L’assicurazione tra tradizione e futuro
Una tradizione che parla al futuro
La tradizione delle assicurazioni evidenzia caratteristiche e rapporti che parlano al futuro: il ruolo sociale verso l’individuo, la collettività e il mondo della produzione; il contatto con l’alta teoria (dell’economia finanziaria, del calcolo delle probabilità e della statistica) e con le tecnologie di calcolo; il rapporto con lo Stato e con i mercati. L’assicurazione nasce dalla pratica, dalle esigenze del commercio, dalla preoc;cupazione soggettiva e psicologica di sbarazzarsi dei ‘mali dell’ignoto’ (evils of uncertainty, come li definisce Alfred Marshall nei Principles of economics, 1890; trad. it. 1953); e ha origini remote: un documento veneziano del Quattrocento vede nella polizza d’assicurazione il mezzo per «viver seguri quando i pò».
Sin dai primordi i contratti con clausole di assicurazione hanno regolato, sulle vie del commercio, i contatti internazionali e hanno collegato lingue e culture diverse, anticipando alcuni temi e alcuni problemi che sono oggi considerati critici nel processo di globalizzazione dei mercati.
Dal 18° sec. l’assicurazione – con la fondazione delle grandi compagnie – ha assunto fisionomia moderna, per il collegamento quasi esclusivo del contratto (d’assicurazione) con un’impresa collettiva in grado di operare sopra un largo mercato e con calcoli sempre più esatti dell’entità dei rischi. Con Otto von Bismarck lo Stato divenne assicuratore; nacquero i primi schemi obbligatori di assicurazione sociale – per garantire livelli di reddito e di qualità della vita, gestendo i rischi del lavoro e i patti tra generazioni –, contro le malattie (nel 1883), contro la vecchiaia e l’invalidità (nel 1889), contro gli infortuni (nel 1894). In Italia la costituzione dell’INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni) nel 1912 rappresentò senza dubbio un’innovazione fondamentale nella storia dell’intervento dello Stato nell’economia: è il primo istituto statale dotato di personalità giuridica propria, autonomo dalla burocrazia ministeriale e organizzato secondo modelli privatistici; il monopolio statale viene considerato non soltanto una garanzia contro i rischi di fallimento, ma anche strumento di mobilitazione del risparmio.
Sin dagli anni Trenta le assicurazioni hanno avviato l’impiego delle macchine statistiche a schede perforate (con il sistema Hollerith) per meccanizzare il calcolo delle riserve matematiche e la redazione dei bilanci, aprendo la via all’uso degli algoritmi, delle basi di dati e delle tecniche probabilistiche nella gestione contabile e finanziaria d’impresa.
Nel Novecento è avvenuto anche il contatto tra assicurazione e alta teoria. I principi dell’assicurazione – con i libri e gli articoli di John M. Keynes, Bruno de Finetti, Kenneth J. Arrow e Joseph E. Stiglitz – sono al centro della teoria economica, forniscono le basi per l’economia finanziaria, sono motore primo di alcuni rilevanti progressi nell’ambito del calcolo delle probabilità, della statistica, del trattamento dell’informazione; con Frank H. Knight e Joseph A. Schumpeter pesano sui moventi dell’attività imprenditoriale e della ‘ragion d’impresa’. D’altra parte, già a metà dell’Ottocento l’assicurazione collaborava con le imprese a sostenere i rischi delle innovazioni tecnologiche e dei processi produttivi; e all’inizio del Novecento il mondo dell’impresa era stato argomento dell’incontro elegante e raffinato tra assicurazioni e letteratura, per via delle Relazioni che Franz Kafka scrisse – tra il 1908 e il 1916 – quando lavorava a Praga nell’Arbeiter-Unfall-Versicherungs-Anstalt für das Königreich Böhmen (dopo essere stato impiegato ausiliario della compagnia triestina Assicurazioni generali).
Tutto è assicurabile
L’osservazione di Keynes in A treatise on probabil;ity (1921; trad. it. 1994, p. 26) sulla «disponibilità dei Lloyd’s ad assicurare praticamente contro qualunque rischio» e sull’attitudine degli «assicuratori a indicare una misura numerica in ogni caso e a garantire la loro opinione con moneta» sintetizza bene lo spirito dell’assicurazione. Le normative in vigore, che regolano l’assicurazione privata, dicono che – in linea di principio – si può assicurare di tutto: sinistri di ogni tipo, ma anche il reddito minimo su piani di investimento, individuali e collettivi.
I rami di assicurazione nel Codice
Tradizionalmente i contratti di assicurazione sono classificati per ‘insiemi omogenei di rischi o operazioni’ (i ‘rami’), com’è in Italia nel Codice delle assicurazioni private (d. legisl. 7 sett. 2005 n. 209). Nei ‘rami vita’ sono raggruppati contratti di assicurazione che garantiscono erogazione di prestazione – da parte dell’assicuratore al beneficiario – nel caso di sopravvivenza o di morte (della testa assicurata), di malattia, di non autosufficienza, di invalidità grave (dovuta a malattia, a infortunio o a longevità), di riduzione o cessazione dell’attività lavorativa. Nei ‘rami danni’ è assicurato il danno prodotto da infortunio e da malattia; ogni danno subito da qualunque tipo di veicolo; ogni danno subito dalle merci trasportate o dai bagagli; ogni danno causato da incendio, esplosione, elementi naturali ecc.; sono assicurate tutte le responsabilità civili risultanti dall’uso di autoveicoli; perdite patrimoniali derivanti da insolvenze, credito all’esportazione, vendita a rate, credito ipotecario, credito agricolo; sono fornite cauzioni; sono assicurate perdite pecuniarie di vario genere (da rischi relativi all’occupazione, per insufficienza di entrate, perdite di utili, persistenza di spese generali, spese commerciali impreviste, perdita di valore venale, perdita di fitti o di redditi ecc.); è coperta l’incertezza sulle spese legali.
Garanzie finanziarie nelle polizze vita
Nei rami vita alcune tipologie di polizza sono ad alto contenuto finanziario: consentono l’accumulazione di capitale, la rivalutazione del capitale assicurato in base a indici (tassi di interesse, rendimenti azionari, tassi di inflazione), l’erogazione di rendite; e assicurano, oltre ai rischi tecnici (di morte o di persistenza in vita), un rendimento minimo. Questo stesso meccanismo è stato utilizzato per prodotti di rendita, anticipando esigenze e dibattiti ancora vivi sulla politica delle pensioni (De Felice, Moriconi 2006).
Assicurabilità, in principio e in pratica
Sebbene in linea di principio tutto sia assicurabile, un evento è assicurabile, in pratica, se l’assicuratore può formalizzare il rischio in modo non ambiguo, con clausole contrattuali chiare e precise; se può fissare un premio che sia commisurato al rischio e che generi sul mercato una domanda effettiva per la polizza (devono esserci soggetti ‘sotto rischio’ disposti a pagare il premio), che tuteli la ‘convenienza bilaterale’. Se non è possibile dare un prezzo al rischio in modo tale che abbia mercato, allora il rischio diventa nella pratica non assicurabile. Le tecniche di pricing e di trasferimento e mitigazione dei rischi hanno pertanto un ruolo essenziale nello sviluppo dei prodotti, assicurativi e previdenziali, e dei mercati, nonché, in generale, per il futuro dell’assicurazione.
Il prezzo dei contratti di assicurazione
Un contratto di assicurazione – nella sua forma più semplice – regola uno scambio monetario: il contraen;te paga un importo (il premio) per garantire al beneficiario (sé stesso o qualcun altro) un importo in una data futura, subordinatamente al verificarsi di un certo evento. Dal punto di vista del contraente, il premio Π è l’importo da pagare, il rimborso X (prestazione dell’assicuratore) è l’importo da ricevere; X non è noto, è un numero aleatorio che potrà assumere particolari valori, ciascuno con una certa probabilità, ed è descritto dalla distribuzione F(x).
Due aspetti sono rilevanti nel processo di costruzione e di pricing della polizza: il legame tra Π e F(x), e la forma, ossia l’andamento, della funzione F(x). Sono aspetti riconosciuti fondamentali per la teoria economica (Castellani, De Felice, Moriconi 2005, cap. 3), per la corporate finance e per la regolamentazione; hanno dato corpo ai principi tradizionali di calcolo attuariale (i cosiddetti premium calculation principles); continuano a essere argomento di ricerca, perché soltanto la migliore teoria consente di rispondere con migliore efficacia alle sfide della competitività.
Le regole per sfruttare al meglio l’esperienza
I termini generali del problema di come farsi un’opinione sul futuro sfruttando al meglio l’esperienza possono essere ricondotti a quelli tradizionali dell’inferenza bayesiana, precisati mirabilmente da de Finetti e Frank P. Ramsey già negli anni Trenta del secolo scorso e portati all’attenzione degli attuari americani da Arthur L. Bailey negli anni Cinquanta con la credibility theory (che dell’inferenza bayesiana fornisce un’espressiva approssimazione lineare), ma ancora poco diffusi nella cultura e nelle pratiche assicurative. Hanno fatto da freno posizioni culturali e vincoli tecnologici: la non decisa «opposizione […] del mondo attuariale […] contro la tendenza oggettivistica di certe scuole statistiche per lungo tempo predominanti» (de Finetti 1964, p. 221); la maggiore complessità teorica delle formule da tradurre in programmi informatici e le difficoltà di elaborazione, per la maggior potenza di calcolo richiesta. Oggi l’inferenza bayesiana e la teoria della credibilità tornano all’attenzione degli assicuratori, con nuove potenzialità rispetto agli obiettivi originari: oltre a migliorare la qualità del calcolo del premio e in generale dei valori attesi delle distribuzioni di perdita (Bühlmann, Gisler 2005), le tecniche inferenziali cominciano a essere applicate per definire in modo coerente l’incidenza della nuova informazione sulle caratteristiche di variabilità della F(x), essenziali per l’efficace controllo del rischio. L’evoluzione tecnologica dei sistemi di calcolo ha ridotto drasticamente i tempi e i costi di elaborazione, consentendo alle nuove ‘macchine statistiche’ con inferenza bayesiana (per es., le Monte Carlo Markov chains) di proporsi come soluzione efficiente per il pricing e per il controllo della solvibilità d’impresa.
Il nodo della probabilità degli eventi rari
Il problema del dare una forma alla F(x) assume connotazione particolare nell’assicurazione degli eventi rari (o catastrofali, extremal events). Il valore atteso del danno se la causa è un extremal event può essere anche trascurabile – sebbene il valore atteso del danno condizionatamente all’evento-causa sia enormemente grande –, poiché la probabilità che l’evento-causa si verifichi è a livelli molto bassi. Quantificare queste probabilità è difficile tecnicamente per la carenza di informazione (in particolare di esperienza storica); precisare la loro accuratezza pone una questione logica delicata, poiché ‘probabilità molto piccola’ non va confusa con ‘impossibilità’ (de Finetti 1970, p. 213). Il valutatore dovrà comunque avere la sua opinione (grado di fiducia) sulla possibilità che l’evento raro si verifichi; e potrà essere opinione molto volatile, nel senso di essere estremamente sensibile a qualsiasi minima acquisizione di informazione (o suggestione), che sebbene minima può alterare significativamente la scarsa base informativa di partenza.
Gli sviluppi più recenti della teoria – che hanno dato corpo all’extreme value theory (EVT) –, sebbene non risolvano il problema, lo disciplinano con grande efficacia. La valutazione della probabilità degli eventi estremi resta una mission improbable, perché si tratta di prevedere più in là dei dati osservati (disponibili), e quindi le migliori risposte che si possono dare non possono essere conclusive (o oggettive); ciò che l’EVT garantisce sono le regole per il miglior uso possibile e coerente di qualsiasi dato si abbia a disposizione (Embrechts, Klüppelberg, Mikosch 1997, p. VII).
Disciplinato con le tecniche dell’EVT il problema della valutazione, l’effetto dell’eventuale alto indennizzo (se il grande danno si verifica) non può che essere gestito in pool – poiché in genere supera la capacità della singola compagnia di assicurazione –, con il ricorso al mercato della riassicurazione e alla creazione di nuovi prodotti finanziari di copertura (catas-trophe futures, catastrophe options, securitisation of insurance risk), attività su cui sono e saranno sempre più impegnati imprese private e Stati.
Informazione e diritto di non sapere
L’informazione condiziona l’assicurazione. Per un verso si giustifica la tendenza ad acquisire sempre più informazioni: per migliorare il pricing delle polizze, per ridurre le asimmetrie informative tra contraenti (ed eliminare gli effetti pericolosi che Arrow ha definito «dell’azione nascosta» e «dell’informazione nascosta»), per tutelare la validità e l’efficacia dei contratti. D’altra parte il ‘sapere sempre di più’ indebolisce la ragione stessa dell’assicurazione, che può provvedere ai bisogni eventuali proprio perché tali, cioè imprevedibili: se esistessero maghi capaci di prevedere quei bisogni o i fatti che li originano, quei bisogni allora diventerebbero bisogni previsti, cioè certi, pertanto la necessità per il colpito di farvi fronte non muterebbe, ma verrebbe a mancare la possibilità di rimediarvi mediante l’assicurazione.
Il problema ha portata generale; diventa carico di implicazioni etiche e sociali nel caso dell’assicurazione morte (e vita) e malattia. Ogni progresso nella diagnosi precoce (di malattia) attenua l’efficacia del rimedio assicurativo: l’aumento di premio per assicurare in caso di morte un individuo riconosciuto ‘aggravato’ rispecchia il fatto che il rimedio assicurativo funziona soltanto riguardo allo sviluppo ancora incerto delle condizioni di salute per l’avvenire (rischio di morte per cause diverse e accidentali), mentre la parte derivante dal già accertato aggravamento attuale ne è esclusa; al limite, se l’aggravamento è forte, nessuno accetta di assicurare (com’è ovvio e giusto): il bisogno sussiste, ma il rimedio assicurativo è inoperante. Il raggiungimento della certezza mette fuori gioco l’assicurazione privata, e per coprire il bisogno – che resta – apre all’intervento della sicurezza sociale.
La possibilità di utilizzare nuove tecnologie (di diagnostica medica e di controllo sociale), le quali producono informazioni di qualità nuova rispetto al passato (sullo stato e sui comportamenti degli assicurati), sta rendendo sempre più delicato il confronto dell’assicurazione con la protezione dei dati personali (data protection), e drammatico l’incontro con il diritto di non sapere dell’individuo.
Il caso dell’assicurazione malattia è ancora estremo ed emblematico. Il timore dell’esclusione dal contratto di assicurazione può indurre soggetti a rischio a non sottoporsi a test clinici. Nell’aprile del 1998 «l’Associated Press riferì che negli Stati Uniti il 32% delle donne invitate a partecipare a uno screening genetico rifiutò di farlo; la maggioranza spiegò questa decisione proprio con il timore della discriminazione genetica, non esistendo nelle normative statunitensi sufficienti garanzie contro il rischio che le informazioni fornite dal test finissero nelle mani di datori di lavoro e assicuratori», con potenziali conseguenze anche sui consanguinei (Rodotà 2006, p. 194).
Riorganizzare le imprese di assicurazione
Nei mercati moderni le assicurazioni sono soggetti vigilati da autorità pubbliche che – oltre a controllare l’accesso all’attività mediante autorizzazione, a esaminare i reclami della clientela e a vagliare gli assetti proprietari – definiscono le regole di sana e prudente gestione e ne controllano l’applicazione, con poteri di intervento nel caso di inadempienza. In Italia la vigilanza sulle assicurazioni è preoccupazione remota: la prima disciplina generale dell’attività assicurativa è del 1923 (al Ministero dell’Economia nazionale, poi Ministero dell’Industria, veniva attribuito un potere di direzione del settore); nel 1982 è stato creato l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP); dagli anni Novanta l’attività di vigilanza ha assunto dimensione europea e intersettoriale, per rispondere ai compiti di armonizzazione con la ‘regolamentazione prudenziale’ sulle banche e sulle imprese finanziarie, sviluppata nel progetto detto di Basilea.
L’obiettivo generale delle regole prudenziali è garantire la solvibilità dell’impresa, e cioè la capacità di soddisfare gli obblighi definiti dai contratti in essere, in particolare gli impegni verso gli assicurati; gli ambiti di attenzione riguardano l’adeguatezza patrimoniale (e le partecipazioni detenibili), i controlli interni e in particolare il controllo dei rischi, l’organizzazione e la governance. Il dibattito teorico e politico sulla forza da dare alle regole è vivo, tra chi le vorrebbe minime o nulle, perché mettono sabbia negli ingranaggi del libero mercato, e chi le ritiene una tutela indispensabile a causa del ruolo sociale dell’assicurazione (Ciocca 2000, cap. 5; Plantin, Rochet 2007, pp. 97-98).
Una situazione in attesa di sviluppi
La logica della regola di solvibilità fa riferimento alla riserva tecnica e al margine di solvibilità: la riserva misura il valore oggi degli impegni futuri attesi, il margine è il capitale necessario per far fronte a impegni inattesi. La solvibilità dell’impresa di assicurazione è garantita a bilancio dalla disponibilità di attivi (assets) a copertura della riserva tecnica, e dagli elementi costitutivi del margine di solvibilità – per es., il capitale proprio, componente del patrimonio netto – che devono avere valore almeno uguale all’ammontare del margine da costituire. È importante notare che riserva e margine di solvibilità sono grandezze fondamentali – oltre che per la vigilanza – per la corporate finance dell’impresa di assicurazione: i criteri in uso per il calcolo della riserva ne fanno strumento cruciale nella definizione delle politiche di utile; il margine di solvibilità definisce l’esigenza di capitale, e quindi l’impegno e la remunerazione per l’azionista, o in genere per i partecipanti all’impresa.
La direttiva europea Solvency II
Con la direttiva On the taking-up and pursuit of the business of insurance and reinsurance, detta Solvency II, adottata in prima lettura il 22 aprile 2009, il Parlamento europeo ha formulato i nuovi principi generali per il governo e il controllo pubblico delle imprese di assicurazione e di riassicurazione; sulla base di questi principi le autorità nazionali dovranno definire gli schemi attuativi. Il nuovo sistema di regole dovrebbe entrare in vigore nel 2012.
L’impianto normativo conferma le grandezze tradizionali di riferimento per il controllo della solvibilità – riserva e margine di solvibilità – e i criteri di copertura; ma è rivoluzionario perché le definizioni sono riformulate in coerenza con i principi dell’economia finanziaria e non più sulla base della contabilità tradizionale, tutelando il trattamento corretto dell’incertezza, e l’allineamento con le logiche dei nuovi international accounting standards (IAS).
La nuova impostazione induce una rivoluzione anche negli strumenti di gestione e nell’organizzazione dell’impresa. Assume un ruolo strategico il sistema informatico di calcolo dei valori e dei rischi (il cosiddetto modello interno), che deve produrre come risultato ultimo i valori ‘coerenti con il mercato’ delle riserve e del solvency capital requirement (SCR), nuova versione del margine di solvibilità, misurato a copertura dei rischi effettivamente presenti nei portafogli.
Il modello interno diventa lo strumento cardine con cui regolare il governo dell’impresa; nel futuro il mercato valuterà la reputazione dell’impresa di assicurazione anche per quanto concerne la qualità del patrimonio di dati e algoritmi con cui darà forma al suo sistema di gestione.
Cambia la corporate finance dell’assicurazione
Con Solvency II cambia fisionomia la corporate finance dell’impresa di assicurazione e di riassicurazione. Entrano in primo piano il mercato e la logica della valutazione congiunta di attivo e passivo: i valori delle grandezze rilevanti vanno calcolati mark-to-market (in base ai valori di mercato); assume un ruolo effettivo (non solo convenzionale) il rischio, che va misurato considerando le distribuzioni di probabilità dei valori futuri di attività e passività, e le loro correlazioni.
Diventa più trasparente la situazione dell’impresa. La riserva a valori di mercato non contiene più componenti di prudenzialità (gli utili impliciti): va calcolata – analogamente allo schema di pricing del premio – sommando alla best estimate (l’aspettativa della perdita) il risk margin, che remunera l’incertezza della perdita probabile (ed è definito dai regolamenti come ‘costo del capitale’; dipende anche dalla reputazione dell’impresa e dalla remunerazione che si deve garantire all’azionista). Tutta la prudenzialità è nell’SCR – il capitale di garanzia a copertura delle ‘perdite impreviste’ –, calcolato anch’esso sulla distribuzione della perdita, con un percentile fissato dall’autorità di vigilanza (per ora è proposto il 99,5%), o maggiorato se l’impresa vuole tutelare sul mercato una migliore reputazione (ISVAP 2006).
Il disegno delle norme tecniche di attuazione della direttiva Solvency II dovrà richiedere cautele, per evitare effetti secondari indesiderati, sulla struttura dei contratti e sullo stile di gestione. Livelli di SCR più alti dell’attuale margine di solvibilità, invece di essere soddisfatti con un prudente aumento di capitale proprio, potrebbero indurre le compagnie a perseguire politiche di riduzione dell’esposizione al rischio (tecnico e finanziario), rendendo i contratti meno assicurativi e trasferendo maggiori rischi al mercato, portando nei loro portafogli di investimento più alte quote di obbligazioni, che assorbono minor capitale rispetto alle azioni. D’altra parte la valutazione coerente con i valori di mercato, se persegue l’obiettivo di miglior trasparenza, induce, al contempo, maggior volatilità delle grandezze caratteristiche della gestione: sarà problema dei prossimi anni trovare le modalità per metabolizzare l’accresciuta volatilità dei risultati di bilancio, affinché il suo controllo, mirato sul breve periodo, non induca a forme di gestione miope, particolarmente pericolose per un business di medio-lungo termine com’è quello assicurativo.
Assicurazione, riassicurazione, il mercato finanziario
Le compagnie di assicurazione agiscono sui mercati finanziari con il ruolo di grandi operatori; contribuiscono al risk management che, nella rappresentazione funzionale dell’economista statunitense Robert C. Merton, è una delle sei funzioni caratteristiche cui assolve il sistema finanziario; partecipano, sia sul fronte della domanda sia su quello dell’offerta, al processo di innovazione dei prodotti finanziari.
Contratti finanziari ‘a contenuto assicurativo’: il mercato assicuratore
Nei tempi moderni i ‘servigi’ assicurativi che alla fine dell’Ottocento Luigi Einaudi riconosceva ai contratti a termine sono offerti da molti altri contratti derivati: opzioni, futures e swaps, scritti sul prezzo di azioni, su tassi di cambio e tassi di interesse, sul prezzo delle merci e delle materie prime; contratti agganciati a indici meteorologici o catastrofali e a tassi di longevità (di mortalità).
Con i contratti derivati il mercato è diventato assicuratore, e su questo mercato operano anche le compagnie di assicurazione e di riassicurazione per coprire quote di rischio ritenuto.
Alcuni contratti derivati sono scambiati su mercati ‘spessi’, altri hanno volumi ‘magri’. L’intervento su questi mercati con l’introduzione di nuovi prodotti e la garanzia di volumi adeguati potrebbe migliorare le potenzialità di copertura e indurre un miglioramento di qualità e di efficienza dei contratti di assicurazione offerti dalle compagnie. Gli Stati e le istituzioni sovranazionali potrebbero utilizzare la via dei mercati derivati (per es., con l’emissione di obbligazioni indicizzate a indici catastrofali o di longevità) per dare coperture alle compagnie e avviare così nuovi schemi di collaborazione, rispondendo a particolari esigenze sociali (per es., di assicurazione verso le catastrofi, la durata in vita, le attività produttive e commerciali delle imprese).
Le assicurazioni come investitori istituzionali
L’investimento delle riserve tecniche e del capitale proprio pone alle imprese di assicurazione problemi di selezione di portafoglio tecnicamente complessi, e rilevanti – anche rispetto agli equilibri di mercato – per i volumi trattati. Nei rami vita si hanno in genere particolarità che condizionano in modo significativo lo stile di gestione: il rendimento del portafoglio è una variabile strategica importante, perché – tramite il meccanismo della rivalutazione – determina le prestazioni, che di solito hanno valore protetto o addirittura garantito dalla compagnia (in ciascun momento dell’investimento, o almeno a scadenza e in caso di uscita per morte). È necessario quindi, anche per ottemperare agli auspici della normativa, definire le strategie di investimento considerando la struttura dei flussi di passivo, e seguire anche tecniche dinamiche di gestione che rispondano con efficacia all’esigenza di proteggere i rendimenti verso il basso, senza perdere le potenzialità verso l’alto. Per tutto questo le logiche tradizionali di portfolio selection (individuate da Herry Markowitz) non sono adeguate all’obiettivo della protezione; la tendenza che dovrebbe affermarsi è verso quelle procedure cosiddette di dinamic protection, che per l’attuazione richiedono gestori con conoscenze finanziarie raffinate e sistemi computazionali potenti. Tutti gli investimenti contribuiranno – conformemente alla normativa – all’SCR (con un peso più tenue per le obbligazioni, molto più accentuato per le azioni); anche questo costo regolamentare dovrà essere considerato nel problema di selezione ottimale dei portafogli, e condizionerà, come vincolo, proprio le scelte di portafoglio e l’azione sui mercati.
Le imprese emittenti
Dai primi anni Novanta del secolo scorso le compagnie di assicurazione e di riassicurazione agiscono nei mercati finanziari anche come emittenti, con l’emissione di insurance-linked securities, obbligazioni che hanno rimborsi collegati a indici definiti sui sinistri dei rami vita e dei rami danni. Le emissioni sono realizzate di solito con gli schemi della cartolarizzazione, e qualificate da rating; sono strumenti che offrono opportunità utili agli investitori istituzionali (soprattutto ai fondi di investimento e ai fondi pensione) per le finalità di diversificazione di portafoglio, poiché hanno bassa correlazione sia con il mercato azionario sia con quello creditizio.
Ambiti di sviluppo: problemi globali
Le analisi congiunturali, pubblicate tra il 2006 e il 2008 nella rivista «Sigma» della compagnia Swiss Re, individuano almeno cinque ambiti ove è più probabile che l’assicurazione possa potenziare e accelerare i trend di sviluppo economico e di miglioramento dell’organizzazione sociale. In tutti e cinque gli ambiti risulta importante il potenziamento delle tecniche di pricing e delle macchine statistiche per la gestione, il rapporto con lo Stato, lo sviluppo dei prodotti derivati e dei mercati di riassicurazione.
Calamità naturali
I danni causati da calamità naturali sono in forte crescita, per cause che si prevedono persistenti (cambiamenti climatici, elevata concentrazione di beni materiali in aree divenute a rischio). A livello mondiale si stima un rilevante deficit di copertura (nel 2007 il 75% dei danni materiali riconducibili alle catastrofi è rimasto a carico di privati, di aziende, degli Stati).
Per aumentare la sensibilità all’assicurazione e il livello di copertura si stanno definendo piani di collaborazione – tra compagnie e governi – che stanno portando innovazioni organizzative e di prodotto. Nel 2006 il Messico ha stipulato – attraverso il Fondo de desastres naturales (FONDEN), creato nel 1986 per finanziare gli interventi di soccorso in caso di catastrofi naturali – un contratto di riassicurazione che prevede una copertura ‘parametrica’ per i terremoti. Ciò significa che la copertura non dipende dai danni materiali, ma scatta se i terremoti si verificano in tre regioni predefinite e superano una determinata magnitudo (in un periodo triennale sono coperti tre terremoti, con un massimale di 150 milioni di dollari statunitensi ciascuno). Parte dell’importo complessivo di copertura (160 milioni) è stato collocato sul mercato dei capitali; se sussistono le condizioni dell’evento scatenante si ha diritto all’intero importo collocato.
Sono interventi che generalmente rivedono le consuetudini tradizionali – fondate sulla logica delle agevolazioni e dei contributi sui premi d’assicurazione –, perché causano comportamenti anomali e alterazioni artificiose del livello dei premi di mercato; e indicano promettenti vie di innovazione sulla linea del partenariato pubblico-privato.
I rischi agricoli
Anche l’assicurazione dei rischi agricoli richiederebbe piani di sviluppo efficaci, soprattutto per assecondare lo sviluppo dei mercati emergenti.
La diffusione della copertura è generalmente bassa (si stima che i premi siano circa il 20% dei premi globali di ‘ramo’, sebbene la produzione alimentare dei Paesi emergenti sia circa il 70% della produzione globale): i sistemi più primitivi sono basati sull’autoassicurazione e su aiuti elargiti ad hoc in caso di calamità. Si segnalano gravi freni allo sviluppo, determinati da contesti giuridici e normativi inadeguati; scarsa qualità dell’offerta; alti costi amministrativi (soprattutto per la liquidazione); difficoltoso controllo dei comportamenti anomali. In molte regioni si stanno sperimentando connessioni con i piani di finanziamento alla produzione e alla commercializzazione, richiedendo coperture assicurative come prerequisito per la richiesta di un mutuo agricolo.
Non mancano in tal senso esperienze da seguire. L’esperienza più interessante, per indicare una via allo sviluppo, proviene da uno schema di partenariato pubblico-privato, utilizzato in Spagna.
Lo schema di organizzazione consente di realizzare una serie di obiettivi considerati strategici per il futuro dell’assicurazione in generale: offrire copertura a una vasta gamma di sinistri (relativi alla produzione agricola e al capitale zootecnico); unire enti privati e pubblici in un unico sistema che fornisca una piattaforma unica per lo sviluppo di know-how e di prodotti e per la ripartizione dei rischi; ridurre i costi, con l’appoggio dell’amministrazione centralizzata; gestire in modo trasparente le sovvenzioni pubbliche sui premi; costituire un portafoglio rischi estremamente diversificato, con una volatilità relativamente bassa dei risultati.
Proteggere dal rischio di longevità
A livello mondiale, nella seconda metà del 20° sec. l’aspettativa di vita alla nascita è aumentata in media di circa 4,5 mesi all’anno.
L’aumento della durata di vita e quindi l’invecchiamento medio della popolazione hanno posto agli Stati il problema di riprogettare i sistemi pensionistici (Group of ten 2005). Alle imprese di assicurazione è riconosciuto un ruolo importante nei nuovi schemi di politica delle pensioni, nella fase di accumulo dei capitali in età lavorativa – in Italia con i fondi pensione aperti e con i piani individuali pensionisti-ci –, ma soprattutto nel periodo di pensionamento, con l’erogazione delle rendite vitalizie. Per la gestione di un portafoglio di rendite (pensioni) la variabilità della durata in vita dei singoli individui rispetto alla vita media (utilizzata per definire la rendita) può essere gestita ‘in cumulo’ con la compensazione, aumentando il numero di pensionati nel portafoglio (chi vive più del previsto utilizza parte del premio versato da chi muore prima). Il problema viene dai cambiamenti inattesi della vita media (differenza sistematica tra il numero di morti per coorte e il suo valore atteso), che non sono diversificabili tra individui, poiché colpiscono tutti nello stesso modo e toccano il portafoglio nel suo insieme. È il problema grave e non ancora risolto del longevity risk, che le imprese – e quindi gli Stati – si trovano a dover fronteggiare per avviare un mercato ampio ed efficiente delle annuities (rendite), garantito da tecniche di pricing in grado di fornire prezzi equi e trasparenti.
Non ci sono tecniche rassicuranti per la previsione dell’aspettativa di vita. I modelli più diffusi ipotizzano che essa tenderà a un limite, determinato dalle conoscenze mediche e dalle scelte sullo stile di vita; l’incertezza è spostata nella definizione di tale limite e il dibattito tra i demografi è incentrato su come stimarlo. La soluzione al problema del controllo del rischio sistematico si sta ricercando nel mercato finanziario (Visco 2006, in partic. pp. 13-19). Gli Stati, le istituzioni internazionali e le grandi compagnie di riassicurazione potrebbero emettere titoli che generino flussi di cassa dipendenti dall’andamento degli indici di mortalità (o di sopravvivenza).
L’assicurazione malattia
L’allungamento della vita umana – insieme allo sviluppo delle tecniche e delle tecnologie di cura medica – ha effetti anche sulla spesa sanitaria, degli individui e degli Stati. In molte nazioni, negli ultimi decenni, la spesa sanitaria è cresciuta più rapidamente del Prodotto interno lordo. Anche in questo settore il ruolo delle assicurazioni – con le polizze malattia – si va sviluppando per volumi e per tipologie contrattuali di copertura. La collaborazione tra gli Stati e le assicurazioni sembra inevitabile: per attutire i problemi di gestione della spesa pubblica sanitaria (trasferendo da parte degli Stati l’onere alle famiglie); per gestire gli effetti indotti dalla medicina predittiva e dai pericoli del ‘non voler sapere’, che comunque manterrà a carico degli Stati quote rilevanti di assistenza. Le soluzioni per la copertura dei rischi sono ancora quelle della riassicurazione tradizionale; il ricorso al mercato finanziario con prodotti di copertura – legati a indici oggettivi di costo medio delle prestazioni sanitarie – è nella fase iniziale di progettazione.
L’assicurazione del credito
L’assicurazione del credito protegge le imprese (il venditore) dal rischio che i clienti non paghino beni forniti e servizi erogati, per insolvenza o per atti politici (restrizioni sui trasferimenti di fondi, revoca di permessi, fatti di guerra o insurrezioni, nuove misure di legge). È strumento utile allo sviluppo dell’economia reale, agevola il commercio nazionale e le esportazioni ed è perciò ambito di interesse strategico degli Stati, praticato anche da agenzie pubbliche.
Le polizze sui rischi di credito impongono alle compagnie sfide tecniche e tecnologiche, e impegno nell’innovazione delle clausole contrattuali. La gestione richiede alta specializzazione nelle tecniche di misurazione del rischio di insolvenza, banche di dati ricche e aggiornate, potenti armamentari tecnologici: per assumere i rischi e farne il prezzo, la compagnia deve saper valutare la rischiosità specifica dei clienti dell’assicurato, date le condizioni di mercato in cui operano, definiti i limiti di copertura della perdita; durante la vita della polizza deve gestire, in funzione dell’evoluzione della rischiosità, il livello dei limiti individuali e dell’intero portafoglio clienti dell’assicurato (i portafogli dei principali assicuratori del credito contengono diversi milioni di nominativi); per il controllo complessivo di solvibilità la compagnia deve saper diversificare i suoi rischi (e quindi calibrare i limiti complessivi della sua esposizione) per singolo assicurato, per area geografica e per settore; deve saper definire strategie di riassicurazione che, in dipendenza della complessità dei contratti da riassicurare, pongono problemi di scelta tecnicamente ardui, con effetti rilevanti in quanto agli esiti sugli utili di bilancio.
I processi di innovazione indotti dall’assicurazione del credito stanno interessando anche i mercati finanziari, per soddisfare l’esigenza di assicuratori e riassicuratori a trasferire il rischio. I credit default swaps (CDS, prodotti derivati collegati a particolari eventi creditizi, relativi a obbligazioni o prestiti societari) cominciano a offrire opportunità significative di copertura parziale; si va sviluppando anche la cartolarizzazione dei crediti assicurativi tramite le credit-linked notes.
L’assicurazione del credito pone problemi di regolamento: poiché le polizze competono con prodotti non assicurativi di tipo bancario (le lettere di credito, le asset-backed commercial papers, e per certi versi i credit default swaps) è necessario rendere coerenti i criteri che definiscono per assicurazioni e banche l’assorbimento di capitale, per evitare – com’è stato già segnalato a carico di alcune proposte normative nell’ambito di Solvency II – arbitraggi regolamentari.
In questo inizio di secolo il mercato dell’assicurazione del credito è molto polarizzato. Sin dagli anni Novanta è stato ridimensionato il ruolo delle agenzie statali e sono state avviate le prime privatizzazioni (dal governo britannico, dalla Francia). Nel 1997 la Commissione europea ha definito le linee guida per disincentivare gli Stati membri dall’offrire coperture contro i rischi assicurabili sul mercato nei Paesi dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development). Dal 2005 quattro grandi gruppi specializzati (Euler Hermes, Atradius, Coface, Crédito y Caución) coprono una quota di mercato dell’80% – con compagini azionarie composte da altri grandi assicuratori, riassicuratori e banche –; competono con assicuratori locali (SACE in Italia, Ethniki in Grecia, CESCE e MAPFRE in Spagna) e con alcune società di grandi gruppi assicurativi (QBE Trade credit, AIG Global trade & political risk). Le prospettive di sviluppo sono rilevanti per gli assicuratori e per il servizio all’economia: sono rivolte soprattutto alle piccole e medie imprese (secondo una stima recente di Euler Hermes, soltanto il 2% delle piccole imprese ricorre all’assicurazione del credito, contro circa il 15% delle medie e il 30% delle grandi), e a sfruttare le opportunità di azione nei mercati emergenti. Per spingere lo sviluppo le compagnie stanno progettando miglioramenti nei processi di assunzione dei rischi e di amministrazione delle polizze (che possano portare riduzione dei caricamenti da costo sui premi), nei servizi di informazione verso i clienti (le attività cosiddette fee-based), nell’innovazione contrattuale (verso polizze componibili, per clausole e finalità).
L’assicurazione nel 21° secolo
Esercizi di immaginazione sul lungo periodo vedono l’assicurazione in generale – insieme di istituzioni e strumenti finalizzati al controllo dei rischi – al centro dello sviluppo del sistema economico. In The new financial order (2003) Robert J. Shiller immagina il nuovo ordine finanziario del 21° sec. come «infrastruttura di gestione del rischio, radicalmente nuova per contribuire ad assicurare la ricchezza delle nazioni» (trad. it. 2003, p. VII), e propone sei idee, tutte incentrate sul principio di assicurazione a lungo termine, che coinvolgono le istituzioni private (compagnie di assicurazione e banche), i mercati finanziari, i governi, gli accordi tra gli Stati. Jacques Attali, in Une brève histoire de l’avenir (2006; trad. it. 2007, p. 104), arriva a vedere nel 2050 le compagnie di assicurazione «prime industrie del pianeta» per volume d’affari e profitti, «sempre più potenti, a detrimento degli Stati»; le compagnie di assicurazione – e gli istituti di copertura dei rischi dei mercati finanziari – completeranno i regimi di sicurezza sociale; il sistema finanziario sarà sempre più concentrato intorno a enti di assicurazione e a fondi di copertura del rischio davvero audaci, che esigono una redditività sempre più elevata.
Non sembra esserci grande novità in questi esercizi, nulla che non possa cogliersi già nella storia o in alcune tendenze in atto, se non l’intensità e la dimensione attribuita a certi fenomeni: l’offerta di nuovi contratti agganciati a nuovi indici, per proteggere il potere di acquisto della busta paga individuale, i rischi di carriera, il valore economico delle abitazioni (home equity); il potenziamento dei mercati tradizionali e la creazione dei macromercati (grandi mercati internazionali per contratti a lungo termine su redditi nazionali o redditi da lavoro dipendente); l’attenzione alle tecnologie (per potenziare le basi di informazione, per migliorare la prevedibilità, per imporre norme di comportamento, per gestire al meglio i comportamenti anomali), che propone ancora una volta i problemi della riservatezza, del diritto di non sapere e del potere di sorveglianza.
La vera novità per il futuro dell’assicurazione e per il ruolo politico della cultura assicurativa viene invece dalla lecture che Mervyn King – governatore della Banca d’Inghilterra – ha tenuto alla British academy nel 2004, e dal suo tono perentorio, che già nell’attacco shakespeariano del titolo – What fates impose: facing up to uncertainty – sottolinea l’inevitabilità dell’impegno. La diagnosi è chiara: nel dibattito pubblico l’incertezza e la probabilità sono raramente al centro della scena, «molti di noi non si sentono a proprio agio con il linguaggio del probabilismo» e di fronte ai rischi «rimangono proni alla confusione» causata dall’«illusione della certezza» (p. 2). I temi dell’assicurazione oggi più rilevanti – rischio di longevità, copertura delle spese sanitarie, rapporti tra generazioni, tutela del potere di acquisto e dei livelli di reddito – richiedono per essere fronteggiati un cambiamento nei modi della politica. Se si vuole impostare una terapia efficace bisogna prendere atto che lo statistical thinking è necessario all’efficient citizenship tanto quanto «la capacità di leggere e scrivere» (p. 2). Il pubblico deve ricevere informazioni accurate sui rischi, essere abituato a vedere le grandezze del futuro rappresentate non da un solo numero, ma da una distribuzione di probabilità (come esempio efficace King mostra i ‘grafici a ventaglio’, ripresi dall’Inflation report della Banca d’Inghilterra, che danno il profilo delle distribuzioni dell’inflazione futura). L’educazione al probabilismo deve quindi necessariamente diventare un cardine del processo di decision-making e della giustificazione pubblica delle decisioni; deve anche essere riconosciuta e praticata come requisito essenziale per tutelare la responsabilità democratica (democratic accountability).
Su questo impegno sarebbe auspicabile inserire – e perciò potenziare – il piano dell’OECD del 2005 intitolato Improving financial literacy e il progetto di estendere l’educazione finanziaria, correttamente posta in condizioni di incertezza, ai temi dell’assicurazione e della previdenza.
Bibliografia
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Si veda inoltre:
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