L’assistenza sanitaria transfrontaliera
L’Italia è fra i primi Paesi europei a dare attuazione alla dir. 2011/24/UE sull’assistenza sanitaria transfrontaliera. La disciplina si propone di regolare la libera circolazione dei pazienti nell’Unione al fine di usufruire di cure mediche. Si tratta di un significativo passo avanti nella realizzazione del diritto alla libera scelta del luogo di cura. Non mancano però profili problematici e questioni che restano aperte, sia in materia di tutela effettiva della salute, sia per quanto concerne la piena eguaglianza dei diritti anche sul territorio nazionale.
Il d.lgs. 4.3.2014, n. 38 procede a dare attuazione nel nostro ordinamento alla dir. 2011/24/UE, concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera1, nonché alla dir. 2012/52/UE, che contiene invece misure destinate ad agevolare il riconoscimento delle ricette mediche emesse in un altro stato membro.
L’Italia è fra i primi Paesi europei a dare attuazione a tali direttive. La parte centrale della disciplina che ne emerge mira a regolare le modalità attraverso le quali cittadini di Paesi terzi possono fruire di cure mediche in Italia, ma soprattutto il modo in cui cittadini italiani possono, a loro volta, vedersi rimborsate le cure mediche ricevute in altri Stati europei nei quali abbiano deciso di recarsi a questo fine.
Tale regolazione rappresenta il punto di arrivo di un lungo percorso avviatosi in sede europea sin dagli anni ’70 e definisce l’attuale equilibrio fra tre importanti fattori: la sovranità degli Stati nell’organizzazione delle modalità attraverso le quali è garantito in sede nazionale il diritto alle prestazioni sanitarie, la libera prestazione dei servizi sanitari nel mercato interno e, infine, il diritto alla salute come elemento della nuova cittadinanza europea.
L’emersione dell’importanza, nell’ambito della questione delle cure transfrontaliere, di questi tre fattori segue l’ordine in cui sono stati enumerati. Ad avere, infatti, una posizione preminente in una prima fase è la sovranità statale nella disciplina e organizzazione delle forme di tutela dei diritti sociali2, ivi compreso il diritto alla salute3. L’autonomia dei sistemi nazionali di welfare è preservata dalla sfera di influenza comunitaria, con l’unica importante eccezione della disciplina del godimento delle prestazioni di sicurezza sociale da parte dei lavoratori che si spostano all’interno della Comunità, introdotta sin dal 1971 con il reg. CEE n. 1408 di quell’anno e successivamente rivista e razionalizzata con il reg. n. 883 del 20044. Tale disciplina si inquadra nell’ambito degli interventi in funzione della piena garanzia del diritto alla libera circolazione delle persone nei Paesi UE e, in questa prospettiva, regolamenta anche le modalità di godimento delle prestazioni mediche delle quali un cittadino necessita nel corso della permanenza presso uno Stato diverso dal proprio nel quale si sia recato, per lavoro, studio o turismo.
L’obiettivo della disciplina, quindi, non è quello del coordinamento dei sistemi di assistenza medica, ma unicamente quello di garantire, anche sotto il profilo della sicurezza, la libera circolazione dei cittadini in Europa. In tale contesto è tuttavia prevista una specifica ipotesi in cui lo spostamento in uno Stato diverso dal proprio avvenga soltanto per poter ricevere cure mediche. È il caso in cui le cure figurino tra le prestazioni previste dalla legislazione dello Stato membro in cui si risiede,ma non possano essere fornite dal proprio sistema sanitario entro un lasso di tempo accettabile sotto il profilo medico. Si apre così l’opportunità di richiedere ed ottenere dalle proprie istituzioni una specifica autorizzazione a recarsi all’estero per potere usufruire delle cure richieste in tempi ragionevoli.
Su questa unica possibilità di uno spostamento “mirato” a ricevere trattamenti sanitari si è innestata quella giurisprudenza che ha fatto emergere il secondo elemento del quadro prima delineato, sotto forma di potenziale conflitto fra la necessità di una autorizzazione per la fruizione di cure mediche in un Paese diverso da proprio e il principio di libera prestazione dei servizi5. Sin dall’inizio degli anni ’80 i giudici comunitari6 qualificano come rientrante nel campo di applicazione della disciplina a tutela di tale principio la possibilità per un cittadino europeo di recarsi in un Paese membro diverso dal proprio per usufruire di cure mediche7. La pronuncia più significativa in materia interviene però nel 19968, quando per la prima volta la Corte di giustizia fa applicazione delle norme del Trattato sulla libertà nella prestazione dei servizi9 e ritiene in contrasto con esse la normativa nazionale che subordina ad autorizzazione il diritto al rimborso delle cure usufruite in un altro Stato membro. La richiesta di un provvedimento autorizzatorio specifico e quindi di una procedura più aggravata per poter godere della prestazione di servizi fornita in uno Stato diverso da quello in cui si è assicurati, secondo la Corte, rende meno vantaggioso ricorrere a fornitori diversi da quelli nazionali, risolvendosi in un ostacolo alla libertà di prestazione. In questa decisione la Corte introduce altri due importanti argomenti che valgono a temperare l’assolutezza di tale affermazione. Il primo riguarda l’eventualità che un rischio di grave alterazione dell’equilibrio finanziario del sistema previdenziale di uno Stato possa costituire un motivo imperativo di interesse generale atto a giustificare limitazioni, quali anche la necessità di una previa autorizzazione da richiedersi da parte del fruitore, alla libertà di prestazione dei servizi. Il secondo concerne invece l’aspetto relativo al tipo di cure usufruite e alle modalità della loro erogazione.
La Corte, se pur solo di passaggio, ritiene rilevante, anche alla luce del precedente argomento, che il servizio sia fornito da un professionista in sede ambulatoriale, impegnando, quindi, l’organizzazione sanitaria unicamente in termini di rimborso, oppure sia una prestazione da erogarsi attraverso un ricovero ospedaliero e concerna, di conseguenza, anche scelte organizzative rimesse al sistema nazionale10.
Tale ultima questione viene meglio sviluppata in alcune successive pronunce11 in cui si precisa che un trattamento medico ospedaliero non è di per sé escluso dall’ambito di applicazione della libertà di prestazione dei servizi,ma è possibile che restrizioni al suo godimento in altro Stato membro siano giustificate da ragioni imperative di protezione del sistema sanitario nazionale. Tali ragioni possono riguardare aspetti quali la stretta interconnessione dell’organizzazione ospedaliera con le modalità di finanziamento del sistema sanitario di un Paese, le necessità di programmazione, nonché l’esigenza di conservazione di un sistema sanitario o di una competenza medica nel territorio nazionale. In considerazione di siffatti elementi la legislazione di un Paese membro può limitare il diritto al rimborso al caso in cui le cure ospedaliere che si decide di ricevere all’estero rientrino fra quelle garantite dal sistema nazionale, ma non possano essere erogate da questo in tempi congrui con le esigenze di cura del paziente interessato.
Le cure non ospedaliere, invece, non potranno essere inquadrate nelle condizioni appena considerate, per esse, quindi, non appare di norma legittima la previsione di una previa autorizzazione.
Nelle successive pronunce la Corte, mentre continua a ribadire che la libera prestazione dei servizi comprende la libertà delle persone che devono ricevere cure mediche di recarsi in un altro Stato membro per godere dei detti servizi senza essere di norma limitate da restrizioni12, estende la legittimità delle eventuali condizioni di rimborso all’ipotesi delle prestazioni mediche che richiedono l’utilizzo di apparecchiature mediche pesanti, fornite anche al di fuori delle infrastrutture ospedaliere, in considerazione del costo assai elevato di tali apparecchiature nonché del loro impatto sul bilancio dei sistemi di sicurezza sociale13.
L’opera giurisprudenziale della Corte di giustizia, muovendo dall’estensione della libera prestazione dei servizi al campo delle cure mediche, ha elaborato una serie di principi che hanno finito per evidenziare i requisiti di un diritto diverso, quello del fruitore delle prestazioni, introducendo così il terzo elemento del quadro delineato all’inizio: il diritto del cittadino europeo alla libera scelta del luogo di cura. Questo si sostanzia in una serie di pretese garantite che riguardano essenzialmente il godimento di certe prestazioni alle stesse condizioni riservate ai cittadini del Paese membro nel quale ci si sia recati per ricevere cure mediche e il rimborso delle stesse da parte del sistema sanitario di appartenenza. Il rimborso, come visto, può essere subordinato ad autorizzazione solo in determinati casi e anche il potere di autorizzazione e il relativo procedimento debbono rispettare limiti e requisiti comuni.
La dir. 2011/24UE porta a termine questo percorso disciplinando in maniera organica la materia dell’assistenza sanitaria transfrontaliera, con l’esplicita finalità di «pervenire a una più generale, nonché efficace, applicazione dei principi elaborati dalla Corte di giustizia attraverso singole pronunce»14. La disciplina in questo modo introdotta lascia impregiudicato il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, funzionale alla libera circolazione delle persone nel territorio dell’Unione, e si aggiunge ad esso regolando la circolazione dei cittadini europei che intendano accedere all’assistenza sanitaria in Paesi diversi da quello di appartenenza.
La regolazione italiana dell’assistenza transfrontaliera è attualmente contenuta nel d.lgs. n. 38/2014 che dà attuazione alla direttiva appena citata.
Il decreto, entrato in vigore il 5.4.2014, dedica una prima parte alla disciplina dell’assistenza prestata in Italia a cittadini di Paesi membri che decidano di recarsi nel nostro Paese al fine di usufruire di servizi medici. Oltre a richiamare a questo fine la necessaria osservanza della normativa nazionale ed europea vigente e degli standard ed orientamenti sulla qualità e sicurezza, il decreto rimanda ai principi di universalità, di accesso alle cure di elevata qualità, di equità
e di solidarietà, aggiungendo un richiamo, che non manca di suscitare qualche perplessità, al rispetto delle scelte etiche fondamentali dello Stato italiano.
L’indicazione fondamentale è quella per cui i pazienti provenienti da altri Paesi membri hanno diritto alle prestazioni mediche richieste in condizioni di parità e non discriminazione rispetto ai cittadini italiani. Questo si traduce, fra l’altro, nella pretesa garantita a che i prestatori di assistenza sanitaria applichino le stesse tariffe o gli stessi onorari riservati ai pazienti nazionali in una situazione clinica comparabile, nel diritto alla cartella clinica, in formato cartaceo o elettronico, nonché all’accesso ad almeno una copia di essa, nel diritto alla tutela dei propri dati personali e, infine, nella pretesa all’assistenza informativa offerta dal Punto di contatto nazionale.
Il decreto prevede tuttavia una eccezione che riguarda la capacità del sistema sanitario nazionale e il suo equilibrio complessivo, elementi che potrebbero Essere messi in crisi da un accesso alle prestazioni, per così dire, “libero” da parte di cittadini di Stati terzi.
In questa prospettiva si consente che, con provvedimento del Ministro della salute, siano adottate misure che regolino in maniera più restrittiva il ricorso al nostro sistema pubblico da parte di cittadini provenienti da altri Paesi dell’Unione. Si tratta di misure che possono riguardare anche singole regioni o addirittura singole aziende e enti del servizio sanitario nazionale, e possono essere adottate anche su richiesta regionale. Naturalmente le limitazioni debbono essere strettamente necessarie e proporzionate ad evitare le gravi conseguenze che mirano a scongiurare, e non possono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria fra pazienti nazionali ed esteri.
Il decreto passa poi ad occuparsi dell’accesso dei cittadini italiani alle cure mediche prestate in Paesi diversi dal nostro, disciplinando le garanzie e i mezzi di tutela di coloro che qualifica come “persone assicurate in Italia”. La scelta terminologica lascia perplessi dal momento che riprende testualmente la definizione che viene utilizzata dalla dir. 2011/24UE all’ovvio fine di tenere conto delle diverse modalità in cui si articola la regolazione dell’assistenza sanitaria nei vari Paesi, senza considerare l’opportunità di impiegare, invece, nella normativa interna una espressione più idonea a qualificare l’effettiva condizione degli assistiti dal sistema sanitario nazionale e sicuramente fonte di minori incertezze rispetto a quella utilizzata.
I diritti di coloro che dall’Italia decidono di ricorrere alle cure sanitarie prestate in un altro Paese riguardano tre distinti ambiti: quello informativo, quello della continuità assistenziale e quello economico, che si riferisce, in particolare, ai termini e alle modalità del rimborso.
Sotto il profilo dell’informazione, il tipo di indicazioni alle quali chi decida di ricorrere alle cure transfrontaliere ha diritto concernono essenzialmente gli aspetti procedurali inerenti le modalità di accesso al rimborso e la tutela in caso di diniego. A doverle fornire è il Punto di contatto nazionale per l’assistenza sanitaria transfrontaliera, istituito presso il Ministero della salute, con il supporto degli eventuali Punti di contatto regionali che le regioni decidano
autonomamente di costituire a questo fine.
La considerazione per le esigenze legate alla continuità assistenziale si concretizza nel diritto all’accesso remoto o ad una copia della propria cartella clinica, da utilizzarsi per la ricostruzione della propria storia medica presso la struttura estera alla quale ci si rivolga, e nel pieno diritto ai controlli medici che si rendano necessari, in considerazione della prestazione ricevuta all’estero, una volta rientrati in patria.
Il rimborso delle spese mediche sostenute da chi dall’Italia decida di avvalersi dell’assistenza sanitaria transfrontaliera è accordato unicamente laddove la prestazione erogata sia compresa nei Livelli essenziali di assistenza assicurati nel nostro Paese dal sistema sanitario nazionale e in misura corrispondente alle tariffe regionali vigenti. Resta salva per le regioni la possibilità di rimborsare, con proprie risorse, gli eventuali livelli di assistenza regionali ulteriori e le
altre spese di viaggio e alloggio sostenute da chi sia portatore di una disabilità.
Per poter accedere alla procedura di rimborso il trattamento sanitario di cui si sia usufruito deve essere stato innanzi tutto riconosciuto come necessario ai sensi della disciplina vigente nel nostro Paese, che prevede la funzione del medico di base come gatekeeper delle prestazioni mediche fornite dal sistema sanitario nazionale. A fini del rimborso, poi, conformemente a quanto previsto nella direttiva a cui si dà attuazione, si distingue fra i trattamenti che debbono essere preventivamente autorizzati e tutti gli altri trattamenti, che invece non sono soggetti a preventiva autorizzazione e sono rimborsabili su semplice richiesta dell’interessato.
La tipologia di prestazioni da autorizzarsi è triplice.
Innanzi tutto rientrano in questo campo quelle che comportano un ricovero ospedaliero, anche per una sola notte, o che comunque richiedono l’utilizzo di un’infrastruttura sanitaria o di apparecchiature mediche altamente specializzate e costose. Questo primo tipo di prestazioni non è, tuttavia, soggetto automaticamente a richiesta di preventiva autorizzazione, ma, per potersi ritenere legittimo l’aggravio del diritto al rimborso che si determina attraverso la sua soggezione ad un previo procedimento autorizzatorio, il decreto richiede che vengano in considerazione esigenze di pianificazione sanitaria miranti ad assicurare, nel territorio nazionale, l’accesso a cure di elevata qualità, il controllo dei costi, e l’abbattimento di ogni spreco di risorse. È un decreto del Ministero della salute a dover, quindi, individuare l’elenco delle prestazioni che, alla luce di quanto considerato, sono sottoposte ad autorizzazione preventiva, fatta salva la possibilità per le Regioni, nel rispetto dei medesimi criteri, di individuarne altre non comprese nell’elenco ministeriale.
Accanto a questa prima tipologia di prestazioni, la cui soggezione al procedimento autorizzatorio dovrà quindi essere nota a priori, possono essere soggette ad autorizzazione anche le prestazioni che comportano un rischio particolare per il paziente o la popolazione e infine quelle fornite da prestatori che potrebbero suscitare gravi e specifiche preoccupazioni quanto alla qualità o alla sicurezza dell’assistenza.
Queste due ultime tipologie di prestazioni non possono essere elencate a priori, dovendosi valutare le condizioni che le riguardano caso per caso.
In questi termini si pone il problema di una verifica preliminare all’avvio della procedura autorizzatoria, al fine di valutare se la prestazione richiesta rientri o meno fra quelle per cui quest’ultima è necessaria.
Anche in questa prospettiva il decreto dispone che, in ogni caso, la persona che intende beneficiare dell’assistenza transfrontaliera e del conseguente rimborso, presenta apposita domanda alla ASL territorialmente competente, affinché sia verificato se la medesima prestazione debba essere sottoposta o meno ad autorizzazione preventiva.
L’autorizzazione a cui consegue il diritto al rimborso può essere negata unicamente quando, in base ad una valutazione clinica, il paziente o il pubblico sarebbero esposti con ragionevole certezza a rischi inaccettabili; quando la prestazione per cui si fa richiesta è fornita da un prestatore di assistenza sanitaria che suscita gravi e specifiche preoccupazioni quanto al rispetto degli standard e orientamenti sulla qualità dell’assistenza e sicurezza dei pazienti; o, infine, quando l’assistenza sanitaria che si intende ricevere all’estero può essere prestata nel territorio nazionale entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico, tenuto presente lo stato di salute e il probabile decorso della malattia del richiedente.
L’ultima parte del decreto è dedicata alla cooperazione fra gli Stati in materia di assistenza sanitaria.
Questa si traduce, fra l’altro, nella mutua assistenza, che l’Italia assicura in diversi campi che riguardano l’informazione in materia sanitaria, e nella disciplina del riconoscimento delle prescrizioni rilasciate in un altro Stato membro. A questo proposito il decreto prevede un inedito diritto del farmacista di rifiutarsi, per ragioni etiche, di dispensare il medicinale prescritto in un altro Stato membro, dove il farmacista godrebbe dello stesso diritto.
La previsione lascia piuttosto perplessi, dal momento che il nostro ordinamento non prevede l’obiezione di coscienza dei farmacisti. Non si comprende bene, quindi, quale sia il senso di siffatta previsione, tenuto conto anche del fatto che lo stesso decreto precisa poco prima che il riconoscimento delle prescrizioni effettuate in un altro Stato membro «non pregiudica le norme nazionali che regolano la prescrizione e la fornitura di medicinali».
Uno degli aspetti sicuramente più significativi della cooperazione riguarda la collaborazione fra l’Italia e gli altri Paesi membri nella prospettiva di una crescita comune della qualità dell’assistenza medico sanitaria. In questa prospettiva si collocano lo sviluppo delle reti di riferimento europee «ERN» tra prestatori di assistenza sanitaria e centri di eccellenza, la cooperazione per lo sviluppo di sempre maggiori capacità di diagnosi e di cura delle malattie rare e la collaborazione nella valutazione delle tecnologie sanitarie.
Si tratta di campi in cui si prospettano sfide importanti per la sanità nazionale ed europea.
La regolazione delle modalità attraverso le quali un cittadino assistito in Italia può usufruire a spese del sistema sanitario nazionale di cure fornite in altri Paesi dell’Unione è sicuramente un traguardo importante che espande in maniera consistente le garanzie collegate al diritto alla libera scelta del luogo di cura. Un diritto che il nostro sistema non riconosce in maniera assoluta nemmeno nell’ambito del territorio nazionale, ma che indubbiamente ha acquisito nel tempo una dimensione che travalica i confini dello Stato, ambientandosi in una realtà la cui dimensione è stata profondamente trasformata dall’informazione e dall’aumentato tasso di circolazione delle persone. Se non c’è dubbio che la comunità medico-scientifica non abbia più da tempo una portata solo nazionale, anche la comunità dei pazienti si avvia ad essere sempre meno legata al territorio di provenienza. Tutto questo si riflette sul diritto alla salute sotto diversi profili.
In via generale il primo effetto riguarda le conseguenze della circolazione dei pazienti sulla quantità e qualità delle prestazioni che sostanziano le pretese collegate alla tutela della salute. Per quanto, come illustrato, l’accesso alle cure transfrontaliere con diritto di rimborso riguardi unicamente le prestazioni incluse nei nostri livelli essenziali di assistenza, con il tempo l’aumento della circolazione dei pazienti in Europa può presentarsi come un dato di fatto idoneo ad incidere anche sul tipo di prestazioni assicurate nel nostro Paese e quindi sulla consistenza del diritto alla salute ivi garantito. È significativo, ad esempio, in questo senso che fra gli argomenti contenuti nella recente pronuncia con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa vigente in Italia15, i giudici abbiano incluso la diseguaglianza nel godimento del diritto alla salute che si determinava fra le coppie che a proprie spese potevano recarsi all’estero per accedere a questo tipo di pratica fecondativa e coloro che, invece, per motivi economici erano costretti a restare in Italia.
Di tutt’altra portata invece è il modo in cui un potenziale aumento del ricorso alle cure transfrontaliere può incidere sulla sostenibilità del diritto alla salute garantito in Italia. Attualmente la mobilità dei pazienti al di fuori dei confini nazionali è molto limitata e rappresenta una percentuale ininfluente della spesa sanitaria. Un potenziale aumento di essa, tuttavia, è suscettibile di incidere in maniera consistente sui costi della sanità, soprattutto in considerazione del nostro modello nazionale di assistenza, basato sulla copertura dei costi con la fiscalità generale e soprattutto fondato su prestatori di servizi a carattere prevalentemente pubblico, pur con rilevanti differenze a livello regionale16. Diversamente o comunque in maniera più consistente da quanto può accadere nei sistemi fondati sul meccanismo assicurativo, in Italia un potenziale sempre più ampio ricorso alle cure transfrontaliere può esporre il sistema ai maggiori costi che deriverebbero da una possibile sottoutilizzazione delle strutture pubbliche nazionali. Si tratta di una prospettiva futura, ma non necessariamente lontana nel tempo. Si pensi, ad esempio, ai trattamenti sanitari di fecondazione assistita di tipo eterologo. Ai sensi della sentenza della Corte costituzionale appena citata essi sono attualmente da includersi fra i livelli essenziali di assistenza e quindi da garantirsi da parte del nostro sistema sanitario. Indipendentemente dal modo in cui verranno considerati, se suscettibili o meno di essere sottoposti ad autorizzazione preventiva, tali trattamenti potranno essere usufruiti all’esterno con rimborso da parte del nostro servizio sanitario. Bene, è ipotizzabile sin d’ora che il ricorso a strutture estere da parte delle coppie italiane e relativi rimborsi aumenteranno consistentemente, tenuto conto del ritardo accumulato in Italia in materia e del tempo che occorrerà al nostro Paese per adeguarsi alle altre realtà europee anche,ma non solo, in termini di disponibilità di gameti donati. In considerazione del costo piuttosto consistente di tali trattamenti, è ragionevole ritenere che il rimborso di quelli ottenuti all’estero sia suscettibile dimettere ulteriormente in crisi la sostenibilità di diversi sistemi sanitari regionali già in difficoltà economica.
Al di là delle future ricadute sul diritto alla salute, alcuni profili problematici in termini di uniforme garanzia di esso e, quindi, di rispetto del principio di eguaglianza nel suo godimento, si pongono anche nell’immediato alla luce di una normativa che trascura alcuni elementi essenziali in questo senso e in considerazione dei limiti organizzativi degli attuali sistemi sanitari regionali.
Sotto il primo profilo vengono, ad esempio, in rilievo i contenuti dell’informazione che il nostro Punto di contatto nazionale è tenuto a fornire. Come sopra considerato, questi riguardano essenzialmente gli aspetti amministrativo burocratici delle procedure da seguire da parte di chi intenda recarsi all’estero per usufruire di cure mediche. Manca qualsiasi tipo di indicazione in ordine alle tipologie di prestazioni sanitarie fornite dalle strutture presenti negli altri Paesi. Per conoscerle e per verificarne l’utilità ai propri fini di cura il singolo cittadino dovrà attivarsi direttamente e con i propri mezzi, con il rischio di consistenti diseguaglianze derivanti dalla diversa capacità di accesso all’informazione disponibile in materia sanitaria e con una scarsa tutela dai rischi che possono derivare da una cattiva qualità dell’informazione in questo delicato ambito.
I limiti organizzativi che mettono a rischio l’eguaglianza nell’esercizio del diritto a godere di prestazioni sanitarie in altri Paesi riguardano le difficoltà che molti sistemi sanitari regionali incontreranno nel porre in essere le misure che garantiscono la certezza dei rimborsi e della loro disciplina. Ciò riguarda anche la loro possibile diversa entità. I rimborsi sono infatti collegati, da un lato, alle tariffe vigenti nelle singole regioni e, dall’altro, al costo dell’assistenza sanitaria ricevuta, che l’assistito deve dimostrare e che la regione interessata deve verificare.
Se è indubbio che da ciò possano derivare trattamenti diversi, anche in considerazione della differente capacità regionale ad assicurare trasparenza e tempestività delle procedure, il rischio di diseguaglianza più consistente riguarda però la possibilità per alcune regioni di chiedere ed ottenere misure che limitano la rimborsabilità delle cure usufruite all’estero anche in deroga alla normativa generale.
Quest’ultima eventualità apre a scenari preoccupanti in ordine all’eguaglianza nel godimento delle prestazioni che rientrano nei livelli essenziali delle prestazioni da assicurarsi a tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione di residenza17.
1 Di Federico,G., Protezione della salute e cittadinanza europea nella direttiva 2011/24/UE sulla mobilità transfrontaliera dei pazienti, in Rossi, L.S.-Bottari, C., Sanità e diritti fondamentali in ambito europeo e italiano, Rimini, 2013, 45; Inglese,M., Le prestazioni sanitarie transfrontaliere e la tutela della salute, in Dir. com. e degli scambi internaz., 2012, 109. 2 C. giust., 24.4.1980, C-110/79, Coonan c. Insurance Officer; C. giust., 7.2.1984, C-238/82, Duphar e altri c. Olanda; C. giust., 17.6.1997, C-70/95, Sodemare e altri c. Regione Lombardia.
3 Pioggia, A., Diritto sanitario e dei servizi sociali, Torino, 2014, 10 ss.
4 Giubboni, S, Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’integrazione europea, Bologna, 2005; Id., Diritti e solidarietà in Europa. I modelli sociali nazionali nello spazio giuridico europeo, Bologna, 2012; Cremona, M., Market integration and public services in the European Union, Oxford, 2011.
5 D’Angelosante, M., Il mercato dei servizi sanitari nell’Unione europea: dalla concorrenza fra operatori a quella fra sistemi?, in Dereito - Revista xurìdica daUniversidade de Santiago de Compostela, 21, 2012; Civitarese Matteucci, S., Servizi sanitari, mercato e “modello sociale europeo”, in Pioggia, A.-Dugato,M.-Racca,G.-Civitarese Matteucci, S., a cura di, Oltre l’aziendalizzazione del servizio sanitario. Un primo bilancio, Milano, 2008, 361.
6 C. giust., 31.1.1984, C- 286/82 e C-26/83, Luisi e Carbone c. Ministero del Tesoro.
7 Una prestazione di curemediche non perde la propria natura di prestazione di servizi per il fatto che venga presa a carico da un servizio sanitario nazionale o direttamente fornita da un regime pubblico di prestazioni in natura. In questo senso C. giust., 13.5.2003, C-385/99, Müller-Faurè e Van Riet . Onderlinge Waarborgmaatschappij OZ, punto 103.
8 C. giust., 28.4.1998, C-158/96,Kohll c.Union des Caisses de Maladie.
9 Artt. 59 e 60 del Trattato CEE.
10 Van De Groden, J., Cross border health care in the EU and the organization of the national health care systems of the Member States: the dynamics resulting from the European Court of Justice’s decisions on free movement and competition law, in Wisconsin international law review, 2008, 704.
11 C. giust., 12.7.2001, C-157/99, Smits e Peerbooms c. Stichting Ziekenfonds; C. giust., 13.5.2003, C-385/99, cit.
12 Così in C. giust., 15.6.2010, C211/08, Commissione c. Spagna; C. giust., 16.5.2006, C372/04,Watts c. Bedford Primary Care Trust.
13 C. giust.,Grande sezione, 5.10.2010, C- 512/2008, Commissione c. Francia.
14 Così nell’ottavo considerando della Direttiva.
15 C. cost., 10.6.2014, n. 162.
16 D’Angelosante, M., Strumenti di controllo della spesa e concorrenza nell’organizzazione del servizio sanitario in Italia, Rimini, 2012.
17 Tubertini, C., Pubblica Amministrazione e garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni. Il caso della tutela della salute, Bologna, 2008.