Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La parabola espressionista segna un tempo importante nella cultura tedesca ed europea, compreso fra il primo Novecento e l’avvento del nazismo. Mossa da un’utopia sostanzialmente totalizzante che vuole l’arte al servizio di un generale rinnovamento della società, la sensibilità espressionista si esprime in precise ricerche individuali legate al colore, alla tecniche grafiche, interessate tanto all’astrazione quanto a una nuova figurazione. La prima guerra mondiale segnerà un radicalizzarsi del conflitto verso le morali correnti e un interesse per forme di espressioni più moderne (il cinema, ad esempio). Ma la complessità dell’esperienza espressionista, pur attingendo a molte delle anime originarie della cultura tedesca, verrà bollata e isolata dal nazismo come “arte degenerata”.
La cultura artistica e architettonica europea vede, tra il 1910 e il 1930, il sorgere di nuovi movimenti tendenti ad attuare un progetto di totale radicalizzazione dei rapporti con la società in cui operano. Fra le diverse correnti artistiche che si sviluppano in questi anni l’espressionismo è certamente il più variegato e contraddittorio, anche se è possibile riconoscere alcuni contenuti comuni relativi in particolare alla storia della Germania moderna. La cultura pittorica e architettonica espressionista tese fondamentalmente non tanto a proporre alternative percorribili, quanto a porsi come una cultura di “disperata” opposizione. Una reazione passiva, mistica, che vede il sacrificio come unica strada per migliorare il mondo. Evitando qualsiasi forma di razionalità, la sensibilità espressionista ricerca un’essenza originaria dell’umano da esprimere con immediatezza. Ciò poteva essere perseguito soltanto attraverso un completo rinnovamento dei mezzi espressivi, e un rifiuto di una codificazione dei risultati ottenuti e della loro trasmissibilità.
All’origine di questa nuova visione dell’arte vi sono due gruppi che rappresentano i centri della cultura espressionista: Die Brücke e Der Blaue Reiter. Die Brücke (il Ponte), fondato a Dresda nel 1903 da Ernst Ludwig Kirchner, Karl Schmidt-Rottluff, Fritz Bleyl ed Erich Heckel; qualche anno dopo vi aderiranno anche Emil Nolde, Max Pechstein e Otto Müller predominano la volontà antiaccademica, caratterizzata dalla precisa intenzione di non perdere il contatto con il mondo esterno, e il carattere figurativo, anche se tale figuratività si presenta sempre deformata. A questi elementi vanno aggiunti la volontà di rientrare in una “tradizione germanica” e il profondo interesse verso l’arte popolare e l’arte dei popoli primitivi.
Diverso sin dall’inizio è l’atteggiamento del gruppo Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro), fondato a Monaco nel 1909 da Vassilij Kandinskij e Franz Marc. Se Die Brücke cerca un confronto con la realtà per testimoniare la passione e l’angoscia umana attraverso la pittura, Der Blaue Reiter si indirizza verso la ricerca di una pura spiritualità, una liberazione esistenziale del tutto indifferente alla realtà esterna. Conseguenza di questo atteggiamento sarà, da lì a pochi anni, la teorizzazzione da parte di Kandinskij di una pittura dai caratteri totalmente astratti. Una ricerca del tutto originale fu inoltre sviluppata dal pittore austriaco Oskar Kokoschka. Anche se non aderisce ufficialmente al movimento, rappresenta uno dei vertici dell’espressionismo storico. Allievo di Gustav Klimt, e amico di Karl Kraus e Adolf Loos, inizia la sua attività pittorica nel pieno della stagione secessionista viennese. In seguito entra in contatto con Die Brücke ed espone alcune opere nelle mostre organizzate dal gruppo Der Blaue Reiter.
Per avere un quadro complessivo dell’espressionismo pittorico europeo vi sono poi vari apparentamenti da tenere in considerazione. In primo luogo il gruppo francese dei fauves, con il loro caratteristico colore steso in tonalità pure e la grande libertà espressiva nella reinterpretazione della realtà visibile; e poi la pittura di Edvard Munch, Vincent van Gogh e James Ensor.
Forti sono le influenze provenienti dalle ricerche psicanalitiche promosse in questi anni da Sigmund Freud, di Søren Kierkegaard, e la fondamentale funzione svolta da Friedrich Nietzsche nel trasportare parte del tardo romanticismo tedesco verso l’espressionismo.
Per ciò che riguarda l’architettura tedesca, si deve rilevare che l’unico nucleo di vera avanguardia artistica fino al 1914 è costituito dagli architetti che operano nell’ambito dello Jugendstil, il cui percorso storico si sovrappone per una decina di anni alla cultura dell’espressionismo.
Se guardiamo, infatti, i tratti sostanzialmente anticlassici e nazionalisti che caratterizzano lo Jugendstil, la versione tedesca dell’art nouveau (la tendenza a una pittoricità, a un gusto per le forme organiche, non proiettate su un piano ma concepite plasticamente), sarà facile notare le numerose analogie con le tesi dell’espressionismo e in particolare con Die Brücke.
Ciò che caratterizza la cultura architettonica di questi anni è lo sforzo di sviluppare, anche in Germania, ricerche attorno all’architettura romantica nazionale, come tentativo di uscire dall’eclettismo e dare uno stile alla nuova nazione tedesca.
Il primo a imboccare questa strada è Peter Behrens, attraverso i progetti realizzati tra il 1908 e il 1913 per l’industria AEG di Berlino. La fabbrica è concepita dall’architetto tedesco come rappresentazione di un nuovo potere, che attraverso una rinata visione del progetto architettonico assume una dimensione “religiosa”. Con Behrens, quindi, sembra già realizzarsi a pieno quell’auspicato processo di modificazione del linguaggio che possiamo individuare come una delle matrici fondamentali dell’architettura espressionista.
Dopo la prima guerra mondiale la situazione politica, sociale ed economica cambia profondamente. La cultura tedesca comincia in quegli anni a sviluppare una progressiva politicizzazione del proprio lavoro, con l’obiettivo di affrontare e proporre soluzioni ai problemi più urgenti posti dalle nuove condizioni. Nella decade successiva, la coincidenza d’intenti fra avanguardia culturale e politica progressista porta l’espressionismo ad avvicinarsi sempre più alla radicale alternativa prospettata dalla rivoluzione socialista.
Il tentativo più importante in questo senso è rappresentato dal Novembergruppe e dall’Arbeitsrat für Kunst (Consiglio del lavoro per l’arte) che negli anni 1918-1920 attraggono le migliori forze culturali tedesche fra cui gli architetti Ludwig Hilberseimer, Erich Mendelsohn, Walter Gropius, Bruno Taut, e i pittori Lyonel Feininger, Emil Nolde (1867-1956), Max Pechstein. Il programma del Novembergruppe attribuisce notevole importanza agli studi di architettura, visti come diretto strumento di miglioramento del livello sociale. Nella discussione e divulgazione della cultura espressionista ebbe, inoltre, grande importanza il ruolo svolto dalla rivista “Frühlicht”. Il problema che emerge con forza dal dibattito tra le diverse componenti è quello di rafforzare il carattere utopico, quasi “religioso” del movimento. Un totale rinnovamento del linguaggio architettonico avrebbe rivelato una superiore unità spirituale tra il mondo e l’architettura, ritenuta massima sintesi di tutti i fenomeni espressivi. L’architetto Bruno Taut, autore di due progetti “manifesto” come il Padiglione dell’acciaio (1913) per la mostra della costruzione di Lipsia e il Padiglione del vetro (1914) per l’esposizione del Deutscher Werkbund di Colonia, è il teorico e propugnatore più efficace del gruppo. “Solo quando i desideri umani superano la dimensione strettamente pratica e utilitaristica e quando si fa strada un’esigenza qualitativa nel modo di vivere, l’architettura si mostra in maggior misura nella sua vera essenza. Allora non appare più così strettamente legata alle necessità pratiche e offre finalmente spazio all’arte. Questa è nel complesso la concezione con cui devono confrontarsi l’architettura attuale e i suoi fautori. [...] Nessuna attività della fantasia umana può portare a delle forme, veramente artistiche, se non parte dalla vita spirituale, dalla coscienza dell’esistenza umana. [...] L’architetto deve avere in sé la coscienza e la conoscenza di tutte le più profonde sensazioni e concezioni che stanno alla base della comunità in cui è destinata la sua opera; ovviamente non si tratta degli aspetti superficiali che si indicano solitamente come ‘spirito dell’epoca’, ma delle energie spirituali del popolo ancora nascoste nella fede, nelle speranze e nei desideri che tendono a venire alla luce e, in senso più ampio, a esprimersi nel ‘costruire’” (Bruno Taut, “Architettura”, in La corona della città, 1919).
Questa visione dell’architettura si concretizza in soluzioni molto diversificate: nelle forme sinuose e organiche delle architetture e delle scenografie di Hans Poelzig per il film di Paul Wegener Golem del 1920 o nella Torre Einstein realizzata tra il 1918 e il 1920 a Potsdam da Erich Mendelsohn; nei volumi geometrici, spogli e monumentali, come ad esempio la Stazione ferroviaria di Stoccarda di Paul Bonatz, le opere di Max Berg, gli edifici industriali di Peter Behrens; e architetture dagli effetti decorativi ricavati dagli stessi materiali, in particolare dal mattone, come nelle opere di Johan Fritz Hoger .
Dopo la sanguinosa repressione dei moti spartachisti del gennaio 1919, anche il Novembergruppe si scioglie e la delusione nei confronti della volontà progressista della Repubblica di Weimar contribuisce al sorgere della Neue Sachlichkeit (Nuova oggettività) in cui confluisce gran parte della cultura espressionista prebellica. Se nella prima fase espressionista prevale quindi il desiderio di arrivare a un’unità mistica tra vita e arte, dopo l’orrore della guerra e gli anni di Weimar, l’espressionismo tedesco sente l’impellente necessità di socializzare e politicizzare il lavoro artistico.
La pittura di Otto Dix, George Grosz e Max Beckmann si tramuta così in un realismo di denuncia sociale, espresso in termini grotteschi e violentemente satirici.
Secondo gli espressionisti del dopoguerra, la deformazione dell’oggetto, l’alterazione della prospettiva e il colore violentemente espressivo permettono quelle mutazioni linguistiche attraverso le quali essi intendono, oltre che esprimere la loro soggettività e il loro disagio, “aggredire” lo spettatore e attaccare la morale comune. Gli anni successivi saranno segnati dalla caduta della Repubblica di Weimar, sancita dall’ascesa al potere di Adolf Hitler nel 1933, e la conseguente conclusione di tutte le aspirazioni di rinascita auspicate dall’espressionismo tedesco. Il regime nazista vide nell’espressionismo, che paradossalmente aveva espresso un’arte fortemente “tedesca”, semplicemente una forma espressiva pericolosa e “degenerata”, e quindi destinata ad essere prima censurata e infine distrutta.