rispettive tipologie. Il sūq si estendeva dal palazzo fino alla sponda del Tigri, a est, e fino alla strada del Harazin. A ovest erano i commercianti di ferro, i venditori di tessuti, i cambiavalute e i venditori di profumi; a sud erano i venditori di frutta e verdura e i rigattieri; a est i braccianti e gli artigiani. A ovest del palazzo si trovava il carcere. Il cimitero era situato all'interno della città, nella sua parte orientale. Un ponte di barche, lungo 280 cubiti, collegava le città di W. e Kaskar, che crescendo si fusero in un unico centro urbano; l'insediamento era stato progettato come una vera città-palazzo, a cui potevano accedere solo persone munite di un formale permesso.
L'area occupata dalla moschea era pari alla metà dell'area palatina: misurava cioè 100 × 100 m (200 cubiti), mentre un lato del palazzo era lungo 200 m. Gli scavi hanno rivelato quattro costruzioni sovrapposte. La moschea IV non ha una pianta precisa, tuttavia si presume che corrisponda all'impianto della moschea III. Quest'ultima è di pianta quadrata (108 × 108 m); le mura esterne presentano torri angolari circolari e due torri per lato. I lati ovest e nord avevano tre ingressi, il lato est quattro. Le fondamenta hanno l'aspetto di un reticolo regolare, a indicare il fatto che la sala delle preghiere era provvista di cinque file di 18 colonne ciascuna. Il cortile era evidentemente circondato da una sola fila di colonne per lato. La qibla era caratterizzata da un miḥrāb esagonale. La pavimentazione era di mattoni, gesso e ciottoli mescolati con gesso. I mattoni erano disposti diagonalmente. La moschea II aveva la stessa pianta, ma con un miḥrāb semicircolare e un pavimento in gesso di 90 cm più basso rispetto alla pavimentazione della moschea III. La moschea I era di pianta quadrata leggermente contratta, misurante 104,3 (nord-est) per 103,5 m (nord-ovest) ed era probabilmente provvista di torri angolari e intermedie. Le mura erano di mattoni (30 × 30 × 6 cm; 23 × 23 × 5 cm) e avevano uno spessore di 2,26 m, le fondamenta poggiavano sulla terra nuda. Il muro della qibla, nella sala di preghiera, diverge rispetto a quella della moschea II di 45°. La moschea era attigua, nella sua parte centrale, al dār al-imāra. La sala di preghiera aveva cinque file di 18 colonne ciascuna, impostate su trincee delle fondamenta larghe 1,5 m che individuavano una serie di rettangoli di 3,8 × 3,5 m. Questo reticolo era interrotto nella zona del miḥrāb, poiché la trincea delle fondamenta diventava larga 2,4 m; quindi, una zona quadrata di 17 × 17 m davanti al miḥrāb era messa in risalto da colonne più larghe o da una installazione. è ragionevole ipotizzare l'esistenza di una maqṣūra. Il miḥrāb non era accentuato da una nicchia.
Il cortile era circondato da 13 colonne circolari sui lati nord-ovest e sud-est, mentre il lato nord-est ne contava 19. A ogni fila di colonne corrispondeva un pilastro collocato davanti, sulla parete esterna, di modo che si potrebbe dedurre che le arcate o architravi di volta in volta erano dirette, ad angolo retto, verso la parete esterna. Le colonne circolari (diam. 90-110 cm, alt. 45-54 cm) sono composte da rocchi di un'arenaria rossastra, tenuti insieme da barre di ferro. Se ne distinguono tre tipi: fusti semplici, lisci con una terminazione a nastro decorativo fatto di viticci; fusti con un ornamento di aste fra le quali si sviluppano tralci di vite; fusti con un ornamento a girali che si avvolgono a grappoli d'uva e a fiori di loto. Secondo gli autori degli scavi questa differenziazione intendeva sottolineare l'importanza degli ambienti. Il pavimento era di mattoni rossi, disposti parallelamente alle pareti esterne; successivamente (904) il pavimento deve essere stato sostituito con un altro di mattoni allettati nel gesso duro, 60 cm al di sopra del livello pavimentale originario.
Nel dār al-imāra la parete nord-orientale, lunga 212,8 m, corrisponde a una parte del muro qiblī della moschea che ne occupa esattamente il tratto centrale. L'ingresso del palazzo è nell'angolo nord-occidentale. È stata accertata la presenza di torri angolari circolari su basi quadrate (lato 8,2 m, alt. 90 cm), alle quali fanno pendant pilastri o basi quadrate agli angoli della moschea. Tre file di pilastri di semplici mattoni corrispondono in altezza a quelli della moschea e, come in questa, mostrano il medesimo schema a reticolo.
Alcune ceramiche raffiguranti musici, danzatrici e cavalieri sono state trovate nello strato ilkhanide (XIII-XIV sec.); ceramica non invetriata proviene soprattutto dal III strato (XII sec.), mentre l'invetriata si riscontra fino dal I (VIII sec.). Fra i prodotti d'importazione si segnala la ceramica di tipo céladon.
Le rovine (al-Manāra) di una porta e di un minareto possono essere interpretate come resti di una madrasa. Un portale affiancato da torri immette in un impianto rettangolare, intorno alla corte sono raggruppati diversi ambienti.
Bibliografia
F. Safar, Wāsiṭ, the Sixth Season's Excavation, Cairo 1945; K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, Oxford 19692, pp. 132-38; ῾A. al-Ḥadīṯī, Al-ṣiyāna al-āṯāriyya fī Wāsiṭ [Conservazione archeologica a Wasit], in Sumer, 31 (1975), pp. 199-210; K.A.C. Creswell - J.W. Allan, A Short Account of Early Muslim Architecture, Aldershot 1989, pp. 40-41; M.-O. Rousset, L'archéologie islamique en Iraq. Bilan et perspectives, Damas 1992, p. 142; R. Darley-Doran, s.v. Wāsiṭ, in EIslam2, XI, 2002, pp. 165-71.