L'Asia islamica. Penisola Arabica
di Claire Hardy-Guilbert
La Penisola Arabica (ǧazīrat al-῾Arab, lett. "penisola" o "isola degli Arabi") copre una superficie di 3.000.000 km2 ed è bagnata da tre mari: il Mar Rosso, l'Oceano Indiano e il Golfo Persico; tuttavia, la caratteristica fisica dominante della Penisola è rappresentata dalle immense regioni desertiche che essa racchiude. Confinante a nord con le steppe mesopotamiche, la Penisola Arabica appartiene alla zona arida che si estende dall'Asia Centrale al Sahara. Comprende due deserti: il Nefud, a nord, e il Rub al-Khali (1.000.000 km2 di superficie), a sud. La zona centrale, il Najd, presenta una moltitudine di oasi di cui le principali concentrate nella zona occidentale. Geologicamente unita al continente africano, la placca arabica è un massiccio zoccolo precambriano che ha subito, con lo sprofondamento verso oriente, fratture da cui si originano fenomeni vulcanici. Alle catene di montagne granitiche del Higiaz ("barriera") si contrappongono le rocce basaltiche dell'Arabia meridionale. Lungo il Golfo Persico le terre dell'Oman, di al-Hasa e del Bahrain sono separate dal resto dell'Arabia dagli altipiani del Najd e della Yamama. Fatta eccezione per le montagne dell'Oman, che lungo il versante interno segnano i confini con il Rub al-Khali, questa fascia presenta scarsi rilievi. Una catena di montagne lungo il Mar Rosso accentua l'isolamento nella parte occidentale della Penisola e delimita la stretta pianura costiera della Tihama, che si prolunga a nord con quelle dell'Asir e del Higiaz. Sul versante meridionale le montagne del Hadramaut costituiscono una barriera naturale che si sviluppa parallelamente alla costa, interrotta solo dalle grandi vallate dei wādī. L'erosione causata da questi ultimi, come quella del loro letto fossile, genera un caratteristico ventaglio di rilievi. La posizione di Shibam (Yemen), nel mezzo di uno di questi formidabili wādī, è tra le più singolari: i suoi bastioni, vecchi di cinquemila anni, nel 1980 furono portati via dalla furia delle acque del fiume.
Paradossalmente questo immenso deserto è fonte di vita. I geografi dell'antichità distinguevano l'Arabia Petraea, l'Arabia Deserta e l'Arabia Felix, suddivisione che, pur caratterizzata da confini geografici incerti, ben riassume aspetti fisici e ricchezze naturali differenti, sebbene ovunque la ricerca dell'acqua sia imperativa. Lo sfruttamento delle oasi e dei pozzi, ancora prima dello stesso scavo dei falaǧ (gallerie drenanti), ha permesso alle popolazioni indigene, prevalentemente nomadi, di sopravvivere per secoli. Gli abitanti dei regni sudarabici furono i primi a realizzare opere di grande ingegno per il controllo delle acque. Dighe famose sono quella di Marib (Yemen) sul fiume Dhana, opera degli Himyariti, databile a non oltre il I sec. d.C. e in funzione fino alla sua distruzione (dopo il 558), e quella di Sed Samallagi sul Wadi Liyyah, a 35 km da Tayf (Arabia Saudita), larga 10 m. I rilievi sono organizzati in terrazze dove sistemi di drenaggio delle acque piovane irrigano le zone coltivate. A sud, lungo la costa del Mar Rosso e dell'Oceano Indiano, lo Yemen e la sua provincia del Hadramaut sono regioni più fertili poiché beneficiano delle piogge del monsone.
La Penisola Arabica annovera varie risorse minerarie, come quella d'oro di Mahad Dhahab, a 400 km a nord-est di Jedda (esaurita nel 1954), quelle d'argento di Shaman nel Nagid (chiusa nel X sec.), di Radrad (in rovina dall'883), in Yemen, che ha un immenso capitale minerario (calcare, grès, marmo e alabastro), le miniere di rame di Lusayl in Oman (attive tra IV e XII sec. e di nuovo dal 1985). Importanti anche le saline, come quella a Jizan (Arabia Saudita), nell'Asir. La capitale sabea di Shabwa (Yemen), costruita su una cupola di sale, rifornisce ancora oggi tutti i mercati del Hadramaut, mentre il sale di Marib è dato in appalto. Risorse naturali, queste, che costituiscono ben poca cosa a confronto con il petrolio scoperto intorno agli anni 1930 in Arabia Saudita e nei paesi del Golfo.
La Penisola Arabica, culla dell'Islam, terza religione del Libro, ha una storia che riflette quella delle sue caratteristiche fisiche, complessa e frammentaria. Alla nascita dell'Islam il paese annoverava solo qualche città e numerose oasi in cui si praticava l'agricoltura, a opera soprattutto di colonie ebree. Tra il deserto e la città vi era un movimento perpetuo; tuttavia il mosaico delle tribù e dei relativi poteri fu un ostacolo costante per qualsiasi tentativo di unificazione di lunga durata. Muhammad, il Profeta dell'Islam, nato a Mecca prima del 579, apparteneva al gruppo degli Hashim della tribù dei Quraysh, ramo dell'importante confederazione beduina dei Kinana. I Quraysh occupavano la città da meno di un secolo e vi veneravano una pietra nera e numerosi idoli racchiusi nel santuario della Ka῾ba ("il cubo"). La città prosperava grazie alle attività commerciali connesse al santuario, sostenute dal grande afflusso di pellegrini. I Quraysh, impegnati in commerci a vasto raggio in Yemen, in Iran, in Etiopia e nella Siria bizantina, favorirono la creazione di legami tra la città e le tribù nomadi circostanti, acquistando nel contempo un peso politico considerevole sulla scena internazionale. Nel 622 l'emigrazione, o Egira (hiǧra), di Muhammad a Medina segnò l'inizio dell'era musulmana. Medina, l'antica Yathrib, era una ricca oasi esistente già dal VI sec. a.C., abitata sia da coloni d'origine israelita sia da due tribù arabe di origine forse yemenita, gli Aws e i Khazraǧ, continuamente in conflitto tra loro. Nel 630 Muhammad conquistò Mecca e i suoi luoghi sacri, facendone da quel momento il faro dell'Islam. Lotte armate, trattati, patti di non belligeranza e alleanze matrimoniali furono i mezzi utilizzati per imporre la nuova fede e il nuovo Stato teocratico. Dopo la morte del Profeta, nel 632, la politica di espansione dell'Islam fu proseguita dal suo successore, Abu Bakr, il quale si impegnò con successo nella conquista dei già deboli imperi bizantino e sasanide, e avviò la non facile unificazione dell'Arabia. Oltre alle lotte intestine scoppiate all'interno delle varie tribù dei Quraysh, alla morte di Muhammad gli Hamdan erano divisi e le tribù dell'Arabia meridionale abiurarono in massa, causando violente repressioni da parte dei primi califfi, che dovettero inoltre fronteggiare i costumi bellicosi dei beduini e le sollevazioni da parte di nuovi pretendenti al potere. Nel 748 una tribù dello Yemen del Sud, nel Hadramaut, prese le città di Sanaa, Mecca e Medina prima di dirigersi verso Damasco, sede del califfato omayyade (prima dinastia musulmana).
L'alternarsi di resistenze e di alleanze con il potere centrale e le rivalità in seno allo stesso clan, che giunsero a minacciare le regole di successione tra padre e figlio, caratterizzano l'intera storia della Penisola Arabica. L'insicurezza del territorio ebbe un forte impatto sull'architettura, che si caratterizzò sempre per l'aspetto fortificato: villaggi, fortini o case-torri, prive di finestre al piano terra, erano arroccati sui luoghi più inaccessibili. Allorché la dinastia abbaside spostò il centro del potere da Damasco a Baghdad i governatori provinciali cominciarono a rendersi indipendenti. In Yemen le dinastie locali si moltiplicarono (Ziyadidi, 818-1018; Yufiridi, 847-997; Qarmati, 886-1078; Zayditi, 897-962; Nagiahidi, 1022-1158; Sulayhidi, 1047-1138), generando una proliferazione di Stati. Nel XIII secolo apparve la dinastia degli Sceriffi del Higiaz. Salah al-Din (Saladino, 1169-1193), il sultano ayyubide di Siria, affidò il Sud dell'Arabia a suo fratello, fino a che, nel 1229, subentrò la dinastia rasulide (rimasta al potere fino al 1454), che nel 1234 riuscì, con il pieno consenso del califfo abbaside, a conseguire la prima unificazione del paese. L'imamato zaydita a nord di Sanaa, fondato nell'897, fu l'unico potere stabile che si protrasse fino al 1962. Nel 1517 gli Ottomani, dopo l'annessione dell'Egitto e delle città sante, stabilirono nello Yemen la frontiera meridionale del loro impero, ma fu proprio uno zaydita a costringerli ad abbandonare il paese. Gli Ottomani riapparvero nel Mar Rosso nel 1849, si impadronirono delle città yemenite di Sanaa e Taizz (1871), scontrandosi nuovamente con il potere zaydita. Muhammad ibn Saud, signore di Dariya, capitale del Najd, e propugnatore di una nuova dottrina riformista (il wahhabismo), sottomise Riyad nel 1764 e molte altre città del Najd, dando così origine al regno wahhabita. Una catena di "protettorati" fu stabilita dalla Gran Bretagna lungo il Golfo Persico, dove alcuni emiri, a capo di città-stato, diedero vita ai Paesi del Golfo nella loro attuale configurazione.
I contributi dell'archeologia per il periodo islamico nella Penisola Arabica sono di scarsa entità rispetto ai risultati ottenuti per l'epoca pre-islamica. Il centro della Penisola, l'Arabia Saudita, poco permeabile alla ricerca straniera, è stato raramente oggetto di indagine. La maggiore disponibilità dei Paesi del Golfo e, a partire dal 1980, la chiusura dell'Iran prima e dell'Iraq poi hanno concentrato l'interesse dell'archeologia, in questo caso anche islamica, verso l'Arabia orientale. Benché Oman e Yemen abbiano aperto le loro frontiere alla ricerca fin dal 1937, in Yemen l'archeologia islamica data solo agli anni 1980, confondendosi peraltro con gli studi di carattere architettonico.
Bibliografia
Ibn Battūta, Voyages, I trad. de l'arabe de C. Defremery et R.B. Sanguinetti, Paris 1858; al-Hamdānī, ṣifat ǧazīrat al-῾Arab (ed. D.H. Müller), Leyden 1968; M. Rodinson, Mahomet, Seuil 1968; P. Bonnenfant et al. (edd.), La Péninsule Arabique d'aujourd'hui, Paris 1982; J. Chelhold (ed.), L'Arabie du Sud, histoire et civilisation, Paris 1984; C. Hardy-Guilbert, Dix ans de recherche archéologique sur la période islamique dans le Golfe (1977-1987). Bilans et perspectives, in Y. Ragheb (ed.), Documents de l'Islam Médiéval, Nouvelles perspectives de recherches (Actes de la Table ronde, Paris 1988), Le Caire 1991, pp. 131-92; A. Rougelle, Medieval Trade Networks in the Western Indian Ocean (7th-14th Centuries). Some Reflections from the Distribution Pattern of Chinese Imports in the Islamic World, in H.P. Ray - J.-F. Dalles (edd.), Tradition and Archaeology. Early Maritime Contacts in the Indian Ocean, Delhi 1996, pp. 159-80; T. Sasaki - H. Sasaki, Southeast Asian Ceramic Trade to the Arabian Gulf in the Islamic Period, in D.T. Potts - H. Naboodah - P. Hellyer (edd.), Proceedings of the First International Conference on the Archaeology of the United Arab Emirates (Abu Dhabi, 15-18 April 2001), London 2003, pp. 253-62.
di Claire Hardy-Guilbert
La famosa via di pellegrinaggio Darb Zubaydah ‒ dal nome della moglie del califfo abbaside Harun al-Rashid ‒ fu esplorata negli anni Settanta del Novecento. Quest'asse, che collega Kufa a Mecca, attraversa il Nefud, il Najd e lo Higiaz ed è contrassegnato da 56 stazioni o semplici tappe per l'approvvigionamento di acqua, garantito da pozzi, serbatoi e cisterne.
Appartengono a questa categoria di siti al-Rabadha (v.) e al-Ulwiyya, quest'ultimo sulla riva del Wadi al-Shamiyya, uno dei più grandi; esso comprende un grande palazzo, i cui stucchi ornamentali conservati in situ attestano la datazione alta. Nella provincia orientale e nel Nord-Ovest prospezioni condotte negli anni Ottanta hanno dato, con lo studio del porto di Aththar e di altri della stessa regione, importanti risultati, colmando le persistenti lacune riguardo a Gedda, il porto per eccellenza di Mecca, opera del califfo Uthman del 646, le cui vestigia sembrano destinate a rimanere inaccessibili.
Nell'ambito del catalogo delle architetture dell'Arabia Saudita un archivio prezioso è costituito dalle ricognizioni e dalla relativa documentazione fotografica delle moschee (alcune delle quali oramai in rovina) dal Higiaz fino alla costa del Mar Rosso, dal centro dell'Arabia al Najd e dalla provincia orientale, l'oasi di al-Hasa, fino alla costa del Golfo Persico, effettuata nel 1985.
Bibliografia
K. Al-Dayel - S. Al-Helwa, Preliminary Report on the Second Phase of the Darb Zubayda Reconnaissance 1397/1977, in Atlal, 2 (1978), pp. 51-64; D. Whitcomb, The Archaeology of Al-Hasa Oasis in the Islamic Period, ibid., pp. 95-113; S.A. Al-Rashid, Darb Zubaydah. The Pilgrim Road from Kufa to Mecca, Riyadh 1980; J. Zarins - A. Zahrani, Recent Archaeological Investigations in the Southern Tihama Plain (the Sites of Aththar and Sihi 1404/1984), ibid., 9 (1985), pp. 65-108; G.R.D. King, The Historical Mosques of Saudi Arabia, London - New York 1986; J. Zarins, Arab Southern Red Sea Ports and the Early Chinese Porcelain Trade as Reflected principally from Aththar, 217-108, Saudi Arabia, in AnnOrNap, 49 (1989), pp. 231-69; B. Vogt, A Lost Late Islamic Port on the South Arabian Coast, in Bulletin of Archaeology of Kanazawa, 21 (1994), pp. 137-58.
di Simona Artusi
Sito dell'Arabia Saudita occidentale, circa 200 km a sud-est di Medina, sulla carovaniera Darb Zubaydah, una delle più importanti vie di pellegrinaggio verso le città sante dell'Islam. Sorto probabilmente in epoca preislamica, fu abitato fino alla prima metà del IX secolo.
La vegetazione lussureggiante, dovuta all'abbondanza di wādī, che secondo gli storici al-Bakri (m. 1094) e Ibn al-Athir (m. 1232) la rese nota alle carovane in viaggio tra Kufa e Mecca, spinse il califfo Umar (634-644) a dichiararla ḥima, riserva naturale dove praticare un pascolo selettivo. Le fonti associano in molte occasioni il nome di al-R. a quello di personaggi storici eminenti, in particolare ad Abu Dhar al-Ghifari, uno dei compagni del Profeta, che vi soggiornò durante il califfato di Uthman (644-656). Nella seconda metà del IX secolo la città, già fortemente coinvolta dalle ribellioni di tribù locali (Banu Sulaym, Fazara e Banu Hilal), fu oggetto di continui attacchi da parte dei Qarmati. La mancanza di sicurezza, causata dalle continue scorrerie e distruzioni dei punti di sosta lungo il Darb Zubaydah, incanalò il flusso dei pellegrini verso vie più affidabili. Le informazioni più dettagliate sulla topografia di al-R. sono fornite da al-Harbi (m. 898), il quale afferma che esistevano un palazzo, due moschee ‒ una delle quali, costruita per volere di Abu Dhar, provvista di minareto e corte centrale ‒, due riserve d'acqua di notevoli dimensioni e numerosi pozzi.
Per quanto riguarda l'esatta posizione della città, le testimonianze sono ancora più esigue e approssimative; è grazie a ricognizioni e scavi sauditi concentrati nella zona denominata Birka Aba Salim che si è accertata la presenza di un insediamento urbano identificabile con al-R. Nel corso di sei stagioni di scavo, tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta del Novecento, sono stati indagati settori ben definiti all'interno di un territorio esteso per 850 m in direzione est-ovest e per 500 m in direzione nord-sud. Le prime indagini hanno rivelato la presenza di un edificio (A), nella zona est, probabilmente residenziale. La pianta è quadrangolare, circondata da mura di pietra (spess. 1,3 m) scandite da torri semicircolari e circolari; l'angolo nord-est è occupato da una torre di maggiori dimensioni, approssimativamente esagonale. L'entrata è al centro del muro settentrionale e sembra tagliare in due parti uguali la torre semicircolare di quel lato. L'interno presenta 13 stanze che si affacciano su una corte centrale.
Accanto a questo edificio sono stati rinvenuti i resti di un'altra unità abitativa indipendente (B), circondata da possenti mura. Il perimetro irregolare è composto da sette lati, ciascuno di diversa lunghezza, intervallati da torri angolari; l'entrata principale è sul lato nord-occidentale. Le mura cingono una serie di piccoli ambienti (appartamenti privati, ma anche magazzini per i cereali e altri generi alimentari), al cui centro è una corte. L'area D è stata identificata dagli archeologi come il settore commerciale della città (sūq), ipotesi corroborata dal ritrovamento di un cospicuo numero di cisterne sotterranee, 25 forni, magazzini per cereali, nonché dalla presenza di zone adibite alla fusione del metallo e alla fabbricazione del vetro. Il settore H presenta un edificio centrale con spesse mura dotate di torri angolari e con una serie di ambienti interni, che apparterrebbero a una fase occupazionale precedente rispetto alle unità abitative che lo circondano. Le indagini si sono concentrate particolarmente a sud, nell'area S-401, dove sono stati portati alla luce i resti di numerose sezioni abitative, di una parte rilevante di mura perimetrali e di una moschea. Interessante è la composizione delle mura: si tratta di due cortine parallele formate da blocchi di mattoni rafforzati da un rivestimento di pietre.
La moschea, nella zona nord-orientale, è di piccole dimensioni (12,3 × 13,3 m ca.) e presenta mura alquanto spesse (a sud e a ovest sono addossate alle abitazioni attigue); al centro vi sono resti di massicci pilastri di pietra quadrati; Saad al-Rashid sostiene che la moschea avesse porte su tutti e quattro i lati e che quella del muro qiblī fosse situata a ovest del miḥrāb. In una seconda fase l'entrata fu unica, sul lato settentrionale. L'erezione del muro occidentale della moschea sul muro perimetrale della zona abitativa adiacente indica che la moschea, appartenente a un'epoca successiva (IX sec.), ha convissuto con l'abitato precedente. A ovest del sito, nei pressi del cimitero, è stata rinvenuta un'altra moschea, di dimensioni maggiori, probabilmente la moschea congregazionale (masǧid ǧāmi῾). Di pietra, ha pianta con corte centrale, circondata su tre lati da riwāq; la sala di preghiera è composta da due navate parallele alla parete della qibla; l'entrata principale era sul lato nord. In prossimità dell'edificio sono stati rinvenuti i resti di un pozzo, probabilmente utilizzato per le abluzioni rituali. Le indagini archeologiche hanno rivelato inoltre la presenza di due grandi cisterne, oltre a bacini sotto il pavimento dei vari ambienti, pozzi, canalizzazioni, ecc.
In tutta l'area è stata rinvenuta una grande quantità di manufatti, per lo più frammentari. La ceramica è per la maggior parte vasellame comune, talvolta decorato, invetriato (principalmente in blu e verde) e non invetriato (con colori dominanti quali il grigio scuro e il marrone scuro). Sono presenti anche esemplari di metallo, vetro (vasi e coppe), frammenti lignei e iscrizioni; tra le monete, due esemplari d'oro sono riconducibili rispettivamente ai califfati di al-Mansur (754-775) e Harun al-Rashid (786-809).
Fonti:
al-Bakrī, Mu῾ǧam ma ista῾ǧam (ed. M. al-Saqqa), al-Qāhira 1949; Yāqūt, Mu῾ǧam al-buldān, Bayrūt 1955-57; Ibn al-Aṯir, Al-kāmil, fī al-tārīḫ, Beirut 1966; al-ḥarbi, Kitāb al-manāsik wa amākin ṭurq al-ḥaǧǧ wa ma῾ālim al-ǧāzira (ed. H. al-Ǧāsir), Riyaḏ 1969.
Letteratura:
S.A. al-Rashid, New Light on the History and Archaeology of al-Rabadhah, in ProcSemArSt, 9 (1979), pp. 88-101; Id., A Brief Report on the First Archaeological Excavation at al-Rabadhah, ibid., 10 (1980), pp. 81-84; Id., al-Rabadha. A Portrait of Early Civilisation in Saudi Arabia, Riyaḏ 1986; G.R.D. King, Settlement in Western and Central Arabia and the Gulf in the Sixth-Eight Centuries A.D., in G.R.D. King - A. Cameron (edd.), The Byzantine and Early Islamic Near East, II. Land and Settlement Patterns, Princeton (N.J.) 1994, pp. 181-212; S.A. al-Rashid, Islamic Finds in Rabada, in Ircica Tarafindan Düzenlenecek Olan Birinci Milletlerarasi İslami Devir Arkeolojisi Konferansi-2005 (Istanbul, 8-10 aprile 2005), in c.s.
di Claire Hardy-Guilbert
Stato della Penisola Arabica oggetto di scavi archeologici, in particolare a Ukaz, a sud del porto di Kuwait City, ove le tracce di un'occupazione databile all'inizio dell'epoca islamica, rinvenute nel 1978, sono state sigillate per sempre.
Su un'area circolare presso la riva del mare è stata trovata parte di una chiesa; i livelli che la ricoprivano hanno restituito materiale abbaside. Sull'isola di Failaka (v.) per il periodo islamico gli scavi si sono concentrati sul sito di al-Qusur, a sud-est.
J. Gachet, ῾Akkaz (Kuwait). A Site of Partho-Sasanid Period, a Preliminary Report on the Three Campaigns of Excavation (1993-1996), in ProcSemArSt, 28 (1998), pp. 69-79.
di Stella Patitucci Uggeri
In posizione strategica all'estremità nord del Golfo Persico, tra la foce del Tigri-Eufrate e il Golfo del Kuwait, cui appartiene, l'isola di F. è lunga 14 km, bassa e uniforme. Abitata sin dall'età del Bronzo, Alessandro Magno vi fondò una cittadella, Ikaros.
Nel 1975-76 furono esplorati i siti islamici e al centro dell'isola furono scavate tre abitazioni del grosso villaggio abbandonato di al-Qusur, un abitato protoislamico (metà VII-X sec.), privo di cinta muraria. All'origine l'insediamento era caratterizzato da recinti ellittici sparsi, lunghi 30-40 m e larghi 15-30 m, con superficie di 300-1000 m2. I muretti di recinzione presentano fondazione di pietrame e alzato di mattoni crudi. I recinti evolvono poi in tracciati rettangolari con il solo lato posteriore curvilineo e le superfici abitate all'interno si infittiscono, organizzandosi più regolarmente nella zona centrale. Individuati anche in altri siti di F., questi recinti sembrano tipici di civiltà pastorali stanziali. L'abitazione è situata all'interno del recinto, lungo l'asse maggiore, ma in posizione eccentrica, in prossimità dell'ingresso. Lo schema è rettangolare, con ambienti articolati attorno a una corte centrale oppure a schiera. Basi a dado trovate dinanzi alle porte, forse sostegni di pilastri lignei, suggeriscono la presenza di un protiro. Gli edifici erano di norma a un piano, con muratura di mattoni crudi su fondazione di pietrame, o, in rari casi, a due o più piani con alzato in conci e pietrame, come nel caso della "torre", edificio costruito con maggior cura e con materiali dispendiosi: grandi lastre per le soglie e i gradini, lastricati pavimentali, conci angolari, stipiti litici, lastroni inseriti nella muratura. Edifici più ricchi, o forse più recenti, avevano le volte e il terrazzo soprastante di mattoni crudi.
Pavimenti lastricati si riscontrano in aree limitate all'esterno oppure, all'interno, in ambienti di maggior prestigio o di destinazione particolare, come le stalle. Gli ambienti abitativi avevano pareti e pavimenti rivestiti di stucco bianco ed è ipotizzabile una differenziazione delle loro funzioni: soggiorno, letto, cucine, depositi, stalle. Sono stati osservati anche edifici atipici, forse costruzioni di carattere pubblico. Si segnalano un lastricato quadrato, di 6 m di lato, fiancheggiato da due ali, e una torre di 7 × 5,5 m, preceduta da un porticato rivolto a nord e chiuso da due ante. Sappiamo poco dei modi e del tenore di vita degli abitanti di al-Qusur. Il materiale ceramico rivela un'economia povera, come suggerisce anche la cura nel restaurare vasi di uso comune e nel riutilizzare i cocci per ricavarne strumenti. Scarsi i metalli, evidentemente sempre di recupero. Nelle case si praticavano la molitura dei cereali, la filatura e la tessitura. Attività di rilievo doveva essere la pesca, soprattutto delle perle, come dimostrano gli scarichi di valve di ostriche perlifere non solo sulla costa, ma anche ad al-Qusur. In età protoislamica F. appare in stretto rapporto con gli insediamenti del bacino mesopotamico, come dimostra l'affinità dei tipi ceramici. Tra questi prevale la ceramica acroma priva di ornato, ma vi sono anche giare a decorazione stampata, incisa o applicata; scarsa l'invetriata turchese. Nel corso del IX-X secolo al-Qusur partecipa della crisi che investe l'economia rurale del califfato in declino, quando l'abbandono dei sistemi di irrigazione determina il progressivo restringersi delle colture e l'espandersi del deserto. Alla decadenza del centro interno fa riscontro nella fase medioislamica lo sviluppo degli insediamenti costieri sul lato nord-ovest dell'isola, presso il porto, che favorisce commerci e traffici. Ora negli insediamenti troviamo agglomerati continui, come nel villaggio di al-Qurainiyah. Le costruzioni, su zoccolo di pietrame, hanno l'alzato e le volte di mattoni crudi a filari regolari. Ad al-Qurainiyah un piccolo edificio con due muri concentrici può forse essere identificato come minareto.
S. Patitucci - G. Uggeri, Failakah. Insediamenti medievali islamici. Ricerche e scavi nel Kuwait, Roma 1984; D. Kennet, Excavations at al-Qusur, Failaka, Kuwait, in ProcSemArSt, 21 (1991), pp. 97-111.
di Giovanna Ventrone Vassallo, Claire Hardy-Guilbert
Sembra che fino alla metà dell'XI secolo questo nome (lett. "i due mari") designasse sia quella parte dell'Arabia orientale in cui si trovano le oasi di al-Qatif e di al-Hasa, sia l'arcipelago tra la penisola del Qatar e l'Arabia Saudita, che ha come isola maggiore Uwal (oggi al-Bahrain), con capitale Manama. La posizione strategica all'interno del Golfo Persico e la ricchezza di sorgenti d'acqua, che già avevano richiamato insediamenti antichissimi, spinsero anche gli Arabi al seguito del Profeta alla conquista di questi territori, a quel tempo controllati da un ufficiale di frontiera imposto dall'impero sasanide.
Al primo stanziamento musulmano, non del tutto pacifico, seguì quello dei Khawargi nel VII secolo. Questi coesisterono con cristiani ed Ebrei fino all'avvento, alla metà dell'VIII secolo, dei governatori abbasidi che fronteggiarono le insidie mosse sia da famiglie arabe influenti fin dal tempo di Muhammad (come i Banu Abd al-Qays), sia dal movimento dei Qarmati, che aveva trovato proprio in Bahrain numerosi seguaci. La supremazia della tradizione sull'eterodossia qarmata fu ristabilita nel 1058 da un membro dei Banu Abd al-Qays. Sembrerebbe che proprio dalla metà dell'XI secolo il territorio di al-Bahrain si identifichi solo con le isole a ovest del Qatar. Queste, soggette prima ai Qasaridi di Giazira Qays e poi all'atabeg (governatore) del Fars (Iran), nel 1235 riacquistarono l'indipendenza con gli Usfuridi, della famiglia degli Amir, ma nel 1330 furono occupate dai principi di Hormuz. Alla metà del XV secolo assurse al potere un'altra famiglia degli Amir, i Giabridi (XV-XVI sec.). Dopo l'arrivo nel 1514 dei Portoghesi, i quali affidarono il governo dell'arcipelago ai Persiani di Hormuz, anche gli Ottomani nella metà dello stesso secolo manifestarono le loro mire su Bahrain, ma entrambi dovettero arrendersi alla supremazia dei Safavidi che vi si insediarono tra il 1602 e il 1754. A questi ultimi successe la famiglia araba dei Banu Utaba con i quali ebbe inizio la dinastia degli Al-Khalifa, che ancora oggi detiene il potere. Le indagini archeologiche concernenti il periodo islamico sono in corso dagli anni Settanta del XX secolo a cura della Missione francese nell'isola di al-Bahrain. Nella fortezza (qal῾a) verosimilmente costruita dai Qarmati tra il 900 e il 1076, sulla costa settentrionale dell'isola, lo scavo ha permesso di individuare uno dei primi fortini militari della Penisola Arabica, regione in cui questo tipo di costruzione difensiva era ignoto prima dell'Islam. Si tratta di un edificio quadrato rinforzato da torri e bastioni semicircolari, costruito esclusivamente con pietra calcarea di Bahrain appena sgrossata e blocchi ben squadrati, probabilmente anche di reimpiego, per i muri esterni. All'interno quattro corridoi assiali convergono in una corte quadrata centrale ben pavimentata e definiscono quattro settori edificati quasi esclusivamente a fini difensivi. Le coperture, di tipo leggero, posavano su travi ricavate da tronchi di palme. È evidente che questa qala ha come modello i fortini siriani di tradizione bizantina.
Dal 1984 l'indagine archeologica si è rivolta ai resti del Masgid al-Khamis ("moschea del giovedì"), così denominata per il mercato che vi si svolgeva in quel giorno, nota anche come "moschea di Bilad al-Qadim", dal nome della città a nord dell'isola di al-Bahrain, dove l'edificio è situato. Note dalle relazioni di viaggio fin dalla fine del XIX secolo, e oggetto già nel 1914 di una prima ricognizione scientifica da parte di E. Diez, le rovine di questa moschea hanno rivelato almeno tre fasi di occupazione: della prima, risalente secondo la tradizione locale al califfo omayyade Umar (717-720), sarebbe stato individuato solo il muro qiblī, di pietra non squadrata, nel cui spessore era stato ricavato il miḥrāb a nicchia semicircolare ‒ verosimilmente il terzo miḥrāb di questo tipo noto nell'Islam, dopo quello di Medina e di al-Fustat (presso il Cairo), dovuti al medesimo califfo. Nella seconda fase di epoca abbaside, durata un cinquantennio circa, la moschea era poco più che un oratorio di quartiere: di dimensioni ridotte (8,2 × 6,7 m) e preceduta da una corte rettangolare più profonda che larga, la sala di preghiera aveva una copertura in piano, probabilmente con stuoie e pisé, sostenuta da sottili pilastri di tek alti 4 m; il materiale impiegato è la pietra da taglio, anche di reimpiego. Alla prima metà dell'XI secolo, epoca dell'allontanamento dei Qarmati e dell'affermazione della dinastia degli Uyunidi, risale l'ultimo e più vistoso intervento sulla moschea, la quale, con ampliamenti su tutti e quattro i lati, raggiunse i 622 m2. Di questa fase è caratteristica soprattutto la piccola corte centrale circondata a ovest, sud ed est da colonne binate. Il muro settentrionale, corrispondente alla sala di preghiera, mostra invece due larghi pilastri rettangolari e arrotondati alle estremità dei quali erano incastrati, al tempo di Diez, due miḥrāb. Al sommo della facciata erano, infine, due fasce con decorazione epigrafica in scrittura cufica. Alla medesima fase risalirebbe almeno l'elevato del minareto sud-occidentale (alt. 22 m), secondo quanto testimoniano due epigrafi, peraltro di chiara impronta sciita. Sia la struttura di questa moschea con piccola corte centrale, sia la presenza del miḥrāb anche all'esterno della sala di preghiera trovano paralleli nell'architettura dell'Arabia orientale, in particolare in Oman, anche in edifici del XIII secolo. Ulteriori interventi sulla moschea di al-Khamis sono documentati da epigrafi raccolte in prossimità del monumento: la prima, datata al 724 a.E. / 1323 d.C., menziona la costruzione (o il rifacimento?) di un altro minareto, verosimilmente quello sud-orientale. Un'iscrizione del 990 a.E. / 1582 d.C. testimonia di un decreto emanato da un vizir, probabilmente alle dipendenze dei principi di Hormuz, in favore della moschea che viene chiamata "mašhad (santuario) dei due minareti" (Kalus 1990a, 1990b, 2000). Oltre a confermare l'esistenza del secondo minareto, lascia ipotizzare che con il tempo l'edificio abbia cambiato funzione, divenendo un santuario all'interno di un'area cimiteriale, come proverebbero le numerose tombe che lo circondano. Di conseguenza le basi di quattro pilastri visibili al centro della piccola corte potrebbero indicare che tra il XVI e il XX secolo questa parte sia stata coperta per proteggere le tombe al suo interno.
Oltre che presso la moschea di al-Khamis, un'occupazione abbaside è stata registrata nel villaggio di Ali (Sasaki 1990). L'archeologia ha messo in luce soprattutto il ruolo dell'isola nel XIII secolo quando la sua fortezza sasanide sul bordo del mare a Qalat al-Bahrain fu trasformata in deposito commerciale e produttore di miele di datteri, derrata esportata verso l'India e la Cina, come è attestato dai ritrovamenti di materiali cinesi, soprattutto céladon e monete Tang e Song. Questa attività commerciale è testimoniata dal rinvenimento, nell'area, di abitazioni, di un sūq, un bagno e un cimitero. Anche dopo l'arrivo dei Portoghesi e la dipendenza dai Principi di Hormuz (che costruirono un'altra fortezza il cui governatore si rese indipendente) il commercio con la Cina continuò, come testimoniano le porcellane bianche e blu e i céladon del XVI e XVII secolo scoperti in questa fortezza.
Bibliografia
E. Diez, Eine Schiitische Moscheeruine auf der Insel Bahrein, in JbAsiaKunst, 2 (1925), pp. 101-105; G. Rentz - W.E. Mulligan, s.v. al-Baḫrayn, in EIslam2, I, 1960, pp. 969-73 (con citaz. fonti); Some Results of the Third International Conference on Asian Archaeology in Bahrain, March 1970, in ArtAs, 33 (1971), pp. 139-338; M. Rice, The Status of Archaeology in Eastern Arabia and the Arabian Gulf, in Asian Affairs, 8 (1977), pp. 139-51; M. Kervran - A. Negre - M. Pirazzoli-T'serstevens, Fouilles à Qal῾at al-Bahrein/Excavations of Qal῾at al-Bahrain, 1ère partie / 1st Part (1977-1979), Bahrain 1982; M. Kervran et al., Bahrain in the 16th Century. An Impregnable Island, Bahrain 1988; L. Kalus, La mosquée al-Khamis à Bahrain: son histoire et ses inscriptions, II. Les inscriptions, in AIslam, 1 (1990), pp. 53-73; Id., Inscriptions Arabes des îles de Bahrain, Geuthner 1990; M. Kervran, La mosquée al-Khamis à Bahrain: son histoire et ses inscriptions, I. Le monument, in AIslam, 1 (1990), pp. 7, 51; T. Sasaki, Excavations at A ῾Ali- 1988/89, ProcSemArSt, 20 (1990), pp. 111-29; L. Kalus, Inscriptions arabes des îles de Bahreïn: contribution à l'histoire de Bahreïn entre les XIe et XVIIe siècles, Paris 2000; K. Frifelt, Islamic Remains in Bahrain, Aarhus 2001; D. Whitehouse, The al-Khamis Mosque on Bahrain: a Note on the First and Second Phases, in ArabAEpigr, 14 (2003), pp. 94-102.
di Claire Hardy-Guilbert
La penisola del Qatar fu riconosciuta come tale molto tardi, ovvero un secolo dopo il passaggio di C. Niebuhr all'inizio della seconda metà del Settecento. A Murwab, nel Nord, una fotogrammetria aerea ha permesso di individuare un agglomerato di 200 cellule di abitato e un'organizzazione lineare simile a quella di un accampamento beduino; gli scavi hanno dimostrato che esse erano costituite da due o tre unità racchiuse all'interno di un recinto. Due moschee e un forte sono connessi a questo complesso. I testi letterari non fanno menzione di questa occupazione situata nel territorio della tribù degli al-Naim e la sua datazione intorno all'850 è dedotta dalla presenza di reperti di epoca abbaside da mettere in relazione con quelli coevi di Susa (v. in L'Asia islamica. Altopiano iranico) in Iran e con la produzione di Samarra (v. in L'Asia islamica. Iraq) in Iraq.
In quest'epoca il commercio su lunghe distanze non dovette interessare diffusamente la penisola, tuttavia il ritrovamento lungo le coste di molta porcellana cinese di importazione risalente al XVIII secolo ‒ ovvero al periodo in cui emersero le città-stato su tutto il perimetro della penisola ‒ testimonia un'intensa attività commerciale e la ricchezza raggiunta in questo periodo dagli abitanti. I casi più rappresentativi sono costituiti, sulla costa orientale, da al-Huwaila, territorio dei Musallam, e, sulla costa occidentale, da Zubara, fondata dagli al-Khalifa della tribù degli Utub, stabiliti in Kuwait e in Bahrain. La fortuna degli abitanti è dovuta soprattutto al commercio delle perle. Al-Huwailah era un villaggio fiancheggiato da una fortezza posta sul perimetro di una profonda baia, le sue attività principali erano la pesca e la raccolta della madreperla. Il forte fu oggetto di scavo, ma in seguito scomparve assieme al villaggio a causa di un progetto di sistemazione di un porto privato. Zubara si prolunga fin sull'acqua ed è circondata da due mura di cinta bastionate; benché l'area sia ancora in corso di scavo, sono stati portati a vista e restaurati mercati (sūq) e numerose residenze del XVIII secolo. I circa 30 forti che costellano la costa del paese, sia isolati sia nei pressi dei villaggi, sono ancora visibili e testimoniano del periodo ottomano; il forte di Bir Zekrit, sulla costa occidentale presso Dukhan, è stato recentemente riportato alla luce. In occasione di un inventario effettuato tra il 1985 e il 1986 sulla totalità della superficie della penisola sono stati registrati 220 monumenti di architettura tradizionale, benché la gran parte di essi sia andata oggi completamente distrutta.
C. Hardy-Guilbert, Fouilles archéologiques à Murwab, Qatar, in R. Boucharlat - J.-F. Salles (edd.), L'Arabie orientale, Mésopotamie et Iran méridional de l'âge du fer au début de la période islamique (Réunion de travail, Lyon 1982), Paris 1984; Ead., Qatar: Architectures, catalogue de l'exposition sur le patrimoine architectural traditionnel du Qatar, Paris 1985; B. de Cardi (ed.), Qatar Archaeological Report, Excavations, Oxford 1993.
di Claire Hardy-Guilbert
Situato a nord della penisola dell'Oman, questo emirato ha concepito il primo progetto di archeologia islamica basato sulla cooperazione internazionale: quello del sito di Giulfar (v.).
L'esplorazione del territorio è stata particolarmente intensa nel corso di questi ultimi venticinque anni, concentrandosi su tre siti della fascia costiera: Giulfar, Giazirat al-Hulaila e Kush, situati in un raggio di 15 km. I risultati ottenuti coprono una sequenza cronologica che va dal V al XVII secolo e che permette di proporre le prime spiegazioni dei fenomeni di urbanizzazione in questa regione a partire dal periodo sasanide sino all'orizzonte attuale. Sono state rilevate sia le torri di avvistamento sia le moschee tradizionali prima della loro totale sparizione.
Bibliografia
D. Kennet, The Towers of Ras al-Khaimah, Oxford 1995; T. Sasaki, Umayyad and Abbasid Finds from the 1994 Excavations at Jazirat al-Hulayla, in Bulletin of Archaeology of Kanazawa, 23 (1996), pp. 179-222; D. Kennet, The Development of Northern Ras al-Khaimah and the 14th Century Hormuzi Economic Boom in the Lower Gulf, in ProcSemArSt, 32 (2002), pp. 151-64; Id., Sasanian and Islamic Pottery from Ras al-Khaimah, Classification, Chronology and Analysis of Trade in the Western Indian Ocean, Oxford 2004.
di Claire Hardy-Guilbert
Città portuale degli Emirati Arabi Uniti sulla costa occidentale della penisola di Oman, immediatamente a nord di Ras al-Khaimah, e capitale dell'emirato omonimo.
G. è menzionata in alcuni documenti d'epoca omayyade, durante la quale le forze califfali lottarono contro i capi dell'Oman per la conquista della regione nel 695. Tuttavia gli scavi (intrapresi dagli anni Settanta del XX sec.) hanno dimostrato che G. è più recente. La sequenza cronologica emersa dalle indagini archeologiche copre un arco di tre secoli, dal XIV al XVII, durante il quale G. fu un centro mercantile che godette della protezione dei sovrani di Hormuz, raggiungendo l'apogeo del suo sviluppo tra la fine del XV e la metà del XVI secolo. Rinomata per la qualità delle sue perle, era anche la città natale di Ibn Magid, il navigatore autore delle Istruzioni nautiche (XV sec.). All'assedio posto nel 1633 dall'esercito dell'īmām Nasir ibn Mursid seguì l'abbandono del sito. La città venne identificata da B. de Cardi nel 1968, successivamente uno dei suoi quartieri fu scavato da M. Taha nel 1973-74. I lavori di J. Hansman del 1977, pubblicati nel 1985, riguardavano l'isola di Mahara e G., al-Nudud e al-Mataf. Per iniziativa delle autorità locali, un progetto di cooperazione internazionale riunì, dal 1988 al 1995, quattro équipes di archeologi: una tedesca, una britannica, una francese e una giapponese. A ciascuno dei quattro gruppi, per cinque campagne archeologiche, la Direzione delle Antichità di Ras al-Khaimah attribuì un settore di scavo.
Il sito di G. si estende per 2 km lungo la costa per una larghezza compresa tra 300 e 400 m. I monti al-Haggiar circondano la pianura adiacente al suo lato orientale e uno sperone sabbioso (datato al 5000 a.C.) lo separa a sud-ovest dal mare. Questa configurazione naturale assicurava alla città una protezione sia dall'entroterra sia dal mare, permettendo solo a piccole imbarcazioni di avvicinarla. Un muro di cinta di mattoni crudi, rinvenuto dalle missioni archeologiche tedesca e francese, circondava la città medievale su tutti i lati, a eccezione di quello sul mare. Al centro del sito era ubicata la moschea principale, le cui fondamenta erano ancora visibili prima degli scavi britannici; quest'edificio conobbe cinque fasi di costruzione, che rispecchiano lo sviluppo della città. I sette livelli di occupazione individuati dalla missione archeologica giapponese nel quartiere al-Mataf testimoniano della presenza, all'inizio del XIV secolo, di pescatori che abitavano in barastis o case di palme, il cui tetto era sostenuto da pali di legno; tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo la zona fu interessata da una densa urbanizzazione, caratterizzata da costruzioni di mattoni crudi. Nel corso del XV secolo il processo di urbanizzazione cominciò a rallentare e dopo due ulteriori periodi di occupazione, contraddistinti dalla presenza di capanne di palma, il sito venne definitivamente abbandonato.
A ovest della moschea si ergeva un forte, il cui rinvenimento è il più importante risultato degli scavi francesi diretti da C. Hardy-Guilbert. Durante la prima fase di occupazione, nel XIV secolo, una spianata con abitazioni in barastis coesisteva con una costruzione di mattoni crudi, trasformata in forte nel corso della seconda fase (fine del XIV - inizi del XV sec.): la sua facciata fu rinforzata da un paramento di pietra, mentre la spianata esterna fu rialzata e vi furono edificate una torre mediana e torri angolari. Alla fine di queste ristrutturazioni il forte misurava 30 m di lato. Dopo la sua distruzione, avvenuta tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, varie abitazioni occuparono il suolo sopra la sua colmatura in tre fasi successive; l'ultimo livello di occupazione, composto da abitazioni di pietra, risale all'inizio del XVII secolo. Oggi, in superficie, è possibile vedere numerosi focolari e le rovine di una torre di guardia che, fino agli anni Sessanta del Novecento, dominava il sito.
La grande quantità di ceramica comune rinvenuta durante gli scavi attesta la vocazione domestica delle differenti occupazioni di quest'area: pentole, bacini, grandi giare per stoccaggio o impiegate come forno (tannūr). Il Julfar Ware, corrispondente al 20% di tutto il vasellame rinvenuto, è di produzione locale; si tratta di una ceramica rossa ricoperta di ingobbio color crema con decorazione dipinta a linee verticali, ondulate o intrecciate di colore rosso. Le forme dei recipienti sono svariate, la più caratteristica è una brocca con beccuccio a ponte riscontrata anche in Yemen e Africa orientale. Fiaschette e piccoli boccali con motivi incisi o stampati erano importati dalle botteghe di Minad, sulla costa iraniana; dall'India e dalla regione dell'odierno Pakistan provenivano invece brocche e pentole a pancia carenata, oltre a braccialetti di vetro e gioielli in cornalina. Dall'Estremo Oriente erano importate ceramiche di grande qualità come i céladon di Longquan e le porcellane bianche e blu del Jingdezhen di epoca Ming; esse testimoniano dell'elevato livello di vita degli abitanti di G. e della vitalità degli scambi commerciali tra la fine del XV secolo e la metà del successivo. L'archeozoologia fornisce informazioni sui mezzi di sussistenza. La capra era il principale animale domestico, tuttavia la fonte alimentare primaria era rappresentata dal pesce (cernie, pesci imperatore, orate, barracuda, tonni, palamite e pesci spada); è inoltre attestato il consumo di tre tipi di molluschi.
J. Hansman, Julfar, an Arabian Port. Its Settlement and Far Eastern Ceramic Trade from the 14th to the 18th Centuries, London 1985; G.R.D. King, Excavations by British Team at Julfar, Ras-al-Khaimah, United Arab Emirates: Interim Report on the First Season (1989), in ProcSemArSt, 20 (1990), pp. 79-93; C. Hardy-Guilbert, Julfar, cité portuaire du golfe Arabo-Persique à la période islamique, in AIslam, 2 (1991), pp. 161-203; G.R.D. King, Interim Report on the Second Season (1990), in ProcSemArSt, 21 (1991), pp. 123-34; Id., Interim Report of the Third Season (1991), ibid., 22 (1992), pp. 47-54; T. Sasaki - H. Sasaki, Japanese Excavations at Julfar, 1988, 1989, 1990 and 1991 Seasons, ibid., pp. 105-21; T. Sasaki, Excavations at Julfar in 1992 Season, in Bulletin of Archaeology of Kanazawa, 20 (1993), pp. 1-49; C. Hardy-Guilbert, Mission archéologique française à Julfar, Émirats Arabes Unis (1993-1994), 1994 (rapporto inedito CNRS Paris); T. Sasaki, 1993 Excavations at Julfar, in Bulletin of Archaeology of Kanazawa, 21 (1994), pp. 1-106; T. Sasaki et al., Technical Studies on the Ceramics Excavated from Julfar in Ras Al-Khaimah', ibid., pp. 107-25; H. Morel, La céramique sans glaçure à décor moulé islamique aux XIVe-XVIIe siècles, à partir du matériel de Julfar, in La céramique médiévale en Méditerranée, Actes du 6e congrès de l'Aiecm 2, Aix en Provence 1997, pp. 585-88; J. Desse - N. Desse-Berset, Julfar (Ras al Khaimah, Émirats Arabes Unis), ville portuaire du golfe arabo-persique (VIIIe-XVIIe siècles): exploitation des mammifères et des poissons, in M. Mashkour et al. (edd.), Archaeozoology of the Near East, IV. Proceedings of the Fourth International Symposium on the Archaeozoology of Southwestern Asia and Adjacent Areas, 4th International Conference of ASWA (Paris, 29 June - 3 July 1998), Groningen 2000, pp. 79-93; D. Kennet, Julfar and the Urbanisation of Southeast Arabia, in ArabAEpig, 14 (2003), pp. 103-25; M. Pirazzoli-t'Serstevens, La céramique extrême-orientale à Julfar dans l'émirat de Ra's al-Khaimah (XIVe-XVIe siècles), indicateur chronologique, économique et culturel, Pékin 2003; D. Kennet, Sasanian and Islamic Pottery from Ras al-Khaimah, Oxford 2004.
di Geoffrey R.D. King
Il più esteso tra gli Emirati, Abu Dhabi presenta una lunga linea costiera punteggiata da molte isole e una vasta area desertica interna, che prosegue in Arabia Saudita e in Oman. I risultati dell'indagine archeologica in questo emirato vanno considerati nel più ampio contesto delle ricerche effettuate negli Emirati limitrofi e nell'Oman del Nord e, verso est, nel Qatar e nel Bahrain.
Le più antiche fonti islamiche dicono poco dell'area e ne ignorano il nome, che compare solo in testi più tardi. Nelle regioni interne i siti archeologici sono dislocati nelle oasi o là dove le pianure interdunali sono prive di sabbie, e si datano generalmente alla tarda età della Pietra (ca. 7000-6000 a.C.) o all'epoca tardoislamica (ca. XIV-XVI/XIX sec.). Solo al-Ayn ha rivelato resti archeologici databili al periodo protoislamico. Le più grandi oasi dell'Emirato, incluse Liwa e al-Ayn/al-Buraimi, hanno grandi giardini e palmeti irrigati da pozzi artesiani. Ad al-Ayn ci sono anche sofisticati sistemi definiti falaǧ (canali sotterranei per l'acqua), di difficile datazione a causa delle frequenti ripuliture e quindi della rimozione dei depositi archeologici. Vi è stata scavata una moschea con miḥrāb, che consente di fissare un terminus post quem intorno al 707-709 e che ha restituito ceramica protoislamica. Campioni provenienti da uno dei vicini falaǧ sottoposti all'analisi del 14C hanno fornito una datazione oscillante fra il 670 e l'820, che collima con la presenza di ceramica invetriata blu protoislamica rinvenuta sia nel canale sia nella moschea. Queste date corrispondono a una più diffusa evidenza di insediamenti sulle isole dell'Emirato di Abu Dhabi e altrove negli Emirati Arabi Uniti e in Oman nello stesso periodo.
Nelle oasi maggiori, inclusa quella di al-Ayn, vi sono fortificazioni, tutte di età tardoislamica. Al-Ayn/Tuwwām potrebbe essere associata con una cittadella (qaṣaba) nota alle più antiche fonti islamiche (VII sec.) come al-Riyām, tuttavia il sito non è stato ancora identificato. Nell'oasi di Liwa le rovine di 10 fortificazioni di mattoni crudi (alcune delle quali restaurate) mancano di dati archeologici che consentano di datarle. I resti di una fortezza a Mantiqat al-Sirra (presso l'od. Medina Zayed), verosimilmente correlata con una pista che collegava l'oasi con la costa, possono forse essere riferiti a quella che le fonti situano nell'area di Dhafra, nel 1633, e utilizzata dagli antenati degli šayḫ dei Bani Yas, la famiglia regnante di Abu Dhabi. Gli scavi hanno riportato alla luce ceramica tardoislamica; allo stesso periodo si suppone risalgano i pozzi rinvenuti nel sito poco distante di al-Muassiri. Durante tutto il periodo islamico le oasi dell'interno sembrano essere state sedi di insediamenti permanenti o semipermanenti, i cui abitanti avevano creato strette relazioni economiche e sociali con quelli delle vicine zone desertiche. Le vie carovaniere e gli accampamenti in uso nel tardo periodo islamico sono segnalati da rinvenimenti sporadici: prevalentemente ceramica, inclusa invetriata proveniente dall'Iran (Tawi Baduwa Shwaiba, Sahil). Di particolare interesse è il sito di Giaw Sahhab, nella parte meridionale del deserto di Abu Dhabi, dove è stata rinvenuta ceramica della tarda età del Bronzo e dell'epoca tardoislamica, insieme con pozzi abbandonati in una data incerta.
Altrettanto interessante è la zona costiera. In contrasto con la scarsità delle informazioni scritte, gli scavi e i resti archeologici dell'ultima decade hanno dimostrato l'estensione degli insediamenti sulle isole dell'Emirato, nei periodi preislamico e islamico. In mare aperto vi sono molte grandi isole, alcune montagnose, tra cui Sir Bani Yas e Dalma, che presentano entrambe insediamenti islamici. Di notevole consistenza sono i resti ceramici che attestano stanziamenti nelle isole di Abu Dhabi per l'epoca pre- e protoislamica. Tra il IX e il XIV secolo vi è uno iato inspiegabile, in termini di rinvenimenti, sebbene siano state ottenute indicazioni, tramite l'analisi al 14C, della presenza di focolari in questo arco di tempo. Si hanno diffuse evidenze archeologiche di insediamenti sia stagionali sia permanenti dal XIV-XV secolo circa fino all'avvento dell'industria del petrolio. Molte isole di Abu Dhabi presentano coste basse, alcune a struttura calcarea, altre sabbiosa. Gran parte dei rinvenimenti archeologici d'epoca islamica consiste in semplici muretti di pietra per deviare le acque in maniera da trattenere, durante i rari periodi piovosi, la maggior quantità possibile di acqua di superficie. Lontano dalle coste e in mare più aperto vi sono fonti d'acqua dolce, già sfruttate nel passato. La presenza un tempo di 200 pozzi d'acqua dolce sull'isola montagnosa di Dalma attesta evidenze di occupazione nel corso di gran parte del periodo islamico e anche durante le fasi precedenti. Vi sono tumuli con ceramica in superficie includenti quella cosiddetta "protoislamica/sasanide" e tardoislamica. Un edificio ora scomparso, segnalato a Dalma nel 1979 da S. Cleuziou (una struttura protoislamica/sasanide nei suoi caratteri principali), colloca il sito DA 7 nell'ampio contesto di insediamenti di questo tipo. Nella stessa località è stata rinvenuta anche ceramica in pasta silicea (Fritware) del XIV secolo importata dall'Iran. Sulla penisola di Silac, nella parte più occidentale, è stata trovata molta ceramica non invetriata tardoislamica.
Testimonianza archeologica dello sfruttamento delle scarse risorse d'acqua in età tardoislamica da parte dei pescatori di pesce e perle è stata fornita dagli scavi sull'isola di Balghelam, a est della città di Abu Dhabi, dove, oltre agli usuali tumuli di gusci d'ostrica, sono stati rinvenuti 11 pozzi. Un canale di deviazione delle acque di pietra (lungo 70 m) convogliava l'acqua piovana di superficie verso i pozzi. I depositi archeologici da due dei pozzi di Balghelam suggeriscono una datazione attorno al XVIII-XIX secolo. Nelle isole la ceramica associata ai tumuli di gusci d'ostrica è generalmente tardoislamica, soprattutto non invetriata, di produzione dell'Arabia sud-orientale. Occasionalmente si rinviene anche ceramica tardoislamica invetriata, importata dall'Iran, inclusa la produzione di Khunǧ. In un accampamento sul lato nord dell'isola di Sir Bani Yas (SBY 19) i rinvenimenti ceramici includono céladon estremo-orientali e porcellana blu e bianca databile a circa il XV-XVI secolo, suggerendo una prosperità tale da permettere l'importazione di questi beni di lusso, persino in un accampamento nomade. In ogni caso l'incidenza di prodotti ceramici estremo-orientali nei siti islamici delle isole costiere di Abu Dhabi è decisamente inferiore rispetto al centro commerciale di Giulfar (v.).
Vi è prova di un'abbondante presenza di insediamenti in queste isole di Abu Dhabi nei secoli che precedono l'avvento dell'Islam, e in qualche caso perdurano fino alla prima fase islamica. Alcuni siti presentano ceramica invetriata e non e ‒ nel caso di Ghagha (la più occidentale) e Sir Bani Yas ‒ vetro: materiali importati dall'Iran o dall'Iraq e che corrispondono a ceramica similare ritrovata altrove negli Emirati Arabi, in Ras al-Khaimah e nei siti di Musandam e ancora sulla costa di Batina in Oman, databile a una fase tardoislamica. Per quanto riguarda i siti attestati solo attraverso frammenti ceramici o tumuli di conchiglie, si deve supporre la presenza di capanne di paglia (῾arīš), una tipologia nota lungo la costa e nell'interno dalla tarda età della Pietra fino al periodo premoderno. Altrove, a Ghagha, Yasats, Dalma e Sir Bani Yas, vi sono tracce di strutture a carattere più permanente. Tra i più soprendenti ritrovamenti archeologici sulle isole sono quelli di un monastero e di una chiesa del V-VI secolo ad al-Khawr, a Sir Bani Yas. A giudicare dalle analisi al 14C e dai rinvenimenti ceramici essi furono in uso fino al periodo protoislamico prima di essere definitivamente abbandonati prima del IX secolo. Nell'isola di Marawah, sul lato nord del canale di Khawr al-Bazm, insediamenti pre- e protoislamici sono attestati dalla presenza di ceramica invetriata blu del VI-VII secolo e di ceramica tardoislamica. La vita continuò a Marawah nel corso delle varie fasi islamiche e le analisi al 14C nei siti di MR 6.1 e MR 6.3 hanno fornito datazioni tra il 640 e l'850 e tra il 901 e il 1213. Un insediamento protoislamico è attestato anche nell'isola di Abul-Abyad, a est di Marawah, dove le analisi al 14C su prelievi da focolari e da altri siti provano l'evidenza di attività nel III-VI secolo e nella prima fase islamica (690-754; 757-895; 924-938).
La città di Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, si è sviluppata in maniera massiccia nelle ultime decadi e le uniche sopravvivenze archeologiche del periodo islamico sono state rinvenute in un cimitero tardoislamico e in un sito nei pressi dell'aeroporto. La ceramica proveniente da siti ora non più esistenti costituisce in ogni caso una minore ma importante evidenza dell'antichità dell'insediamento sull'isola, ove sorge la città odierna. Sorprendente è stato il rinvenimento, nell'area del Golf Club, di ceramica islamica invetriata importata (IX-XIII sec.), tra cui un frammento di graffita del X-XIII secolo. Questa persistente, anche se rara, evidenza di ceramica databile a tale periodo dovrebbe essere considerata nel contesto dei siti di Murwab nel Qatar, al-Giumayra nell'Emirato di Dubai e Giulfar nell'Emirato di Ras al-Khaimah, tutti insediamenti del periodo abbaside. La maggior parte dei siti delle isole di Abu Dhabi è associata a rinvenimenti ceramici della fase tardoislamica, consistenti prevalentemente in produzione non invetriata proveniente da fornaci dell'Arabia sud-orientale (Wadi Haqil nel Ras al-Khaimah, Lima in Musandam, la costa di Batina e Bahla in Oman, Bahrain e, forse, al-Hufuf in Arabia Saudita). Altra ceramica tardoislamica veniva importata dall'Iran, inclusi i manufatti invetriati di Khunǧ, spesso confusi con la produzione di Bahla in Oman. Occasionalmente sono stati rinveniti céladon estremo-orientali e porcellane successive al XIV secolo, che hanno contribuito alla datazione della produzione ceramica locale dell'Arabia sud-orientale. Una serie unica di siti tardoislamici è a Giabal Dhanna, un'altura sulla costa estremo-occidentale di Abu Dhabi, dove tra il XVII e il XIX secolo molti pozzi minerari fornirono zolfo di grande purezza e in abbondante quantità.
B. Vogt et al., The Coastal Survey in the Western Province of Abu Dhabi, 1983, in Archaeology in the United Arab Emirates, 5 (1989), pp. 49-60; D. Potts, The Arabian Gulf in Antiquity, II, Oxford 1990; P. Hellyer, New Discoveries on Dalma and Sir Bani Yas, in Tribulus. Bulletin of the Emirates Natural History Group, 3, 2 (1993), p. 16; B.J. Slot, The Arabs of the Gulf, 1602-1784, Leidschendam 1993; G.R.D. King et al., A Report on the Abu Dhabi Islands Archaeological Survey (1993-94), in ProcSemArSt, 25 (1995), pp. 63-74; ῾Abd al-Sattār ῾Azzawī, Muršid al-mubānī al-turāṯīya fī ǧazīra Dalmā (1418) [Guida degli edifici ereditati nell'isola di Dalma (1418)], Abu Dhabi 1996; S. Garfi, Excavations on Balghelam Island. A Preliminary Report, in Tribulus. Bulletin of the Emirates Natural History Group, 6/2 (1996), pp. 5-10; G.R.D. King, The History of the UAE: the Eve of Islam of the Islamic Period, Perspectives on the United Arab Emirates, Abu Dhabi 1997, pp. 74-94; Id., A Nestorian Monastic Settlement on the Island of ṣĪr Banī Yās, Abu Dhabi: a Preliminary Report, in BSOAS, 60, 2, (1997) pp. 221-35; G.R.D. King - P. Hellyer, A Preliminary Note on Ceramics from Qarnein Island, in Tribulus. Bulletin of the Emirates Natural History Group, 7, 2 (1997), pp. 25-27; P. Hellyer, Filling in the Blanks. Recent Archaeological Discoveries in Abu Dhabi, Abu Dhabi 1998; Id., Hidden Riches. An Archaeological Introduction to the United Arab Emirates, Abu Dhabi 1998; G.R.D. King, Abu Dhabi Islands Archaeological Survey (ADIAS 1): an Archaeological Survey of Sîr Banî Yâs, Dalmâ and Marawah (21st March to 21st April, 1992), Abu Dhabi 1998; Id., Abu Dhabi Islands Archaeological Survey, Season 1, London 1998; G.R.D. King - C. Tonghini, The Western Islands of Abu Dhabi Emirate: Notes on Ghagha, in Studies in Honour of Beatrice de Cardi, London 1999, pp. 117-42; R. Carter, New Evidence for the Medieval Occupation of Abu Dhabi, in Tribulus. Bulletin of the Emirates Natural History Group, 10, 1 (2000), pp. 10-11; G.R.D. King, The Coming of Islam and the Islamic Period in the UAE, in I.A. al-Abed - P. Hellyer (edd.), United Arab Emirates. A New Perspective, London 20012, pp. 70-97; P. Hellyer - D. Hull, The Archaeology of Abu Al Abyad, in R.J. Perry (ed.), The Island of Abu Al Abyad, Abū Ḍabī 2002, pp. 17-38; W.Y. al-Tikrītī, Al-aflaǧ fī dawlat al-imārāt al-῾arabīyat al-mutahida. Dirasāt āṯārīya fī anzamat al-rayy al-qadīma [I falaǧ nel regno degli Emirati Arabi Uniti. Studi archeologici degli antichi sistemi di irrigazione], Abu Dhabi 2002; G.R.D. King (ed.), Sulphur, Camels and Gunpowder. The Sulphur Mines at Jebel Dhanna, Abu Dhabi, United Arab Emirates. An Archaeological Site of the Late Islamic Period, Abu Dhabi 2003; G.R.D. King - P. Hellyer, Islamic Archaeology in the Deep Sands of Abu Dhabi Emirate, U.A.E., in Proceedings of the First Archaeological Conference on the U.A.E., Abu Dhabi 2003, pp. 263-76; www.adias-uae.c.
di Paolo M. Costa, Claire Hardy-Guilbert
A lungo chiuso verso ogni forma di investigazione, sia per le sue barriere naturali, sia per l'ostracismo del sultano Said ibn Taymur, padre del sultano Qabus, l'Oman annovera ancora solo pochi siti archeologici.
Gli archeologi hanno dimostrato tuttavia un particolare interesse per le sue moschee; la più antica portata in luce si trova a Salala, o al-Balid, la Zafar medievale, situata sulla costa meridionale del sultanato che conobbe un considerevole sviluppo nel corso del XII secolo. Muqqadasi menziona una moschea più antica a Suhar, che visitò nel X secolo e che descrive come provvista di un alto minareto e di un miḥrāb rivestito di mattonelle di ceramica a lustro metallico simile a quello che doveva esistere nella grande moschea di Mascate. I metodi di conquista dei Portoghesi ‒ saccheggio e incendio ‒ hanno causato la scomparsa di numerosi monumenti e soprattutto delle moschee: quelle di Mascate e di Qalhat hanno subito questa sorte. Altre, come la grande moschea di Nizwa e quella di Nakhl, sfuggite alla furia dei Portoghesi, sono state distrutte nel 1989 per dar posto a costruzioni moderne.
Gli scavi nella città portuale di Suhar hanno messo in evidenza una fondazione preislamica del III-IV secolo e la sua attività commerciale a lunga distanza con l'India e la Cina, attiva fino all'XI-XII secolo. Sembra che il sito sia stato abbandonato da questo periodo fino al XVI-XVII secolo quando fu nuovamente occupato, anche se in modo sporadico. A Sumhuram (Khor Rori) gli scavi dell'antico porto, iniziati nel 1997, sono giunti nel 2000 fino al promontorio di al-Hamr al-Sharqiya protetto sul lato terra da un muro con bastioni rettangolari. All'interno, contro il muro di cinta, si sviluppa un complesso fortificato in cui sono stati portati a vista ambienti di abitazione e magazzini. La ceramica invetriata blu-verde o a lustro metallico permette di ipotizzare un periodo di occupazione tra il IX e il X secolo. Zafar, 30 km a ovest della città fortificata di Sumhuram, l'antico porto arabo di Moscha, è identificata come il deposito musulmano per il commercio dell'incenso per tutta questa regione denominata Dhofar o Zafar. La sua fondazione sembra risalire alla seconda metà del X secolo dal momento che non figura nella lista dei porti di questa costa stilata da al-Hamdani (m. 945). Ibn Mugiawir (XIII sec.) data la sua distruzione al 1221, ma la città sarebbe stata ricostruita durante il regno del rasulide al-Mansur (1229-1250). Ibn Battuta la visitò due volte nel corso del XIV secolo e testimoniò la sua prosperità, dovuta al commercio dell'incenso e all'esportazione dei cavalli in India. Durante il secolo successivo la città fu inglobata nei possedimenti degli al-Khatir, che controllavano l'intero Hadramaut fino ad al-Shihr (v.), e finì per scomparire all'arrivo dei Portoghesi. Nell'area sono state registrate sei moschee isolate o annesse a un cimitero, una costruzione quadrata di 26 m di lato con corte centrale e numerosi elementi architettonici di pietra scolpita.
La città di Zafar ci è nota anche dalle descrizioni di viaggiatori europei, fra cui Marco Polo. Altre notizie ci sono fornite da scrittori cinesi sulla base dei contatti commerciali promossi dai sovrani Yuan a partire dal XIII secolo e in seguito sotto la dinastia Ming, che durante tre secoli di regno incrementò i contatti con il mondo islamico. Le ricerche condotte dal Ministero del Patrimonio Culturale fra il 1976 e il 1986 (Costa 1979; scavi successivi e lavori di conservazione sono tuttora in corso, condotti da una missione a cura del Ministero dell'Informazione) hanno avuto per scopo principale lo studio dell'impianto della città che si estendeva lungo la costa per una lunghezza di 1600 m e una larghezza di circa 500 m, in un tratto compreso fra due insenature naturali, oggi separate dal mare. Le due insenature furono collegate da un canale artificiale e utilizzate per la difesa della città che assunse l'aspetto di un'isola artificiale. Gli scavi hanno portato alla scoperta di una linea difensiva, lungo il lato costiero, dotata di tre porte, e di una cortina interna che divideva l'abitato in due aree: quella occidentale, che comprendeva edifici di maggiore importanza, tra cui il palazzo del re e la Grande Moschea, e quella orientale, in cui si rilevano costruzioni più modeste e vasti spazi vuoti probabilmente destinati a mercati. Lo scavo ha messo in luce la Grande Moschea, costruita su un terrazzamento artificiale che lo eleva di circa 6-7 m sul livello circostante, che si affaccia con il lato occidentale su una grande piazza fiancheggiata dal palazzo reale. La costruzione (100 × 40 m) ha un cortile centrale di 15 m di lato, circondato da gallerie con tetto piano e colonne monolitiche; la sala di preghiera conta 13 navate.
Fonti:
Ibn Battuta, Voyages, traduction de l'arabe de C. Defremery et R.B. Sanguinetti, I, Paris 1858; Ibn al-Muǧāwir, Descriptio Arabiae Meridionalis, Ta'rīḫ al-mustabṣir (ed. O. Löfgren), Leyden 1951-54; al-Hamdānī, ṣifat ǧazīrat al-῾Arab (ed. D.H. Müller), Leyden 19682.
Storia e archeologia:
D. Whitcomb, The Archaeology of Oman: a Preliminary Discussion of the Islamic Periods, in JOmanSt, 1 (1975), pp. 123-57; P.M. Costa, The Study of the City of ẓafār (al-Balīd), ibid., 5 (1979), pp. 111-50; J.C. Wilkinson, Suhar (Sohar) in the Early Islamic Period: the Written Evidence, in M. Taddei (ed.), South Asian Archaeology, 4th Conference of the Association of South Asian Archaeologists in Western Europe 1977, II, Naples 1979, pp. 887-907; P.M. Costa - T.J. Wilkinson, The Hinterland of Sohar, Archaeological Surveys and Excavations within the Region of an Omani Seafaring City, in JOmanSt, 9 (1987), cap. 7 (Excavations at ῾Arja), pp. 133-238; P.M. Costa, Historical Interpretation of the Territory of Muscat, in P.M. Costa - M. Tosi (edd.), Oman Studies, Roma 1989, pp. 97-118; P. Yule (ed.), Studies in the Archaeology of the Sultanate of Oman, Rahden 1999; A. Avanzini et al., Khor Rori, Sultanate of Oman (2000-2001), Pisa 2001; P.M. Costa, Historic Mosques and Shrines of Oman, Oxford 2001; J. Zarins, The Land of Incense. Archaeological Work in the Governorate of Dhofar, Sultanate of Oman, 1990-1995, Muscat 2001; A. Avanzini (ed.), Khor Rori Report 1, Pisa 2002; M. Kervran, Archaeological Research at Suhar 1980-1986, in JOmanSt, 13 (2004), pp. 263-381.
di Claire Hardy-Guilbert
A Sanaa (v.) sono stati effettuati soltanto sondaggi occasionali. Tuttavia la madīna posta alle spalle dei suoi solidi bastioni, così come la nuova città che la circonda a ovest e a nord, sono oggetto di numerose ricerche in ambito storico e architettonico. Nella grande moschea, in occasione del restauro del muro orientale eseguito nel 1972, all'interno del soffitto sono stati scoperti frammenti di manoscritti coranici databili all'VIII e al XII secolo.
Nella regione di Sanaa il complesso architettonico di Zafar dhi-Bin, datato al XIII secolo, e la moschea di al-Abbas, costruita un secolo prima nei pressi del villaggio di al-Asnaf, sono stati oggetto di ricerche. A Zafar dhi-Bin, all'interno di una cinta muraria, sulla sommità di una montagna, si trovano una moschea (costruita dall'īmām al-Mansur bi-llah), due mausolei e un cimitero. Questo complesso ha restituito un gran numero di iscrizioni (Schneider 1985; Coussonnet - Ory 1996). La moschea di al-Abbas, a 30 km da Sanaa, è stata indagata a partire dagli anni Ottanta del Novecento e ha subito un restauro durato quasi vent'anni (Ory et al. 1999). Nella fortezza di Zabid (v.) sono stati condotti scavi a cominciare dal 1980. A partire dal 1993 l'archeologia si è orientata sui porti. Le prospezioni sulle coste yemenite hanno sottolineato l'importanza del periodo islamico e hanno indotto a ricerche archeologiche in numerosi siti maggiori, al-Shihr (v.) e Sharma, e a uno studio approfondito della costa meridionale di Mukalla, alla frontiera con l'Oman. Mokha, sul Mar Rosso, è attualmente poco più di un villaggio in cui sono ancora visibili le rovine di alcune dimore ottomane; è ancora possibile individuare la localizzazione del porto, del muro di cinta e dei suoi dieci bastioni, seppelliti sotto la sabbia e databili a fine XVI - inizio XVIII secolo, il periodo della sua espansione commerciale dovuta al caffè. Il sito è disseminato di frammenti di porcellana cinese e di ceramica abbastanza fine prodotta localmente nella città di Madinat al-Salama, nei pressi di Hays. Prima del caffè la prosperità di Mokha era dovuta al commercio delle spezie e delle stoffe di cotone indiane. Nel 1575 lo Sceriffo di Mecca dovette constatare il declino delle dogane di Gedda a vantaggio di Mokha dove la transazione del pepe era trattata direttamente con l'Egitto. Tuttavia, in superficie, non è stata individuata alcuna traccia di un'occupazione precedente al XIV secolo.
La sistemazione marittima del porto di Aden ha scoraggiato gli archeologi a intraprendere ricerche nell'Arabia felix, nome attribuito anticamente a una regione in cui prosperava il commercio di prodotti rari tra l'India e il Mediterraneo (Harding 1964). Viceversa, l'oasi di Abyan, a 50 km a est, nella foce del wādī omonimo, considerata un granaio, comprende una dozzina di siti per i quali l'occupazione data dall'epoca protoislamica fino al XV secolo. Il sito di al-Tariya è stato scavato e vi è stato scoperto un tesoro di monete, oggetto di recenti studi. Questo corridoio fertile che penetra per non oltre 23 km all'interno delle terre presenta tracce di scambi commerciali. Il commercio con la Cina è attestato sin dal IX secolo dalla presenza di giare Dusun associate alle giare sasano-islamiche prodotte a Basra (v. in L'Asia islamica. Iraq). Al-Shihr (v.), invece, giocò il ruolo di porto del Hadramaut sull'Oceano Indiano durante gli undici secoli di contatti con l'Africa, l'India e la Cina. Il porto di Sharma, forse fondato da mercanti stranieri, servì da deposito di merci in transito tra la fine del X e l'inizio del XII secolo; la maggior parte della ceramica portata alla luce è d'importazione e quella cinese è di considerevole qualità (Rougeulle 2004).
H.C. Kay, Yaman: Its Early Mediaeval History by Najm al-Din ῾Omarah al-Hakami London [1892]; G.L. Harding, Archaeology in the Aden Protectorates, London 1964; B. Finster, Die Moschee von ṣan῾ā', die Moschee von ḏŪ Ašrāq, die Moschee von Ibb, Die Moschee von ḏĪbīn, in ABerYem, 1 (1982), pp. 197-221, 225-32, 241-46, 269-75; R.B. Serjeant - R. Lewcock (edd.), San῾ā'. An Arabian Islamic City, London 1983; M. Schneider, Les inscriptions arabes de Zafâr-Dî-Bîn (Yémen du Nord), in JAs, 273 (1985), pp. 61-137, 293-369; D. Whitcomb, Islamic Archaeology in Aden and the Hadhramaut, in D.T. Potts (ed.), Araby the Blest: Studies in the Arabian Archaeology, Copenhagen 1988, pp. 176-263; N. Coussonnet - S. Ory, Les inscriptions de la mosquée de ḏĪ Bīn au Yémen, in Les Cahiers de CFEY, 1 (1996), pp. 1-70; C. Hardy-Guilbert - A. Rougeulle, Ports islamiques du Yémen. Prospections archéologiques sur les côtes yéménites (1993-1995), in AIslam, 7 (1997), pp. 147-96; S. Ory et al., De l'or du sultan à la lumière d'Allah, La mosquée al-῾Abbās à Aṣnāf (Yémen), Damas 1999; A. Rougeulle, Le Yémen entre Orient et Afrique: Sharma, un entrepôt du commerce médiéval sur la côte sud de l'Arabie, in AnnIsl, 38, 1 (2004), pp. 201-53.
di Michael Jung
Sito archeologico dello Yemen, ai margini del villaggio di al-Manara, nella pianura alluvionale del Wadi Surdud nella Tihama settentrionale, circa 15 km a est di al-Zaidiyya.
Le notizie più antiche su al-M. fornite da fonti arabe risalgono al IX secolo (al-Yaqubi, p. 318). Già capoluogo del distretto di Tihama, conobbe la massima fioritura sotto i Rasulidi (1229-1442), sia come centro agricolo con coltivazioni di frutta, in particolare banane (al-Dimashqi, p. 216), sia in virtù della posizione lungo il ramo interno della strada del pellegrinaggio Aden - Mecca (al-Hamdani, in Forrer 1942, p. 243); fu capitale della Tihama settentrionale, kursī al-malik (sede reale del governo, secondo Umara al-Hakami, p. 120) e sede della zecca per quasi un secolo. Fu feudo di al-Muzaffar Shams al-Din Yusuf (1250-1295), ma il declino ebbe inizio già durante il suo governo, sia per i continui attacchi da parte degli īmām zayditi sia a causa delle lotte intestine tra le tribù della Tihama. Sembra che la città sia stata abbandonata nel XVI secolo e che nel successivo era "una rovina abitata da animali selvatici" (Ibn al-Husayn, p. 475). Più scarsi sono i dati forniti dalle fonti sulla cultura storico-artistica della città. Abu'l-Fida (pp. 88-89) la descrive come una delle più belle dello Yemen ed è l'unico autore a menzionare l'esistenza di ben due moschee congregazionali (ǧāmi῾). Lo storico dei Rasulidi al-Hazragi annovera la Grande Moschea tra le opere commissionate da al-Muzaffar Shams al-Din Yusuf, su suggerimento di un famoso qāḍī (giudice) della Tihama (m. 1267, probabile terminus ante quem per la moschea). Presentava con ogni probabilità un cortile e una serie di piccole cupole sopra la navata (o le navate) del ḥaram con il muro qiblī, pertanto era probabilmente simile all'omonima moschea di Taizz edificata dallo stesso sultano tra il 1249 e il 1295.
Il minareto della ǧāmi῾ al-Muzaffari, di mattoni cotti e con una ricca decorazione epigrafica, floreale e geometrica, rappresenta oramai l'unica struttura architettonica superstite ad al-M. I rilievi appiattiti che circondano il minareto indicano la posizione delle strutture, andate in rovina, della moschea e dell'antico centro abitato; in superficie si conservano solo mattoni cotti, frammenti di pietra calcarea e di ceramica. Il pessimo stato di conservazione è dovuto all'utilizzo come cava per il recupero di materiali da costruzione. La missione archeologica dell'IsMEO (oggi IsIAO, Roma) diretta da U. Scerrato effettuò quattro brevi sondaggi nel 1986. Il primo, a nord-est del minareto, portò alla luce i resti di una fornace di cotto al cui interno è stato rinvenuto uno spesso strato di carbone di legna, molta ceramica non invetriata e poca invetriata. Il secondo, in un'area originariamente all'interno della moschea, ha messo in luce due pavimenti la cui pertinenza alla moschea non è tuttavia accertata. Piccoli canali su livelli diversi, adibiti alla distribuzione dell'acqua stagionale del wādī, sono stati scoperti nel terzo. Il quarto sondaggio, infine, 30 m circa a nord-est del minareto, ha rivelato un sistema di pavimenti di cotto e gesso, nonché una conduttura di modeste dimensioni che sbocca in una piccola vasca; non è stato tuttavia accertato se questi elementi facessero parte della zona di abluzione della moschea.
La ceramica comprende una certa quantità di vasellame acromo per la cottura e abbondanti frammenti della caratteristica invetriata rasulide dei tipi Blue Tihama e Green and Yellow Tihama (Ciuk - Keall 1996). È significativa l'assenza di porcellana bianca e blu, diffusa invece in tutta la Tihama tra il XV e il XVIII secolo, testimonianza del precoce declino e abbandono della città. Una grande vasca quadrata (4,6 × 4,6 × 2,1 m) di mattoni cotti si trova su un fianco nella parte nord-ovest della zona archeologica. Il reperto è una testimonianza dello sviluppo del sistema idrico locale in funzione della frutticoltura. Nel corso delle indagini archeologiche fu presa in custodia una lapide di pietra basaltica con iscrizione corsiva, rinvenuta dai contadini nell'area circostante, poi depositata presso il Dipartimento di Antichità di al-Hudayda. Il testo ricorda la fondazione di una zāwiya (piccola moschea) e riferisce che la pietra sarebbe stata trasportata da Mecca nel mese di ramaḍān del 707 a.E. / 1307 d.C.: rappresenterebbe la prima testimonianza di tale usanza.
Fonti:
Abū'l-Fidā', Kitāb taqwīm al-buldān (ed. M. Reinaud), Paris 1848; al-Dimašqī, Kitāb nuḫbat al-dahr fī ῾aǧā'ib al-barr wa'l-baḥr (ed. M.A.F. Mehren), Petersburg 1866; al-Ya῾qūbī, Kitāb al-buldān (ed. M.J. de Goeje), Leiden 1892; Najm ad-Din Omarah al-Hakami, Yaman, Its Early Mediaeval History (ed. H.C. Kay), London 1892; L. Forrer, Südarabien nach Hamdānī's "Beschreibung der Arabischen Halbinsel", Leiden 1942; Ibn al-ḥusayn, ġĀyat al-amānī fī 'l-quṭr al-Yamānī, al-Qāhira 1388/1968.
Letteratura critica:
R. Lewcock - G.R. Smith, Three Medieval Mosques in the Yemen, I, in OrientalArt, 20 (1974), pp. 75-86; E.J. Keall, A Preliminary Report on the Architecture of Zabîd, in ProcSemArSt, 13 (1983), pp. 51-65; R.T.O. Wilson, The Tihāmah from the Beginning of the Islamic Period to 1800, in F. Stone (ed.), Studies on the Tihāmah. The Report of the Tihāmah Expedition 1982 and Related Papers, Harlow 1985, pp. 31-36; L. Costantini - L. Costantini Biasini, Laboratory of Bioarchaeology, in EastWest, 36 (1986), pp. 354-65; B. Finster, Das Minarett von Al-Mahǧam, in ABerYem, 3 (1986), pp. 195-206; U. Scerrato - G. Ventrone - P. Cuneo, Report on the 3rd Campaign for Typological Survey of the Islamic Religious Architecture of North Yemen (Yemen. Archaeological Activities in the Yemen Arab Republic, 1986), in EastWest, 36 (1986), pp. 442-61; C. Ciuk - E. Keall, Zabid Project Pottery Manual 1995. Pre-Islamic and Islamic Ceramics from Zabid Area, North Yemen, Oxford 1996; R. Giunta, The Rasūlid Architectural Patronage in Yemen. A Catalogue, Napoli 1997, pp. 81-82.
di Michael Jung
Capitale dello Yemen. I dati storici relativi al periodo preislamico e protoislamico, sebbene lacunosi, sono forniti da iscrizioni sudarabiche e fonti letterarie, talvolta di interpretazione controversa.
Sappiamo ben poco della sua cultura materiale in quest'epoca. Sull'arte e l'architettura abbiamo le descrizioni di autori arabi del mitico palazzo Ghumdan a più piani (secondo al-Hamdani, pp. 8-22) e della chiesa al-Qalis. Quest'ultima, costruita verso il 550, fu saccheggiata nel 684 e i suoi mosaici furono riutilizzati per abbellire la Ka'ba a Mecca come attesta Masudi; sono comunemente attribuiti a questa costruzione i pochi resti murari di un edificio a pianta centrale di circa 20 m di diametro, chiamato Ghurqat al-Qalis. Nell'XI secolo erano 106 le moschee all'interno delle mura (al-Razi). Lo scavo di una fossa nel cortile della moschea di Ali per l'installazione di un serbatoio idrico ha permesso un'analisi delle stratificazioni archeologiche. Situata nel sūq al-ḥalaqa, la moschea viene attribuita, da una tradizione piuttosto recente, ad Ali bin Abi Talib, genero del Profeta Muhammad, che avrebbe abitato in una casa ubicata nello stesso luogo. Secondo R. Lewcock e i suoi collaboratori la moschea risalirebbe al XII-XIII secolo, mentre il basso minareto presenta una decorazione caratteristica degli inizi del XVI.
L'analisi stratigrafica effettuata da D.A. Warburton ha rivelato dati interessanti sulla posizione topografica dell'edificio nel centro storico, non molto lontano dalla Grande Moschea e dal luogo dove probabilmente sorgeva il palazzo Ghumdan. L'analisi dettagliata della stratigrafia ha rivelato, tra gli altri, un livello IX assegnabile a età protoislamica, con muri di due strutture diverse e reperti ceramici caratterizzati da elementi preislamici; il livello VIII include anche il periodo ayyubide, e il VII risale forse al XVII secolo e all'epoca della costruzione del vicino samsara (sorta di caravanserraglio) da parte di Muhammad bin Hasan (1644-1668). In corrispondenza del livello IV è identificabile un sistema di canali che rispecchia il cambiamento funzionale della zona, in cui le abitazioni furono soppiantate da giardini. Interessante è la supposizione che il miḥrāb di stucco inserito nell'ingresso della moschea attuale, trovandosi in posizione secondaria (databile al XII o agli inizi del XIII sec.), facesse parte della decorazione di una prima moschea ayyubide, poi distrutta e ricostruita quando venne edificato anche il già citato samsara. I saggi effettuati nel 1973 nel corso del restauro statico dei muri perimetrali della Grande Moschea sembrano smentire l'ipotesi, frequentemente espressa in passato, che essa sarebbe stata edificata su un monumento preesistente (tempio sabeo, palazzo Ghumdan o altri).
Bibliografia
Fonti:
al-Hamdānī, The Antiquities of South Arabia, Being a Translation from the Arabic with Linguistic, Geographic, and Historic Notes, of the Eighth Book of al-Hamdānī's al-Iklīl (ed. N.A. Farris), London - Princeton 1938; C. Barbier de Maynard - A. Pavet de Courteille (edd.), Maçoudi, Les prairies d'or (Murūǧ al-ḏahab wa-ma῾ādin al-ǧawhar), Paris 1861-77; ḥ.B. ῾Amrī - ῾A. al-ǧ. Zakkār, Aḥmad b. ῾Abd Allāh al-Rāzī, Tārīḫ madīnat ṣan῾ā', Dimašq 1981.
Storia e archeologia:
P. Costa, La Moschea Grande di Ṣan῾ā', in AnnOrNap, 34 (1974), pp. 487-506; B. Finster, Die Freitagsmoschee von Ṣan῾ā', in BaM, 9 (1978), pp. 92-133 (in part. 125-33); R. Lewcock, The Church (al-Qalīs) of Ṣan῾ā' and Ghumdān Castle, in R.B. Serjeant - R. Lewcock (edd.), Ṣan῾ā'. An Arabian Islamic City, London 1983, pp. 44-48; R. Lewcock et al., The Architectural History and Description of Ṣan῾ā' Mosques: The Great Mosque, ibid., pp. 323-50; R. Lewcock - R.B. Serjeant - G.R. Smith, The Smaller Mosques of Ṣan῾ā', ibid., pp. 351-90 (in part. 353-58, 361, 372); D.A. Warburton, A Stratigraphic Section in the Old City of Ṣan῾ā', in ProcSemArSt, 28 (1998), pp. 271-85.
di Claire Hardy-Guilbert
Noto in epoca preislamica con il nome di al-As῾a, al-Sh. è menzionato in numerose fonti medievali come insediamento costiero tra l'Oman e Aden, tappa lungo la rotta marittima che collegava l'Arabia meridionale con l'India e la Cina.
Nella storia ufficiale dei Tang, alla fine dell'VIII secolo, al-Sh. è menzionato con il nome Shuego quale porto sulla rotta che aveva inizio a Guangzhou (Canton). Capitale del Mahra e uno dei quattro porti dell'Arabia (insieme con Aden, Abyan e Mirbat) sotto il dominio dello ziyadide Ibn Ziyad (819-859), alla fine del X secolo al-Sh. era specializzata nel commercio dell'incenso. Nel XIII secolo Marco Polo la definì città molto importante e dotata di un buon porto; in realtà al-Sh. non presentava impianti portuali, ma faceva comunque parte delle grandi rotte commerciali tra la Cina e il Golfo Persico o il Golfo di Aden, allo stesso titolo di Siraf (v.) in Iran o di Suhar (Oman) e senza dubbio di Aden, anche se per quest'ultima non possediamo ancora prove archeologiche. Assediata più volte, ma senza successo, dai Portoghesi agli inizi del XVI secolo, al-Sh. preservò il ruolo di porta del Hadramaut sull'Oceano Indiano sino al XIX secolo, quando il sultanato qu῾ayti, che all'epoca regnava ad al-Sh., spostò la capitale a Mukalla.
La lunga storia di al-Sh. è archeologicamente documentata sulla collina (tell) di al-Qarya, il più antico quartiere della città, a 60 m dalla riva del mare. Scoperto nel 1995 e sottratto a un progetto di costruzione edilizia, il sito è stato oggetto, a partire dal 1996, di cinque campagne di scavo, condotte da C. Hardy-Guilbert della Missione Archeologica Francese. Gli scavi hanno messo in luce una sequenza di occupazioni di importanza e destinazioni variabili, tra il 780-800 d.C. e il 1996, articolata in varie fasi: una prima occupazione islamica (750-800 ca.), con zone di focolari, depositi di rifiuti alimentari e di ceramica comune formatisi su uno strato di sabbia sterile; un'occupazione di epoca abbaside (850-900) con resti di costruzioni di mattoni crudi e terra battuta; un'importante occupazione con edifici di materiali misti, mattoni crudi e paramento di grossi blocchi di pietra (1000-1100); livellamento di tutte le costruzioni preesistenti sulla collina (XII sec.), seguito da un'occupazione caratterizzata da abitazioni di materiale deperibile di barastis (capanne, focolari, ceneri) che modificò la natura sociologica dell'area (dal 1100 al 1200); nuova occupazione con abitazioni di mattoni crudi (1300-1350 ca.); una serie di occupazioni con strutture di mattoni crudi e pietre, dedicate ad attività domestiche e artigianali; abbandono dell'insediamento alla fine del XIX secolo o agli inizi del XX.
I reperti associati ai diversi livelli di occupazione hanno gettato luce sull'attività portuale di questo quartiere a partire dall'800-850 circa. In quel periodo la ceramica giungeva dai Paesi islamici situati più a nord (Iraq e Iran), ma anche dalla Cina dei Tang (618-906). Sono state identificate inoltre ceramiche provenienti da Samarra (Iraq): giare di produzione sasanide-islamica invetriate blu-verde, brocche del tipo eggshell, coppe invetriate bianche e grigio metallico, con decorazione in blu cobalto, coppe costolate imitanti la porcellana cinese e coppe a macchie di colore blu-verde e bianco. Intorno al 1000 compaiono coppe a lustro metallico; intorno al 1050 la ceramica graffita, proveniente dall'Iraq o dall'Iran, è associata con ceramica africana del tipo Tana. Quella cinese d'epoca Tang e Song è seguita, a partire dal 1350, dalle porcellane bianche di Dehua e dalla porcellana bianca e blu. Tra il 1400 e il 1450 sono importati la Fritware iraniana, che imita la porcellana, e un gran quantitativo di pentole carenate provenienti dall'India o dalla regione dell'attuale Pakistan. Circolano inoltre nel Hadramaut i prodotti dei laboratori della Tihama (Yemen), quali Zabid (v.), a partire dal IX secolo, e Mawza e Hays/Madinat al-Salama, in epoca successiva. La scoperta di officine con resti di crogioli induce a ipotizzare l'esistenza di un artigianato del metallo durante i secoli XV e XVI.
R.B. Serjeant, The Portuguese off the South Arabian Coast: Hadrami Chronicles, Beirut 1974. Id., The Ports of Aden and Shihr (Mediaeval Period), in R.B. Serjeant, Studies in Arabian History and Civilisation, London 1981, pp. 207-24; C. Hardy-Guilbert - A. Rougelle, Al-Shihr and the Southern Coast of the Yemen: Preliminary Notes on the French Archaeological Expedition, 1995, in ProcSemArSt, 27 (1997), pp. 129-40; C. Hardy-Guilbert, Archaeological Research at al-Shihr, the Islamic Port of Hadramawt, Yemen (1996-1999), ibid., 31 (2001), pp. 69-79; Ead., Al-Shihr, un port face à l'Afrique, in Journal des Africanistes, 72, 2 (2003), pp. 39-53; Ead. (con la coll. di G. Ducatez), Al-Šiḥr, porte du Hadramawt sur l'océan Indien, in AnnIsl, 38, 1 (2004), pp. 95-157.
di Michael Jung
Isola (Suquṭrā) 230 km circa a est di Ras Asar (Capo Guardafui) nell'Oceano Indiano. Sotto il profilo geografico appartiene all'Africa nord-orientale, ma politicamente fa parte dello Yemen.
S. ha una lunga storia in cui si mescolano, in un'affascinante intreccio, vicende realmente accadute, leggende e racconti mitologici. L'isola è menzionata anche nelle fonti classiche e negli scritti ecclesiastici che testimoniano la lunga presenza cristiana. Per decenni inaccessibile alla ricerca per motivi politici e militari, l'isola ha visto crescere recentemente l'attività archeologica e ricognitiva. Le ricerche archeologiche concernenti il periodo islamico sono state condotte finora solo nella località di Suq, mentre a Hajrya sono stati riportati alla luce manufatti musulmani in un contesto non islamico. Iniziati nel 1956 da P.L. Shinnie (Missione Archeologica di Oxford) e proseguiti nel 1967 sotto la guida di B. Doe, gli scavi a Suq hanno interessato sia la chiesa-moschea del centro abitato sia il vicino fortino. La moschea fu trasformata dai Portoghesi (dopo la conquista dell'isola nel 1507 con Alphonso d'Albuquerque) nella chiesa di Nostra Signora della Vittoria; la chiesa-moschea ha pianta rettangolare (ca. 12 × 15 m) che si sviluppa in lunghezza rispetto al muro occidentale (qiblī) e presentava quattro file di tre colonne; di queste si sono conservati alcuni rocchi, scoperti recentemente dalla missione russa (Naumkin - Sedov 1993), e le basi scanalate di pietra corallina, con sezioni ottagonali e a stella a otto punte. L'ingresso conduce a una sorta di piattaforma, fiancheggiata da due piani rialzati posti simmetricamente e interpretati da Doe come un campanile aperto.
Gli archeologi inglesi hanno individuato due livelli di pavimentazione: sul più basso, considerato islamico, si trovavano due pilastri frammentari al centro del muro nord-ovest: Doe ipotizza che facessero parte di un miḥrāb poi distrutto o trasformato in un altro ingresso. I resoconti di scavo, tuttavia, non chiariscono il rapporto tra la nicchia e la seconda fila di colonne antistante, né consentono di accertare la loro appartenenza alla fase islamica. Esempi di questa particolare disposizione delle colonne rispetto al miḥrāb esistono comunque sia in Africa sia in Yemen. La ceramica rinvenuta negli scavi include vasellame invetriato e céladon (secc. XVI e XVII), quella raccolta in superficie nell'insediamento di Suq comprende anche un frammento di ceramica sasanide-islamica (IX-X sec.?), uno di graffita (XI-XIII sec.) e grès cinese, a testimoniare l'importanza di Suq come capitale e centro commerciale fino al XVI secolo. Il sito di Hajrya è 2 km a sud dell'insediamento moderno di Suq. Gli scavi in cimiteri non islamici hanno portato alla luce, tra l'altro, ceramica di manifattura musulmana databile ai secoli X-XIII che trova riscontri nella produzione della Penisola Arabica e del Golfo Persico.
Bibliografia
P.L. Shinnie, Socotra, in Antiquity, 34 (1960), pp. 100-10; B. Doe, Socotra. An Archaeological Reconnaissance in 1967, Coconut Grove 1970, pp. XIV, XVIII, 41, 44-48, 151-52; Id., Southern Arabia, London 1971, pp. 244-50; A. Ubaydli, The Population of Sūquṭrā in the Early Arabic Sources, in ProcSemArSt, 19 (1989), pp. 137-49; B. Doe, Socotra. Island of Tranquillity, London 1992, pp. 59-60, 64-81, 88-93; V.V. Naumkin - A.V. Sedov, Monuments of Socotra, in Topoi, 3, 2 (1993), pp. 569-623; G. Oman - M.-Cl. Simeone-Senelle, Suḳuṭra, in EIslam2, IX, 1998, pp. 841-45; L. Weeks et al., A Recent Archaeological Survey on Socotra. Report on the Preliminary Expedition, January 5th - February 2nd 2001, in ArabAEpig, 13 (2002), pp. 95-125.
di Edward J. Keall
Città medievale presso la costa del Mar Rosso (Tihama), in Yemen. Attualmente Z. è un piccolo centro urbano; per le sue case caratteristiche è stata inserita nella lista dei siti patrimonio dell'umanità dell'UNESCO (Bonnenfant 1999, 2004); alcuni autori di cronache risedettero in questa città, fornendone dettagliate descrizioni.
Z. fu fondata nell'820 come base militare da un rappresentante degli Abbasidi (Sadek 2002). Ibn Ziyad vi stabilì una dinastia ereditaria e creò le basi per la crescita urbana. Le prime strutture architettoniche monumentali e la cinta muraria furono erette tra la fine del X e gli inizi dell'XI secolo, durante il regno del vizir ziyadide Ibn Salama. Nella mappa realizzata da Ibn al-Mujawir nel XIII secolo (Chelhod 1978, p. 58) le mura di Z. appaiono ad andamento circolare; prima dei mutamenti successivi alla rivoluzione del 1962 la cinta muraria aveva conservato il tradizionale impianto a perimetro circolare. Nella città si avvicendarono governi diversi; l'apogeo del suo sviluppo coincide con il regno dei Rasulidi (1229-1454), che commissionarono la costruzione di madrasa e altre infrastrutture urbane; dopo l'invasione mamelucca (1516) fu un'importante base nel breve periodo di governo lawandi (1517-1539); con gli Ottomani, a partire dal 1539, entrò in una nuova fase di fioritura. Dal 1982 il Royal Ontario Museum di Toronto ha intrapreso un programma di ricerche archeologiche nel sito (Keall 1999, 2001). Il rinvenimento di palle di cannone in contesto ottomano attesta un vasto impiego per quel periodo dell'artiglieria e delle armi da fuoco. Tuttavia gli scavi hanno evidenziato a Z. la distruzione dei possedimenti esterni alla fortezza. Le testimonianze archeologiche fanno riferimento all'uso del fumo e del caffè all'interno della fortezza (Keall 1991), due nuovi modelli culturali del XVI secolo; ma quando l'esportazione marittima del caffè iniziò a privilegiare la rotta che partiva dal porto di Mokha, Z. venne progressivamente a trovarsi fuori da questo circuito e fu confinata a una posizione marginale (Keall 2001, p. 40).
J. Chelhod, Introduction à l'histoire sociale et urbaine de Zabîd, in Arabica, 25, 1 (1978), pp. 48-88; E. J. Keall, Zabid and its Hinterland: 1982 Report, in ProcSemArSt, 13 (1983), pp. 53-69; Id., Drastic Changes in 16th Century Zabid, ibid., 21 (1991), pp. 79-96; C. Ciuk - E. Keall, Zabid Project Pottery Manual 1995. Pre-Islamic and Islamic Ceramics from Zabid Area, North Yemen, Oxford 1996; P. Bonnenfant (ed.), Zabîd, patrimoine mondial, Bruxelles 1999; E.J. Keall, Les fouilles de la mission archéologique canadienne, ibid., pp. 19-23; Id., Canadian Archaeological Mission of the Royal Ontario Museum in Yemen, in Al-Musnad, 1, 1 (2001), pp. 93-90 (sic); Id., The Evolution of the First Coffee Cups in Yemen, in M. Tuchscherer (ed.), Le commerce du café avant l'ère des plantations coloniales. Espaces, réseaux, sociétés (XV-XIX siècles), Cairo 2001, pp. 35-50; N. Sadek, s.v. Zabêd, in EIslam2, XI, 2002, pp. 370-71; P. Bonnenfant, Zabid au Yémen: archéologie du vivant, patrimoine mondiale de l'UNESCO, Aix-en-Provence 2004.