Vedi L'economia italiana di fronte alla crisi dell'anno: 2012 - 2013
di Franco Bruni
La crisi è cominciata nel 2007 sul mercato del credito ipotecario statunitense, e si è allargata nel mondo con un’accelerazione nell’autunno del 2008, dopo il fallimento di una grande banca internazionale. L’Europa è stata molto coinvolta nella crisi, che si è propagata per la caduta della fiducia nei pagamenti internazionali e nei rapporti interbancari. L’aumento dell’avversione al rischio ha bloccato il credito alle imprese facendo crollare la produzione, l’occupazione e, soprattutto, il commercio internazionale, che per sua natura richiede molto credito. La caduta delle esportazioni è stata la principale cinghia di trasmissione della crisi all’Italia, il cui sviluppo conta molto sul commercio internazionale. L’attività economica è precipitata nel 2009 e stenta ancora a riprendere. Da questo punto di vista, l’Italia ha sofferto della crisi anche più di altre economie europee. Hanno pesato anche le difficoltà strutturali che da anni rendono la crescita italiana lenta e fragile. L’Italia ha invece limitato l’impatto diretto della crisi tramite le banche, che si sono mostrate più liquide e solvibili che altrove in Europa. Il merito è di un sistema bancario prudente, che negli ultimi lustri si è ben riorganizzato, e di una vigilanza che la Banca d’Italia ha saputo mantenere severa e proattiva. Poiché non è stato lo stesso in altri paesi dell’Eu, l’Italia è particolarmente interessata al successo della riforma della vigilanza finanziaria europea avviata nel 2011, che mira a rendere rigorosi e uniformi i comportamenti delle vigilanze nazionali e a mettere in comune le informazioni sui rischi presenti nei singoli stati membri. Le peculiarità dell’Italia nella crisi si sono accentuate quando, nel 2010, è scoppiato - col caso greco - il problema dei ‘debiti sovrani’, cioè i debiti dei governi, i titoli di stato che essi collocano presso gli investitori privati nazionali e internazionali. È un problema globale, non certo confinato nell’area dell’euro. Ma in questa assume un profilo speciale, perché i paesi dell’area non hanno la possibilità di far stampare a una propria banca centrale la moneta necessaria a rimborsare i titoli in scadenza, anche a costo di creare inflazione. La moneta è creata dalla Banca centrale europea, indipendente e sovranazionale. Il rischio teorico di insolvenza di un governo che non può creare moneta è maggiore. Il problema dei debiti sovrani è una conseguenza della crisi finanziaria che, facendo cadere l’attività economica, ha ridotto i ricavi fiscali e aumentato le spese pubbliche, dirette a sostenere imprese, banche e famiglie in difficoltà. Sono quindi aumentati i deficit pubblici, accumulati in stock di debiti crescenti che i mercati assorbono solo a tassi di interesse sempre più elevati, comprendenti un ‘premio’ per il rischio di insolvenza del paese. Questi tassi, che complicano la sopportabilità dei debiti, possono venir esasperati da violenti attacchi speculativi. Avendo l’Italia, da decenni, uno dei debiti pubblici più elevati in rapporto al Pil, non è certo estranea alle tensioni dei debiti sovrani nell’area dell’euro. Ma ci sono almeno due ragioni che, nel 2010, le hanno permesso di non risultare in prima fila fra i paesi in pericolo. Intanto è riuscita a controllare l’aumento del deficit pubblico durante la crisi, anche limitando gli aiuti agli operatori in difficoltà. In secondo luogo, l’abbondanza del risparmio e della ricchezza del settore privato e il suo grado di indebitamento minore che in altri paesi hanno consentito di far fronte al debito del settore pubblico senza ricorrere troppo a debiti con l’estero, che rendono più drammatico il problema dei debiti sovrani. L’Italia è però interessata al successo dei modi con cui il problema è affrontato dall’EU, anche ricorrendo a meccanismi di solidarietà, dove i paesi finanziariamente più forti ‘aiutano’ quelli più in crisi, e avanzando forse qualche passo verso la costruzione di una finanza pubblica comunitaria.