L’enciclopedismo scientifico
Il «Giornale d’Italia» e il Dizionario delle arti e de’ mestieri di Francesco Griselini
Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, recita il sottotitolo dell’Encyclopédie; nel Discours préliminaire Denis Diderot (1713-1784) elogia gli inventori delle arti meccaniche, sinora ingiustamente negletti dalla pubblica opinione, denuncia l’infinità del mondo dell’erudizione e dei fatti e la piccola estensione di quello della ragione e delle scoperte; l’Encyclopédie vuol essere in primo luogo un dizionario delle tecniche e del lavoro umano e come tale viene recepita dalla parte più ampia e socialmente diffusa del variegato mondo dei lumi italiani.
Il dibattito sui grandi temi filosofico-politico-religiosi sollevati dagli illuministi passa sotto traccia, per i ben noti problemi di censura, nelle pagine dell’Encyclopédie. In Italia il pensiero dei philosophes circola direttamente tramite le loro opere, largamente diffuse nonostante le proibizioni ecclesiastiche e politiche.
Dalla Cyclopaedia di Ephraim Chambers (1680 ca.-1740), tradotta nel 1748-1749, che offrì a Diderot l’idea della sua opera, dal Nuovo dizionario scientifico e curioso sacro-profano (10 voll., 1746-1751) di Gianfrancesco Pivati (1689-1764), dall’Encyclopédie méthodique di Charles-Joseph Panckoucke (1736-1798) e dall’Encyclopédie di Diderot e Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783), i filosofi italiani (così si autodenominavano i seguaci italiani dei lumi d’oltralpe) attingono soprattutto preziose notizie sulle arti, i mestieri, le tecnologie, tutto quello che contribuisce al ‘progresso’ delle attività economico-lavorative degli uomini. «Tutto quello che nelle scienze non giova all’uomo è perdimento di tempo […] E certo se noi studiassimo un poco più la storia naturale, e meno arzigogoli metafisici, forse l’Italia sarebbe meno infelice […]»: questo scrive il 25 giugno 1765 Antonio Genovesi a Francesco Griselini, che da qualche mese pubblicava il «Giornale d’Italia spettante alla scienza naturale e principalmente all’agricoltura, alle arti e al commercio». L’appello viene accolto e con il «Giornale d’Italia» e il fratello Dizionario delle arti e de’ mestieri Griselini si fa artefice della concreta diffusione in Italia di un enciclopedismo scientifico tecnico-pratico, meno noto forse di quello filosofico-politico di Pietro e Alessandro Verri, di Cesare Beccaria e del «Caffè», ma non meno efficace e ‘utile’ per quel ‘progresso’ della società italiana che è al centro delle aspirazioni, e fors’anche delle delusioni, dei ‘filosofi’ italiani.
Uomo ‘enciclopedico’ nel senso più limpido e completo del termine, Griselini (1717-1787) vive pienamente le aspirazioni e le delusioni di un riformismo veneto tanto ricco di progetti e conoscenze quanto povero di concrete ‘riforme’ sul piano politico, economico e sociale. Figlio di un tessitore e tintore di seta, fu autodidatta per le lettere e le belle arti, «dilettante in geometria ed in architettura militare» (così si firma nel 1746), abile disegnatore e restauratore di mappe antiche, lettore avido dei philosophes francesi, inglesi, italiani e soprattutto di tutte le scienze e novità scientifico-tecniche: chimica, botanica, geologia, fisica, medicina, agricoltura, industria, commercio. Conformemente al gusto enciclopedico della società dei lumi, spazia nei suoi interessi e nelle sue opere nei campi più diversi dello spirito umano: scrive commedie, tra cui I liberi muratori (1754), esplicita testimonianza della sua adesione alla massoneria, le Memorie anedote (1760) sulla vita e le opere di Paolo Sarpi, di cui ripropone un profilo in chiave giurisdizionalistica e di moderno respiro riformatore e illuminista, si interessa soprattutto di agricoltura.
«L’agricoltura è finalmente venuta di moda, come volea ragione» esclama nel 1769 Alberto Fortis (1741-1803), scienziato, viaggiatore, naturalista, uomo di punta dei lumi veneti; moda certamente, ma anche genuino e appassionato slancio di tanti giornalisti, tecnici, proprietari illuminati, riuniti nelle accademie agrarie promosse in quegli anni dall’imprenditore friulano Antonio Zanon (1696-1770) e incentivate, con inusuale fervore riformistico, dalla Repubblica di Venezia. All’agricoltura, ai suoi molteplici problemi e al suo auspicato sviluppo Griselini dedica molti studi e ricerche: scrive trattatelli sulla coltivazione delle patate e del frumento, sui parassiti degli alberi, la coltura dei gelsi e delle querce, la semina e le virtù del cavolo rapa, l’olio estratto dal ravizzone. Pubblica, a partire dal 1769, gli opuscoli de Il gentiluomo coltivatore, ispirati da analoghi periodici francesi e inglesi, sostiene il prolungamento delle affittanze agrarie, la libera circolazione dei grani, la recinzione dei terreni, l’abolizione del pensionatico, l’istruzione agraria dei contadini tramite i parroci, l’ammodernamento delle vie di comunicazione nelle campagne. Dopo il viaggio nel banato di Temesvar, dove con enciclopedica sensibilità raccoglie notizie archeologiche, storiche, minerarie, botaniche, e l’infelice esperienza della Società patriottica di Milano, torna a temi economici con una serie di scritti sull’industria della seta, che già tanto spazio aveva avuto nel «Giornale d’Italia» e nel Dizionario.
Non è un isolato Griselini nel panorama della cultura dei lumi in terra veneta; intorno a lui scrivono e operano ‘filosofi’ attenti alle scienze, alle tecniche, alle arti, al lavoro nell’agricoltura, nel commercio, nelle manifatture: Giovanni Arduino (1714-1795), agronomo di spicco, ma anche geologo, tecnico minerario e scopritore di cave di allume e di caolino; il fratello Pietro (1728-1805), botanico di fama e agronomo; Antonio Maria Lorgna (1735-1796), matematico, astronomo, ingegnere, meteorologo, idraulico; Giuseppe Toaldo (1719-1797), astronomo e pioniere delle osservazioni meteorologiche scientifiche; Marco Carburi (1731-1808), chimico, ma anche tecnico militare e minerario (sua una nuova tecnica di fusione della ghisa); Vincenzo Dandolo (1758-1819), farmacista, diffusore in Italia della ‘nuova chimica’ di Antoine-Laurent Lavoisier, imprenditore e promotore di innovazioni agrarie; Giovan Francesco Scotton (1737-dopo il 1783), che ristampa nel 1772 il Ricordo d’agricoltura (1567) di Camillo Tarello e in un’appassionata Memoria (1768) sulle leggi agrarie e nei Semi per una buona agricoltura pratica (1766) disegna un innovativo progetto di trasformazione delle campagne (rotazioni, affittanze, catasti, unificazione di pesi e misure, tutela dei boschi, allevamento, educazione dei contadini); Girolamo Festari (1738-1801), medico, naturalista, promotore dello studio e valorizzazione delle acque minerali di Recoaro; e tanti altri orittologi minori che, in varie parti della Repubblica, avviano esplorazioni e ricerche naturalistiche, geologiche, botaniche, minerarie.
Accanto a Zanon e Arduino, vanno ricordati gli altri protagonisti del moto riformatore nelle campagne: Pietro Caronelli, Gottardo Canciani, Prospero Antonini, Fabio Asquini, Antonio Carrera, Giulio Bajamonti, Domenico Stratico, Pietro Nutrizio Crisogono, Rados Michieli Vitturi, i quali producono una vasta pubblicistica agraria (rapporti proprietari, tecniche di coltivazione, innovazioni) parte inedita, parte ospitata sul «Giornale d’Italia» che, per l’appunto, nota Franco Venturi (1990), diventa «una sorta d’enciclopedia del mondo rurale» (p. 123).
L’inizio della pubblicazione, nel 1748, della traduzione, in 14 volumi, delle Memorie appartenenti alla storia naturale della Reale Accademia delle scienze di Parigi testimonia l’interesse di Griselini per le scoperte scientifiche del secolo, che «renderanno nell’avvenire famosa l’età nostra al pari di quante mai furono per l’addietro per tal ragione cospicue e memorabili»: lui stesso scrive su esperimenti sull’elettricità. Griselini, inoltre, è attento studioso delle attività economiche europee e, in particolare, di Venezia: proposte e tentativi di innovazione, come la fallita riforma delle corporazioni, e problemi tecnico-organizzativi delle industrie della lana e della seta, particolarmente fiorenti nel Veneto e delle quali ha particolare esperienza, lo vedono osservatore attento e competente.
Nel fervore delle sue molteplici iniziative culturali spiccano i periodici fondati e diretti con l’esplicito fine di diffondere a Venezia e in Italia gli scritti e i pensieri dei philosophes e dell’Encyclopédie: «Il Corrier letterario» (1765), il «Giornale della generale letteratura d’Europa» (1766-1767), il «Magazzino italiano» (1767-1768), esplicita imitazione dell’analogo periodico inglese.
Il 7 luglio 1764 esce, editore Benedetto Milocco, il primo numero del «Giornale d’Italia», posto sotto la protezione dei Cinque savi alla mercanzia, la magistratura veneta che sorveglia l’industria e il commercio: l’opera, annuncia orgoglioso Griselini, è «nata e cresciuta nel tempo della più bella luce di questo secolo filosofico». Ed è «il libro migliore ed il più nobile che quest’anno sia comparso in Italia».
La prima serie, dal 1764 al 1776, è diretta dallo stesso Griselini e da Scotton; la seconda, con il titolo di «Nuovo giornale d’Italia» (1776-1784), da Fortis e Alvise Milocco; la terza (1789-1797) da Arduino. Filippo Re (1763-1817), grande agronomo di quegli anni e autore di un Dizionario ragionato d’agricoltura, veterinaria e di altri rami d’economia campestre, ad uso degli amatori delle cose agrarie e della gioventù (4 voll., 1808-1809), definisce il «Giornale d’Italia» senz’altro «l’unica veramente ampia, buona ed istruttiva collezione periodica che abbiamo in Italia» (2° vol., p. 21). Ospita articoli originali ed estratti di tecnici, agronomi, scienziati di tutta Europa e nel contempo si propone come una sorta di tribuna ufficiale dei più colti esponenti delle accademie agrarie venete; per la struttura, le finalità del promotore e dei successivi editori, le modalità di ricezione dei lettori, il «Giornale d’Italia» è una sorta di enciclopedia delle scienze agrarie, dell’industria e del commercio.
Ancora più esplicito, nell’impianto e nello stesso titolo, il fine di diffusione enciclopedica delle conoscenze tecnico-pratiche del Dizionario delle arti e de’ mestieri, avviato da Griselini a Venezia nel 1768, presso Modesto Fenzo, e poi continuato dall’abate Marco Fassadoni: è una silloge di «quanto di migliore da uomini celebri e pieni di patriottismo è stato pubblicato in differenti luoghi e in differenti tempi»; ancora una volta l’attenzione è centrata sull’agricoltura, «madre delle arti», di cui si vuol favorire i progressi, sotto la guida di principi riformatori e con la volonterosa e concorde collaborazione di sudditi colti e illuminati; il mancato decollo di un dispotismo illuminato a Venezia giustifica la delusione di Griselini, non coinvolto in attività riformatrici della Repubblica, il suo successivo abbandono della Repubblica e l’approdo nell’area del riformismo asburgico. In ogni caso, alcune misure di cauta innovazione nelle campagne venete (aumento del bestiame, riduzione della manomorta, bonifica delle valli veronesi, potenziamento delle accademie agrarie) trovano nelle colonne del «Giornale d’Italia» e del Dizionario attenzione, incoraggiamento, preziosa fonte informativa sulle novità straniere.
Enciclopedismo ed edizione italiana dell’Encyclopédie méthodique
Gran parte del successo arriso alla grande Encyclopédie, concepita da Diderot e d’Alembert nel 1747 e portata a termine nel 1772, va attribuito alle tematiche di carattere tecnico e scientifico, capaci di suscitare interesse e curiosità presso un pubblico erudito scelto e attento. Le splendide e dettagliatissime planches, raccolte nell’edizione originale in undici volumi, contribuirono a rendere evidenti l’utilità e il fascino della tecnologia e dell’ormai vasto mondo delle conoscenze scientifiche. Era forse questo il vero aspetto rivoluzionario e dirompente della famosissima opera, destinato ad agire in profondità e in modo duraturo nella cultura europea.
Com’è noto, anche in Italia una delle prime conseguenze della fortuna dell’Encyclopédie furono le edizioni apparse senza l’autorizzazione e l’intervento del loro principale artefice, a Lucca e a Livorno, portate a termine entrambe nella seconda metà degli anni Settanta. Ma non va dimenticato che, già alla fine degli anni Quaranta, era stata pubblicata la traduzione italiana del prototipo ed esempio ispiratore dello stesso progetto di Diderot: la Cyclopaedia di Chambers apparsa a Londra nel 1728 e pubblicata a Venezia in nove volumi come Dizionario universale delle arti e delle scienze per i tipi di Giovan Battista Pasquali. Questo lavoro seguiva a ruota il Nuovo dizionario scientifico di Pivati, edito a partire dal 1746 e completato nel 1751.
Nel frattempo, proprio a Venezia nel 1750 veniva data per la prima volta notizia in Italia del Prospectus, ovvero del piano complessivo dell’opera diffuso da Diderot. Non può dunque stupire che giusto nell’ambiente veneto, molto attento alle novità editoriali, acceso di rinnovato fervore editoriale, particolarmente ricco di gazzette e di periodici, maturassero numerosi tentativi e progetti di ristampa o di traduzione dell’Encyclopédie, fino allo strano caso dello Spirito dell’Enciclopedia dell’illuminista e massone Matteo Dandolo (1741-1812), compendio di cui si conoscono in buona parte la struttura e le finalità, ma di cui non è rimasta alcuna traccia nelle biblioteche.
Ben diverso destino ebbe, invece, il riuscito tentativo di ristampare a Padova il vero e proprio best-seller dell’enciclopedismo sette-ottocentesco, quella Encyclopédie méthodique che iniziò a vedere la luce a Parigi nel 1782 e che venne portata a termine solo cinquant’anni più tardi; raggiungerà la ragguardevole mole di ben 166 volumi e mezzo di testo, più 6439 tavole divise in 51 parti, complessivamente 210 o 286 volumi a seconda dei diversi computi proposti dagli specialisti. Il suo ideatore, il poligrafo e libraio nativo di Lille Panckoucke, aveva ottenuto nel 1780 un privilegio reale per stampare un’opera che, diversamente da quella di Diderot, era organizzata per soggetto, ovvero per monografie tematiche in uno o più volumi, per es. i sei di chimica o gli otto sulle arti e i mestieri. Programmaticamente la nuova enciclopedia voleva essere più aggiornata e completa di quella di Diderot, nonché di più facile consultazione grazie alla sua struttura e a una perfetta corrispondenza tra testo e illustrazioni. Sarà questa di Panckoucke la vera opera di riferimento dei rivoluzionari, delle assemblee costituzionali e dei ceti dirigenti dell’età napoleonica e anche oltre, alla quale contribuirono intellettuali e politici di primo piano come Joseph Jérôme de Lalande, Jean-Marie Roland de la Platière, Henri-Louis Duhamel de Monceau. La sua fama si diffuse molto presto presso gli intellettuali europei, specie in Spagna e in Italia, ma si parlò anche della volontà del sultano di trarne una traduzione in turco, operazione della quale non rimane peraltro alcuna traccia.
Rispetto alla Encyclopédie di Diderot, uno dei vantaggi dell’enciclopedia di Panckoucke per la sua diffusione, che non trovò quasi alcun ostacolo nella censura dei vari governi e che venne piuttosto penalizzata dal costo elevato, fu il minore oltranzismo in materia religiosa grazie, soprattutto, all’inserimento di tre tomi sulla Théologie usciti tra il 1788 e il 1790 e curati da Nicolas-Sylvestre Bergier (1718-1790), canonico di Notre-Dame, schierato su posizioni perfettamente ortodosse. Ciò rendeva senza dubbio compatibile il messaggio complessivo, che per altri singoli temi suonava come marcatamente razionalista o addirittura meccanicista, con ambienti che per loro natura non potevano accettare eccessi di estremismo in materia di fede.
Era questo senz’altro il caso del Seminario di Padova e del suo rettore, padre Giovanni Coi, che dirigeva anche l’annessa stamperia, vera e propria impresa editoriale che mirava al profitto almeno tanto quanto alla valenza culturale e didattica di un’opera che ambiva quasi a costituirsi come un’intera biblioteca del sapere. Fu così che, nel marzo del 1783, venne annunciata la ristampa dell’Encyclopédie méthodique, poco dopo la pubblicazione dei primi due volumi o, meglio, parti parigine che uscirono tra il novembre 1782 e il gennaio 1783, e prima ancora di conoscere i contenuti della terza (aprile 1783). Il primo volume dell’edizione padovana fu stampato invece nel 1784, versione riveduta e corretta della parte prima del tema Histoire, uscita a Parigi nello stesso anno e «arricchita con note», fra cui un Discours sur l’autorité des historiens contemporains di Girolamo Tiraboschi (1731-1794), bibliotecario del duca di Modena Francesco III d’Este.
Coi era nato nel 1733 a Villanova di Camposampiero, a pochi chilometri da Padova, in una famiglia di commercianti e possidenti. Già segretario dell’Accademia di agricoltura patavina, si era interessato in particolare alla regolazione delle acque (Ragionamento intorno ai fiumi del Veronese, del Polesine e del Padovano, 1777). Aveva assunto una posizione palesemente di stampo pratico-empirico, innervata sulla tradizione galileiana, quest’ultima di recente rinnovata da Giuseppe Toaldo (1719-1797), curatore nel 1744 di un’edizione dell’opera di Galileo Galilei, ideatore della Specola, ovvero osservatorio astronomico, e traduttore dei lavori di astronomia proprio di Joseph-Jérôme Le Français de Lalande (1732-1807), autorevole esponente della massoneria francese nonché autore della voce Franc-maçons del supplemento all’Encyclopédie. E all’ambiente massonico moderato e ‘illuminato’ veneziano era certamente legato Coi, che aveva dedicato al rettore di Padova, Andrea Memmo, il suo Ragionamento e che era stato chiamato a dirigere il seminario dal vescovo Nicolò Antonio Giustinian, molto impegnato assieme a Memmo nella ‘pubblica felicità’ e il cui fratello era protettore di Dandolo.
L’obiettivo di promuovere una ristampa in francese della Encyclopédie métodique era, per la sua stessa tempistica, quasi indipendente dal contenuto effettivo che avrebbe assunto la raccolta enciclopedica. Per Coi si trattava, da un lato, di battere sul tempo la concorrenza nel tentativo di percorrere con maggiore successo la strada aperta della grande Encyclopédie, dall’altro, di proporre la stamperia del Seminario come azienda culturale leader nella diffusione della cultura francese nell’ambito dell’intera penisola italiana. In entrambe queste direzioni, Coi dovette combattere una dura battaglia legale volta a impedire una traduzione italiana della stessa Encyclopédie méthodique, fortemente voluta dall’editore veneziano Vincenzo Formaleoni. Grazie all’intervento ufficiale di Marcantonio Manfrè, priore dell’Arte degli stampatori, e soprattutto ai buoni uffici dei nobili fratelli Giustinian, ben introdotti negli organismi governativi, i Riformatori allo Studio di Padova, ossia i censori, bloccarono nel febbraio 1783 l’iniziativa di Formaleoni, spianando la strada al successo editoriale dell’opera promossa da Coi.
Quest’ultima si compose alla fine di 237 parti (112 volumi di testo e 38 di tavole) e impegnò per lungo tempo, fino al 1817, la stamperia del seminario, ben oltre la caduta dell’ancien régime veneziano. Il prezzo al pubblico dei volumi, inferiore di circa il 30% rispetto all’edizione francese, consentì che l’opera fosse alla portata di un pubblico un poco più ampio; l’adattamento di alcune, poche voci alla realtà e alle cose italiane, con l’intervento di alcuni collaboratori come Tiraboschi e Toaldo, la rese più appetibile ai lettori nostrani; infine, i tagli e le ‘rimozioni’ operati sull’edizione originale, «purgata in molti riguardi per renderla accetta e sicura», come scrisse lo stesso Coi in una lettera a Saverio Bettinelli (cit. in Del Negro, in «Studi settecenteschi», 1996, 16, p. 312), la resero meno indigesta per gli ambienti e le autorità ecclesiastiche italiane. In particolare, venne completamente evitata la pubblicazione della parte in tre volumi sulla Philosophie, che era stata curata dall’ateo e materialista Jacques-André Naigeon, sodale di Paul Heinrich Dietrich, barone di Holbach.
Robert Darnton (1979) ha messo da tempo in luce come, rispetto alla Encyclopédie di Diderot, la molto meno celebrata Méthodique di Panckoucke contenga elementi di originalità e addirittura di superiorità, fatto salvo naturalmente l’impatto ben più dirompente della prima sul piano socioculturale, visti i tempi e il contesto in cui maturarono le due pubblicazioni. L’Encyclopédie méthodique non era, infatti, solo molto più estesa e analitica, ma la sua stessa struttura tematica e alfabetica la rendeva più coerente, consultabile e adatta anche a uno scopo formativo vero e proprio. In questo senso, è sostanziale il fatto che i contributi alla diverse voci fossero alla fine quasi esclusivamente affidati a specialisti, in particolare uomini di scienza e professionisti, riducendo rispetto alla prima Encyclopédie il tasso ideologico ed esaltando, per converso, il valore tecnico e scientifico dell’opera.
Ha scritto di recente Ugo Baldini (in “Un affare di dinaro, di diligenza, di scienza”, 2005): «nonostante l’intento divulgativo, molti suoi articoli furono testi d’avanguardia, che hanno un ruolo centrale nella produzione dei loro autori, e nella scienza dell’epoca» (p. 41), e tra gli altri nomi, oltre a quelli già citati, vi sono, per es., Jean-Baptiste Lamarck, Lavoisier, Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet. I suoi contenuti, dunque, furono poi tanto più soggetti a obsolescenza quanto legati a un sapere specialistico che preludeva al clima del positivismo, attenti alla dimensione epistemologica e analitica delle scienze esatte, senza attardarsi in polemiche contro l’oscurantismo dominante.
L’edizione patavina di Coi ricalcò in gran parte l’impostazione e i contenuti dell’originale di Parigi, fatte salve la mancata pubblicazione dei quattro volumi di Physique, per ragioni non chiare e, come si è detto, della voluta cassazione degli imbarazzanti volumi di Philosophie. Per il resto, tagli e mende sembrano confermare un carattere di prudenza e di moderazione sotto il profilo ideologico che possiamo considerare ovvi per un’operazione editoriale promossa da un seminario vescovile. Il problema basilare restò quello di non urtare troppo la sensibilità religiosa in materia di validità dei testi sacri in relazione alla realtà scientifica, per es. sulla teoria eliocentrica o sulla possibile evoluzione delle specie viventi. Si trattava allora (e in parte si tratta ancor oggi!) di temi ‘caldi’ che sarebbe quasi anacronistico pensare potessero essere trattati in tutte le loro logiche implicazioni nell’ambiente veneto e italiano del tardo Settecento. L’impulso culturale impresso nei confronti di una mentalità aperta all’innovazione tecnico-scientifica da un lavoro di tale impegno, dimensioni e fortuna fu certamente superiore ai suoi stessi limiti sul fronte di un’ortodossa militanza razionalista.
Lumi e innovazione tecnica in agricoltura e industria
Fin dall’inizio dell’età moderna, l’attenzione degli operatori e delle magistrature economiche dei vari Stati europei non era direttamente rivolta all’innovazione tecnica perché fasi di lavorazione e dotazione tecnologica erano organizzate in funzione dei flussi commerciali, con riferimento a generi merceologici già noti e presenti sui mercati internazionali che si potevano in alcuni casi sostituire con prodotti nazionali per raggiungere l’autosufficienza o per limitare il flusso delle importazioni, secondo i dettami della dottrina mercantilista. Vi erano stati evidentissimi esempi di questo tipo, tanto nel settore primario (l’introduzione della gelsibachicoltura e del mais), quanto nel secondario (dai vari tipi di seterie, come i famosi lustrini di Lione, alle tele ‘indiane’). L’assioma era accompagnato dal corollario che non ci fosse produzione che non si potesse riprodurre o imitare. Così, l’apporto delle macchine e le conoscenze codificate erano considerati essenziali solo per battere la concorrenza oppure per adeguarsi a comuni standard qualitativi, ben di rado per incrementare la produttività del lavoro. Il risultato era che in alcuni casi la volontà di fare prescindeva dall’analisi dei mezzi e delle possibilità concrete, con effetti a volte paradossali quando si scopriva che insuperabili limiti naturali, sociali o organizzativi impedivano, per es., di imitare con successo le famose ‘londrine’ di lana spagnola della Languedoc distribuite dai marsigliesi o di coltivare la canna da zucchero lungo l’Adriatico. Accanto a qualche cocente delusione, i casi di lampante successo, come la diffusione a livello prima italiano poi europeo dei torcitoi circolari da seta con diversi adattamenti, dimostrano la congruità di una disposizione culturale già ben attenta al risultato pratico dell’agire economico.
Questo, almeno fino all’arrivo dei lumi e dell’enciclopedismo, che sciorinarono apertamente davanti agli occhi increduli dei ceti dirigenti ogni segreto di arti, mestieri, manifatture, coltivazioni, professioni. Sin dal Cinquecento non erano certo mancate le opere riguardanti il sapere codificato legato a singoli campi del fare concreto: si pensi ai manuali di artiglieria/ balistica o ai trattati di architettura o di medicina. Scritti quasi sempre in latino, quasi sempre assolvevano più una funzione di esercizio erudito che quella di manuale tecnico. Nessuno si sarebbe sognato di costruire una fortezza, un ponte o un palazzo oppure di avviare la produzione del vetro o l’impianto del gelso senza l’apporto personale, diretto e sostanziale della o delle persone che ne possedevano i segreti, vale a dire quel sapere contestuale che all’epoca era largamente prevalente su ogni forma di codificazione scritta. Fu proprio l’enciclopedismo ad avviare un mutamento culturale che vedeva prima di tutto nella conoscenza dello ‘stato dell’arte’ il punto di partenza necessario per un miglioramento in tutti i campi dell’agire umano.
Per quanto riguarda l’agricoltura, che rimaneva ovunque il settore produttivo di gran lunga più importante e articolato, la cultura illuminista fornì un potente stimolo per la creazione di accademie che si proponevano di affrontare i problemi di una ‘economia campereccia’, ovvero di un settore primario che in molte aree italiane si presentava assai arretrato. Quella fiorentina dei Georgofili, che contende a Dublino il primato di prima accademia agraria d’Europa, nacque come sodalizio privato nel 1753 per iniziativa del canonico riformatore Ubaldo Montelatici, al secolo Antonio (1692-1770), della quale fu segretario fino al 1767. Nei primi anni, l’Accademia non riscosse grande consenso benché tra i suoi adepti vi fossero alcune personalità di spicco, come Giovanni Targioni Tozzetti, a causa dei pregiudizi sociali che circondavano il lavoro agricolo e della diffidenza che inizialmente aleggiò sull’iniziativa. Soltanto dopo che Pietro Leopoldo assurse al soglio granducale (1765) l’Accademia divenne quasi un organo di Stato, attestata su posizioni liberoscambiste legate agli interessi della grande proprietà. Pressoché nulli furono, tuttavia, i risultati pratici raggiunti, sia sul reale assetto colturale, sia come esempio associativo. Tra i meriti accumulati dai Georgofili vi è però anche l’irrealizzato progetto di un dizionario di agricoltura, idea che sarà ripresa da Marco Lastri (Biblioteca georgica, 1787) e poi sviluppata dal figlio di Targioni Tozzetti, Ottaviano (1755-1826), che nel 1809 pubblicò il Dizionario botanico italiano.
Progetti per altre accademie di agricoltura vennero avanzati in Toscana, nello Stato pontificio, nel ducato di Parma per iniziativa di Guillaume-Léon du Tillot, nella Cagliari sabauda, nel ducato di Milano e, infine, nel Regno borbonico. Molte di queste iniziative non vennero mai portate a buon fine; alcune, come nel caso della Reale Società agraria di Torino (1785) e della Società patriottica di Milano (1776) restarono legate a doppio filo ai rispettivi governi; altre, specie in Sicilia e in Calabria, ebbero vita assai stentata, mentre in Abruzzo e nelle Marche pontificie il movimento agronomico si sviluppò in modo abbastanza autonomo e organico.
Memorie, prolusioni, relazioni, concorsi di idee andarono ad alimentare l’intenso lavorio delle quarantadue accademie italiane finora certamente censite, all’interno delle quali si esercitarono non pochi dei migliori ingegni dell’epoca dei lumi: Pietro Verri, Griselini, Giuseppe Maria Galanti, i fratelli Delfico. Che poi, allo stato delle nostre conoscenze, già a inizio Ottocento «di quel gran parlare di agricoltura del secondo Settecento pare non rimanga traccia» (Simonetto 2009, parte seconda, p. 66) non può stupire: troppo era mutato nel contesto istituzionale, culturale e ideale perché nell’Italia del Risorgimento venissero ripresi temi e questioni irrimediabilmente legati al contesto dell’antico regime riformatore e ad assetti secolari non ancora scossi dal vento della grande rivoluzione.
Quasi la metà delle accademie agrarie italiane si trovava nella Repubblica di Venezia, dove negli anni Sessanta vennero gettate le premesse per quell’amplissimo dibattito e quella enorme circolazione di scritti che riuscì a stupire l’agronomo Filippo Re agli inizi del secolo successivo. Se il punto di riferimento editoriale fu il «Giornale d’Italia», provvedimenti come l’attivazione (1765) della prima cattedra di agricoltura dell’Università di Padova, le leggi limitative della transumanza, l’istituzione dei deputati e poi del sovrintendente generale all’agricoltura Giovanni Arduino, rendono conto di un’attenzione davvero eccezionale per le problematiche del settore primario.
La prima accademia veneta venne creata a Udine nel 1762 per iniziativa del conte di Fagagna Fabio Asquini e di Antonio Zanon; il movimento divenne però generale a partire dal dicembre 1768, quando il Senato emanò un pressante invito rivolto a tutti i circoli culturali dello Stato a trasformarsi in accademie di agricoltura. Ben presto le più attive delle 19 accademie realmente costituite, da Conegliano a Vicenza, da Brescia a Traù in Dalmazia, diedero vita a un dibattito e a una notevole produzione scritta che realizzarono ben pochi risultati concreti, ma che arrivarono a toccare temi assai moderni come la preservazione del territorio o lo stato di miseria di larga parte delle masse contadine. Accanto ai molti dilettanti, figure come quelle del friulano Zanon, dei vicentini Scotton e Giovanni Scola, del veronese Pietro Arduino, ben attente alla realtà socioculturale d’oltralpe, offrirono analisi originali e possibili soluzioni ai tanti problemi strutturali dell’agricoltura veneta. Se ciò non diede certamente l’abbrivio a una diffusione capillare di conoscenze, né riuscì a modificare in profondità gli assetti colturali consolidati, bisogna in parallelo ricordare la contemporanea e concreta lotta contro la manomorta (Deputazione ad pias causas, 1766) e gli effetti nel lungo periodo che ebbe la consapevolezza dell’intero ceto dirigente (il 50% degli oltre mille accademici era costituito da nobili, un quarto da ecclesiastici) rispetto alla centralità del settore primario nell’economia di quel tempo.
Al contrario, nessuna cinghia diretta di trasmissione tra lumi e innovazione tecnica, paragonabile alle accademie agrarie, divenne operativa per il comparto manifatturiero. Solo l’istituzione delle otto camere di commercio giuseppine (1786) e poi di quelle napoleoniche (dopo il 1803) contribuì a creare dei potenziali centri di discussione e d’informazione sugli aspetti tecnologici della produzione industriale. Certamente, però, anche l’enciclopedismo settecentesco agì limitatamente in questa direzione; basti pensare alle originali pagine dedicate nel 1769 da Griselini sul suo Dizionario ai mercanti-imprenditori lanieri di Schio e all’invenzione della flying shuttle. La disseminazione di una mentalità più attenta agli aspetti tecnici e labour-saving dell’organizzazione manifatturiera è peraltro dimostrata dal ricorso sempre più spinto a privilegi e patenti sovrane e al lavorio di spionaggio industriale, indice, d’altro canto, che in queste cose non si può mai prescindere dal sapere contestuale.
Non va infine dimenticato che nell’ambito continentale europeo del secondo Settecento, la penisola italiana non scontava affatto un grave gap tecnologico, almeno nei segmenti tradizionali come il setificio, il lanificio, il cartario, la vetreria. Di sicuro, senza la cultura dei lumi e gli esempi enciclopedici, mai sarebbe stata pensabile l’operazione promossa dal ministero degli Interni del napoleonico Regno d’Italia nel 1807, il quale si premurò di diffondere un opuscolo redatto dal tecnico zurighese Giovan Ridolfo Hess, corredato di otto belle incisioni, che illustrava il funzionamento di una cardatrice meccanica a rulli, di due macchine per la riduzione in nastro del filo cardato e di due tipi di filatoi meccanici manuali (spinning Jenny). Grazie all’interesse dimostrato da gruppi di imprenditori lanieri e dalle camere di commercio, prima di tutto quella di Gandino (Bergamo), il governo milanese fu indotto ad acquistare realmente un assortimento di macchine per la filatura di provenienza belga, che finì per approdare nel 1818 nella manifattura di Francesco Rossi a Schio, capostipite di una delle più importanti dinastie imprenditoriali dell’Italia ottocentesca.
Scienze, scoperte, invenzioni, macchine
L’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert e l’Encyclopédie méthodique di Panckouke sono le fonti privilegiate di una informazione ampia e aggiornata sulle novità tecnico-scientifiche dell’Europa dei lumi. La loro vasta diffusione, nelle versioni originali, nelle traduzioni, integrali o di singoli articoli, e soprattutto nelle ricchissime sillogi di estratti dei periodici, è largamente attestata dagli inventari di biblioteche pubbliche e private, dagli echi sui giornali, dalle discussioni nelle accademie. Il «Magazzino toscano» di Giambattista Zanobetti, il «Giornale d’Italia» di Griselini e altri periodici italiani di natura scientifica riservano alle arti e alle tecniche attenzione e spazio straordinari; anche periodici letterari, filosofici, religiosi, politici, come «Il Caffè», il «Giornale enciclopedico» del vicentino Giovanni Scola e «L’Europa letteraria» di Domenico Caminer, mostrano di tanto in tanto una vivace curiosità per le scienze, gli esperimenti e le innovazioni nelle arti, nella tecnica, nel commercio e, soprattutto, nella prediletta agricoltura. Scorriamo il «Giornale d’Italia», il Dizionario, i periodici già citati e altri due usciti a Venezia nella seconda metà del Settecento, i «Progressi dello spirito umano nelle scienze, e nelle arti o sia giornale letterario, che contiene estratti di libri nuovi d’ogni nazione, scoperte utili all’uman genere, problemi di società e d’accademie, notizia di tutto ciò che trovasi nei fogli periodici alli confini dell’Italia» (1780-1784) e il «Giornale per servire alla storia ragionata della medicina di questo secolo» (1783-1800).
Sotto forma di articoli originali e più spesso di traduzioni o ‘estratti’ da periodici stranieri (francesi, svizzeri, inglesi, tedeschi, olandesi), con un posto di primo piano riservato al «Journal encyclopédique de Bouillon», forniscono agli ‘illuminati’ lettori italiani un’informazione capillare ed ‘enciclopedica’ delle scienze, le tecniche e le arti, secondo lo status delle più ‘illuminate’ nazioni d’Europa. La ‘scienza naturale’, in primo luogo, «quella Facoltà, che costituisce la porzione più importante delle umane utili cognizioni, mercé quel genio il quale va distinguendo questo illuminato secolo, oltre quanti trascorsi già ne sono, riceve ognor più perfezione, e d’incremento […] è la chiave di tutte le altre» («Giornale d’Italia», 25 giugno 1768, 52, p. 414; 3 luglio 1773, 1, p. 1): dunque estratti in gran numero sulla fisica, l’astronomia, la geografia, la zoologia, la botanica, la paleontologia, l’‘orittologia’ (ossia la geologia), la matematica (algebra, geometria), la mineralogia, l’idraulica, l’idrostatica, la meteorologia, la climatologia.
«La fisica de’ nostri giorni […] è la sorgente feconda di tante luminosissime scoperte» e «due dei più interessanti rami […] sono le dottrine del calore, e delle arie, o fluidi aeriformi» («Nuovo giornale d’Italia», 10 ottobre 1789, 24, p. 191; 22 aprile 1797, 1, p. 381); attenzione curiosa e partecipe va soprattutto alla chimica che, dopo aver a lungo languito «in una mediocrità all’atre Arti funesta, alle quali somministra ajuti sì grandi, trovasi ai dì nostri in vigore e forma la degna occupazione del Fisico, e del Filosofo»; è la «Scienza più interessante di tutte per le molte e molto utili applicazioni, che fatte se ne sono a vantaggio della società»: è ora una «scienza di moda», ma «una sorgente dei secreti utili e dannosi» («Progressi dello spirito umano […]», 4 settembre 1780, p. 185; 9 settembre 1780, p. 287; 4 agosto 1784, p. 960).
Accanto alla chimica l’elettricità, ancora agli albori delle conoscenze, ma di cui, tra ingenui e talvolta sconcertanti equivoci, si intravedono e sognano meravigliose e persino strabilianti applicazioni: «è una di quelle parti, che sommo lume recato avendo, e somme continuate sperienze e scoperte producendo ben è, che se ne parli e se ne scriva indefessamente» («Giornale enciclopedico», giugno 1776, pp. 11-13).
Attenzione predominante per ‘nuove scoperte’, ‘nuove invenzioni’, ‘scoperte e gli stabilimenti utili’ nelle arti e nelle scienze: in agricoltura sono segnalate novità nella coltivazione del frumento, mais, patata, asparagi, l’estrazione dell’olio, la spremitura e conservazione del vino e dell’aceto, la produzione del miele, i gelsi e i bachi da seta, la cera, le ortiche, gli alberi resinosi, i formaggi, i letamai, gli alberi da frutto, il pane da pomi e da patate, le marne artificiali, la conservazione dei cereali, delle verdure e delle carni, le malattie delle piante, gli insetti e gli animali nocivi (topi, cornacchie, formiche, vermi), nuove piante o nuovi usi di piante note (riso, ananas, ippocastano), ferratura di cavalli, attrezzi agricoli, piccoli ritrovati utili al lavoro nei campi. Nelle arti sono segnalati occhiali, cannocchiali, specchi ustori, calamite artificiali, livelli, forni da cucina e da manifatture, orologi, lampade, strumenti musicali, pipe, nuove tecniche per lo sbiancaggio e la tintura dei panni, per la produzione di candele, carta, cuoio, sapone, soda, abiti, salnitro, cemento e malta, fanali per l’illuminazione stradale: curioso il ‘paragelo’ per salvare i fiori dalle brinate e avveniristica la penna da scrivere per viaggiatori, antesignana dell’odierna penna a sfera. È quasi incredibile la vivace curiosità per tante grandi e piccole ‘invenzioni’ utili al benessere dell’uomo, nell’ottica dell’illuministica fiducia nel ‘progresso’ e nella ‘felicità’: il parafulmine di Benjamin Franklin, nuove vesti e scarpe per uomini, donne, bambini, bagni termali, acque termali medicamentose, ritrovati contro le macchie, la ruggine, la muffa del pane e altri cibi, gli odori, le mosche e le zanzare, i topi, i pidocchi, per la conservazione di cibi e bevande, l’igiene personale e familiare, l’uso appropriato di caffè e tabacco, nuovi tipi di carta, di inchiostri, di zuppe alimentari.
Parte preponderante ha la medicina: il dottor Francesco Aglietti con il suo «Giornale per servire alla storia ragionata della medicina di questo secolo» si propone esplicitamente «di raccogliere e di trapiantare nel nostro clima le ricerche e le invenzioni importanti de’ forestieri» (1799, p. 1); anche il «Giornale d’Italia», il Dizionario e gli altri periodici traboccano di notizie, saggi, novità di ogni genere in campo medico: chirurgia, anatomia, medicina ospedaliera, peste, gotta, emicrania, vaiolo, cancro, tisi, febbri, reumatismi, malattie veneree e nervose, pellagra, rachitismo, artriti, ulcere, idropisia, epilessia, pazzia, nuovi ritrovati della farmacopea; molte altre anche le segnalazioni di veterinaria: epizoozia, malattie di bovini, ovini, polli, cavalli, cani, idrofobia, morsi di vipera, maniscalcheria, alimentazione e igiene degli animali da allevamento e da compagnia. Emblematico, a mo’ di sintesi, questo commento di Caminer a un trattato sul parto cesareo: «La Chirurgia è una di quelle arti, per le quali pochissimo dobbiamo agli antichi, e che fece rapidissimi progressi in questo secolo» («Giornale enciclopedico», agosto 1778, pp. 104-107).
La «consapevolezza della tecnologia», osserva Vittorio Marchis (1994, pp. 129-90), caratterizza la cultura dell’enciclopedismo settecentesco e la sua attenzione ai progressi delle arti meccaniche; le nuove macchine in tutti i campi dell’attività produttiva umana (metallurgia, tessitura, idraulica, agricoltura, sanità, vita domestica e organizzazione urbana) trovano in Italia attenzione, riscontro, divulgazione in libri, periodici, atti accademici. Raimondo di Sangro, principe di Sanseverino, è uomo «molto dedito alle meccaniche», osservatore e inventore di macchine idrauliche, tipografiche, orologi, carrozze e altri «ritrovamenti che o le scienze riguardino o le arti»; Bartolommeo Intieri si appassiona «alle invenzioni più svariate» (Venturi 1969, pp. 538-40 e 554); i veneti Bartolomeo Ferracina e Giovanni Poleni progettano e realizzano nuove macchine idrauliche, tessili, utensili, orologi, strumenti scientifici per l’astronomia, la fisica, la chimica. Alfonso Longo ne «Il Caffè» (1764) disserta con acume e competenza sull’«arte di far macchine, che dividano e segnino costantemente il tempo» (f. XXXII), ovvero gli orologi e tanti altri uomini di ‘lumi’ italiani si mostrano attenti e partecipi cultori delle novità nelle arti meccaniche.
«Le macchine debbono anteporsi alle braccia, e […] bisogna applicarsi per cercare tutti i mezzi d’accorciar la fatica», scrive il 18 settembre 1784 il periodico «Progressi dello spirito», commentando moti luddisti in Inghilterra; ecco una rassegna (da una tesi patavina di Luigia Luciano) delle macchine nuove, inventate da italiani e stranieri (soprattutto inglesi, francesi, tedeschi) illustrate al pubblico italiano dal «Giornale d’Italia», dal Dizionario di Griselini e da altri periodici ‘enciclopedici’ italiani: macchine agricole per seminare, crivellare, mietere, macinare frumento, mais, olive, raccogliere il riso, raffinare il lino, tritare le zolle, distillare l’acquavite, gramolare la pasta, impastare il pane, svellere e trapiantare alberi, pettinare la canapa, estrarre il miele dagli alveari, far schiudere i bachi da seta, schiacciare le canne; macchine per le arti, pompe e altre macchine idrauliche, la macchina di Watt, forni, fornelli, fornaci, telai, magli, folli, macchine varie per la tessitura, tintura, concia, tipografia, zecca, torchi, rasoi, tamisi, serrature. Battelli, attrezzi per produrre sapone, carta, coloranti, utensili vari, armi, seghe, impianti di illuminazione, camini, specchi, stufe, ruote e carrozze, ombrelli, parafulmini; macchine astronomiche, cannocchiali, telescopi, specchi ustori; macchine misuratrici, barometri, anemometri, aerometri, termometri, igrometri, microscopi, bilance, compassi, bussole, bastoni agrimensori, aghi inclinatori, macchine elettriche; macchine di sanità, ventilatori, audiometri, attrezzi per le fratture e gli annegamenti, letti ortopedici; larga pubblicità è assicurata dai «Progressi dello spirito» e altri periodici alle 54 macchine salutari ed economiche del salodiano Bartolomeo Dominiceti, «uno di quei geni straordinari» che mostra concretamente che «il nostro secolo è destinato per l’essere l’epoca delle più grandi scoperte» (25 agosto 1784, p. 1055). Un anonimo scettico di Padova deride «la rancida intenzione di volare» dei suoi contemporanei del «secolo dell’inquietismo», ma nel contempo giornali e dizionari seguono appassionatamente i ‘palloni volanti’ dei fratelli Montgolfier e le altre novità sulle ‘macchine aerostatiche’.
Una nota divertente: tra le invenzioni il «Giornale enciclopedico» menziona una macchina per bloccare uomini, cavalli, lupi e una «tasca politica» in cui la mano entra, ma non esce «senza saper il segreto, invenzione felice e utile per cogliere i curiosi e i birbanti» (dicembre 1777, pp. 61-62).
Opere
F. Griselini, I liberi muratori, Libertapoli (Rovereto) 1754, rist. a cura di E. Ghiotto, Schio 2000.
«Giornale d’Italia spettante alla Scienza naturale, e principalmente all’agricoltura, alle arti, ed al commercio», 1764-1776.
Dizionario delle arti e de’ mestieri compilato da Francesco Griselini […] continuato dall’abate Marco Fassadoni, 18 voll., Venezia 1768-1778.
«Giornale enciclopedico», 1774-1785.
«Nuovo giornale d’Italia spettante alla Scienza naturale, e principalmente all’agricoltura, alle arti, ed al commercio», 1776-1797.
«Progressi dello spirito umano nelle scienze, e nelle arti o sia giornale letterario, che contiene estratti di libri nuovi d’ogni nazione, scoperte utili all’uman genere, problemi di società e d’accademie, notizia di tutto ciò che trovasi nei fogli periodici alli confini dell’Italia», 1780-1784.
«Giornale per servire alla storia ragionata della medicina di questo secolo», 1783-1800.
Encyclopédie méthodique, Padova 1784-1817.
«Nuovo giornale enciclopedico», 1786-1787.
Bibliografia
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F. Venturi, Settecento riformatore, 1° vol., Da Muratori a Beccaria, Torino 1969.
R. Darnton, The business of enlightenment. A publishing history of the Encyclopédie, 1775-1800, Cambridge (Mass.) 1979 (trad. it. Milano 1998).
Storia della cultura veneta, 5° vol., Il Settecento, tt. 2, a cura di G. Arnaldi, M. Pastore Stocchi, Vicenza 1985-1986 (in partic. P. Preto, L’Illuminismo veneto, t. 1, pp. 1-45; G. Gullino, Le dottrine degli agronomi e i loro influssi sulla pratica agricola, t. 2, pp. 379-410).
F. Venturi, Settecento riformatore, 5° vol., L’Italia dei lumi, t. 2, La Repubblica di Venezia (1761-1797), Torino 1990.
V. Marchis, Storia delle macchine. Tre millenni di cultura tecnologica, Roma-Bari 1994.
«Studi Settecenteschi», 1996, 16, nr. monografico: L’enciclopedismo in Italia nel XVIII secolo, a cura di G. Abbattista (in partic. C. Farinella, Le traduzioni italiane della Cyclopaedia di Ephraim Chambers, pp. 97-160; M. Infelise, Enciclopedie e pubblico a Venezia a metà Settecento: G.P. Pivati e i suoi dizionari, pp. 161-90; P. Del Negro, Due progetti enciclopedici nel Veneto del tardo Settecento: dal patrizio Matteo Dandolo all’abate Giovanni Coi, pp. 289-321).
Storia di Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima, Istituto della Enciclopedia Italiana, 8° vol., L’ultima fase della Serenissima, a cura di P. Preto, P. Del Negro, Roma 1998 (in partic. P. Del Negro, Introduzione, pp. 1-80; P. Preto, Le riforme, pp. 83-142; W. Panciera, L’economia: imprenditoria, corporazioni, lavoro, pp. 479-553).
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