L'Eta dei Lumi: astronomia. La strumentazione astronomica
La strumentazione astronomica
Gli strumenti astronomici del XVIII sec. si possono classificare in tre categorie, a seconda del loro scopo: (a) per l'osservazione dei corpi celesti; (b) per le misurazioni astronomiche; (c) per l'applicazione delle conoscenze astronomiche alla risoluzione di problemi di carattere professionale o di vita quotidiana. Questa classificazione fornisce un criterio utile per inquadrare l'ampio repertorio di dispositivi astronomici che incontriamo in questo periodo; tali categorie possono essere distinte tra loro non solamente in base alle finalità per le quali gli strumenti erano costruiti, ma anche in base a particolarità della loro fabbricazione.
Nel XVII sec. la principale trasformazione degli strumenti dedicati all'osservazione astronomica è legata all'introduzione del telescopio. Verso la fine del secolo un osservatorio ben equipaggiato disponeva di un lungo telescopio rifrattore di circa 25430 piedi (7,649,1 m ca.), con un'apertura di circa 4 pollici (10,2 cm ca.). La sorprendente lunghezza di tali telescopi era dettata dalla necessità di minimizzare gli effetti delle aberrazioni sferica e cromatica. Per eliminare la prima, la lente ideale non avrebbe dovuto essere sferica, poiché in questo caso non tutti i raggi luminosi convergono in uno stesso fuoco; d'altra parte, però, le lenti sferiche erano le sole che i produttori di strumenti ottici riuscivano allora a realizzare. Inoltre, anche se fosse stato possibile fabbricare una lente iperbolica (della forma cioè prescritta dall'ottica geometrica), poiché i raggi di differente colore si rifrangono diversamente, come Newton aveva spiegato nel 1672, l'immagine sarebbe risultata comunque offuscata o disturbata da frange colorate. L'unico sistema praticabile per ovviare a entrambi i problemi consisteva nel minimizzare la curvatura delle lenti allungando il telescopio, e schermarne i bordi con diaframmi, riducendo così sia l'apertura efficace dello strumento sia la luminosità e la nitidezza dell'immagine da esso prodotta. Questi due accorgimenti si dimostrarono necessari anche se compromettevano l'utilità del telescopio come strumento ottico efficace e maneggevole.
Il metodo comunemente usato per installare lunghi rifrattori ‒ cioè per realizzarne la struttura di 'sostegno' ‒ consisteva nell'innalzare un palo di legno a cui era appeso un sistema di pulegge, e nel sospendere il tubo del telescopio con una fune passante vicino al suo centro, tesa tra un verricello ancorato a terra e il sistema di pulegge; la parte vicina all'oculare era fissata a un sostegno che consentiva all'osservatore di controllarne il movimento. Il tubo, eccetto la fune e il supporto, oscillava liberamente e ciò rendeva molto difficile gestire l'intero strumento, puntarlo verso un oggetto astronomico per seguirlo nel suo movimento nel cielo, o anche soltanto per identificare in modo affidabile ciò che si stava osservando; inoltre, un rifrattore così lungo poteva essere usato con efficacia soltanto nelle migliori condizioni meteorologiche. Tuttavia, strumenti come questi hanno permesso di raggiungere risultati notevoli, come quelli ottenuti da Gian Domenico Cassini (1625-1712) presso l'Osservatorio di Parigi usando ottimi strumenti fabbricati dall'ottico italiano Giuseppe Campani (attivo a Roma nella seconda metà del XVII sec.).
Per tutto il Seicento gli astronomi avevano avuto la convinzione che Galilei avesse quasi esaurito le scoperte astronomiche possibili con i telescopi rifrattori, considerando Saturno forse come l'ultimo enigma ancora rimasto irrisolto. Le osservazioni di Christiaan Huygens e Cassini, effettuate con i migliori rifrattori allora disponibili, avevano risolto anche questo mistero e quindi, con ogni probabilità non c'era altro da ricavare dagli accuratissimi programmi di osservazione astronomica, portati avanti con strumenti di scoraggiante complessità d'uso. L'opinione diffusa secondo la quale un brillante programma di osservazioni astronomiche aveva ormai completato il suo sviluppo naturale, insieme ai problemi ben noti legati all'utilizzo dei rifrattori, spiega il motivo per il quale nella prima parte del XVIII sec., benché si ricorresse ai telescopi anche per altri scopi, si sia avuto uno scarso sviluppo degli strumenti di osservazione astronomica.
La progettazione di telescopi riflettori, in cui la lente obiettiva era sostituita da uno specchio concavo di metallo capace di focalizzare la luce, offrì qualche prospettiva di risoluzione di entrambi i tipi di aberrazione prima descritti. Diversi dispositivi, che sarebbero stati in futuro importanti per lo sviluppo del telescopio, erano già disponibili all'inizio del XVIII secolo. In questi progetti, anche se differivano per il modo in cui l'immagine era osservata, il componente ottico più importante, ossia l'obiettivo dedicato a raccogliere la luce, era costituito da uno specchio concavo (specchio primario). Poiché non v'era rifrazione, non v'era aberrazione cromatica; inoltre era più agevole molare e lucidare un disco metallico a sezione parabolica, eliminando così l'aberrazione sferica, piuttosto che modellare una lente in forma asferica.
Nello schema ottico del telescopio riflettore 'gregoriano', così denominato perché attribuito al matematico e ottico scozzese James Gregory (1638-1675), i raggi riflessi erano intercettati da un piccolo specchio concavo e riflessi all'indietro attraverso un foro nel centro dell'obiettivo, al di là del quale entravano nell'oculare; lo specchio secondario concavo era posto oltre il fuoco del primario, a una distanza pari alla propria distanza focale. Nel telescopio 'newtoniano', lo specchio secondario era piano e posto a 45° rispetto all'asse ottico, in modo da deviare la luce perpendicolarmente verso l'oculare, che era fissato lateralmente al tubo principale; la luce era intercettata prima di raggiungere il piano focale dello specchio primario, che era quindi spostato da un lato (particolare che, per semplicità, non è mostrato nella figura). Questo metodo, in cui la luce era intercettata in anticipo, fu anche usato in un terzo tipo di telescopio, quello di Cassegrain, dal nome del suo inventore francese; in questo telescopio si usava uno specchio ausiliario convesso per riflettere indietro la luce attraverso il centro dello specchio obiettivo. Sia lo schema gregoriano sia quello di Cassegrain avevano, rispetto allo schema newtoniano, il vantaggio intuitivo di consentire all'osservatore di puntare il telescopio in direzione dell'oggetto osservato, come avveniva col telescopio rifrattore tradizionale.
I telescopi riflettori non erano ancora disponibili commercialmente nei primi anni del XVIII secolo. Essi erano stati progettati da matematici e fisici di vaglia, ma presentavano grandi difficoltà di costruzione; Gregory, per esempio, era stato scoraggiato dall'incapacità degli ottici di realizzare le sue indicazioni tecniche. Anche in seguito furono astronomi quali John Hadley (1682-1744), costruttore di strumenti, e Samuel Molyneux (1689-1728), con il suo Osservatorio di Kew, nei pressi di Londra, a trovare metodi efficaci per lavorare gli specchi metallici. Nel 1721 Hadley presentò alla Royal Society una dimostrazione del funzionamento di un riflettore di 6 pollici (15 cm ca.), basato sul progetto costruttivo concepito molto tempo prima da Newton, che era in quel momento il presidente della Royal Society. Gli specchi di Hadley erano di metallo, il che diede luogo a un vivace dibattito e a un'intensa sperimentazione sulle migliori leghe da usare; James Bradley (1693-1762), professore di astronomia a Oxford, era tra coloro che parteciparono a questa ricerca. I componenti della lega metallica erano rame, stagno e talvolta zinco, in varie proporzioni, a volte con aggiunte di altre sostanze, come, per esempio, l'arsenico. Il disco formato era molato a mano e lucidato con un arnese di ottone coperto di pece.
I metodi di Hadley e Molyneux furono pubblicizzati da Robert Smith (1689-1768), un professore di astronomia a Cambridge, il quale incluse vari consigli pratici per la costruzione dei telescopi nell'opera A compleat system of opticks del 1738. Verso la metà del secolo i telescopi riflettori erano ormai fabbricati commercialmente in numero sempre maggiore. Questa accresciuta domanda era stata anche generata dall'aumentato e diffuso interesse verso la filosofia naturale, promosso dalle conferenze popolari e dagli autori di libri sull'argomento, che divenne di gran moda; verso la metà del secolo il telescopio gregoriano era ormai diventato un oggetto facile da trovare e da acquistare. Si trattava però di strumenti che non avrebbero avuto molta importanza per l'astronomia professionale. I primi fabbricanti furono George Hearne ed Edward Scarlett; i più noti a Londra furono John Cuff e Francis Watkins, ma sicuramente James Short (1710-1768) fu presto riconosciuto come il maestro tra i costruttori di questo tipo di strumenti.
Short aveva cominciato a costruire telescopi a Edimburgo intorno al 1730, ma nel 1738 si trasferì a Londra, dove impiantò un'attività commerciale molto florida che forniva solo telescopi riflettori. Si pensa in effetti che Short producesse in proprio soltanto gli specchi, e che il lavoro sui tubi e sui supporti fosse appaltato ad altri. Erano certamente i componenti ottici che richiedevano un'abilità particolare, ed egli tenne segrete la composizione della lega e la tecnica di lucidatura, elementi vitali per il prosperare dei suoi affari. Gli strumenti più grandi da lui costruiti avevano un'apertura di 18 pollici (45,7 cm ca.) e una lunghezza focale di 12 piedi (3,66 m ca.), mentre uno strumento di uso comune aveva un'apertura di 4 pollici (10,2 cm ca.) e una lunghezza focale di 18 pollici.
Se è vero che il mondo commerciale non offriva alcuna base tecnica adeguata per i primi riflettori, la situazione era molto diversa per i rifrattori. La sfida insita nel miglioramento dei telescopi rifrattori ‒ così come dei microscopi ‒ e nel dare agli strumenti ottici una buona reputazione, fu raccolta da abili e intraprendenti fabbricanti di occhiali. La loro tecnica di base derivava da un'industria consolidata e diffusa i cui prodotti, come gli occhiali e le lenti da lettura, erano abbondantemente richiesti. Partendo da questa base commerciale e tecnica, i fabbricanti potevano permettersi lo sviluppo di tecniche più laboriose e non convenzionali, anche se la domanda di rifrattori per l'osservazione astronomica non era alta. I piccoli telescopi per uso terrestre continuavano a essere prodotti e venduti, ma, come abbiamo visto, l'entusiasmo per i lunghi telescopi richiesti per l'osservazione astronomica si era quasi esaurito. Quando il riflettore cominciò a entrare nel mercato commerciale, il rifrattore, come strumento di osservazione, sembrava aver fatto il suo tempo; per gli osservatori dilettanti, infatti, non poteva competere con la comodità o le prestazioni del riflettore, che consentiva peraltro di ottenere una grande apertura e quindi di aumentare notevolmente la capacità di raccogliere la luce.
Anche se, come abbiamo visto, il telescopio rifrattore non era competitivo rispetto a quello riflettore, esso continuò comunque a giocare un ruolo fondamentale nella vita di un astronomo. Malgrado l'interesse diffuso nella filosofia naturale del cielo, l'osservazione non aveva soppiantato la misurazione come scopo principale nell'uso degli strumenti astronomici professionali. L'osservazione mediante il telescopio era relativamente nuova, e la funzione di questo strumento astronomico nel XVII sec. rimase dubbia fino a quando non fu possibile applicarlo alla misurazione.
L'uso del telescopio come strumento misuratore dipendeva dall'inserzione di un dispositivo nel campo visivo (per la precisione, nel piano focale dell'obiettivo, all'interno del tubo dello strumento). Un oggetto introdotto in questa posizione appariva nitidamente a fuoco, con l'immagine astronomica sullo sfondo. Per esempio, un punto di riferimento, ottenuto con fili incrociati, permetteva all'utilizzatore di allineare in modo preciso il tubo con l'oggetto da puntare; il telescopio era così usato come un mirino con grande potere d'ingrandimento, quindi, rispetto ai consueti semplici dispositivi di mira, consentiva una maggiore accuratezza nelle misure. Lo strumento di misura abituale consisteva infatti in un arco, per esempio un quadrante, con una scala graduata, e un 'regolo di mira' imperniato al centro. Sostituendo il regolo con un mirino telescopico si raggiungeva una precisione maggiore rispetto a quella ottenibile affidandosi al limitato potere risolutivo dell'occhio nudo. Aveva quindi senso costruire strumenti più grandi, con archi di raggio maggiore, le cui scale avessero divisioni più fini, e che fossero sistemati su supporti stabili, progettati e costruiti per questo scopo. Osservatori come quello di Parigi o di Greenwich adottarono queste soluzioni già verso la fine del XVII secolo.
Un secondo elemento, diverso dall'uso dell'arco graduato, che contribuì al diffondersi del telescopio come strumento per misurazioni astronomiche, si basava sull'inserimento di un dispositivo di misura, e non di un punto, nel piano focale dell'obiettivo. Si poteva trattare di una griglia o di una scala, oppure di fili o bordi rettilinei, che potevano essere spostati mediante una vite micrometrica comandata da una manopola posta all'esterno del tubo. L'entità dello spostamento dei fili era indicata da una scala circolare, mentre una scala lineare registrava il numero di giri della vite. Fu realizzato così un micrometro oculare, che consentiva di effettuare misurazioni nel campo visivo del telescopio senza che ci fosse bisogno di un movimento lungo un arco graduato. Questo procedimento si dimostrò utile per misurare piccole separazioni angolari tra le stelle, i diametri dei pianeti, alcune caratteristiche della Luna e qualsiasi fenomeno che implicasse piccoli spostamenti.
Nel 1700 il primo astronomo reale John Flamsteed utilizzò a Greenwich uno strumento nel quale l'arco e la sua struttura di sostegno erano fissati a una parete, per garantire maggiore stabilità. L'arco di Flamsteed copriva 140° ed era dotato di un mirino telescopico lungo 7 piedi (2,13 m ca.). La parete giaceva in un piano meridiano e ciò implicava la possibilità di misurare la posizione di un corpo celeste solamente una volta al giorno, quando l'astro che interessava passava per quel meridiano, ma questo non costituiva un particolare problema per un programma di misurazioni; era più importante minimizzare i movimenti involontari, dando priorità alla stabilità. Le misure di altezza nel meridiano si potevano convertire facilmente nella declinazione, usando la latitudine dello strumento. Flamsteed aveva anche un sestante in 'montatura equatoriale', che consentiva allo strumento di seguire facilmente il movimento apparente diurno di un astro sulla volta celeste; il sestante di Flamsteed era dotato di due mirini telescopici per coprire angoli fino a 60° tra due oggetti e il movimento equatoriale rendeva questo intervallo idoneo a esplorare qualsiasi porzione del cielo. Tuttavia, nel 1700 egli aveva già smesso di usare questo apparato, e non fu né il primo né l'ultimo astronomo a concludere che i movimenti del sestante compromettevano troppo l'accuratezza delle misure. Se la stabilità era più importante della facilità d'uso, la piccola apertura, che costituiva un limite per l'impiego del rifrattore come strumento di osservazione, aveva in questo caso conseguenze minori. Lo scopo delle osservazioni era ancora quello di localizzare con precisione l'oggetto celeste e misurarne la posizione e non quello d'indagare sulla sua struttura o sulle sue caratteristiche fisiche.
Anche l'Osservatorio di Parigi installò grandi strumenti murali, tra cui due quadranti di 6 piedi (1,83 m ca.) di raggio. Inoltre, all'inizio del secolo, i fabbricanti francesi cominciavano già a essere in grado di costruire strumenti di misura portatili, adatti alle spedizioni. La spedizione di Gian Domenico Cassini del 1700, che aveva lo scopo di misurare la lunghezza di un arco lungo il meridiano per determinare la dimensione della Terra, era equipaggiata con un quadrante di 39 pollici (99 cm ca.) di raggio, un ottante di 36 pollici (91 cm ca.) e un settore zenitale di 10 piedi (3,05 m ca.) di raggio, che copriva un arco di 26°. Si trattava di strumenti piuttosto elaborati e di notevoli dimensioni; il settore zenitale, infatti, finì per essere installato stabilmente presso l'Osservatorio parigino al rientro dalla spedizione.
Tuttavia, al volgere del secolo, alcune delle innovazioni più importanti prodotte dalle prime ricerche sugli strumenti di misura presso l'Osservatorio erano usate lontano da Parigi, in particolare da Ole Christensen Römer (1644-1710), che vi aveva lavorato con Jean Picard (1620-1682) ma era poi tornato nella nativa Danimarca, a insegnare matematica nell'Università di Copenaghen. Picard aveva usato un metodo di misura delle posizioni in base al quale bisognava rilevare con un orologio i tempi in cui avvenivano gli attraversamenti successivi del meridiano da parte di stelle osservate con un telescopio fisso avente una linea di riferimento. Su questa base Römer progettò un particolare dispositivo che avrebbe avuto un profondo effetto sullo sviluppo dell'astronomia, il cosiddetto 'strumento dei passaggi'. Römer in effetti si servì di strumenti che presentavano rilevanti innovazioni progettuali ma non ebbero la risonanza che meritavano, a causa del relativo isolamento dello scienziato, ma soprattutto perché egli non era nelle condizioni di farli duplicare per destinarli ad altri laboratori. In ogni caso, quando nel 1735 le descrizioni degli strumenti furono pubblicate, venticinque anni dopo la morte di Römer, già cominciavano a diffondersi altri dispositivi.
Lo 'strumento dei passaggi' era costituito da un telescopio lungo circa 6 piedi (1,83 m ca.), montato su un asse orizzontale e poggiato su supporti fissati alle pareti laterali di una finestra, l'usura dei quali era ridotta dall'utilizzazione di un contrappeso; il tubo era composto da due coni di metallo, con le basi unite nel centro e con sezioni decrescenti verso l'oculare e l'obiettivo. Il passaggio delle stelle al meridiano era determinato usando un reticolo di mira posto all'interno del tubo; i tempi erano annotati servendosi di un orologio a pendolo e le loro differenze fornivano una misura delle differenze di ascensione retta.
All'inizio del XVIII sec. Römer aveva prodotto altri strumenti degni di nota. Uno di questi era un telescopio in montatura equatoriale 'a forchetta', cioè con l'asse ottico parallelo all'asse terrestre, capace di poter seguire, per semplice rotazione intorno a un asse polare in uscita dal centro di un cerchio graduato parallelo all'equatore, il moto apparente in cielo di un corpo celeste. La declinazione era misurata servendosi di un arco graduato alla base della forchetta e di un cannocchiale di lettura solidale con il telescopio di osservazione, ma posto ad angolo retto rispetto a quest'ultimo. L'ascensione retta non era letta sul cerchio graduato, usato solamente per la regolazione, ma era ricavata da indicazioni di orologi, anche quando le osservazioni erano fuori del meridiano.
Uno degli aspetti più interessanti della strumentazione di Römer consisteva nel suo uso dei cerchi; egli disponeva di uno strumento altazimutale, cioè il cui asse ottico era capace di ruotare indipendentemente intorno a un asse verticale e a uno orizzontale, provvisto di due mirini telescopici che, anziché muoversi lungo un arco come di consueto, erano fissati a un cerchio e si muovevano solidali con esso. Molto tempo dopo, questa soluzione parve più soddisfacente, perché evitava lo spostamento, a causa dell'usura, del centro di rotazione del mirino dal centro di curvatura della scala. In questo caso la scala circolare era letta usando un microscopio e un reticolo, ossia una specie di microscopio micrometrico.
Un secondo tipo di strumento dei passaggi di Römer era di fatto un cerchio sulla cui graduazione circolare si poteva leggere la declinazione mediante due microscopi micrometrici, mentre le ascensioni rette erano desunte dalle indicazioni di un orologio a pendolo. L'asse orizzontale di rotazione del telescopio, montato su due pilastri, era costituito da un doppio cono, mentre il telescopio stesso aveva un reticolo nel piano focale, con tre fili orizzontali per la declinazione e sette verticali per l'ascensione retta. Questo straordinario strumento presentava molte caratteristiche che sarebbero diventate comuni negli strumenti meridiani del XIX secolo.
Ci si potrebbe chiedere come mai, date le innovazioni presenti nei suoi progetti, Römer non abbia esercitato una maggiore influenza sullo sviluppo degli strumenti astronomici. Ciò che mancava era in realtà una struttura produttiva di tipo commerciale, con le risorse e gli incentivi necessari a produrre più esemplari di un progetto ben riuscito; non si procedeva alla realizzazione di un singolo pezzo unicamente per la soddisfazione dell'astronomo che lo aveva progettato. Consolidare una tradizione produttiva in grado di esercitare un'influenza di ampia portata avrebbe richiesto basi più solide e un maggiore impegno commerciale.
Le condizioni favorevoli per lo sviluppo di competenze specializzate per la produzione in questo settore si andavano invece creando a Londra, dove nell'ultima parte del secolo fiorì una tradizione straordinaria di costruzione di strumenti in grado di soddisfare le esigenze di un'astronomia di precisione. Thomas Tompion (1638-1713) aveva ricevuto alcune delle prime commesse per la costruzione di strumenti astronomici da parte dell'Osservatorio reale di Greenwich, ma questi lavori rappresentavano per lui soltanto una disgressione occasionale dalla sua attività principale di produttore di orologi. Fu il suo giovane socio George Graham (1674 ca.-1751) che, dopo la morte di Tompion, trasformò quest'attività atipica in un settore organizzato di lavoro specialistico, anche se fu un altro artigiano londinese, John Bird (1709-1776), che poté, soltanto successivamente, dedicarsi pienamente a questa specializzazione.
Graham progettò e costruì una serie di strumenti che costituirono altrettanti prototipi di quella che sarebbe divenuta la dotazione strumentale degli osservatori astronomici; il quadrante murale costruito per Edmond Halley (1656-1742), astronomo reale a Greenwich dal 1720, fu tra le sue realizzazioni principali. In teoria, uno strumento di questo tipo permetteva di misurare entrambe le coordinate di posizione sulla sfera celeste, ossia ascensione retta e declinazione. Dal momento che il telescopio si trovava nel meridiano, misurando i tempi del passaggio di una stella attraverso il filo verticale posto nell'oculare si otteneva l'ascensione retta. Il problema era che una minima deviazione dal meridiano, sebbene non fosse critica ai fini della misura degli angoli verticali e della declinazione, comprometteva seriamente le misure di ascensione retta; era quindi impossibile fare affidamento su uno strumento, come il quadrante murale, il cui allineamento rispetto al meridiano non poteva essere verificato e corretto regolarmente.
Per questi motivi, Halley si procurò uno strumento dei passaggi non molto diverso da quello di Römer, costituito da un telescopio montato su un asse orizzontale, poggiato in questo caso su due pilastri di pietra. Il suo scopo iniziale era consentire la verifica dell'allineamento del quadrante, ma, dato che le sue misure di ascensione retta risultavano più accurate di quelle ottenute mediante il quadrante, finì per realizzare uno strumento a sé stante, diverso da quello di Römer per il fatto di avere un arco verticale e di essere in grado quindi di misurare le declinazioni. A Greenwich questi due tipi di misurazione si stavano affermando come procedure distinte, scelta che sarebbe stata poi diffusamente adottata per il resto del secolo (e a Greenwich molto più a lungo). Il grande vantaggio dello strumento dei passaggi consisteva nel fatto che poteva essere controllato con facilità e, regolando i sostegni sui pilastri, riallineato con il meridiano. Per queste procedure risultava particolarmente utile la possibilità di rimuovere completamente il telescopio e quindi invertire i sostegni.
L'uso di strumenti meridiani di questo tipo richiedeva un orologio affidabile per misurare l'ascensione retta, e fu di nuovo Graham che apportò le innovazioni necessarie all'orologio a pendolo. Anche se erano stati fatti diversi tentativi di costruire orologi dotati del livello di accuratezza richiesto (come quelli presenti presso l'Osservatorio di Römer), soltanto Graham riuscì a raggiungere concretamente tale obiettivo. I due elementi che resero gli orologi di Graham adatti allo scopo furono lo 'scappamento a riposo' e il 'pendolo compensato'. Il meccanismo di scappamento di Graham era progettato in modo tale che l'incastro tra i nottolini, solidali con il movimento del pendolo, e la ruota di scappamento, connessa attraverso una serie di ruote dentate al quadrante e al peso motore, non subisse alcun rinculo, riducendo così l'interferenza con le oscillazioni naturali del pendolo. Il pendolo compensato era progettato in modo da reagire a cambiamenti di temperatura mantenendo inalterata la posizione del baricentro, poiché qualsiasi variazione di lunghezza avrebbe comportato un'alterazione del periodo. Graham ottenne ciò sostituendo il normale contrappeso di ottone con un cilindro di vetro pieno di mercurio, che si dilatava verso l'alto quando la barra metallica del pendolo si allungava. Era quindi possibile regolare la compensazione aggiungendo o togliendo opportune quantità di mercurio.
Il quadrante murale e lo strumento dei passaggi divennero gli strumenti principali per l'attività professionale di misurazione astronomica presso gli osservatori, ma Graham sviluppò anche altri progetti importanti e fecondi. Uno di questi fu il 'settore zenitale', la cui funzione era quella di misurare la distanza zenitale nel meridiano, per arrivare quindi a calcolare la parallasse stellare, cioè la variazione ciclica annuale della posizione apparente di una stella causata dal moto orbitale della Terra.
All'inizio del XVIII sec., anche se qualsiasi astronomo serio accettava la concezione copernicana del Sistema solare, non era ancora disponibile alcuna dimostrazione sperimentale del movimento della Terra. Proprio per ottenere una tale dimostrazione, attraverso una misura della parallasse, Samuel Molyneux ordinò a Graham uno strumento del tipo suddetto con un tubo di 24 piedi (7,32 m ca.), mentre il suo amico James Bradley ne ordinò uno di 12 piedi (3,66 m ca.), lunghezza che sarebbe poi diventata standard. Bradley, che nel 1742 prese il posto di Halley come astronomo reale a Greenwich, non riuscì a misurare la parallasse, ma scoprì un diverso mutamento ciclico annuale delle posizioni delle stelle, noto come 'aberrazione stellare', dovuto alla variazione della velocità della Terra nella sua orbita intorno al Sole. Tale fenomeno forniva una prova del movimento della Terra altrettanto convincente di quella che sarebbe stata fornita dalla misura della parallasse; la risonanza di queste misure conclamò l'importanza del settore zenitale di Graham, che diventò uno strumento di cui ogni osservatorio ambizioso desiderava il possesso, anche se la sua applicabilità fu in genere piuttosto limitata.
I dispositivi di Graham, in particolare il quadrante murale e lo strumento dei passaggi (con il relativo orologio), furono largamente adottati e costituirono il modello di riferimento per le misurazioni astronomiche per il resto del secolo. Tuttavia non fu lui stesso a beneficiare dell'adozione diffusa dei suoi dispositivi, ma alcuni importanti fabbricanti londinesi, come Jonathan Sisson, che costruì la montatura per il suo quadrante murale, e John Bird, i quali proseguirono nel loro lavoro la tradizione di costruire strumenti astronomici di precisione iniziata da Graham.
Nel 1750 Bird completò un altro quadrante murale per l'Osservatorio reale, prendendo a modello lo strumento di Graham, e fornì a Bradley un nuovo strumento dei passaggi. La prima segnalazione del quadrante di Graham era apparsa in A compleat system of opticks di Robert Smith, in cui si elogiavano le "eccezionali capacità" di Graham e si menzionava Sisson come colui che fabbricava esemplari su ordinazione. Un riconoscimento più ufficiale avvenne nel 1767 quando la Commissione per la longitudine di Londra pubblicò la descrizione di Bird del suo metodo di divisione degli strumenti astronomici e, l'anno seguente, la sua descrizione del cerchio murale che aveva costruito a Greenwich; si trattava di un'ammissione importante della fama crescente di Bird. Fu attraverso lui e Sisson che i fabbricanti londinesi cominciarono a esportare i loro strumenti destinati ai diversi osservatori che venivano via via fondati in Europa. Lo sviluppo degli strumenti era accompagnato da un preciso programma di lavoro e dal sempre maggiore consenso sulle caratteristiche distintive dell'attività di ricerca di un astronomo professionista, che era quotidianamente responsabile del funzionamento di un osservatorio. L'accordo tra gli astronomi su un ben definito programma di lavoro (misurazioni meridiane), con un livello di consenso insolito per altre scienze, fu reso possibile dall'accettazione di un insieme fondamentale di strumenti astronomici, fabbricati prevalentemente nella sola Londra. Ci si accorse poi in effetti che il programma di misurazioni meridiane era troppo diffuso, essendo tutt'altro che chiaro il motivo per il quale istituzioni dotate di strumentazione simile dovessero perseguire lo stesso programma di misure delle altre.
In ogni caso, con Graham ebbe inizio l'esportazione dei nuovi dispositivi di strumentazione astronomica. Uno dei suoi settori zenitali, con un telescopio di 9 piedi (2,74 m ca.) montato su un supporto portatile, accompagnò Maupertuis in Lapponia nel 1736, in una delle due spedizioni per la misurazione della latitudine organizzate dall'Académie Royale des Sciences di Parigi allo scopo di determinare la forma della Terra. Maupertuis disponeva anche di un orologio e di uno strumento dei passaggi progettati da Graham, e la pubblicazione del suo lavoro La figure de la terre, nel 1738, costituì un'ottima pubblicità per la scuola inglese.
Le maggiori opportunità per questa scuola derivarono dalla crescita del numero degli osservatori. Pierre-Charles Le Monnier (1715-1799), membro dell'altra spedizione, in Perù, divenne un sostenitore della strumentazione inglese, descrivendo il quadrante murale e lo strumento dei passaggi nella sua Histoire céleste del 1741, e ordinando a Sisson uno di questi quadranti nel 1743. Prestò questo strumento, nel 1751, alla Königliche Preussische Akademie der Wissenschaften (Accademia Reale Prussiana delle Scienze) di Berlino, mandando il suo allievo Joseph-Jérôme Le Français de Lalande a installarlo, mentre egli stesso acquistò un quadrante murale di 8 piedi (2,44 m ca.) da Bird nel 1753. L'Astronomie di Lalande, del 1764, fornì un ulteriore sostegno agli strumenti inglesi, mentre la Description et usage des principaux instruments d'astronomie di Le Monnier, del 1774, ne costituì un'ampia e grandiosa descrizione, basata in gran parte direttamente sul lavoro di Bird. Nello stesso anno Lalande acquisì un quadrante murale di 8 piedi progettato da Bird per l'école Militaire di Parigi.
L'esempio francese non era unico. In Germania, Gottinga e Mannheim si unirono a Berlino nell'acquisto di quadranti inglesi, entrambi fabbricati da Bird. In Italia apparvero importanti strumenti inglesi a Bologna, Firenze, Milano, Padova e Pisa. Altri andarono a Eger in Ungheria, a Vilnius, a Pietroburgo e a Madrid. In Inghilterra, quando fu fondato l'Osservatorio Radcliffe, come rivale di quello di Greenwich, Bird fornì due quadranti murali, uno strumento dei passaggi, un settore zenitale e un settore equatoriale.
Per tutto questo periodo la sola rivale della scuola di Londra fu quella di Parigi, che divenne però sempre meno agguerrita. Nell'Osservatorio di Parigi fu installato nel 1732 un quadrante murale di 6 piedi (1,83 m ca.), ma non su una parete costruita allo scopo, e senza una struttura di sostegno adeguata; non si trattò di un successo. Claude Langlois ebbe maggior fortuna con strumenti portatili e, come Graham, ne fornì alcuni per le spedizioni organizzate dall'Académie intorno al 1730; uno degli strumenti usati regolarmente da Jean-Dominique Cassini (1748-1845) era un suo quadrante mobile di 6 piedi, installato presso l'Osservatorio parigino nel 1742. I costruttori francesi di strumenti astronomici comunque non erano in grado di rivaleggiare seriamente con quelli inglesi e la loro capacità di competere per la fornitura di strumenti importanti diminuì ulteriormente dopo Langlois. Quando Cassini divenne direttore dell'Osservatorio di Parigi, nel 1784, si convinse che i vecchi talenti francesi erano stati eclissati dai fabbricanti inglesi ed erano rimasti molto indietro; per la prima volta, l'Osservatorio ordinò strumenti importanti a Londra.
Le ragioni delle differenze tra le produzioni di Londra e quelle di Parigi erano in parte di carattere istituzionale. Langlois fu nominato costruttore di strumenti presso l'Académie, come lo fu suo nipote, e successore in affari, Jacques Canivet, mentre Graham fu ammesso come membro a pieno titolo della Royal Society di Londra. In seguito, costruttori di strumenti astronomici importanti, come Jesse Ramsden (1735-1800), John Dollond (1706-1761) ed Edward Troughton (1753-1836) non ne furono semplicemente membri, poiché a ognuno di essi fu riconosciuta la più alta onorificenza della Royal Society, la medaglia Copley, ed ebbero l'opportunità di scrivere articoli per la rivista della società "Philosophical Transactions". Lo status elevato raggiunto dai principali fabbricanti di strumenti all'interno della comunità astronomica, malgrado la loro modesta provenienza sociale, gli fu molto utile per comprendere le esigenze e gli obiettivi dei loro eminenti clienti, e per il loro coinvolgimento nell'avventura astronomica; un livello analogo d'inserimento sarebbe stato inimmaginabile a Parigi.
Mentre la strumentazione dedicata all'astronomia di precisione progrediva e si assestava su nuove basi tecniche, non si vedevano grandi progressi nei telescopi a uso puramente osservativo, che risultavano di poca utilità nell'ambito dell'astronomia professionale. Il ruolo principale dei rifrattori risiedeva nella loro applicazione, come mirini telescopici, agli strumenti di misura, mentre i riflettori quasi non figuravano nella normale attività degli osservatori; essi erano considerati principalmente strumenti per dilettanti, a causa della loro scarsa applicabilità alle misurazioni. Short, comunque, si unì a Bird per la costruzione di parecchi strumenti per la spedizione organizzata per osservare il transito di Venere del 1769, anche se, morendo nel giugno del 1768, non poté assistere all'evento. L'osservazione richiedeva anche misure, ma ormai il riflettore gregoriano era stato dotato di un micrometro, in base a un progetto di Dollond.
Il terzo gruppo di strumenti astronomici comprende quelli che applicavano le tecniche e le idee sviluppate nell'ambito astronomico a vari problemi nel campo professionale o della vita quotidiana; la navigazione, per esempio, dipendeva da misurazioni astronomiche, così come la più abituale determinazione dell'ora. All'inizio del XVIII sec. v'era ormai una tradizione di lunga data nella fabbricazione di strumenti matematici e una serie di dispositivi ben consolidati. La determinazione dell'ora a partire dalla posizione del Sole era un problema sul quale si erano profusi grande ingegno e attenzione, e sebbene sia gli orologi da taschino sia quelli da torre fossero divenuti oggetti familiari, per verificare l'ora da essi indicata erano ancora necessarie le meridiane.
Le meridiane portatili, in particolare, incorporavano un discreto grado di conoscenza astronomica e, in un mercato competitivo, offrivano spesso caratteristiche che andavano al di là della semplice funzione d'indicare l'ora. In quel periodo erano comuni le meridiane portatili orizzontali, le oblique, le equinoziali di vario tipo ‒ compresa l'ingegnosa e attraente meridiana equinoziale ad anello ‒ e i quadranti orari; questo elenco è tutt'altro che completo, in quanto ricorda soltanto gli strumenti più diffusi.
Quando si parla degli strumenti astronomici si tende a dimenticare questi dispositivi, polarizzando l'attenzione piuttosto su quelli installati negli osservatori; tuttavia essi di fatto erano basati sugli stessi principî astronomici e la comprensione del loro funzionamento rappresentava una via di accesso alla conoscenza astronomica tout court. Si trattava anche di strumenti molto diffusi e quindi, a differenza di quelli usati negli osservatori professionali, essi trasferivano la conoscenza astronomica nell'esperienza quotidiana.
A questo riguardo, la forma comune del quadrante orario era particolarmente istruttiva. Il tipo più diffuso nel XVIII sec. era il cosiddetto 'quadrante di Gunter', il cui progetto era stato pubblicato nel 1623 da Edmund Gunter (1581-1626), professore di astronomia presso il Gresham College di Londra; esso consisteva nella proiezione sul piano equatoriale, per una singola latitudine, delle linee orarie per l'altezza del Sole e delle linee per determinare l'azimut del Sole conoscendo la sua altezza. Il dispositivo era dotato della necessaria regolazione per la declinazione solare, e la proiezione comprendeva sia l'eclittica sia l'orizzonte; la misura del tempo era ricavata da quella dell'altezza del Sole. Poteva essere usato a memoria, ma dalle istruzioni nei manuali s'intuisce che buona parte degli utenti erano in effetti interessati a capirne il funzionamento.
Un altro strumento astronomico diffuso nel XVIII sec., per la cui piena comprensione erano richieste conoscenze astronomiche di gran lunga inferiori, era il 'planetario', il cui nome inglese era orrery. Abbiamo già incontrato alcuni dei nomi associati alle prime fasi della storia del planetario. Römer, per esempio, progettò congegni a ingranaggi per illustrare sia lo schema copernicano dei movimenti planetari, sia quello di Tycho Brahe. George Graham progettò per la prima volta con successo alcuni planetari in Inghilterra; nei primi anni del XVIII sec. fabbricava congegni in grado di rappresentare l'orbita della Terra intorno al Sole insieme al movimento della Luna intorno alla Terra. Il termine orrery fu per la prima volta associato a uno strumento costruito da John Rowley, di Londra, per conto di Charles Boyle, quarto conte di Orrery, intorno al 1712; anche in questo caso i movimenti si limitavano al Sole, alla Terra e alla Luna, all'interno del cerchio dell'eclittica. In seguito, i planetari si diffusero e si fecero molto più ambiziosi, fino a includere l'intero Sistema solare noto, compresi i satelliti dei pianeti. L'astronomo James Ferguson (1710-1776), membro della Royal Society, fu un progettista particolarmente prolifico di diversi tipi di planetari, nella fase in cui divennero sempre più di moda. I grandi planetari, che potevano essere guidati da meccanismi a orologeria o azionati a mano, divennero vistosi elementi di arredamento per le case di lusso, mentre al tempo stesso costruttori londinesi come George Adams jr (1750-1795) e Benjamin Martin (1704-1782) offrivano anche modelli più modesti, da tavolo, che tuttavia potevano essere dotati di accessori intercambiabili, come, per esempio, un dispositivo che riproduceva il moto terrestre, al fine di illustrarne i cicli stagionali e giornalieri, e quindi una varietà di fenomeni astronomici.
Un curioso strumento dimostrativo del XVIII sec. è la cosiddetta 'sfera armillare copernicana', che incorporava una sfera armillare tradizionale e un piccolo planetario, montato all'interno dei consueti cerchi delle sfere celesti, in modo da mostrare il Sole al centro, circondato dalla Terra e dagli altri pianeti. Il dispositivo appare come frutto del tentativo di adattare uno strumento tradizionale alla nuova disposizione dei pianeti secondo le vedute copernicane; il risultato era però contraddittorio, poiché la rotazione della sfera celeste esterna era tolemaica, mentre la contemporanea rotazione della Terra era copernicana, così come la fascia esterna dell'eclittica rappresentava l'orbita annuale del Sole, anche se il Sole del planetario centrale era fisso al centro dell'Universo. Verso la fine del secolo il costruttore francese Charles-François Delamarche fabbricava sia sfere armillari copernicane di poco costo, ma con le stelle fisse, sia sfere di tipo tolemaico, probabilmente perché risultavano ancora utili per l'insegnamento. Il planetario vero e proprio eliminò queste incongruenze e questo tipo di sfera armillare copernicana finì per scomparire.
Non tutti gli strumenti astronomici per non astronomi erano realizzati a fini d'insegnamento o di svago; alcuni assolvevano una seria funzione di ausilio per la navigazione. All'inizio del XVIII sec. si usavano strumenti portatili per misurare l'altezza di astri sull'orizzonte, allo scopo di determinare la latitudine dalla posizione del Sole o delle stelle. Il cosiddetto 'quadrante di Giacobbe' (cross-staff), sebbene fosse uno strumento abbastanza antico, era ancora discretamente diffuso in Olanda, e ne erano quindi fabbricati molti esemplari; si sa, per esempio, che tra il 1731 e il 1748 ne furono venduti 1148 da van Kaulen, di Amsterdam, alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Nella configurazione più comune una traversa di legno scorreva su una lunga asta graduata (staff), in modo tale da indicare la distanza angolare visibile tra l'oggetto osservato e un oggetto di riferimento, per esempio tra l'orizzonte e la Stella Polare nel caso di una misurazione di latitudine. Questo metodo per derivare la latitudine, in cui l'oggetto era mirato direttamente, era poco pratico quando si basava sulla misura dell'altezza del Sole a mezzogiorno, con una correzione che teneva conto della declinazione solare. I marinai olandesi avevano però sviluppato un metodo per usare lo strumento stando di spalle al Sole: si faceva in modo che l'ombra dell'estremità superiore della traversa coincidesse con l'estremità opposta dell'asta, mentre l'estremità inferiore della traversa e quella opposta dell'asta erano allineate con l'orizzonte.
Gli Inglesi preferivano uno strumento specializzato per osservazioni fatte di spalle al Sole, cioè la back-staff: in questo caso, invece di un'asta graduata, si servivano di un arco, suddiviso in gradi e dotato di un mirino a ombra per il Sole e di un piccolo mirino a foro per l'orizzonte, entrambi regolabili una volta puntato lo strumento. Un'ingegnosa caratteristica di questo dispositivo era costituita dalla suddivisione del quadrante in sezioni di 60° e di 30°; su quella superiore, di 60°, era montato il mirino a ombra, che poteva essere disposto in corrispondenza a un valore scelto in base alla misurazione che s'intendeva compiere ‒ per esempio 10 o 20 gradi in meno rispetto all'altezza presunta ‒ su un arco il cui raggio era relativamente piccolo. Per l'arco di 30°, sul quale si doveva regolare il mirino a foro per effettuare la misura, si poteva quindi adottare un raggio molto più lungo, tale da permettere un numero di divisioni maggiore e quindi una lettura più precisa, senza rendere l'intero strumento troppo grande; questa seconda scala presentava quasi sempre anche sottodivisioni diagonali. Il valore dell'altezza misurato sull'arco di 30° poteva quindi essere semplicemente aggiunto a quello misurato sull'arco di 60°.
La back-staff e la cross-staff erano in genere fatte di legno, come pure un altro strumento astronomico usato in mare nel XVIII sec., prevalentemente in Inghilterra. Si tratta del 'notturlabio', o 'notturnale', che già dal Medioevo ‒ sia pure in forme più semplici ‒ era usato per determinare l'ora di notte, misurando la rotazione della sfera celeste intorno al polo. Anche se ne esistono descrizioni risalenti al XVI sec., la maggior parte degli strumenti di questo tipo usati dai marinai in epoca moderna risale alla prima metà del XVIII secolo. Il notturlabio era costituito essenzialmente da due dischi di legno che erano provvisti ciascuno di una scala graduata e uno dei quali era dotato di una maniglia; questi dischi erano tenuti stretti insieme, per attrito, da un perno di ottone forato assialmente, a cui era connessa anche un'alidada che si protendeva oltre i dischi. Si doveva innanzitutto far corrispondere la scala temporale, posta sul disco più interno, con la scala della data, posta sul disco più esterno; tenendo quindi la maniglia verticalmente e mirando la Stella Polare attraverso il centro del perno si faceva coincidere l'alidada con determinate stelle circumpolari in modo da leggere l'ora sul cerchio interno. La procedura che abbiamo descritto è una versione strumentale di qualcosa che i marinai devono aver spesso effettuato in modo approssimato, dato che il movimento rotatorio delle stelle fornisce un'indicazione naturale del progredire della notte. Il notturlabio forniva una misura in grado di sostituire in modo strumentale e rigoroso questa stima approssimata, consentendo anche di tenere conto della data. Lo strumento era anche dotato di scale per le maree, legate alle fasi lunari, e poteva misurare la correzione da apportare all'altezza della Stella Polare rilevata con strumenti come la cross-staff, in modo da determinare la latitudine. Siccome la Stella Polare si trova a qualche grado dal polo, e ruota quindi con il resto della sfera celeste, l'orientazione delle stelle circumpolari poteva fornire una correzione per la determinazione della vera altezza del polo. Si vede qui di nuovo come uno strumento relativamente semplice e di uso quotidiano incorporasse una quantità notevole di conoscenze astronomiche di base, certamente più di quelle possedute dalla maggioranza delle persone istruite di oggi.
Lo stesso John Hadley, che aveva perfezionato il telescopio riflettore, giocò un ruolo importante nella storia della categoria di strumenti che rappresenta più chiaramente il legame tra la navigazione e l'astronomia: l'ottante, o 'quadrante di Hadley', il sestante e il cerchio riflettore, basati tutti sugli stessi principî di ottica. Tutti questi strumenti hanno due specchi, uno fisso e l'altro solidale con un'alidada mobile su un arco graduato. Di due oggetti, uno poteva essere mirato mediante due riflessioni, la prima nello specchio imperniato nell'alidada e la seconda in quello fisso, mentre l'altro poteva essere mirato direttamente servendosi del bordo dello specchio fisso o di una sua parte non argentata. L'osservatore doveva far coincidere queste due immagini sullo specchio fisso. Poiché ciò che si mira direttamente è in genere l'orizzonte, lo specchio fisso era spesso chiamato 'specchio dell'orizzonte', mentre l'altro 'specchio indice'. Con la rotazione dello specchio i raggi riflessi erano deviati di un angolo pari al doppio di quello della rotazione dello specchio. In altre parole, bastava che l'angolo di rotazione dello specchio fosse la metà di quello richiesto dall'immagine riflessa. Per questo motivo, le scale su questi strumenti a riflessione avevano un numero di divisioni doppio rispetto alle normali scale angolari; un angolo di 45° era quindi suddiviso in 90 divisioni, uno di 60° in 120 divisioni e così via; questo spiega anche l'ambiguità nella denominazione ('ottante' o 'quadrante') dello stesso strumento.
La costruzione di strumenti portatili più accurati aveva un'ulteriore motivazione rispetto a quella di misurare in mare l'altezza degli astri. La possibilità di determinare la longitudine a partire dalla posizione della Luna rispetto alle stelle (il metodo cosiddetto 'delle distanze lunari') stava diventando più realistica, grazie sia ai programmi di osservazione delle posizioni delle stelle e della Luna, intrapresi da vari osservatori, sia ai progressi nelle teorie del moto lunare, resi possibili dai principî di dinamica enunciati da Newton. La disponibilità di tabelle per le distanze lunari calcolate per un meridiano di riferimento, rendendo possibile la misurazione del tempo in base alle osservazioni lunari, accrebbe la necessità di strumenti sufficientemente accurati e abbastanza versatili per poter essere usati in mare.
Anche se vi erano altri progetti simili, in particolare quello di Thomas Godfrey (1704-1749), vetraio, costruttore di strumenti astronomici e matematico autodidatta di Filadelfia, il progetto dell'ottante è tradizionalmente associato, a torto o a ragione, all'annuncio fatto da Hadley alla Royal Society nel 1713, e alla versione standard perfezionata, pubblicata nel 1734. La determinazione di distanze lunari può richiedere misure angolari maggiori di 90°, e i primi ottanti fornivano questa possibilità. Erano di solito dotati di un secondo mirino, e di un secondo specchio per l'orizzonte, posto ad angolo retto rispetto alla posizione di zero dello specchio indice, che consentiva di aggiungere 90° all'angolo indicato sulla scala. Questo espediente non funzionò molto bene in pratica, e l'ottante fu usato in generale per scopi più di routine, come la determinazione della latitudine a partire da misure di altezza solare o stellare, o la determinazione dell'ora locale, con procedimenti analoghi. Occorre dire che, da una parte, soltanto dopo parecchio tempo furono disponibili effemeridi abbastanza affidabili da permettere in pratica la determinazione della longitudine da distanze lunari, e che, d'altra parte, quando ciò avvenne erano ormai disponibili strumenti migliori, sviluppati a partire dall'ottante.
Il cerchio riflettore e il sestante applicavano gli stessi principî, ma a strumenti con archi maggiori. Un'estensione al cerchio completo fu progettata dall'astronomo di Gottinga Johann Tobias Mayer, che lavorava a una teoria lunare su cui basare un metodo per il calcolo della longitudine. Il suo cerchio, dotato di un mirino telescopico, era suddiviso in 720 parti; posizionando sia il telescopio sia lo specchio su bracci imperniati al centro, Mayer fece in modo che si potesse ripetere la stessa osservazione lungo tutto il cerchio. Dividendo l'angolo complessivamente ottenuto per il numero di osservazioni, si riducevano gli errori di osservazione, di lettura della scala e strumentali. Nel 1787 il matematico francese Jean-Charles Borda (1733-1799) pubblicò il suo progetto perfezionato di cerchio riflettore, con un miglioramento della procedura di ripetizione e una conseguente riduzione dell'errore grazie al minor numero di operazioni e al minor tempo necessario a portarle a termine. Il tempo era naturalmente un fattore importante, perché l'angolo variava con il movimento della Luna. La procedura era perciò integrata da misure di tempo, di cui si doveva tenere conto nei calcoli complessi che seguivano le osservazioni.
Questi cerchi portatili stavano diventando abbastanza accurati da poter essere usati per misure astronomiche al di fuori degli osservatori. I Francesi adottarono il cerchio di Borda anche per la navigazione, mentre per l'astronomia sul campo questi strumenti erano dotati di sostegni adeguati. Questi sostegni sono presenti, per esempio, in un cerchio inglese progettato e costruito da Edward Troughton, che fu probabilmente abbastanza diffuso tra gli astronomi. Era basato su principî ottici simili, anche se il procedimento di misura non prevedeva la ripetizione delle osservazioni. Lo strumento era invece dotato di tre alidade, a 120° l'una dall'altra, solidali con il movimento dello specchio, mentre il telescopio era fisso. Spesso questi strumenti erano dotati di un orizzonte artificiale, per misurazioni di altezza effettuate a terra, che era di solito costituito da una scanalatura contenente mercurio, sicché l'altezza di un oggetto era la metà dell'angolo tra questo e la sua immagine riflessa nel mercurio.
Il sestante emerse, intorno al 1760, come uno strumento di compromesso: più leggero, meno ingombrante e meno costoso del cerchio, ma più versatile dell'ottante. Divenne presto lo strumento preferito per misurare distanze lunari in mare. Non richiedeva, naturalmente, alcuna procedura di ripetizione, ma poteva disporre anch'esso di un supporto e di un orizzonte artificiale, e si poteva usare in astronomia. In genere soltanto i migliori sestanti erano usati per quest'ultima finalità; il sestante a telaio doppio progettato da Troughton sembra esser stato tra i favoriti degli astronomi.
Newton era arrivato alla conclusione che la rifrazione della luce si accompagnava inevitabilmente alla dispersione delle sue componenti cromatiche, il che sembrava porre un limite assoluto ai possibili sviluppi del telescopio rifrattore. Aveva poi attribuito a questa conclusione una particolare importanza nel corso del suo dibattito con Robert Hooke e nel fare ricorso a un experimentum crucis in grado di confermare la sua interpretazione. Anche se forse non è vero che Newton aveva basato la sua filosofia naturale sull'esperimento piuttosto che sulle ipotesi, in questo caso si trattava proprio di un esempio paradigmatico di fatto sperimentale. La fama di Newton ebbe però anche l'effetto di promuovere l'ottica sperimentale a settore di ricerca. Non è perciò così sorprendente il fatto che un dilettante come l'avvocato inglese Chester Moor Hall abbia effettuato esperimenti sulle diverse proprietà di rifrazione di tipi differenti di lenti, e abbia potuto pensare di trovare combinazioni in grado di deviare la luce senza disperderla; si poteva, per esempio, combinare una lente convessa di vetro crown (molto trasparente e poco rifrangente) con una lente concava fatta di vetro flint (duro e luminoso, molto rifrangente) in modo da compensare l'effetto dispersivo del vetro crown, senza alterare il carattere convergente della lente. Le differenti versioni della storia della scoperta di Hall emersero soltanto dopo che John Dollond ebbe pubblicato il suo progetto di lenti acromatiche e dopo che il figlio Peter si adoperò per far valere il brevetto ottenuto dal padre, anche se gli argomenti a favore di Hall appaiono ben fondati.
In realtà, Hall non era in grado di fabbricare da solo i componenti delle lenti, e ordinava quindi gli elementi di vetro crown e di vetro flint da altri due ottici, Edward Scarlett e James Mann. Egli non era probabilmente consapevole del fatto che richieste commerciali di questo tipo erano spesso subappaltate; infatti, entrambi i suddetti produttori ordinarono a loro volta le lenti allo stesso artigiano, George Bass. Questi scoprì che le due lenti erano destinate allo stesso cliente, e mettendole insieme fu in grado d'intuire le intenzioni di Hall, il quale passò in seguito a ordinare lenti acromatiche a John Bird e a James Ayscough, facendo così pensare che la sua idea fosse già largamente diffusa nell'ambiente commerciale di Londra.
John Dollond (il già nominato costruttore di strumenti scientifici) era figlio di un ugonotto immigrato a Londra e apprese da lui il mestiere di tessitore di seta a Spitalfields. Il suo interesse per l'ottica lo spinse a intraprendere esperimenti che miravano alla realizzazione di lenti acromatiche, stimolato anche dalle ipotesi teoriche di Leonhard Euler e incoraggiato da James Short. Nella successiva disputa che Dollond ebbe con gli ottici di Londra circa la paternità del brevetto sulle nuove lenti, alcuni sostennero che i contatti che egli aveva avuto con i fabbricanti di strumenti (tra i quali v'era anche George Bass) avevano influenzato la direzione presa dai suoi esperimenti e che Dollond era stato in realtà informato da altri della combinazione acromatica di vetro flint e crown, che egli sosteneva di aver scoperto.
Il figlio di Dollond, Peter (1730-1820), avviò un'attività commerciale come ottico a Spitalfields nel 1750, e suo padre si mise in società con lui due anni dopo. Nel 1758 Dollond illustrò il principio di funzionamento delle lenti acromatiche in un articolo presentato alla Royal Society e gli fu assegnata dall'istituzione londinese, di cui fu eletto membro, la medaglia Copley. Senza dubbio questo riconoscimento gli fu utile nel sostenere la sua richiesta della paternità del brevetto delle nuove lenti.
Dopo la morte del padre, nel 1761, Peter fece valere il brevetto e agì legalmente contro gli ottici che lo ignoravano. Un gruppo, tra questi, mise in dubbio la legittimità di quanto sostenuto da Dollond, ricorrendo presso il Consiglio privato nel 1764, e fu attraverso i conseguenti atti legali che fu ricostruita la storia commerciale del prodotto e, in particolare, quella relativa a Chester Moor Hall. Alla fine Dollond ammise che suo padre aveva parlato con Bass e aveva in effetti incontrato Hall, ma negò che questi contatti avessero influito in maniera significativa sul suo lavoro. In tutta la sua difesa dell'originalità della scoperta del padre, Peter sostenne che ciò che distingueva il lavoro paterno da quello degli altri ottici era appunto la padronanza della filosofia naturale; gli altri ottici, a prescindere da risultati pratici isolati, avevano secondo lui una scarsa conoscenza dei principî di ottica e non sapevano applicarli in maniera sistematica.
Dovunque sia la ragione in questa contesa, l'invenzione delle lenti acromatiche trasformò le potenzialità del telescopio rifrattore. Si continuò a discutere sull'entità del merito che spettava a Dollond, anche perché matematici del Continente come Euler, Samuel Klingenstierna e d'Alembert pretendevano un riconoscimento e, nello stesso tempo, restava in dubbio quanta parte del successo di Dollond derivasse semplicemente da un procedimento per prova ed errore. Fu il matematico francese Alexis-Claude Clairaut (1713-1765) a studiare le insufficienze del sistema basato sulla combinazione delle due lenti, riuscendo a minimizzarle grazie al suggerimento di fare in modo che le curvature delle superfici contigue corrispondessero esattamente e le due lenti potessero essere incollate l'una all'altra. Un ulteriore perfezionamento, introdotto da Dollond, consisteva nell'aggiungere un'altra lente convergente di vetro crown, in modo da formare un tripletto acromatico, con una migliore correzione sia dell'aberrazione cromatica sia di quella sferica. Telescopi rifrattori con lente obiettiva di questo tipo, costruiti a partire dal 1763, con una lunghezza focale di 42 pollici (106,7 cm ca.) e un'apertura di 3 pollici e tre quarti (9,6 cm ca.), furono tra gli strumenti più diffusi e più premiati, nella gamma prodotta da Peter Dollond. Egli realizzò anche strumenti più grandi, fino a un telescopio con una coppia acromatica di 5 pollici (12,7 cm) e una lunghezza focale di 10 piedi (3,05 m ca.). Il suo brevetto scadde nel 1772.
Dollond, se da un lato contribuì con i telescopi acromatici (con montatura equatoriale o altazimutale) a dare nuova vita alle fortune del rifrattore come strumento per l'osservazione astronomica, dall'altro lato svolse un ruolo anche nei progressi delle misurazioni astronomiche. Innanzitutto, i suoi dispositivi acromatici miglioravano la definizione offerta dai mirini telescopici su strumenti fissi. Le lettere di John Bird a Thomas Hornsby, del 1771, circa gli strumenti da acquistare per l'Osservatorio Radcliffe a Oxford, contengono testimonianze sulle sue richieste a Dollond circa i prezzi degli obiettivi acromatici. Quando Bird ottenne effettivamente la commessa, spiegò che doveva in primo luogo ordinare a Dollond gli obiettivi per i quadranti murali, poiché il raggio esatto degli strumenti dipendeva dalle lunghezze focali delle lenti.
John Dollond progettò anche un tipo di micrometro che rendeva possibili le misure sia con un riflettore sia con un rifrattore. Si trattava del suo micrometro 'a obiettivo diviso', in cui la lente è tagliata lungo un diametro, e le due metà sono poste in alloggiamenti separati di ottone, mobili lungo il diametro comune mediante un ingranaggio a cremagliera regolato dal lato dell'oculare mediante un perno. Lo spostamento, misurato su una scala lineare tramite un nonio, produceva due immagini separate, più deboli dell'unica immagine prodotta dall'intera lente. Con questo metodo, basato sulla coincidenza delle immagini, si poteva misurare la distanza tra le componenti di una stella doppia, il diametro dei pianeti e così via. Era poi possibile far ruotare tutta la lente mediante un altro ingranaggio e un altro perno, in modo da poter effettuare le misurazioni con qualsiasi orientazione. Nel caso di un rifrattore, l'obiettivo stesso era diviso, mentre nel caso di un riflettore si doveva sistemare una lente con grande lunghezza focale all'estremità del tubo. Short riuscì a ottenere da Dollond dispositivi simili per i suoi telescopi gregoriani, in particolare per misurare il transito di Venere.
Nella seconda metà del XVIII sec. vi furono altri tentativi per rendere l'equatoriale qualcosa di più di una semplice montatura utile per uno strumento dedicato all'osservazione, in modo da poterlo adottare anche per misurazioni. Abbiamo visto che i primi tentativi erano falliti a causa delle difficoltà nel progettare e nel costruire una montatura abbastanza stabile da non spostarsi quando si dava una nuova configurazione allo strumento. La possibilità di misurazioni non meridiane era interessante, ma queste sarebbero state poco utili nell'ambito dell'osservazione professionale, a meno di non far raggiungere allo strumento lo stesso grado di precisione degli strumenti meridiani. Ciononostante, i fabbricanti avevano interesse a sviluppare questo tipo di strumenti, che potevano attirare l'interesse del mercato dei dilettanti e magari convincere occasionalmente qualche cliente a ordinare uno strumento idoneo a un osservatorio fisso.
La maggior parte dei principali fabbricanti di Londra era in grado di offrire equatoriali portatili, con un arco per fissare la latitudine, un cerchio per l'ascensione retta e un cerchio o un arco per la declinazione. I dettagli della realizzazione meccanica cambiavano a seconda dell'ingegnosità dei singoli fabbricanti, tra i quali i più importanti erano Short, Dollond, Edward Nairne, Jesse Ramsden, Sisson ed Edward Troughton. Uno degli strumenti di Troughton, fornito all'Osservatorio universitario reale di Coimbra in Portogallo, era alto 7 piedi (2,13 m ca.), ed è rappresentativo della persistente aspirazione a costruire strumenti di misura equatoriali idonei a compiti di osservazione.
Due equatoriali, costruiti nella scia di questa tradizione verso la fine del secolo, meritano di essere citati perché, nonostante non furono davvero un successo, segnarono passi importanti verso l'adozione dei cerchi per compiti di precisione. Abbiamo già visto come, grazie alla riduzione degli errori, i cerchi portatili offrivano alcuni vantaggi rispetto agli ottanti e ai sestanti. I loro svantaggi, per i naviganti e i topografi, derivavano dall'essere relativamente ingombranti, pesanti e costosi. In astronomia, però, la precisione aveva la massima priorità, e dall'uso più versatile dei cerchi si potevano trarre notevoli vantaggi. Alla fine del XVIII sec. era ormai chiaro che gli sviluppi futuri delle misure astronomiche avrebbero comportato l'adozione del cerchio al posto del quadrante, come strumento fondamentale.
Jesse Ramsden, già nominato in precedenza, era il principale costruttore di strumenti di precisione in Inghilterra dopo la morte di Bird nel 1776; egli rappresentava in effetti l'apice della fama acquisita dai fabbricanti inglesi. I suoi strumenti erano richiesti in tutto il mondo astronomico ed egli godeva di una fama straordinaria, ma ben meritata, di originalità e intuito meccanico. Era anche notoriamente lento, o piuttosto possiamo dire che sceglieva quali cose fare; la sua posizione nel settore era tale da permettergli di dedicarsi a ciò che più lo interessava e di rifiutare commesse meno interessanti, rendendo furiosi alcuni dei suoi clienti. Egli poteva disporre infatti di un reddito fisso, avendo costruito un'officina grande e ben organizzata per fornire strumenti ordinati normalmente in grandi quantità, come i sestanti e i teodoliti (i cui progetti erano anch'essi spesso originali). Come John Dollond, era membro della Royal Society nonché vincitore della medaglia Copley, che nel suo caso era dovuta all'invenzione di un dispositivo per graduare le scale. Così come il quadrante murale di Bird era stato ricompensato e pubblicato dalla Commissione per la longitudine, lo stesso riconoscimento fu assegnato a Ramsden per la sua macchina per dividere.
Ramsden costruì un grande strumento equatoriale per il ricco astronomo dilettante Sir George Shuckburgh. Il fatto che il suo cliente non fosse un astronomo professionista ‒ e che a pagare non fosse un osservatorio ‒ è degno di nota; un committente ufficiale non avrebbe infatti rischiato un acquisto simile, o non avrebbe lasciato mano libera a Ramsden per un progetto così audace. Lo strumento fu completato nel 1791, dieci anni dopo l'ordine. Ramsden lo dotò di quella che oggi si chiama una 'montatura equatoriale inglese', cioè con due pilastri disuguali, il più alto dei quali nella parte verso nord, e con l'asse principale dello strumento che punta verso il polo. Vicino all'estremità inferiore egli dispose il cerchio dell'ascensione retta ‒ ortogonale all'asse e quindi parallelo all'equatore ‒, che aveva un diametro di 4 piedi (1,22 m ca.) e che si leggeva mediante due microscopi micrometrici precisi al secondo d'arco. Al di sopra del cerchio v'era un cono che arrivava fino a una piastra circolare, da cui sei colonne cilindriche s'innalzavano fino alla sommità dell'asse polare, lungo oltre 8 piedi (2,44 m ca.). Questa gabbia formata dalle colonne cilindriche racchiudeva al suo interno un cerchio per la declinazione di 4 piedi, sostenendone l'asse, formato da due coni le cui basi incontravano il telescopio (che aveva un'apertura appena maggiore di 4 pollici) al centro del cerchio della declinazione. Il cerchio stesso era doppio (due anelli di ottone connessi mediante una serie di colonnine), e ruotava con il telescopio tra gli anelli. Anche le letture sul cerchio di declinazione erano fornite da microscopi micrometrici. Sebbene questo strumento non abbia mai funzionato in maniera soddisfacente, il progetto conteneva molti elementi che divennero poi standard nei grandi cerchi per gli osservatori, come il cerchio per la declinazione a doppio anello, l'asse formato da due coni contrapposti e la lettura sui cerchi in punti differenti mediante microscopi micrometrici.
Queste caratteristiche erano anche presenti nell'altro grande equatoriale progettato e costruito intorno al 1790 da Edward Troughton in società con il fratello John per l'Osservatorio irlandese di Armagh, appena fondato. Anche Troughton adottò la montatura equatoriale inglese, mentre la differenza più evidente rispetto al progetto di Ramsden consisteva nel fatto che la struttura contenente l'asse polare aveva la forma di un doppio cono, anziché di un cilindro. Gli elementi di questa struttura, che divergevano dai sostegni posti a nord e a sud, s'incontravano nel mezzo sul cerchio dell'ascensione retta. In questa stessa posizione v'erano i supporti per l'asse del cerchio della declinazione, due coni opposti che s'incontravano, come prima, sul telescopio racchiuso tra due anelli connessi da una serie di colonne.
Diverse generazioni di astronomi lottarono senza successo per far sì che lo strumento di Armagh fornisse lo standard di precisione che Troughton aveva promesso. Il problema, però, era nella natura stessa dello strumento equatoriale, che continuava a rivelarsi fatale rispetto a misure fondamentali. L'idea generale del cerchio era però valida; infatti, molte delle soluzioni progettuali furono poi trasferite con successo alle montature altazimutali e meridiane, più stabili e affidabili.
In effetti, una delle realizzazioni più notevoli di Ramsden, il cerchio altazimutale costruito nel 1790 per Giuseppe Piazzi, dell'Osservatorio di Palermo, è simile per diversi aspetti all'equatoriale di Shuckburgh, con l'asse polare posto in direzione verticale. L'asse verticale era una struttura analoga a quella vista prima, ma con quattro cilindri invece di sei, sorretta in alto da due archi incrociati. Ogni cilindro era alto 6 piedi e mezzo (1,98 m ca.), e i cilindri sostenevano l'asse, costituito da due coni opposti come nel caso precedente, per il cerchio di 5 piedi (1,52 m ca.) composto da due anelli connessi da colonne. La scala dell'altezza era letta con la precisione del secondo d'arco, mediante due microscopi micrometrici. Alla base dell'asse verticale c'era un cono con il vertice rivolto verso il supporto inferiore e il cerchio per l'azimut, con un diametro di 3 piedi (91 cm ca.), fornito anch'esso di un microscopio micrometrico. In questo caso il cerchio si rivelò un successo; Piazzi riuscì a usarlo al meglio e pubblicò un resoconto completo del lavoro di Ramsden.
Ramsden in effetti si mise a lavorare su un cerchio ancora più grande, limitato al meridiano, ma, a parte questo, simile da molti punti di vista al cerchio altazimutale di Palermo. Lo strumento era destinato al Trinity College di Dublino, ma alla morte di Ramsden, nel 1800, era ancora incompiuto. Progettato originariamente come cerchio di 10 piedi (3,05 m ca.), fu alla fine portato a termine nel 1809 dal successore di Ramsden, Matthew Berge, con una misura di 8 piedi (2,44 m ca.). Molte delle caratteristiche progettuali ci sono ormai familiari dai lavori precedenti di Ramsden, ma questa volta lo strumento, più grande, ospitava quattro microscopi micrometrici.
Tra i vantaggi del cerchio ai fini delle misure astronomiche v'erano l'equilibrio e la stabilità meccanica, una divisione più precisa, la riduzione di alcuni errori strumentali e di lettura, e l'eliminazione di altri. Alla conclusione della carriera di Ramsden, e alla chiusura del secolo, il lavoro di questo fabbricante innovativo inaugurava una tradizione progettuale che avrebbe dominato le successive generazioni di strumenti.
I telescopi riflettori, come abbiamo visto, appartenevano a un altro mondo e a un'altra cultura astronomica. Questi strumenti non avevano di fatto un ruolo determinante nell'attività professionale. Tra i fabbricanti di telescopi a uso amatoriale, che avevano tratto profitto dalla descrizione di Smith della costruzione di specchi metallici per telescopi riflettenti, vi era William Herschel, un musicista e compositore tedesco che cercava di guadagnarsi da vivere nella provincia inglese. Herschel è un esempio dell'interesse popolare nei confronti dell'astronomia e della filosofia naturale, abbastanza diffuso nella seconda metà del XVIII secolo. Lavorando in un relativo isolamento, egli costruì strumenti diversi da quelli che l'astronomia ufficiale aveva visto prima, ma lo straordinario contributo che diede alla ricerca nel settore, oltre alla sua base amatoriale, dipese da due fattori: la sua determinazione senza compromessi a perfezionare il più possibile i propri strumenti, e una sorprendente scoperta che gli procurò notorietà e consolidò il suo status.
Nel 1773 Herschel iniziò a costruire telescopi per uso personale, sospendendo i tubi alla maniera tradizionale, ma presto abbandonò questi strumenti per i riflettori. Comprava il metallo per gli specchi, li formava e poi li molava e lucidava a mano. Il suo primo diario delle osservazioni astronomiche, iniziato nel marzo 1774, registra le impressioni d'uso relative a un riflettore newtoniano con lunghezza focale pari a 5 piedi e mezzo (1,68 m ca.) e un'apertura di circa 4 pollici e mezzo (11,4 cm ca., una dimensione ragguardevole per un principiante). Fece nel 1776 tre nuovi telescopi, tutti newtoniani: uno di 7 piedi (2,13 m ca.) e apertura di 6 pollici e un quarto (15,9 cm ca.), uno di 10 piedi (3,05 m ca.) e apertura di 9 pollici (23 cm ca.), e uno di 20 piedi (6,1 m ca.) e apertura di 12 pollici (30,5 cm ca.). Entro il 1778 aveva elaborato una montatura standard per gli strumenti di 7 e di 10 piedi: una struttura di legno su ruote, con un tubo ottagonale ligneo sorretto verso lo specchio principale da una struttura sospesa mediante una fune e una puleggia e, verso l'oculare, mediante una cerniera; quest'ultima poteva essere spostata nella direzione verticale con movimento di scarsa precisione mediante un ingranaggio a cremagliera (la regolazione fine dello spostamento verticale avveniva agendo sulla puleggia), laddove lo spostamento orizzontale poteva essere effettuato con grande precisione grazie a una vite senza fine. Tutte queste regolazioni erano a portata di mano dell'osservatore mentre questi guardava attraverso l'oculare newtoniano.
Una simile struttura non era adatta per il telescopio di 20 piedi, per il quale Herschel continuò a servirsi della sospensione mediante albero e puleggia. A differenza di quanto avveniva con i suoi precedenti rifrattori, l'osservatore stava in questo caso vicino alla parte alta del tubo e doveva quindi servirsi di una scala. Questo rendeva molto scomode le osservazioni prolungate, anche se Herschel aveva cercato di fare in modo, servendosi di alcune funi, che i controlli per i vari movimenti restassero a portata di mano, come lo erano nel caso delle strutture più piccole.
Fu usando il suo newtoniano di 7 piedi, nel marzo del 1781, che Herschel scoprì quello che si sarebbe poi rivelato un pianeta situato al di là di Saturno, chiamato in seguito Urano. Questa scoperta cambiò la sua vita; gli procurò la celebrità nell'ambiente astronomico e una pensione reale, ma soprattutto gli fornì una certa stabilità economica e l'opportunità di portare avanti il suo programma basato sulla costruzione di telescopi e di teorie cosmologiche. Nel continuare a costruire riflettori sempre più grandi, Herschel portava la strumentazione amatoriale ai suoi limiti estremi, nella ricerca della natura degli oggetti lontani e della struttura dell'Universo su larga scala. Senza la legittimazione fornita dalla scoperta del pianeta, avrebbe potuto essere liquidato come persona eccentrica, che seguiva un programma tutto suo, estraneo all'ambito dell'astronomia seria e professionale.
Il primo telescopio che Herschel costruì dopo la scoperta fu un altro '20 piedi' (6,1 m ca.), con un'apertura maggiore, di 18 pollici e mezzo (47 cm ca.), poi noto, per distinguerlo dal 'piccolo 20 piedi' del 1776, come 'il grande 20 piedi'. Aveva precedentemente fallito nel tentativo di costruire uno strumento di 30 piedi (9,14 m ca.) con uno specchio di 3 piedi (91,4 cm ca.); da questo punto di vista il nuovo strumento rappresentava quindi un miglioramento relativamente modesto rispetto alle sue vere ambizioni. Tuttavia esso presentava aspetti innovativi molto importanti, connessi alla montatura e alla gestione del telescopio. Herschel cominciò a fare osservazioni con questo strumento nell'ottobre 1783, ma continuò a introdurvi altri miglioramenti in base alla progressiva esperienza. Il tubo come in precedenza era sospeso, ma si trovava ora all'interno di una solida struttura triangolare, con all'interno una piattaforma regolabile di osservazione, che si poteva alzare e abbassare davanti al tubo; una modifica introdotta dopo l'inizio delle osservazioni consistette nel poggiare l'intera struttura su ruote, il che consentiva di girare tutto il supporto; tuttavia, col passare degli anni, questa caratteristica fu poco usata.
Un altro cambiamento fu però più importante: infatti, sebbene inizialmente utilizzasse il sistema newtoniano, ossia con l'oculare disposto trasversalmente, dopo diversi esperimenti, nell'ottobre 1784 Herschel cambiò definitivamente il telescopio, a favore di un puntamento diretto.Lo specchio obiettivo era inclinato per un certo angolo nel tubo in modo tale che il suo fuoco cadesse vicino al bordo dell'apertura, dove era montato l'oculare; con questo schema, che prese il suo nome, non era perciò necessario uno specchio secondario. La base del tubo si poteva muovere avanti e indietro all'interno della struttura, in modo da mantenere l'oculare in posizione comoda per l'osservatore, la cui piattaforma si poteva alzare e abbassare lungo gli elementi obliqui della struttura triangolare.
Il tubo poteva muoversi verticalmente in due modi, governati dalle funi di sospensione: un movimento di scarsa precisione per un orientamento approssimato all'altezza voluta e un movimento fine. Entrambi questi movimenti erano ora controllati da un assistente a terra, lasciando l'osservatore libero di concentrarsi sul cielo. Questi non doveva neppure prendere nota scritta delle sue osservazioni, visto che la sorella di William, Caroline, assegnatale una postazione alla finestra del primo piano di una casa adiacente, era pronta a scrivere tutto ciò che le veniva comunicato. Ella aveva a disposizione un orologio per misurare l'ascensione retta quando il tubo era nel meridiano e anche una meridiana il cui indice era collegato con una corda al movimento verticale del tubo e che era disposta in modo da fornire una misura di altezza; infine, v'era un sistema per vincolare il movimento del tubo al piano verticale.
L'orientazione meridiana del tubo era di gran lunga la più comune. Il telescopio non era, naturalmente, uno strumento per effettuare misurazioni, ma era comunque necessario prendere nota di qualche dato mentre Herschel esplorava il cielo e compilava un catalogo di nebulose. La sua tecnica consisteva nel cosiddetto sweeping (lett. 'spazzata'), ossia nel fare in modo che il tubo si muovesse continuamente su e giù coprendo 2° di altezza, con una velocità tale da permettergli di osservare ogni oggetto tre volte nella zona di cielo che attraversava il suo campo visivo. Un dispositivo chiamato 'orologio di zona' suonava una campana quando l'assistente aveva raggiunto il limite dei 2° e doveva invertire la direzione del movimento verticale; tale 'orologio' si poteva regolare per adattarlo al numero d'inversioni necessarie per un'escursione di 2° a diverse altezze.
Nello sviluppare il suo strumento, modificandone e perfezionandone le singole caratteristiche tecniche e continuando a portare avanti il suo programma di osservazioni, Herschel nutriva una più grande ambizione. Egli cominciò a lavorare nel settembre 1785 a un telescopio molto più grande, basato essenzialmente sullo stesso modello di quello di 20 piedi; si trattava di un riflettore di 40 piedi (12,19 m ca.) con uno specchio del diametro di 4 piedi (1,22 m ca.). Herschel cominciò a provare questo strumento nel febbraio 1787, ma soltanto nell'estate del 1789 considerò finito il gigantesco telescopio. La realizzazione dello specchio obiettivo era stata ostacolata da enormi difficoltà: infatti, uno specchio di tali dimensioni doveva essere abbastanza spesso, e quindi pesante, per mantenere invariata la sua forma in differenti orientazioni (la sua massa risultò infatti di una tonnellata circa di metallo), con conseguenti problemi di montaggio e di stabilità; inoltre, era assai difficile lucidarlo a mano, per cui Herschel dovette progettare un'apposita macchina lucidatrice.
Il progetto del telescopio era simile a quello dello strumento di 20 piedi, con le appropriate modifiche per tenere conto della dimensione di gran lunga maggiore. Invece che ottagonale e di legno, come di consueto, il tubo era in questo caso cilindrico e di ferro. Nella struttura erano sistemate due postazioni, una per Caroline, con l'orologio e l'indicatore di altezza, l'altra per l'assistente, con il suo verricello e l'orologio di zona; alcuni tubi acustici consentivano a Herschel di comunicare con entrambi dalla postazione per le osservazioni situata all'imbocco del tubo. Malgrado il tempo e il costo necessari al completamento di questo spettacolare telescopio, che per quasi sessant'anni rimase il più grande del mondo, lo strumento non fu molto usato, e dal punto di vista pratico non può essere considerato un successo. La sua gestione era complessa e richiedeva tempo, e la maggiore dimensione non era adatta ai suddetti metodi di osservazione di Herschel, che sarebbero poi divenuti standard. Lo specchio, inoltre, si offuscava rapidamente, sia perché la sua massa, molto grande, si adattava più lentamente ai cambiamenti di temperatura, favorendo così la condensazione dell'umidità atmosferica, sia perché al fine di aumentarne la robustezza era stato aggiunto più rame alla lega. Questo famoso telescopio divenne un simbolo per la storia dell'astronomia, ma non contribuì molto al programma di osservazioni di Herschel.
Egli costruì altri telescopi di più modeste dimensioni, ma che ebbero maggiore successo. Uno di essi era di 25 piedi (7,62 m ca.) con uno specchio di 2 piedi (61 cm ca.), costruito su ordinazione del re di Spagna e completato nel 1797. Fu probabilmente lo strumento più riuscito tra quelli da lui costruiti, a giudicare dalle sue impressioni d'uso prima di smontarlo e spedirlo al committente. Nel 1799 Herschel costruì un altro riflettore con 2 piedi di apertura (questa volta newtoniano) ma con soltanto 10 piedi (3 m ca.) di lunghezza focale, per favorirne la maneggevolezza.
Herschel aveva così messo in evidenza parte delle potenzialità dei grandi riflettori e, nel contempo, aveva indicato una delle direzioni che l'astronomia avrebbe potuto prendere nello studio del cielo. Non aveva, però, consolidato una tradizione costruttiva, in quanto non lasciò indicazioni precise su come si potessero portare avanti iniziative di questo tipo, fatta eccezione per le istruzioni date al figlio John, che ereditò un telescopio di 20 piedi rimesso a nuovo e proseguì con buon successo la carriera del padre. Come abbiamo accennato in precedenza, Herschel non volle limitare la sua attività di costruttore di telescopi a strumenti dedicati al suo uso personale: infatti, egli ne costruì molti, anche se per lo più di piccole dimensioni, per clienti paganti. Però, anche a causa della sua attività commerciale, egli non pubblicava la composizione delle sue leghe o la tecnica di lucidatura, cosicché queste rimasero sconosciute a qualsiasi fabbricante di strumenti ottici potenzialmente interessato a entrare in questo settore commerciale. Inoltre ‒ cosa più importante ‒ il telescopio riflettore non era stato ancora accettato nei programmi dell'astronomia ufficiale, e sarebbe così rimasto strumento per osservazioni amatoriali ancora per generazioni; del resto, anche il rifrattore equatoriale restò ai margini dell'attività osservativa per decenni. Per il crescente numero di osservatori stabili e ufficiali la strumentazione stava cambiando, in particolare con l'adozione generalizzata di cerchi di grandi dimensioni, ma il programma di lavoro era rimasto sostanzialmente lo stesso, limitato per lo più a misure angolari nel meridiano.