L'Eta dei Lumi: la fine della conoscenza naturale 1700-1770. Cosmologia
Cosmologia
Il Settecento è il 'secolo dei Lumi', durante il quale l'uso critico della ragione inizia a imporsi sul pregiudizio e sull'accettazione acritica dell'autorità, anche politica e religiosa. I pensatori politici cercano d'individuare le leggi naturali che governano la società umana, Adam Smith (1723-1790) quelle che regolano l'economia. La ricerca di tali leggi naturali ebbe origine nell'ambito degli studi cosmologici e della formulazione matematica della teoria newtoniana dell'attrazione gravitazionale, che rappresentò il più importante traguardo metodologico raggiunto dalla cosmologia scientifica del XVIII sec. e contribuì a infondere fiducia e a incoraggiare l'applicazione del pensiero razionale ad altri ambiti di ricerca. Conseguentemente al successo della concezione newtoniana del mondo, si registrano altri importanti progressi nella cosmologia (lo studio della struttura e dell'evoluzione dell'Universo) e nella cosmogonia (lo studio delle origini dell'Universo). Sebbene l'idea rivoluzionaria di un processo evolutivo continuo divenga parte integrante della scienza darwiniana e della cosmologia soltanto nel XIX sec., alcuni passi significativi in questa direzione furono compiuti già nel Settecento. Un'importante rottura rispetto alla tradizione, anch'essa legata all'idea di evoluzione, si ebbe con lo smantellamento della sfera delle stelle fisse, quando, all'inizio del secolo, nuove osservazioni rivelarono che molte stelle non si trovavano più nella posizione stabilita dalle osservazioni antiche. Nei decenni successivi cominciò ad affermarsi la concezione moderna di galassia ‒ il sistema di stelle che comprende il Sole e il suo sistema planetario ‒ come un agglomerato di astri a forma di disco.
La tentazione di assumere come modello l'articolazione disciplinare e le questioni fondamentali della scienza contemporanea e di esaminare le attività scientifiche del XVIII sec. cercando di trovare le tracce di un nascente interesse per fenomeni e speculazioni che appartengono di diritto alla cosmologia contemporanea, genererebbe un quadro storico di grande effetto, in cui le conoscenze sembrerebbero accumularsi gradualmente. Una storia di questo tipo trascurerebbe però il fatto che gli uomini del Settecento avevano una visione generale del mondo diversa da quella odierna, si ponevano interrogativi e affrontavano problemi per molti aspetti differenti da quelli attuali, anche se riconducibili allo stesso ambito di ricerca.
Fra il XVII e il XVIII sec. la spiegazione del perché i pianeti si muovano attorno al Sole percorrendo sempre le stesse orbite diviene un problema centrale della cosmologia. Intorno alla metà del Seicento, Descartes formulò una delle possibili risposte, facendo consistere l'Universo di enormi vortici di materia cosmica. Il nostro Sistema solare sarebbe uno dei tanti vortici, i cui pianeti si muovono tutti nella stessa direzione, con orbite più o meno complanari, intorno a un corpo centrale luminoso. Collidendo fra loro, le particelle di materia si riducono a un fine pulviscolo e alcuni di questi frammenti cosmici, passando in mezzo alle particelle sferiche che ruotano rapidamente nel vortice, sono incanalati verso il Sole centrale, formando macchie sulla sua superficie; quando queste particelle formano una crosta tale da ricoprire completamente il Sole, questo perde la capacità di sostenere il proprio vortice e, risucchiato da un vortice vicino, attraversa il cielo come una cometa, oppure, catturato dal movimento vorticoso, diviene a sua volta un pianeta. Se un Sole ricoperto da una crosta è catturato insieme a uno o più pianeti, il sistema assume l'aspetto di un pianeta con una o più lune.
Gli eventi naturali devono quindi essere spiegati, secondo Descartes, in termini di particelle di materia in movimento, sulla base di pochi principî generali sui quali si fondano tanto i fenomeni terrestri quanto quelli celesti. Tali principî comprendono la conservazione della quiete e del moto come stati della materia, e la natura privilegiata del moto rettilineo, che spiega il fatto che i corpi in moto circolare tendano sempre ad allontanarsi dal centro del circolo. Ogni modifica del moto è il risultato di un urto, in quanto un oggetto può agire su un altro solamente per contatto. Descartes bandì dall'indagine scientifica i fenomeni 'occulti', ossia le cause che sfuggono alla percezione sensibile. La gravità è causata dalla materia celeste che circola intorno alla Terra, spingendo verso di essa la materia terrestre. La cosmologia di Descartes, meccanica e meccanicistica, sebbene osteggiata dalla Chiesa cattolica, poteva essere facilmente accettata nell'ambito della generale concezione settecentesca del mondo come macchina. Le sue spiegazioni, tuttavia, non erano che nuove descrizioni qualitative dei fenomeni in termini meccanicistici, giustificate soltanto dalla loro facile comprensibilità.
Verso la fine del XVII sec., Newton propose una nuova importante teoria sul movimento dei pianeti. Come Descartes, egli trattò i moti celesti come problemi di meccanica, governati dalle stesse leggi che determinano il moto di un oggetto sulla Terra. I corpi, quindi, permangono in uno stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finché non interviene una forza esterna a modificarne lo stato. Una forza di attrazione esercitata dal Sole porta continuamente i pianeti a deviare dalla traiettoria rettilinea e li mantiene nelle rispettive orbite. Newton dimostrò matematicamente che le orbite ellittiche di Kepler sono una conseguenza dell'inerzia del moto rettilineo uniforme e obbediscono a una legge di gravitazione universale, pari al reciproco del quadrato della distanza tra due corpi. La dinamica celeste newtonianatradusse in termini quantitativi la cinematica matematica elaborata da Kepler, anche se Newton non si pronunciò sulla natura della causa dell'accelerazione. La sua trattazione era diversa da quella di Descartes, perché preferiva la descrizione matematica alla ricerca delle cause fisiche, e assumeva come problema lo stato attuale del Sistema solare piuttosto che la sua origine.
La teoria cartesiana dei vortici presentava un importante vantaggio rispetto alla teoria gravitazionale di Newton. Descartes spiegava i fenomeni naturali in termini di urti fra particelle, mentre la misteriosa attrazione newtoniana, che agisce a distanza, appariva a molti scienziati contemporaneicome un ritorno agli antichi metodi della filosofia della Natura che la meccanica cercava di soppiantare. Persino Newton ammetteva l'assurdità dell'idea che un corpo possa agire su un altro senza nessun mezzo che funga da tramite all'azione. Nella seconda e nella terza edizione dei Principia, Newton scrisse che fino a quel momento non era stato capace di scoprire l'origine della gravità a partire dai fenomeni; che qualunque cosa non fosse dedotta dai fenomeni era una mera ipotesi; che per le ipotesi, infine, qualunque fosse la loro natura ‒ occulta o meccanica ‒ non vi era posto nella filosofia sperimentale. Uno dei grandi cambiamenti introdotti da Newton nella cosmologia fu la rinuncia da parte dei filosofi naturali all'antico obbligo di fornire una spiegazione meccanica alla gravità.
A una simile rinuncia non si giunse senza difficoltà, come dimostrano gli sforzi di Leibniz per cercare di conciliare le leggi di Kepler con l'ipotesi di un vortice fluido. Il problema fondamentale è che, mentre il vortice ruota in modo circolare, i pianeti si muovono lungo orbite ellittiche, a distanza variabile dal corpo centrale. Leibniz risolse la questione attribuendo a ciascun pianeta due tipi di moto: uno perpendicolare rispetto al raggio, che lo fa muovere intorno all'oggetto centrale, come il fluido nel vortice; il secondo radiale, diretto verso l'interno oppure verso l'esterno. Leibniz non tenne conto della contraddittorietà dell'ipotesi che il fluido del vortice imprima ai pianeti un moto trasversale, senza però offrire alcuna resistenza al moto radiale. Egli, inoltre, ignorò l'obiezione che le orbite delle comete, sebbene formino spesso un angolo ampio rispetto all'asse di rotazione del vortice, e siano dunque praticamente esenti dalla sua influenza, obbediscono tuttavia alle leggi di Kepler. L'attrazione gravitazionale, poi, causa della caduta libera dei corpi, era dovuta, secondo Leibniz, a una materia molto tenue che ruotava in tutte le direzioni attorno alla Terra; materia corporea che avrebbe dato luogo a un altro vortice, indipendente dal vortice armonico formato dall'etere, molto meno denso, che trascinava i pianeti intorno al Sole. Un altro scienziato che cercò di salvare il concetto di vortice fu Joseph Saurin (1659-1737), membro dell'Académie Royale des Sciences di Parigi. Egli fece notare che, se le particelle di materia celeste fossero state abbastanza piccole da passare attraverso pori potenziali fra le particelle dei corpi densi ('potenziali', dal momento che il mondo di Descartes non ammetteva il vuoto), la resistenza dell'etere su questi ultimi ne sarebbe risultata ridotta. A differenza dell'etere, gli altri fluidi ‒ come l'aria o l'acqua ‒, essendo costituiti da particelle di dimensioni maggiori dello spazio che separava le particelle dei corpi solidi, non sarebbero stati in grado di attraversarli.
Il matematico svizzero Johann I Bernoulli (1667-1748) combinò il sistema di Descartes con alcuni elementi di newtonianesimo in un lavoro che, nel 1730, vinse un premio dell'Académie. Bernoulli non osò rifiutare il sistema cartesiano, basato sul principio chiaro e intelligibile dei vortici celesti, e sostituirlo con quello di Newton, fondato su un principio (la gravità) per il quale non sembrava possibile fornire alcuna giustificazione. Egli combinò l'attrazione e il concetto di vuoto di Newton con i vortici di Descartes e ne fece la base per una spiegazione fisica: una differenza di densità fra gli strati del vortice farebbe oscillare i pianeti radialmente intorno a un punto di equilibrio in cui la densità dello strato è uguale a quella del pianeta. Ancora una volta, è la circolazione del vortice a trascinare il pianeta intorno al Sole e il moto risultante sarebbe un'orbita ellittica. Bernoulli sostenne di aver dimostrato come l'effetto del vortice fosse compatibile con le leggi di Kepler, ma in effetti si limitò a indicare a grandi linee una possibile soluzione senza portare a termine la necessaria dimostrazione matematica, troppo lunga e laboriosa. La risoluzione del problema del moto dei vortici sembra così essere al di sopra delle capacità del maggior talento matematico dell'epoca. Per i fini che Bernoulli si era prefisso nel suo lavoro del 1730, sembrava sufficiente la semplice indicazione della causa delle orbite ellittiche, ma il sistema cartesiano, che offriva spiegazioni qualitative ma non quantitative, risultava sempre più insoddisfacente.
Nel 1740 Pierre-Louis Moreau de Maupertuis (1698-1759), il sostenitore più entusiasta di Newton in Francia, dichiarò pubblicamente la propria fedeltà alla cosmologia newtoniana, dal momento che i cartesiani non erano riusciti a conciliare la teoria dei vortici con le leggi matematiche di Kepler sul moto dei pianeti. Per tutto il XVIII sec., i newtoniani raggiunsero un successo dopo l'altro sul piano matematico, anche se non nella forma usata dallo stesso Newton. La geometria fu a lungo il mezzo per effettuare dimostrazioni matematiche, e così la usò Newton, ma i suoi successori sperimentarono nuovi e più efficaci metodi matematici. Questo cambiamento spiega, almeno in parte, come mai in Inghilterra i seguaci più fedeli di Newton fecero pochi progressi rispetto agli scienziati del resto dell'Europa, meno legati alle dimostrazioni geometriche e più aperti all'adozione di metodi algebrici.
Il Sistema solare è costituito da molti corpi e il calcolo dell'orbita di ciascuno non può tener conto soltanto dell'attrazione esercitata dal corpo attorno al quale gravita; esistono anche gli effetti perturbativi dovuti agli altri corpi, di piccola entità, ma non completamente trascurabili; il Sole, per esempio, altera il moto della Luna intorno alla Terra e Giove e Saturno influiscono reciprocamente sulle loro orbite intorno al Sole. Il matematico svizzero Leonhard Euler (1707-1783) ricoprì un ruolo di primo piano nello sviluppo dei procedimenti matematici per il calcolo degli effetti perturbativi. Muovendo da poche osservazioni sperimentali, egli ricavò alcuni metodi per determinare le orbite di comete e pianeti. Nel 1753, e in modo più dettagliato nel 1772, pubblicò una soluzione approssimata del problema dei tre corpi applicata al sistema Sole-Terra-Luna. Nel 1785-1787 Pierre-Simon de Laplace, membro dell'Académie Royale des Sciences, risolse le ultime grandi anomalie del Sistema solare rimaste ancora senza spiegazione, ossia la notevole discrepanza fra il moto di Giove e quello di Saturno, e le variazioni di velocità del moto orbitale della Luna intorno alla Terra, anche se, molti anni dopo, una delle sue soluzioni si rivelò solo in parte corretta.
Laplace in seguito riprese il problema cartesiano dell'origine del Sistema solare. Seguendo l'approccio ateistico alla Natura di alcuni scienziati dell'Illuminismo francese, egli cercò di sostituire l'ipotesi del ruolo creativo di Dio con una teoria puramente fisica che potesse spiegare anche l'ordine dell'Universo e, in particolare, la struttura del Sistema solare.
La sua ipotesi nebulare comparve in sei versioni, fra il 1796 e il 1835, l'ultima delle quali dopo la morte dell'autore, avvenuta nel 1827. Secondo questa teoria, il Sole sarebbe stato in origine un fluido caldo, diffuso al di là delle attuali orbite planetarie. A mano a mano che il fluido si raffreddò e si condensò, riducendosi gradualmente alle attuali dimensioni del Sole, ammassi di materia rimasero in orbita intorno a esso. Questi anelli di gas, persi dal Sole durante la fase di contrazione, si sarebbero condensati successivamente sino a formare i pianeti. Processi simili sarebbero avvenuti anche per i singoli pianeti, portando alla formazione dei loro satelliti. Tale ipotesi spiegava perché i pianeti e i satelliti si muovessero e ruotassero tutti nella stessa direzione, percorrendo orbite più o meno circolari e tutte approssimativamente complanari e centrate sul Sole. Laplace poté dunque spiegare la struttura e la dinamica del Sistema solare come diretta conseguenza di leggi fisiche. L'ipotesi nebulare di Laplace sopravvisse sino agli inizi del XX sec., quando il geologo americano Thomas Chrowder Chamberlin (1843-1928) formulò argomenti convincenti contro l'idea di una Terra allo stato fluido condensatasi a partire da una massa gassosa. Egli affermò infatti che in un simile processo di condensazione tutto il vapore acqueo evaporerebbe e si perderebbe nello spazio, osservando inoltre che la distribuzione della massa e della quantità di moto nel Sistema solare ‒ in cui la maggior parte della massa si addensa al centro, mentre la quantità di moto è maggiore nei pianeti esterni ‒ appare, dal punto di vista dell'ipotesi nebulare di Laplace, un esito poco probabile. La teoria laplaciana sarebbe tuttavia in grado di giustificare questa particolare distribuzione di massa e quantità di moto, nel caso in cui il Sistema solare si fosse formato in seguito alla collisione fra una piccola nebulosa, avente una grande quantità di moto, con la zona periferica di una grande nebulosa con una quantità di moto minima.
Alcuni storici hanno indicato nella cosmogonia di Laplace la prima teoria che introduce una dimensione storica all'interno della scienza fisica. Altri sostengono che Laplace si sia occupato della nascita e non dell'evoluzione del Sistema solare; il suo Sistema solare è stabile e sarebbe dunque anacronistico pretendere che la cosmogonia di Laplace anticipi le considerazioni evoluzionistiche del XIX secolo. In entrambe le posizioni di questo dibattito c'è una parte di verità; Laplace, infatti, immagina come possa essere avvenuta la formazione, se non esattamente l'evoluzione, del Sistema solare a partire da una situazione inizialmente caotica, sino alla realizzazione di un sistema stabile, ma non prevede necessariamente un'evoluzione ulteriore. Com'è tipico degli innovatori, egli percorre soltanto una parte di quel cammino rivoluzionario che solo ora si rivela orientato, a un'analisi retrospettiva, verso l'idea di un'evoluzione continua, nonché verso la convinzione moderna che la struttura dell'Universo debba spiegarsi a partire dal suo processo di formazione, ossia che la cosmologia e la cosmogonia debbano essere unificate. D'altra parte, Laplace non fu certo il primo a speculare sulla possibile transizione da un caos iniziale a un ordine finale; come abbiamo visto, Descartes s'interessò più di cosmogonia che di cosmologia. Anche l'ipotesi di Kant riguardante la formazione del più vasto sistema stellare, della quale parleremo più avanti, precedette l'ipotesi nebulare di Laplace di parecchi decenni, anche se, con ogni probabilità, l'ipotesi nebulare di Kant non era nota a Laplace.
Gran parte della ricerca astronomica e cosmologica del Settecento era necessariamente incentrata sul Sistema solare, i cui confini coincidevano sostanzialmente con quelli dell'Universo osservabile. La speculazione, invece, non conosceva tali limiti. La fede settecentesca nell'esistenza di un ordine dell'Universo rendeva la comprensione della natura di tale ordine un'importante sfida teologica, filosofica e scientifica. Da una grande quantità di ipotesi speculative e da poche osservazioni sperimentali emerse, infine, la nostra moderna comprensione del fenomeno della Via Lattea, la densa fascia di stelle che attraversa il cielo: essa non è altro che la nostra galassia come appare a noi, dal nostro punto di vista, immersi come siamo all'interno del disco di stelle.
Nell'edizione del 1713 dei Principia, Newton affermò che il meraviglioso sistema di Sole, pianeti e comete ‒ il Sistema solare ‒ non può che procedere dalla volontà e dal dominio di un Essere potente e intelligente. William Whiston (1667-1752), successore di Newton all'Università di Cambridge come professore lucasiano, applicò questo ragionamento alle stelle, affermando che il sistema stellare era opera del Creatore e aveva proporzioni meravigliose, benché i fragili esseri umani fossero all'oscuro di questa armonia; da qualche punto di vista privilegiato, diverso dalla Terra, l'ordinata e armoniosa struttura delle stelle fisse si sarebbe rivelata chiaramente. William Derham (1657-1735), sacerdote della Chiesa d'Inghilterra, vicario e cappellano reale, nel suo lavoro del 1715 intitolato Astrotheology; or, a Demonstration of the being and attributes of God, from a survey of the heavens espresse una convinzione simile, cioè che ci fosse una "grande Parità e Congruità" osservabile fra tutte le opere della Creazione, che possiedono "grande armonia e grande accordo le une con le altre". Sia Whiston sia Derham possono a ragione essere definiti 'astroteologi', poiché essi intesero scoprire l'Universo studiando Dio; Newton, invece, cercò di scoprire Dio studiando l'Universo.
Fino a quest'epoca, si suppose che la posizione delle stelle fosse immutabile, sia che queste fossero tutte collocate nella sfera più esterna dell'Universo, come si riteneva prima della rivoluzione copernicana, sia che fossero situate a distanze variabili dal Sole, ma comunque in una posizione fissata per sempre, come si cominciò a pensare dopo Copernico. La teoria gravitazionale di Newton, comunque, aveva sollevato un problema, richiedendo in pratica che si verificasse un continuo miracolo per impedire il collasso delle stelle fisse sul Sole. Una possibile soluzione a tale problema era che le stelle fossero poste a distanze talmente grandi l'una dall'altra, da non potersi attirare a vicenda in modo apprezzabile, né essere attratte dal nostro Sole. Lo stesso Newton effettuò un notevole sforzo per conciliare l'immobilità delle stelle con la gravitazione universale. Egli, e altri insieme a lui, comprese che se le stelle si muovono lungo orbite intorno al centro di un sistema, come fanno i pianeti intorno al Sole, il risultato può essere un sistema stabile, invece del collasso gravitazionale; il movimento del Sole e delle stelle è un'ipotesi plausibile dal punto di vista dinamico in un Universo regolato dall'attrazione gravitazionale. Tuttavia, la convinzione che le stelle fossero fisse, fondata su millenni di osservazioni, rimase ancora ben salda.
Nel 1718 l'astronomo inglese Edmond Halley (1656-1742) riferì di avere scoperto che tre stelle brillanti, precisamente Sirio, Aldebaran e Arturo, non si trovavano più nelle posizioni determinate dalle osservazioni antiche, ma apparivano circa mezzo grado più a sud rispetto al punto in cui si trovavano all'epoca di Tolomeo. Gli spostamenti erano minimi e osservati per tre sole stelle. Il peso della tradizione, inoltre, era tale che persino Halley persistette nell'adoperare il termine 'stelle fisse'. La profonda rottura con il pensiero tradizionale, rappresentata dalla liberazione delle antiche stelle fisse dalla loro tradizionale immobilità, aspetta ancora di essere analizzata dettagliatamente dagli storici. La scoperta di Halley suggerì all'astronomo autodidatta Thomas Wright (1711-1786) che le stelle possono ruotare attorno al loro centro di gravità, evitando in tal modo il collasso, proprio come la rotazione dei pianeti intorno al Sole impedisce loro di precipitare su di esso. Whiston e Derham non furono in grado di ipotizzare alcuna particolare struttura ordinata per le stelle e, soprattutto, non fornirono una spiegazione del fenomeno della Via Lattea. Wright lo fece nel 1750, discutendo, senza poi accettarlo, un modello di distribuzione stellare a forma di disco, secondo cui la Terra è immersa nel disco, ossia nello strato di stelle, e la luce stellare si proietta e si combina in modo da dare luogo a un effetto lattiginoso dai diversi punti di osservazione all'interno del disco stesso. Ai suoi lettori Wright chiese di immaginare questo sistema soltanto come preparazione al più complesso modello che egli riteneva essere quello vero: una distribuzione sferica delle stelle. Secondo Wright, il centro dell'Universo ‒ il 'Sacro Trono' ‒ era un centro sia fisico sia morale, intorno al quale il resto del Creato si dispone simmetricamente. In fondo Wright era pur sempre un astroteologo.
Anche Kant si occupò dell'ordine dell'Universo, con il proposito esplicito di sviluppare la filosofia newtoniana: la sua Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels (Storia naturale universale e teoria dei cieli) ha come sottotitolo Uno studio della struttura e dell'origine meccanica dell'intero Universo trattato secondo i principî di Newton. Il paradigma del Sistema solare newtoniano fornì a Kant un modello applicabile al più vasto sistema stellare: la disposizione delle stelle avrebbe potuto essere simile a quella dei pianeti e il sistema newtoniano avrebbe offerto inoltre, per analogia, una spiegazione fisica del modello a disco (Kant aveva letto un sunto del lavoro in cui Wright cercava di spiegare il fenomeno della Via Lattea, menzionando l'ipotesi del disco). Secondo Kant, la stessa causa che era stata capace d'imprimere ai pianeti la forza centrifuga e di mantenerne le orbite in un piano poteva anche dare alle stelle la forza di compiere un moto di rivoluzione, costringendone le orbite in un piano. La cosmologia di Kant differiva da quella di Wright sotto vari aspetti. Per quest'ultimo, la cosmologia aveva un carattere teologico-morale, mentre nel modello di Kant non vi era alcuno spazio per la presenza di Dio. La struttura dell'Universo discendeva semplicemente dall'esistenza di materia dotata di una forza attrattiva essenziale. Dio era responsabile del caos iniziale e delle leggi che ne governavano lo sviluppo, ma lo scopo di Kant rimaneva quello di spiegare il mondo in base alla fisica newtoniana. Secondo Wright, Dio ha creato il mondo così come ora lo vediamo; Kant, invece, immagina uno sviluppo, o un'evoluzione, dell'Universo a partire dal suo originario stato iniziale sino alle condizioni attuali; per lui, la presente struttura del Cosmo può essere spiegata per mezzo di una cosmologia, o cosmogonia, evoluzionistica. Oltre alle considerazioni filosofiche, un'altra possibile fonte del pensiero di Kant furono le osservazioni astronomiche sperimentali, benché recenti studi storici abbiano ridimensionato il loro ruolo nella cosmologia kantiana.
Nel 1715, Halley pubblicò un catalogo che comprendeva sei nebulose, piccole e brillanti macchie di luce visibili in cielo. Egli riteneva che esistessero senza dubbio molte nebulose di questo tipo e che quelle di dimensioni maggiori fossero ancora sconosciute. Al corrente degli studi di Halley, Derham osservò accuratamente le cinque nebulose ‒ fra le sei del catalogo ‒ visibili dall'Inghilterra e nel 1733 riferì che una di esse non era realmente una nebulosa, ma un ammasso di stelle in qualche modo analogo a quello che costituiva la Via Lattea. Le altre quattro nebulose erano molto simili, tranne per il fatto che in quella di Orione vi erano alcune stelle visibili unicamente al telescopio e comunque insufficienti a spiegare tutta la luce emessa dalla nebulosa. Nel suo lavoro, Derham incluse anche un elenco di sedici nebulose, prese da cataloghi di altri astronomi e non osservate da lui personalmente. Forse egli aveva problemi di vista (all'epoca aveva 76 anni), oppure, come egli lamentava, il suo telescopio riflettore aveva perduto "la sua eccellenza e potenza, avendo cominciato a offuscarsi". Soltanto due delle sedici presunte nebulose, quella di Andromeda e l'ammasso stellare del Presepe, sono oggi riconosciute come tali.
Nel 1746, e poi nel 1771, alcuni scienziati osservarono attentamente gli oggetti del catalogo ed eliminarono la maggior parte delle false nebulose. Nel frattempo, il newtoniano francese Maupertuis tradusse e pubblicò, nel 1736, le memorie di Derham; egli ne utilizzò le osservazioni a sostegno della propria teoria che prevedeva l'esistenza di stelle in rotazione di forma ellissoidale, estendendola alle nebulose ellittiche in rotazione. Non esiste alcuna indicazione riguardo alla possibilità che Maupertuis abbia eseguito osservazioni astronomiche per proprio conto. Kant, dopo aver letto le argomentazioni di Maupertuis, rigettò immediatamente l'idea che i corpi ellittici potessero ruotare come le singole stelle e ritenne piuttosto che le nebulose ellittiche fossero costituite da numerose stelle, orbitanti intorno a un centro comune secondo un movimento planetario. Kant applicava il modello planetario a disco a tutti i corpi celesti che apparivano come nebulose e che, nella sua concezione, divenivano 'universi-isola'. L'estensione della validità del modello si basava quasi esclusivamente su considerazioni filosofiche, piuttosto che sull'esiguo corpus di osservazioni a lui note, che, secondo Maupertuis, conducevano a conclusioni differenti.
Le idee di Kant sono oggi ampiamente conosciute; durante la seconda metà del Settecento, tuttavia, esse non ebbero una grande influenza sul pensiero degli altri filosofi. Il suo manoscritto del 1755 rimase danneggiato in seguito a vicissitudini legate al fallimento del tipografo di cui Kant si serviva e successivamente l'ipotesi nebulare comparve soltanto in una versione ridotta, nascosta nell'appendice a un altro lavoro che Kant pubblicò nel 1763. Johann Heinrich Lambert (1728-1777) pubblicò nel 1761 una teoria simile a quella di Kant; verosimilmente però egli non venne a conoscenza delle idee kantiane prima nel 1765. In forte analogia con Kant, Lambert spiegava l'effetto visivo della Via Lattea come un insieme di stelle confinate all'interno di uno spazio simile a un disco piatto; fra il pensiero di Lambert e quello di Kant esistono tuttavia differenze significative, sia nell'enfasi sia nelle motivazioni. Secondo Lambert, l'edificio del mondo costituiva un tutto unitario, tenuto insieme dalla legge newtoniana della gravità. Dio, nella sua infinita saggezza, avrebbe fatto cadere la sua scelta sulla legge più semplice, dotata di ordine e di eterna armonia. La natura del mezzo materiale di cui è fatto l'Universo restava ancora sconosciuta. Lambert cercava una simmetria perfetta nelle forme del cielo stellato e, anche se inizialmente fu incapace di trovarla, egli rimase tuttavia certo che un ordine di carattere eccezionale devesse necessariamente esistere. Seguendo quali leggi ‒ si chiedeva Lambert ‒ una Saggezza infinita avrebbe potuto seminare queste eterne luci attraverso l'incommensurabile profondità del firmamento, attraverso i magnifici vestiboli della Sua dimora? Il cielo appariva relativamente vuoto e desolato al di fuori del cerchio della Via Lattea, la striscia di luce in cui si fondono le luci di molteplici stelle tutte disposte in un unico piano. La struttura dell'Universo era dunque piatta, secondo Lambert, e le stelle giacevano l'una dietro l'altra, immobili, nella Via Lattea; egli era riuscito infine ad afferrare la simmetria esistente nella posizione apparente delle stelle fisse.
Kant poneva l'accento sulla dinamica newtoniana e sul processo per mezzo del quale il mondo ha raggiunto la sua attuale forma. Lambert, pur riconoscendo il valore di Newton e della teoria di gravitazione, poneva l'accento sul ruolo di Dio e sull'ordine armonioso da Lui dato al mondo. L'Universo di Lambert era essenzialmente statico, quello di Kant più in evoluzione. Le considerazioni aprioristiche di Kant sull'Universo, così come quelle di Lambert, non avevano molto spessore dal punto di vista dell'osservazione sperimentale, poiché i fondamenti delle loro ipotesi cosmologiche erano filosofici e teologici.
È nel tardo Settecento che le osservazioni sperimentali entrano a far parte della cosmologia stellare in modo più consistente, grazie al lavoro dell'astronomo inglese William Herschel (1738-1822). In precedenza, gli astronomi consideravano le stelle essenzialmente come uno sfondo sul quale misurare i moti planetari. In effetti, quando il cacciatore francese di comete Charles Messier (1730-1817) pubblicò il suo catalogo di nebulose (45 nel 1771, altre 23 nel 1780, e un ulteriore gruppo di 35 nel 1781, per un totale di 103), il suo obiettivo era quello di aiutare gli osservatori a lasciare da parte tali oggetti e a concentrare invece la loro attenzione sulle comete (ancora oggi, alcune galassie portano un nome che si riferisce alla loro posizione nel catalogo di Messier; per es., la galassia di Andromeda è anche nota come M31, vale a dire il trentunesimo oggetto del catalogo). Lo stesso Herschel apportò un significativo contributo alla conoscenza del Sistema solare; non ultima, nel 1781, la sua spettacolare scoperta del pianeta Urano, la prima, fra le scoperte di pianeti, a essere stata storicamente documentata. Per effetto di questa scoperta, le dimensioni del Sistema solare allora conosciuto risultarono quasi raddoppiate. Herschel scoprì anche due satelliti di Urano (Titania e Oberon) nel 1787, e la sesta e settima luna di Saturno (Enceladus e Mimas) nel 1789. Queste e altre scoperte furono possibili grazie ai telescopi costruiti dallo stesso Herschel, la cui abilità tecnica raggiunse il culmine nel 1789 con la realizzazione di un enorme telescopio riflettore con apertura di 48 pollici (1,23 m ca.) e lunghezza focale di 40 piedi (12,2 m ca.); mentre gli ottici del tempo vendevano telescopi che ingrandiscono gli oggetti qualche centinaio di volte, Herschel riuscì a ottenere ingrandimenti dell'ordine del migliaio di volte, un risultato cui gli scettici difficilmente potevano credere.
I primi successi conseguiti da Herschel nella costruzione di grandi telescopi furono in gran parte all'origine del suo interesse per l'astronomia. In particolare, grazie a questi strumenti egli poteva estendere l'astronomia osservativa verso nuovi confini, a un Sistema solare di dimensioni raddoppiate, e ancora oltre, alle nebulose, queste macchie diffuse nel cielo, molte delle quali egli era in grado di risolvere in gruppi distinti di stelle. Grazie a una pensione assegnatagli dal re d'Inghilterra per la scoperta di Urano, nel 1782 Herschel si affrancò dalla sua precedente professione di musicista e diede inizio a una sistematica osservazione di tutto il cielo visibile. Quest'attività occupò le sue notti per i vent'anni successivi, a ciascuna ora della notte, se il tempo lo consentiva, all'aperto, incurante del freddo. Il catalogo delle 103 nebulose di Messier fu incrementato da Herschel con più di 2500 oggetti; alle poche dozzine di stelle multiple già conosciute, Herschel ne aggiunse più di 800. A differenza dei cosmologi precedenti, Herschel era un osservatore pratico, non un filosofo da poltrona, eppure il suo non era semplicemente un accumulare osservazioni prive di un contesto teorico. In una delle sue pubblicazioni egli espresse esplicitamente la speranza di evitare i due atteggiamenti estremi, da un lato quello di coltivare un'immaginazione fantasiosa, che vagando a caso si allontana dal cammino della verità e della Natura, e, dall'altro, quello di sommare osservazione a osservazione senza provare a ricavarne né una visione concettuale né conclusioni certe ‒ il vero scopo per cui le osservazioni dovrebbero essere fatte.
Herschel effettuava campagne astronomiche sistematiche, una delle quali riguardò l'osservazione di stelle doppie. I dati raccolti erano potenzialmente utili per misurare i moti stellari. L'astronomo inglese James Bradley (1693-1762) notava nel 1748 che un movimento del Sistema solare attraverso lo spazio cosmico comporterebbe, nel tempo, una variazione nella posizione delle altre stelle. Nel 1780, la scoperta dei moti stellari fatta da Halley nei primi anni del secolo era stata ampiamente confermata e a tal punto generalizzata che Herschel sospettava fortemente che tutte le stelle del cielo fossero più o meno in movimento. Dalla misura del moto di alcune stelle già ottenuta da altri astronomi, Herschel ricavò la teoria secondo la quale il Sistema solare si stava progressivamente spostando verso la costellazione di Ercole; le stelle fisse che si trovano davanti al Sistema solare, relativamente alla direzione del moto, appaiono infatti avvicinarsi, mentre quelle che si trovano dietro si allontanano.
Herschel assunse che tutte le stelle possedessero all'incirca la stessa luminosità intrinseca; le stelle che appaiono più luminose si troverebbero, dunque, più vicine a noi. Se due stelle si presentano vicine fra loro per il fatto di avere casualmente più o meno la stessa direzione rispetto a noi (formando cioè una stella doppia 'ottica', diversa dai sistemi doppi 'fisici', in cui i due oggetti sono tenuti insieme dall'attrazione gravitazionale reciproca), la stella più brillante sarebbe la più vicina alla Terra, e quella con luminosità più debole la più lontana. Herschel suggerì di confrontare i moti delle stelle più brillanti dei sistemi doppi, osservati nell'arco di parecchi anni, con quelli delle stelle più deboli; nell'ipotesi che la stella più luminosa fosse anche quella a noi più vicina, il suo moto avrebbe dovuto risentire dello spostamento del Sole nello spazio in misura maggiore rispetto alla compagna. In realtà, molte delle stelle doppie di Herschel erano sistemi doppi fisici e a mano a mano che tale circostanza emerse la cosmologia gravitazionale newtoniana trovò applicazioni sempre più estese nello spazio cosmico. La luminosità intrinseca può inoltre variare enormemente da una stella all'altra e, di conseguenza, le ipotesi erronee introdotte da Herschel inficiarono gran parte della sua analisi. Lasciando da parte queste sue ipotesi, necessarie ma discutibili, nonché il problema dell'accordo o disaccordo di ogni particolare risultato da lui ottenuto con i valori oggi noti, restano da fare due importanti considerazioni storiche. La prima è che le osservazioni di Herschel fecero parte di una sistematica campagna scientifica, e la seconda è che lo spostamento nello spazio delle cosiddette stelle fisse, e anche quello del Sistema solare, praticamente inconcepibili agli inizi del Settecento, alla fine del secolo divennero una realtà assodata. L'obiettivo della successiva campagna astronomica di Herschel fu niente meno che stabilire la struttura dell'Universo, cominciando con il determinare se le nebulose fossero nubi brillanti oppure lontani ammassi di stelle, e quale fosse la struttura della nostra galassia.
In seguito ai successi ottenuti nel risolvere in singole stelle certe regioni della Via Lattea e alcune nebulose, Herschel divenne fiducioso nel fatto che nulla avrebbe resistito alla potenza del suo telescopio, e che tutte le nebulose fossero 'universi-isola' di stelle. Tuttavia, dopo aver osservato alcuni oggetti di natura irriducibilmente nebulare, egli cominciò a dubitare di tale supposizione. La questione non fu risolta prima del XX secolo.
La struttura, o la forma, della nostra galassia offrì alle indagini di Herschel molto minore resistenza. Sino a quell'epoca, gli spazi siderali erano stati rappresentati come un involucro sferico concavo, con l'osservatore collocato al centro; dopo l'esplorazione sistematica effettuata dai telescopi di grande apertura di Herschel, il firmamento fu concepito come un sistema che si estende in tutte le direzioni.
Herschel osservò nebulose e ammassi di stelle disposte all'interno di uno strato (ossia giacenti fra due piani paralleli), che sembrano svilupparsi per distanze enormi; senza dubbio, la Via Lattea non era altro che l'effetto apparente della proiezione delle stelle dello strato. Egli propose di determinare la posizione del Sole "misurando il cielo", cioè contando il numero di stelle nelle diverse direzioni. Assumendo che tutte le stelle abbiano la stessa luminosità intrinseca e siano distribuite uniformemente, questo numero, sosteneva Herschel, è proporzionale alla lunghezza dello strato in quella direzione.
A volte alcune zone dello spazio appaiono insolitamente affollate, a volte con un numero di stelle minore del previsto. Herschel individuò nebulose che si raggruppano in certe direzioni piuttosto che in altre, precedute da regioni in genere abbastanza povere di stelle. In questi casi, egli non usava lo stesso criterio di misurazione per determinare la posizione del Sole, ma non scartava l'osservazione, riconoscendo invece che in quella direzione erano presenti evidentemente altri strati stellari. Herschel supponeva che la distribuzione stellare fosse stata originariamente uniforme; in seguito, la gravitazione avrebbe prodotto i notevoli effetti attualmente osservabili, ossia stelle raggruppate in ammassi, e ammassi che si raggruppano fra loro a causa del reciproco avvicinamento verso il comune centro di gravità, lasciandosi dietro grandi regioni vuote. Egli riteneva che alcune nebulose fossero probabilmente più grandi del nostro Sistema solare, con pianeti abitati, sui quali altri esseri studiavano le stelle che formavano queste 'vie lattee'. La stessa Via Lattea si sarebbe dovuta infine dissolvere sotto l'incessante azione della forza che tende a concentrare ogni cosa e che l'aveva portata al suo attuale stato. Questa forza era una sorta di cronometro che poteva essere usato per misurare il tempo passato e futuro della Via Lattea, anche se di tale cronometro egli ignorava la rapidità di spostamento.
Le speculazioni cosmologiche di Herschel, come quelle di Kant, devono molto a una generale visione newtoniana del mondo; nessun debito hanno invece nei confronti di Kant Lambert o Wright, delle ipotesi dei quali Herschel non era probabilmente al corrente quando formulò per la prima volta le proprie. D'altronde, Herschel si differenziò in modo sostanziale dai pensatori che lo avevano preceduto, in quanto la sua era una cosmologia tanto osservativa quanto teorica. La sua Via Lattea era il risultato dell'osservazione di uno strato di stelle che si estendono a differenti distanze, in direzioni diverse, piuttosto che un disco teorico, esito della forza di attrazione. Le sue nebulose si risolvevano in numerosi oggetti singoli, accuratamente osservati e catalogati, e non erano entità teoriche analoghe alla Via Lattea, ancora da osservare in numero significativo.
Herschel fu uno dei principali astronomi del XVIII sec., eppure, diversamente da quanto era avvenuto per Newton un secolo prima, la sua influenza sulle successive generazioni di astronomi e cosmologi fu sorprendentemente scarsa. Gli astronomi dell'Ottocento continuarono a costruire telescopi come aveva fatto Herschel, dimenticando però in gran parte i suoi obiettivi cosmologici. La nipote di Herschel attribuì il mancato seguito delle idee del suo avo all'influenza clericale in Gran Bretagna e alla riluttanza nell'accettare teorie che contraddicessero l'interpretazione ufficiale del racconto biblico della Creazione. Non esistono però indicazioni certe a sostegno di questa ipotesi; anzi, i testi di astronomia successivi al 1800, sia in Inghilterra sia in Francia, ebbero un carattere molto più scientifico che teologico. Più probabilmente, gli scienziati del XIX sec. ritenevano che le speculazioni di Herschel si spingessero troppo lontano, con lo stile e i modi di un dilettante disinvolto, piuttosto che con quello di un prudente astronomo professionista; questi, in larga maggioranza, si accontentavano di fare osservazioni per il gusto dell'osservazione in sé, senza far riferimento ad alcuna conclusione, per quanto certa, e tanto meno a interpretazioni teoriche. L'ipotesi di Herschel che le stelle più brillanti siano le più vicine, da lui assunta in quanto necessaria alla sua campagna scientifica, fu confutata da nuove osservazioni. D'altra parte, la moderna tecnica della fotografia, combinata con l'uso dei telescopi riflettori, non forniva ancora agli astronomi una misura precisa della luminosità stellare, obiettivo che sarà raggiunto più tardi, nella seconda metà del XIX secolo. L'iniziale tentativo di Herschel di fare della cosmologia una scienza osservativa sarà rimandato ancora per molto tempo.
Alla fine del XVIII sec. l'indagine cosmologica appare un'impresa enormemente diversa da com'era agli inizi del secolo. Si verificarono alcuni cambiamenti nell'ambito delle conoscenze specifiche, il più importante dei quali fu la comprensione del fatto che la Via Lattea è un effetto ottico, e che il nostro Sistema solare è immerso in un sistema stellare molto più vasto a forma di disco. In ogni caso, la storia della scienza è qualcosa di più di una semplice descrizione dell'accumulazione graduale della conoscenza; la storia della cosmologia, in particolare, pone in risalto i grandi cambiamenti avvenuti nel modo di concepire l'Universo.
La rimozione delle stelle da una posizione fissa nella presunta superficie sferica esterna dell'Universo, basata sulle osservazioni sperimentali e sempre più radicata nell'immaginazione umana, avvenne nel corso del XVIII secolo. Alla fine del secolo, apparve ormai chiaro come l'Universo fosse uno spazio tridimensionale, in cui vagavano stelle e gruppi di stelle; dapprima riempito con un mezzo materiale, l'etere, lo spazio cominciò a divenire in misura sempre crescente, se non completamente, vuoto.
Alla fine del XVIII sec. la cosmologia era ormai una scienza che trattava le leggi della Natura e la successione degli eventi meccanici che spiegano l'evoluzione, dal caos iniziale fino alla struttura attualmente osservata. Questa struttura era presumibilmente soggetta a successive trasformazioni. All'inizio del secolo, al contrario, la normale e stabile struttura dell'Universo, così come la sua iniziale creazione, erano considerate ancora opera di Dio; il Suo ruolo cosmologico andrà diminuendo con il trascorrere del secolo.