L’avventura delle onde gravitazionali
Il rivelatore LIGO registra la fuggevole vibrazione dello spazio-tempo prodotta dalla fusione di due buchi neri. Adesso per la fisica si apre una nuova pagina che ci aiuterà a comprendere meglio i grandi problemi cosmologici.
Per fortuna nessuno gli ha dato retta. È l’11 settembre 2015, e Rainer Weiss, come fa spesso, è passato a dare un’occhiata alla sua ‘creatura’. Weiss è professore emerito del Massachusetts institute of technology (MIT), dove ha insegnato per molti anni prima di andare in pensione, ed è uno dei padri di LIGO (Laser interferometer gravitational-wave observatory), l’enorme infrastruttura che interrompe il nulla, fatto di radure e pinete, nei dintorni di Livingston, Louisiana.
L’apparato opera in coincidenza con il suo gemello, installato a Hanford, nello Stato di Washington, a 3000 km di distanza. Insieme cercano di rivelare i segnali più elusivi della storia della fisica: le onde gravitazionali, quelle minuscole perturbazioni dello spazio-tempo previste da Einstein già dal 1916 ma che, fino a quel momento, nessuno era mai riuscito a identificare.
Dopo una prima presa di dati nel 2002 il rivelatore è stato notevolmente migliorato. Ci sono voluti anni di lavoro e sforzi sovrumani per aumentare la sensibilità e ridurre al minimo il rumore, ma ora tutto sembra pronto. Mancano solo 3 giorni al primo periodo di operazione di quello che ha preso il nome di Advanced LIGO. Ma quando lì, in sala di controllo, Weiss guarda ai monitor che analizzano lo spettro del rumore, la sua espressione è orripilata: c’è un terribile disturbo dovuto a un’interferenza radio.
«Fermate tutto e sospendete il test!». Troppo tardi, gli obiettano, ormai si parte. L’anziano professore è contrariato, ma alla fine deve cedere. Sono membri più giovani della collaborazione, che lui ha fondato, ad averne la responsabilità operativa, e tocca a loro l’ultima parola.
Mai decisione fu più azzeccata. Solo 3 giorni dopo, il 14 settembre 2015, alle 3,50:45 del mattino, un segnale inequivocabile compare prima a Livingston e, 7 millisecondi dopo, si presenta identico a Hanford. È la fine di una lunga caccia e l’inizio di una nuova era: si apre un capitolo nuovo nell’esplorazione dell’Universo.
Le onde gravitazionali sono sottili increspature dello spazio-tempo previste dalla relatività generale, ma sono talmente deboli da essere sfuggite per decenni a tutti i tentativi di rilevazione. Le prime evidenze indirette sono state raccolte osservando i segnali radio emessi da alcune pulsar, compatte stelle di neutroni. Quando un paio di questi corpi celesti sono abbastanza vicini da formare un sistema binario, entrambi ruotano intorno al centro di massa del sistema. In queste condizioni, la relatività generale prevede che una frazione della loro energia venga emessa sotto forma di onde gravitazionali e, di conseguenza, le loro orbite subiscono una contrazione progressiva. È l’osservazione che hanno fatto per primi Russell Hulse e Joseph Taylor, che per questa scoperta sono stati premiati con il Nobel nel 1993.
Da quel momento la caccia alla rivelazione diretta delle onde gravitazionali è diventata una priorità che ha attirato l’interesse di centinaia di scienziati e l’attenzione delle grandi agenzie di ricerca. Le risorse mobilitate hanno permesso l’installazione dei moderni interferometri.
Il principio di funzionamento di questi apparati è semplice: un fascio laser viene suddiviso in 2 e inviato in bracci diversi che corrono perpendicolari per qualche chilometro. Nel vuoto più spinto i 2 fasci vengono riflessi da specchi speciali e rimbalzano avanti e indietro per centinaia di volte prima di incontrarsi di nuovo.
Nel nuovo incrocio si producono fenomeni di interferenza che dipendono dalle più piccole differenze di cammino ottico. Al passaggio di un’onda gravitazionale, la distorsione dello spazio-tempo allunga uno dei 2 bracci e accorcia l’altro, e dalla minuscola differenza nasce un segnale. I più moderni interferometri hanno una sensibilità così spinta che possono rivelare una variazione di lunghezza di 10-19m, un decimillesimo delle dimensioni di un protone.
I fenomeni che possono generare onde gravitazionali significative avvengono a distanze molto grandi dal nostro pianeta. Se usiamo l’analogia con l’irraggiamento elettromagnetico, per emettere un’onda gravitazionale ci vuole una carica gravitazionale, cioè una massa, che viene accelerata. Ma la debolezza della gravità è tale che solo quando masse gigantesche sono sottoposte a enormi accelerazioni si possano produrre onde gravitazionali robuste a sufficienza da lasciare qualche segnale in esperimenti installati sulla Terra. Si tratta quindi di dare la caccia a fenomeni catastrofici, come le esplosioni di supernovae, la fusione di un sistema binario di stelle di neutroni o di buchi neri. Maggiore è la sensibilità degli strumenti, più grande è il raggio di ascolto, cioè la quantità di galassie che è possibile tenere sotto osservazione, e maggiore è quindi anche la probabilità di raccogliere uno di questi eventi e gridare eureka.
Per aumentare ulteriormente la sensibilità si sono costruiti più apparati e si sono messi in coincidenza fra loro. L’osservatorio LIGO gestisce i 2 grandi strumenti degli Stati Uniti e collabora e condivide i dati con l’interferometro italo-francese Virgo, installato a Cascina, nei pressi di Pisa. Ma quando il segnale venne registrato da LIGO, Virgo non era operativo.
Nell’apparato italo-francese erano in corso importanti lavori di manutenzione e miglioramento il cui termine era stato fissato alla metà del 2016. Tuttavia i 2 esperimenti condividono i dati raccolti e quindi gli oltre 1000 scienziati di Virgo e LIGO sono chiamati subito al più dettagliato scrutinio dei risultati.
L’analisi procede per mesi, con rigore e nel silenzio stampa più totale. Si fa di tutto per cercare qualche indizio sospetto che potrebbe uccidere il risultato.
Vengono prese in considerazione tutte le ipotesi, anche le più improbabili, per dimostrare che il segnale è un artefatto o una fluttuazione statistica del fondo. Alla fine ci si deve arrendere: le onde gravitazionali sono state osservate. L’11 febbraio 2016, i fisici di LIGO e Virgo annunciano al mondo la scoperta.
Il segnale proviene da una galassia distante 1,4 miliardi di anni-luce ed è stato prodotto da un’immane catastrofe cosmica: una collisione di 2 giganteschi buchi neri, rispettivamente 36 e 29 masse solari. I 2 corpi hanno prima spiraleggiato, vorticosamente, intorno al centro di gravità del sistema e alla fine della folle danza si sono fusi viaggiando l’uno nelle braccia dell’altro alla velocità spaventosa di 150.000km/s. Ne è nato un buco nero di circa 62 masse solari. Nella pazzesca accelerazione degli ultimi istanti il sistema ha irraggiato un’immane quantità di energia, l’equivalente di 3 masse solari, sotto forma di onde gravitazionali che hanno perturbato il cosmo intero e sono giunte fino a noi.
Eccola qua la scoperta delle onde gravitazionali: oggi sappiamo che forti percussioni dello spazio-tempo producono onde con un meccanismo simile a quello che ciascuno di noi ha provocato lanciando un sasso in uno stagno.
Con questa scoperta si apre una prospettiva completamente nuova per l’osservazione e la comprensione dell’Universo: nasce l’astronomia gravitazionale. Usando anche Virgo ed equipaggiando l’emisfero australe si potranno ben presto identificare tutte le sorgenti di onde gravitazionali e costruire così una nuova immagine del cosmo che ci permetterà di gettare una luce nuova sui segreti di lontane catastrofi.
Si può addirittura immaginare che riusciremo prima o poi a registrare le onde gravitazionali fossili, quelle originate direttamente dal Big-Bang, ben prima che la luce si separasse dalla materia 380.000 anni dopo. Sappiamo che ancora oggi fluttuano, intorno a noi, quelle impercettibili perturbazioni dello spazio-tempo, residuo del turbinio di onde gravitazionali emesse in quei primissimi istanti.
Chi riuscisse a spingere la sensibilità degli attuali strumenti al punto da poterle rivelare potrebbe ricostruire, in tutti i dettagli, quel momento straordinario. Per certi versi il racconto della nascita del nostro Universo echeggia ancora intorno a noi: la sfida straordinaria che si è aperta con questa scoperta è di riuscire a percepire quel sottile bisbiglio.
Come funziona LIGO
L’osservatorio interferometrico laser per onde gravitazionali è costituito da 2 bracci lunghi 4 kilometri, che formano una gigantesca L. Dentro di essi, all'interno di tubi a vuoto, viaggiano 2 fasci laser ottenuti a partire da un unico fascio suddiviso in 2 da uno speciale specchio semiriflettente. Quando i fasci laser tornano a unirsi, dopo aver percorso in avanti e indietro i 2 bracci si produce una figura d'interferenza ogni qualvolta la lunghezza di uno dei bracci viene ad allungarsi o accorciarsi rispetto all'altro a seguito del passaggio dell’onda gravitazionale.
Questa tecnica permette di rilevare variazioni piccolissime, pari alla centomilionesima parte del diametro di un atomo di idrogeno.
Una scoperta da 3 milioni di dollari
Un premio di 3 milioni di dollari va agli scienziati che hanno dimostrato l’esistenza delle onde gravitazionali: è questa la consistenza del Breakthrough prize, che fra i suoi promotori annovera i manager di Facebook, Mark Zuckerberg, e Alibaba, Jack Ma, insieme al miliardario russo Yuri Milner. Un milione di dollari andrà ai 3 fondatori di LIGO: Ronald Drever, Kip Thorne e Rainer Weiss.
Gli altri 2 milioni verranno divisi equamente fra i 1012 membri della collaborazione internazionale che ha rivelato per la prima volta le onde gravitazionali, della quale fanno parte anche ricercatori italiani.
Le ipotesi sulla loro origine
LIGO segnala intanto un nuovo passaggio di onde gravitazionali generate dalla fusione di altri 2 buchi neri. Il tutto avviene appena a 3 mesi dalla precedente scoperta e questo determina nella comunità scientifica un comprensibile entusiasmo. Stavolta il catastrofico evento ha coinvolto 2 buchi neri più piccoli dei precedenti, avendo l’uno una massa pari a 14 volte quella del Sole e l'altro 8. Prima di fondersi, hanno liberato circa 1 massa solare in energia posseduta dalle onde gravitazionali per poi formare un unico buco nero avente una consistenza pari a 21 masse solari. Alcuni fisici teorici, guidati dal premio Nobel Adam Riess, di fronte a queste evidenze sperimentali hanno a questo punto avanzato l’ipotesi che i 2 eventi osservati da LIGO potrebbero rappresentare la più calzante spiegazione di uno dei più astrusi concetti della cosmologia moderna, ovvero la natura della materia oscura. Il ‘segreto’ starebbe nella tipologia dei grossi buchi neri la cui fusione è all’origine delle onde: non sarebbero dei buchi neri ‘ordinari’ originati dal collasso gravitazionale di stelle, bensì si tratterebbe di buchi neri ‘primordiali’ nati dalla condensazione di materia oscura e risalenti all’epoca immediatamente successiva al Big-Bang in un momento in cui l’intera struttura del cosmo era più densa rispetto a quanto conosciamo oggi.