L’editto di Milano
Origine e sviluppo di un dibattito
La questione costantiniana presenta, ieri come oggi, un grandissimo interesse, poiché costituisce un banco in special modo idoneo per saggiare prospettive metodologiche e ideologiche della critica. In questa prospettiva l’editto di Milano, o editto di tolleranza, con quanti problemi suscita, risulta essere particolarmente interessante. Con tale espressione ci si riferisce ai provvedimenti che Costantino e Licinio avrebbero preso nell’incontro avvenuto a Milano nel febbraio1 o nel marzo del 313. Essa si legge frequentemente nei manuali scolastici, negli atlanti storici e anche in opere specialistiche sino ai nostri giorni. Occorre dire che per secoli fu indiscussa la tradizione secondo cui nel documento che Lattanzio ci tramanda in latino2 ed Eusebio in greco3 fossero riprodotti i provvedimenti presi dai due imperatori in quella circostanza. A cominciare, tuttavia, dalla fine del XIX secolo si sono invece moltiplicate le voci critiche contro quello che era ormai diventato un luogo comune, per cui l’intera questione nel suo complesso è stata profondamente riesaminata.
Qui si vogliono ripercorrere le tappe di un dibattito andato avanti per decenni, intorno all’esistenza dell’editto stesso e a molte altre questioni collegate. Ci si è chiesti se dopo l’incontro tra i due imperatori a Milano, la cui storicità non è messa in dubbio da nessuno, sia stato promulgato immediatamente un provvedimento con forza di legge, quale appunto è presupposto da un editto4. Per seguire più da vicino quel dibattito è necessario, naturalmente, considerare le fonti antiche su cui si è esercitata l’acribia degli storici moderni: fonti spesso vaghe o indeterminate, e quindi che si prestano a differenti, talvolta financo opposte, interpretazioni. Di qui nasce la difficoltà di dare ai problemi una soluzione certa e definitiva. Occorre inoltre aggiungere da subito tre osservazioni. La prima è che se si considerano esclusivamente le fonti dirette che riferiscono dell’editto di Milano, si nota che esse non parlano di un editto e che, in particolare le espressioni eusebiane, danno adito a qualche ambiguità. La seconda parte dal dato che, se si esaminano le medesime fonti in rapporto a una serie più ampia di fatti o notizie immediatamente precedenti o seguenti, allora entrano in gioco nuovi problemi che, intrecciandosi e collegandosi l’uno con l’altro, complicano la questione. La terza, infine, concerne la bibliografia sul tema, che è, se non imponente, certo molto ricca. Nelle pagine che seguono, pertanto, senza pretendere di essere esaurienti, s’individueranno le grandi linee di quel dibattito, in prospettiva cronologica, senza proporsi tuttavia di seguire nei particolari le osservazioni dei critici, che sono, evidentemente, assai più complesse di quanto sia possibile qui rapidamente esporre. Ci si concentrerà sulla bibliografia più specifica, tralasciando ovviamente sia le numerose monografie sia le voci di dizionari ed enciclopedie, che trattano di Costantino o Licinio e che, nell’affrontare la questione in esame, ne offrono soluzioni anche molto differenti fra loro.
In relazione all’argomento, qualche breve considerazione terminologica può senza dubbio riuscire utile. Anzitutto va notato che, per quanta bibliografia abbia letto, non ho trovato troppa considerazione per l’elemento terminologico, anche in rapporto alle fonti maggiori, ossia il De mortibus persecutorum di Lattanzio e la Historia ecclesiastica5 di Eusebio di Cesarea (fra l’altro, queste due testimonianze presentano talune differenze non facili da spiegare)6. Il testo di mort. pers. 48,1-12 è stato composto negli anni 313-3147, e dunque risulta essere di poco posteriore ai fatti narrati8. In 48,1 si riporta espressamente il termine litterae e l’uso del tempo passato (convenissemus, credidimus) prova che il testo è successivo ai colloqui milanesi. Le litterae sono inviate nel giugno del 313 al governatore che deve eseguire gli ordini. Lattanzio non ritiene che le decisioni prese a Milano siano state divulgate sotto forma di editto e menziona solamente il provvedimento successivo di Licinio. In h.e X 5,19 le disposizioni imperiali sono presentate nei termini di basilikoi nomoi10 e basilikai diataxeis11, segno che Eusebio le ritiene vere e proprie leggi emanate dagli imperatori, qui indicati con i nomi di Costantino e Licinio. Esse, però, sono riportate in un ‘rescritto’ (antigraphé)12. Là dove si dice di avere deciso di regolare il rispetto e l’onore della divinità, si usa l’espressione diataxai edogmatisamen13. Subito dopo si legge che gli imperatori già da tempo avevano ordinato che i cristiani custodissero la fede (pistis) della loro setta (hairesis) e del loro culto (threskeia) (§ 2). Il riferimento sembra essere all’editto di Serdica del 311, con le sue concessioni, ma non meno con le sue restrizioni. E l’editto è indicato con l’espressione basilika diatagmata. Il testo prosegue poi con il riferire che i due imperatori a Milano decisero di dare ai cristiani e a tutti gli altri libera scelta di seguire il culto che volevano. Ci si è chiesti se il testo riportato in greco da Eusebio non sia da identificare con il rescritto emanato da Licinio nel giugno del 313 per le regioni orientali. Ad ogni modo, analizzando la terminologia eusebiana, resta dubbio se a Milano si sia avuta la promulgazione di un provvedimento in favore dei cristiani14.
Le fonti dell’inizio del IV secolo, le tardoantiche e le medievali non fanno alcuna menzione di un editto di Milano15. Occorre venire ai tempi moderni, malgrado in tale epoca tacciano ancora su quell’evento sia i Centuriatori di Magdeburgo nell’Ecclesiastica historia, pubblicata tra il 1559 e il 157416, sia Carlo Sigonio, nei suoi lavori di storia romana. Cesare Baronio (1583-1607) è il primo che fa cenno a un editto, che sarebbe stato emanato dai due imperatori nel loro incontro a Milano17. È opportuno esaminare ciò che ha scritto Baronio negli Annales ecclesiastici. Al grande erudito consta che nell’incontro di Milano, nel nome dei due imperatori, sia stato promulgato a favore dei cristiani un editto (edictum) che crede essere dovuto alla volontà di Costantino. Anche successivamente il provvedimento è definito edictum. Lo studioso ne parla in termini assai cauti: Costantino ne è stato l’autore, dato che all’epoca Licinio era ethnicus; è stato promulgato dai due imperatori verosimilmente a Milano, sebbene ciò non sia espressamente detto. Anche Louis-Sébastien Le Nain de Tillemont riferisce evidentemente dello storico incontro. Da Roma – così scrive – Costantino si reca a Milano, dove lo raggiunge Licinio. Essi esaminano insieme parecchie questioni relative al bene pubblico. Tra queste, la principale concerne la sfera religiosa. A tale proposito, i due sovrani emanano una ‘ordinanza’ in favore dei cristiani di cui, afferma Tillemont18, parla Eusebio19. Non c’è dubbio che lo studioso, nel corso della sua esposizione, dia grande rilievo a Costantino e scarso a Licinio. Il passo citato mi pare sia l’unico che menzioni l’editto di Milano, definito appunto nei termini di ordonnance20. Successivamente Antonio Pagi, un conventuale che coltiva la storia della Chiesa, nella sua opera dal titolo Critica historico-chronologica in universos Annales ecclesiastici card. Baronii, pubblicata a Parigi nel 1689, scrive che a Milano fu promulgato da ambedue gli imperatori un editto che Baronio richiama per l’anno 313 e con cui era concessa ai cristiani l’osservanza del loro culto21. Dopo di lui, molti altri studiosi riprendono quel cenno. Nel 1679 Étienne Baluze pubblica il codex Colbertinus, scoperto in una biblioteca di un monastero benedettino di Moissac e contenente il De mortibus persecutorum di Lattanzio. L’opera, come si è sopra detto, riporta la lettera (litterae) inviata da Licinio al governatore della Bitinia nel giugno del 313 da Nicomedia. Baluze, sulla scorta di Pagi, osserva che la ‘identità’ fra le fonti eusebiana e lattanziana è quasi completa, giudicando sinonimi litterae e edicta22, come già da altri supposto. Da allora storici e filologi, in modo pressoché unanime, cominciano a concordare anzitutto nel riconoscere nei due documenti antichi, che quindi avrebbero avuto la medesima fonte, l’edictum Mediolani e poi nell’attribuire a Costantino il ‘merito’ di averlo concepito e promulgato. Così Baronio, Tillemont, Pagi e Baluze contribuiscono a diffondere un’opinio che tra gli eruditi diviene ben presto communis23 e si diffonde oltre i confini loro familiari.
Una ‘certezza storica’ che, per la prima volta, è messa in forse nel 1891 da Otto Seeck, all’epoca docente all’Università di Greifswald, studioso di storia antica con una preferenza spiccata per la storia dell’Impero romano, da lui indagato valendosi principalmente delle fonti cristiane. A partire dal 1895, il tedesco avrebbe iniziato a pubblicare a Berlino la sua poderosa Geschichte des Untergangs der antiken Welt24. In un breve articolo, egli cerca di dimostrare che l’editto di Milano non è mai esistito e quindi neppure mai promulgato. Esso pertanto non concede a tutto l’Impero la tolleranza legale, di cui i cristiani già godono dal 311 grazie all’editto di Serdica, non è reso pubblico all’inizio del 313 ma solo nel giugno del medesimo anno, non è emanato a Milano ma a Nicomedia, da Licinio e non da Costantino, per sopprimere le restrizioni poste ai cristiani da Massimino Daia in Oriente, vale a dire in quella porzione dell’Impero a lui soggetta25. Non si può quindi confondere il provvedimento che sarebbe stato promulgato a Milano con il successivo ‘rescritto di Nicomedia’. Seeck, tra l’altro, esamina la titolatura usuale degli editti, con le testimonianze che Lattanzio ed Eusebio tramandano in relazione all’incontro dei due Augusti a Milano. Con le sue osservazioni, non si limita a ridurre l’importanza dell’editto di Milano, ma addirittura ne cancella l’esistenza. Il suo intervento, che inizialmente trova scarso consenso, ha comunque il merito di suscitare una più attenta e approfondita disamina di quella che era allora un’opinione correntemente accettata. Già nell’anno successivo26, Amedeo Crivellucci27 si oppone all’idea avanzata da Seeck28, affermando che a Milano è stata concordata da Costantino e Licinio una misura legale per l’Occidente, estesa all’Oriente dopo la vittoria conseguita da Licinio su Massimino Daia. Inoltre sostiene che il rescritto di Nicomedia, di cui parla Lattanzio, non fa altro che riprodurre nella sostanza l’editto di Milano, con alcune aggiunte e modificazioni rese necessarie dall’ambiente cui si indirizza. Lattanzio ha forse riprodotto l’editto anche nella forma (a tale riguardo, tuttavia, nel corso dell’articolo, si mostra più incerto29). Due sono le osservazioni di Crivellucci che meritano d’essere segnalate. Anzitutto rileva che l’editto di Galerio del 31130 parla di un’epistola, di cui però non si ha traccia e che si suppone non abbia potuto essere diramata dall’imperatore a motivo della sua morte, avvenuta poco tempo dopo, il 30 aprile del 311. Costantino e Licinio, subito dopo la ‘conferenza’ di Milano, avrebbero dato corso a questa indicazione di Galerio, appunto con l’editto di Milano. Si sa che il provvedimento di Galerio porta anche il nome di Costantino, almeno nella traduzione in greco datane da Eusebio31. Poi lo studioso considera due testi, che presenta su colonne parallele, l’editto che Massimino Daia pubblica dopo la sconfitta subita a Adrianopoli a opera di Licinio32 e il rescritto di Nicomedia del giugno 31333. Ravvisando una stretta relazione tra i due documenti, sui piani sia contenutistico sia formale, Crivellucci propone tre ipotesi: o il rescritto dipende dall’editto, o, viceversa, l’editto dipende dal rescritto, o l’uno e l’altro dipendono da una fonte comune individuata nell’editto di Milano. A suo giudizio, le due prime ipotesi cadono, in quanto è impossibile che i ‘due belligeranti’, vale a dire Licinio e Massimino, abbiano potuto prendere in prestito l’uno dall’altro, nella sostanza e nella forma, una legge che avesse elargito ciò che Massimino stava per concedere. La terza ipotesi è dunque la sola giusta: Licinio e Massimino, all’insaputa l’uno dell’altro, si sarebbero rifatti al testo milanese per accattivarsi il favore dei cristiani, del quale avevano bisogno. Nel 1895 Crivellucci ritorna sull’argomento34, per dimostrare che le opinioni espresse da Seeck nella sua opera maggiore35 – un editto di Milano non è assolutamente esistito – sono prive di fondamento. Se la discussione tocca molti punti, qui tuttavia interessa concentrarsi su uno particolarmente significativo: la data della battaglia sostenuta da Massimino a Campus Serenus o Tzirallum36. Senza dubbio, la polemica che ne scaturisce suscita interesse, tanto che la Pontificia Accademia Romana di Archeologia, per il concorso archeologico di cui si fa promotrice, propone appunto un tema di studio sull’editto di Milano. Ne nasce un contributo di cui è autore un professore svizzero di Lucerna, Wilhelm Schnyder37. In esso lo studioso, dopo avere utilmente fornito indicazioni sulla bibliografia in materia uscita tra il 1852 e il 1898, prima menziona le ragioni addotte da Seeck e poi richiama la confutazione fattane da Crivellucci, affermando di condividerla. Nondimeno, ritiene che la prova più importante dell’esistenza e dell’autenticità del provvedimento milanese risieda nell’esame delle condizioni politiche e sociali della Chiesa prima del 313. A tale proposito, segnala tre aspetti: la possibilità per i cristiani di possedere beni (chiese e cimiteri), l’effettivo possesso di tali proprietà da parte loro e il fatto che esse prima del 313, a seguito della persecuzione, si sono trovate a disposizione di possessori illegittimi. Per Schnyder, tutto ciò induce a rendere plausibile la promulgazione dell’editto di Milano.
Il panorama critico si arricchisce ulteriormente in occasione della celebrazione del XVI anniversario del 313, suscitando un rinnovato interesse e ulteriore materia di discussione. La rivista La Scuola cattolica38, che all’epoca è un periodico mensile, dedica quasi interamente uno dei primi numeri del 1913 a questo avvenimento. In un articolo, Emilio Galli39 si oppone, almeno in parte, a Seeck. Il critico italiano esamina tre distinte questioni: l’autenticità storica dell’editto, la sua integrità e il suo valore storico-giuridico. Quanto alla prima questione, lo studioso sostiene che in seguito all’incontro milanese dev’essere stato emanato un editto, giudicando quello di tolleranza del 311 un atto insufficiente a dare pace ai cristiani. Espone poi svariate ragioni per cui prima del giugno 313, ossia prima del rescritto di Licinio, i due Augusti congiuntamente avrebbero dovuto promulgare un’ordinanza nella città di Milano. Eusebio, infatti, in un luogo della sua Historia ecclesiastica40, discorrendo della morte dei tiranni, scrive che Costantino e Licinio con pari consenso hanno promulgato a favore dei cristiani una legge (nomon) «assolutamente perfetta» (teleôtaton plêrestata), che annuncia la vittoria riportata sul tiranno (ossia Massenzio) e che essi hanno trasmesso tale legge a Massimino, che al tempo imperava sulle province orientali e si professava loro amico. La legge, di cui Eusebio parla, per Galli non può che essere quella emanata all’inizio del 313 a Milano. Quanto poi alla seconda questione, vale a dire l’integrità dell’editto, lo storico giunge a proporne una ricostruzione sulla scorta delle due fonti antiche conosciute. Infine, a riguardo della questione del valore storico-giuridico dell’editto, opera una distinzione fra la proclamazione d’ordine teorico (il principio della libertà religiosa) e la conseguenza pratica (la restituzione ai cristiani dei loro beni). A distanza di poco tempo, sempre nel 1913, su La Rassegna Nazionale41 Adolfo Giobbio riprende il dibattito ed entra in dialogo con le opinioni di Galli, per sostenere che a Milano non è stato emanato alcun editto nel senso giuridico del termine, ma che in quella città è stato probabilmente pubblicato un documento in tutto conforme a quello riportato da Lattanzio ed Eusebio. Suppone inoltre che le lettere inviate ai governatori di Bitinia e Siria siano soltanto una copia di quel documento che in primo luogo dovrebbe essere stato mandato al governatore della città di Milano o a qualche altro magistrato superiore. Per Giobbio, la legge inviata a Massimino non corrisponderebbe all’editto di Milano, pubblicato solo successivamente. Qui segue una serie di osservazioni sulle espressioni eusebiane. Fra le altre considerazioni che Giobbio esprime contro l’opinione di Seeck, va rilevata quella secondo cui le condizioni accennate nel provvedimento milanese non sono da riferirsi a disposizioni restrittive emanate da Massimino – come invece asserito da Seeck – ma a disposizioni precedenti dello stesso Costantino. Ignaro del dibattito in corso, Filippo Meda, in un articolo pubblicato sempre su La Rassegna Nazionale42, dà per scontato che l’editto sia stato effettivamente reso pubblico a Milano da Costantino. Dal canto suo, René Pichon43, che non sembra conoscere, lui pure, le dispute vivissime di quegli anni, afferma che il migliore modo per celebrare il centenario del 313 è quello di confrontare la nuova situazione creatasi dopo Milano con la precedente: venendo a parlare dell’editto, preferisce piuttosto sottolineare la concezione liberale di Costantino, la cui tolleranza verso tutti ha comunque avuto vita breve, terminando sotto i suoi successori. Il dibattito, già adeguatamente ampio, si arricchisce nel 1913 della tesi che Valerian Sesan aveva in verità già avanzato nel 1911, per la quale Eusebio avrebbe tradotto in greco l’editto, o il rescritto, originale, mentre Lattanzio avrebbe citato un successivo rescritto, basato su quello reso pubblico a Nicomedia44. Nel 1914 Karl Bihlmeyer45, mentre respinge l’ipotesi, già suggerita da altri storici46, che nel 312 sia stato promulgato un editto, sostiene senza esitazioni che Milano ha visto nascere una costituzione definita magna charta libertatum e che l’alia epistola, di cui si legge nell’editto di Galerio, non è che il successivo editto di Milano, identificato con le litterae di Nicomedia, visto che litterae, antigraphê e grammata sono a suo giudizio termini dall’identico significato. Sempre nello stesso anno, la problematica è affrontata da François Martroye47, che, nella scia di Pierre Batiffol48, rileva come a Milano non sia stato affisso un editto. Già Seeck aveva sostenuto tale posizione, aggiungendo però che l’editto di cui si ha conoscenza attraverso Lattanzio è solamente di Licinio e dato a Nicomedia. Martroye accetta la prima ipotesi49 di Seeck, ma respinge la seconda. I testi conosciuti, infatti, mettono in luce che si tratta di una serie d’istruzioni indirizzate a un magistrato, con successiva aggiunta di un commento realizzato per assicurare un’esatta applicazione delle stesse: accanto al dovere di accordare la libertà di religione si pone quello di restituire ai cristiani i beni loro confiscati e, ancora, quello di assegnare tali beni non alle persone, ma alle Chiese. Un modo di legiferare – osserva Martroye – non troppo corretto, ma impiegato assai frequentemente in epoca tardo imperiale, ragion per cui sembra certo che la libertà di religione, concessa dopo l’incontro di Milano, sia stata data tramite semplici istruzioni indirizzate a magistrati, senza una vera e propria dichiarazione di diritti.
Il 1914 registra anche l’intervento di Jules Maurice50, che si propone di esaminare il preambolo eusebiano di h.e IX 9. Nuovamente il confronto è con Seeck, per il quale occorre lasciare a Licinio la responsabilità dell’editto copiato da Lattanzio. Se Hülle51 aveva visto nel testo di Lattanzio rappresentate le Litterae Licinii, Maurice propone di intravedere nel testo di Eusebio le Litterae Constantini. Le une e le altre sarebbero state redatte a Milano dalle cancellerie dei due imperatori, ragion per cui non risultano identiche. Licinio, data la situazione in cui si trovava, avrebbe fatto sopprimere il preambolo che Costantino invece avrebbe voluto fosse conservato52.
Nel 1922 in un articolo, Knipfing, prende in esame il preteso editto di Milano alla luce della ricerca più recente. Dopo avere condotto un’analisi serrata e offerto una rassegna bibliograficamente molto ricca, lo studioso conclude che l’editto di Galerio merita di essere valutato ben di più di quanto sia stato fatto, che l’autenticità indimostrata di un editto del 312 di Costantino e Licinio deve essere spiegata, che l’esistenza del preteso editto di Milano non è ammissibile, infine che occorre vedere nelle testimonianze conservateci da Lattanzio e da Eusebio versioni differenti – destinate a due determinate aree orientali, la Bitinia e la Palestina – di una costituzione di Licinio53 promulgata al fine di eliminare le limitazioni imposte da Massimino per la professione della nuova fede. Nel 1924 Batiffol54 ritorna sull’argomento, inserendolo però entro un quadro molto più ampio, da lui designato ‘pace costantiniana’: il francese attribuisce ai due imperatori, al termine del loro incontro milanese, un atto che definisce epistula o mandatum. Costantino e Licinio di concerto avrebbero emanato in favore dei cristiani una legge (già ricordata) «assolutamente perfetta», trasmessa poi a Massimino, con cui all’epoca intrattenevano buone relazioni55. Come osserva Batiffol, Eusebio ridà la medesima informazione poco dopo: per lui i due imperatori sono gli autori della pace, sia per le lettere scritte a Massimino sia per «i programmi e le leggi» (programmatoi e nomoi) che hanno reso pubblici56. Poco oltre lo studioso considera il testo promulgato da Licinio a Nicomedia nel giugno del 313, e in esso ravvisa, come già altri avevano fatto, talune istruzioni legislative indirizzate al governatore della Bitinia insieme con un loro commento interpretativo, per assicurarne un’esatta applicazione. Sottolinea poi la difficoltà di discernere il testo della legge dal testo del commento, ma asserisce anche che è proprio questa incerta impresa quella che egli, almeno a titolo di ipotesi, tenta di compiere57.
In un nuovo contributo, del 1925, Knipfing58 studia l’introduzione eusebiana all’Historia ecclesiastica, domandandosi la ragione della sua presenza: arriva infine a rispondere che sussistono all’epoca sufficienti motivi politici per indurre Licinio ad aggiungere tale introduzione alla forma del decreto che egli intende pubblicare nelle diocesi di Siria, Palestina ed Egitto, considerato l’atteggiamento favorevole ai cristiani che egli e Costantino già hanno manifestato, assieme a Galerio, nel 311. Avrebbe così inteso guadagnarsi la benevolenza dei cristiani delle regioni orientali, dopo la vittoria su Massimino, e insieme rendere vana l’impressione positiva che la lettera di quest’ultimo a Sabino aveva suscitato tra le Chiese di quell’area. Due sono le conclusioni tratte: il documento eusebiano è stato promulgato dopo la sconfitta definitiva di Massimino e i provvedimenti citati da Lattanzio ed Eusebio sarebbero due distinte versioni di un’unica costituzione emessa da Licinio. Qualche anno dopo, Luigi Salvatorelli59, in un articolo in cui ripercorre il cammino spirituale compiuto da Costantino in rapporto non tanto alla sua conversione quanto piuttosto alla sua religiosità, pone in evidenza una linea che mostra la continuità e la coerenza delle sue convinzioni cristiane fin dall’assunzione del titolo di Augusto. La sua buona disposizione verso il cristianesimo non significa tuttavia che egli fosse sul punto di fare professione di fede cristiana. A tale proposito, Salvatorelli delinea il clima religioso del tempo, caratterizzato da un dominante sincretismo. In esso era diffuso un monoteismo che consisteva nel riconoscere l’esistenza di dei minori al di sotto del summus Deus. In questo orizzonte, lo studioso ritiene più aderente al vero il racconto lattanziano sulla croce apparsa in pieno giorno a Costantino prima della battaglia contro Massenzio che non quello corrispondente eusebiano. Lattanzio, infatti, scrive in un tempo che Salvatorelli reputa assai più vicino agli avvenimenti rispetto alla testimonianza di Eusebio, che compone ex professo un panegirico costantiniano. Ciò induce lo storico ad affermare che dal 313 in poi l’imperatore manifesta pubblicamente il conto particolare in cui tiene il cristianesimo. In questa cornice vede espressa nell’editto di Milano una chiara incompatibilità con ogni professione di esclusivismo cristiano, perfettamente conforme a quella religiosità sincretistica che si riscontra nella sua condotta. Non ci si può quindi stupire se il sovrano, in quel tempo, abbia onorato contemporaneamente il Sole e Cristo. Inoltre pensa che sia assurdo attribuire solo a Licinio l’editto, come vuole Seeck (per quanto si sa di Licinio – nota – sembra inverosimile che nella sua mente sia scaturita una concezione così ampia e sottile come quella che si intravede nell’editto). In tal senso è ritenuta d’ispirazione costantiniana la preghiera fatta intonare da Licinio alle truppe sul campo di battaglia contro Massimino60. Questa è tra l’altro confrontata con quella che Costantino aveva fatto pronunciare la domenica ai soldati non cristiani61, per riconoscere, in ambedue le preghiere, identità di contenuto, carattere e presupposti religiosi tendenti al monoteismo. Rispetto al tema in esame, le conclusioni espresse implicitamente o esplicitamente dallo storico italiano sono le seguenti62: Costantino e Licinio concordano a Milano alcune disposizioni, che non v’è ragione di non pubblicare. Considerata l’importanza che specialmente il primo attribuisce a esse, è inammissibile supporre che questi non abbia personalmente partecipato a un tale atto di politica religiosa. Che poi l’editto sia stato pubblicato a Milano oppure no, che sia un editto o un rescritto, che i documenti conservatici ne diano o no la pura e semplice riproduzione, sono cose che poco importano alla storia.
Con tutto ciò la disputa sull’editto di Milano è ben lontana dall’arrestarsi, anzi, riprende gagliarda nel decennio tra il Trenta e il Quaranta. Ne sono in special modo protagonisti due storici, Grégoire e Palanque, che dedicano un nutrito numero di articoli alle questioni concernenti le figure di Costantino e Licinio, con quanti interrogativi e problemi esse avevano sino ad allora suscitato. Grégoire riprende quasi alla lettera le espressioni adoperate oltre quaranta anni prima da Seeck, per poi svilupparle: «L’editto di tolleranza del marzo 313, reso pubblico da Costantino, non è un editto, ma un rescritto o meglio ancora una lettera indirizzata ai governatori delle province d’Asia e d’Oriente; esso non è stato promulgato a Milano, ma a Nicomedia; non nel marzo, ma nel giugno; non è dovuto a Costantino, ma a Licinio»63. Egli inoltre invoca come documento, tra gli altri, la missiva scritta da Costantino al proconsole d’Africa, Anulino, in cui si legge: «Ordiniamo che, dal momento che la lettera giungerà a destinazione, tu faccia restituire immediatamente alle Chiese cattoliche ogni cosa che sia appartenuta a cristiani di ogni città o di altro luogo e ora trattenuta da cittadini o da altri». Per lo studioso basterebbero già solo le espressioni di questa lettera per provare che non vi fu alcun editto di Milano. Dal canto suo, Palanque obietta che l’osservazione sarebbe condivisibile se lo scritto fosse posteriore all’incontro milanese dei due imperatori, ma non nel caso esso fosse stato anteriore. Già Norman H. Baynes64, in verità, aveva ipotizzato che la lettera risalisse all’inverno del 312-313 piuttosto che all’aprile del 313, come invece aveva sostenuto Seeck. Essa non andrebbe dunque situata neppure nell’ottobre del 313, analogamente ad altri provvedimenti in materia risalenti a quel mese che si leggono nel Codice Teodosiano, ma sarebbe la risposta a una lettera scritta dall’imperatore nell’inverno 312-313, in cui questi avrebbe concesso il privilegio al clero cattolico d’essere esentato dai munera civilia, prima in Africa e poi nelle parti dell’Impero su cui dominava. Se dunque la missiva imperiale fosse del febbraio, sarebbe contemporanea alla ‘conferenza’ di Milano; se invece del gennaio, Costantino ne sarebbe l’unico responsabile, ma risulterebbe inconcepibile che in gennaio avesse emanato l’editto di Milano, soprattutto se, prima di lasciare Roma, avesse pure indirizzato a tutti i governatori da lui dipendenti istruzioni simili a quelle che ci ha conservato Eusebio. Oppure il documento eusebiano è del febbraio (secondo Palanque, è questa l’ipotesi più verosimile), ossia del momento stesso in cui i due imperatori s’incontrano nel nord dell’Italia, e allora si tratterebbe dell’editto tanto discusso o di una delle forme in cui sono state espresse le decisioni prese in quella sede. In questo caso, il rescritto di Nicomedia, emanato quattro mesi dopo, rappresenterebbe un’altra delle sue forme. Perciò egli conclude che proprio Costantino è stato l’ispiratore del rescritto di Nicomedia, da ritenere derivato da un protocollo redatto a Milano di comune accordo dai due imperatori e impropriamente denominato Litterae Constantini65. L’editto di Milano non sarebbe quindi totalmente leggendario, ma andrebbe integrato e inserito nelle Litterae Licinii. Avrebbe allora ragione Baynes66 a osservare che l’editto può essere una semplice finzione, ma la formula che ha avuto tanta fortuna sarebbe giustificabile. Da parte sua, Grégoire riprende la polemica e, per sostenere la propria tesi, cita l’opinione di Erich Caspar67, che era ricorso agli Acta purgationis Felicis68, relativi a un processo tenutosi a Cartagine il 15 febbraio 314 contro Felice di Aptungi69. Il proconsole Eliano, che presiedeva il tribunale, in quella occasione aveva nominato espressamente gli imperatori Costantino e Licinio, affermando che essi si erano degnati di mostrarsi favorevoli e benigni verso i cristiani a condizione che questi rispettassero l’ordine pubblico («ita […] ut disciplinam corrumpi nolint»). Parole, queste ultime, che costituiscono una citazione testuale di quelle che si leggono nell’editto di Serdica, da cui perciò sono state tratte e cui si riferiscono70. L’osservazione di Caspar era stata ripresa da Ernst Stein71, che aveva inoltre notato che quell’editto doveva essere stato pubblicato in Occidente solo dopo l’ottobre del 312, ossia dopo l’abrogazione di ogni provvedimento di Massenzio, in seguito alla sua morte. Grégoire non solo riteneva plausibili le osservazioni di Caspar e Stein, ma le estendeva a un passo dell’Historia ecclesiastica72, in cui Eusebio riferiva che Costantino e Licinio avevano promulgato in favore dei cristiani una legge ‘assolutamente perfetta’73, che tuttavia lo storico antico avrebbe poi omesso di trascrivere in ambedue le sue opere maggiori, per l’appunto l’Historia ecclesiastica e la Vita Constantini74. Pare quindi strano a Grégoire che, nel caso tale legge vada identificata con l’editto di Milano o con quello di Nicomedia, come da parecchi affermato, Eusebio non l’abbia voluta tramandare, essendo essa una testimonianza che avrebbe giovato molto alla gloria di Costantino. Infine conclude che, con la legge ‘assolutamente perfetta’, lo storico antico si riferisce all’editto di Serdica dell’aprile del 311, sapendo di certo che tale editto era da attribuire non a Costantino, ma solamente a Licinio. Non è un caso che Eusebio nell’ultima, più tarda edizione dell’opera, risalente a quando Licinio aveva assunto nei confronti di Costantino un atteggiamento ostile, assai diverso da quello di anni precedenti, lo abbia soppresso. Con questa serie di osservazioni Grégoire credeva di avere dato una soluzione definitiva alla questione storica dell’editto di Milano.
Per Jean-Rémy Palanque, tuttavia, essa non era per nulla risolta. Questi sottoscrive la prima parte delle osservazioni di Grégoire e, in accordo con Caspar e Stein, pensa che uno dei primi atti di Costantino, unico imperatore ormai padrone dell’Africa e dell’Italia, sia stato la pubblicazione dell’editto di Galerio e che la frase del proconsole Eliano si riferisca in effetti a quest’ultimo provvedimento. Non reputa però che le iniziative costantiniane potessero essere state meno favorevoli verso i cristiani rispetto a quelle prese da Massenzio. Le espressioni degli Acta sono da lui interpretate in maniera consona alla sua tesi. Esse infatti non escludono l’eventualità che Costantino abbia aggiunto, alla tolleranza puramente negativa prevista da Galerio, altri provvedimenti chiaramente positivi in favore dei cristiani, visto che vi si legge che il proconsole Eliano, probabilmente un pagano, rivolgendosi all’accusato, lo definisce «adoratore della divinità» (ossia ‘cristiano’) e lo ammonisce perché, in quanto tale, non pretenda di sfuggire alla tortura, quasi che l’imputato avesse contato di valersi di un’indulgenza speciale dell’imperatore. Un’espressione che attesterebbe l’esistenza, se non dell’editto di Milano, di qualche disposizione di legge. Il medesimo testo, dunque, è interpretato in maniera assolutamente contrastante dall’uno e dall’altro ‘contendente’. A giudizio di Palanque non è esistito un vero e proprio editto di Milano: tuttavia, è ammissibile che in quel tempo siano stati presi provvedimenti in favore dei seguaci della nuova religione.
Anche l’intervento costantiniano presso Massimino Daia dell’autunno del 312 è stato valutato tanto in un senso quanto nell’altro. Costantino vi riferisce della vittoria conseguita su Massenzio e dell’aiuto avuto in quel pericoloso frangente dal dio dei cristiani: trasmette dunque a Massimino il testo di una legge, da lui adottata, benevola verso i fedeli di Cristo e gli chiede di sospendere ogni misura persecutoria. Un’iniziativa che porta a escludere che sia stato Licinio il primo a prendere misure vantaggiose per le comunità cristiane75 e ancor più, diversamente da quanto affermato da altri, che a Milano sia stato lui a convertire Costantino, se non al cristianesimo, almeno a una politica filocristiana. A ogni buon conto, secondo Palanque il documento non offre elementi per sostenere che Licinio sia stato l’iniziatore di quella nuova politica. Va inoltre aggiunto che Costantino non solo accorda al clero cattolico, ma non a quello donatista, l’esenzione dai munera civilia76, ma anche concede alle Chiese elargizioni cospicue, come prova una lettera indirizzata a Urso, rationalis d’Africa, perché metta a disposizione di Ceciliano, vescovo di Cartagine, una somma di tremila folli per i pastori africani suoi confratelli77. Nella risposta pubblicata alla fine dell’articolo stesso di Palanque, Grégoire ribadisce la propria idea: l’editto di Milano non è menzionato in alcuna fonte antica e la sua supposta esistenza è frutto dell’immaginazione di eruditi, certo coscienziosi, ma preoccupati di giustificare la tradizione che fa dell’Augusto l’imperatore cristiano per eccellenza, attribuendogli un atto che sia gli storici della Chiesa sia i suoi numerosi panegiristi e agiografi del sovrano hanno del tutto ignorato o trascurato di segnalare78.
Nel 1950 Maurilio Adriani rivendica la storicità dell’editto di Milano79. Esaminando l’intensa attività legislativa imperiale svolta in Occidente e in Oriente tra il 28 ottobre del 312 e il 15 giugno del 313 (periodo nel quale rimane però scoperto il bimestre gennaio-febbraio del 313), lo storico arriva a osservare che essa resterebbe inspiegabile senza un riferimento a un editto promulgato dopo l’incontro milanese, in quanto tale atto farebbe da ‘ponte’ a un intero quadro storico. Riprendendo, ma con l’intento di perfezionarlo, un tentativo fatto alla fine dell’Ottocento da Crivellucci, Adriani compara tra loro il rescritto di Licinio e l’editto di Massimino, mostrando infine che ambedue dipendono dall’editto di Milano, il primo da un punto di vista sostanziale, il secondo da un punto di vista formale. Quindi propone una propria ricostruzione di quello che sarebbe stato il provvedimento di Milano. In anni immediatamente successivi, Jacques Moreau, in più luoghi del suo commento al De mortibus persecutorum80, manifesta ancora una volta un’opinione contraria. Lattanzio non fa discendere alcuna decisione importante dall’incontro di Milano. Taluni indizi messi in luce impediscono di pensarlo. Inoltre, le litterae di Nicomedia non sono altro che un mandatum di Licinio indirizzato al governatore della Bitinia e ad autorità di altre province. Sarebbe lui il restitutor ecclesiae, per la ragione che proprio nelle terre orientali, e non nelle occidentali, occorreva favorire la parte cristiana, senza però inimicarsi la pagana, che nell’esercito era costituita anche dai soldati provenienti dalle regioni danubiane. In un contributo pubblicato nel 1960, Paolo Brezzi dà dell’incontro milanese tra i due Augusti e di quanto ne è derivato una visione (mutuata in parte da precedenti studiosi) che sempre più sarà fatta propria dalla critica81. Egli concorda sul dato che nulla si sa dell’editto e della sua pubblicazione a seguito della ‘conferenza’ milanese. L’atto del 313 rappresenta, tuttavia, uno dei momenti più importanti della storia dell’umanità, come a dire che negare l’esistenza di un editto di Milano non significa negare che l’incontro dei due imperatori nel nord d’Italia abbia dato origine a uno o più provvedimenti in favore dei cristiani. Brezzi si chiede poi a quale dei due protagonisti, Costantino o Licinio, spetti il merito dell’iniziativa; contrariamente all’opinione di Grégoire, osserva che solo il primo dei due ha perseguito con intelligenza e abilità la strada prescelta e che le prove già date della sua fede lo indicano come persona più adatta a un simile gesto. Una valutazione che pone lo storico nella scia di Salvatorelli, che in anni precedenti e forte di una specifica documentazione, aveva già sostenuto ciò. Il dibattito sembra spegnersi gradualmente con l’affermarsi di alcune osservazioni fondamentali ammesse da più di un critico82. L’espressione maggiormente adoperata è ‘l’editto di Milano’ o, più ancora, ‘il cosiddetto editto di Milano’: se essa è sicuramente comoda e sintetica, non sempre chi ne fa uso è consapevole dei motivi per cui la si usa e del lungo dibattito che l’ha provocata. Qualche volta la si ritrova senza l’aggettivo che la precede83. Alcuni hanno scritto che, se è ormai dimostrato che un editto di Milano non c’è mai stato, si può comunque pensare o addirittura essere certi che Costantino e Licinio, nel 313 o già negli ultimi mesi del 312, abbiano delineato una diversa politica religiosa, ben più benevola verso i cristiani rispetto a quella mostrata nel 311 da Galerio84. Altri, più prudentemente, hanno dichiarato che s’ignora se sia stato elaborato un testo in comune tra i due Augusti85. Altri ancora che il problema può considerarsi superato. Ciò non impedisce, tuttavia, che altre opinioni siano state espresse anche in anni più recenti. Nel 1955 uscì un articolo di Herbert Nesselhaus86. Analizzando e confrontando le due fonti maggiori, l’eusebiana e la lattanziana, rileva che in special modo la seconda contiene passaggi importanti che non hanno un equivalente nella prima e, nel tentativo di risolvere il problema, pone le basi che gli permettono di offrire una nuova comprensione del rapporto fra i due testi. In altre parole, Nesselhaus, concentrando l’attenzione su un’approfondita e attenta analisi comparativa tra i due documenti, più di quanto non avessero fatto altri in precedenza, apre nuove prospettive. Nel 1972 Salvatore Calderone87, ripercorrendo brevemente la storia della questione, nega lui pure che sia stato promulgato un editto a Milano e tra l’altro afferma che, in base all’esame della cronologia e al confronto delle fonti, è possibile fissare entro la fine del 312 l’inizio dell’attività legislativa costantiniana in favore dei cristiani; che la legge ‘assolutamente perfetta’ di cui parla il vescovo di Cesarea risale al 312 e mira ad appoggiare un determinato gruppo di comunità cristiane; che le litterae emesse da Licinio nel 313, dopo la sconfitta di Massimino, dichiarano esplicitamente di volere modificare una precedente legge sui cristiani, quella del 312, che rappresentava una forte limitazione alla libertà religiosa di altri gruppi cristiani orientali (la legge liciniana non avrebbe quindi voluto liberare dalle clausole dell’editto di Galerio e neppure da quelle di Massimino Daia); che i passi eusebiani maggiormente polemici mancano nel testo lattanziano, perché quest’ultimo sarebbe stato pubblicato in Oriente in un momento di tensione tra i due Augusti e d’incertezza del futuro. Nel 1984 Torben Christensen88, riprendendo la medesima strada percorsa da Nesselhaus, si convince che possa essere condotta un’analisi dei due testi in una maniera ancora più esauriente e completa. In tale direzione conduce un lavoro molto approfondito, badando anche alla terminologia e alla filologia (nell’esame di Lattanzio, considera anche le lezioni del manoscritto Colbertinus), e nel compierlo individua, nei testi di Eusebio e Lattanzio, esaminati sempre in parallelo, tredici sezioni. I risultati dalla sua ricerca suonano nuovi e in certo modo sorprendenti rispetto alle numerose proposte e ipotesi avanzate in precedenza: fin dalla prima pagina dell’articolo, lo studioso definisce «imperial laws» il testo citato da Eusebio89, reputandolo identico, nonostante qualche piccola differenza, a quello riportato nella lettera liciniana del 13 giugno del 313. Dopo avere condotto una serrata analisi comparativa, nutrita di annotazioni sottili, conclude che i due testi contengono ripetizioni, idee non coordinate tra loro e perfino contraddittorie, caratteri dovuti al fatto che ambedue si basano su una medesima fonte, più o meno compiutamente riprodotta da ciascuno, in quanto integrata con nuovo materiale. Muovendo da questa convinzione, lo studioso ritiene che l’analisi comparativa delineata renda possibile ricostruire la fonte comune. Operazione che egli compie e che propone, con qualche cautela, prescindendo dall’introduzione eusebiana. La fonte appare avere carattere decisamente procristiano. Christensen è pure persuaso che le due sezioni sulla libertà religiosa e sull’ordine di restituire i luoghi di culto, in quanto unità compiute in sé stesse, vadano considerate separatamente e che la seconda sia stato aggiunta in un tempo successivo, precisamente quello dell’incontro di Milano: l’incoerenza dei testi deriverebbe dunque da ciò. La fonte primitiva sarebbe una lettera di Costantino inviata a Massimino tra il 28 ottobre del 312 e il febbraio-marzo del 313, prima che scoppiasse il conflitto tra quest’ultimo e Licinio. Si può pertanto parlare di un editto di Milano, ma nel senso che una legge imperiale sarebbe stata promulgata in quell’occasione con misure da applicare in tutto l’Impero. Tale provvedimento sarebbe stato poi incorporato da due testi, per la precisione da due lettere indirizzate ai governatori della Bitinia e, probabilmente, della Palestina, l’uno indipendente dall’altro. In esse sarebbero state espresse riserve circa affermazioni troppo positive nei confronti dei cristiani, scopertamente favoriti dall’editto di Milano. Una sorta di dissociazione, al fine di dimostrare che gli imperatori non avevano rinnegato il culto pagano o, almeno, l’idea enoteistica: un discorso che vale in speciale maniera per Licinio. Dall’esame dell’insieme si dedurrebbe che Licinio, obtorto collo, si allinea alla politica procristiana promossa da Costantino, per averne l’appoggio. E ancora, che la fonte latina, di cui si serve Eusebio, sarebbe una versione rivista del testo che si legge in Lattanzio, prodotta dalla cancelleria di Licinio e a lui attribuibile.
Le ricerche di Nesselhaus, di Christensen e di numerosi altri hanno dunque riaperto la questione. Del resto, già nel 1953 Moreau90, che conosceva in profondità il problema – in quel periodo lavorava infatti all’edizione commentata del De mortibus persecutorum, pubblicata l’anno successivo –, aveva osservato, a proposito dell’editto di Milano, che le questioni che sino ad allora avevano indotto generazioni di eruditi a occuparsene, nonostante il gran numero di soluzioni proposte, erano tutt’altro che chiuse e lungi dall’avere realizzato il consensus omnium91. E ancor oggi si può condividere l’opinione espressa da Moreau.
Nelle pagine precedenti si sono visti quanti siano i dati storici offerti dalle fonti antiche – nella maggior parte dei casi dalle due fonti maggiori, ma anche da fonti secondarie, che concorrono a promuovere la discussione intorno all’esistenza o non dell’editto di Milano. Come scrive Ranke, la storia comincia dove si hanno documenti degni di fede. Qui si presenta un problema: quanto sono degni di fede e quali sono i documenti in nostro possesso? Sembra che in numerosi casi essi non offrano quei dati necessari a rispondere a ogni interrogativo. Come in genere per tutta l’antichità, anche qui le testimonianze pervenuteci sono troppo scarse. Ci si trova dinanzi a un intricato e complesso reticolo d’informazioni e indizi. Inoltre, a questa prima difficoltà se ne collega una seconda: alla ‘lettura’ dei documenti non può non unirsi l’analisi della bibliografia moderna, che non solo qui è abbondantissima, non diversamente da tutti i temi costantiniani, ma è disposta lungo un arco di tempo così ampio da risultare, per lo più, di non facile reperibilità, se non in biblioteche venerande, costituite in tempi passati. Ragione per cui anche gli studiosi più seri talvolta ignorano chi li ha preceduti, finendo così con il proporre soluzioni e ipotesi già avanzate. Non solo. Se «la storia si fa con i documenti», è altrettanto vero ed evidente che essa è «inseparabile dallo storico», per usare due espressioni che danno titolo a due capitoli di un noto libro di H.-I. Marrou92. Ciò significa che il mestiere dello storico è quello di sapere porre ai documenti le domande che la sua cultura, la sua sensibilità, la sua curiosità e la sua mentalità (altrimenti detto, la sua visione del mondo) gli suggerisce (nel rispetto comunque dei fatti, che precedono sempre qualsiasi interpretazione degli stessi). Proprio da ciò deriva la molteplicità delle interpretazioni che sono state affrontate lungo il percorso bibliografico fin qui seguito. Occorre inoltre rammentare un’ulteriore difficoltà che si para dinanzi allo storico moderno. La storia del periodo costantiniano, come in genere la storia antica, presenta una serie di episodi93 non facilmente comprensibili e accettabili per l’odierna maniera di pensare, che è profondamente diversa da quella dell’uomo del IV secolo, per il quale un’apparizione o un’ammonizione della divinità, in sogno o in pieno giorno, se non normale, è comunque plausibile. Il legame tra sfere divina e umana e l’intervento costante della prima sulla seconda erano ritenute cose consuete. Il rischio è quindi di non tenere nel loro conto testimonianze non conformi alle nostre ricostruzioni prestabilite e perciò in ogni modo ardue da interpretare. Fin qui la storia e le questioni spinose che essa pone sul tappeto.
Ogni grande personaggio, con il suo genio, con le sue opere, con le sue imprese, ha sempre colpito l’immaginazione di contemporanei e posteri, consentendo di costruire dei racconti spesso caratterizzati dal conservare un nucleo autentico, che la fantasia popolare ha poi magari arricchito o per lo più alterato. Così è accaduto per Costantino. La visione miracolosa che egli avrebbe avuto prima della battaglia dell’ottobre del 312, il labarum ornato dei ritratti dei Cesari già nel 312, il segno della croce sugli scudi dei soldati, sarebbero altrettanti fattori che hanno favorito il formarsi della ‘leggenda’ costantiniana (di essa fa parte in primo luogo l’editto di Milano, celebrato come l’inizio della nuova storia cristiana, ma non meno ne fanno parte anche gli episodi collocati nell’ultimo periodo della vita). La leggenda costantiniana, coltivata sin dall’epoca di Baronio e Tillemont, dagli studiosi più accesi è stata giudicata il segno di un’ostinazione penosa, quasi dolorosa, di cui si sono fatti ultimi campioni coloro che ancora negli anni Trenta del Novecento l’hanno sostenuta e difesa94. Senza dubbio, dell’opera e della personalità del sovrano sono stati dati i giudizi più svariati e le interpretazioni più diverse, a cominciare da Eusebio, che ne celebra la vicenda in modo straordinariamente positivo, tanto da ritenerlo un «isapostolo»95. Il problema rimane in verità aperto.
Fin qui si è affrontato l’ambito degli studi sviluppatisi in Occidente in rapporto all’editto di Milano, alla sua portata, ai molti temi che vi sono connessi e che trovano un’espressione definitiva nel giudizio dato alla sua personalità.
Costantino tuttavia non appartiene solo all’Occidente: anzi, in misura ancor maggiore appartiene all’Impero romano d’Oriente. Qui la valutazione datane è assai diversa, ed egli non è ‘l’imperatore Costantino’ o ‘Costantino il Grande’, come in Occidente. Nella tradizione cristiana orientale si tratta di colui che ha difeso la vera fede e l’ortodossia contro tutti i suoi nemici, di colui che ha avuto quale principale impegno durante il proprio regno quello di fondare grandi basiliche in onore di Dio e dei santi. Non la fondazione di Costantinopoli, la nuova capitale dell’Impero, ma la ‘invenzione’ della Croce o la convocazione del concilio di Nicea determinano la sua gloria e, specie nella tradizione popolare, fanno di lui un santo. Ancora una volta, all’origine si trova naturalmente il Costantino di Eusebio. «Ma pur così» – per riprendere le parole di uno studioso greco, dell’Università di Komotini – «il Costantino della tradizione orientale sembra più vicino al Costantino storico che il Costantino della tradizione occidentale»96. Certo anche in Oriente è nata una leggenda costantiniana che però sembra lontana da ogni venatura leggendaria, radicandosi nella storia del suo tempo e in quella successiva. Resta un fatto che il culto di Costantino, unico tra quelli d’origine imperiale ‘ufficiale’, ha ricevuto il consenso popolare, ossia un’adesione generale della coscienza del corpo ecclesiale, non esclusivamente in Oriente, ma pure in talune aree dell’Occidente, come la Sicilia e la Sardegna, dove più vivo è stato l’influsso della Chiesa orientale97, specie nel periodo dei primi mille anni, ma anche dopo la separazione delle Chiese, non solamente tra gli ortodossi, ma persino tra i cattolici.
1 Probabilmente nel febbraio del 313, se si considera l’espressione di Lattanzio in Lact., mort. pers. 45,1: «hieme cum maximo saeviente», riferita alla marcia dell’esercito di Massimino dalla Siria alla Bitinia nel tempo in cui avviene l’incontro di Milano. Su ciò, cfr. Lactance, De la mort des persécuteurs, éd. par J. Moreau, Paris 1954, p. 446.
2 In Lact., mort. pers. 48,1-12.
3 In Eus., h.e. X 5,1-14.
4 Gli editti, in età repubblicana, sono ordinanze generali, promulgate dai magistrati o dal pontifex maximus, che stabiliscono norme cui i cittadini sono obbligati ad attenersi. Sotto il principato, lo ius edicendi è praticato dagli imperatori, titolari dell’imperium proconsulare e della potestas tribunicia, che si estende anche alle province senatorie, così che le disposizioni sono indirizzate direttamente ai cittadini che devono osservarle. Un altro tipo di constitutio imperiale è il ‘rescritto’, lettera con cui il sovrano, rispondendo a una questione postagli, dà ordini alle autorità a lui sottoposte, perché curino di farle osservare. I mandata sono invece disposizioni di natura amministrativa inviate ai funzionari. In generale, comunque, bisogna tenere presente che gli storici antichi non sono sempre precisi nell’impiego della corretta terminologia, per la quale si richiede una specifica competenza giuridica. Al proposito, cfr. M. Adriani, La storicità dell’editto di Milano, in Studi romani, 2 (1954), pp. 18-32, in partic. 23-25.
5 Secondo l’opinione di molti studiosi, i capitoli 5-7 del libro X dell’Historia ecclesiastica sono stati inseriti dall’autore in un’edizione successiva alla prima, che si concludeva con il libro VIII. In un posteriore rifacimento dell’opera, anche questa parte subì delle variazioni. Infatti, in seguito alla posizione ostile assunta da Licinio, Eusebio, per cancellare la memoria di quest’imperatore, eliminò i suddetti capitoli: cfr. Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica. I martiri della Palestina, a cura di G. Del Ton, Roma-Paris-Tournai-New York 1964, p. XXVI e nota 19.
6 A tale riguardo un confronto è stato condotto da H. Hülle, Die Toleranzerlasse Römischer Kaiser für das Christentum bis zum Jahre 313, Berlin 1895, pp. 41-59, in partic. 45 seg.; cfr. anche V. Sesan, Die Religionspolitiker christlich-römischen Reiche von Konstantin dem Großen bis Theodosius dem Großen (313-380), Berlin 1911, pp. 168 segg.; il commento ricco e circostanziato a Lactance, De mortibus persecutorum, cit. Un’analisi comparativa molto approfondita delle due fonti è stata condotta da T. Christensen, The So-Called Edict of Milan, in Classica et mediaevalia, 35 (1984), pp. 129-175.
7 Per lungo tempo in passato, sebbene ora non più, la critica ha ritenuto l’opera spuria. Anche sulla data di composizione, le opinioni non concordano: è da assegnare al periodo in cui Lattanzio era ancora in Bitinia o piuttosto a quello in cui era alla corte di Treviri, dopo il 325-318?
8 Si propone di seguito una traduzione italiana, sulla scorta dell’edizione Moreau, delle parti che interessano il capitolo 48 del testo lattanziano: «1. Licinio, non molti giorni dopo la battaglia, presa a suo servizio una parte dell’esercito e distribuitala in modo conveniente, fece passare l’esercito in Bitinia, entrò in Nicomedia rendendo grazie a Dio, con il cui aiuto aveva vinto e, alle Idi di giugno, essendo Costantino e lui consoli per la terza volta, comandò al governatore che fossero rese pubbliche le seguenti lettere (litteras) inviategli per la riabilitazione della Chiesa (de restituenda ecclesia): 2. “Quando io Costantino Augusto ed io Licinio Augusto eravamo felicemente convenuti (convenissemus) a Milano e discutevamo (in tractatu haberemus) insieme di tutto ciò che riguarda l’interesse e la sicurezza pubblica, tra le cose che ci parvero vantaggiose per i più degli uomini, credemmo (credidimus) dovere assegnare il primo posto a quanto concerne il culto della divinità e che fosse giusto concedere ai cristiani e a tutti la libertà di seguire la religione che ciascuno avesse voluto, cosicché tutto ciò che vi è di divino in cielo possa essere favorevole e propizio a noi e a tutti coloro che sono soggetti alla nostra potestà […]. 4. Perciò sappia la tua Eccellenza che abbiamo disposto che sia abrogata interamente ogni disposizione data per iscritto in relazione ai cristiani e sia permesso, a quanti scelgono di osservare tale religione, di seguirla senza alcuna inquietudine e molestia”».
9 In Eus., h.e. X 5,1-3 (Eusebius Werke II,2, hrsg. von E. Schwartz, Leipzg 1908, riprodotta da G. Del Ton, in Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, cit., pp. 769 segg., della cui traduzione ci si vale qui) si legge: «1. Copia delle leggi imperiali (antigraphai basilicôn nomôn). Ora vogliamo presentare le disposizioni imperiali (basilikai diataxeis) di Costantino e di Licinio tradotte dal latino. 2. Nella considerazione che la libertà religiosa non deve essere negata, ma che invece alla discrezione e alla volontà di ciascuno deve essere permesso di trattare le cose religiose secondo la propria preferenza, già ordinammo da tempo (kekeleukeimen) che anche i cristiani conservassero la fede della loro setta e del loro culto. 3. Ma poiché in quel rescritto (antigraphê), con il quale era loro concessa la libertà, parevano chiaramente aggiunte numerose e diverse condizioni, può darsi che alcuni di essi poco dopo fossero stornati da tale osservanza».
10 Cfr. Eus., h.e. X 5,1 (tale è il sottotitolo del capitolo 5 in testa al libro X). Il termine nomos, accanto al significato prevalente, nelle sue ricche variazioni, di ‘legge divina’, rimanda anche a una ‘legge secolare’ riferita in particolare alla cristianità: cfr. A Patristic Greek Lexicon, ed. by G.W.H. Lampe, Oxford 1961, p. 920.
11 Così nel titolo che sta a capo del provvedimento.
12 Cfr. Eus., h.e. X 5,3.6. Il significato è quello specifico di ‘rescritto imperiale’: cfr. anche Eus., h.e. IV 8,8 e A Patristic Greek Lexicon, cit., p. 152.
13 Cfr. Eus., h.e. X 5,4. Dogmatizo è verbo che nel greco patristico significa anche ‘emettere un decreto’ o ‘promulgare una legge’, specialmente un editto, nel dominio della legislazione imperiale: cfr. A Patristic Greek Lexicon, cit., p. 378.
14 Il primo quindicennio del IV secolo vede susseguirsi diversi avvenimenti che in qualche modo sono legati al tema di cui qui si tratta. Occorre tenerli presenti nella loro esatta successione, in quanto gli studiosi intervenuti nel dibattito vi si riferiscono frequentemente, appellandosi ora all’uno ora all’altro per sostenere le proprie tesi. È perciò utile offrirne una pur sommaria cronologia. Nel luglio del 306 muore Costanzo Cloro. Costantino, acclamato Augusto d’Occidente a York, seguendo l’atteggiamento assunto dal padre e da Severo, dà ordine che nei territori sui quali ha il potere (Gallia e Spagna) non siano applicate le misure repressive contro i cristiani. In quegli stessi anni Massenzio, fratello di Fausta, promessa sposa di Costantino, escluso da ogni onore, s’impossessa del potere; per trovare forse un’intesa con le comunità cristiane, al fine di superare la difficile situazione in cui si trova, mette fine alla persecuzione contro di esse in Italia e in Africa. Lo riferisce Eusebio, tanto che, come è stato osservato da uno studioso, spetterebbe a lui ‘il merito di avere riconosciuto per primo a Roma il fallimento della politica persecutrice e di avere battuto la via opposta’. Dopo l’abdicazione volontaria del maggio del 305 Massimiano e Diocleziano indicano i nomi dei due nuovi Augusti e dei due nuovi Cesari. Nella provincia d’Africa domina Alessandro L. Domizio. Il 30 aprile del 311 Licinio promulga a Nicomedia l’editto di Serdica. Dopo la morte di Galerio, anche Licinio, impadronitosi delle province danubiane e balcaniche, si mostra tollerante verso le Chiese. Al contrario di Costantino e di Licinio, Massimino Daia nelle diocesi d’Oriente continua a perseguitare i cristiani, non sottoscrivendo l’editto di Serdica. Il 1° giugno del 311 Massimino entra in Nicomedia. Nell’autunno del 312 Costantino vince alle porte di Roma (al ponte Milvio o a Saxa Rubra) il rivale Massenzio e diviene unico imperatore – Maximus Augustus, secondo il titolo di cui il Senato lo onora – della parte occidentale dell’Impero. Tra i primi atti da lui compiuti si annovera la damnatio memoriae e la rescissio actorum di Massenzio. Di conseguenza si ristabilisce il precedente regime previsto dalle leggi di Diocleziano. Allora Costantino, verosimilmente, pubblica, nelle nuove province da lui dipendenti, l’editto di tolleranza del 311. Alla fine del 312 Costantino scrive a Massimino perché non seguiti a perseguitare i fedeli di Cristo. Massimino invia un rescritto al prefetto del pretorio Sabino, in cui ordina di porre fine alla politica repressiva, senza null’altro concedere: ragion per cui si ritiene che egli abbia finto di aderire all’invito, per ragioni di convenienza politica. Nel febbraio, o nel marzo, del 313 avviene l’incontro di Milano tra i due Augusti. Licinio sposa Costanza, sorella di Costantino. All’inverno del 312-313, o all’aprile del 313, risale una lettera inviata da Costantino ad Anulino, governatore della provincia d’Africa, in cui gli prescrive di restituire ai cristiani i beni loro confiscati. Il 30 aprile, o il 1° maggio, del 313 ha luogo, a Campus Serenus o a Tzirallum, presso Adrianopoli, lo scontro tra Licinio e Massimino, che è sconfitto: alcuni critici, tuttavia, sostengono che esso è avvenuto prima del gennaio-febbraio 313. Nel maggio del 313 Massimino si rifugia nel Tauro, e, poco prima di morire, emette un editto in favore dei cristiani. Nel giugno del 313 Licinio entra vittorioso a Nicomedia, dove lo raggiunge la notizia che il suo rivale è morto. In tale modo tutta la parte orientale dell’Impero passa sotto il suo dominio. A quel tempo risale la lettera che egli invia al governatore della Bitinia con l’ordine di restituire ai cristiani i beni loro confiscati. Nell’ottobre del 313 Costantino per lettera ordina che il clero cattolico sia esentato dai munera civilia.
15 Cfr. J.R. Knipfing, Das angebliche Mailänder Edikt v. J. 313 im Lichte der neueren Forschung, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, s. 2, 39 (1921), pp. 206-218 nota 1.
16 Circa l’atteggiamento dei riformatori tedeschi su Costantino, cfr. le brevi note di J. Irmscher, L’imperatore Costantino nel giudizio dei Riformatori tedeschi, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, I, Macerata 1992, pp. 487-493.
17 J.R. Knipfing, Das angebliche Mailänder Edikt, cit., afferma che Baronio è stato il primo a parlare di editto di Milano. Da parte nostra, abbiamo consultato l’edizione degli Annales pubblicata a Venezia nel 1787, III, pp. 537 segg., da cui abbiamo desunto ciò che riferiamo. Tale edizione contiene le notazioni critiche di Pagi, delle quali tratteremo più oltre.
18 Ci si è soffermati alquanto sulle figure di Baronio e Tillemont, poiché proprio a loro si attribuisce la costruzione della nozione di editto di Milano.
19 Louis-Sébastien Le Nain de Tillemont, Histoire des empereurs et des autres princes qui ont regné durant les six premiers siècles de l’Église, IV, Venise 1732, pp. 388-390.
20 Il termine ordonnance in francese significa acte, prescription émanée de l’autorité superieur (cfr. Dictionnaire de la langue française, éd. par E. Littré, III, Paris 1873, p. 846) e ce qui a été reglé (cfr. Dictionnaire de l’ancienne langue française et de tous ses dialectes du IXe au XVe siècle, éd. par F. Godefroy, V, Paris 1888, p. 620).
21 Cfr. supra, nota 17.
22 Cfr. PL 7, c. 267.
23 Per i riferimenti alle opere degli autori citati, cfr. J.R. Knipfing, Das angebliche Mailänder Edikt, cit., p. 207 nota 1 e, sempre dello stesso autore, Religious Tolerance during the Early Part of the Reign of Constantine the Great (306-313), in The Catholic Historical Review, n.s., 4 (1925), pp. 483-503, in partic. 495.
24 In quest’opera lo studioso assegna la decadenza dell’Impero romano essenzialmente al peggioramento della razza, conseguenza della morte dei migliori tra gli uomini, per il susseguirsi delle guerre. Nel fare ciò applica le teorie naturalistiche darwiniane all’esegesi storica, che è segnata da un’incomprensione dei mutamenti provocati dal movimento cristiano e dalla sua teologia: cfr. W. Holtzmann, s.v. Otto Seeck, in Enciclopedia Italiana, XXXI, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1936, p. 288.
25 O. Seek, Das sogenannte Edikt von Mailand, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 12 (1891), pp. 381-386.
26 Solo indirettamente (in quanto non siamo riusciti a reperirlo) conosciamo l’articolo di F. Görres, Eine Bestreitung des Edikt von Mailand durch O. Seeck, in Zeitschrift für Wissenschaftliche Theologie, 35 (1892), pp. 282-295, che si dichiara contrario all’opinione di Seeck.
27 Cfr. A. Crivellucci, L’editto di Milano, in Studi storici, 1 (1892), pp. 239-250.
28 A. Crivellucci, Intorno all’editto di Milano, in Studi storici, 4 (1895), pp. 267-273.
29 Cfr. A. Crivellucci, L’editto di Milano, cit., p. 250.
30 Cfr. Lact., mort. pers. 34,5: «[Per aliam] epistolam iudicibus significaturi sumus quid debeant observare» («Tramite un’altra lettera vogliamo far sapere ai magistrati che cosa debbano osservare»).
31 Cfr. Eus., h.e. VIII 17,4.
32 Editto che concede ai cristiani di praticare il culto che loro aggrada, reso pubblico dall’Augusto per paura di Costantino e Licinio, pur fingendo di farlo di sua spontanea volontà.
33 Cfr. Eus., h.e. X 5,4; Lact., mort. pers. 48,2 segg.
34 Cfr. A. Crivellucci, Intorno all’editto di Milano, cit.
35 Cfr. O. Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, 6 voll., 1895-1920, Anhang zum ersten Band, pp. 457 segg.
36 Cfr. H. Grégoire, Deux champs de bataille, in Byzantion, 13 (1938), pp. 585 seg., che chiarisce il motivo della doppia denominazione. Infatti solo Lattanzio (mort. pers. 36) parla di battaglia di Campus Serenus, mentre la maggior parte dei moderni preferisce indicarla come battaglia di Tzirallum. Il luogo è individuato tra Eraclea Perinto e Adrianopoli (oggi Çorlu). Lungo quella strada è nota l’esistenza di due mansiones: la prima a Tzirallum, la seconda a Drupisara. Tra le due scorre il fiume Erginus (Ergene o Erghene). Lattanzio, commettendo un errore, scrive Campus Serenus anziché Campus Ergenus.
37 Cfr. G. Schnyder, L’editto di Milano e i recenti contributi critici che lo riguardano, in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Dissertazioni, s. 2, 8 (1903), pp. 149-179.
38 La rivista pubblica ben dodici articoli che, direttamente o indirettamente, hanno a che fare con l’avvenimento del 313. Qui si considerano solo quelli concernenti il tema che ci interessa.
39 Cfr. E. Galli, L’Editto di Milano del 313, in La Scuola cattolica, 41 (1913), pp. 39-73. Si rinvia alle pp. 39-40 dell’articolo per l’elenco della bibliografia relativa alla questione in esame, che qui sarà citata solo in parte, data la ricchezza di titoli che la distingue e il ripetersi di argomentazioni tra loro analoghe.
40 Cfr. Eus., h.e. IX 9,12.
41 Cfr. A. Giobbio, L’editto di Milano fu un vero editto?, in La Rassegna Nazionale, 193 (1913), pp. 32-48.
42 F. Meda, Costantino e l’editto di Milano, in La Rassegna Nazionale, 189 (1913), pp. 473-488.
43 Cfr. R. Pichon, Liberté de conscience dans l’ancienne Rome. A propos du sezième anniversaire de l’édit de Milan, in Revue des deux mondes, 83 (1913), pp. 314-348.
44 Cfr. V. Sesan, Kirche und Staat in römisch-byzantinischen Reiche, I, Czernowitz 1911, p. 168; J. Wittig, Das Toleranzreskript von Mailand 313, in Konstantin der Große und seine Zeit, hrsg. von F.J. Dölger, Freiburg 1913, pp. 40-63.
45 K. Bihlmeyer, Das angebliche Toleranzedikt Konstantins vom 312, in Theologische Quartalschrift, 96 (1914), pp. 65-100, in partic. 76-77 e 198-224.
46 Cfr. K. Bihlmeyer, Das angebliche Toleranzedikt Konstantins vom 312, cit., pp. 67 segg. e J.R. Knipfing, Das angebliche Mailänder Edikt, cit., p. 209 nota 1.
47 Cfr. F. Martroye, A propos de “L’édit de Milan”, in Bullettin d’ancienne littérature et d’archéologie chrétiennes, 4 (1914), pp. 47-52.
48 Cfr. P. Batiffol, Les étapes de la conversion de Constantin, II, L’édit de Milan, in Bullettin d’ancienne littérature et d’archéologie chrétiennes, 3 (1913), p. 244.
49 In base anche all’analisi giuridica da lui compiuta sia dei testi lattanziani ed eusebiani sia delle fonti numismatiche: cfr. J. Maurice, Numismatique constantinienne, II, Paris 1912, p. LI.
50 Cfr. J. Maurice, Note sur le préambule placé par Eusèbe en tête de l’Édit de Milan, in Bulletin d’ancien littérature et d’archéologie chrétiennes, 4 (1914), pp. 45-47. Dello stesso autore, cfr. anche Critique des texts d’Eusèbe et de Lactance relatives à l’édit de Milan, in Bullettin de la Société Nationale des Antiquaires de France, 4e trimestre 1913, pp. 349 -354.
51 Cfr. H. Hülle, Die Toleranzerlasse, cit., p. 81.
52 Un argomento che lo studioso già in precedenza aveva trattato, seppure brevemente: cfr. J. Maurice, Numismatique contantinienne, cit., III, Paris 1912, pp. XVII-XXVII.
53 Cfr. J.R. Knipfing, Das angebliche Mailänder Edikt, cit., p. 218.
54 Cfr. P. Batiffol, La paix constantinienne et le catholicisme, Paris 1914, pp. 229 segg.
55 Cfr. Eus., h.e. IX 9,12.
56 Cfr. Eus., h.e. IX 9,25.
57 Cfr. P. Batiffol, La paix constantinienne, cit., pp. 234-238. In modo simile, anche J. Maurice, Notes sur le préambule, cit., separa le disposizioni legislative dai commenti che le riguardano e dalle istruzioni ai governatori.
58 Cfr. J.R. Knipfing, Religious Tolerance, cit., pp. 496-498.
59 Cfr. L. Salvatorelli, La politica religiosa e la religiosità di Costantino, in Ricerche religiose, 4 (1928), pp. 289-328.
60 Cfr. Lact., mort. pers. 46,6.
61 Cfr. Eus., v.C. IV 19-20.
62 Cfr. L. Salvatorelli, La politica religiosa di Costantino, cit., p. 312 nota 2.
63 H. Grégoire, La “conversion” de Constantin, in Revue de l’Université de Bruxelles, 36 (1930-1931), pp. 231-272, in partic. 263.
64 Cfr. N.H. Baynes, Constantine the Great and the Christian Church, Raleigh Lecture on History, London 1931.
65 In proposito, cfr. P. Batiffol, La paix constantinienne, cit., pp. 234 segg.
66 Cfr. N.H. Baynes, Constantine the Great, cit., p. 11.
67 Cfr. E. Caspar, Geschichte des Papsttums, Tübingen 1930, p. 581.
68 Il testo degli Acta purgationis Felicis episcopi Autumnitani si trova nell’Appendix all’opera di Ottato di Milevi, ed. C. Ziwsa, Pragae-Vindobonae-Lipsiae 1893, pp.197-204, in partic. 203.
69 Felice, vescovo di Aptungi, in Africa, aveva partecipato alla consacrazione di Ceciliano ed era stato accusato e condannato come traditore da un sinodo donatista nel 312. Visto però che il caso si presentava complicato, Costantino ordinò che sulle accuse mosse contro il vescovo si svolgesse un’inchiesta, che nel 314 si concluse a suo favore. Cfr. P. Monceaux, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne depuis les origines jusque l’invasion arabe, IV, Paris 1901, pp. 17-22, 210-229.
70 Cfr. Lact., mort. pers. 34,4, ove si legge: «promptissimam in his [scil. Christianis] quoque indulgentiam nostram credidimus porrigendam. Ut denuo sint Christiani et conventicula sua componant, ita ut ne quid contra disciplinam agant» (abbiamo deciso di estendere la nostra indulgenza anche a loro [scil. ai cristiani] affinché abbiano diritto di esistere e di ristabilire i luoghi di riunione, purché non facciano nulla contro l’ordine pubblico). Cfr. P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311. Qualche osservazione storica alla luce della terminologia, in Il tardo impero. Aspetti e significati nei suoi riflessi giuridici, X Convegno internazionale in onore di Arnaldo Biscardi (Spello, Perugia, Gubbio 7-10 ottobre 1991), Napoli 1995, pp. 41-53, in partic. 49-53.
71 Cfr. le osservazioni di Grégoire a proposito di Piganiol in Byzantion, 7 (1932), pp. 648-649.
72 Cfr. Eus., h.e. IX 9,2.
73 Cfr. Eus., h.e. IX 10,7-11,1.
74 L’autenticità eusebiana della Vita Constantini, oggi riconosciuta dalla maggior parte dei critici, è stata a lungo discussa. Su questo tema si veda il contributo di D. Dainese, La Vita e le Laudes Constantini in questa stessa opera.
75 Cfr. A. Piganiol, L’empereur Constantin, Paris 1932, pp. 86-91.
76 Nella primavera del 313 l’Augusto d’Occidente dà infatti istruzione al proconsole d’Africa perché sollevi il clero dagli onerosi impegni civili. Con questa agevolazione s’intende evitare quanto più possibile che esso sia sottratto, per errore o per caso, al culto dovuto alla divinità. Al riguardo, cfr. Eus., h.e. X 7,2.
77 Eus., h.e. X 6.
78 Cfr. H. Grégoire, Réponse à M. Palanque, appendice all’articolo di J.-R. Palanque, A propos du prétendu édit de Milan, in Byzantion, 10 (1935), pp. 607-616, in partic. 617.
79 Cfr. M. Adriani, La storicità dell’editto di Milano, in Studi Romani, 2 (1954), pp. 18-32.
80 Cfr. Lactance, De la mort des persecuteurs, cit., pp. 450 seg.
81 Cfr. P. Brezzi, Dalle persecuzioni alla pace di Costantino, Roma 1960, pp. 105-106. Ma già nel 1941, in un articolo dedicato al rapporto tra cristianesimo e Impero romano, l’autore avanzava opinioni analoghe: cfr. P. Brezzi, La politica religiosa di Costantino, in Studi e materiali di storia delle religioni, 17 (1941), pp. 36-71. Cfr. anche, Id., l’opera Fonti e studi di storia della Chiesa, I, Milano 1962, pp. 732 segg.
82 In questi ultimi decenni, per quanto abbiamo avuto modo di vedere, l’attenzione non è stata più fissata sulla storicità dell’atto, ma piuttosto sulla sostanza, sul valore ideale dei testi di Eusebio e di Lattanzio: cfr. M. Agnes, Alcune considerazione sul cosiddetto “editto’ di Milano, in Studi romani, 13 (1965), pp. 424-432; sul significato che l’atto ha avuto in rapporto a provvedimenti precedenti, in particolare l’editto di Gallieno, nonché quello di Galerio, cfr. Ch. Delvoye, Encore sur l’édit de Milan, in Studi in memoria di Giuseppe Bovini, Ravenna 1989, I, pp. 195-201. Altri contributi, tra i più recenti e tutti in lingua inglese, riguardano solo indirettamente il nostro tema, in quanto prendono in esame la cerchia costantiniana e i caratteri religiosi che la distinguono: cfr. Th.G. Elliott, Constantine’s Early Religious Development, in Journal of Religious History, 15 (1989), pp. 283-291; per i condizionamenti a cui l’imperatore non si sottrae, cfr. Th.G. Elliott, The Language of Constantine’s Propaganda [310-324], in Transactions and Proceedings of the American Philological Association, 120 (1999), pp. 349-353; per lo scopo cui mira la sua politica religiosa, cfr. H.A. Drakse, Constantine and Consensus, in Church History, 64 (1995), pp. 1-15; Ch.M. Odahl, God and Constantine’s Sanction for Imperial Rule in the First Christian Emperor’s Early Letters and Art, in Church History Rewiew, 81 (1995), pp. 327-352; per l’autenticità di scritti eusebiani che forniscono tratti della figura costantiniana, importanti per comprendere meglio o per giustificare i comportamenti imperiali fin dal 312-313, cfr. M. Edwards, The Constantine’s Circle and the ‘Oration to the saints’, in Apologetics in the Roman Empire: Pagans, Jews and Christians, ed. by M. Edwards, M. Goodman, S. Price et al., Oxford-New York 1999, pp. 251-275 (a favore della paternità costantiniana dell’orazione, che sarebbe stata forse pronunciata a Roma intorno al 314); M. Edwards, Note on the Date and Venue of the ‘Oration on the saints’, in Byzantion, 77 (2007), pp. 149-169 (contrario all’ipotesi che sia stata tenuta a Roma, e non nel 314, ma intorno al 324); per le conseguenze che l’intesa di Milano ha recato, cfr. J. Rist, Die Mailänder Vereinbarung von 313: Staatreligion versus Religionsfreiheit, in Studia Patristica, 34 (2001), pp. 217-223. Uno status quaestionis e una discussione sull’Oratio ad Sanctorum coetum si trova in U. Pizzani, Costantino e l’Oratio ad Sanctorum coetum, in Costantino il Grande, cit., pp. 791-822.
83 Cfr., di recente, l’Atlante Storico Treccani. Dall’Antichità al Medioevo, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2007, p. 101.
84 Cfr., ad esempio, S. Pricoco, Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del Cristianesimo, I, L’antichità, a cura di G. Filoramo, D. Menozzi, Roma-Bari 1997, pp. 273-442, in partic. 284.
85 Cfr. J. Gaudemet, La politique religieuse impériale au IVe siècle, in Legislazione imperiale e religione nel IV secolo, a cura di J. Gaudemet, P. Siniscalco, G.L. Falchi, Roma 2000, pp. 7-66, in partic. 9.
86 Cfr. H. Nesselhauf, Das Toleranzedikt des Licinius, in Historische Zeitschrift, 78 (1955), pp. 44-61.
87 Cfr. S. Calderone, Da Costantino a Teodosio, in Nuove questioni di storia antica, a cura di G. Gianelli, Milano 1972, pp. 615-684, in partic. 629-631 e passim; ma anche S. Calderone, Costantino e il cattolicesimo, Firenze 1962.
88 Cfr. T. Christensen, The So-Called Edict of Milan, cit.
89 Cfr. Eus., h.e. V 2-14.
90 Cfr. Lactance, De la mort des persécuteurs, cit.
91 Cfr. J. Moreau, Les Litterae Licinii, in Annales Universitatis Saraviensis, 2 (1953), pp. 100-115, in partic. 100. L’articolo è stato ripubblicato in Id., Scripta minora, Heidelberg 1964, pp. 99-105.
92 Cfr. H.-I. Marrou, De la connaisance historique, Paris 1959, p. 68.
93 Si pensi al sogno e alla preghiera di timbro monoteistico, di cui parla Lattanzio nel De mortibus persecutorum a proposito della battaglia di Tzirallum, che vale a Licinio la vittoria in Tracia. Gli studiosi, che ritengono veritieri questi segni, pongono in rilievo la buona disposizione di Licinio verso i cristiani. Si pensi ai messaggi soprannaturali ricevuti da Costantino prima della battaglia di ponte Milvio, nell’ottobre del 313. Si pensi a un altro punto discusso e qui appena toccato (esso pure in certo modo collegato al tema dell’editto e alla sua attribuzione a Costantino): la conversione dell’imperatore, per taluni risalente a prima del 313, per altri ad anni successivi a questa data. E di nuovo sarebbe abbondante la bibliografia da citare.
94 Cfr. H. Grégoire, Réponse à M. Palanque, cit., p. 617.
95 Cfr. P. Siniscalco, Gli imperatori romani e il cristianesimo nel IV secolo, in Legislazione imperiale e religione nel IV secolo, cit., pp. 67-120, in partic. 87-93; Id., Qualche notazione su San Costantino, in Poteri religiosi e istituzioni: il culto di Costantino imperatore tra Oriente e Occidente, a cura di F. Sini, P.P. Onida, Torino 2003, pp. 289-296.
96 C.G. Pitsakis, L’idéologie impériale et le culte de saint Constantin dans l’Église d’Orient, in Poteri religiosi e istituzioni, cit., pp. 253-287, in partic. 271.
97 Il volume sopra citato, con i molti contributi in esso raccolti, lo dimostra a sufficienza.