Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il concetto di automazione solo 50 anni fa risultava assolutamente estraneo al senso comune, suscitando sconcerto e strane fobie. Ai nostri giorni, invece, è una realtà completamente integrata nella vita quotidiana, dal settore produttivo al lavoro di ufficio. Nella storia dell’automazione, la macchina ha sempre giocato un ruolo centrale, affiancata negli ultimi anni dal calcolatore. Alla meccanizzazione si è dunque aggiunto un sistema di autocontrollo (feedback system) che rende spesso superfluo l’intervento umano nell’attività produttiva. Meccanizzazione e automazione sono state al centro delle riflessioni di molti pensatori contemporanei, alcuni dei quali ne hanno esaltato i vantaggi, altri denunciato i pericoli.
Se 50 anni fa il termine automazione era percepito ancora come un neologismo, oggi esso fa parte della realtà in cui viviamo, al punto da cadere in disuso: si tratta dell’effetto di assuefazione per il quale tecniche che all’inizio apparivano come nuove, sconcertanti, temibili, arrivano a confondersi – una volta impiantate – nel paesaggio quasi naturale nel quale ci muoviamo.
Il termine fa riferimento a fenomeni diversi fra loro, quali la produzione tramite linee di montaggio oppure fenomeni più sofisticati di controllo automatico. In generale, indica la sostituzione della manodopera umana con macchine nelle fabbriche e negli uffici. Si tratta di una serie di procedure, tipiche della fase attuale dello sviluppo tecnico, grazie alle quali vengono da un lato prodotti beni, e dall’altro raccolte ed elaborate informazioni. Nella produzione, l’automazione sostituisce la forza-lavoro umana con macchine nelle funzioni di servizio, comando e sorveglianza di altre macchine, come pure nel controllo dei prodotti, in modo totale (ciclo completo) o parziale. L’obiettivo ideale dell’automazione è dar vita a cicli produttivi in cui la mano umana non interviene mai dall’inizio alla fine del processo di fabbricazione. Nel lavoro di ufficio il processo di automazione sostituisce l’uomo con macchine nelle attività di calcolo, registrazione, elaborazione statistica e controllo delle informazioni, e anche in molte operazioni di scrittura.
Dal punto di vista del metodo impiegato, nell’automazione il principio fondamentale è l’integrazione delle distinte attività produttive (discontinue) in un processo complessivo (continuo) svolto da macchine di vario tipo e diretto e sorvegliato da apparecchi elettronici. La differenza tra la fase della meccanizzazione e quella dell’automazione sta nel fatto che molte funzioni che nella meccanizzazione erano ancora di competenza dell’operaio (immissione del materiale, accensione e arresto delle macchine, controllo del prodotto, sorveglianza del processo complessivo di lavorazione, manovra di macchine non automatiche) nell’automazione sono competenza di macchine prevalentemente elettroniche. Si può affermare infatti che nell’automazione ciò che viene sostituito da macchine non è tanto il lavoro (umano) quanto il controllo sul lavoro. Il ruolo del controllore e del programmatore dell’intero processo è affidato sempre più a figure professionali quali ingegneri, matematici, esperti informatici, mentre i semplici operai dequalificati e specializzati vengono sempre più espulsi dal processo lavorativo.
L’automazione è resa possibile da alcuni metodi e alcune scoperte che sono fondati sulla teoria matematica della comunicazione, in particolare la retroazione (autoregolazione dei procedimenti lavorativi) e il calcolo elettronico. La cibernetica, intesa nella formulazione di Norbert Wiener come lo studio di quei sistemi e di quei processi che consentono la possibilità di comunicazione non solo tra esseri viventi ma anche tra macchine, è alla base di tali innovazioni. La cibernetica ha formulato in termini matematici le leggi che operano nei processi di regolazione automatica, ove questa si basi su comunicazioni con il mondo esterno.
La tecnica della retroazione (nota anche come feed-back) era già utilizzata in forma semplice nella macchina a vapore o nel timone delle navi. Essa può essere definita nel modo seguente: alcune caratteristiche del prodotto ottenuto dal processo lavorativo sono retrocomunicate da un apparecchio apposito a un altro apparecchio in grado di controllare la produzione e di mantenerla entro certi limiti. Un esempio classico di retroazione è costituito dall’azione del termostato sul termosifone e sulla caldaia. La retroazione può essere applicata alla regolazione di ogni fase della produzione, e può assumere forme molto complesse se i parametri da rispettare sono molteplici. Si tratta di un circuito chiuso che non necessita dell’intervento umano e che ha la capacità di autocorreggersi. Si basa sul principio della retroazione e viene definito tecnicamente circuito autocontrollato (closed loop oppure feedback system).
Il primo processo di produzione industriale completamente automatico controllato solo da un calcolatore elettronico ha trovato applicazione nell’industria petrolifera americana nel 1959. Un circuito autocontrollato funziona in base a un processo molto simile alle percezioni dei sensi dell’uomo e alla sua intelligenza. Questa caratteristica ha sollevato la domanda se le macchine automatiche siano in grado di pensare.
Il secondo elemento tecnico sul quale si basa l’automazione è il calcolo elettronico, cioè l’intervento del computer, incomparabilmente più veloce del calcolo meccanico (i tempi sono ridotti a milli-, micro- o nanosecondi). È stato utilizzato per la prima volta nel corso della seconda guerra mondiale, per permettere alla difesa contraerea di tener conto della velocità degli aerei e della loro capacità di mutar rapidamente la rotta. La rapidità richiesta nelle fasi di puntamento dei cannoni e la mancanza di specialisti all’altezza del compito richiedevano che l’intervento umano fosse ridotto al minimo.
Il computer non si limita a calcolare: è in grado di effettuare confronti e di determinare se una certa informazione è compatibile con parametri preimpostati. Grazie a una apposita programmazione, il computer può scegliere quale alternativa risponda meglio al fine che si intende raggiungere (operations research , ricerca operativa). La flessibilità in entrata e in uscita e l’elaborazione simultanea (in-line-processing), la ricerca operativa, la possibilità di deduzione, la capacità di prendere decisioni complesse per le quali non esistono esperienze sufficienti (le decisioni non programmate o soluzioni euristiche dei problemi) hanno reso il computer una componente essenziale delle grandi imprese, dei grandi uffici e della pubblica amministrazione.
Fino alla metà degli anni Settanta – quando l’informatica era una disciplina ancora relativamente ristretta a pochi e affidata a grandi macchine (mainframes) – l’automazione era una caratteristica della grande impresa e poteva essere considerata la continuazione e al tempo stesso il superamento dei modelli fordisti di razionalizzazione del lavoro. Con la diffusione, lo sviluppo dell’informatica e la sua ampia applicazione in rete, l’automazione è diventata invece parte integrante di tutti i moderni processi produttivi, fino a rendersene indistinguibile.
L’automazione ha riproposto domande sorte già al tempo delle rivoluzioni industriali che si sono succedute nel corso degli ultimi secoli: è un processo che libera l’uomo dal peso della fatica e dall’abbrutimento di gesti ripetuti in modo sempre uguale, oppure è la causa di una alienazione ancora maggiore in quanto espelle l’operaio dalla fabbrica e l’impiegato dall’ufficio e delega ogni responsabilità a un ridottissimo personale che controlla le procedure automatiche? Le risposte sono diverse e diversamente motivate. Henry Ford II si schiera decisamente a favore dell’automazione, che a suo avviso “fa del lavoratore il signore della macchina”; meno ottimista è l’opinione di altri pensatori, fra i quali non pochi sociologi del lavoro ed economisti. Ad esempio, Luciano Gallino ha di recente ribadito la tesi secondo cui la disoccupazione crescente è effetto dell’automazione.
La nostra epoca può essere definita “epoca dell’automazione” proprio come l’Ottocento viene indicato come il secolo dell’industrializzazione e il periodo fra le due guerre mondiali come epoca della razionalizzazione dei processi produttivi. Le potenzialità tecniche dell’automazione sono talmente ampie da aver suggestionato settori della creatività umana da sempre molto sensibili agli sviluppi tecnici come la letteratura, il cinema, la fantascienza. Analogamente alla questione relativa all’occupazione, l’immagine di un lavoro che si effettua senza l’uomo ha da un lato rilanciato l’utopia della liberazione dalla fatica, dall’altro generato una forte preoccupazione se non addirittura ansia (già presente fra le paure ataviche elaborate dalla nostra cultura) nei confronti di una tecnica divenuta completamente autonoma dalle decisioni umane e quindi della esautorazione dell’uomo dal mondo che dovrebbe essere il suo. Gli esempi sono numerosi: dalle poche e dense pagine del racconto L’ultima domanda di Isaac Asimov al film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick (si veda anche l’omonimo racconto di Arthur Clarke da cui è tratto), dal romanzo Player piano di Kurt Vonnegut al racconto The Machine stops di E.M. Forster, dall’opera La strada di Wigan Pier di George Orwell alle vecchie e nuove riflessioni critiche sul macchinismo. Nel recente saggio Fuori dall’Occidente Alberto Asor Rosa arriva a considerare il pensiero umano “superfluo” di fronte a macchine “indipendenti”. Per parte sua, la cultura cyberpunk fonde in un certo qual modo l’approccio ottimista e quello pessimista per delineare lo scenario di un mondo “senza generazione e senza genere”, cioè una società in cui la donna smette il suo ruolo di “strumento” di riproduzione della specie umana, affidata a nuovi processi e scoperte nel settore delle biotecnologie. Nelle tesi sostenute da Pierre Lévy, si intravede invece un futuro assai prossimo nel quale il sapere contenuto nelle macchine elettroniche renderà obsoleta la figura dell’individuo oberato dai suoi molti limiti, per dar vita a una intelligenza collettiva dall’estensione planetaria. Si tratta di filoni diversi di riflessione al tempo stesso affascinati dalle nuove tecnologie e tentati da nuove forme di luddismo e di antimacchinismo. Si stagliano a volte immagini assai cupe di un mondo diviso fra i nuovi proletari (tutti coloro che dipendono dalle macchine) e i pochi potentissimi padroni delle macchine stesse, un mondo in cui la libertà è completamente scomparsa, salvo recuperarla mediante l’accesso totale e libero alla comunicazione elettronica attraverso cioè le stesse tecnologie di cui si paventano gli effetti.