L’azione di risarcimento nel giudizio di ottemperanza
Prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, la giurisprudenza negava l’ammissibilità dell’azione di risarcimento nell’ambito del giudizio di ottemperanza, ad eccezione del caso dei danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato. L’art. 112 del Codice ha confermato tale ultima ipotesi (co. 3) e ha ammesso la proponibilità in sede di ottemperanza della domanda risarcitoria «connessa» (co. 4). In sede applicativa è sorto il problema dell’ammissibilità della proposizione, anche in unico grado davanti al Consiglio di Stato, delle domande risarcitorie connesse. Il correttivo al Codice ha abrogato il co. 4 dell’art. 112 e ha modificato il co. 3, delimitando i casi di ammissibilità della domanda risarcitoria in sede di ottemperanza (che includono l’impossibilità, anche parziale, di eseguire il giudicato) e prevedendo espressamente la proponibilità dell’azione anche in unico grado davanti al Consiglio di Stato.
Nel processo amministrativo, la fase dell’esecuzione della pronuncia del giudice si pone in un momento anteriore rispetto a quello del risarcimento e, in particolare del risarcimento per equivalente. L’azione di risarcimento, pur avendo oggi una natura autonoma, spesso svolge un ruolo di completamento della tutela risultante dal giudicato amministrativo demolitorio, quando sopravviene un ostacolo insuperabile alla soddisfazione dell’interesse del ricorrente e il ruolo di completamento presuppone che sia certo il modo in cui l’amministrazione si è conformata alla decisione. Mentre in taluni casi è ben possibile che, già al momento della pronuncia della sentenza di annullamento, risulti chiaramente che non è più utile per il ricorrente il riesercizio conforme a diritto della funzione, potendo il giudice amministrativo immediatamente accogliere la domanda di risarcimento del danno per equivalente, in molti altri casi il giudice della cognizione non è in grado di prevedere già all’atto dell’annullamento se ed in che misura l’ottemperanza potrà effettivamente ripristinare la situazione soggettiva lesa. In tutti quei casi in cui la domanda del privato è diretta a conseguire il bene della vita, molto spesso la possibilità e i limiti entro cui attribuire il bene dipendono dal momento in cui l’amministrazione esegue il giudicato. Ad esempio, in materia di appalti, l’annullamento in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione se interviene nell’immediatezza dei fatti, consente al ricorrente di stipulare il contratto con la P.A.; al contrario se interviene quando il contratto con l’originario aggiudicatario è stato non solo stipulato ma in parte eseguito, l’esecuzione della pronuncia (e, quindi, l’attribuzione del bene della vita: l’appalto) è possibile solo parzialmente per la parte residua non eseguita, mentre per la prima parte la tutela non può che avvenire attraverso il risarcimento per equivalente; se il rapporto è interamente eseguito, l’unica forma di tutela è il risarcimento, sempre per equivalente. Sulla base delle precedenti considerazioni è chiaro che spesso solo all’esito dell’ottemperanza di un giudicato di annullamento è possibile accertare e quantificare il danno risarcibile per equivalente. Laddove non risulta più satisfattiva la pronuncia di annullamento, supplisce la tutela risarcitoria e il momento in cui emerge con chiarezza lo spazio per l’esecuzione del giudicato e per il risarcimento del danno è proprio quello dell’ottemperanza. Tale legame tra ottemperanza e risarcimento è stato valorizzato nella formulazione dell’art. 112 c.p.a., anche se taluni problemi interpretativi hanno fatto sorgere – in sede di primo correttivo al c.p.a. – l’esigenza di meglio delimitare i casi di proponibilità della domanda di risarcimento nel giudizio di ottemperanza, tenuto anche conto che in tali ipotesi è possibile derogare alla regola del doppio grado di giudizio quando il giudice competente per l’esecuzione è in unico grado il Consiglio di Stato.
1.1 L’inammissibilità dell’azione risarcitoria nel giudizio di ottemperanza prima del Codice
La descritta connessione tra ottemperanza e risarcimento del danno ha condotto parte della giurisprudenza ad allargare nel passato le «maglie» del giudizio di ottemperanza, ammettendo la proponibilità in tale sede di domande risarcitorie in considerazione del fatto che il rapporto tra ottemperanza e risarcimento del danno per equivalente deve essere riconsiderato, non più in termini di incompatibilità, ma di coordinamento. È stata, in particolare, posta l’attenzione sull’elemento unificante, costituito dal medesimo episodio di vita, che fa da legame e da sfondo unitario tra il momento cassatorio-conformativo e quello – eventuale – di riparazione in forma specifica o per equivalente, per pervenire alla conclusione dell’insussistenza di cause di incompatibilità tra domanda di ottemperanza e domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno, traendo entrambe le pretese origine (ancorché attraverso il tramite di diverse fattispecie) dalla stessa lesione di una posizione soggettiva tutelata in relazione a un determinato bene della vita1. L’orientamento tradizionale tendeva, tuttavia, a ritenere inammissibile una domanda risarcitoria proposta in sede di ottemperanza, attesa la necessità di una cognizione piena sull’an della pretesa risarcitoria. Era stato evidenziato che le divergenze introdotte dal legislatore rispetto al giudizio risarcitorio civile (consistenti nella possibilità che il giudice, in sede di cognizione si limiti a stabilire i criteri sulla cui base dovrà poi essere liquidato il danno risarcibile) non possono giungere fino al punto di comportare la traslazione in sede di ottemperanza di tutto il giudizio risarcitorio, indifferentemente per l’an e per il quantum. La domanda risarcitoria compete funzionalmente al giudice della cognizione, nell’ambito di un giudizio ordinario articolato sul doppio grado ed a cognizione piena sull’an nonché, se possibile, sul quantum delle pretese risarcitorie del danneggiato2. Seguendo una posizione intermedia, era stato ritenuto ammissibile un ricorso cumulativo, proposto in primo grado, contenente sia la richiesta di esecuzione del giudicato sia la domanda risarcitoria a condizione che, in applicazione del principio di conservazione e di conversione degli atti processuali, sussistessero i presupposti di contenuto e forma previsti per un’ordinaria azione cognitoria, quale quella risarcitoria (nel senso di verificare il rispetto per entrambe le domande, nella forma e nella sostanza, delle disposizioni processuali di riferimento), fermo restando che il rispetto del principio del doppio grado del giudizio costituiva un limite invalicabile con la conseguenza che era stata confermata l’inammissibilità di una domanda risarcitoria proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza davanti al Consiglio di Stato. La tesi presupponeva che un ricorso cumulativo contenente la domanda di esecuzione del giudicato e la domanda risarcitoria fosse ammissibile, non in quanto l’azione risarcitoria potesse essere ordinariamente proposta in sede di ottemperanza, ma in quanto era ammissibile il cumulo delle due domande a condizione che sussistessero i presupposti di contenuto e forma previsti per un’ordinaria azione cognitoria, anche alla luce del principio di conservazione e conversione degli atti processuali3. Era stato poi chiarito che una domanda di risarcimento dei danni, inammissibile se proposta per la prima volta in appello, è proponibile in sede di ottemperanza solo per i danni da violazione di giudicato ossia per i danni maturatisi dopo l’annullamento, mentre, quanto ai danni già subiti per effetto dell’attività amministrativa oggetto del giudizio di annullamento, non si dubitava circa la necessità di un apposita domanda da spiegarsi nel processo di primo grado4. Si erano poi registrate da un lato alcune nuove aperture in favore dell’ammissibilità della domanda risarcitoria, proposta in sede di ottemperanza5, e dall’altro lato nuove conferme del più tradizionale indirizzo negativo6. Certamente, il fatto che – secondo la Corte costituzionale – il risarcimento del danno non sia una materia ma uno strumento di tutela induceva a facilitare l’esercizio di tale strumento in modo congiunto al ricorso in ottemperanza, che in molti casi assume carattere pregiudiziale (in senso logico) rispetto alla risarcibilità del danno. Tuttavia, restava l’ostacolo del doppio grado di giudizio, che mancherebbe nelle domande in ottemperanza proposte direttamente al Consiglio di Stato; pur essendo stato evidenziato che l’assenza del doppio grado non pone problemi di costituzionalità, era stato rilevato che sarebbe stata comunque necessaria quantomeno un’espressa disposizione di legge idonea a consentire la proposizione della domanda risarcitoria in sede di ottemperanza e soprattutto di concentrare la cognizione di tale domanda in unico grado7. Tale disposizione mancava e risultava difficile introdurla «in via pretoria».
Il principale argomento ostativo all’ammissibilità senza alcun limite dell’azione di risarcimento nel giudizio di ottemperanza era, quindi, costituito dall’assenza di una espressa previsione legislativa che consentisse il cumulo tra le due azioni, soprattutto in caso di competenza in unico grado del Consiglio di Stato. Tale disposizione è stata poi introdotta con il Codice del processo amministrativo. Il riferimento non va tanto all’art. 112, co. 3, che ha recepito principi già affermati dalla giurisprudenza richiamati in precedenza per i danni successivi al giudicato. La novità è costituita dall’art. 112, co. 4, in base al quale «Nel processo di ottemperanza può essere altresì proposta la connessa domanda risarcitoria di cui all’art. 30, co. 5, nel termine ivi stabilito. In tal caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme e nei termini del processo ordinario». L’art. 30, co. 5, prevede che nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza». Con tale disposizione si è voluto evitare che la caduta della c.d. pregiudiziale amministrativa e l’introduzione della possibilità di proporre una domanda di risarcimento autonoma entro un termine di decadenza potesse limitare la strategia processuale della parte, che può preferire aspettare l’esito del giudizio di annullamento prima di proporre la domanda di risarcimento (in assenza della disposizione la domanda di risarcimento avrebbe dovuto comunque essere proposta entro il termine di decadenza, anche in caso di pendenza del giudizio di annullamento). Con l’entrata in vigore del c.p.a. la domanda di risarcimento può essere proposta anche in sede di ottemperanza, se connessa con quest’ultima: si tratta nella sostanza della possibilità di cumulare due azioni di esecuzione e di risarcimento, che spesso possono essere tra loro alternative e, proprio perché alternative, vi è un vantaggio a poterle proporle insieme8. Del resto, la novità è coerente con la previsione di ammissibilità del cumulo di domande connesse, previsto in via generale dall’art. 32, c.p.a. Sulla base dell’art. 112, co. 4, c.p.a., il cumulo tra domanda di ottemperanza e di risarcimento determinava solo che il giudizio venisse trattato in udienza pubblica con modalità e termini del rito ordinario. Il richiamo all’udienza pubblica e a modalità e termini del rito ordinario era stato inteso come riferito alle modalità di svolgimento del giudizio. Ciò comportava che nel caso di competenza in unico grado del Consiglio di Stato, l’opzione del ricorrente in favore del cumulo delle due azioni potesse privare le altre parti di un grado di giudizio ed era stato osservato come tale interpretazione non poneva problemi di costituzionalità, in virtù del già richiamato principio dell’assenza di copertura costituzionale per il doppio grado di giudizio9. In sede di prima applicazione del citato art. 112, co. 4, è stata, tuttavia, prospettata un’altra tesi, secondo cui il riferimento ai modi e ai termini del rito ordinario andrebbe riferito anche al rispetto delle regole di competenza del giudizio ordinario e imporrebbe sempre il doppio grado di giudizio. Secondo parte della giurisprudenza, ai sensi dell’art. 112, co. 3 e 4, la domanda risarcitoria è proponibile nel processo di ottemperanza sia per i danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato, sia per quelli derivanti dall’originario illegittimo esercizio della funzione pubblica; in quest’ultimo caso, tuttavia, la legge impone il rispetto delle forme, dei modi e dei termini del processo ordinario e dunque anche del principio del doppio grado di giudizio, sicché siffatta domanda può essere avanzata in sede di ottemperanza solo nei giudizi innanzi ai TAR e non in quelli concernenti un giudicato formatosi su sentenza del Consiglio di Stato10. La tesi viene fondata sulle seguenti argomentazioni:
a) in un contesto normativo complessivamente attentissimo alla definizione delle regole sulla competenza, una deroga al riparto TAR – Consiglio di Stato avrebbe dovuto esprimersi in modo chiaro ed esplicito;
b) l’azione risarcitoria «isolata», proposta dopo il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, vuoi per i danni direttamente discendenti dal cattivo esercizio della funzione pubblica, vuoi per i danni derivanti dalla mancata esecuzione del giudicato, appartiene sempre alla cognizione del TAR, nella logica propria del doppio grado;
c) allorquando il codice ha inteso consentire, in materia di ottemperanza, in deroga agli ordinari criteri di distribuzione della competenza in senso verticale, che sia portata all’attenzione diretta del Consiglio di Stato la domanda risarcitoria (quella collegata all’inesecuzione del giudicato ex art. 112, co. 3), lo ha fatto senza richiamarsi ai limiti, alle forme ed ai modi dell’ordinario processo di cognizione. Tale tesi non appare del tutto convincente se si tiene conto che la competenza del giudice dell’ottemperanza è disciplinata dall’art. 113 c.p.a., che prevede appunto anche ipotesi di competenza del Consiglio di Stato in unico grado, non potendo il criterio di distribuzione tra più giudici della potestas judicandi variare a seconda che venga proposta un’ulteriore domanda (di risarcimento). Inoltre, la già ricordata ammissibilità del cumulo di domande ex art. 32 c.p.a. rendeva superflua la disposizione del co. 4 dell’art. 112, se limitata nel senso della richiamata giurisprudenza.
2.1 L’abrogazione del co. 4 e la modifica del co. 3 dell’art. 112 del Codice
Il dubbio interpretativo circa l’esatta interpretazione dell’art. 112, co. 4, c.p.a. e il rischio che la tesi fatta propria dalla giurisprudenza citata potesse vanificare la novità della possibilità di proporre domande di risarcimento in sede di ottemperanza hanno fatto sì che la questione sia stata oggetto di valutazione in sede di primo correttivo al Codice. Da un lato, è stata rappresentata l’esigenza di consentire al ricorrente una semplificazione nella propria tutela proprio nei casi in cui ottemperanza e risarcimento sono legati da uno stretto legame, espresso a volte in termini di complementarietà, altre volte di alternatività; sotto altro profilo, è stato prospettato il rischio di ampliare eccessivamente la proponibilità in sede di ottemperanza di domande a contenuto cognitorio, quale quella di risarcimento, in deroga alla regola del doppio grado di giudizio. La soluzione prevalsa è stata quella di abrogare l’intero co. 4 dell’art. 112, che aveva creato i problemi interpretativi e, contestualmente, di ampliare l’ambito di applicazione del co. 3, chiarendo che quando la domanda di risarcimento è proponibile in sede di ottemperanza viene rispettata la competenza del giudice dell’ottemperanza, anche in deroga al doppio grado di giudizio. La nuova formulazione del co. 3 dell’art. 112 prevede che «3. Può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione.». La novità risiede nell’ultimo periodo dove viene ammessa, in sede di ottemperanza, l’azione di risarcimento dei «danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione», in luogo della precedente e più restrittiva formula dei «danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato». Il risultato è che in sede di ottemperanza non è più proponibile una qualsiasi domanda risarcitoria, purché connessa con l’ottemperanza, ma la sola domanda di risarcimento dei danni «connessi » alla mancata esecuzione o impossibilità di esecuzione del giudicato (totali o parziali), oltre che alla violazione o elusione sempre del giudicato. La sostituzione del termine «danni derivanti» con «danni connessi» estende l’ambito di applicazione della disposizione oltre i meri danni maturatisi dopo il giudicato di annullamento, ricomprendendo i danni connessi anche all’impossibilità, totale o parziale, di dare esecuzione al giudicato.
Le descritte modifiche apportate dal correttivo al Codice all’art. 112 rendono più chiari i limiti per la proposizione della domanda di risarcimento in sede di ottemperanza, anche se può residuare qualche profilo problematico. È già stato evidenziato come l’utilizzo del termine «connessi» in luogo di «derivanti» consente di proporre in sede di ottemperanza domande di risarcimento di danni già subiti per effetto dell’attività amministrativa oggetto del giudizio di annullamento. Rispetto alla disciplina antecedente il c.p.a. possono, quindi, essere chiesti in sede di ottemperanza non solo i danni successivi al giudicato, ma anche quelli antecedenti, mentre rispetto al primo testo del c.p.a. entrato in vigore non è sufficiente una semplice connessione tra risarcimento e ottemperanza, ma è necessario che la connessione sia riferita all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione. Le locuzioni «totale e parziale» vanno riferite sia alla mancata esecuzione che alla impossibilità [di esecuzione] del giudicato e, di conseguenza, la domanda di risarcimento può essere sia alternativa alla esecuzione del giudicato, sia complementare alla stessa quando l’esecuzione è possibile solo in parte. Riprendendo l’esempio in materia di appalti, fatto nel primo paragrafo e senza approfondire in questa sede le complesse questioni inerenti la domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto, il ricorrente può chiedere in sede di ottemperanza sia l’esecuzione del giudicato di annullamento, sia il risarcimento; se l’esecuzione è divenuta impossibile, la (alternativa) azione di risarcimento rappresenterà l’unica forma di tutela, mentre se l’esecuzione in forma specifica è possibile solo in parte, la (complementare) azione di risarcimento integrerà la tutela. In questi casi, l’azione di risarcimento è possibile anche in unico grado davanti al Consiglio di Stato e ciò non dovrebbe comportare alcun problema di costituzionalità, non essendo – come già detto – costituzionalizzato il principio del doppio grado di giudizio. Il giudizio si svolge secondo il rito camerale, non essendo stata inserita nel co. 3 la necessità di rispettare forme, modi e termini del processo ordinario e, di conseguenza, al procedimento, che si svolge in camera di consiglio, si applicano i termini del procedimento ordinario ridotti alla metà: la camera di consiglio deve svolgersi alla prima udienza utile decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso e le parti possono produrre documenti fino a venti giorni liberi prima della camera di consiglio,e memorie fino a quindici giorni liberi prima e presentare repliche fino a dieci giorni liberi prima (ex artt. 73, co. 1 e 87, co. 2 e 3, c.p.a.). Resta la questione di diritto transitorio dei giudizi, instaurati dopo l’entrata in vigore del c.p.a. e prima del correttivo: se proposti davanti al Tar, non vi dovrebbe essere alcun problema, dovendosi applicare la più ampia disposizione che consentiva il cumulo delle domande (art. 112, co. 4); se, invece, proposti in unico grado davanti al Consiglio di Stato per danni antecedenti al giudicato e rientranti nel nuovo concetto di connessione del sostituito co. 3, senza necessità di approfondire l’esatta interpretazione dell’abrogato co. 4, dell’art. 112, si può applicare il principio, secondo cui l’art. 5 c.p.c., che esclude la rilevanza dei mutamenti in corso di causa della legge – oltre che dello stato di fatto – in ordine alla determinazione della competenza, va interpretato in conformità alla sua ratio, che è quella di favorire, non già di impedire, la perpetuatio iurisdictionis, sicché, ove sia stato adito un giudice incompetente al momento della proposizione della domanda, non può l’incompetenza essere dichiarata se quel giudice sia diventato competente in forza di legge entrata in vigore nel corso del giudizio11. La questione dell’esatta interpretazione dell’abrogato co. 4 dell’art. 112 resterebbe rilevante solo per i casi di domande risarcitorie non rientranti nel concetto di connessione del nuovo co. 3; casi che, tuttavia, non dovrebbero essere frequenti.
1 TAR Campania, Napoli, sez. I, 4.10.2001, n. 4485, in www.giustizia-amministrativa.it.
2 Cons. St., sez. IV, 1.2.2001, n. 396, in www.giustizia-amministrativa.it.
3 Cons. St., sez. VI, 18.6.2002, n. 3332, in www.giustizia-amministrativa.it.
4 Cons. St., sez. V, 4.3.2008, n. 849, in www.giustizia-amministrativa.it.
5 Cons. St., sez. V, 20.5.2008, n. 2360, in www.giustizia-amministrativa.it.
6 Cons. St., sez. V, 8.9.2008, n. 4276, in www.giustizia-amministrativa.it.
7 Chieppa-Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2011, 772.
8 La novità della disposizione rispetto alla precedente disciplina è stata subito evidenziata da Cons. St., sez. V, 23.11.2010, n. 8142, in www.giustizia-amministrativa. it.
9 Chieppa, Il Codice del processo amministrativo, Milano, 2011, 484.
10 Cons. St., sez. V, 1.4.2011, n. 2031, in www.giustizia-amministrativa.it.; in senso conforme, Cons. St., sez. III, 5.5.2011, n. 2693, in www.giustizia-amministrativa. it.
11 Cfr., fra tutte, Cass., S.U., 7.10.2010, n. 20776, in Guida dir., 2010, 47, 69.