Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il sistema di Stati della penisola italiana si struttura intorno a cinque potenze territoriali: Regno di Napoli e Sicilia, Stato della Chiesa, Signoria medicea fiorentina, Ducato di Milano e Repubblica di Venezia. La logica che prevale tra il 1454 (pace di Lodi) e il 1494 (discesa di Carlo VIII in Italia) è quella della formazione di un ’alleanza tripartita, tra Napoli, Firenze e Milano, in grado di contrastare la più forte tra le potenze italiane, la Serenissima Repubblica, nonché di costituire un argine alle iniziative del papato romano nell’età della politica nepotista, che aveva tra gli obiettivi la formazione di un’ampia base territoriale dello Stato pontificio nell’Italia centrale.
Il lasso di tempo che intercorre dalla pace di Lodi (1454) fino alla discesa di Carlo VIII nel 1494 è considerato, in linea generale, come un’età di stabilità politica e perfino di relativa pace fra gli Stati italiani, che si sono costituiti nel corso dei secoli precedenti.
Si tratta di cinque grosse entità territoriali e di un complesso di piccoli Stati, che gravitano attorno a esse. In primo luogo la Repubblica di Venezia, che, grazie alla sua oligarchia mercantile, ha creato un apparato istituzionale che favorisce la gestione dei domini di terraferma, su cui la città esercita la sua influenza nel riconoscimento dell’autonomia amministrativa; allo stesso modo, il complesso controllo di porti e territori costieri situati nel Mediterraneo centrale e orientale ne costituisce l’impero talassocratico, che a breve sarà incrementato dal possesso dell’isola di Cipro.
All’altro estremo della penisola si situa la rete statale messa in atto da Alfonso il Magnanimo, che vede, in questa fase, il suo centro nel Regno di Napoli. Il sovrano, grazie ai suoi interessi mediterranei, progetta, senza ottenere successo, il controllo della penisola italiana, come rivela la guerra che muove contro Genova e contro Carlo VII di Francia , che ne è il potente protettore politico. Alla morte di Alfonso, la successione del figlio naturale Ferrante, nel solo Regno di Napoli, lascia la corona delle grandi isole mediterranee, Sicilia, Sardegna e Corsica, sotto il dominio degli Aragonesi iberici. La stessa monarchia napoletana, a partire da Ferrante, si considera ramo cadetto della dinastia dei Trastámara, tanto da chiedere e ottenere spesso aiuto militare da Ferdinando il Cattolico. Le altre due realtà statuali, costituite dalla Firenze medicea e dal Ducato di Milano, si presentano come un agglomerato di città, su cui la città dominante esercita un pesante controllo politico. A Firenze l’assemblea dei maggiorenti nomina, il 2 dicembre 1469, Lorenzo detto il Magnifico e Giuliano de’ Medici “principi dello Stato”. Entrambi gestiscono il governo fiorentino grazie alle loro abilità politiche e professionali, circondandosi di grandi personalità di cultura umanistica.
A Milano, conquista recente di Francesco Sforza, i successori del condottiero esercitano un potere non dissimile da quello dei Medici. Le vicende interne al principato sforzesco evidenziano le difficoltà che a ogni successione dinastica i pretendenti alla carica ducale devono affrontare, sia perché a Milano sono ancora forti i sentimenti antitirannici, eredità comunali plasmate dalla cultura umanistica, sia per la difficoltà da parte dei figli cadetti, si pensi a Ludovico il Moro, ad accettare reggenze nei riguardi di minori, come quella per conto di Gian Galeazzo Sforza, senza operare tentativi di sostituzione. Ancor più del potere mediceo, quello sforzesco si presenta come l’effetto di personalità notevoli senza le quali la minaccia di perdita del ducato appare concreta.
Lo Stato della Chiesa, infine, è considerato, in questa fase, il più debole, almeno militarmente, di tutti gli Stati “regionali” italiani. L’opera di Niccolò V ha tuttavia il merito di chiudere una fase molto tormentata di vita della Chiesa romana poiché si spegne l’iniziativa scismatica e conciliarista dei vescovi di Basilea e il pontefice viene riconosciuto come unica guida spirituale del mondo cattolico. Il papa riesce a riorganizzare lo Stato pontificio perché può contare sull’opera di Cosimo de’ Medici; anche il suo rapporto con l’imperatore si presenta fruttuoso, tanto che nel 1452 si svolge a Roma per l’ultima volta l’incoronazione a imperatore e a re d’Italia di Federico III. Non meno importante è la sua opera dopo la caduta di Costantinopoli; sotto la sua iniziativa si costituisce una Santissima Lega, all’indomani della pace di Lodi, tra tutti gli Stati italiani o, come è il caso di Alfonso il Magnanimo, di uno Stato che opera in Italia anche con l’obiettivo di affrontare il pericolo turco. Il significato simbolico di questa lega è dato dal fatto che essa viene istituita intra terminos italicos, anche se il suo valore rimane formale e i dissidi interni ai cinque grandi Stati membri italiani sono assai più forti dei motivi di comune accordo politico.
A contribuire a questa difficile formazione di un sistema di relazioni stabili è la presenza di una quantità notevole di piccoli Stati i quali, da una parte spezzano la continuità territoriale degli Stati maggiori, dall’altra intersecano i loro interessi con più di una potenza confinante e diventano, perciò, motivo di contesa proprio fra i grandi Stati. Il caso più noto riguarda la Repubblica di Genova, già grande città marinara nel corso del Medioevo, ora sottoposta a forti influenze sia da parte francese, sia da parte del Ducato di Milano e della stessa Toscana medicea. Proprio il controllo di Genova costituisce uno dei motivi di contesa nelle relazioni degli Stati italiani e con la Francia. Sulla stessa linea si muovono città-stato relativamente indipendenti, come Siena e Lucca. Un altro importante gruppo di piccoli Stati è costituito da principati minori, come il Ducato di Savoia e quello di Ferrara, da piccole realtà signorili urbane, da feudi imperiali di un certo peso, come quello dei marchesi Malaspina a Massa e Carrara, e da feudi pontifici che si situano nella Romagna, nelle Marche, oltre che nel Lazio. Se le signorie dei piccoli Stati sono eredità comunali, i feudi imperiali e pontifici costituiscono la riserva delle compagnie di ventura e dei condottieri dell’Italia quattrocentesca.
I limiti di questa lega fra gli Stati italiani sono messi in evidenza dalla crociata contro i Turchi che papa Pio II organizza nel 1464. Negli anni precedenti, i Genovesi hanno perso quasi tutte le loro colonie nel Mediterraneo orientale e Venezia, dopo un tentativo di pace, che ha breve durata, con i Turchi, si vede attaccata dagli stessi l’anno precedente l’indizione della crociata. Nonostante il sopraggiungere del papa e della flotta veneziana ad Ancona, la morte di Pio II rende inutili questi preparativi di crociata e non meno inutile si rivela l’altro tentativo compiuto da Paolo II nel 1471 e in seguito dal suo successore Sisto IV. La crociata non si realizza e sono piuttosto i Turchi a passare all’offensiva sia sul territorio friulano, sia, nel 1480, in terra d’Otranto. L’anno successivo, tuttavia, Ferrante d’Aragona (1431-1494) riconquista la provincia pugliese, favorito dalla scarsa convinzione con cui i Turchi difendono le loro posizioni, dopo la morte di Maometto II.
Altro momento importante di definizione dei rapporti interni al sistema degli Stati italiani è costituito dal problema della successione di Ferrante sul trono napoletano. La questione si presenta alquanto delicata a causa degli atteggiamenti di papa Callisto III, il quale non riconosce Ferrante come legittimo successore al trono del padre. La vicenda è complicata dai tentativi angioini di riacquisire il trono napoletano, incitati dalla guerra che Alfonso ha condotto contro Genova. A fianco di Giovanni d’Angiò si schiera una forte componente feudale del Regno di Napoli, guidata dagli Orsini, principi di Taranto. La situazione volge a favore di Ferrante d’Aragona, per l’appoggio offertogli da Francesco Sforza che mira a sottrarre la Repubblica di Genova all’influenza francese. Lo Sforza costringe alla neutralità Cosimo de’ Medici e, poco dopo, la successione di Pio II alla cattedra di Pietro crea una situazione particolarmente favorevole alla dinastia aragonese di Napoli, che riesce ad avere ragione degli angioini e dei loro alleati.
L’occasione del conflitto nel Regno di Napoli mostra l’importanza di un potenziale asse Milano-Firenze-Napoli in funzione antifrancese, che è in grado di arginare le minacce provenienti da altre potenze italiane. A distanza di pochi anni, infatti, nel corso del 1467, i Veneziani ostili all’alleanza di Firenze con Milano, che ha ribaltato la politica medicea nei confronti della Serenissima, aiutano il tentativo di Bartolomeo Colleoni di entrare in Romagna marciando verso Firenze. L’appoggio degli Sforza e del re di Napoli si dimostra fondamentale per i Medici nella battaglia di Molinella del 1467. Due anni dopo la signoria medicea sulla città viene sanzionata dall’ascesa di Lorenzo e di Giuliano alla guida di Firenze e della Toscana. La fase di equilibrio, che viene garantita dall’ascesa di nuovi principi alla guida di Milano e di Firenze e dalla riaffermata alleanza tra Milano, Firenze e Napoli, viene messa in discussione, a partire dalla metà degli anni Settanta, da una svolta nella politica del papato di Sisto IV.
A muovere l’atteggiamento del papato vi sono motivazioni politico-strategiche, conseguenti al fallimento della politica della lega contro i Turchi e della nuova crociata. Il papa si rende conto che la debolezza politico-territoriale del papato non gli consente di pesare in maniera efficace sulle scelte degli altri Stati italiani. In questa convinzione trova le sue origini la “grande politica nepotista”. Si tratta di considerare, al di là della volontà di privilegiare i vincoli di sangue che collegano i papi ai loro parenti più vicini, l’intenzione di utilizzare figure di propri familiari, inserendoli nel contesto politico dell’Italia centrale.
Ciò avviene attraverso l’affido della gestione di cariche ecclesiastiche di primissimo rilievo (cardinali, arcivescovi, grandi abati), oppure attribuendo loro la guida di potentati feudali dai quali costoro possano trarre risorse militari e finanziarie da destinare alla realizzazione del progetto di una grande espansione territoriale del papato nell’Italia centrale. Gli obiettivi finali riguardano, oltre alla Romagna, all’Emilia, alle Marche e all’Umbria, anche la Toscana.
La prima fase di questo ambizioso progetto politico che coinvolge Sisto IV, Innocenzo VIII e Alessandro VI Borgia, si avvia con la Congiura dei Pazzi a Firenze. Utilizzando i propri nipoti, papa Sisto IV riesce a mettere insieme un’alleanza del tutto inedita tra la Repubblica di Siena, re Ferrante d’Aragona e un gruppo di banchieri fiorentini avversari dei Medici, ai quali egli stesso ha affidato in gestione la finanza pontificia. Se l’adesione di Siena è spiegabile per i timori che la città da sempre prova nei confronti dell’espansionismo mediceo, l’adesione del re di Napoli mira a frenare le rinate simpatie dei Medici verso la corona francese. Il 26 aprile 1478, l’esito della nuova stagione di guerra, avviatasi quattro anni prima e che ha visto fronteggiarsi la coalizione filo-papale e gli Stati di Firenze, Venezia e Milano, sbocca nell’attentato, avvenuto nel duomo di Firenze, nei confronti di Lorenzo e Giuliano de’ Medici, cui sopravvive solo Lorenzo. I congiurati falliscono nel tentativo di impadronirsi del palazzo della Signoria, poiché il popolo fiorentino si solleva ed elimina gli attentatori, il più noto dei quali, l’arcivescovo di Pisa, Francesco Salviati, viene impiccato. Il papa reagisce con la scomunica e l’interdetto sulla città; a questo punto si scatena la guerra fra le due leghe. Lorenzo compie un atto di grande lungimiranza politica e si reca personalmente a Napoli, nel 1480, dove convince re Ferrante ad abbandonare la lega antimedicea e a riattivare i tradizionali buoni rapporti tra Firenze e Napoli. Ferrante accetta la proposta del Magnifico poiché è informato dei rinnovati tentativi angioini e soprattutto è a conoscenza della pericolosa offensiva che i Turchi hanno avviato in Terra d’Otranto. La ritrovata alleanza tra Stato mediceo e Regno di Napoli viene completata dalla nomina di Ludovico il Moro a tutore del duca di Milano, allora minorenne. Il riproporsi di questa antica alleanza scatena la reazione della Repubblica di Venezia che si accorda con Girolamo Riario, nipote di Sisto IV, e successivamente con il papato.
Su questi presupposti scoppia una nuova guerra, che vede questa volta alleati Venezia, il papa, Genova e Siena, mentre sull’altro fronte si situano Firenze, Napoli e Milano. Le operazioni belliche si svolgono nel Lazio e il protagonista è il duca di Calabria, mentre nel Mezzogiorno i Veneziani occupano con la flotta Gallipoli, ricavandone, all’indomani della pace di Bagnolo (1484), compensi nel Basso Polesine e a Ferrara. La morte di Sisto IV non interrompe i progetti espansionistici del papato, poiché il suo successore, Innocenzo VIII, appartiene alla famiglia Cybo di Genova. Coerentemente con gli interessi della patria genovese, sia il nuovo papa che il nipote Franceschetto Cybo testimoniano nuovi interessi verso il Regno di Napoli, contando di sfruttare il contrasto in atto tra il potere regio e la grande aristocrazia feudale. Il papa stringe un accordo con Antonello Sanseverino, principe di Salerno e guida del partito filoangioino, e la loro alleanza viene estesa a Genova e Venezia, invitando Renato di Lorena a raggiungere il Mezzogiorno d’Italia. Ancora una volta la salvezza del regno passa per la discesa in campo di Firenze e di Milano.
Nel 1486, re Ferrante e papa Innocenzo siglano un trattato di pace, che consente al sovrano napoletano di sterminare i baroni protagonisti della congiura. Tuttavia l’equilibrio fra gli Stati italiani sembra avere trovato la sua definizione e Lorenzo de’Medici ne è il consapevole artefice. Oltre all’accordo tradizionale tra Milano, Firenze e Napoli, egli guadagna anche il consenso di papa Innocenzo. La sola Venezia resiste alle condizioni generali di pace, ma la sua azione subisce i condizionamenti dei rapporti di forza e dell’accordo tra le altre potenze italiane.