L’eccesso di potere giurisdizionale
Il problematico rapporto tra l’amministrazione e la giurisdizione è stato oggetto di numerose sentenze della Corte di cassazione nell’ultimo anno. La Corte ha individuato i confini del potere giurisdizionale con riferimento ad alcune fattispecie riguardanti il processo di cognizione e il processo di esecuzione. Nel primo gruppo rientra la decisione circa i limiti dell’apprezzamento del requisito dell’affidabilità dell’appaltatore; nel secondo gruppo rientra la controversia sulla ottemperanza alla decisione del Consiglio di Stato riguardante il conferimento delle funzioni direttive in magistratura. Alcune norme del codice del processo amministrativo creeranno indubbi problemi in ordine all’interpretazione della estensione della giurisdizione amministrativa in quanto prevedono una sovrapposizione della decisione del giudice a quella delle amministrazioni.
I rapporti fra giurisdizione e amministrazione sono stati analizzati da alcune importanti decisioni delle Sezioni Unite della Corte di cassazione intervenute nell’ultimo anno chiamate a giudicare in merito al vizio di eccesso di potere giurisdizionale1.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza 17.2.2012, n. 2312, hanno precisato i confini del sindacato giurisdizionale sull’apprezzamento svolto dall’amministrazione circa il requisito dell’affidabilità dell’appaltatore ex art. 38, co. 1, lett. f), d.lgs. 24.4.2003, n. 1632. Tale sindacato non può spingersi fino ad affermare la “non condivisibilità” da parte del giudice dell’apprezzamento operato dalla pubblica amministrazione; ciò provocherebbe uno sconfinamento nell’attività riservata alla stazione appaltante.
Sulla questione si deve osservare che il limite del divieto di sostituzione era stato fissato a livello normativo dall’art. 45 del t.u. Cons. St. e dall’art. 88 del regolamento di procedura (r.d. 17.8.1907, n. 642) che facevano salvi gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa a seguito dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato. I confini tra giurisdizione di annullamento e giurisdizione di merito e, quindi, anche quelli esterni della giurisdizione amministrativa erano fissati in maniera chiara.
Il recente codice di procedura ha abrogato le citate norme e ha anticipato alla fase di cognizione la possibilità di nominare un commissario ad acta, connotando le sentenze di un effetto fortemente conformativo, ai limiti della sostituzione con la pubblica amministrazione. Queste innovazioni legislative pongono alcuni problemi: da un lato la classificazione tradizionale tra giurisdizione di legittimità, esclusiva e di merito sembra destinata a scomparire con l’affermazione della tutela giurisdizionale in chiave di pienezza dei poteri istruttori e cognitori del giudice in tutti gli ambiti3; dall’altro tale ampliamento dei poteri del giudice potrebbe comportare lo sconfinamento nella attività riservata dell’amministrazione.
Infine, in alcuni specifici settori sembra configurarsi una vera e propria attività di ponderazione dell’interesse pubblico già nella fase di cognizione. Basti pensare agli artt. 121 e 122 c.p.a. in materia di appalti pubblici e all’azione per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari pubblici, prevista dal d.lgs. 20.12.2009, n. 1984.
La Corte di cassazione ha affrontato alcuni problemi di rilievo relativi all’eccesso di potere giurisdizionale concernenti sia la giurisdizione generale di legittimità sia quella di merito (in particolare con riguardo al giudizio di ottemperanza), anche se non sono stati ancora affrontati i nodi problematici introdotti con il codice del processo.
Come è noto, la sentenza del giudice amministrativo è affetta da eccesso di potere giurisdizionale sia nel caso in cui il giudice abbia violato il campo del potere legislativo, allorché applichi una norma inesistente, sia nel caso in cui abbia invaso il campo dell’amministrazione.
La citata sentenza Cass., S.U., n. 2312/2012 si è occupata proprio di questa seconda ipotesi avendo a oggetto una fattispecie in cui veniva in rilievo un apprezzamento prettamente discrezionale e non tecnico della pubblica amministrazione. La controversia riguardava l’esclusione di una impresa da una gara ai sensi dell’art. 38, co. 1, lett. f), d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici). Il Consiglio di Stato aveva annullato il provvedimento di esclusione sulla base della presunta inattendibilità e incongruenza della decisione della stazione appaltante sulla inaffidabilità dell’impresa esclusa.
La stazione appaltante impugnava la sentenza del Consiglio di Stato sostenendo che quest’ultimo aveva invaso l’area della necessaria discrezionalità di apprezzamento del dato fiduciario appartenente alla amministrazione, strumentalizzando l’eccesso di potere per far emergere non tanto i suoi indici sintomatici ma solo la inattendibilità delle valutazioni di risoluzione del rapporto5.
La sovrapposizione del giudice all’amministrazione si realizza anche quando tale sconfinamento sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto. Infatti, l’eccesso di potere giurisdizionale è configurabile quando l’indagine svolta non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale a una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, o quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima una volontà dell’organo giudicante che si sostituisce a quella dell’amministrazione, nel senso che, procedendo a un sindacato di merito, si estrinsechi in una pronunzia autoesecutiva6. La sentenza ha tale carattere quando possiede il contenuto sostanziale e l’esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa.
Dopo queste precisazioni, la Cassazione affronta il caso affermando innanzitutto di condividere la giurisprudenza amministrativa formatasi sulle esclusioni ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006. Infatti, l’esclusione dalla gara pubblica dell’impresa che sia incorsa in grave negligenza o malafede nell’esecuzione di lavori affidati dalla stazione appaltante non presuppone il definitivo accertamento di tale comportamento, essendo sufficiente la valutazione con cui, in altro rapporto contrattuale di appalto, aveva provveduto alla risoluzione per inadempimenti contrattuali. L’esclusione non ha carattere sanzionatorio, ma è posta a presidio dell’elemento fiduciario che connota i rapporti contrattuali di appalto pubblico, ossia quello della affidabilità7. In questi casi, è conferito all’amministrazione un ampio spazio di apprezzamento circa la permanenza di tale requisito. Da ciò derivano le difficoltà nell’individuare i limiti del sindacato giurisdizionale.
È consentito al giudice amministrativo un sindacato sulle valutazioni della pubblica amministrazione riconducibili all’eccesso di potere per far emergere eventuali utilizzi distorti di tale valutazione. Ciò che non è consentito è la sovrapposizione del giudice alla decisione della amministrazione attraverso la dichiarazione di non condivisione della valutazione. Secondo la Cassazione, il Consiglio di Stato avrebbe utilizzato in maniera errata il cd. parametro della inattendibilità8. Questo parametro non può essere appropriato se viene utilizzato in uno scrutinio di legittimità di scelte ad alto tasso di soggettività come quella di cui all’art. 38 del codice dei contratti, mentre è sicuramente utilizzabile nelle ipotesi connotate da discrezionalità tecnica.
Nella individuazione del deficit di fiducia deve essere lasciato all’amministrazione l’individuazione del “punto di rottura” dell’affidamento nel contraente. Il sindacato del giudice amministrativo sui motivi del rifiuto deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto addotti dalla stazione appaltante a giustificazione del provvedimento. Il giudice non può avvalersi di criteri che portano ad affermare la mera non condivisibilità della valutazione poiché comportano una sostituzione nel momento valutativo riservato alla amministrazione che può essere paragonabile all’ipotesi in cui un giudice formuli direttamente, con efficacia immediata e vincolante, gli apprezzamenti e gli accertamenti demandati all’amministrazione. La circostanza che la sentenza del Consiglio di Stato abbia valutato solamente l’insufficienza dei dati addotti a sostenere come plausibile il superamento del punto di rottura dell’affidamento nel contraente la caratterizza come viziata da eccesso di potere cognitivo ai danni dell’amministrazione.
Sempre con riferimento al sindacato del giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, la decisione Cass., S.U., 8.3.2012, n. 3622 individua il confine tra la operazione logica inerente il sindacato sulla motivazione di un provvedimento e quella consistente nel compiere valutazioni di merito9.
Il caso riguardava una procedura del Consiglio superiore della magistratura per il conferimento dell’incarico di Presidente di una Corte di appello. La decisione del Consiglio di Stato veniva impugnata dal C.s.m. affermando che il giudice amministrativo, operando direttamente il giudizio comparativo tra i curricula dei due candidati, avrebbe invaso la sfera riservata alla pubblica amministrazione. La Corte di cassazione non accoglieva il ricorso ma, comunque, chiariva che il giudice amministrativo deve operare un sindacato sulla congruità e la logicità della motivazione dell’atto discrezionale anche a contenuto fortemente valutativo della pubblica amministrazione. L’operazione intellettuale, consistente nel vagliare l’intrinseca tenuta logica della motivazione dell’atto impugnato, si può spingere fino ad affermare che quanto esplicitato dalla amministrazione non consente di comprendere i criteri ai quali la valutazione, insindacabile, si è ispirata o che, peggio ancora, manifesti l’illogicità o la contraddittorietà della applicazione dei criteri valutativi nella fattispecie concreta. Nella fattispecie concreta la Cassazione ha affermato che tali limiti non si possono considerare superati per la sola circostanza che la sentenza impugnata abbia preso in considerazione i requisiti dei due candidati. Tale valutazione è, infatti, espressamente finalizzata ad evidenziare l’incongruità logica di una motivazione la quale, premessa l’eccellenza di entrambi i candidati, ha fatto leva sulla versatilità e sulle conoscenze ordinamentali di uno di essi senza dar conto delle ragioni per le quali ha considerato che tali elementi dovessero prevalere sulla varietà di esperienze professionali dell’altro.
In questo caso, l’analisi dei curricula non è servita al giudice per sovrapporsi alla amministrazione ma per evidenziare le lacune motivazionali dell’atto.
Questa sentenza è in linea con quanto affermato dalla stessa Cassazione in ordine alle valutazioni delle prove concorsuali. Con una recente decisione (Cass., S.U., 28.5.2012, n. 8412) è stato ribadito che le valutazioni tecniche delle commissioni giudicatrici di esami o concorsi pubblici sono assoggettabili al sindacato di legittimità del giudice amministrativo per manifesta illogicità del giudizio tecnico o travisamento di fatto in relazione ai presupposti del giudizio medesimo, senza che ciò comporti eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera del merito amministrativo. Sulle valutazioni delle commissioni di concorso è predicabile un sindacato che giunga, senza impingere nella riserva di intangibilità del merito amministrativo, ben più che al controllo della mera coerenza logica della argomentazione, alla diretta verifica di attendibilità dei giudizi tecnici adottati, restando esclusa la sola possibilità di un intervento demolitorio su valutazioni attendibili ancorché opinabili.
Punto altrettanto delicato è quello del rapporto fra l’eccesso di potere giurisdizionale e le valutazioni compiute dal giudice in sede di ottemperanza. La Cassazione ha da tempo chiarito che la norma sulla giurisdizione non è solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale ma anche quella che fornisce il contenuto a tale potere stabilendo le forme di tutela attraverso le quali tale potere si esplica. La Corte attraverso questa estensione della formula “motivi inerenti la giurisdizione” può, nell’ambito del suo sindacato sulla giurisdizione, interpretare la norma attributiva di tutela e verificare se il giudice amministrativo la ha correttamente osservata10. Partendo da questa conclusione, la Corte ha delineato i confini del sindacato sull’eccesso di potere giurisdizionale anche con riguardo all’ottemperanza, pronunciando significative sentenze nell’ultimo anno.
Due di queste hanno riguardato la medesima vicenda ossia quella del conferimento dell’incarico di Procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione, impugnato da due magistrati che avevano concorso per il conferimento dell’incarico. Si tratta della sentenza Cass., S.U., 19.1.2012, n. 73611 e della sentenza Cass., S.U., 9.11.2011, n. 2330212.
La Cassazione ha svolto una delicata opera di regolamento di confini. Infatti, dopo aver ribadito il principio secondo il quale la giurisdizione di legittimità non si può mai trasformare in giurisdizione di merito e, quindi, come sopra rilevato, non si può mai trasformare in una giurisdizione attraverso la quale il giudice compie atti di valutazione della mera opportunità dell’atto impugnato o sostituisce i propri criteri di valutazione a quelli della amministrazione, ha altresì affermato che le decisioni del Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza sono soggette al sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sul rispetto dei limiti esterni della potestà giurisdizionale.
In questo caso, però, il sindacato è più complesso rispetto a quello sulla giurisdizione di legittimità in quanto si è in presenza di un’ipotesi di giurisdizione di merito.
Per distinguere le fattispecie nelle quali il sindacato non è consentito da quelle nelle quali è ammissibile, occorre stabilire se oggetto del ricorso è il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato (limiti interni della giurisdizione) oppure se sia in discussione la possibilità stessa di fare ricorso al giudizio di ottemperanza (limiti esterni della giurisdizione). Il sindacato non è consentito se attiene ai limiti interni della giurisdizione e ciò avviene se le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato riguardino: l’interpretazione del giudicato, l’accertamento del comportamento tenuto dall’amministrazione, la valutazione di conformità di tale comportamento rispetto a quello che si sarebbe dovuto tenere, gli errori nei quali il giudice amministrativo può essere incorso nell’adozione o nell’ordine di adozione di provvedimenti che l’amministrazione avrebbe dovuto adottare. Il sindacato della Corte, invece, è ammissibile se il giudice amministrativo abbia esercitato una giurisdizione di merito in presenza di situazioni che avrebbero giustificato una mera giurisdizione di legittimità ovvero nelle ipotesi in cui il giudizio di ottemperanza, estrinsecatesi nell’emanazione di un ordine di fare (o di non fare) rivolto all’amministrazione, si sia esplicato fuori dai casi nei quali tale ordine poteva essere emanato13.
Nella fattispecie in questione, il Consiglio di Stato si era pronunciato su un ricorso per l’ottemperanza di un giudicato avente a oggetto l’annullamento del conferimento di pubbliche funzioni a seguito di una procedura concorsuale non più ripetibile in quanto i concorrenti erano andati in pensione; il giudice amministrativo aveva ordinato al C.s.m. di provvedere ugualmente a rinnovare il procedimento “ora per allora” al solo fine di determinare le condizioni per l’eventuale accertamento di diritti azionabili dal ricorrente in altra sede e nei confronti di altra amministrazione. Ma il giudicato è intervenuto su una situazione definitivamente chiusa, per cui l’amministrazione non poteva più provvedere, fermo restando il diritto del ricorrente al risarcimento del danno. Il procedimento concorsuale “ora per allora”, ossia il concorso virtuale, ha trasformato l’oggetto del giudizio di ottemperanza nell’accertamento destinato a riflettersi su un altro rapporto (quello previdenziale). Ma tale situazione soggettiva si doveva azionare in altra sede; il Consiglio di Stato, quindi, ha ecceduto i limiti esterni della sua giurisdizione di ottemperanza in quanto questa era volta a un risultato meramente cognitorio, riferibile a un eventuale rapporto giuridico da far valere dinanzi a un diverso giudice14. Nel campo della ottemperanza alle sentenze del giudice ordinario le Sezioni Unite con la sentenza 29.5.2012, n. 8513 hanno affermato che il giudice amministrativo incorre in eccesso di potere giurisdizionale quando non si limiti all’interpretazione del giudicato al quale si tratta di assicurare l’ottemperanza. Il potere interpretativo allorché attenga a un giudicato formatosi davanti a un giudice diverso da quello amministrativo, non può che esercitarsi sulla base di elementi interni al giudicato da ottemperare e non su elementi esterni, la cui valutazione rientra in ogni caso nella giurisdizione propria del giudice che ha emesso la sentenza. Pertanto, ove il Consiglio di Stato abbia effettuato un sindacato integrativo, individuando un diverso contenuto precettivo del giudicato, con una pronuncia sostanzialmente autoesecutiva, ciò si traduce in eccesso di potere giurisdizionale (Cass., S.U., 27.12.2011 n. 28812)15. Rientra, invece, nelle attribuzioni del giudice amministrativo, in sede di ottemperanza, l’interpretazione della decisione oggetto di tale giudizio, con la conseguenza che la deduzione di eventuali errori commessi in sede interpretativa non investe i limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali, a nulla rilevando l’incidenza dell’interpretazione su diritti soggettivi, se è conseguenza del fatto che oggetto del giudizio di ottemperanza sia un giudicato civile16.
L’analisi dei casi trattati nell’ultimo anno dalla Corte di cassazione inducono ad alcune riflessioni sul possibile rapporto tra il sindacato della Corte e l’evoluzione in corso nella giurisdizione amministrativa, soprattutto con riguardo alla giurisdizione generale di legittimità.
Come è noto il codice del processo ha previsto un sistema di azioni complesso, non basato sulla centralità dell’azione di annullamento, per molti aspetti simile alle forme di tutela proprie del processo civile17.
Il ricorrente, se ritiene che la sentenza di annullamento non possa arrecargli utilità rispetto alla protezione della sua posizione giuridica soggettiva, può attivare differenti mezzi di tutela previsti dal codice. Infatti, il codice prevede soluzioni più articolate rispetto all’azione impugnatoria. Addirittura, a norma dell’art. 34, co. 1, lett. e), c.p.a. il giudice può disporre le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese compresa la nomina del commissorio ad acta, anticipando alla fase della cognizione quanto avveniva in ottemperanza18.
Proprio in questo contesto gli ampi poteri assegnati al giudice gli consentono di travalicare i limiti della tradizionale giurisdizione di legittimità operando una saldatura tra la fase di cognizione e quella di esecuzione; ma ciò potrebbe comportare il rischio che il giudice superi sempre più frequentemente i limiti esterni della sua giurisdizione.
Un esempio di tale evenienza si rinviene a seguito di alcune recenti decisioni del giudice amministrativo che sembrano configurare in termini differenti rispetto al passato l’azione di annullamento; infatti, secondo queste decisioni il giudice potrebbe disporre degli effetti dell’annullamento a prescindere da una apposita domanda di parte.
Il Consiglio di Stato, con la decisione sez. VI, 10.5.2011, n. 2755, ha ritenuto di non dovere demolire un atto amministrativo ritenuto illegittimo per il quale era stato richiesto l’annullamento sulla base di una officiosa valutazione sull’opportunità di mantenere in vita il provvedimento fino all’ottemperanza da parte dell’amministrazione19. La decisione, quindi, riteneva che la sentenza avrebbe dovuto avere solo effetti conformativi e non anche effetti demolitori (né ex tunc né ex nunc), poiché l’effetto demolitorio sarebbe risultato incongruo e manifestamente ingiusto nonché in contrasto con il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale20.
Si tratta di una concezione che rende flessibile il potere di annullamento del giudice il quale può demolire il provvedimento amministrativo solo dal momento in cui ha adottato la sentenza facendone salvi gli effetti fino a quel momento prodotti. Ma al di là del problema degli effetti dell’annullamento (che sono tipizzati e non sono disponibili da parte del giudice), il punto delicato, che in questa sede interessa, è che la modulazione degli effetti viene posta in essere a seguito della ponderazione degli interessi che non è propria della funzione del giudice amministrativo allorché si muova nell’ambito della giurisdizione di legittimità. Il giudice ritiene di non dover annullare con effetto retroattivo perché dalla demolizione degli atti sarebbe ingiustamente e incongruamente compresso uno specifico interesse pubblico. In tal modo però il giudice si sostituisce all’amministrazione in modo indebito operando valutazioni sulla tutela dell’interesse pubblico che dovrebbero rimanere fuori dal giudizio: il processo, infatti, è finalizzato a rendere giustizia e non a curare l’interesse pubblico21. Il principio del giusto processo esclude che la sede giurisdizionale si trasformi in un luogo di confronto e di sintesi tra le situazioni giuridiche dei privati e gli interessi della amministrazione, per cui il giudice nella giurisdizione di legittimità non deve farsi carico dell’interesse pubblico in quanto la funzione giurisdizionale gli impone di tutelare le situazioni giuridiche soggettive22.
In tal modo, si oggettivizza la giurisdizione amministrativa poiché è il giudice che decide quando sia congruo l’annullamento ex tunc, ex nunc o il semplice effetto conformativo sulla base della tutela dell’interesse pubblico; concepire la disponibilità degli effetti dell’annullamento, giustificata da una valutazione di opportunità operata dalla pubblica amministrazione ancorata alla tutela dell’interesse pubblico, appare del tutto dissonante da quelli che sono i principi consolidati in materia di giurisdizione amministrativa. Una sentenza di tal genere rischierebbe di violare i limiti esterni della giurisdizione amministrativa e, quindi, ben potrebbe essere censurata dalla Corte di cassazione per eccesso di potere giurisdizionale, poiché porrebbe in essere un inammissibile sconfinamento del giudice nell’attività riservata alla pubblica amministrazione.
Vi sono però ipotesi del tutto speciali in cui il giudice amministrativo è chiamato a svolgere, in sede di cognizione, una valutazione sull’interesse pubblico e si sovrappone alla ponderazione della amministrazione. Le norme di cui agli artt. 121 e 122 c.p.a. consentono al giudice, una volta annullata l’aggiudicazione, di valutare la possibilità di dichiarare l’inefficacia o meno del contratto stipulato ovvero di modulare la dichiarazione di inefficacia. Tale modulazione può avvenire sulla base di vari parametri che contemplano sia valutazioni in ordine all’interesse pubblico al mantenimento in vita del negozio sia valutazioni sugli interessi delle parti, sulla effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione, sullo stato di esecuzione del contratto e sulla possibilità di subentrare nello stesso. Occorre, però, tenere presente che questa fattispecie rappresenta un unicum nel panorama del processo amministrativo, tanto è vero che ancora non è del tutto chiaro se, con riferimento al potere del giudice di dichiarare l’inefficacia del contratto, si sia in presenza di una fattispecie occulta di giurisdizione di merito.
Comunque, in questo caso è la norma che consente tale operazione; e in tale ipotesi sarà estremamente difficoltoso individuare i limiti esterni della giurisdizione amministrativa.
Il giudice amministrativo è chiamato a un difficile compito di individuazione di un equilibrio molto complicato da raggiungere e non è escluso che anche su questa materia si verificheranno casi di violazione del limite esterno alla giurisdizione, tali da far entrare in gioco la Corte di cassazione.
1 L’art. 111, co. 8, della Costituzione è sostanzialmente riprodotto dal codice del processo amministrativo (art. 110) per il quale si può proporre ricorso in Cassazione per i motivi attinenti alla giurisdizione. Per un’analisi dell’art. 110 c.p.a. si veda Vittoria, P., Art. 110 e 111 c.p.a., in Quaranta, A.-Lopilato, V., Il processo amministrativo, Milano, 2011, 847.
2 In www.giustamm.it., 2, 2012.
3 Si veda Police, A., Le forme della giurisdizione, in Scoca, F.G., a cura di, Giustizia amministrativa, Torino, 2011, 125.
4 Vaiano, D., Sindacato di legittimità e “sostituzione” della pubblica amministrazione, in www.giustamm.it, 2012, 6.
5 La sentenza del Consiglio di Stato impugnata è sez. VI, 28.7.2010, n. 5029, in Foro amm. – Cons. St., 2010, 1636.
6 Cass., S.U., 25.6.2012, n. 10503.
7 Cons. St., sez. V, 21.1.2011, n. 409, in Foro amm. – Cons. St., 2011, 180.
8 Ritenuto rispettoso dei limiti esterni della giurisdizione in più occasioni (si veda Cass., S.U., 21.6.2010, n. 14893, in Foro it., 2011, 3, I, 837).
9 In www.giustamm.it, 2012, 3.
10 Si veda Cass., S.U., 23.12.2008, n. 30254, in Dir. proc. amm., 2009, 460 con nota di Greco, G., La Cassazione conferma il risarcimento autonomo dell’interesse legittimo: progresso e regresso del sistema?
11 In Foro amm. – Cons. St., 2012, 546.
12 In Dir. proc. amm., 2012, 136 con nota di Mari, G., Osservazioni a Cassazione, Sezioni Unite, 9 novembre 2011, n. 23302: sindacato della Suprema Corte sulle sentenze del giudice amministrativo rese in sede di ottemperanza e rilevanza di sopravvenienze fattuali successive al giudicato a giustificare un sostanziale vuoto di tutela.
13 Cass., S.U., 18.12.2001, 15978, in Giust. civ. Mass., 2001, 2176.
14 Tale impostazione è stata criticata proprio con riferimento al piano della effettività della tutela giurisdizionale. Cfr. Mari, G., op. cit., 169, secondo la quale la rinnovazione del procedimento, anche in termini “virtuali”, consentirebbe all’amministrazione di rimuovere le conseguenze dell’illegittimità della sua attività e riparare il torto commesso. Il fatto che il giudice in sede di ottemperanza possa ordinare alla amministrazione lo svolgimento delle operazioni concorsuali è in linea con l’impostazione del codice del processo amministrativo tendente ad assicurare la piena protezione delle situazioni giuridiche soggettive dei privati. In tal senso l’azione della Corte di cassazione negherebbe in qualche modo la piena riparazione al soggetto ricorrente.
15 In Foro amm. – Cons. St., 2012, 537.
16 Cass., S.U., 2.12.2009, n. 25344, in Giust. civ. Mass., 2009, 12, 1658.
17 Per le innovazioni che hanno comportato una ridefinizione dei confini tra le azioni impugnatorie e quelle non impugnatorie nell’ambito del processo amministrativo si veda Sandulli, M.A., Il superamento della centralità dell’azione di annullamento, in Libro dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012, 829.
18 Vaiano, D., op. cit., 25, definisce tale fenomeno come ‘‘dequotazione” della giurisdizione di merito, la cui esistenza viene bensì confermata dall’ art. 7, co. 6, c.p.a. (e dall’art. 134 cui esso rinvia) ma la cui rilevanza viene fortemente sminuita proprio dal potenziamento e dalla più generale riconfigurazione dei poteri cognitori e decisori riconosciuti al giudice amministrativo sia nella giurisdizione generale di legittimità sia in quella esclusiva.
19 In Urb. app., 2011, 927, con commento di Travi, A., Accoglimento dell’impugnazione di un provvedimento e “non annullamento” dell’atto illegittimo.
20 Critiche a questo nuovo modo di concepire l’azione di annullamento vengono da Villata, R., Spigolature “stravaganti” sul nuovo processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2011, 856 e in Ancora “spigolature” sul nuovo processo amministrativo?, in Dir. proc. amm., 2011, 1512 nonché da Scoca, F.G., Risarcimento del danno e comportamento del danneggiato da provvedimento amministrativo, in Corr. giur., 2011, 988; Gallo, C.E., I poteri del giudice amministrativo in ordine agli effetti delle proprie sentenze di annullamento, in Dir. proc. amm., 2012, 280; Giusti, A., La “nuova” sentenza di annullamento nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, in Dir. proc. amm., 2012, 293. Ulteriori decisioni hanno affermato il principio della parziale eliminazione degli effetti del provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo, salvando gli effetti che fino a quel momento si sono prodotti ed eliminando il provvedimento dal mondo giuridico dal momento della sentenza. In particolare, la sentenza Cons. St., sez. VI, 9.3.2011, n. 1488, in Foro amm. – Cons. St., 2011, 953 e TAR Abruzzo, Pescara, 13.12.2011, n. 693, in Urb. app., 2012, 707 con commento di Foà, S., Annullamento ex nunc, e condanna dell’amministrazione ad un facere specifico; tale decisione ricalca il ragionamento seguito dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2755/2011.
21 Villata, R., Ancora “spigolature” sul nuovo processo amministrativo?, cit., 1516 e Scoca, F.G., Risarcimento del danno e comportamento del danneggiato da provvedimento amministrativo, cit., 989.
22 Police, A., Attualità e prospettive della giurisdizione di merito del giudice amministrativo, in Studi in onore di Alberto Romano, II, Napoli, 2012, 1449.